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temporanea” si ferma, infat- ti, ai primi anni Cinquanta o poco più. Ho provato io stes- sa, sulla mia pelle, la diffi- coltà nel reperire dai casset- ti della memoria qualcosa sul terrorismo rosso. Faccio parte della cosiddetta gene- razione anni 80’ eppure la mia formazione, proprio sul quell’arco temporale, è as- sai scadente (premetto che sono sempre stata una su- per secchiona). Per formare la classe imprenditoriale e dirigente di oggi la Cultura è imprescindibile ed un popo- lo che dimentica le sue radi- ci così vicine non può andare lontano. Forse sarebbe dav- vero l’ora di rimettere mano al “mondo scuola”, non tan- to per togliere le lezioni al sabato ed eliminare i rien- tri pomeridiani, quanto per educare quel briciolo in più. L’Editoriale Ogni giorno oltre 5 milioni di persone si spostano su rotaia. Tra le regioni, vince la Lombardia: “Viaggiare è logorante, ma è una scelta di vita” Impiegano in media 72 minuti per raggiungere il posto di lavoro; sul fronte mobilità, l’auto batte il treno per utilizzo. Tra andata e ritorno, i pendolari italiani impiegano di media 72 minuti, il che significa 33 giornate lavorati- ve annue (un mese e mezzo) in più di chi non si deve spostare da casa al lavoro. Se solo si riducessero questi spostamenti da 72 a 40 minuti, si risparmierebbero ogni anno 15 giorni che, in realtà, non sono di produzione la- vorativa vera e propria, ma che si impiegano nel traffico in attesa dei treni. un universo di notizie SMO C il O www.il-cosmo.com Imparare dalla Storia per far sì che certe situazioni non si ripetano. E’ questo l’in- segnamento che ci dovreb- bero dare la Cultura e l’I- struzione. Già, dovrebbero. Perché il sistema scolastico italiano non lo consente. In che modo verrebbe da dire? Con programmi risalenti all’età della pietra (in tut- ti i sensi) e a dir poco ana- cronistici. Provate, infatti, a chiedere ai vostri figli (o a giovani alunni delle Medie) per quale motivo non si va a lezione il 25 aprile o il 2 giugno. Provate a chiedere loro (in questo caso saliamo pure anche alle Superiori e in qualche Università) chi erano Aldo Moro, Peppino Impastato e il generale Dal- la Chiesa. Gli Italiani stan- no perdendo a poco a poco le loro radici perché gli anni passano, ma le narrazioni e le testimonianze non re- stano. Sappiamo tutto sui Fenici, gli Egizi e l’impe- ro Romano, qualcosa sulla Prima Guerra Mondiale e il Fascismo, poco o nien- te della Liberazione e della Guerra Fredda. Quella che viene definita “Storia Con- Eventi Film, mostre ed eventi da non perdere! continua 2 Michela Trada n°XIV 24/05/2018 In fase di registrazione presso il tribunale di Vercelli Editore: il Cosmo SRL via degli Oldoni 14, Vercelli. Direttore responsabile: Michela Trada www.cooperativacolibri.com visita il sito: Assistenza domiciliare e casa famiglia per anziani autosufficienti I pendolari “lavorano” un mese e mezzo di più all’anno Rubrica, Qua la zampa Lavare il cane consigli pratici di Sabrina Falanga pag.15 Politica Conte “CT” per LEga e M5S: Mattarella approva e lui accetta con riserva di Federico Bodo pag. 7 Sport Tornare in pedana a 40 anni dopo la cecità di Deborah Villarboito pag. 18 Sport Quando il talento non basta: gli insegnamenti di Gian Mario Migliaccio di Deborah Villarboito pag.17 Food Striscioline di pollo con mandorle ed etta di Chiara Bellardone pag.10 Storia vicina eppure cì lontana

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temporanea” si ferma, infat-ti, ai primi anni Cinquanta o poco più. Ho provato io stes-sa, sulla mia pelle, la diffi-coltà nel reperire dai casset-ti della memoria qualcosa sul terrorismo rosso. Faccio parte della cosiddetta gene-razione anni 80’ eppure la mia formazione, proprio sul quell’arco temporale, è as-sai scadente (premetto che sono sempre stata una su-per secchiona). Per formare la classe imprenditoriale e dirigente di oggi la Cultura è imprescindibile ed un popo-lo che dimentica le sue radi-ci così vicine non può andare lontano. Forse sarebbe dav-vero l’ora di rimettere mano al “mondo scuola”, non tan-to per togliere le lezioni al sabato ed eliminare i rien-tri pomeridiani, quanto per educare quel briciolo in più.

L’Editoriale

Ogni giorno oltre 5 milioni di persone si spostano su rotaia. Tra le regioni, vince la Lombardia: “Viaggiare è logorante, ma è una scelta di vita”

Impiegano in media 72 minuti per raggiungere il posto di lavoro; sul fronte mobilità, l’auto batte il treno per utilizzo.

Tra andata e ritorno, i pendolari italiani impiegano di media 72 minuti, il che significa 33 giornate lavorati-ve annue (un mese e mezzo) in più di chi non si deve spostare da casa al lavoro. Se solo si riducessero questi spostamenti da 72 a 40 minuti, si risparmierebbero ogni anno 15 giorni che, in realtà, non sono di produzione la-vorativa vera e propria, ma che si impiegano nel traffico in attesa dei treni.

un universo di notizieSMOCil O

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Imparare dalla Storia per far sì che certe situazioni non si ripetano. E’ questo l’in-segnamento che ci dovreb-bero dare la Cultura e l’I-struzione. Già, dovrebbero. Perché il sistema scolastico italiano non lo consente. In che modo verrebbe da dire? Con programmi risalenti all’età della pietra (in tut-ti i sensi) e a dir poco ana-cronistici. Provate, infatti, a chiedere ai vostri figli (o a giovani alunni delle Medie) per quale motivo non si va a lezione il 25 aprile o il 2 giugno. Provate a chiedere loro (in questo caso saliamo pure anche alle Superiori e in qualche Università) chi erano Aldo Moro, Peppino Impastato e il generale Dal-la Chiesa. Gli Italiani stan-no perdendo a poco a poco le loro radici perché gli anni passano, ma le narrazioni e le testimonianze non re-stano. Sappiamo tutto sui Fenici, gli Egizi e l’impe-ro Romano, qualcosa sulla Prima Guerra Mondiale e il Fascismo, poco o nien-te della Liberazione e della Guerra Fredda. Quella che viene definita “Storia Con-

EventiFilm, mostre ed eventi danon perdere!

continua 2Michela Trada

n°XIV 24/05/2018

In fase di registrazione presso il tribunale di VercelliEditore: il Cosmo SRL via degli Oldoni 14, Vercelli. Direttore responsabile: Michela Trada

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I pendolari “lavorano” un mese e mezzo di più all’anno

Rubrica, Qua la zampaLavare il cane consigli praticidi Sabrina Falanga pag.15

PoliticaConte “CT” per LEga e M5S: Mattarella approva e lui accetta con riserva

di Federico Bodo pag. 7

SportTornare in pedana a

40 anni dopo la cecità

di Deborah Villarboito pag. 18

SportQuando il talento non

basta: gli insegnamenti di Gian Mario Migliaccio

di Deborah Villarboito pag.17

FoodStriscioline di pollo

con mandorle ed uvetta

di Chiara Bellardone pag.10

Storia vicina eppure così lontana

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Di giorno, nelle 13 grandi città italiane (quelle con più di 250 mila abitanti), si passa da 9 milioni e 300 mila a 11 mi-lioni e 450 mila persone, ossia c’è un incremento del 23%, per accogliere chi arriva da fuori per lavoro o per motivi di studio. Possiamo dunque parlare di 2 milioni e 138 mila pendolari metropoli-tani. A Milano ne contiamo 592 mila (il 45,4% della popolazione residente), 291 mila a Roma (10,8%), 249 mila a Napoli (25,6%), 242 mila a Torino (26,9%). Del resto, tra il 1991 e il 2006, le grandi città hanno visto un calo di residenti (-4,8%), nella prima cintura c’è stato un +9,3%, nella seconda cintura urbana del 13,8%.

L’80% dei trasferimenti avvengono tra comuni della stessa provincia, il 4% per tragitti tra regioni diverse. La distanza media percorsa è di 24 chilometri, solo il 28% dei viaggiatori supera i 25 chi-lometri. Impiegati e insegnanti (43%), studenti (23%) e operai (17,5%) sono le categorie che più gonfiano l’esercito di pendolari. Che usa nel 70,2% dei casi l’auto (80,7% per chi lavora, 35,7% chi studia), il treno viene usato dal 14,8% dei pendolari. Più di 1,9 milioni di per-sone usano in combinazione più mezzi. All’ultimo posto troviamo autobus ex-traurbani e corriere (10,7%, 28% per gli studenti, 5,5% per i lavoratori).

Un pendolare che usa l’auto, percor-re l’autostrada e utilizza un parcheggio a pagamento, può arrivare a spendere 2.265 euro all’anno, un decimo del red-dito medio dei 12 mesi. Chi usa il treno spende mediamente quattro volte meno. Gli automobilisti, tra i disagi, mettono al primo posto code e traffico congestio-nato (35%), poi i cantieri (18%), le diffi-coltà di parcheggio (7%). Per il treno, le lamentele riguardano i ritardi nella par-tenza (32%) e nell’arrivo a destinazione (31%).L’indagine è stata realizzata dal Censis.

di Alessandro Pignatelli

di Alessandro Pignatelli

Attualità

Pendolari: l’auto batte il treno e la mobilità sostenibileMobilità sostenibile? No, grazie. Gli italia-ni continuano a preferire l’auto al treno o ai mezzi urbani ed extraurbani per spostarsi. Che sia per lavoro o per studio. Nel 2016, mezzi pubblici, bici o spostamenti a piedi sono stati scelti dal 32% della popolazione. Un dato che si segnala in calo del 15% ri-spetto a 15 anni fa. Lo fa sapere l’Isfort (Isti-tuto superiore di formazione e ricerca per i trasporti) nel Rapporto sulla mobilità 2016.L’auto sposta il maggior numero dei pendo-lari ogni giorno, siamo a due su tre. In que-sto caso, dal 2001 al 2016 c’è stato un aumen-to dell’8% circa. I mezzi pubblici presentano

percentuali di utilizzo piuttosto frammenta-te, ma stiamo assistendo a una diminuzio-ne del peso dei vettori urbani a favore degli spostamenti intermodali. Chi può, utilizza un modo di spostarsi assolutamente green, vale a dire in bicicletta o addirittura a pie-di (20%), ma anche questo dato è in dimi-nuzione nel lungo periodo per l’impatto nei processi di dispersione urbana e del conse-guente allungamenti dei viaggi dei pendola-ri.L’Isfort fa sapere anche che nel 2016 c’è stata una temporanea battuta d’arresto per l’uso dell’auto rispetto al 2015, con recupero so-

stanziale per la mobilità sostenibile. Trend non sufficiente a recuperare le perdite ri-spetto al 2008: su base annua, la variazione dei passeggeri trasportati dall’insieme dei mezzi pubblici (urbani ed extra-urbani, sus-sidiati e non sussidiati) è stata positiva nel 2016 (+4,6%), ma non sufficiente a colmare il gap registrato appunto dal 2008 (-16,4%).

Cosa vuol dire essere pendolare? clicca per vedere

la video intervistadi Sara Brasacchio

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Giorgio Crocioni, una vita sui treni come macchinista. A luglio andrà in pensione dopo 35 anni, metà passati anche sui tre-ni passeggeri. Dal 2000, esclusivamen-te su quelli merci, i cosiddetti cargo. Il suo è dunque un buon osservatorio per parlare delle ferrovie italiane: “Noi fac-ciamo solitamente tratte a lunga percor-renza, a Nord e a Sud”.

I treni che trasportano merci viaggiano solitamente in orario notturno, dunque non incidono sugli orari dei convogli dei pendolari: “Può capitare, a volte, di in-crociare treni che viaggiano in nottur-na, ma noi non siamo d’intralcio perché andiamo più piano, diamo le preceden-ze”. L’Italia dei binari tanto bistratta-ta, guardando i dati che arrivano anche dagli altri Stati europei, non è poi così male, come conferma pure Crocioni: “Ho un amico che lavora in Inghilterra e mi dice che lì la situazione è peggiore. Il motivo? Hanno privatizzato non solo i vettori, ma anche la rete. Da noi, invece, quest’ultima è statale. E la concorrenza, tipo Ntv, probabilmente è servita a mi-gliorare la situazione in Italia”.

Anche aver favorito l’alta velocità a di-scapito dei regionali (i più utilizzati dai pendolari) e degli intercity presto po-

trebbe non essere più un problema: “Il nostro amministratore delegato ha det-to che si tornerà a investire nel traspor-to regionale. Normale che inizialmente si sia puntato di più sull’alta velocità, che è quella che rende di più economi-camente”.

Pure il trasporto merci, in Italia, ha una società tutta sua, Mercitalia. Ma è me-glio viaggiare sui merci o era meglio gui-dare i treni passeggeri? “Ci sono i pro e i contro. Quando stavo sui convogli viag-giatori avevo riposi più stretti, sul cargo sono maggiormente diluiti, così come gli orari. Anche perché, di notte, ci capita di fare spesso ritardo a causa dei lavori sulla rete che vengono fatti giustamente nelle ore notturne”.

