Nuovo Viterbo Oggi - Speciale Santa Rosa

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Santa Monica Venerdì 3 Settembre 2010 Anno I Numero Speciale Fiore del Cielo pronta a brillare nei cuori dei viterbesi

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Edizione on line dello Speciale Santa Rosa

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Santa MonicaVenerdì 3 Settembre 2010

Anno I Numero Speciale

Fiore del Cielopronta a brillare

nei cuori dei viterbesi

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LA FESTAPER I VITERBESI

2 SPECIALE SANTA ROSA Nuovo Viterbo Oggi

Venerdì 3 Settembre 2010

Scrivere di Santa Rosa, della sua Macchina, non è facile.

Non è facile raccontare cos’è questo “campanile che cammina” che attraversa le strette vie del centro. Non esistono parole per descrivere “quella sera del tre”. Ci sono dati tecnici da snoccio-lare per permettere a chi legge di inquadrare i fatti. Non è pos-sibile però conoscere davvero la festa che i viterbesi realizzano senza uscire di casa, quella sera – magari dal pomeriggio – e an-dare verso il centro. C’è una città riunita, che ti abbraccia. Da qual-siasi porta entri trovi un fi ume di gente che va a prendere posto. Già dalle tre del pomeriggio i più coraggiosi, zaino in spalla, scendono lungo via Garibaldi, attraversano porta della Verità o percorrono piazza San Faustino per “occupare” le fontane più bel-le: Fontana Grande e la fontana dei leoni di piazza delle Erbe. C’è chi ha posizionato lungo via Ca-vour le sedie, chi raggiunge casa di qualche amico o parente, che ha la fortuna – quella sera è forse la fortuna più grande - di avere il balconcino a poche decine di centimetri dalla Macchina in mo-vimento. C’è anche chi ha dormito lì la notte prima per aggiudicarsi un posto in prima fi la. E’ questa metà della festa.

L’altra metà è vestita di bianco, porta un fazzoletto – bianco anche questo – sulla testa e una fascia rossa in vita. “Dateje Facchini” è l’incitamento che li accompagna al passaggio. Il pomeriggio del trasporto inizia così, con il “giro delle sette chiese” dei facchini e con la gente che si posiziona lungo il percorso della Macchina. Due volti dello stesso sentimen-to. Un unico cuore. Batte, come i tamburi che accompagnano gli sbandieratori. E’ l’intrattenimen-to che distende l’attesa. Batte come il passo dei facchini, dispo-sti a fi le, braccio dentro braccio, chiesa dopo chiesa per raccogliere lo spirito della città. Il percorso inizia da qualche anno con la deposizione di una corona al mo-numento al Facchino, realizzato dal maestro Paternesi, di piazza delle Repubblica. Un simbolo im-portante, l’espressione di un’idea di continuità. Il trasporto della Macchina assume una dimensio-ne in più. Non è soltanto le gene-razione presente dei viterbesi a effettuare e assistere alla festa ma è tutta una città, stratifi cata nel tempo: tramandata da padre in fi glio. Un sentimento profondo che non a caso era stato colto a pieno da papa Giovanni Paolo II, durante il trasporto straordinario - effettuato in suo onore – del 27 maggio 1984. “Devo ringraziare voi di questa generazione, ma anche le generazioni precedenti che hanno inventato questa Mac-china”, erano state le parole del papa. Il giro delle chiese comincia da Sant’Angelo. Segue Santa Gia-cinta, dove da tradizione le suore donano ai facchini delle foglie (si dice che vengano colte da una pianta fi orita – secondo la leggen-da - nel luogo in cui è caduto il sangue della santa scaturito dalle fl aggellazioni che si infl iggeva). Il

percorso continua per fare tappa a Palazzo Papale: scatta la tra-dizionale foto sui gradini della scalinata che a stento contiene tutti. E’ la volta di Santa Maria Nuova e poi la Trinità. Qui c’è un momento intenso: tutti intonano “Mira il tuo popolo’, la canzone in onore della Madonna Liberatrice. La prossima chiesa è San France-sco e poi Santa Rosa, per un salu-to alla patrona. Da qui i facchini sfi lano verso il ritiro alla chiesa dei Capuccini. E’ tradizione una breve sosta alla chiesa della Cro-cetta, la chiesa parrocchiale della fanciulla Rosa e luogo della sua prima sepoltura. Alle 21 – dopo la benedizione ‘in articolo mortis’ impartita dal vescovo nella chie-sa di S. Sisto - li attende il primo “sollevate e fermi”, il momento più forte di tutta la giornata.

I viterbesi lo chiamano “la mossa”. E’ il momento in cui la Macchina si alza e la tradizione si ripete. E’ un brivido che ti per-corre tutta la colonna vertebrale, vertebra dopo vertebra senza sal-tarne nessuna. Poi se stai là sotto devi tenere, spingere verso l’alto, diventare “d’un sentimento” con tutti i tuoi compagni. Se non sei tra i facchini ma comunque hai la fortuna di seguire da vicino alla Macchina, come capita a noi giornalisti, devi correre. Sì corre-re, perchè il “campanile che cam-mine” va spedito, senza esitare e i cordoni di sicurezza spingono e ti obbligano a tenere il passo. Se stai ai lati puoi applaudire, urlare, andare in delirio. Hai il tempo per fare tue le immagini, una dopo l’altra. Se sei un bambi-no hai la fortuna di goderti tutto lo spettacolo da un punto di vista privilegiato: le spalle di tuo pa-dre. Ogni viterbese ha conosciuto il trasporto di Santa Rosa da lì. E’ il battesimo della tradizione, te lo porti dentro sempre e ogni trasporto te lo tira fuori.

Il primo boato è a piazza Fontana Grande. Punto magico, la prima tappa, una platea di applausi. Poi la Macchina sfi la elegante, quasi dondolando verso piazza del Comune. Lì è bellissi-mo perchè si può vivere la magia de “la girata”. La struttura viene fatta ruotare su se stessa dai fac-chini e sembra quasi avvitarsi sui sanpietrini. Piazza delle Erbe è la piazza della gente e la gente sa come accogliere i leoni di Santa Rosa, li sa caricare e coccolare. Il corso poi diventa impegnativo, le spallette escono dal quadrato e la Macchina pesa dippiù sulle spalle, cavolo se pesa. All’altezza di via della Sapienza la Macchina guarda il monumento ai facchini, il presente saluta il passato e se ne nutre, ne prende forza. Piazza Verdi è entusiasmo. Forse il luogo dove la Macchina è vista contem-poraneamente da più persone. Qui gli applausi li senti anche con la pelle. La gente è accalcata anche fi no a metà di via Marconi, bellissimo. U

n po’ di pausa, i facchini si ri-prendono eppoi vanno sù, di corsa e con tutto l’amore verso la chiesa della loro amata Rosa e i baci del-le mogli e dei fi gli.

Roberto Pomi

Entra da bambino nel cuore e non si scorda piùE’ questa la magia di “quella sera del tre”

Tutta l’emozione di una notteImmagini e sensazioni della festa più grande per la città

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33SPECIALE SANTA ROSANuovo Viterbo OggiVenerdì 3 Settembre 2010

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INEDITI STORICI

4 SPECIALE SANTA ROSA Nuovo Viterbo Oggi

Venerdì 3 Settembre 2010

SANTA ROSA, fi gura sacra spiritualmente presente tra la gente, pronta a correre in aiuto dei bisognosi; fanciulla nelle grazie di Dio per la sua breve, quanto esem-plare, vita cristiana trascorsa per le vie di questa città 760 anni or sono. Oppure semplice ricorrenza che svanisce come vuole il detto “passato il Santo, fi nita la festa”?

La risposta è lì, su quella salita che conduce alla sua casa, alla chiesa che custodisce il suo Cor-po incorrotto, al monastero delle Sorelle Clarisse che proseguono fedelmente il cammino della loro Santa ispiratrice.

Sì, la risposta è lì su quella sali-ta che dovrebbe apparire colma di gente, di fedeli e di pellegrini tutto l’anno, e non solo il giorno del corteo storico, del trasporto della Macchina e della fi era.

Purtroppo sono più conosciute le caratteristiche delle Macchine che si sono succedute negli anni, spesso motivo di animati dibattiti, anziché la carità manifestata da Santa Rosa nei giorni nostri.

Sono in molti ad avere la con-vinzione che i suoi prodigi appar-tengono ad un’epoca lontana oltre sette secoli dal nostro mondo; sono pressoché lo stesso numero, le persone convinte che i miracoli di Santa Rosa siano poche unità raffi gurate nei vari dipinti e san-tini, o riproposti nei disegni delle Macchine più antiche, risalenti al 1600-1800. In realtà, oltre ai noti miracoli dell’apparizione del Crocifi sso a Santa Rosa, della brocca risanata, di Santa Rosa che converte l’eretica con la prova del fuoco, della Santa che resuscita la zia, della cieca guarita, del pane trasformato in rose e pochi altri ancora, tra il 1233 e il 1251, i miracoli in vita documentati sono esattamente dodici. Pochi, potreb-be obiettare qualcuno, ma soprat-tutto molto lontani dalla nostra era e dalla nostra materialistica società, per essere ritenuti attuali e ripetibili dopo così tanti anni.

Esiste, però, un lavoro certosi-no, realizzato da Padre Ernesto Piacentini dei Frati Minori Con-ventuali, pubblicato su Il libro dei miracoli di Santa Rosa da Viterbo, che attraverso lunghe e meticolose ricerche, documenti e immagini, analizzati con grande competenza specifi ca, dimostra che l’attività di Santa Rosa è viva ed attuale come in passato, anzi, non è mai cessata. Quanto operato da Santa Rosa fi no all’anno 1991, giorno in cui Padre Piacentini ha chiuso il suo lavoro che lo ha portato a censire i miracoli compiuti dalla nostra Santa Viterbese, raggiunge il ragguardevole numero di 1171 miracoli così suddivisi: miracoli in vita, 12 (1233-1251), miracoli in morte, 1 (6.3.1251), miracula antiqua, 21 (1251-1406), miracula moderna, 169 (1406-1457), mira-coli recenti, 290 (1458-1738), mi-racoli di Fabriano, 43 (1738-1740), 29 miracoli dal 1740 al 1918, 15 miracoli dal 1918 al 1990. Inoltre, attraverso gli ex voto, sono stati contati 29 miracoli dipinti su tela o tavoletta risalenti al XVI-XX secolo, 502 cuori in argento e 60 altri oggetti vari che attestano i prodigi ricevuti per intercessione

di Santa Rosa.Il conteggio, tuttavia, è di molto

inferiore al numero reale delle grazie elargite da Santa Rosa, in quanto i 502 ex voto di cuori in ar-gento rimasti al monastero, sono una minima parte, scrive Piacen-tini, poichè “…parecchi sacchi, furono dati dalle Suore, con il per-messo ed il suggerimento di Paolo VI, per l’alluvione di Firenze”.

