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Ma che cos’è questa scuola del carisma?

Dobbiamo immaginare e costruire qualcosa che non c’è. È come se fossimo un gruppo di ingegneri incaricati di progettare come

saranno le navi di domani.

Chi ha creato te senza te, non salverà te senza te”. È un detto

che ci dicevano da bambini. In so-stanza sostiene: Dio ha bisogno del nostro aiuto. Dio ha voluto un’O-pera come La Nostra Famiglia. Ma non ce l’ha data in una scatola di montaggio. Vuole anche la nostra genialità. Perché vuole cristiani del 2000 e non del 1800. Per poter collaborare al suo fun-zionamento dobbiamo conoscere cosa dev’essere La Nostra Famiglia. Per questo si è cominciato a fare la Scuola del Carisma. Che non è una scuola con i programmi ministeriali o vaticani. È come una scuola per guide alpine, in cui tutti rischiano, ma perché vuol essere una scuola di futuro.La Scuola del Carisma (SdC) non è concepita come una vacanza-pre-mio o una settimana di studio. Non ci sono persone che insegnano cose da fare, perché le hanno già fatte o perché in qualche parte del mondo sono state fatte, e persone che de-vono imparare cosa fare. È piuttosto una settimana per im-maginare e costruire qualcosa che non c’è. È come se fossimo un grup-po di ingegneri e specialisti incari-cati di progettare come saranno le navi di domani. È fantascienza, dunque? Non lo è, perché abbiamo delle “specifiche” a cui non possiamo rinunciare: il Vangelo, la Salvezza, la Chiesa. Il nostro progetto deve tener conto di questi elementi: «Gratuitamen-te avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né ar-

Padre Luigi Mezzadri, postulatore della causa di canonizzazione del beato Luigi Monza.

La Nostra Famiglia, il Vangelo e il futuro

gento, né moneta di rame nelle vo-stre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né ba-stone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,8).Cosa significa e come vivere questa Parola? Gratuitamente, non vuol dire: senza denaro. Lo avevano in-teso così nel Medioevo, soprattutto i francescani. S. Francesco voleva che i suoi frati lavorassero ma «sen-za denaro e pecunia». Cosa oggi non possibile. Gratuitamente dice come la comu-nità cristiana del futuro debba es-sere un luogo di Grazia, «pieno di Grazia», che riceve Grazia e dà Gra-zia su Grazia. Tutto questo da vive-re non all’interno di ambiti protet-ti, ma nel profano, che sta dunque fuori dal sacro recinto. I cristiani del futuro dovranno vi-vere la comunità del Magnificat. Come Maria, che aveva ricevuto l’Annuncio dell’Angelo. Ma tutto senza appuntamenti. Poteva suc-cedere fra 100 giorni, 100 mesi, 100 anni… perché un frammento di eternità non ha misura. Maria avverte invece di essere in-cinta. Allora, pazza di gioia, grida «Magnificat!». Avrà abbracciato tutti. Immagino gli occhi fuori dal-le orbite, lei che salta: «Ho Dio in me!». Quando i cristiani lasciano la Chiesa per recarsi al posto di lavoro gli altri dovrebbero domandarsi: ma queste persone sono normali?Dato che i monasteri contemplati-vi sono pochi e non adatti a tutti (una vita sempre nello stesso luo-go… con le stesse persone…) la co-

munità cristiana del futuro dovrà portare la contemplazione nel Pro-fano. Questo implica che si debba essere più santi di monaci di stretta clausura. Un conto è esercitare le virtù all’ombra del Priore, un conto in un mondo frenetico. Un conto è pregare nel coro, un conto pregare in metropolitana o in auto. I cristiani della comunità del futu-ro dovranno rinunciare, come i loro primi fratelli, ad ogni forma di egoi-smo. Non dovranno essere al centro del mondo. Non saranno inchiodati ad un luogo, ma ad una Croce. «Mandami dove vuoi, purché ci sia Tu e ci siano persone da servire»: questa è la preghiera tacita del domani.