A.P.

Attualità

IntervistaCrocioni, macchinista cargo: “In Italia si viaggia meglio che altrove”

di Alessandro Pignatelli

Treni italiani: economici e sicuri, ma poco usatiQuanto costa viaggiare in treno? L’Unione Europea ha stabilito, con lo Study on the prices and quality of rail passenger services – pubblicato ad aprile del 2016 – che i nostri treni sono tra i più economici del Vecchio Continente. Sia quelli a breve sia quelli a lunga percorrenza, sia quelli dell’alta veloci-tà. Una bella sorpresa, insomma. Germania, Francia, Spagna e Regno Unito chiedono di più ai passeggeri delle ferrovie per spostarsi. Non solo: da noi esistono gli sconti per l’alta velocità, cosa inconcepibile in Gran Breta-gna.Continuiamo a parlare di alta velocità: il prezzo più basso in assoluto in Europa è per Ntv, ossia Italo. Acquistando alcuni biglietti una settimana prima del viaggio, si spendo-no 0,05 euro al chilometro. Solo il Belgio, tra i sette Stati europei che hanno l’alta velocità, riesce a fare meglio, e la Francia, ma solo se si comprano andata e ritorno insieme. Ntv resta però il più economico a una settimana dal viaggio programmato.I pendolari sono però più interessati a sa-pere qual è la situazione dei regionali. Pen-dolaria, campagna di Legambiente su treni regionali e locali italiani, ha stabilito in quali regioni i biglietti sono aumentati di più dal 2010 al 2016. Al primo posto c’è il Piemonte, +47,3%, poi la Liguria, +41,24%. Sardegna (+9%), Molise (+9%) e Sicilia (+7,7%) sono invece le regioni dove il biglietto dei regio-nali è aumentato di meno.La rete ferroviaria italiana è lunga 17 mila

chilometri; il rapporto tra ferrovie e rete au-tostradale è più alto che in Spagna e poco più basso che in Francia. Come dire che non ab-biamo poche linee ferroviarie, considerando la conformazione territoriale dello Stivale. Noi, però, usiamo il treno di meno che i te-deschi, i francesi i britannici. Nel 2014, il numero di chilometri percorsi in media da un cittadino britannico è stato di 1.005, di un tedesco 1.126, di un francese 1.359, di un italiano appena 804. Pure in Austria, Svezia e Danimarca si viaggia di più in treno rispet-to a noi. Il che ci porta invece a usare di più auto e pullman di Francia, Germania e Polo-nia, dove però si viaggia di meno in generale. Il motivo? Le infrastrutture e pure la cultura. Per molti anni, infatti, in Italia si è punta-to sul miglioramento di strade e autostrade, mettendo in disparte i binari. Ci sono stati poi gli incentivi per acquistare nuove auto (come la rottamazione e i contributi spet-tanti).Negli ultimi anni, con la nascita dell’alta ve-locità, l’Italia ha un po’ aumentato i minuti passati sui treni. Però sono diminuiti i servi-zi degli altri convogli. Pendolaria ci fa sape-re che in 15 regioni sono stati aboliti buona parte degli intercity e dei regionali. Secondo lo Study on the prices and quality of rail pas-senger services, l’Italia ha il primato europeo per la frequenza di treni disponibili ogni giorno, sia nelle tratte ad alta velocità sia in quelle a lunga percorrenza. Lo stesso studio, però, fa sapere che la frequenza è molto più

bassa per i regionali rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei: meno di 20 al giorno tra due stazioni contro una media di 80 in Svezia e di più di 40 in Germania.Se non altro, noi possiamo fregiarci di avere una delle reti ferroviarie più sicure d’Euro-pa. Secondo Eurostat, che dispone dei dati fino al 2015, nel Vecchio Continente c’è stata costantemente maggior sicurezza di anno in anno, fino al 2013. Il numero di incidenti, esclusi i suicidi, in cui ci sono stati morti e feriti è tuttora in diminuzione, ma nel 2014 e nel 2015 ci sono stati più incidenti. Più del 60 per cento delle persone morte in un in-cidente ferroviario, in Italia, si trovava acci-dentalmente vicino alla rotaie nel momento sbagliato; il 29 per cento era a un passaggio a livello. I suicidi sono il 72 per cento tra il 2012 e il 2014 nei Paesi europei. Nel 2015, la Polonia è stato il Paese con più inciden-ti (639), poi la Germania (363), l’Ungheria (158), la Francia (150), la Romania (141) e l’Italia (121).

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Intervista

pagina 4

di Alessandro Pignatelli

di Alessandro Pignatelli

La sua professione la porta ad avere orari dif-ficili da gestire. Dottoressa, spesso di turno, si sposta però con il treno da Narni Scalo a Roma. E non esita a parlare di odissea, ogni giorno, Maria Lucia: “Di cose da raccontare ce ne sarebbero tante. Ci sono quelle all’ordine del giorno, ossia la sporcizia che regna sovrana sui Regionali. Poi ci sono cose che dovrebbe-ro essere straordinarie e invece finiscono per diventare ordine del giorno, ossia la soppres-sione di alcuni treni”. Un episodio in partico-lare, recente, ha fatto davvero innervosire la dottoressa di medicina interna: “Siamo parti-ti, ma dopo pochi chilometri ci siamo fermati. Il capotreno ci ha detto che c’era un guasto e che potevamo salire su un altro regionale, fer-mo. Peccato che ci fossero tre vagoni in meno del nostro e fosse già pieno. I finestrini erano bloccati. Stavamo stretti come sardine. Arri-viamo a 25 minuti di ritardo, sempre fermi. Chiediamo al capotreno più volte quando si parte e, a sorpresa, ci avverte che anche quel convoglio era stato soppresso”.Cose da pazzi, o cose da Italia pendolare: “C’e-

C’è anche chi è felice di fare il pendolare. E lo dimostra dati alla mano. Come Rosa, che ha la famiglia a Napoli, ma il lavoro a Roma. “Spes-so mi sono sentita chiedere perché non ti tra-sferisci? E’ gente che non capisce quanto sia difficile cercare l’alloggio, quanto siano onero-si affitto, bollette e quant’altro. E poi, dai Pa-rioli all’Eur nelle ore di punta ci si mette di più che da Napoli a Roma”.Da quando è nato il servizio Alta Velocità, le città si sono avvicinate. Con Italo o con il Frec-ciarossa, la capitale dista un’oretta da Napoli . Rosa aggiunge: “E l’abbonamento costa meno dell’affitto a Roma”. C’è anche un altro motivo alla base della scelta di viaggiare: “Mio mari-to ha un lavoro che non gli permette di spo-starsi”. Così lei, armata di pazienza, esce di

rano studenti e persone che lavorano. Chi poteva telefonava per avvertire. Cosa che ho fatto anche io. Non sapevamo che fare”. Il fi-nale è tragicomico: “L’avventura è terminata riprendendo il treno per tornare a casa. Ho perso la giornata di lavoro. Gli unici felici, for-se, saranno stati gli studenti che hanno perso un giorno di scuola”.Si potrebbe protestare, ma servirebbe? “Da quando hanno messo i treni ad Alta Veloci-tà, chi abita nei paesi ha meno soluzioni. Ci trattano davvero come passeggeri di serie B, eppure paghiamo anche noi l’abbonamento e il biglietto”. Che fare, allora? “Penso che pri-ma o poi cercherò casa a Roma. La situazio-ne è peggiorata. Quando facevo l’università, si viaggiava meglio o forse io ero più rilassata. Pare che alle Ferrovie Italiane non interessi incentivare gli spostamenti sui loro treni, per-lomeno su quelli più lenti. I bagni sono o rotti o inservibili. In certe ore della giornata, ho an-che paura e un controllore non si trova nean-che a pagarlo. Sono solerti, invece, nelle ore di punta a passare per chiedere il biglietto”.

casa ogni mattina alle 6 per ritornarvi alle 21. Cinque giorni alla settimana. “Arrivo giusto in tempo per cena e mettere a letto la mia bambi-na, di cinque mesi”. Forse questa è la cosa che dispiace di più a Rosa, che vorrebbe godersi di più la figlia ed essere maggiormente presente: “Fortunatamente ci sono i nonni, altrimenti non potremmo fare questa vita”.Nonni santi. Così Rosa può anche rilassarsi un po’ in quel viaggio: “Uso il tablet, leggo. Devo dire che con l’Alta Velocità anche la mia vita da pendolare è cambiata. Prima sui regionali era un disastro”. Adesso, invece, la vita scorre più in fretta dai finestrini, i ritardi sono irrisori, il wifi funziona, i bagni sono puliti: “A volte tra-sformo il posto dove mi siedo nel mio ufficio personale. Più che altro, ricevo molte telefona-

Maria Lucia, a proposito di sicurezza, ha un altro aneddoto da raccontare: “Stavo tornan-do dal lavoro, era tardi ed era inverno. Ero in un vagone praticamente vuoto. A un certo punto, sale un uomo e si siede di fronte a me. Già mi sono preoccupata un po’ perché, ripe-to, poteva sedersi dove voleva. Inizia a chie-dermi qualcosa, gli rispondo gentilmente. Poi, però, si fa più insistente: voleva sapere dove abitavo, se ero sposata. Ho fatto finta di do-ver andare in bagno e sono andata in un altro vagone, dove c’erano altre persone. Ma pochi minuti dopo è arrivato anche lui che mi ave-va seguito. Ero terrorizzata. Fortunatamente, qualche stazione dopo, sono saliti due agenti della polizia. E quell’uomo si è dato una cal-mata. Ma me la sono vista brutta. Pensavo: e se ora l’approccio diventa fisico? E se quando scendo, mi segue? Solo che i miei orari sono questi, non posso cambiarli”.

te da clienti, prendo appuntamenti. Cose che non potrei fare se viaggiassi in macchina”. C’è anche un altro fattore che fa sorridere Rosa: “Si fanno amicizie sul treno. Addirittura, ho conosciuto un paio di donne di Napoli, che poi mi hanno presentato i loro mariti. Usciamo in sei a mangiare la pizza qualche volta, nel week end”. Ovviamente, anche in questo caso, santi nonni: “Senza di loro, anche qualche serata li-bera sarebbe impossibile perché i soldi per la baby sitter non ce li abbiamo”.

Pendolare sui Regionali, Maria Lucia si sfoga: “Fs ci tratta male”

Rosa, pendolare sulla Napoli-Roma: “Si fanno anche amicizie”

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Intervista

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di Alessandro Pignatelli

Giovanni è un pendolare. Uno dei milioni che ogni giorno, almeno dieci volte a settima-na, si fa l’intera tratta Torino – Milano. Par-tendo naturalmente molto presto e tornando, ovvio, molto tardi. A volte più tardi del solito per qualche ritardo, guasto, precedenza. La di-stanza per lui è un “male necessario”: “Non mi abituerei mai alla vita milanese, sono troppo attaccato a Torino. A Milano finirei per lavora-re soltanto e per vedere solo colleghi”.E’ sposato Giovanni, sua moglie Ada ha con-diviso questa scelta del marito. Anche se si-gnifica vederlo pochissimo. Ci scherza su, lui: “Sarà per questo che non litighiamo mai e ci ‘sopportiamo’ ancora dopo 15 anni di matri-monio”. La sveglia in casa di Giovanni suona alle 6.15, alle 7.26 c’è il treno, Alta Velocità, che a Milano Porta Garibaldi arriva intorno alle 8.41. Sei minuti dopo, in teoria, c’è il passan-te ferroviario che riporta il pendolare qualche

chilometro verso Torino, ossia alla stazione di Milano Certosa: “Da qui, ancora 15 minuti di strada a piedi per raggiungere la sede di lavoro”. Il passante non sempre è la soluzione: “Con un minimo ritardo, devo ricorrere al piano B, la metropolitana. Tre fermate della Verde, 8 della Rossa, 12 minuti a piedi nella periferia. In que-sto modo, riesco a entrare al lavoro tra le 9.15 e le 9.30”. Sono passate 2 ore e 20 minuti circa dal suono della sveglia.Va un po’ meglio al ritorno: 2 ore e 1o minuti, con arrivo tra le mura domestiche intorno alle 20.30. Giusto per cena. Spiega: “Chi me la fa fare? Ripeto, sono troppo affezionato a Tori-no. All’inizio, ci mettevo meno di due ore, poi hanno spostato la sede di lavoro”. Dalla logi-stica alle sensazioni: “A me è sempre piaciuto viaggiare in treno, ti ritrovi pure con un po’ di libertà che magari non avresti stando in fami-glia. Puoi leggere un libro o un giornale, navi-

gare sul web, riflettere. E’ più stressante muo-versi dentro Milano, diventa stancante”. Non tutto è rose e fiori pure a livello di famiglia: “Non litighiamo, è vero, ma un po’ la sensazio-ne di scollamento c’è. Ti sembra di non parteci-pare alla conduzione della casa”. Anche perché Giovanni è anche papà: “Da quando abbiamo un figlio, pago maggiormente la mia scelta di fare il pendolare”.Ma la vita da pendolare, in Italia, non è un con-tinuo arrabbiarsi per i ritardi e le coincidenze perse? “Presi singolarmente, i disagi sono pic-coli, ma siccome accade qualcosa ogni giorno alla fine un po’ ti senti scoraggiato. Si rischia di alienarsi. Finisci per avere sempre la faccia cattiva”.