Ma forse i soli numeri ancora non bastano a rendere percettibili le opere miracolose che tutt’oggi compie Santa Rosa, ed allora prendendo a campione due dei 13 miracoli compiuti dal 1965 al 1985, cerchiamo di avvicinarci alle emozioni di chi ha toccato con mano, come avrebbe voluto fare San Tommaso, prendendo spunto, per brevità di narrazione, da due testimonianze riportate nel libro di Piacentini: “Viterbo 26-12-1972. Dono questa piccola offerta a Santa Rosa per aver protetto mio fi glio Pistonami Marco di anni 2, già iscritto ai boccioli di S.Rosa. Ieri giorno del Santo Natale men-tre attraversava la strada lo inve-stiva una macchina sbattendolo violentemente a terra, quando lo raccolsi con grande paura e stu-pore notai che non aveva riportato neanche un graffi o” – “Bollettino di S.Rosa dell’anno 1977: Alessia Valeri di anni 3 con la mamma ve-nuti da Mascaluccia (Catania) per ringraziare S.Rosa per essere sta-ta guarita miracolosamente da en-cefalite virale. Era completamente paralizzata e privata anche della favella. Tutti i familiari pregarono per questo boccioletto di S.Rosa e particolarmente i cuginetti e con tanto fervore, fi nché la piccola non riacquistò la parola ed ebbe la completa guarigione”.

Altri miracoli, compiuti recen-temente da Santa Rosa e non cen-siti nel lavoro di P.Piacentini, ci sono stati narrati personalmente dalle suore Clarisse che ne ricevo-no costantemente notizia da parte delle stesse persone miracolate, conosciute in occasione di una loro visita in chiesa, o in convento, per ringraziare la Santa.

Altri miracoli, con molta proba-bilità, sono rimasti custoditi gelo-samente nel cuore di chi ha otte-nuto una grazia dalla Santa, ed è così che i 1171 miracoli confermati da Padre Piacentini, salgono anco-ra di gran numero.

Ma ancora tanti altri sono i se-gni della reale presenza ed attivi-tà di Santa Rosa, come ad esempio ricorda il professor Luigi Capasso, nel libro Il Corpo mummifi cato di Santa Rosa da Viterbo: “Una seconda volta nel febbraio 1990 l’urna venne aperta per il cambio dell’abito della Santa, divenuto scolorito e sgualcito. In tale circo-stanza le Suore che vegliarono il corpo della Santa durante la notte avvertirono un intenso profumo di rose, come altre volte era accaduto in passato”. Vorremmo fare di più per poter donare a Santa Rosa una strada sempre piena di pellegrini, ma anche di Viterbesi. Proviamo a parlare più della Santa e meno della Macchina, e forse, col tempo, qualche cosa di buono potrebbe accadere.

Maurizio Pinna

Dopo un lungo lavoro di ricerche storichesono stati documentati da Padre Ernesto Piacentini

Tutti i miracoli di Santa RosaAlcuni sono stati gelosamente custoditi per decenni

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L’INTERVENTODEL SINDACO

ECCO l’intervento del sindaco Giulio Marini in occasione della festa più attesa da tutti i vi-terbesi.

“E’ di nuovo Santa Rosa.

Mentre le altre città d’Italia in questi giorni sono ancora vuote e la gente è a riposo, Viterbo, mai come in queste settimane, vive con in-tensità l’avvicinarsi di una grande festa. Quella della propria Santa, ma anche quella di ogni sin-golo Viterbese. Perchè la festa di Santa Rosa rap-presenta la festa di tutti noi. Si sente, si avverte, si percepisce nell’aria già nei primi giorni di agosto, quando a San Sisto si inizia a lavorare al ponteggio che ospiterà e proteggerà la Macchina fino alla sera del 3 set-tembre. Qualche giorno dopo Ferragosto, il mon-taggio della Macchina. Un altro appuntamento che in questi anni, in maniera discreta, si è ag-giunto a quelli ufficiali. La popolazione, per caso o volutamente, assiste curiosa e interessata al passaggio della gcaro-

vana h che trasporta i vari pezzi della macchi-na a San Sisto, per poi essere assemblati. Da quel giorno, a Viterbo, inizia a essere davvero Santa Rosa. Le cene in piazza con i Facchini, le due minimacchine con i facchini del Pilastro e del centro storico, le numerose iniziative che si susseguono nei giorni precedenti il trasporto, il corteo storico del 2 settembre con il cuore di Santa Rosa in solenne processione. Un crescen-do di pathos ed emozione che culmina la sera del 3 e prosegue nei giorni successivi con la visita dei fedeli alla basilica al corpo della nostra cara Patrona e alla Macchina ferma sul sagrato. E que-sta è la nostra festa. Si aspetta un intero anno per partecipare a un grande appuntamento con la tradizione, la fede e la storia. E Viterbo in questi giorni vive questa festa, unita e soprattutto emozionata nel pronun-ciare quella sera un sincero Evviva Santa Rosa”.

Caterina Basili

Giulio Marini racconta le emozioninei giorni che precedono il trasporto

“Una città unita nel nome di Rosa”“Un crescendo di pathos che culmina la sera del 3 settembre”

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IL MESSAGGIO

DEL VESCOVO

6 SPECIALE SANTA ROSA Nuovo Viterbo Oggi

Venerdì 3 Settembre 2010

“Celebrare Santa Rosa nel 2010 - così il vescovo Lorenzo Chiarinelli al suo ultimo tra-sporto da vertice della Curia - per Viterbo signifi ca tornare al cuore: cioè alle radici, alle realtà che fondano e animano il suo cammino nella storia: la città e la sua Santa hanno un legame profondo e vitale. Santa Rosa ha amato la sua città e la ama come celeste patrona. La città la celebra con devozione singolare che si traduce in preghiera e in eventi straordinari: le esperien-ze dei piccoli facchini, la proces-sione con il cuore della Santa, il corteo storico, il trasporto della Macchina da parte del sodalizio dei ‘Facchini di Santa Rosa’, le solenni liturgie presso il monastero che ne custodisce il corpo incorrotto. Ma a ogni festa Viterbo sente il bisogno e ha il dovere di rivisatare, reinterpre-tare, recuperare il volto genuino

di Santa Rosa. Quest’anno - dopo le assicurazioni uffi ciali del museo madrileno - ci so-stiene il suggestivo e splendido quadro del Murillo (1617-1682) della Fondazione Thyssen-Bornemisza (Madrid). E la nostra Santa si riconsegna alla nostra devozione come giovane: l’intensità della sua vita e della sua opera si svolse tra i 14 e i 18 anni, nel fi ore di una splendida primavera che si chiuse il 6 marzo 1251, come cristiana che, generata dalla fede con il battesimo, la vive, la testimonia, l’annuncia dentro gli spazi del vivere quotidiano e, anche senza particolari qualifi che, racconta il suo credo, lo partecipa nelle case e nelle vie, ne contagia amici, indifferenti, avversari; come laica: è una ragazza del popolo, vive in famiglia, parte-cipa della vita civile, sociale e, come cittadina consapevole, sa

anche difendere la sua città e dedicare energie alla giustizia e alla pace, pagando anche di persona. La breve sua vita è sta-ta costellata di miracoli. Non è facile discernere la storia dalla fantasia. La documentazione attendibile dalla leggenda. Ma i suoi miracoli incontestabili sono la fede che si esprime in dedizione totale a Dio e nella preghiera; la speranza che le conferisce il coraggio nei pas-saggi diffi cili dell’esistenza in privato e in pubblico; la carità che diventa solidarietà, ele-mosina, partecipazione verso ogni povertà. Le rose (bianche e rosse) del dipinto del Murillo sono simbolo felice e poetico di queste dimensioni di vita. E’ allora doveroso chiedersi: questa recuperata Santa Rosa ha delle consegne da affi dare a noi, a questa città, a questa Chiesa? Consegna ai giovani.

Innanzitutto c’è una consegna ai giovani: Rosa è la sola gio-vane del secolo XIII ricordata e venerata per il suo impegno ecclesiale, per la sua attività so-ciale, per la sua partecipazione civile. Non è di per sé un appello alla generazione presente per uscire dall’apatia, per non cade-re nella delusione, per vincere la sfi ducia, per costruire oltre l’effi -mero, il banale, il lamento? La semina è stagione dura, ma è premessa ineludibile della gioia del raccolto. Così la preghiera si estende: ‘Rendi più bella - come tuo giardino - questa Chiesa che ti ha germogliato, la città che tu hai amata e difesa. Ogni giardino - anche la Chiesa - ha bisogno di coltivazione, di cura. Quale lo spazio e l’impegno del-l’educazione cristiana dentro le famiglie, nelle parrocchie, nelle esperienze associative, sul piano personale e in quello collettivo?

Come crescere da una fede ridotta a religiosità ripetitiva, sociologica, folkloristica,, pu-ramente rituale verso la fede matura, adulta, consapevole e testimoniata, verso la fede con-segnata alle nuove generazioni perchè sappiano vivere il senso di Dio, delle relazioni umane, della storia, del mondo? A Viterbo, il 6 settembre 2009, il Santo Padre BEnedetto XVI, ce ne ha tracciato un esigente cam-mino pedagogico. E Santa Rosa ci propone una fede coraggiosa, coerente, una fede che parla, che è vita, una fede che è amore, che si tocca con mano perchè è fatto di gesti e di azioni. E alla sua città cosa ha da chiedere Rosa? Che sia bella! E la bellezza civi-le è dignità e rispetto; è identità e verità; è solidarietà e giustizia. Una città sarà bella quando avrà luce che splende nelle menti: per conoscere la realtà

vera; per fare diagnosi serie dei mali, dei bisogni, delle attese; per progettare cammini di spe-ranza e costruire u8n futuro per chi si apre alla vita. Sarà bella allorché ci saranno cuori capaci e disposti ad amare, a prendersi cura degli altri, soprattutto se deboli, sprovveduti, senza risorse. Cuori generosi nel farsi carico di ogni diversità, oltre l’indifferenza, uscendo dalla soggettività individualistica, sposando la causa del bene co-mune. E sarà bella se disporrà di mani capaci di assumere responsabilità, vincendo gli egoismi, gli interessi privati, il fascino del potere e della visibilità. Mani aperte all’ac-coglienza, al sostegno; forti nel perseguire programmi, solle-cite nel promuovere le energie. Spendido piccolo fi ore Viterbo ti custodisce e ti onora ma ha ancora bisogno di te”

La lettera del vertice della Curia alla cittadinanza che vive con commozione la festa

Chiarinelli: “Tornare al cuore”“Piccolo fi ore, Viterbo ha ancora bisogno di te”

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337SPECIALE SANTA ROSANuovo Viterbo OggiVenerdì 3 Settembre 2010

BREVE EXCURSUSSULLE MACCHINE

La Macchina di Santa Rosa è un qualcosa che non può essere compresa fi no in fondo se non si scava nel pas-sato.