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Si è spenta Pasquina, “buona figliola” cara a don Luigi

Così le scrivevail Fondatore

Era nel primo gruppo di Piccole Apostole

Pasquina Sormani, nata nel 1919, era giovanissima quando don

Luigi Monza divenne Parroco di San Giovanni. Come altre amiche, fu così attratta dall’ideale proposto dal sacerdote da cambiare radical-mente il proprio progetto di vita. Entrò nel 1946 a far parte del pri-mo gruppo di Piccole Apostole della Carità e, non appena la Chiesa rico-nobbe l’Istituto Secolare, pronun-ciò con Zaira Spreafico i voti nelle mani del Fondatore. Affiancò Zaira nell’avvio di molti Centri e attività: tra questi Vedano Olona, Varazze, Ostuni, San Vito, il terzo padiglione di Bosisio Parini, il centro di Casti-glione Olona.Creativa, entusiasta, capace di ap-prezzare la bellezza in ogni sua ma-nifestazione, ha trascorso gli ultimi suoi anni a Bosisio, dove si è spenta il primo aprile 2015. In ogni mo-mento della sua vita e in ogni sede ha saputo creare rapporti significa-tivi. Godeva di essere chiamata “la reliquia vivente” di don Luigi e sen-tiva la responsabilità di trasmettere

La comunità del futuro dovrà essere per forza una comunità di testimo-ni. Non si diventa testimoni dicen-do ciò che abbiamo imparato nei corsi di aggiornamento. E i nuovi martiri? Penso ad una testimone non della Chiesa primitiva, ma nostra con-temporanea.Lindalva Justo de Oliveira era nata il 20 ottobre 1953 nel piccolo cen-tro di Sítio Malhada da Areia, nel municipio di Açu, nel Rio Grande do Norte in Brasile. Dopo aver assistito il padre ammalato a 33 anni entrò nella Compagnie delle Figlie della Carità a Recife. Terminato il periodo di noviziato, il 29 gennaio del 1991, venne in-viata all’internato Dom Pedro II, a Salvador Bahia, ricevendo il compi-to di coordinare un’infermeria con 40 pazienti, essendo responsabile dell’ala del padiglione maschile.La mattina del 9 aprile 1993, Vener-dì Santo, partecipò alla Via Crucis con i fedeli della parrocchia di Boa Viagem, in compagnia delle sorelle della Comunità dell’internato. Di ri-torno, servì la colazione ai pazienti. Non aveva neanche iniziato il ser-vizio che venne brutalmente assas-sinata con 44 coltellate da Augusto Peixoto, di 46 anni, uno dei pazienti. Di lei è rimasta una perla: «Il cuo-re è mio e può soffrire, ma il volto appartiene agli altri, e deve esse-re sorridente!». Come il beato Lui-gi Monza: «Anche se voi morite di dentro, dovete sorridere!».Noi tutti crediamo a tali testimoni che ci indicano la via di una carità squisita.

P. Luigi Mezzadri

“Buona figliola, la seguo in tutte le sue vicende e la lodo per la fermezza dei suoi pro-positi. Anche se qualche volta dovrà constatare qualche ce-dimento, lo ripari subito, sen-za scoraggiamenti, come si fa con le frane in questi tempi di alluvioni. Vada adagio quan-do c’è la nebbia, perché c’è pericolo di scontro; così av-viene quando, nelle teste, c’è nebbia di amor proprio. Dopo viene il bel tempo e, con il bel tempo, anche un bel sole. Dovesse durare sempre così! Io lo desidero e lo invoco tut-ti i giorni per me, per lei, per tutte voi, proprio tutte… con la semplice parola magica: Carità. Pasquina, diventi santa così!”.

(Don Luigi Monza, 1949)

alle più giovani i doni spirituali che a sua volta aveva ricevuto. Le lette-re che don Luigi le scriveva dimo-strano la fiducia incondizionata che egli nutriva nei suoi confronti e la gioia di condividere, al di là di ogni fatica, gli stessi ideali.Pasquina ci ha lasciato nella setti-mana santa e noi pensiamo che sia andata a godere la gioia della re-surrezione con il nostro don Luigi e con tutte le sorelle che aveva ama-to qui in terra.

Carla Andreotti

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Quale cura per la società di oggi?

NUTRIRE LA SOCIETA’, ENERGIA PER LA VITA

La nostra epoca sarà ricordata per tante cose splendide ma

anche per l’invenzione del fast-food e del panino solitario

nelle pause-pranzo. Tutti sappiamo la grande differenza che c’è, in termini di gioia e di

qualità della vita, tra un pranzo condiviso con colleghi-amici e

uno solitario. Quando mangiamo con un buon amico-collega,

insieme alle calorie “mangiamo” beni relazionali che ci nutrono non meno del cibo, e rendono

migliori il nostro lavoro, la nostra vita e la nostra salute (lo dicono i dati). Un segnale dell’insostenibilità del nostro

modello economico sono i troppi panini solitari. Negli atti veramente importanti le parole

umane sono essenziali ma non bastano: vogliamo sentire

parlare la natura, il cielo, gli antenati, gli angeli, tutta la terra.