Giovanni, pendolare AV: “Torino - Milano è logorante, ma è una scelta di vita”

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Attualità

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Attualità

di Alessandro Pignatelli

Treni e pendolari: un esercito di 5 milioni e mezzo al giornoOgni giorno, in Italia, sono cinque milioni e mezzo le persone che prendono il treno per an-dare al lavoro o per motivi di studio. Possiamo racchiuderli in un’unica categoria, quella dei pendolari. Il numero è in costante aumento, nonostante le ferrovie italiane non siano certo tra le più puntuali. Tra il 2016 e il 2017, infatti, i passeggeri sono stati 11 mila in più al giorno. Circa la metà viaggia sui regionali (2,8 milioni di persone). Ci sono poi 40 mila pendolari che utilizzano ogni giorno l’intercity, 170 mila che usufruiscono dell’alta velocità (160 mila a bor-do delle Frecce, gli altri con Italo).

Dei cinque milioni e mezzo di viaggiatori quo-tidiani, 712 mila utilizzano in Lombardia un convoglio Trenord, 207 mila un Cti in Emilia Romagna, 190 mila i servizi Atac del Lazio, 154 mila l’Eav della Campania. Nelle altre regioni, Trenitalia ospita a bordo 1,37 milioni di perso-ne.

Parlavamo di numeri in crescita. E pure dei tempi che, nonostante i treni si siano velociz-zati, oggi sono più lunghi di una volta. Pensa-te: negli Stati Uniti siamo a 26,4 minuti di me-dia di pendolarismo, +21 per cento rispetto al 1980. A Londra e Manchester, in Inghilterra, quelli che talvolta paiono viaggi della speranza, tra casa e lavoro, durano di media 85 minuti. In tanti, a causa dell’aumento del prezzo delle case nel centro di Roma, Milano, New York, Londra e Pechino, hanno dovuto prendere un apparta-mento in periferia, quando non in un’altra cit-tà o in campagna, dove il costo della vita è più umano. Quindi, l’uso del treno (e della macchi-na) diventa indispensabile.

Legambiente ha constatato che la linea peggiore

in Italia è quella che collega Roma a Ostia Lido. Anche se in parecchi potrebbero obiettare che ogni giorno è una guerra pure su altre linee. Su internet, sono nati diversi blog che racconta-no esperienze dal ‘fronte’ o che raccolgono mi-nuziose statistiche sui ritardi dei nostri treni. Nell’ultimo mese, per esempio, scopriamo che il numero 3776 (da Palermo Centrale a Messi-na Centrale delle ore 8.33) ha vinto la medaglia d’oro con un ritardo di ben 1.657 minuti com-plessivi. Sul podio, poi, il treno numero 2279 (1.510 minuti di ritardo, da Milano Centrale a Bologna Centrale delle 13.20) e il numero 294 (1.500 minuti di ritardo totali, da Roma Termi-ni a Tarvisio Boscoverde delle 18.58).

Il treno che unisce Palermo a Messina, su 19 corse monitorate, in 18 è arrivato in ritardo. Una volta in anticipo. Il ritardo minimo di una corsa, -3 minuti; 182 minuti è durato il viaggio più lungo, 173 è la durata media. Il ritardo mas-simo di una corsa è stato di 20 minuti. Secon-do l’ultima Relazione sulla qualità dei servizi di Trenitalia, relativa al 2015, anche se i treni con più di un’ora di ritardo sono stati meno dell’1 per cento per tutte le categorie di treni, la stragrande maggioranza dei treni italiani sono puntuali, ma secondo il criterio per cui sono ritenuti puntuali tutti i treni che arrivano entro 15 minuti dall’orario di arrivo previsto. Il 91,6 per cento dei treni di media e lunga percorren-za (quindi tutti i Frecciarossa, i Frecciargento, i Frecciabianca, gli InterCity e InterCity Notte) del 2015 sono arrivati puntuali. Se si conside-rano i soli regionali, la percentuale sale al 97,9. Per capire se significa che i treni italiani sono puntuali o meno è utile fare un confronto con i treni europei.

La Spagna è uno dei Paesi con una grande rete ed è quello in cui si verificano meno ritardi: più del 95 per cento dei treni è puntuale. Se-condo lo Study on the prices and quality of rail passenger services inglese, sempre tra i Paesi con grandi reti ferroviarie, la Germania e l’I-talia sono quelli in cui ci sono più ritardi sui treni a lunga percorrenza: in entrambi i pae-si meno del 75 per cento dei treni sono stati puntuali nel 2014. Ma i ritardi italiani e quelli tedeschi sono diversi: in Germania un treno è considerato in ritardo se raggiunge la stazio-ne d’arrivo dopo 5 minuti e 59 secondi o più rispetto all’orario previsto, in Italia la soglia è, come detto, 15 minuti. A giudicare dai dati di Trenitalia per il 2015 sembra che la puntualità sia poi aumentata, anche se ancora non ci sono dati per il 2016. Nel 2014 solo in Ungheria e in Slovenia i treni regionali e locali sono stati più in ritardo che in Italia. Lo studio rivela anche che dal 2012 al 2014 la frequenza dei ritardi dei treni italiani, di tutti i tipi, è molto aumentata in percentuale. Un altro demerito dei treni re-gionali e locali italiani è che sono stati tra i più cancellati in Europa nel 2014, dopo quelli un-gheresi e lituani. Facciamo un paragone, infine, con un episodio di cronaca recente. In Giap-pone, l’azienda ferroviaria nazionale si è scusa-ta con gli utenti perché un suo treno è partito con 25 secondi di anticipo, “arrecando disagi alla clientela”. Il Giappone è davvero lontano, in tutti i sensi.

Rimborso biglietto del treno: quando e come richiederloIn Italia, è possibile chiedere rimborsi in caso di viag-gio in treno annullato, in caso di ritardi o soppres-sioni. Vediamo come funziona. Ferrovie Italiane fa sapere che, per quanto riguarda i treni nazionali, se si decide di rinunciare all’intero viaggio e se la tipologia di biglietto lo consente, si può chiedere il rimborso trattenendo però una parte dell’importo già pagato. Non è consentito il rimborso per A/R in giornata, A/R weekend, Young, Senior, Cartafreccia Speciale, Special 2x1. Sul biglietto base, fino all’orario di par-tenza del treno prenotato si ottiene il rimborso del biglietto – 20 per cento di trattenuta. Per Economy e Super Economy non c’è rimborso. Per l’offerta fami-glia, vale il discorso fatto per il biglietto base.Sugli abbonamenti, quello settimanale e mensile non hanno rimborso. Quello annuale ordinario sì, con queste modalità: In caso di utilizzazione per un pe-riodo limitato, rimborso di tanti dodicesimi del prez-zo pagato quanti sono i mesi interi non utilizzati (le frazioni di mese sono considerate come mese intero).Vediamo ora la situazione rimborsi per i treni con causa imputabile a Trenitalia. Se il biglietto non è sta-to utilizzato, il rimborso è ottenibile integralmente se la partenza del treno è ritardata di almeno un’ora, quando il viaggio non può iniziare per ordine dell’au-torità pubblica, quando sulla base dell’esperienza di Trenitalia è oggettivamente prevedibile che il ritardo dell’arrivo nella destinazione finale sia superiore a 60 minuti rispetto all’orario previsto e non si inten-da iniziare il viaggio utilizzando altri mezzi o non si intenda proseguirlo e si richieda di tornare al punto di partenza o in un’altra località intermedia a scelta

del passeggero, il treno o la carrozza cuccetta o Vl o Excelsior o il servizio auto/moto al seguito effettuato con il treno prenotato sono soppressi, il posto preno-tato non è effettivamente disponibile o, per esigenze di servizio non prevedibili, il materiale utilizzato per il treno prenotato è diverso da quella della categoria cui appartiene il treno programmato o la classe o il servizio utilizzati sono inferiori a quelli cui fa riferi-mento il biglietto, nel caso di assegnazione di posto cuccetta, VL ed Excelsior diverso da quello indicato sul biglietto o nel caso di mancanza di effetti letterec-ci, vi è un ritardo nella consegna del titolo di viaggio acquistato sul sito o con call center. Il rimborso è pos-sibile anche se il biglietto è parzialmente non utilizza-to, senza trattenuta.Per i treni regionali, se si rinuncia al viaggio, il rim-borso deve essere richiesto entro le 23:59 del giorno precedente la data indicata sul biglietto, presso qual-siasi biglietteria o l’Agenzia di viaggio abilitata che ha emesso il tagliando o inviando la richiesta scritta alla Direzione regionale/provinciale competente per la stazione di partenza. Per il biglietto elettronico regio-nale (Ber), è possibile richiedere il rimborso anche su app Trenitalia e online su www.trenitalia.com. Dal-la somma da rimborsare, viene dedotta sempre una trattenuta del 20%. Non c’è rimborso se la somma, dopo aver applicato la trattenuta, è pari o inferiore a 8 euro.Per gli abbonamenti, il rimborso è previsto solo per quello annuale regionale che può essere rimborsato, prima dell’inizio di validità, con applicazione di una trattenuta del 5 per cento. In caso di utilizzazione per

un periodo limitato della sua validità complessiva viene rimborsata la differenza tra il prezzo pagato ed il prezzo dovuto per uno o più abbonamenti mensili alla tariffa 40 per il periodo di avvenuta utilizzazione considerando le frazioni di mese come mese intero con applicazione di una trattenuta a titolo di pena-le del 5%. Per causa imputabile a Trenitalia, in caso di mancata effettuazione a causa di: soppressione del treno o partenza ritardata superiore a 60 minuti;sciopero del personale delle Ferrovie dello Stato Ita-liane (dalla dichiarazione dello sciopero stesso e en-tro le 24 ore lavorative successive al termine); ordine dell’Autorità Pubblica; mancanza di posto disponibi-le nella classe di validità del biglietto; si effettua un rimborso integrale del biglietto in tutte le biglietterie anche nel caso in cui sia già stato convalidato.La biglietteria provvede direttamente al rimborso quando è in condizione di verificare le circostanze che giustificano il rimborso integrale: in caso con-trario procederà all’inoltro alla Direzione Regionale competente della richiesta presentata in forma scrit-ta. Per il biglietto elettronico regionale la richiesta di rimborso deve essere sempre inoltrata in forma scrit-ta. Nel caso di biglietteria chiusa o assente la richiesta deve essere fatta in forma scritta alla Direzione Re-gionale competente allegando l’originale del biglietto.

A.P.

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Politica

di Federico Bodo

Fumata bianca, con riserva. Il Presidente Matta-rella, sotto le pressioni della democrazia ha infine dato l’incarico di formare un Governo a Giusep-pe Conte, ora Presidente del Consiglio incaricato, il quale accetta, ma con riserva: intende vagliare le reali possibilità di rispettare e portare a com-pimento il contratto di Governo tra Lega e M5S, e di formare una valida squadra di Ministri. Ci vorranno un paio di giorni presumibilmente per sciogliere la riserva e confermare il suo incarico.Laureato alla Sapienza di Roma nel 1988, Avvo-cato civilista, Conte ha 54 anni; tra le università in cui insegna Diritto privato, vi sono quella di Firenze e la Luiss di Roma, e tra le attività extra-universitarie Conte è Avvocato patrocinante in Cassazione, e dal settembre 2013 viene eletto dal-la Camera dei Deputati come componente laico del Consiglio di Presidenza della Giustizia ammi-nistrativa, di cui è stato vicepresidente fino a po-chi mesi prima del 4 marzo; infine è stato propo-sto da Luigi Di Maio in campagna elettorale come Ministro della Pubblica Amministrazione. Inten-de proporsi come “Avvocato difensore del popolo italiano”, tutelare quindi i cittadini tutti, in ogni sede istituzionale nazionale e internazionale. Poche parole al termine della consultazione al Colle, nelle quali traspare emozione e fiducia nel-le parti che lo hanno scelto come Presidente de-signato. Un’emozione evidente nel tremore delle sue parole, specchio di un uomo, umano, sensibi-le. Storicamente approda a Montecitorio in Taxi, mettendo le basi per il “Governo del Cambia-mento”.

Troppe parole sono state spese nei giorni scorsi sulla sua persona, la gogna mediatica e la mac-china del fango hanno tentato di screditare il suo nome, ma Mattarella ha visto la scommessa, ha vinto quindi la democrazia, ha vinto l’uomo e non i calcoli. Purtroppo però i dubbi restano, inevitabilmente. Dove sta l’esperienza? Dove i rapporti internazio-nali? Come convincerà i mercati e l’Unione Euro-pea? E’ chiaro che ci sono diversi modi di giudi-care l’emozione e il tremolio nel discorso uscendo dalla consultazione con il Presidente Mattarella, tra i quali il più diffuso è sicuramente debolezza. Non possiamo sapere che Presidente sarà se e nel momento in cui scioglierà la riserva, sicuramente ognuno di noi ha la sua riserva da sciogliere. La storia ci insegna che spesso i grandi uomini e i grandi Presidenti lo diventano inaspettatamen-te, noi decidiamo di dargli il beneficio del dub-bio. Come uomo e professionista che si è messo a disposizione per il Bene Comune, nonostante la macchina del fango e tutti i dubbi di ogni citta-dino, merita un’opportunità. Nel tempo vedremo anche noi se sciogliere o meno la riserva nei suoi confronti e nei confronti di coloro che lo hanno proposto. Buon lavoro Presidente.