Gli uomini che questo tre settembre non sarebbero niente senza i leoni che furono, quei leoni che da grandi uomini seppero accoglierli nel Sodalizio e farli crescere. I ciuffi , le spallette e tutto il resto della formazione non esiste-rebbero senza i ciuffi , le spallette e il resto di ieri. Anche ‘FioredelCielo’ non esisterebbe senza la scuola stilistica che viene dal passato. Ogni modello del “Campanile che cammina” che si evolve nel tempo è un oggetto di fusione tra quello che è stato e il futuro. Ogni Mac-china recupera dal passato e lancia ver-so il domani nuove sfi de, che dovranno essere accolte dai futuri aspiranti idea-tori. Ogni trasporto ha poi la sua storia, bella, bellissima, mitica.

Iniziamo questo excursus da quella che per i viterbesi è una vera e propria icona della festa di Santa Rosa: ‘Volo d’Angeli’. E’ stata la Macchina degli anni ‘60 e di quasi tutto il ‘70. Anni di speranze e crescita economica, anni di tensione. Anni in cui Viterbo era molto più “paesone” di oggi, arroccato su se stesso e sulla sua tradizione. Il capolavoro di Giuseppe Zucchi non lo dimenticherà mai nessuno, neanche chi in quegli anni non era ancora nato. Rovistando tra i libri sul trasporto conservari nella biblioteca cittadina abbiamo trovato foto bellissime. Ce ne è una di Zucchi con tutti i cuscinetti di cuoio dei suoi facchini ai piedi. Poesia. Volo D’Angeli - presentata al concorso del 1967 da Giuseppe Zucchi in combine con il fi glio Luigi, sempre al suo fi anco come unico consulente artistico - ha fatto breccia. E’ una sorta di punto zero nella tradizione, un momento di svolta importante, che ha fatto epoca.

12 anni di trasporti, tanto bella quanto segnata da mille sofferenze e diffi coltà sia per il suo ideatore che per la sua famiglia, la quale si impegnò in prima persona prendendosi ogni re-sponsabilità anche nei momenti più dif-fi cili, basta pensare al tragico fermo del 1967 come all’incidente mortale di un operaio durante i lavori di montaggio, incidente che costrinse il costruttore a montare il Volo D’Angeli senza capan-none per quattro anni per mantenere intatta la tradizione del trasporto del 3 Settembre contro ogni avversità.

La “creatura” di Zucchi venne tra-sportata fi no al 1978, quando gli suben-trò Spirale di Fede, prima Macchina di S. Rosa progettata da una donna; Maria Antonietta Palazzotti Valeri. Questo modello ebbe l’onore di effettuare due trasporti eccezionali.

Il primo a luglio del 1983,per ce-lebrare il 750° anniversario della nascita di S. Rosa, mentre il secondo, nel Maggio dell’anno seguente, coronò degnamente la visita a Viterbo di Papa Giovanni Paolo II. Il concorso del 1986 vide trionfare l’opera di un artista vi-terbesi, Roberto Joppolo che, con la sua Armonia Celeste volle ricostruire una “summa” dei principali monumenti vi-terbesi, sormontati da una allegoria di angeli ascendenti al cielo.

Grazie all’incredibile capacità e forza dei Facchini, questa Macchina durante il primo trasporto non causò una trage-dia quando, al culmine della salita di S. Rosa, forse per l’eccessivo peso, rischiò di cadere sulla folla.

La splendida Sinfonia d’Archi di Ric-cardo Russo si assicurò la vittoria nel concorso seguente. Il suo modello sarà ricordato come uno dei più originali, avendo avuto il merito di distaccarsi dai consueti canoni di costruzione e coniugando in una mirabile sintesi ar-tistica archi, scale e profferli viterbesi. Gli architetti Andreoli, Cappabianca e Cesarini, con la loro Tertio Millennio Adveniente avranno l’onore di tra-ghettare la Macchina di S. Rosa oltre il duemila e innalzarsi, con una slanciata ed elegante struttura che ripercorre architettonicamente la storia del nostro territorio, oltre i trenta metri di altez-za. Poi Raffaele Ascenzi. Un inchino ad ‘Ali di Luce’, una Macchina che dopo ‘Volo d’Angeli’ rappresenta un altro nodo evolutivo nella storia artistica del

Dalla indimenticabile ‘Volo d’Angeli’ all’innovazione di ‘Ali di Luce’

Uno sguardo al passato Le Macchine dagli anni ‘60 a ieri

trasporto. Ascenzi è andato anche sotto la sua Macchina, da facchino. Impatto visivo di grande suggestione eppoi il movimento delle ali. Anche qui ci tro-viamo di fronte a un segno indelebile sulla memoria. Emozioni su emozioni fi no al “Barcolla ma non molla” stampa-to sulle magliette del 2007, quando la

dei trasporti più belli, almeno della sto-ria recente. La città rimase sospesa per diversi giorni e praticamente dalla mat-tina alla sera, e anche durante le ore notturne in molti “vegliarono” ‘Ali del Cielo’. Chi c’era ricorderà la sensazione di un continuo pellegrinaggio di viter-besi. Era palese, lo respiravi nell’aria:

Macchina fu piegata da una troba d’aria a San Sisto a fi ne agosto e rimessa in piedi per il tre settembre. Fu forse uno

i viterbesi erano veramente tutti d’un sentimento.

Rob. Pom.

SINFONIA D’ARCHI (‘91-’97) UNA ROSA PER IL 2000 (‘98-2002)

ALI DI LUCE (2003-2008)

SPIRALE DI FEDE (1979-1985)VOLO D’ANGELI (‘67-’78) ARMONIA CELESTE (1986-1990)

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BREVE EXCURSUSSULLE MACCHINE

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Venerdì 3 Settembre 2010

LE CADUTE, IL LUTTO E IL CORAGGIO

Siamo andati a curiosare per i lettori di ‘Nuovo Viterbo Oggi’ nelle biblioteche cittadine per poter ricostruire la storia di quelli che ci è piaciuto chia-mare i trasporti “anomali”. Si tratta di trasporti passati alla storia per eventi spiacevoli, in pochi casi luttuosi, o più semplicemente per la loro originalità rispetto a quella che si è venuta a defi nire nei secoli come la tradizione.

Anche all’interno di quelle che possiamo chiamare le pagine nere del trasporto è possibile riscontrare la forte fede per la Santa e forse gli atti di coraggio più belli dei suoi uomini, i facchini. Iniziamo dalla cosa che fa più paura: le cadute. Nella storia del trasporto si registrano tre cadute alla partenza. La prima ca-dutà si verifi cò il 3 settembre del 1758. Tuttavia le notizie che ci giungono rassicurano che non compro-mise il trasporto, si ebbe solo un ritardo. Andò peggio invece nel 1790 quando la Macchina cadde, riportan-do danni irreparabili, e non venne più rialzata. Nel 1814 la caduta peggiore mai vista a San Sisto. Alcuni dei facchini non ebbero il tempo di mettersi in salvo e si registrarono 2 morti e vari feriti. Il trasporto più sfortunato della storia è da ricercare nel 1801. Nei pressi di piazza Fontana Grande il panico che stre-gò la folla, generò l’orrore. Le cronache dell’epoca ci tramandano che una donna (una certa signora Sensi di Grotte Santo Stefano) subì uno scippo e iniziò a gridare. La folla fraintese le grida come un segnale di pericolo e iniziò a scappare. Alla ricerca di rifugio, da un pericolo inesistente, la massa travolse e uccise 22 persone. Nel mezzo di un evento così luttuoso brillò però la fede e il coraggio dei facchini. Ci racconta un cronista d’eccezione del periodo (il Signorelli): “Il nu-mero delle vittime sarebbe stato maggiore se i facchi-ni non avessero retto per mezz’ora la Macchina ferma sulle loro spalle. Si deve quindi alla calma e alla fer-mezza d’animo, oltre che alla forza, dei portatori se alla tragedia causata dalla paura non se ne aggiunse un’altra più vasta”. Deve certo aver avuto una sua grandezza la scena di quegli uomini immobili sotto il peso dell’alta torre luminosa, mentre intorno a loro si scatenava un’atmosfera di terrore e morte. Le cronca ci parlano di trasporto maledetto, visto e considerato che la Macchina ripreso tristemente il tragitto arrivo a piazza delle Erbe dove prese fuoco e andò distrutta. Il trasporto tragico del 1801 spinse il papa Pio VII a vietare la manifestazione per 9 anni.

I RINVII

Non sono mancati neanche i rinvii. Il primo di cui si ha notizia è del 1686, non si conosce però la data in cui poi il trasporto venne effettuato. Nel 1799 la morte di Pio VI (all’epoca non solo papa ma anche capo dello Stato della Chiesa di cui Viterbo faceva parte), avvenuta il 29 agosto decretò il rinvio del trasporto al 27 ottobre. Un fatto singolare avvenne nel 1867. Il trasporto del 3 venne bloccato per l’inizio di un’epidemia di colera, registrato a Roma. Poi la minaccia di Garibaldi in avanzamento nella valle del Tevere sembrava destinata a far saltare il trasporto. Si ebbe però un “miracolo”. Il comandante del corpo di occupazione francese (che comandava sul nostro territorio), capitato per caso davanti al capannone della Macchina mentre iniziavano le operazioni di smontaggio, ne rimase affascinato. Fu lui ad auto-rizzare il trasporto, che suscitò l’ammirazione della guarnigione francese – che dichiarò di non aver mai visto nulla di simile -, la sera del 21 novembre. Al-tro fatto “anomalo” si verifi cò nel 1818. La pioggia fece saltare la manifestazione. Fu però una pioggia capitata a proposito perché lungo il percorso alcuni anarchici avevano predisposto un attentato con or-digni esplosivi. Più vicino ai nostri giorni ricordiamo il trasporto del 1967. Quel tre settembre si ebbe la prima uscita di Volo D’Angeli, la macchina che forse è più rimasta nel cuore dei viterbesi. La Macchina di Zucchi non riuscì ad arrivare alla basilica di S. Rosa, venne appoggiata sul palazzo della Provincia, nella parte bassa di via Cavour dove oggi c’è una targa a ricordo.