Quando dietro un contratto ci sono cose che contano davvero

(una nuova impresa, una scuola, un ospedale…), non è sufficiente

un brindisi. Ho conosciuto imprenditori civili e cooperatori

che quando assumevano un nuovo lavoratore lo invitavano

a cena, e durante quel pasto assieme donavano al nuovo

arrivato la storia dell’impresa, i suoi valori originari, e così

riviveva e si estendeva il patto fondativo. Non si diventa

compagni di viaggio senza il cum-panis, senza il pane

condiviso.

(L. Bruni)

APPROFONDIMENTO

a Vedano Olona seppe trasmettere proprio lì dove sapeva che vi erano intelligenze da coltivare ma anche un fisico da educare sanamente e sviluppare in modo armonico: quel-la cultura e quella educazione che completano l’individuo, lo spingo-no ad assolvere con maggior pro-fitto i suoi impegni e ne fanno un elemento attivo e responsabile nel-la società di qualsiasi tempo.La sua visione sociale era ampia e precisa, determinata e concreta: «Individui e società si possono re-dimere purchè ci siano apostoli che lottino con le opere, con l’esempio, col sacrificio». Uno sguardo reali-stico dunque, ma anche capace di suggerire i passi e le prospettive se-condo cui superare se stessi o ste-reotipi non confacenti a quello svi-luppo integrale della persona che diventa cardine e fondamento di reti di relazioni, secondo un meto-do del “ben vivere sociale”. A questo proposito non lasciò scritte linee di indirizzo, ma dalla sua stessa vita e dai suoi semplici “detti” ricavia-mo un modello qualificato che può riassumersi nella “pedagogia delle 3P”: persuasione, prudenza e posi-tivo. Vera arte di un vivere comuni-tario collaborante ed efficace. In una forma che si caratterizza per lo stile persuasivo, prudente e po-sitivo - virtù sociali che pare stia-no diventando sempre più desuete a incominciare dagli uffici, dalla strada, dalle aule politiche - avver-tiva l’urgenza di rendersi presente lì dove intravedeva il bisogno, di qualunque genere esso fosse, e ol-tre ogni attitudine di simpatia im-mediata o meno. Tutto in un equi-librato bilanciamento tra necessità

Tra i compiti affidati dal Mae-stro alla Chiesa c’è la cura del

bene delle persone, nella prospetti-va di un umanesimo integrale e tra-scendente. Ciò comporta la specifica responsabilità di educare al gusto dell’autentica bellezza della vita, sia nell’orizzonte proprio della fede, sia come prospettiva pedagogica e cul-turale, aperta alle donne e agli uo-mini di qualsiasi religione e cultura, ai non credenti, agli agnostici e a quanti non credono in Dio»1.C’è una cura «dell’umano dell’uo-mo» che diventa oggi sempre più urgente «nei processi educativi fi-nalizzati a “liberare la libertà” della persona perché sia capace di rela-zioni profonde e durature - affetti e legami che valgono una vita, per i quali si è disposti anche a morire - fondamento non solo di famiglie più stabili perché radicate nell’a-more vero, ma anche di comunità più solidali e di società più acco-glienti e partecipative»2. In questo tempo che è stato defini-to della «coscienza infranta» e della «società liquida», come del filoauti-smo individualistico, occorre trova-re nuove piste per poter resistere al degrado dell’isolamento e al radi-carsi della solitudine, nonostante la crescente onda mediatica. Occorre richiamarsi ad una Pedagogia esi-stenziale che riproponga, attualiz-zati in genuine azioni, i valori pe-renni della vita orientando così il cammino di umanizzazione dell’o-dierna socio-cultura.Don Luigi Monza, nella semplicità del suo essere e del suo dire, incar-nò i presupposti teorici che rac-colse dall’educazione ricevuta in ambito salesiano, a Penango, e che