Conte “Ct” di Lega e M5S: Mattarella approva e lui accetta con riserva

www.il-cosmo.com

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Attualità«Sono un mostro se dico che ora sto meglio?». È il commento di una donna che, dopo aver par-torito, si è lasciata andare a una confidenza con la sua ginecologa; «Ma oltre a essere una confi-denza, mi è suonata come una richiesta. Aveva bisogno che le dicessi che no, non era un mo-stro. E che se dopo l’aborto si sentiva meglio, aveva tutto il diritto di sentircisi. Senza nessun risentimento verso se stessa».Di aborto se ne parla sempre in via ecceziona-le. In genere succede quando gruppi contrari manifestano, come è successo recentemente: diverse città sono state tappezzate da manifesti contro l’aborto, realizzati da CitizenGo (asso-ciazione spagnola di estremisti profile), in cui è riprodotto il corpo di una donna incinta e la scritta “L’aborto è la prima causa di femminici-dio nel mondo”.«Manifesti di questo tipo non fanno che au-mentare le problematiche psicologiche che sor-gono nella testa di una donna che ha deciso di abortire o che già l’ha fatto e lotta contro i sensi di colpa – spiega Maria Grazia L., ginecologa -. È necessario, invece, andare a lavorare sulla coscienza collettiva e fare in modo che questa sia da supporto al mondo femminile e non da ostacolo alla libertà che ogni donna ha diritto di avere. La libertà, intendo, di scegliere cosa fare del suo corpo e della sua vita: ci sarà un motivo se nessuno può intervenire, al di fuori, della stessa interessata, nel caso di una scelta di aborto. Nemmeno i genitori, neanche in casi di minore. Una gravidanza interessa solo ed esclusivamente la donna in questione, non può essere soggetta a giudizi e decisioni esterne di nessun tipo».Negli ultimi quindici anni, si è sviluppata nelle donne una maggiore capacità di affrontare que-sta scelta con fermezza e senza vergogna: «Sì, tante donne si rivolgono a me già certe sul cosa fare. Io, per morale e per dovere, cerco sempre di riflettere con loro per capire se effettivamen-te siano sicure di quanto stiano per fare. Non cerco di convincerle né ad abortire né a porta-re avanti la gravidanza: semplicemente le fac-cio ragionare affinché, parlando, si confrontino semplicemente con se stesse e siano sicure al

Sebbene in numerosi Paesi la pratica dell’aborto sia stata legalizzata, in alcuni essa resta illegale.L’Italia è uno dei Paesi in cui l’aborto è ammesso. Tuttavia il dibattito sul tema continua ad essere estremamente acceso. Solo pochi giorni fa’ è stata infatti orga-nizzata una marcia contro l’interruzione volontaria della gravidanza nella capita-le alla quale moltissime persone hanno preso parte. Vediamo in sintesi cosa dice la legge ita-liana attualmente vigente al riguardo.Innanzitutto la legge italiana che auto-rizza tale pratica è la legge n. 194 del 22 maggio del 1978 che pochi giorni fa’ ha compiuto i suoi primi quarant’anni di vita. Secondo tale fonte è infatti possibile interrompere la gravidanza presso strut-ture pubbliche entro i primi 90 giorni di gestazione. L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere invece praticata solo quando la gravidanza o il parto compor-tino un grave pericolo per la vita della

cento per cento sul da farsi. Una paziente, anni fa – racconta la ginecologa – cambiò idea: ven-ne nel mio studio con la volontà di abortire, poi iniziò spontaneamente a parlarmi delle sue paure e capì da sola che non voleva abortire ma solamente essere rassicurata sui suoi timori. Il giorno dopo mi avvisò del suo cambio di idea. Mi capitò, però, anche un caso contrario: si presentò, per la prima volta, una ragazza mol-to giovane, 17 anni, incinta. Venne insieme ai suoi genitori. Volevano che io iniziassi a seguire la sua gravidanza ma capii subito che la ragaz-za era contraria: non a me, ma alla gravidanza stessa. Qualche giorno dopo la contattai con la scusa di sapere come procedeva la gravidanza, benché fosse una domanda stupida vista la pre-maturità della gestazione. Fu in quel momento, aiutata dal filtro del telefono, che mi confessò di non volerla portare avanti. Abbiamo affrontato insieme la sua famiglia e la ragazza ha scelto di abortire, nonostante i genitori fossero contra-ri. Chi fa un lavoro come il mio – aggiunge la ginecologa – deve essere preparato a capire le persone oltre la facciata e oltre la sicurezza che mostrano ma che spesso non hanno. Non biso-gna convincere nessuno, ripeto, ed è importan-te sottolinearlo: sostengo, però, che non si pos-sa giudicare né una né l’altra scelta. A volte ci si ritrova a giudicare anche una gravidanza, non solo un aborto, magari se si tratta di una perso-na molto giovane o con anni superiori a quelli accettati dalle convenzioni sociali. Convenzio-ni che, al contrario, portano ad aborti in realtà non voluti ma solo dettati dal timore del pre-

donna o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Diversamente rispetto a quanto accade nel nostro Paese, in alcuni Stati ove tale intervento è illegale si sta invece cercan-do, attraverso strumenti di natura ete-rogenea, di rendere l’aborto praticabile. Tra questi vi è l’Irlanda in cui l’aborto è considerato oggi illegale, salvo quando la donna sia in pericolo di vita. Tuttavia le cose potrebbero presto cambiare in quanto proprio nella giornata di doma-ni vi sarà un referendum per decidere se abrogare o meno un emendamento della Costituzione irlandese introdotto a se-guito di un precedente referendum del 1983 che pone sullo stesso piano il diritto alla vita della madre e il diritto alla vita del nascituro. Ancora una volta la legge deve dunque fare i conti con i continui e differenti mu-tamenti sociali in atto.

giudizio. C’è, insomma, tendenza a giudicare: è in questo senso che andrebbe costruita una co-scienza collettiva tale da far sentire le donne li-bere di poter decidere della propria esistenza».

Le motivazioni per cui una donna decide di abortire sono diverse. La maggior parte deriva-no dal non volere avere figli; altre motivazioni sono dovute all’età, al fatto di non essere in una relazione, alle condizioni economico-lavorative e più generalmente a motivi di natura religio-sa e sociale specialmente se le interessate sono straniere.«Ad accomuare tutte le donne c’è la volontà di nascondere la scelta, anche nei casi in cui l’in-teressata è ferma sulla sua decisione. Sottoline-iamo, certo, che si tratta di qualcosa di molto intimo e personale e che quindi nessuno chiede di raccontare in giro i lati privati della propria vita: il punto, però, è che una donna tende a negare di aver abortito pur avendolo fatto non come diritto alla propria privacy ma come do-vere. Perché pur essendo sicura di non aver fat-to nulla di male, ha paura del giudizio altrui. “Io non ho mai abortito” è una bugia che sentiamo più spesso di quanto crediamo. C’è una frase che descrive bene cosa sia l’aborto – conclude Maria Grazia L. -: “L’inferno dell’aborto… sono gli altri”».

di Sabrina Falanga

di Giulia Candelone

“Io non ho mai abortito”: una bugia che fa da scudo

Aborto: tutti i passi della legislatura italiana

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Attualità

Com’è difficile passare dalla cronaca a ciò che sta celato dietro la cronaca. Sot-to, forse. Sotto la coltre spessa del pre-giudizio e del giudizio affrettato. Della finta consapevolezza che “no, a me non potrebbe accadere mai”.

Un uomo lancia la figlia, di soli dieci anni, dal ponte dell’autostrada dal quale, poco dopo, si butterà anche lui. Una dinamica di cui non è la prima volta che si sente rac-contare. Una dinamica comune in quei genitori, o semplicemente in quelle per-sone, che soffrono di depressione e che oltre a voler salvare se stessi, attraverso il suicidio, vogliono salvare anche i figli o coloro che amano. «Salvare, sì. Perché la morte, in certi casi, sembra essere l’unica via di fuga da una vita troppo pesante da riuscire ancora a trasportare sulle spalle, come uno zaino ormai divenuto insoste-nibile. Che ti tira giù, fino a catapultarti a terra, schiacciandoti finché, a terra, non ci rimani perché senza forse per risalire. O, forse, senza più la voglia».

Mario R., psicologo e psicoterapeuta, spiega così la scelta di un individuo affet-to dal più grande male di vivere del no-stro secolo: la depressione,

«Non si può pretendere che la socie-tà abbia una coscienza collettiva tale da comprendere questa patologia. Sempli-cemente perché è comprensibile solo a chi l’ha vissuta o la vive. Fondamental-mente nemmeno noi professionisti pos-siamo capire davvero cosa provi un de-presso, a meno che non siamo stati noi le prime vittime della malattia. A noi figure capaci di lavorare con la psiche umana sono stati semplicemente dati gli stru-menti per aiutare l’individuo a capire se stesso e fornire lui degli stessi strumenti

per guarire. È quindi utopistico pensare a una collettività capace di comprendere e non giudicare gesti di questo tipo, te-nendo anche conto del fatto che le perso-ne cercano di proteggersi allontanando-si moralmente da determinate cose, per evitare di pensare che potrebbero acca-dere anche a loro».

L’uomo, protagonista della vicenda di cronaca sopracitata, si è prodigato a chie-dere “perdono a tutti” per gli atti com-messi prima di suicidarsi: «Non è così strano. Nonostante la fermezza con cui si compiono determinati gesti estremi, ri-mane la consapevolezza di star facendo qualcosa di incomprensibile e giudicabi-le dall’altro. Non per altro è difficile con-vincere un depresso a parlare di come sta: giustificherà la sua difficoltà a rac-contarsi dicendo che non sarebbe capito e che sarebbe giudicato negativamente. Da qui la necessità di chiedere perdono, quasi una richiesta di non essere, appun-to, condannato dal giudizio universale della società».

Non è la prima volta che giornali e te-levisioni ci informano su fatti di questo tipo: questo porta a pensare che sia di-ventato un problema collettivo e non più

solo dell’individuo. «La stessa possibile “soluzione”, capace magari di salvare an-che una sola persona, è da ricercarsi nel-la comunicazione. Sarebbe utile stimola-re la micro e la macrosocietà a cambiare sguardo verso le malattie psicologiche e psichiatriche, dalla depressione all’ano-ressia, dalla ludopatia alla tossicodipen-denza. Resto fermo su quanto detto, che nessuno capirà mai cosa siano queste fragilità finché non le prova: dico, però, che andrebbe fatta una comunicazione più invasiva e più ripetuta, affinché l’e-sistenza di queste malattie sia accettata e considerata. Finché, invece, non se ne parlerà come si parla del cancro, verran-no giudicate negativamente e le persone affette da tali patologie verranno, di con-seguenza, tenute ai margini perché con-siderate “matte”. In questo modo non ci sarà mai la possibilità di salvare quante più persone possibili perché queste sa-ranno sempre in difficoltà a chiedere aiu-to e, soprattutto, saranno le prime a giu-dicare se stesse come estranee al mondo in cui vivono».

di Sabrina Falanga

Depressione: comunicare per salvare

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Attualità

Stricioline di pollo con mandorle e uvetta

Ingredienti per due persone:300gr di petto di pollo

15 mandorle sgusciate e pelate

40gr di uvetta passa

4 cucchiai da minestra di salsa di soia

Un cucchiaino da the di curcuma

Un cucchiaio di olio Evo

Farina, sale e pepe qb

Rubrica

Aldo Moro: 40 anni dopo per non dimenticare«La verità è sempre illuminante».