I PERCORSI “ANOMALI”

Nella tradizione del trasporto ci sono stati dei 3 settembre “anomali” nel percorso. Ad esempio, la sostanziale impraticabilità della salita che conduce al santuario costringeva inizialmente a concludere il trasporto davanti a santa Rosa dipinta, l’immagine della Santa collocata ai piedi della salita dove c’è piazza Verdi.

Molto più vicino a noi è invece lo spostamento del-la mossa a piazza Fontana Grande: è accaduto negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, quando tutta la zona tra questa piazza e porta Romana era stata ridotta a un cumulo di ma-cerie dai bombardamenti. In torno alla metà dell’800 si verifi carono però altre variazioni. Nel 1845 la Macchina fi nì la sua corsa a piazza della Rocca. La ragione di tale scelta era legata a dei lavori di siste-mazione della facciata che riguardarono la basilica della santa. Ma l’impresa apparve troppo dura tanto che l’anno successivo l’arrivo venne spostato nella piazzetta situata all’inizio della stessa salita, chia-mata secondo un’antica tradizione dei viterbesi, piaz-za dell’Oca. Altra variazione nel 1952. La macchina di Salcini e Coccia quella sera arrivò a piazza Verdi e prima di affrontare la salita conclusiva, percorse nei due sensi via Marconi, con una fermata a piazzale del Sacrario. L’esperimento – estremamente faticoso – non venne più ripetuto.

Roberto [email protected]

Piccolo viaggio nella storia

I trasporti anomaliGli incidenti e i rinvii

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39SPECIALE SANTA ROSANuovo Viterbo OggiVenerdì 3 Settembre 2010

L’INTERVENTOAL PRESIDENTE

DELLA PROVINCIA

“Il trasporto della Macchina di Santa Rosa si ripete per le vie del centro storico ogni anno la sera del tre settem-bre, ed è uno spettacolo unico, impossibile da raccontare a chi non ha avuto la fortuna ed il piacere di assistervi. Una gtorre illuminata alta oltre trenta metri, costruita in resina di vetro, legno e tubi di metallo, viene portata a spalla da oltre cento uo-mini, i Facchini di Santa

Rosa, attraverso un per-corso che si snoda per le vie del capoluogo, fino a giungere alla basilica dedicata a Santa Rosa. Un atto di devozione e fede che rivive da se-coli ogni tre settembre per onorare la Santa patrona di Viterbo e per regalare ai cittadini e ai visitatori un’emozione rimasta immutata nel tempo. Un evento che non ha pari nel panora-ma delle tradizioni po-polari del nostro Paese,

a cui hanno assistito in passato PapaG Giovanni Paolo Secondo, in onore del quale venne orga-nizzato un Trasporto straordinario, il princi-pe Carlo d’Inghilterra, diversi ministri, capi di Stato e leader di Gover-no italiani e stranieri. In ordine di tempo, due anni fa illustre ospite della Città di Viterbo la sera del tre settembre 2008 fu il presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, che

rimase letteralmente estasiato dallo spetta-colo della Macchina, tanto da ripromettersi di tornare nel capo-luogo della Tuscia per assistervi ancora. Nella mia esperienza pubblica e privata, sia da poli-tico e amministratore sia da sempice cittadi-no viterbese, ho avuto modo di raccontare a molte persone la bellez-za, l’importanza e l’uni-cità del Trasporto della Mscchina di Santa Rosa,

riscontrando sempre nei miei interlocutori un grande interesse per questa manifestazione. Ma le parole non posso-no bastare a descrivere il suggestivo spettacolo che da secoli si perpe-tra per le vie del centro storico di Viterbo la sera del tre. In questo 2010, dopo essere stato anni fa sindaco del capoluogo, per la prima volta vicrò le celebrazioni per la festa della patrona come presidente della Provin-

cia. E’ un grande onore per me rappresentare la terra di Tuscia nel con-testo dei festeggiamenti in onore della Santa, perciò mi avvicino alla sera del tre settembre con un pizzico di emo-zione in più, ansioso di vedere ancora una volta la patrona di Viterbo sfilare sul luminoso “campanile che cammi-na”, portata a spalla dai Facchini. Evviva Santa Rosa!”.

On. Marcello Meroi

Meroi: “Impossibile raccontare il Trasporto a chi non ha mai la fortuna ed il piacere di assistervi”

“Uno spettacolo unico”“Onorato di rappresentare la terra di Tuscia”

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10 SPECIALE SANTA ROSA Nuovo Viterbo Oggi

Venerdì 3 Settembre 2010

LA FESTAPATRIMONIO

DELL’UMANITÀ

LA FESTA di Santa Rosa diventa patri-monio immateriale dell’umanità. L’iter burocratico, avviato lo scorso giugno, si con-cluderà in primavera. In questi giorni che pre-cedono il trasporto, la fase di catalogazione di tutti gli appuntamenti e i numerosi rituali che fanno da corollario alla festa della giova-ne patrona viterbese, coordinata dall’antro-pologo Antonio Riccio. Il riconoscimento da parte dell’Unesco rientra in un progetto piuttosto complesso e articolato, avviato negli anni pas-sati dall’allora asses-sore ai Grandi Eventi

Francesco Moltoni, e poi proseguita con l’am-ministrazione Marini, in collaborazione con le altre quattro città italiane, note per la tra-dizione delle macchine a spalla: Gubbio con i Ceri, Palmi con la Varia, Nola con i Gigli e Sas-sari con i Candelieri. Le cinque città partecipa-no congiuntamente al riconoscimento da parte dell’Unesco. Nel mese di giugno una visita illu-stre nella città dei papi: il professor Francisco Javier Lopez Morales, direttore del World He-ritage dell’Istituto Na-zionale di Antropologia e Storia del Messico, l’ente governativo che

gestisce tutti gli aspetti del patrimonio cultura-le a livello federale. Ad accoglierlo a Palazzo dei Priori, il sindaco Giulio Marini e il pre-sidente della Provincia Marcello Meroi. Un in-contro molto cordiale, svoltosi per le sale del palazzo comunale e poi proseguito nel pomerig-gio per le vie del centro storico, lungo il percor-so della Macchina di Santa Rosa, insieme al presidente del Sodali-zio Facchini Massimo Mecarini. Il professor Lopez Morales, attual-mente vicepresidente ICOMOS (organizzazio-ne non governativa che fornisce pareri consul-

tivi all’UNESCO per la selezione del Patrimonio Culturale Mondiale), e membro dell’Organo Sussidiario UNESCO per il riconoscimento degli elementi del Pa-trimonio Immateriale da inserire nella Lista Rappresentativa del-l’Umanità, insieme al primo cittadino Marini, hanno visitato la basili-ca di Santa Rosa e l’at-tiguo monastero, accolti dalla badessa Suor An-nunziata Campus e da una rappresentanza dei mini facchini del centro storico e del quartiere Pilastro. La giornata, per il rappresentante messicano presso il Co-mitato Intergovernativo

per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale UNESCO, si è conclusa con la visita alla ex chiesa della Pace, al cui in-terno erano in corso di svolgimento le prove di portata. Una tappa che ha particolarmente emozionato il professor Morales e che lo ha visto molto attento du-rante la faticosa prova da parte dei facchini di Santa Rosa (delle cinque città, Viterbo è l’unica ad effettuare la prova di portata). Ad accompagnare Lopez Morales nella sua vi-sita a Viterbo, oltre al fratello e alla cognata, anche Patrizia Nardi,

coordinatrice della rete italiana delle grandi macchine a spalla. “E’ la prima volta che vengo a Viterbo - ha detto il pro-fessor Lopez Morales in perfetto italiano il gior-no della visita a Viterbo - è una città affascinan-te e ricca di storia. In questi luoghi si avverte l’amore che Viterbo ha per la sua santa, ma an-che il valore della tradi-zione che si tramanda di padre in figlio. Con molta probabilità torne-rò il prossimo 3 settem-bre”. E infatti tornerà e percorrerà un tratto del percorso davanti alla Macchina di Santa Rosa.

Caterina Basili

Arriverà uffi cialmente a primavera il riconoscimentodell’Unesco come “bene immateriale dell’umanità”

La Festa patrimonio dell’umanitàL’iter burocratico avviato lo scorso giugno

Il professor Lopez Morales con il presidente del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa Massimo Mecarini a San Sisto

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Il museo del Sodalizio dei Facchini è aperto regolar-mente al pubblico dal 1994. Prima di entrare nel vivo della descrizione è opportuno precisare che questo museo si pone come una delle realtà culturali più singolari nel panorama cittadino, per il suo connotarsi non tanto e non solo come spazio espositi-vo e luogo di raccolta di oggetti, ma come un punto d’incontro dinamico, frequentato abitual-mente dai facchini e dalla stessa popolazione che mantengono viva la tradizione, rinnovandola anno dopo anno con l’espressio-ne di una costante devozione.L’esposizione si sviluppa nei primi due piani della sede del Sodalizio.

L’ingresso, posto al piano terra, introduce nella prima sala, dove dieci modelli in scala delle macchine trasportate nel passato consentono di capire gli inevitabili cambiamenti del gusto e della tecnica costruttiva. Nella prima teca il modello propo-sto trae ispirazione dal disegno più antico pervenutoci della macchi-na, risalente al 1690 (di cui l’origi-nale conservato al Museo Civico). Nelle teche successive i modelli, in ordine cronologico, sono tutti riferibili al secolo XX: da quello di Virgilio Papini, trasportato seppu-re con alcune modifiche dal 1924

al 1952, a quello attuale, ideato dall’architetto e facchino Raffaele Ascenzi, denominato “Ali di Luce”.Per approfondire gli aspetti storico-stilistici delle macchine del passato è inoltre possibile consultare le copie dei disegni, di cui gli originali sono oggi con-servati al Museo Civico, con più di sessanta esempi di macchine trasportate dal 1700 fino al 1924. Significativa è la ricca raccolta fotografica conservata nell’ar-chivio che documenta la storia e l’evoluzione della tradizione nel secolo scorso, fornendo un interessante spaccato della vita, degli usi e dei costumi della città. Gli operatori culturali presenti nel Museo offrono un servizio gratuito di visita guidata, intro-ducendo e spiegando ai visitatori gli aspetti più tecnici legati al tra-sporto; al piano superiore è infatti possibile assistere alla proiezione di filmati recenti e passati, che comunicano la suggestione e la profonda emozione che questo evento spettacolare suscita nel-la folla di migliaia di spettatori che affluiscono per l’occasione. Il terzo piano, chiuso al pubbli-co, ospita la sala consigliare del Sodalizio, nella quale si riunisce settimanalmente il Consiglio Direttivo per lo svolgimento delle attività.