Con le parole del beato Luigi Monza

«

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individuali ed esigenze so-ciali, tra dono e obblighi - come ricorda il termine “comunità” (cum-munus: il gratuito e il doveroso contemporaneamente) – e come ritroviamo nell’indi-cazione della “comunio-ne dei beni” tanto cara ai primi cristiani. «Se questa tensione si spegne e resta-no solo i (presunti) doni o solo gli obblighi, le pato-logie relazionali sono sem-pre sull’uscio, se non già dentro casa; il dono diven-ta faccenda irrilevante per la vita sociale, e gli obbli-ghi si trasformano in lacci» (L. Bruni). Lo aveva colto molto bene don Luigi quando stimolava dicen-do: «Tutto quello che puoi devi fare altrimenti defraudi la società nei suoi diritti». Invece, «individui e so-cietà si possono redimere!» a inco-minciare da tutte quelle piccole o grandi società che sono la famiglia, la scuola, il lavoro, le nostre città, il nostro Paese. La premessa di questa redenzione passa attraverso il riconoscimen-to di qualcosa che non siamo noi a scegliere, ma che esiste; cioè una non–elettività e una interdipen-denza che sono la sostanza delle comunità e accomunano tra di loro alunni di classi scolastiche, lavora-tori dello stesso ambito, cittadini del medesimo luogo. Tutte le vol-te che si rimane in questi “posti” esercitando le dimensioni più si-gnificative della semplice umanità, mettendo in essere i codici relazio-nali e spirituali della vita, si attua una specie di “redenzione” perché si combatte il narcisismo, le varie forme dell’io ripiegato su di sè e, guardandosi intorno, si impara ad apprendere che le diversità inevita-bili sono il lievito sociale capace di elevare impedendo al pane quoti-diano di rimanere azzimo3. In che modo si manifesta questa

forma redentiva? La risposta di don Luigi è sintetica ma profonda: «Con le opere, con l’esempio, con il sa-crificio».Le opere - come l’esempio - sono tutti quei gesti quotidiani che non fanno spettacolo ma attraverso le quali si cerca di costruire ambiti di solidarietà sociale dove le varie for-me di “diversità” imparano a con-vivere nel rispetto, fecondandosi vicendevolmente. Infatti «C’è una parola che rintrona tutti i giorni nelle nostre orecchie; questa paro-la è “solidarietà”. Solidarietà uma-na; dico umana perché umano è il campo nel quale si attua, ma nella sua radice è comando divino. Il vi-cino risponderà della salvezza del vicino, l’amico pagherà per l’amico, i genitori per i figlioli. Che abbia-mo fatto per la salvezza dei nostri fratelli?».«Dove non c’è diversità, promiscui-tà, contaminazione non c’è fecon-dità: i figli non nascono, le comu-nità diventano incestuose, e presto scompaiono. La società senza di-versità si trasforma presto in una forma di fondamentalismo, di idolo a se stessa. È stata la convivenza conviviale e litigiosa [simile a quel “mettere tutto in comune” delle

prime e seguenti comunità cristiane] delle nostre città di diversi a generare quella architettura, arte, cultura, economia che a distanza di secoli continua ad amarci, nutrirci, e a salvarci [redi-merci]»4. Senza dimenticare che questa opera di redenzio-ne passa anche attraverso il sacrificio. Occorre supe-rare il significato riduttivo di semplice rinuncia, allar-gando piuttosto il campo all’etimologia del termine: sacrum-facere, rendere sacro; condizione di vera libertà che genera. «Senza scoraggiarci se il sacrifi-cio costa», dice don Luigi,

perché dobbiamo sempre tener pre-sente un’impareggiabile equazione: «il sacrificio sta all’amore come l’a-more al sacrificio». Un’equazione che si risolve impa-rando ad essere cittadini “glocali” (globali e locali) del nostro tem-po: pensando in grande e agendo nel particolare, pensando a livello planetario e agendo nel territo-rio; pensando al mondo e agendo nel piccolo paese/città dove vivia-mo; pensando alla Chiesa e agendo ciascuna nella propria Comunità di appartenenza. In una precisione di dettaglio compiuto straordinaria-mente bene, con lo sguardo rivolto all’orizzonte della Carità.

Gianna Piazza

1 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato ita-liano per il decennio 2010-2020, n.5.2 CLAUDIO GIULIODORI, Fede, Cultura, Edu-cazione; Nodi e prospettive per la missione della Chiesa nella cultura contemporanea, Bologna 2014.3 Cfr LUIGINO BRUNI, La buona città dei di-versi e la Babele delle caste chiuse, Articolo pubblicato su Avvenire, 26.01.2014.4 Ibidem.