Una frase pronunciata da Aldo Moro – politico ucciso il 9 maggio del ‘79 per mano delle Brigate Rosse - e riportata da Filippo Campisi, avvocato, una frase con cui si è aperto il convegno dedicato proprio alla figura di Moro e che si è te-nuto a Vercelli venerdì 18 maggio, al Se-minario. A moderare l’incontro è stata Michela Trada, giornalista, che ha saputo fluire tra un esperto e l’altro creando un filo conduttore tra gli argomenti, tale da lasciare sazio di informazioni il pubblico presente.«La storia contemporanea viene studia-ta poco nelle scuole, non in maniera ap-profondita. Inoltre, i ragazzi hanno bene idea di chi siano i carnefici della storia ma non conoscono le vittime e le loro storie, le loro testimonianze, che andrebbero portate all’interno degli istituti scolastici perché anche quella sarebbe un’ora di le-zione e forse molto più efficace – ha det-to Gianni Oliva, autore del libro “Il Caso Moro”, sul quale si è basato il convegno -. Quello che più mi ha lasciato stupito nella reazione dei giovani è stata la loro incredulità di fronte all’intera Italia che si fermò quando Moro fu rapito: non rie-scono a capire come mai un politico pos-sa essere così importante al punto da fer-mare un intero Paese. Quella concezione di politico non esiste più nelle loro menti:

dopo Moro si è perso il significato morale della politica».Un concetto, quest’ultimo, ripreso anche da Guido Bodrato, ex Ministro: «Forse dopo moro c’è stata proprio la fine del-la politica. Quello che mi dispiace con-statare è che la tragedia è diventata una “fiction televisiva” e i giovani rischiano di conoscere la storia solo attraverso le ri-produzioni cinematografiche basate su fatti realmente accaduti, sì, ma che in televisione vengono ovviamente roman-zati. E che inevitabilmente influenzano la consapevolezza dei giovani. Per assur-do questo atteggiamento porta alla con-solidazione dell’idolo nel personaggio negativo, quasi avesse più appeal. Non nell’eroe reale in quanto tale. Ma non è colpa del giovani – conclude Bodrato -: la verità, mi ripeto, è che con Moro è fini-ta la politica in questo Paese, in cui non c’è più la capacità di dare al cittadino una prospettiva».A proposito di studenti, al convegno tra i relatori era presente anche Tiziano Tor-resi, uno dei massimi studiosi ed esperti della figura di Aldo Moro e che alla do-manda di Trada sul “perché studiare Aldo Moro?” ha risposto che «studiarlo signifi-ca liberarlo e liberare la sua memoria. Su quei 55 giorni in cui tennero rapito Aldo Moro esiste un’infinità di libri: non ce ne sono altrettanti sul periodo trascorso precedentemente. Ma soprattutto, intor-

no alla figura di Moro ruotano tanti luo-ghi comuni, che rischiano di far perdere la vera storia, per tutto il resto che è sta-ta. Si ricorda la faccia di Moro solo nella foto con la bandiera delle Brigate Rosse; di Moro si ricordano modi di dire come “convergenze politiche” e “compromesso storico”. Di lui si parla per scatole chiuse. Ma Moro, oltre a non nominare nemme-no certi concetti, fu molto altro: studia-re la sua persona, ciò che è stato per il suo presente e per il nostro, nonché per il futuro, significa liberarlo dai pregiudizi, dagli stereotipi. E ridargli finalmente il peso sociale e morale che ha avuto e che tuttora ha».

di Sabrina Falanga

di Chiara Bellardone

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Tagliamo a striscioline sot-tili il petto di pollo (fig.1-2). Tritiamo grossolanamente le mandorle (fig.3), e con un cucchiaio di olio faccia-mole saltare in una padella antiaderente insieme all’u-vetta (fig.4). Infariniamo il pollo (fig.5) e uniamolo agli altri ingredienti in pa-della aggiungendo un cuc-chiaino di curcuma (fig.6). Quando la carne sarà dora-ta (fig.7), sfumiamo con la salsa di soia (fig.8),e cuo-ciamo aggiungendo mezzo bicchiere di acqua finché il tutto non si sarà addensato (fig.9). Aggiustiamo di sale e pepe. Impiattiamo e ser-viamo (fig.10)

Rubrica

Parlo con una persona che ha vissuto a Trie-ste prima di tornare ad abitare a Roma. Dun-que, prima il Nord e poi il Centro, ma non come ‘nordista’ di nascita. Insomma, possia-mo dire che non è di parte. Lei mi racconta che, dal suo punto di vista, in Alta Italia si tiene di più a quello che si fa e a come si fa. Si valorizza maggiormente quello che si mostra al pubblico, ai turisti, ma anche ai residenti stessi. Lei ha Roma come grande esempio: praticamente un museo a cielo aperto, dove però gli sfregi sono troppi. A saperla tenere, la Città Eterna sarebbe un gioiello.Invece, la mia interlocutrice fa i paragoni. Non tanto con Trieste (“Città piccola, dove però c’è tutto, tranne il traffico. A Roma, in-vece, passi ore in auto per fare pochi passi”), ma con Milano e con Torino, le due gran-di città del Nordovest. Dice: “Non è un’idea mia, ma un dato di fatto. A Milano sono progrediti, hanno progettato e completato le opere. A Roma, si parla e poi non si fa nulla”. Cita, a questo proposito, quello che secon-do lei è stato un enorme errore: rinunciare a organizzare le Olimpiadi. “Con quei soldi, avremmo rimesso a nuovo la città”.Insomma, lei è negativa su tutta la linea per quel che riguarda il Centro. Rimpiange la precisione quasi svizzera che si respira in Settentrione. Il lavoro. La voglia di fare e di

migliorarsi costantemente. “Certo, è stato un duro colpo per Milano perdere la gara per l’Agenzia del farmaco. Sarebbe stato un punto di riferimento per tanti italiani che, invece, così devono andare all’estero a lavo-rare”. Insomma, anche al Nord si perdono dei colpi ma, pare di capire, si è comunque avanti anni luce rispetto al Centro. Per non parlare del Sud.Forse, dunque, bisognerebbe fare una rifles-sione su un’Italia che non è più a due velo-cità, ma probabilmente a tre. Non c’è solo l’annoso problema Mezzogiorno, ma pure quello centrale. I dati economici conferma-no che, per esempio, l’Umbria sia per tan-ti parametri ai livelli delle regioni del Sud, dopo essere stata a lungo l’ultimo vagone del Centro Nord. Il prossimo Governo do-vrà cominciare a intervenire, certo, ma sono in particolare le amministrazioni locali che possono e devono fare qualcosa per avvici-nare le realtà diverse del nostro Paese.Il riferimento costante è a Roma, culla mil-lenaria di un impero ormai decaduto. Una di quelle città dove si può mangiare un buo-nissimo bombolone, ma dove le ciambelle, purtroppo, riescono troppo spesso con il buco (anzi, con le buche).

Benvenuti al CentroBomboloni e ciambelle con (le) buche

di Alessandro Pignatelli

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Rubrica

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«Sono Francesca Cuzzetto, studentessa universitaria: e ho una storia, anche io, come tanti, da raccontare. Anzi, come tutti, del resto». Francesca non si sente speciale, benché lo sia, e questa frase con cui si pre-senta descrive bene il modo in cui si sente: perché se è vero che di una persona vedia-mo brillare la luce da lontano, è quasi im-possibile che quella persona riconosca in sé quella luce. Anzi, le persone che splendono di più sono quelle che, in genere, temono di essere spente. «Mi fa sorridere provare a raccontare la mia storia in una rubrica che si chiama proprio “Mai contro cuore”, perché io ho sempre detto di non avercelo neppure un cuore. Ho vissuto fin da picco-la guidata dalla testa: “questo si fa” “que-sto no”. Non si tratta di buona educazione o di rispetto delle regole, è qualcosa che va oltre, di profondamente radicato in me che io chiamo “Super Io dittatore”. Perché scri-vo allora? Con questa lettera sto cercando di dire un piccolo “Si” alla vita e alle sue incredibili possibilità e questo per me è un grande traguardo».

È una lotta con se stessa, quella di France-sca. Quella che rappresenta un po’ la lot-ta interna che vive in ognuno di noi, ogni volta che ci sentiamo sul ring e osserviamo chi vincerà lo scontro. Il cuore o la testa? La razionalità o l’impulso? Non ha nulla a che vedere il mondo circostante, come giu-stamente sottolineato da Francesca. È tut-to interno a noi.

«Eccomi qui allora, a parlare della mia vita, una vita... in fame. Sono in carrozzi-na da sempre e questo per me è sempli-cemente il mio modo di vivere, oggi come oggi non sarà certo una disabilità motoria a chiuderci in casa. Posso dire che non mi manca nulla, che vivo intensamente, ho fatto le classiche leggerezze che fanno gli adolescenti, ho imparato a selezionare le persone che meritano di starmi accanto, ho imparato a dire “no” , quando qualcosa o qualcuno non mi va, ma al momento di dire “Si”, quei si veri, forti sentiti, che cam-biano, la vita io… corro, si corro veloce più forte di Usain Bolt. Dove vado? È qui che arriva il bello».

La risposta al “Dove vado?” di Francesca, dopo averla immaginata libera e spensie-rata nella crescita da bambina ad adole-scente, è un pugno diretto nello stomaco. Di quelli che fanno male ancora prima di riceverli, solo a immaginarli. «Vado dove nessuno mi può raggiungere – dice Fran-cesca -, dove neppure io stessa mi ritrovo: sparisco nella mia anoressia».

Francesca soffre di anoressia dall’età di 14 anni e oggi ne ha 24: «Nessuno voleva cre-derci all’inizio, io per prima ovviamente, perché per me le ragazze anoressiche era-no fissate, viziate e stupide. “Nessuno but-terebbe la propria vita così” pensavo. Io,

poi, che ho dovuto sudarmela appena nata questa vita perché nessuno credeva che sa-rei sopravvissuta: un affarino di 5 mesi e mezzo e di 9 etti, con i polmoni così piccoli e continue crisi d’asma che mi costringeva-no a correre in ospedale.

Ripensando alla mia infanzia, mi viene in mente il mio difficile rapporto con il cibo, dovuto alla gastrostomia, con cui sono sta-ta alimentata artificialmente fino all’età di 5 anni: “portatrice a vita”, mi avevano detto, ma per fortuna la caparbietà di mia madre e la mia resistenza, mi hanno per-messo negli anni di mangiare da sola. Ho sempre usato il cibo come un ricatto da al-lora, ricordo quando mi spalmavo il cibo addosso e dicevo “No”, a qualsiasi cosa mi venisse proposta. Ricordo il pessimo rap-porto tra i miei genitori e mio padre, che non sapendo usare le parole agiva, diciamo così “diversamente”. Ricordo i miei tenta-tivi vani di mettere la pace, di fermarlo, i miei “No” di bambina che non fermano il mondo, ma io questo non lo sapevo, mi hanno sempre detto che ero una bambina forte e avrei potuto superare ogni ostacolo. Eppure bisogna insegnarglielo ai bambini che siamo umani, che se qualcosa non va come avremmo desiderato è perché ci sono cose che non possiamo controllare, ma che si va avanti comunque, senza arrendersi. Dopo alcuni brutti episodi accaduti alla scuola materna, alle scuole elementari ho vissuto anni bellissimi circondata dai miei compagni, che erano li, anche se io tende-vo un po’ ad isolarmi e a mettere alla prova tutti quelli che avevo intorno. Con loro ho vissuto uno dei periodi più belli della mia vita: che si trattasse di giocare a nascon-dino o arrampicarsi da qualche parte, mi portavano ovunque. Avevano imparato a ridere di me insieme a me e da lì ho inizia-to a sviluppare l’autoironia per cui mi so distinguermi».

Passano gli anni e per Francesca le cose sembravano andare meglio: «Per certi ver-si si può dire che stavamo finalmente bene, i miei genitori si erano finalmente separa-ti e… io non ho più avuto crisi d’asma. Si-curamente è un caso ma certe situazioni ti tolgono il respiro e, non c’è niente di bello in questo. Mia mamma si è rifatta una vita con un uomo che è un papà di cuore, ma non era ancora arrivato il lieto fine, sempli-cemente perché una fine non c’è. All’età di 14 anni, come ho accennato prima, mi sono ammalata di anoressia: è una malattia ba-starda – dice Francesca – perché ti fa ap-parire tutto bello, ti fa sentire senza limiti, nonostante te ne imponga un’infinità. Ap-parentemente senza motivo nell’estate del 2008 ho iniziato a non mangiare. Non sa-pevo fosse una scelta cosciente la mia, non me ne rendevo conto perché faceva caldo e avevo poca fame. Ma anche quando avevo fame, il mio era un “no, grazie”. Sono sem-pre stata piuttosto magra, motivo per cui

a gennaio del 2009, rifiutando completa-mente l’alimentazione e toccando i 20 kg per un metro e mezzo di altezza scarso, ho reso necessario il ricovero in neuropsichia-tria infantile. Lamentavo mancanze che di fatto non sentivo, non mi importava nien-te. Sapevo solo che la strada era quella, ma non mi era chiaro dove mi stesse condu-cendo. L’eventualità di morire non la pre-si mai davvero in considerazione. Freddo, sentivo solo tanto, tantissimo freddo».

Delle persone determinate, viene fuori il carattere anche quando sfiora l’autolesio-nismo: «Non mi fermai neppure quando in un altro ospedale un anno dopo, vidi quel-le che dovevano essere le mie compagne di malattia. Non mi rispecchiavo in loro. Ricordo che al momento della mia prima

visita dissi alla dottoressa di muoversi, che io stavo bene, ma che li fuori, mentre loro perdevano tempo con me, c’era un gruppo di donne da aiutare, stavano morendo. Mi chiese “Lei lo sa che può morire?” Non ero pronta a rispondere a questa domanda e poi perché mi dava del lei? Non ero adulta e poi ero io a dover mettere le distanze, i confini. Ancora oggi sono io a doverlo fare, prima che lo facciano gli altri.