Tutti i Facchini e gli aspiranti tali devono superare la “prova di portata”: introdotta nel 1968, consiste nel trasportare sulle spalle per circa 90 metri una “cassetta” riempita con lastre di ghisa del peso complessivo di 150

chilogrammi. La “prova” si svolge ogni anno alla fi ne di giugno al-l’interno dell’ex-chiesa di Santa Maria della Pace. Chiesa scon-sacrata, concessa dal Comune ai costruttori della Macchina nel 1920 per tutto quanto concerne-

va la costruzione e la conserva-zione dei pezzi della Macchina. Le prove vengono valutate da una commissione che, in base ai risultati, stila la formazione che effettuerà il trasporto il successi-vo 3 settembre.

Un luogo da visitare per entrare nell’atmosferadella devozione viterbese nei confronti di Rosa

Museo del Sodalizio: da non perdereUn piccolo gioiello nel cuore del quartiere medioevale di San Pellegrino

CULT

Ogni anno tutti i Facchini devono superarla

La prova di portata alla chiesa della PaceCome si diventa Cavaliere

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Venerdì 3 Settembre 2010

L’ATTESA

In tanti, tantissimi ogni anno abbracciano il Campanile che cammina. Lo attendono in strada, nelle piazze, nei vicoletti o più comodamente al-l’interno di appartamenti e negozi dislocati lungo il percorso. Cacciatori di quell’emozione unica che ogni anno si rinnova

“quella sera del tre”. C’è tutta una città che

rinnova il proprio patto d’amore per la sua Santa patrona. Una città che non dimentica e non può dimenticare la sua devo-zione. Negli ultimi anni sono usciti allo scoperto anche dei veri e propri temerari. Si tratta ge-

neralmente di giovani e giovanissimi che si posi-zionano lungo il tragitto addirittura dalla sera prima o comunque dalla mattina molto presto. Un’occasione fantastica per vivere un’esperienza in amicizia. A volte pren-dono possesso di interi vicoletti dove attendono

l’arrivo, mano mano, degli altri amici della comitiva. Immancabili i signori anziani, pronti a gustarsi il passaggio della Macchina dalle sedie dislocate lungo via Cavour.

L’attesa è un momen-to fulminante, bellissi-mo. La coltivazione di

un’emozione che esplo-de poi alla sera con il passaggio dei Cavalieri di Santa Rosa mentre vanno a San Sisto per la benedizione in articolo mortis. Ma l’emozione più grande cresce quando è il “campanile che cam-mina” a sfilarti davanti.

Punto bellissimo per

l’attesa sono le fonta-ne. Si riempiono all’in-verosimile, sembrano quasi surreali. Eppoi gli striscioni: ‘Dateje Fac-chine!”; di solito è il più gettonato. Ma ce ne sono tantissimi, tutti quelli che la fantasia popolare di anno in anno riesce a generare.Buon’attesa

Già dalla mattina in moltissimiprendono posto lungo le strade

Tutta la città vive con emozioneFontane e gradinate prese letteralmente d’assalto

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FIORE DEL CIELO

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Ideata dall’architetto Arturo Vittori, fratello del noto astronauta Roberto, con il progetto architet-tonico di Andrea Voegler e l’apporto scenografico di Gianni Massironi, Fio-re del Cielo ha debuttato per la prima volta lo scor-so anno, sostituendo Ali di Luce, che ha chiusto con sei trasporti all’at-tivo. Mentre l’azienda che l’ha realizzata con componenti in acciaio è di Udine (si tratta della G.Engineering, vincitrice dell’applato della durata di cinque anni), c’è molto di viterbese per quanto riguarda le componenti artistiche: i leoni , le pal-me, le rose rosse e i nove angeli che accompagnano le eliche. Fiore del Cielo è alta circa trenta metri, pesa cinque tonnellate e la parte portante è compo-sta da un traliccio in ac-ciaio ed alluminio. Le altri parti sono realizzate con materiali come polistirolo, stucco, pittura ed acqua e tessuto trevira. I colori dominanti sono l’oro, il rosso, il verde e l’ocra, mentre per l’impianto di illuminazione sono utiliz-zate luci alogene, Led e candele. La macchina, una volta completata, risulta formata da una spirale che attraverso tre livelli si innalza verso il cielo. Il basamento richiama gli elementi architettonici dei quartieri medievali di Viterbo, come le scalina-te e le fontane, e quelli iconografici:i leoni e le palme. Sostiene tre gran-di fasce, o eliche, che si protendono in alto e al cui interno sono custoditi tre globi che, nelle intenzioni di Vittori evocano la San-ta: la presenza terrena, la forza della sua fede e l’ascensione. La statua di Santa Rosa si trova invece all’apice. Tra gli elementi più innovativi, in grado di meravigliare già lo scorso anno i viterbesi, ci sono circa mille candele a fiamma viva, ognuna delle quali è dotata di un legge-ro supporto in alluminio, oltre alle novecento rose raffigurate sulle grandi eliche che si slanciano verso la statua di Santa Rosa. Ma quest’anno, al secondo trasporto, Fiore del Cielo sarà ancora più luminosa (le candele infat-ti dureranno più a lungo). Qualche piccola modifica riguarderà poii colori, che saranno ritoccati al com-puter per rendere l’effetto più vivo. Sotto la Macchi-na, infine, saranno posi-zionati tre accelerometri che serviranno a studiare il “comportamento” della struttura durante il tra-sporto.

Rispetto al primo trasporto, l’illuminazione saràpotenziata e le mille candele dureranno più a lungo

Fiore del Cielo ancora più luminosaQualche piccolo modifi ca anche ai colori della Macchina

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L’INTERVISTA

A GRANZIERA

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Loris, a poche ore dal trasporto, come stai vivendo questa attesa?

Con molta emozione e con molto entu-siasmo. L’anno scorso in questi giorni non avevo ancora ben chiaro quello che potesse rappresentare il trasporto della Macchina. Questa volta sono perfettamente consapevo-le. La Macchina e Santa Rosa sono l’essenza di questa città. La macchina di Santa Rosa è una cosa fuori dagli schemi, diversa da tante tradizioni. Incredibile credo sia la parola che rende maggiormente il significato del traspor-to.

Durante la conferenza stampa dello scorso 27 agosto ha definito il trasporto della Macchina di Santa Rosa una delle esperienze più belle della sua vita..

E’ vero. Sia a livello professionale, ma so-prattutto umano. L’esperienza che sto vivendo qui a Viterbo è unica. Irripetibile.

Anche quest’anno la stiamo vedendo molto presente in occasione delle inizia-tive che precedono il grande appunta-mento del tre settembre...

Mi piace vivere questi giorni. Vivere nel senso di assorbire e soprattutto condividere questi momenti con i facchini e con tutte quel-le persone che ogni giorno lavorano affinchè la sera del 3 settembre la macchina e la festa siano perfette. Il contorno umano della mani-festazione è molto più bello dell’aspetto pura-mente tecnico e professionale. E poi mi piace molto condividere questa festa con la mia fa-miglia. Sia mia moglie Sofia, ma anche i miei figli Marinella e Gigi sono felici di far parte di questa affascinante e sentita tradizione.

E lo scorso 31 agosto un nuovo appun-tamento con le Penne sotto la Macchina..

Sì. C’è stata davvero molta gente. Come lo scorso anno, sia a San Sisto nei giorni prece-denti il trasporto, che sul sagrato della basi-lica di Santa Rosa in quelli successivi. Un’ot-tima occasione per consolidare il rapporto tra viterbesi, facchini di Santa Rosa e gaddetti ai lavori h.

Loris, nei giorni passati lei ha lanciato un’idea che sembra aver trovato ampio successo. Di cosa si tratta?

Quest’idea l’avevo già in mente nei mesi scorsi. Qualche settimana fa un episodio veri-ficatosi in città mi ha fatto gstringere i tempi h. Mi riferisco al forte vento che si è abbattuto e che ha interessato ancora una volta il pon-teggio che ospita e protegge la Macchina di Santa Rosa nei giorni che precedono il tre set-tembre. Un evento simile, tutti lo ricorderan-no, si era verificato nel 2007 con conseguenze molto più gravi rispetto a quanto avvenuto recentemente. Nei giorni scorsi si è comunque provveduto a irrigidire maggiormente la parte più esposta al vento dello stesso ponteggio. Il nostro intento è quello di realizzare un pro-getto definitivo per una struttura perfetta-mente sicura da utilizzare nei prossimi anni, ma allo stesso tempo, metterla a disposizione di chi verrà dopo di noi. E proprio su questo ruota la mia proposta condivisa da chi negli anni passati ha ricoperto il mio ruolo. Certo, questo progetto è ancora in una fase embrio-nale, ma ne ho voluto parlare pubblicamente in modo da avere tutti un impegno morale da assolvere quanto prima. E così, d’accordo con i precedenti costruttori, Contaldo Cesarini e Vincenzo Battaglioni, si vorrebbe costituire una realtà, che sia un’associazione, un comi-tato o qualcosa di simile, che possa rappresen-tare un riferimento discreto, ma presente e prezioso. Costruttori, ma anche addetti ai la-vori. Le persone con esperienza che da sempre lavorano alla realizzazione della Macchina di Santa Rosa come ad esempio Mauro Cappel-loni e Franco Piergentili, rappresentano delle importanti risorse umane.

Caterina Basili

A tu per tu con il costruttore di Fiore del Cielo “Loris Granziera”

“Un’esperienza unica e irripetibile”“La Macchina e Santa Rosa sono l’essenza di questa città”

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I FACCHINI

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DODICI nuovi ragazzi entrano a far parte della famiglia dei facchini di Santa Rosa. Il 2010 sarà un anno speciale per Gino Catarcini, Michele Oro, Alessandro Costan-tini, Riccardo Palma, Santino Dottori, Marcel-lo Pasqualini, Francesco Favetta, Andrea Rossi, Alessio Fiorillo, Omar Sabatini, Vincenzo Lor-rai, David Terzoli. Ma sarà un anno speciale anche per il capofacchino Sandro Rossi che vedrà per la prima volta il fi-glio Andrea sul percorso della Macchina insieme a tutti gli altri facchini.