Mi ripresi a piccoli passi, e non perché avessi toccato il fondo o perché leggessi la paura negli occhi di chi mi circondava, ci fu un momento preciso e fu quando Federi-co, il mio fratellino di 5 anni mi disse “non mangi mai, perché vuoi andare in cielo? Non mi vuoi bene”. Fu uno shock, un do-lore terribile, ma era la corda giusta. Mi ha salvato la vita – conclude Francesca – e lo fa ogni volta che ci ricado. Lo fa ogni volta che mi sembrano mancare le ragioni. Che poi, ragioniamoci… l’amore, infondo, non è che una cosa semplice». Ed è, probabil-mente, l’unica cosa che ci salva. Da cosa? Anche dalla morte.

di Sabrina Falanga

Mai contro cuoreLa storia di Francesca: “Pensavo di non avere un cuore”

a cura di Sabrina Falanga

scrivete a [email protected]

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RubricaMusic Pills a cura di Olivia Balzar

Vi ricordate Alta Fedeltà di Nick Hornby? Il protagonista aveva la fissazione di fare clas-sifiche di tutto, dai dischi alle canzoni.. alle ragazze! Come ogni appassionata di musica che si ri-spetti ci ho provato anche io e ho deciso di consigliarvi i miei 5 dischi della vita. Vi sem-breranno settoriali, estremi o magari vi incu-riosiranno. Ricordo quando si era ragazzini e ci si passava le cassette. Era così che si sco-privano grandi amori musicali. Immaginate questa scena al parco, con le cassette scritte a mano e tanta curiosità.

1. Guns ‘n’ Roses - Appetite for DestructionTrovo che sia il disco definitivo, sotto molti aspetti. Ad esempio, lo ascolto dall’inizio alla

fine senza saltare nessuna canzone. Consi-gliato a tutti, ma proprio a Tutti quanti.

2. Aerosmith - Permanent Vacation E’ un disco universale, con pezzi adatti a tut-ti i palati. Vi ricordate il video di Crazy con Alicia Silerstone e Liv Tyler? Ecco, in questo disco l’hard rock incontra la Hollywood a ca-vallo tra gli anni ‘80 e ‘90 è lo fa come sono una superband può fare.

3. Hole - Live though thisVoce femminile graffiante, testi visionari, a tratti oscuri a tratti pop. È il disco della cre-scita della band di Courtney Love, dove quasi ogni canzone è perfetta, un piccolo capolavo-ro targato 90s, prima del boom di Celebrity Skin che ha consacrato la band a livello inter-nazionale.

4. Him - Razorblade Romance dopo anni di carriera, dischi e tour interna-zionali gli Ho Si sono sciolti concludendo il loro tour d’addio al Tavastia di Helsinki, dove tutto è incominciato. È questo il momento di riscoprire un disco che ha segnato l’ado-lescenza e la vita di molti, che ha avvicinato molte persone alla cultura finlandese, affasci-nati dalla bellezza ambigua del cantante Vil-le Vale e dalla musica romantica ed evocati-va. Quando è uscito suonava come qualcosa di diverso, ora è un disco da riascoltare con piacere oppure un piccolo tesoro da scoprire. Per animi romantici e poeti maledetti.

di Olivia Balzar

I cinque dischi che mi hanno cambiato la vita

scrivete a [email protected]

5. New York Dolls - New York Dolls questo di-sco ė l’Alfa e l’Omega di tutto, ha in sé la fu-ria del punk e i coretti catchy del glam degli ani ‘70. Un disco ruvido, seminale, sensuale e assolutamente da ascoltare, per scoprire che questa band ha influenzato la maggior parte dei dischi che ascoltiamo ora. Adesso tocca a voi. Qual è il vostro disco della vita?

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Rubrica

Secondo appuntamento con la “giorna-ta alimentare ideale”; dopo aver parlato, con l’articolo precedente, di come do-vrebbe essere consumata una colazione per dirsi sana, scopriamo ora quali devo-no essere le caratteristiche di un pranzo completo ed equilibrato.«È importante, però, fare prima una premessa: non bisogna mai arrivare al pranzo con lo stomaco completamente “vuoto” - spiega il nutrizionista Massi-miliano Ciarmatori –, altrimenti si ri-schia di mangiare troppo e voracemen-te, compromettendo linea e digestione. È meglio spezzare la mattinata con uno spuntino che moderi la fame: il pran-zo deve essere completo, certo, ma non troppo pesante per evitare sonnolenza nel pomeriggio, specialmente se dobbia-mo tornare al lavoro».Completo, quindi, ma equilibrato: «In-nanzitutto con completo si intende che deve contenere tutti i macronutrienti: carboidrati, proteine e grassi. Un pranzo ideale, quindi, sarebbe un piatto di pasta o riso integrale condito con olio extra-vergine di oliva e della verdura al vapore accompagnata da carne bianca o pesce. Molte persone sono solite concludere il pasto con la frutta o con uno yogurt: non che sia sbagliato, ma rende più difficile la digestione e tende a creare gonfiore. Sono alimenti, questi ultimi, da preferi-re negli spuntini».Nella vita frenetica di tutti i giorni, però, può non essere possibile consumare

piatti completi e bisogna trovare una so-luzione alternativa, veloce e sana: «An-che un panino può rappresentare un buon pasto, se ben calibrato: un esempio può essere con prosciutto crudo, insala-ta, pomodori e olio extravergine di oliva; oppure con tonno, insalata e pomodori o un panino con verdure grigliate e ricotta. È importante fare attenzione anche alla scelta del pane: meglio integrale o ai ce-reali. È fondamentale, comunque, sen-tirsi sazi – conclude Ciarmatori -: vale lo stesso discorso degli spuntini. Mangiare troppo poco a pranzo significa rischiare di abbuffarsi a cena».Insieme a ciò che sarebbe meglio sce-gliere per un buon pranzo, c’è anche ciò che sarebbe meglio evitare: «Cibi trop-po conditi o troppo salati. L’eccesso di carboidrati e/o di dolci a fine pasto, per l’effetto postprandiale. Le bevande zuc-cherate e gli alcolici».Non solo cibo, però. Perché durante un pranzo, per dirsi salutare, bisogna fare attenzione anche «al modo in cui lo con-sumiamo. È bene cercare sempre un mo-mento in cui si è tranquilli, seduti, in un luogo in cui possiamo rilassarci il tempo necessario, altrimenti ci ritroviamo sia a non gustarci il pasto sia a mangiare velo-cemente e questo alimenta disturbi fisici con i quali ci troviamo poi a convivere tutto il giorno».

di Sabrina Falanga

Salute & BenessereA casa o al lavoro: come pranzare

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Rubrica

Ogni quanto farlo e come farlo: se si pos-siede un cane, è certo che ci si è fatti que-ste domande relativamente al suo lavaggio. Ci sono diverse metodologie che si possono attuare per una buona toilettatura canina, affinché l’animale resti pulito anche tra un lavaggio e l’altro (fatto in casa o da un pro-fessionista).La prima cosa da sapere è che il cane non va lavato troppo spesso ma almeno una vol-ta al mese per evitare dermatiti o infezioni cutanee; lavarlo troppo spesso potrebbe esporre la pelle del nostro amico peloso a rischi, perché sulla sua cute è presente uno strato protettivo che il sapone andrebbe a intaccare. Le tempistiche, comunque, di-pendono anche dalla razza e dalla situazio-ne in cui il quattro zampe vive. Quello che andrebbe fatto quotidianamente è spazzo-larlo in modo da tenerlo ordinato ed elimi-nare le cellule morte sotto il suo pelo, sulla cute.Prima di bagnarlo, è utile spazzolarlo bene. Poi è importante far abituare il cane gra-dualmente all’acqua, in particolar modo se si tratta di un cucciolo e della sua prima volta. Durante il bagno, è bene fare atten-zione alle orecchie e agli occhi, punti molto delicati per lui; dopo, invece, lo si può pre-miare con qualcosa che lui identifica come

gratificazione, specialmente se il cane si è dimostrato spaventato.Per quanto riguarda, invece, il prodotto da utilizzare è sufficiente uno shampoo pensa-to esclusivamente per cani: il proprio vete-rinario saprà sicuramente consigliare qua-le scegliere, in base alla razza del cane. Per mantenere morbido il pelo si può ricorrere all’utilizzo di oli o balsami vegetali. Un al-tro prodotto che troviamo in vendita, infi-ne, è lo shampoo a secco, ideale per i cani che non amano l’acqua o per l’utilizzo in viaggio.Un consiglio in più: l’aceto di mele è un an-tibatterico naturale, quindi può essere un buon modo per pulire il tuo cane senza l’u-so di shampoo e acqua oppure può essere utilizzato dopo il bagno. L’aceto di mele ri-sulta essere un’alternativa allo shampoo, che permette una pulizia in maniera total-mente naturale e non tossica. Se, invece, lo si vuole usare dopo il bagno, questo aiuterà a rendere il pelo dell’animale molto morbi-do e vaporoso, oltre a essere un buon deo-dorante. Non solo: è possibile utilizzare l’a-ceto anche per la pulizia delle orecchie del cane, con un batuffolo di cotone o un pan-no pulito bagnato nel liquido e con il quale strofinare molto delicatamente le orecchie dell’animale.

E ancora: l’aceto di mele aiuta anche a tene-re lontane le zecche. È sufficiente prepara-re una soluzione al 50 per cento di acqua e al 50 di aceto e utilizzarla sul pelo del cane una volta a settimana.Se, invece, il cane è stato attaccato dalle pulci, è utile una soluzione al 50 per cento di acqua e 50 di aceto, di due litri ciascun liquido, con il quale strofinare il cane e la-sciare agire per dieci minuti circa facendo

Qua la zampaLavare il cane: consigli pratici

di Sabrina Falanga

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Roberto Mancini ha firmato il contratto che lo legherà alla Nazionale azzurra fino alla fine dei prossimi Europei. Finalmente la Nazio-nale italiana ha il vero successore di Ventura, cha ha sulla coscienza l’onta irremovibile del-la non qualificazione ai Mondiali di prossimo inizio in Russia. Il matrimonio tra Roberto Mancini e la Nazionale azzurra è finalmente realtà, con l’’ex allenatore dello Zenit che ha sottoscritto un patto fino al 2020. La svolta è giunta la scorsa settimana, quando Mancini ha concluso il campionato di Russia e ha salu-tato società e tifosi, trovando l’accordo per la rescissione del contratto. Il suo ingaggio sarà di 2 milioni all’anno, insomma l’Italia calcisti-ca, cambia pagina, dopo l’interregno di Gigi Di Biagio, il quale aveva assunto il ruolo di “tra-ghettatore”, provando a gettare nuove basi per il corso della Nazionale. Le parole del com-missario della Figc, Roberto Fabbricini, sono più esplicative di tante parafrasi: “Roberto è il nuovo Ct dell’Italia, è fatta. C’è soddisfazione, anche da parte di Mancini: il suo entusiasmo è stato determinante nella scelta”. E anche le prime parole del nuovo Ct sono state ottimi-ste e ricche di tanta voglia di riscatto: ““Come vorrei che venisse chiamata la mia Nazionale? L’Italia della rinascita, La storia siamo noi. Di solito da una grande delusione possono na-scere grandi trionfi. Sono molto fiducioso sul futuro della Nazionale: sarà un buon futuro, i giocatori sapranno tirare fuori l’orgoglio e ri-cominciare a sognare di tornare in vetta. Sono positivo, di giocatori bravi ne abbiamo anche se forse un po’ meno rispetto al passato. L’im-portante è dar loro fiducia: la Nazionale saprà trovare la strada giusta”. Negli ultimi mesi si erano rincorse tantissime ipotesi sulle figure “ più interessanti” per la Nazionale. Come pro-

messo, il termine del 20 maggio posto dal vice commissario della Figc Alessandro Costacur-ta per la scelta dell’allenatore dell’Italia è stata rispettato. Mancini, insieme a Carlo Ancelot-ti, che ha poi declinato l’offerta, era tra i nomi più caldi per la panchina. Mancini, da giocato-re, ha avuto un rapporto di amore-odio con la Nazionale, anche se da allenatore, l’obiettivo di diventare allenatore azzurro, era da tempo nei suoi pensieri. L’arrivo del nuovo allenato-re spiana la porta della Nazionale a tanti nuovi innesti e a qualche vecchia conoscenza, Mario Balotelli, infatti, è stato nuovamente convoca-to in azzurro dopo un’assenza di quattro anni. L’attuale attaccante italiano del Nizza è da sempre un pupillo del nuovo cittì, che lo ha avuto alle dipendenze, prima all’Inter, poi in Inghilterra al Manchester City, dove qualche contrasto è nato. Già fissati i primi appunta-menti del nuovo corso manciniano: il 22 mag-gio si terrà il primo ritrovo a Coverciano, per preparare le prossime tre amichevoli, il 28 maggio è in programma Italia-Arabia Saudita a San Gallo, il primo giugno Francia-Italia a Nizza e il 4 giugno Italia-Olanda a Torino. Il nuovo Commissario tecnico azzurro ha accet-tato un taglio dello stipendio: con il club russo aveva firmato la scorsa estate un contratto di tre anni con l’opzione per altre due con ingag-gio superiore ai cinque milioni di euro netti a stagione. Ora, in Nazionale, ne riceverà 2 net-ti. Mancini percepirà un ingaggio comunque alto per un CT della Nazionale, più di Prandel-li, Lippi e Ventura. Una cifra inferiore soltanto a quella di Antonio Conte. Quando venne uffi-cializzato il tecnico pugliese nel 2014, Tavec-chio, fresco presidente al primo mandato, pur di assicurarsi il più grande allenatore in grado di far crescere la squadra azzurra, chiese un

sostanzioso aiuto allo sponsor Puma, che gli versava circa il 50% della cifra pattuita, arri-vando a percepire uno stipendio su una cifra prevista si 4,5 milioni netti, escluso lo staff, pagato a parte. Insomma, la Nazionale ripar-te da un nuovo, veemente inizio targato Ro-berto Mancini da Jesi, serve cancellare subito la vergogna dell’esclusione ai Mondiali 2018, riconquistando gli italiani disamorati, causa i risultati indecorosi accumulati dal binomio Tavecchio-Ventura. Ora la palla passa al Man-cio, toccherà a lui risollevare sorte e morale di una Nazionale che ha necessità di risorgere dalle sue ceneri. Non si può più perdere tem-po.