“I nuovi facchini saranno tutti coinvolti nel tra-sporto – ha sottolineato Rossi -: tutti saranno impegnati nell’ultimo tratto. Tireranno le corde da piazza del Teatro fino alla basilica. In questi giorni, sia durante le quattro serate in piazza San Lorenzo sia in oc-casione delle cene tecni-che, hanno avuto modo di conoscersi meglio e di integrarsi con gli altri facchini. Il sodalizio ha bisogno di giovani e loro sono tutti ragazzi al di sotto dei 25 anni, eccetto un ragazzo di 34”.

Caterina Basili

Il più giovane dell’intera formazione è Andrea RossiFrancesco Favetta è invece il più anziano

Ecco i nuovi cavalieri di Santa RosaIl capofacchino: “Tutti saranno coinvolti nel trasporto”

Andrea Rossi, il facchino più giovane

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I FACCHINI

Viterbo è la città dei leoni. Sono scolpiti ovun-que: sui palazzi, sulle fontane, negli stemmi araldici. La sera del tre settembre i leoni di Viterbo, le migliori forze della città, portano in gloria Santa Rosa. Sono i facchini, il motore del-la Macchina. Cento leoni ogni sera del tre settem-bre, dalla notte dei tempi, portano a spalla il voto che lega tutta la città alla santa. La formazione è composta da diversi ruoli, andiamo a vederli.

I facchini che effettua-to un maggior numero di trasporti sono in genere posizionati sotto la base della Macchina e vengono chiamati “ciuffi”. Pren-dono il nome dal parti-colare copricapo in cuoio imbottito, utilizzato per proteggere la zona cervi-cale, su cui ricade il peso maggiore. Ai lati della base trovano posizione le così dette “spallette”. Il loro nome deriva dal ruo-lo di “spalla” che offrono alla Macchina. In pratica questa parte della for-

mazione ha il compito di sostenere la struttura ap-pogiandola sulla spalla e si distinguono in “spallet-te fisse” e “spallette ag-giuntive”. Queste ultime partecipano al trasporto solo nei tratti più larghi del percorso. Abbiamo poi le “stanghette”, che si trovano davanti e dietro la struttura e hanno l’im-portante ruolo di atte-nuare le oscillazioni, che hanno il nome specifico di “accollate”, della Macchi-na durante il trasporto.

C’è poi la parte della

squadra che dà il proprio sforzo nel momento più emozionante del traspor-to: l’arrivo della santa alla basilica. Si tratta de gli “addetti alle corde” e gli “addetti alle leve”. I primi tirano due lunghe funi agganciate nella par-te anteriore della Mac-china, gli altri spingono quattro leve posizionate dietro. Il compito di que-ste componenti consiste nel portare nuove forze a sostegno del gruppo e di sostenere la costruzione, spingendola in avanti

per far sì che rimanga stabile e che il peso sia distribuito equamente. Completano la squadra i “cavalletti”, gli addetti ai supporti in legno su cui la Macchina poggia durante le soste. Facchini hanno una divisa che indossano nell’ambito dei festeg-giamenti in onore di Santa Rosa e per qualche uscita pubblica, magari nell’ambito del volonta-riato. Essa è composta da: camicia bianca, pan-taloni bianchi alla zuava, calzettoni bianchi, scar-

poncini neri con stringhe, fazzoletto bianco legato in testa “alla pirata” e fa-scia rossa in vita;i colori hanno il un significato simbolico: il bianco indica la purezza, in onore della Santa e il rosso deve ri-portare alla mente l’abito cardinalizio dei primi uo-mini che trasportarono il santo Corpo. Il Capo Fac-chino e le guide hanno al contrario i pantaloni neri e una fascia con i colori di Viterbo (giallo e blu) a tracolla.

Rob. Pom.

Uno sguardo sui leoni che portano la Macchinae regalano un sogno alla città

Ciuffi , spallette, corde e leve Tutte le fi gure nella formazione del trasporto

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I FACCHINI

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Il Sodalizio Facchini di Santa Rosa si è costituito nel 1978 con il ricono-scimento del Comune di Viterbo che ne ha appro-vato lo statuto, concedendo una sede adeguata, posta in un antico palazzetto ristrutturato nel quartiere medievale di S. Pellegrino.Le ragioni che hanno porta-to alla sua costituzione sono molte e chiarite nell’artico-lo 2 dello Statuto: “Lo scopo del Sodalizio è quello di mantenere uniti i facchini di Santa Rosa in fraternità d’intenti per poter far si che il trasporto della Macchina di Santa Rosa avvenga in quello spirito di responsa-bilità, alla quale ognuno dei facchini deve sentirsi sem-pre impegnato fi sicamente e moralmente, per tenere sempre viva la tradizione ultra secolare che dà onore e vanto alla città di Viterbo. Il Sodalizio deve promuove-re altresì attività culturali, assistenziali, turistico - ri-creative, di mutuo soccor-so e morali in genere per affi atare maggiormente il proprio tessuto associativo.In tal senso è costituita anche la Polisportiva Sodalizio Facchini di Santa Rosa gestita con proprio regolamento”.La sua nascita ha permesso di migliorare l’organizza-zione dei compiti e delle responsabilità relativi al trasporto e programmare organicamente l’attività annuale, fi nalizzata alla preparazione delle festività in onore della Santa Patro-na e alla cura di tutti gli aspetti tecnici riguardanti il trasporto vero e proprio, dato che nell’arco di pochi anni, con l’introduzione di moderni sistemi di co-

struzione, la Macchina ha raddoppiato peso e altezza, e aumentato notevolmen-te il numero dei facchini. La selezione dei nuovi fac-chini attraverso la prova di portata è uno tra gli appuntamenti annuali più coinvolgenti per l’intera città. Un’apposita commis-sione, composta dal Pre-sidente del Sodalizio, dal Capo Facchino e dal resto del Consiglio Direttivo, si riunisce per valutare le prestazioni dei veterani e dei giovani aspiranti e defi nire la formazione per il trasporto annuale.Il Sodalizio inoltre, nel corso dell’anno dà vita ad attività interne volte a cementare lo spirito di gruppo e si occupa della partecipazione alle mani-festazioni pubbliche, pro-muovendo e collaborando a iniziative sociali e cultu-rali di carattere cittadino. Il riconoscimento formale del Sodalizio come entità collettiva ha permesso di migliorare e regolamenta-re i rapporti tra Facchini, Comune e Costruttore; è infatti divenuta indispen-sabile l’esigenza di lavo-rare alla realizzazione dell’evento attraverso principi di collaborazione reciproca e di comune in-teresse, sin dalla selezione dei bozzetti in concorso per i nuovi modelli di Macchina e alla decisione circa le eventuali innovazioni e gli adattamenti da applicare.Degne di attenzione sono le attività di gemellaggio con altre città che presen-tano tradizioni religiose e di folklore di particolare interesse (Gubbio 1982, S. Marino 1987, Assisi 1988, Pisa 1989, Nola 1990).

Il Sodalizio dei Facchini si è costituitonel 1978 con il riconoscimento del Comune

Quando nascono i Cavalieri di RosaLa sua nascita ha permesso di migliorare l’organizzazione dei compiti e le responsabilità del trasporto

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LA MINIMACCHINA

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Davvero uno spetta-colo la macchina portata a spalla dai Minifacchini di Santa Rosa. L’attesa dei tanti cittadini non è mai stata vana e i pic-coli leoni della macchina di San Giovanni così come quelli del Pilastro continuano a emozio-nare anno dopo anno i viterbesi.

Ormai la tradizione vuole che ad aprire le danze siano quelli del Pilastro. Il trasporto della Minimacchina nel popoloso quartiere pros-simo al centro storico si svolge da tradizione nell’ultima settimana di agosto.

Il quartiere è inte-ressato da una vera e propria festa, con tanto di fuochi d’artificio.

Bellissime immagini, grandissimo impegno e anche tanta devozione e sacrificio. I giovani leoni infatti hanno bisogno di allenamento e di prepa-razione per poter soste-nere la prova. Hanno bisogno soprattutto di disciplina per far sì che durante il trasporto pos-sa andare tutto liscio.

Stessa cosa per mini-facchini del centro sto-rico, quelli del trasporto che ha la sua “mossa” da piazza Dante, dalla chie-sa di San Giovanni.

Il ritiro dei mini-facchini inizia alle 14, appuntamento a piazza Dante, poi alle 21 via al trasporto, con i pic-coli tutti a sfilare con le mani intrecciate per far capire di essere una cosa sola, un unico corpo e un unico cuore simbolo del-la devozione cittadina.

Entrambe le mini-macchine sono seguitis-sime e applauditissime. Tanta devozione, tanta partecipazione di gente. Bellissima atmosfera per il trasporto del pri-mo settembre, quando il centro storico si riempie letteralmente. Gente di tutte le età si accalca lungo le vie e i brividi non mancano allo sfilare del baldacchino votivo che porta in cima la sta-tua della piccola Rosa.

Bellissimo il colpo d’occhio dei giovanissi-mi facchini che attra-versano le viuzze vestiti di bianco e di rosso e commevente risulta anche le emozioni di mamme, papà e nonni. I più grandi tifosi dei gio-vanissimi Cavalieri di Rosa. Le minimacchine di fatto hanno un ruolo importantissimo: quello di introdurre la città al momento più alto della festa: il trasporto del tre settembre.

Bellissimi ed emozionanti mentre sfi lanocon la piccola Rosa sulle spalle

La tradizione dei più piccoliDal Pilastro alla storica Minimacchina di San Giovanni

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LA MINIMACCHINA

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IL CORTEO

STORICO

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Il Corteo Storico che ogni anno il 2 settembre percorre, grazie anche al prezioso lavoro del co-mitato Pro Opere Santuario S. Rosa, le vie della città di Viterbo, rinnova l’antica usanza per la quale le autorità cittadine, insieme al clero, si recavano a rendere omaggio alla Santa patrona, così come stabilito con una delibera risalente al 1512 dal Consiglio dei Quaranta, in ricordo della traslazione del corpo di S. Rosa. Infatti, nel 1258 il pontefice Alessandro IV, dopo un sogno premonitore, con una solenne processione da lui presieduta insieme alla corte cardinali-zia, fece traslare nella Chiesa di S. Maria, dove attualmente sorge il santuario, il corpo della giovane Rosa, che dal 1251 giaceva incorrotto nella nuda terra presso la chiesetta di S. Maria in Poggio.

In ricordo di quell’evento cominciò ad affer-marsi la processione con inserito il trasporto di un baldacchino, che negli ultimi anni successivi prese il nome di “macchina”, assumendo forme e grandezze sempre più spettacolari. In seguito agli eventi luttuosi del 1801, causati dall’incen-dio della “macchina”, la processione religiosa, che fino ad allora precedeva il trasporto, si svolse separatamente. Dal 1921 viene portato in processione il cuore di S. Rosa prelevato dal corpo della Santa a seguito della ricognizione effettuata nello stesso anno e conservato ancora integro nel reliquiario donato da Papa Pio XI. E’ dal 1976 che grazie all’intuito ed alla sensibili-tà delle suore Clarisse, dell’architetto Alberto Stramaccioni di Orvieto in collaborazione con il comitato pro opere Santuario di Santa Rosa e con la modellista Olimpia Arcangeli, fecero il loro ingresso nella processione religiosa i primi personaggi in costume, che rappresentano le massime autorità della città insieme alle mi-lizie, che dal 1200 hanno sempre reso omaggio ed importanza all’evento della traslazione della piccola Santa concittadina. Con il trascorrere degli anni, il corteo si è arricchito, con l’ag-giunta di altri personaggi rappresentanti i vari secoli, fino al 1700. Il corteo è attualmente com-posto da circa 150 figuranti, che indossano co-stumi da podestà, capitano del popolo, governa-tore, notaio, comandante delle milizie, soldato e 130 bambine chiamate “Boccioli di S. Rosa”, che rievocano i legami tra i piccoli viterbesi di oggi e la loro Santa coetanea di ieri. Oggi i figuran-ti, tra Boccioli di S. Rosa, Rosine e istituzioni comunali, sono circa 300. Alla testa del corteo sono un gruppo di terziari francescani con un portacroce al centro, seguiti da un gruppo di Ro-sine con un saio grigio-violaceo, che portano ce-ste piene di rose e candele in omaggio alla San-ta Patrona di Viterbo. Le Rosine rappresentano la giovine figura di S. Rosa, e all’interno del corteo, separano i diversi secoli. Dagli anni del dopoguerra, la processione partiva dalla Chiesa di S. Rosa e vi ritornava, dopo aver percorso le vie principali della città. Oggi ha inizio dalla Cattedrale, dove il cuore dalla Santa rimane esposto alla venerazione dei fedeli fin dalla mattina del due settembre. Nel pomeriggio viene solennemente riportato al suo Santuario. Oggi, la manifestazione ha ormai assunto una dimensione tale da necessitare di una capillare organizzazione alle spalle, composta non solo dalle Clarisse, impegnate nella manutenzione degli abiti e in parte nella loro manifattura, ma anche da sarte, modelliste, parrucchiere, esperti della lavorazione in pelle e tutta una serie qualificata di collaboratori, molto ben coordinati tra di loro. E il colpo d’occhio, alla fine di tanto lavoro, è stupendo: la struttura e le fattezze della Città duecentesca costituiscono una perfetta scenografia per i personaggi, scelti dopo opportune selezioni, nei loro laboriosissimi abiti: ogni cosa è reale; il minimo particolare è rispettato nella ricostruzione saliente dei secoli che vanno dal ‘200 fino ai giorni nostri: spade, elmi, corazze sono stati ricreati da anziani artigiani con modalità antiche come l’uomo; i calzari, di pelli costose o di velluti pregiati, sono anch’essi frutto di mani abili in una specialità che va morendo; certosina la ricerca delle stoffe, per non creare discrepanze con il passato.

Il cuore della Santa viene portato tra i fedeliogni anno nel pomeriggio del due settembre

Il culto di Rosa nei secoli121 fi guranti sfi lano per le vie della città

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IL GIRODELLE

SETTE CHIESE

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Venerdì 3 Settembre 2010

Il pomeriggio del 3 settem-bre dopo essersi dati appunta-mento a piazza Verdi i facchini incominciano il “Giro delle set-te chiese”.

Piazza della Repubblica - Breve sosta al monumento al facchino,

Piazza del Plebiscito - La formazione visita la Chiesa di S. Angelo in Spatha.

Piazza S. Lorenzo - I fac-chini si fermano per rituale foto con le autorità e visitano il Duomo di San Lorenzo.

Piazza della Morte - La formazione rende omaggio a S. Giacinta Marescotti dove ricevono in dono una foglia con una spina posta al centro, colta da una pianta che la leggenda vuole sia fiorita nel punto in cui cadeva il sangue delle fla-gellazioni che si infliggeva la Santa.

Piazza S. Maria Nuova - I facchini visitano l’omonima chiesa

Piazza del Sacrario - Mo-mento di raccoglimento davan-ti al monumento dei Caduti. Inquesta occasione i facchini depongono una corona di alloro mentre la banda di Vejano suo-na il Silenzio.

Piazza della Trinità - In ono-re della Madonna Liberatrice i Facchini cantano “mira il tuo popolo”.

Piazza S. Francesco - I facchini rinnovano il patto d’amore con la piccola Santa che proprio Francesco d’Assisi si ispirò.

Chiesa Santa Rosa - La for-mazione rende omaggio alla patrona di Viterbo. Le suore Clarisse omaggiano i facchini di un’immagine benedetta del-la Santa.

Convento dei Cappuccini - I facchini, insieme ai familiari si recano presso il giardino del convento per una breve meren-da. Intorno alle 19 i Facchini raggiungono Porta della Verità.

Via Mazzini - I facchini visitano la chiesa della Cro-cetta, dove originariamente era stata sepolta Santa Rosa.

Largo Facchini di S. Rosa - I facchini salutano parenti ed amici e si dirigono ver-so la chiesa di San Sisto.

Piazza S. Sisto - All’interno della chiesa il Vescovo imparti-sce la benedizione “in articulo mortis”. La formazione al com-pleto esce sulla piazza dove il sindaco consegna la Macchina al costruttorem che a sua volta la consegna al Capofacchino.

Ecco come i Facchini si preparanoad affrontare il percorso

Tutti sotto braccio per le “sette chiese”Immagini indimenticabili come l’affetto della gente

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IL GIRODELLE

SETTE CHIESE

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LA BENEDIZIONE

IN ARTICULO MORTIS

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Sono loro il motore del-la Macchina. Loro il cuore pulsante di quel meravi-glioso campanile che, ogni anno, la sera del 3 set-tembre splende luminoso sulla Città dei Papi e nei cuori di tutti i viterbesi. La giornata dei Cavalie-ri di Santa Rosa inizia alle 14 in punto al teatro dell’Unione per l’incontro con le autorità cittadine. Un’oretta più tardi è la volta del tradizionale “Giro delle Sette chiese” da parte dei Facchini se-guiti da un lungo serpen-tone di fedeli. Alle 17,30 (anche 18), nel bosco di San Paolo dei Cappuccini si svolge il consueto ritiro dei Facchini, mentre per le vie del centro storico si alternano spettacoli di sbandieratori e bande musicali. Alle 20 via alla sfilata dei Facchini verso la cosiddetta “mossa”. Ed ecco, alle 20,45, nella chiesa di San Sisto, il ve-scovo Lorenzo Chiarinelli impartirà la cosiddetta benedizione in articulo mortis. Alle 21 è la sua ora: quella della Macchi-na. Quella di Santa Rosa, che sfilerà per le vie del centro partendo da Por-ta Romana. Il percorso è lungo un chilometro e le soste previste sono cinque. L’ultima a Piazza Verdi, prima dell’ultima fatica: quella lunga sali-ta che riporta la Rosa di Viterbo nella sua casa, adagiandola sul sagrato della chiesa che porta il suo nome.

LA PREGHIERADEL FACCHINO.

Rosa, profumatissimo e vivido fiore sbocciato dal-la grigia pietra viterbese, virtuoso esempio di pro-fondo amore nel breve corso della tua stagione, cuci su questo mio bianco vestito il niveo candore della tua purezza, illu-mina con la tua invitta fede le ombre e le luci di questa notte. Beata Rosa, colora questa fascia che mi cinge stretta la vita del rosso sangue del tuo cuore immenso, infondi in me tutta la forza per compiere l’impresa che mi aspetta, rivolgimi il tuo sguardomisericordioso e purifica la mia anima dal peccato con ogni goccia del mio sudore, Santa Rosa, sostieni questo impetuoso fiume bianco di uomini devoti fino al raggiungi-mento della meta, gioisci della nostra salda unione e di quella dell’intera tua città, simbolo per una not-te di un messaggio di for-za, di volontà e di fede per un futuro di speranzam di solidarietà e pace”.

La giornata dei Facchini inizia alle 14al teatro dell’Unione con le autorità cittadine

Un patto d’amore che si rinnova ogni annoE alle 21 è l’ora della “mossa” verso i cuori dei viterbesi