Rubrica

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Il ruggito di Leonetti

Roberto Mancini nuovo Ct della Nazionale

La pazza Inter torna in Champions, il Crotone saluta la serie AE anche per quest’anno la Serie A saluta i ti-fosi e chiude i battenti per la pausa estiva, in-tervallo di una nuova, attesissima stagione. La squadra da battere, ancora una volta, sarà la Juventus che sabato ha festeggiato il settimo scudetto consecutivo ma ha lasciato i propri tifosi con il cuore a metà, da una parte l’apote-osi per il trionfo leggendario, dall’altra i pianti, i commiati calorosi e la passione per le certe partenze di un portiere leggendario come Buf-fon, come lui nessuno, e di Asamoah e Licht-steiner. Grande bagno di folla allo Stadium per i Campioni d’Italia, salutati poi sul bus scoper-to per il centro cittadino di Torino, da una folla oceanica, segno che la conquista di questo tri-colore era sentitissima dal popolo bianconero. Buffon ha dato l’addio alla maglia bianconera per sempre, ma non è stata la sua ultima par-tita di calcio. Anzi, giocherà ancora, lontano da Torino e presumibilmente a Parigi, nel Psg per i prossimi due anni. La sua voglia di com-petizione sul prato verde ha prevalso, tanto da fargli prolungare la carriera, non dietro una scrivania, come dirigente, magari proprio del-la Juventus, ma come ultimo baluardo a prote-zione di tre legni e una rete. Dietro alle celebra-zioni sacrosante dello scudetto bianconero, si è completata la griglia delle rimanenti 3 squadre

che disputeranno la Champions il prossimo anno, se Napoli e Roma erano già sicure, Lazio e Inter si sono giocate le residue chance, all’in-terno di un match dai mille volti ed emozioni. Ha prevalso la squadra di Spalletti che dopo ben 8 anni torna nella massima competizione europea, mentre la Lazio deve accontentarsi, con somma delusione per il mancato colpo del kappaò ne rush finale di stagione, della parte-cipazione alla Europa League. Anche il Milan conquista un posto in questo torneo, mentre l’Atalanta partirà dai preliminari estivi per ten-tare di approdare nel tabellone principale che scocca a settembre. Anche la lotta salvezza ha avuto il suo epilogo, anche se, dopo la penulti-ma giornata, i giochi erano quasi del tutto fatti, ci sarebbero voluti capovolgimenti atomici per invertire la rotta. E allora il Crotone, sconfitto a Napoli per 2-1, ha dovuto salutare la massima serie, mentre Cagliari, Spal, Udinese e Chie-vo, tutte vincenti nei rispettivi ultimi impegni, si sono guadagnate la permanenza nel massi-mo campionato 2018-19. Il Crotone dopo due anni piomba nuovamente nella cadetteria, ac-compagnato dalle due retrocesse da tempo, Benevento e Verona, che hanno annusato l’a-ria del calcio maggiore per una sola stagione. Il prossimo anno il posto delle società scese in

B verrà preso da Empoli, Parma e da chi sarà più abile nello spianare il ginepraio dei playoff. Un’altra stagione esaltante, all’insegna dello scudetto della Juventus, ma anche del testa te-sta con il Napoli e di tante partite emozionan-ti, incerte e con un finale di stagione appas-sionante, anche se ogni anno che passa troppe polemiche e veleni trovano riscontro e cassa di risonanza. Termina così il primo torneo segnato dall’impiego della tecnologia del Var, esordio assoluto nel calcio italiano, e termina ancora con il trionfo bianconero degli uomini di Allegri. La compagine più forte, con la rosa più ampia e qualitativa, un attacco letale e di ampia rotazione, ma soprattutto con la dife-sa meno battuta negli ultimi sette campionati, che qualcosa vorrà pur significare. Nonostan-te polemiche violente, pretestuose, infondate e reiterate da parte di chi non ha vinto nulla, la Juventus ha alzato nuovamente il trofeo, sette scudetti di fila sono un traguardo mostruoso, impareggiabile: nello sport sarebbe il caso di rendere onore a chi dimostra superiorità. Al-meno una volta tanto.

di Franco Leonetti

di Franco Leonetti

Sport

a cura di Franco Leonetti

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Pro Vercelli e Novara in C, ride il Parma: Frosinone, che beffa!

La scienza al servizio dello sport: migliorarsi conoscendo le proprie capacità

Il campionato cadetto è terminato e, come ogni anno, è giunto il tempo dei bilanci. Un torneo lunghissimo, logorante, che ha re-galato ai tifosi tante emozioni e i verdetti finali, quelli inappellabili. Alcuni di giubilo e altri di dolore e delusioni cocenti, soprat-tutto per chi è retrocesso in serie C, non senza rimpianti e lacrime. Il calcio è così, sa regalare delle maestose favole, come quella del Parma. Fino a qualche giornata fa gli emiliani gialloblù erano vicini al ri-torno in Serie A, poi però un paio di scon-fitte avevano fatto scivolare i ducali al terzo posto e agevolato il sorpasso del Frosinone. I ragazzi emiliani di D’Aversa sapevano di avere un solo risultato per sognare il ribal-tone all’ultima giornata, la vittoria, e hanno chiuso la pratica-Spezia nel primo tempo, mentre si consumava lo psico-dramma del Frosinone, che aveva assoluto bisogno dei tre punti per la promozione diretta, non riuscendo ad andare oltre un pareggio ca-salingo con il Foggia di Stroppa. Morale, i crociati parmigiani salgono direttamente nella massima serie, in compagnia del già promosso Empoli, che ha vinto il campio-nato con netto anticipo, mentre i frusinati di Longo dovranno giocarsi, per il secon-do anno di fila, l’ambizione della serie A ai playoff. Un rischio grande per una compa-gine, come quella laziale, che ha avuto più match point per l’ascesa diretta. Il Parma ha realizzato qualcosa di storico, centran-

Per diventare atleti di un certo livello non basta il ta-lento naturale. Allenamento, nutrizione, coach e con-vinzione aiutano la crescita delle doti e sono più che fondamentali nella riuscita dello sportivo. Gian Ma-rio Migliaccio è il direttore scientifico di Sport Science Lab e Sport Scientist per atleti di alto profilo. Lavora a livello internazionale applicando i metodi “Evidence-Based” all’allenamento. Ha concluso e collaborato a oltre 100 studi scientifici pubblicati su Riviste e pre-sentati ai Congressi Internazionali su Sport Science & Medicine. Ha un Network personale di 85 ricercatori, è docente universitario e un ex nuotatore di livello na-zionale ed internazionale. La sua esperienza lo rende uno dei massimi esperti in tecniche di allenamento e cura dello sportivo in tutte le sue sfaccettature.Sport e scienza: cosa li lega?Li lega tutto. L’evidenza scientifica legata allo sport è alla base. Così come è successo per la medicina più di cento anni fa con l’applicazione dell’Evidence Based, basato sulle evidenze, con le evidenze scientifiche ap-plicate allo sport si hanno gli stessi risultati, in termi-ni di dose e risposta. Ovviamente bisogna applicare le evidenze scientifiche, altrimenti si rimane ancorati al secolo scorso, con l’opinione di qualche allenatore che oggi ha vinto e domani magari no. Quindi chia-ramente nel mondo le evidenze scientifiche applicate allo sport hanno dimostrato e dimostrano ogni volta gli effetti fisiologici sullo stress e quindi sui risultati.C’è un metodo scientifico per diventare un at-leta?Non c’è un metodo scientifico per farlo. C’è un meto-do scientifico da applicare per cercare di fare in modo che quelle potenzialità che provengono eventualmen-te dalla genetica dell’atleta, siano in minima parte la chiave per dire che quell’atleta è un talento o meno, poi possono essere valorizzate al massimo. Chiara-mente metodo scientifico non vuol dire aver vinto una volta con un atleta e rifacendo la stessa tabella si vin-ce di nuovo. Quello non è un metodo scientifico, non è nulla, è solamente aver giocato così una schedina. Aver vinto, ma non capendo il metodo della vittoria. Per la probabilità è andata bene dopo di che lo rifarai altre cento volte e cento volte perderai. Quindi l’atleta va gestito in termini di risultati potenziali e questi si possono intercettare con l’evidenza scientifica, per ot-tenere il meglio da ognuno.Ogni sport ha il suo metodo di preparazione oppure c’è una linea guida che accomuna tutte le discipline?

do tre promozioni in altrettante stagioni, e risalendo dalla D alla A, che disputerà nel 2018-19. Mai nessuno c’era riuscito, e così il Frosinone si ritroverà costretto a parti-re nuovamente dagli spareggi, entrando in gioco dal 2° turno insieme al Palermo. Ver-detti importanti anche nei bassifondi del-la classifica dove le lacrime non mancano, soprattutto per le due squadre piemonte-si: che la Pro Vercelli fosse già retrocessa lo sapevano tutti, ma nessuno si attende-va una delusione sportiva bruciante come quella del Novara. La caduta negli inferi, quasi impronosticabile ad inizio stagione, ha vissuto il suo corso a causa della vittoria esterna dell’Entella sul campo dello stadio Piola di Novara, regalando ai liguri i play-out, che verranno disputati contro l’Ascoli mentre il Novara ha salutato la Serie B dopo tre anni consecutivi nella categoria. Fatali gli scontri diretti, che fanno retrocedere i novaresi in Serie C insieme a Ternana e Pro Vercelli. Per la clamorosa retrocessione del Novara di Di Carlo, non si può parlare solo di sfortuna, le componenti sono molteplici, e la società azzurra, capeggiata da Di Salvo, dovrà attivare approfondite analisi inerenti questo fallimento. E non è escluso nemme-no l’addio del Presidente Massimo Di Salvo, i prossimi giorni saranno decisivi per capi-re da chi e come ripartirà il Novara Calcio. Resta inostre da capire, come potrà venir calibrato il rilancio della gloriosa Pro Ver-

Ci sono due tipi di adattamenti che migliorano le ca-pacità dell’atleta, che sono cambiamenti cronici a li-vello cellulare. Uno sono gli adattamenti centrali, gli altri quelli periferici. Che differenza c’è? I primi sono quelli cardio-circolatori quindi sono l’efficienza gene-rale del fisico indipendentemente dallo sport che fa. Questi sono fondamentali perchè danno quell’energia per sostenere tutto il resto. Poi ci sono quelli più spe-cifici, ovviamente quelli li devi fare con una prepara-zione molto più accurata. Entrambi dovrebbero anda-re nella stesso direzione, dovrebbero essere bilanciati ma non sono sostituibili. Molte volte invece ci sono at-leti che, ad esempio, sono velocisti fanno solo attività che a loro piace, oppure perchè sono atleti che fanno sollevamento di pesi o altri sport di tecnica sviluppa-no fortemente quel tipo di applicazione. Il problema è che poi hanno un calo di efficienza generale perchè gli adattamenti centrali non sono stati curati. Quindi bisogna farli tutti nello stesso modo.Quanto influisce la figura del coach sull’atleta?La figura del coach è fondamentale. A parte l’effetto Pigmalione, dove l’atleta di deve fidare, credere in qualcuno che crede in lui, è già una chiave importan-te. La competenza del coach per questo millennio è sempre più fondamentale e deve essere trasversale la sua competenza perchè chiaramente non può essere uno che con il cronometro in mano dà il via dei recu-peri e usa la tabella. Deve avere competenze in me-dicina, fisiologia, meccanica, nutrizione, psicologia e quant’altro. Non essere tuttologo ma conoscere i suoi limiti in modo tale da potersi approcciare con un col-lega di altra materia, che sia un medico, un fisioterapi-sta o uno psicologo dello sport, sapendo cosa chiedere chiaramente, altrimenti sarebbe fuori dal gioco. Per cui grande competenza è richiesta.La testa oltre che i muscoli: si può vincere pre-valentemente con la convinzione?Solamente con la convinzione no, ma vari studi scien-tifici hanno dimostrato che il limite della fatica può essere superato con un allenamento specifico e questo è un bel passaggio che non va bene tanto per chi non si allena, perchè hanno margine enorme prima di anda-re a cercare tecniche di questo tipo, sarebbe una per-dita di tempo. Però per atleti di altissimo livello anche per migliorare i carichi durante l’allenamento, è una cosa da considerare. L’aspetto mentale è importante, lo psicologo dello sport penso diventerà una figura sempre più fondamentale per il futuro.Quali sono le regole per l’alimentazione dell’at-

celli, scesa in C, e bisognosa di nuove basi per cercare una stagione competitiva che le consenta di lottare per l’obiettivo della risalita immediata. Insomma, purtroppo, il Piemonte rappresentato in seie B si lec-ca le ferite e s’interroga sul futuro, dopo le due rovinose discese nella terza serie. Con Empoli e Parma in serie A con il diretto ac-cesso, la terza promossa uscirà dal lotto dei playoff, le sfide del 1° turno saranno Vene-zia-Perugia e Bari-Cittadella, poi entreran-no in gioco la terza e la quarta classificata nella stagione regolare, ovvero Frosinone e Palermo, da queste sfide uscirà la prossima compagine in grado di salire. Ai playout, invece, sarà doppia partita per evitare la discesa in C, Ascoli ed Entella proveranno a tenere fuori dal pelo dell’acqua la testa, per il mantenimento della categoria dopo un’annata stressante e in perenne bilico. Retrocesse in Serie C: Novara, Pro Vercelli e Ternana, alle quali auguriamo una fulgida programmazione sportiva e una pronta ri-salita nella cadetteria. Perdere due squadre piemontesi nello stesso anno è una mazza-ta incredibile, e la serie B, il prossimo anno non sarà rappresentata da nessuna compa-gine della nostra regione. Un vero peccato.