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LA CONTESA

Era il 1243 quando lo stato pontificio e il Sacro Romano Impero Germanico si al-ternavano alla guida della città di Viterbo. Le due figure del papa Innocenzo IV e dell’imperatore Federico II si contrappon-gono, assicurando la protezione degli am-ministratori dei centri abitati che si schie-rano con uno di loro. Nei numerosi viaggi da Nord verso la terra natia della Sicilia, per l’imperatore Federico II, Viterbo rap-presenta una tappa ed una base impor-tante per dar slancio agli attacchi contro la città di Roma in cui risiede il Papa. In quel periodo, le contrapposizioni e le di-verse interpretazioni dei fondamenti etici e morali, misero in discussione la stabi-lità della Chiesa temporale. Nella stessa Viterbo si susseguirono lotte e fazioni in cui Guelfi e Ghibellini si contesero il re-lativo e temporaneo possesso della città. Sono questi gli anni dell’eresia dei Catari o Patarini che a Viterbo ebbero numerosi seguaci, che condizionando in parte gli eventi politici nel governo della città, eb-bero grande importanza nel panorama po-litico. Siamo all’inizio del secolo XIII dove le grandi figure religiose coinvolsero la terra di Tuscia: S. Francesco d’Assisi, San Bonaventura e ancor più specificatamen-te S. Rosa di Viterbo. In questo contesto storico si vuole ricordare l’atto finale in cui lo spirito di indipendenza della Città di Viterbo si dimostrò in tutta la sua pie-nezza, e tra storia e leggenda si narrano numerosi episodi gloriosi e di altri che, pur non sapendo i nomi dei protagonisti, ebbero comunque un ruolo di vitale impor-tanza. Il 10 novembre 1243, era un marte-dì, terminò il lungo assedio che stringeva la città contro i ripetuti attacchi delle soldataglie al comando dei luogotenenti di Federico II. Le truppe che attaccavano, tra Porta S. Lucia e Porta del Carmine, non riuscivano a superare le difese dei viterbe-si. Nella valle di Faul, dove mancavano le mura, era stato scavato un ampio fossato con un’alta palizzata che chiudeva l’unica parte della città che fosse indifesa. Sulle torri anche la popolazione civile combat-teva insieme ai soldati. Le donne, oltre a prestare soccorso ai feriti e a portar rifor-nimento come cibo e materiali d’assalto, a loro volta si cimentavano in veri propri duelli contro chi riusciva a raggiungere la cima degli spalti dopo aver superato il fos-sato. La leggenda narra che una di esse, scavalcata tutta inerme la fossa, vibrò con un tal impeto una pietra sulla testa di un soldato teutonico che feritolo, gli strappò a forza l’elmo dal capo e dopo averlo mes-so sulla sua fronte tornò trionfante tra i suoi. Ma un misterioso evento portò lo scompiglio tra le file degli assalitori. Il campo nemico venne incendiato grazie ad alcuni ardimentosi che attraverso dei cu-nicoli, scavati anzitempo, poterono adden-trarsi alle spalle degli assalitori e averla vinta sui pochi soldati rimasti a guardia. Le alte fiamme che subito si levarono tra le tende distrussero in breve gli alloggia-menti e i soldati, che temendo un attacco alle spalle, si dettero ad una precipitosa fuga. I viterbesi assediati, ruppero l’as-sedio e distrussero sia le macchine da guerra, compresa la famosa maristalla (o maristella), una struttura su ruote che poteva contenere trenta guerrieri che gli ostacoli a loro opposti. Lo stesso Federico II, nonostante il suo ardimento e le minac-ce profuse per ricondurre i suoi soldati a combattere, vide il dileguarsi delle sue truppe facendo svanire così la vittoria che credeva già fosse sua. Il 5 settembre , per le vie di San Pellegrino e in piazza San lorenzo ci sarà la rievocazione storica del-l’evento, con la partecipazione di oltre 100 figuranti in costume dell’epoca.

Pietro Bevilacqua

Guelfi e Ghibellini raccontano la Viterbo che fu

Tutta la magia della “Contesa”Il Medioevo riprende vita attraverso il teatro

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L’ESILIO

Viterbo è coinvolta in una crisi fra la San-ta Sede e Federico II . La città viene occu-pata dall’imperatore nel 1240 e nel 1247 si è inginocchiata a Lui accettandolo come so-vrano. In questo drammatico contesto,Rosa inizia una sua azione personale per raffor-zare la fede cattolica, contro l’opera di alcu-ni gruppi del dissenso religioso, nella città dove comandano i ghibellini, ligi all’impera-tore e nemici del papa. La sua è un’inizia-tiva spirituale, ma è collegata alla pesante situazione politica. Per questo, il podestà manda Rosa e famiglia in domicilio coatto a Soriano del Cimino poi a Vitorchiano. Rien-trò in città dopo la morte dell’imperatore Federico II,. Un breve esilio, perché nel 1250 Viterbo passa nuovamente alla Chiesa ma la sua salute peggiorò ulteriormente,tanto che morì il 6 Marzo del 1251. A ricordo di quest’evento ogni anni viene organizzato, un cammino-pellegrinaggio storico religioso che ha lo scopo di rievocare l’esilio di Santa Rosa iniziato, secondo le fonti storiche più autorevoli (descritto anche sulla Vita I), il 4 dicembre 1250 e conclusosi nei primi giorni del gennaio successivo. La manifestazione si articola in 3 giorni di cammino per 54 km di percorrenza con assistenza di una guida naturalistica e di un padre spirituale.

Il percorso, quasi interamente all’in-terno dei boschi, sui sentieri dei Monti Cimini, molto verosimile a quello che ha compiuto Santa Rosa, e si snoda per Via della Palanzana, proseguendo per Strada Costa Volpara, Strada Piscine, Sorgente dell’Acquaspasa, Roccaltia, La Trinità, fino a Soriano nel Cimino. Un percorso di 24 km circa, con sosta per il pranzo all’aperto presso la Sorgente Acquaspasa. Un pran-zo semplice e tipico, secondo le abitudini medioevali (pane, zuppa, carne, formaggio, uova ecc.), per proseguire e per poi arri-vare a Soriano nel Cimino . Il percorso è straordinariamente immerso nel verde, tra querce e faggi, in equilibrio biologico con la fauna, luogo ideale per spunti e riflessioni naturalistiche e spirituali. Non mancano, ovviamente, anche attrazioni di tipo storico artistico (chiesa della SS. Trinità all’inter-no del bosco, antiche fontane scavate nella pietra, romitori ecc.). Il giorno successivo si riprende la marcia all’interno dei boschi e lungo le strade bianche interpoderali che conducono a Vitorchiano attraversando i luoghi La Trinità, Roccaltia, Pian di Cilia-no, Santa Lucia, Castello di Fratta, località Il Santarello, zona archeologica di Corvia-no, San Michele fino ad arrivare in Vitor-chiano. L’ultimo giorno è la giornata del rientro, dopo la messa nella cappella delle suore trappiste, si tornerà a Viterbo passan-do da La Quercia. Questa iniziativa è ormai diventata un’appuntamento turistico-reli-gioso. Un ritorno alla dimensione umana, utile per comprendere il sacrificio che fece Santa Rosa, malata d’agenesia congenita dello sterno in questi 54 km effettuati in pochi giorni, circa due mesi prima della sua morte, avvenuta il 6 marzo 1251. Un’inizia-tiva utile, oggi più che mai, per riavvicinare i giovani alla natura, alla semplicità se-condo lo stile francescano. Molti gli spunti per le riflessioni: secondo le fonti storiche, infatti, durante il percorso Viterbo-Soriano, Santa Rosa predisse la morte di Federico II di Svevia (alla vigilia di San Nicola), si riparò poi nel paese presso la cosiddetta “Cuna”, evangelizzò gli abitanti delle cam-pagne tra Soriano, Vitorchiano e Viterbo (in Vitorchiano guarì la cieca Delicata e sfidò l’eretica con la prova del fuoco). Un pro-getto importante questo rivivere l’esilio di Santa Rosa, progetto che ha già ottenuto il patrocinio della Gioventù Francescana del Lazio, del Servizio Provinciale di Pastorale Giovanile di Roma, delle Sorelle Clarisse di Santa Rosa.

Pietro Bevilacqua

L’amore eterno della Santa per la sua cittàrimase immutato anche nel dolore

Sulle vie dell’EsilioLa storia di Rosa da Soriano a Vitorchiano

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DIETRO

LE QUINTE Basta con le polemiche: un meritatoplauso a tutto lo staff della Macchina

Grazie agli “artisti” di Fiore del CieloEcco chi ha permesso alla Macchina di splendere sulla cittàNON si può negare,

tanto è percettibile nel-l’aria, che ogni nuova Macchina di Santa Rosa abbia una propria tifo-seria, così come unisce i delusi per la scelta effet-tuata dalla Commissione incaricata di scegliere il miglior bozzetto parteci-pante al concorso. Tranne alcuni modelli che in pas-sato hanno unito tutti, ma proprio tutti i Viterbesi, come nel caso di “Volo d’Angeli” di Giuseppe Zucchi, è lecito e normale che ci siano giudizi di-versi quando questi sono dettati da gusti personali, così come da un radicato attaccamento allo stile re-trò, specie per le persone che hanno convissuto per molti anni con Macchine di Santa Rosa dalle linee classiche, oppure che nutrono una naturale re-pulsione alle innovazioni. Quanti, ancora oggi, odia-no il computer e rimpian-

gono la vecchia macchina per scrivere con la mitica carta carbone ed i fogli di vergatina? Rispettiamoli, ma andiamo avanti.

Meno intelligente e me-schina, invece, è la critica negativa dettata da fat-tori altrettanto ignobili come l’invidia, la gelosia, l’antipatia o chissà quale altro movente possa sol-lecitare atteggiamenti di sfida, capaci di strumen-talizzare un simbolo nato come pura esaltazione della Fede popolare per la Santa cittadina. L’inno-vazione del modello della Macchina di Santa Rosa, che avviene in condizioni normali ogni cinque anni, dovrebbe o potrebbe sim-boleggiare, al tempo stes-so, un rinnovamento della Fede e della devozione alla Santa, attraverso la novità, la freschezza del progetto e l’impegno uma-no di quanti si cimentano con professionalità, pas-

sione, ma soprattutto, onestà e devozione, per contribuire ad allestire un cerimoniale dedicato tutto a Santa Rosa, e non al protagonismo di quei pochi che confondono una città con casa propria, la comunità per la propria parentela, la devozione con l’esibizionismo.

E con vero spirito di

riconoscenza e ammi-razione, desideriamo rivolgere il nostro plauso agli artisti raffigurati in questa pagina, foto-grafati lo scorso anno mentre erano intenti, nel capannone in Strada Tuscanese, a realizzare le parti che da lì a pochi giorni avrebbero dato il via, con successo, a Fio-

redelCielo. Un progetto innovativo, coraggioso e tecnologico, realizzato dagli architetti Arturo Vittori e Andreas Vogler che, come non mai prima d’ora, è stato presentato e conosciuto ben oltre i confini nazionali, portan-do prestigio alla stessa città di Viterbo.

Maurizio Pinna

Pascal Bauer

Sara Donati

Massimo Boninsegni e Loris Granziera

Giampaolo Andreoli

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32 SPECIALE SANTA ROSA Nuovo Viterbo Oggi

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DIETRO

LE QUINTE

Elisabetta Gnignera

Massimo Boninsegni Gianni Massironi

Silvia Fiocchetti Amedeo Santucci Paolo Carvone

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DIETRO

LE QUINTE

Arturo Vittori Andreas Vogler

Il team

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SPECIALE SANTA ROSASpeciale a cura di:

Eva Kant e Roberto Pomi

Servizi di: Roberto Pomi,Pietro BevilacquaMaurizio Pinna,

Caterina Basili, Eva Kant,Glauco Antoniacci

Foto di archivio: Alberto Za-dro, Maurizio Di Giovancarlo,

Luca Appia, Efrem Appia,Maurizio Pinna