leta?Se facciamo dei test con un atleta, io li faccio comune-mente, senza entrare nel discorso supplementazione, integratori, ecc, che non è proprio mia area di interes-se, vediamo che c’è un problema di fondo di mancanza di controllo di quanto sia importante l’’alimentazione per un atleta. Non è un problema di bilanciato o non bilanciato, il problema è che proprio mangiano male, si dimenticano totalmente le cose, mangiano a gusto e poi si ricordano il giorno prima della gara o il pa-sto prima della gara cosa devono fare. Purtroppo non è quello il concetto, quello che dobbiamo far passare come argomento è che ovviamente la nutrizione va al-lenata, così come l’allenamento nello sport. Perchè se il carburante che devo usare è aerobico o anaerobico, piuttosto che di potenza, alla fine non c’è l’ho perchè l’atleta non ha mangiato carboidrati, piuttosto che grassi e proteine. Chiaramente è tutto teorico, un mo-dello che non funzionerà e soprattutto si andrà verso un modello non virtuoso, in sovrallenamento costante che poi porterà ad un over training, verso l’atleta. La nutrizione è alla base.Esiste un’età adatta per iniziare a fare sport con metodo?Certo. Sempre. Subito. Sarebbe meglio iniziare a fare sport con dei professionisti a partire dai primi anni di vita, intendo laureati in scienze motorie, così come non accade. Quindi scuola materna, primaria e secon-daria dovrebbero fare attività fisica fatta bene. Sfor-tunatamente nella scuola primaria e secondaria non ci sono laureati in scienze motorie, quindi i ragazzi se non faranno sport troveranno il primo laureato in scienze motorie in prima media. È abbastanza tardi per cui ai genitori do il grande consiglio di fare atti-vità fisica con un esperto, in una società sportiva. Ov-viamente fatto nel miglior modo con i limiti fisiologici dell’atleta, che non è un piccolo uomo ma deve fare quello che serve a lui man mano, senza spaventarsi di fare cose sbagliate o meno. Serve un professionista, non un ragazzino messo magari lì a fare delle cose. Quindi attenzione genitori anche perchè un bambino in sovrappeso o obeso, ormai ci sono studi che lo di-mostrano, ha le aspettative di vita ridotte. Per cui non è più un gioco, il bambino va educato allo sport subito.

di Franco Leonetti

di Deborah Villarboito

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Intervista

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E’ proprio vero che quando una passio-ne è grande non ha né età, né barriere. Assunta Legnante torna in pedana a 40 anni. La campionessa paralimpica del getto del peso ha infatti deciso di tes-serarsi con l’ACSI Italia Atletica per ri-entrare alle gare dopo una pausa di due anni. La lanciatrice, sofferente fin dalla nascita di un glaucoma agli occhi, nel 2009 purtroppo è diventata cieca to-talmente. Ora, però, è pronta per una nuova avventura agonistica. Ecco allora che si attende la “prima” della seconda parte della carriera sportiva di un’atleta da albo d’oro: Rieti il 26 maggio nei So-cietari Assoluti, è l’appuntamento atte-so. Nata a Frattamaggiore, Napoli, il 14 maggio 1978, la Legnante ha comincia-to a mettersi in luce fin da giovanissima vincendo il bronzo ai Campionati Euro-pei Juniores di Lubiana nel 1997. Nella sua carriera spicca l’Oro ai Campionati Europei Indoor di Birmingham nel 2007 insieme alla vittoria ai Giochi del Medi-terraneo del 2001 e agli argenti sempre agli Europei Indoor nel 2002 e ai Giochi del Mediterraneo 2009. Attualmente de-tiene il record Italiano Indoor con la mi-sura di 19,20 metri ottenuto a Genova il 16 febbraio 2002. Con il Comitato Para-limpico ha vinto sette medaglie d’oro di cui due alle Olimpiadi di Londra 2012 e Rio 2016, tre ai Mondiali di Lione 2013, Doha 2015 e Londra 2017 e due agli Eu-ropei 2014 di Swansea dove ha trionfato anche nel Lancio del Disco.

Quando hai iniziato a praticare sport?A scuola. Io ho iniziato attraverso i vec-chi Giochi della Gioventù. Ho sempre

giocato a pallavolo, poi sono stata cata-pultata nel mondo del getto del peso. Ci si è accorti che lanciavo forte e che c’era-no buone potenzialità.

Come si è evoluta la tua malattia?Il mio è un problema congenito. Fino a quando non ho perso la vista ho fatt le cose normali, ho studiato, ho fatto tut-to. Fin da piccola sono entrata ed uscita dagli ospedali per cercare di non perdere del tutto la vista. Nel 2009 mi sono fer-mata perchè il mio campo visivo si stava restringendo. Fino al marzo 2012 ho ten-tato con nuove operazioni agli occhi, ma questi alla fine si sono spenti.

Quale è stata la tua gara più bella?Difficile trovare la più bella. Sicuramen-te c’è quella dell’indoor europeo di Bir-mingham nel 2007, ero all’apice della mia carriera, oppure a Londra quando ho ricominciato ad essere atleta. La cosa più emozionante è non vedere, ma senti-re, entrando in pedana, tutto il forte vo-cio del pubblico numeroso che è lì a ve-dere le gare.

Quali sono i tuoi progetti?Di sicuro gli Europei Paralimpici di Ber-lino di quest’anno. Ora faccio parte del mondo dei non vedenti e paralimpici, so quali sono i miei limiti e le mie possibi-lità. Anche l’età avanza e le misure sono quelle.

Avendo iniziato a fare sport a scuo-la, quanto è importante coltiva-re un vivaio di potenziali atleti già dall’età scolare?Io sono un esempio: la scuola mi ha dato

di Deborah Villarboito

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Tornare in pedana a 40 anni: la storia di Assunta

una mano con i Giochi della Gioventù, che ripristinerei subito. Nel mio paese non c’erano società sportive, a vent’anni mi sono trasferita nelle Marche per fare sport. La scuola dovrebbe essere il pri-mo luogo di reclutamento. Sì, i progetti sono tanti ma non vedo un futuro molto roseo. Si deve iniziare dalle scuole ele-mentari. Lo vedo con i miei figli che han-no sette e sei anni: quello che viene fat-to a scuola serve solo per farli muovere un po’ e svagare. Ci sono certo dei giochi studenteschi, ma non sono come prima. Si dovrebbe lasciare più spazio alle so-cietà sportive del territorio, farle entrare nelle scuole per far conoscere le varie di-scipline.

Rafael Nadal imperatore del BNL d’Italia di Roma 2018. Rafael Nadal si è aggiudicato per l’ottava volta in carriera gli Internazionali d’Ita-lia di tennis. La pioggia ha caratterizzato la finale tra Re Rafa e il tedesco Alexander Zverev, ormai ex campione in carica della capitale. Due inter-ruzioni per maltempo nel terzo set hanno reso ancora più agguerrita una finale da 2h’09 in cui lo spagnolo numero uno al mondo ha battuto il tedesco per 6-1, 1-6, 6-3. dal 2013 Nadal non si imponeva al Foro Italico e questo è stato il quin-to match in carriera contro il 21enne Next Gen tedesco, seconda testa di serie del tabellone, tutti vinti. La finale maschile della 75esima edizione degli Internazionali BNL d’Italia, bagnata da un acquazzone primaverile, è stata una giocata stra-na: due set assolutamente dominati. Il primo dal favorito, lo spagnolo, il secondo al giovanissimo tedesco che, con un altrettanto inatteso break in apertura di terzo set, sembrava aver messo Rafa sulle corde, per davvero. La partita, dopo tre ore e un quarto dalla prima discesa in campo e dopo due ore e nove minuti di gioco effettivo. Di tut-to rispetto la finale del tedesco con origini russe. Nato nell’aprile del 1997 ed è alto 198 centimetri, eppure ha la sicurezza di un veterano. Con l’ini-ziare di secondo set e il rannuvolarsi del cielo, ha iniziato a prendere le misure alla palla di Rafa, ri-

uscendo finalmente a salirci sopra e a trovare con terrificante continuità l’ultimo metro di campo: nel primo game ha giocato una smorzata pazze-sca sul 15-30. Difendendo così il suo primo tur-no di battuta ha ripreso fiato e fiducia, e iniziato una corsa che nel giro di pochissimo l’ha portato sul 5-0 e quindi sul 6-1. Quando il suo ennesimo rovescio lungolinea vincente ha portato la fina-le al terzo set, erano trascorsi appena 71 minuti dal primo punto. Le prime gocce d’acqua han-no iniziato a cadere nel primo gioco del capitolo decisivo, mentre Rafa cercava di difendere senza successo un turno di servizio che si era compli-cato con un paio di colpi frettolosi. Alla fine, con un uso sapiente e alternato di colpi lungolinea e smorzate, Sascha ha conquistato il preziosissimo break e l’ha confermato fino al 3-1, facendo gran-dinare sui rettangoli del servizio di Nadal prime sopra i 215 chilometri l’ora. La pioggia, che ama bagnare le finali del Foro Italico, a quel punto è però diventata insostenibile. La partita si è ferma-ta per 10 minuti, è proseguita per un altro game, quindi si è fermata per un’ora. Sul 3 pari, dopo che un errore di diritto di Zverev gli aveva resti-tuito il turno di battuta smarrito, uno smash con la schiena rivolta alla rete ha messo il punto escla-mativo sulla sua rimonta, facendo capire a Zverev

e agli oltre 10.000 del Centrale che la partita era appena girata in modo definitivo. Sul 4-3, attac-cando pazientemente e inesorabilmente il tede-sco, ha conquistato l’ultimo break del suo torneo. Ha chiuso al 2° match point con una splendida volèe corta incrociata. Nadal è un personaggio su cui solo i numeri riescono a dire qualcosa: 78 tito-li carriera, uno più di John McEnroe; 56 sul rosso e 32 Masters 1000, più di chiunque altro; ottavo titolo agli Internazionali BNL d’Italia; 174esima settimana al numero 1, quella che lo condurrà a Parigi, dove cercherà l’undicesimo titolo. Si può proseguire, citando ad esempio il suo record in carriera sul rosso: 408 partite vinte su 446 dispu-tate, una percentuale di successo del 92% di me-dia, la più alta di sempre per distacco (Borg, che giocò oltre 150 partite in meno nel corso della sua carriera, si ferma all’86 percento). Zverev saluta Roma dopo aver vista interrotta la sua incredibile striscia che, dal 2 al 20 maggio, l’ha visto vincere 13 partite in fila. Da lunedì è il primo giocatore della classifica relativa al 2018, e a Parigi sarà la seconda testa di serie.

Nadal VIII re di Roma: il Foro Italico è ancora suo

di Deborah Villarboito

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Film, mostre ed eventi da non perdere!Eventi

Film

Mostre

Eventi

Deadpool 2

È un film di genere azione, avventura, commedia del 2018, diretto da Da-vid Leitch, con Ryan Reynolds e Josh Brolin. Uscita al cinema il 15 mag-gio 2018. Durata 111 minuti.

DogmanÈ un film di genere drammatico del 2018, diretto da Matteo Garrone, con Marcello Fonte e Edoardo Pesce. Uscita al cinema il 17 maggio 2018. Durata 102 minuti.

Photofestival 2018

Dal 24 aprile al 30 giugno avrà luogo la kermesse tra mostre, incontri di approfondimento e workshop fotografici ospitati in circa cento sedi in tutta Milano.

Utopia

Una mostra che fa vivere al visitatore un persorso multisensoriale ine-dito. Ecco quello che è Utopia, presentata nello spazio espositivo Secret Home di via Carlo Alberto 40 in occasione della manifestazione Flor 2018.

Star Wars is Back!

Cosa succede quando uno dei brand cinematografici più famosi incontra il gioco che ha appassionato generazioni di bambini? Possiamo scoprirlo visitanto “Star Wars is Back: Una galassia di mattonici”, dove il mondo di Star Wars e quello dei Lego si fondono nelle meravigliose opere esposte.

Rivoli ospita Trucioli d’Artista

Dal 25 al 27 Maggio, il centro storico di Rivoli si trasforma in un esteso la-boratorio a cielo aperto, dove tantissimi maestri d’arte dell’intaglio del legno lavoreranno sulle preziose opere e dimostrando la loro bravura a colpi di ori-ginalità ed estro.

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