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Nuovi muri in Europa e nel mondo: dove vanno la Nato e la Ue? Vincenzo Camporini Giampaolo Di Paola Enrico Letta Tommaso Padoa-Schioppa

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Piazza S. Andrea della Valle 6, Romatel. ⁄ ⁄ ⁄ ��telefax www.arel.it [email protected]

in copertina: foto di Pietro Guglielmino, Ap e autori variresponsabile delle pubblicazioni: Mariantonietta Colimbertigrafica: Attilio Baghino

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ENRICO LETTA

Oggi è un giorno significativo per la vita dell’Arel, che haorganizzato un dibattito sull’ultimo numero della rivistafondata da Nino Andreatta nel 1985, che da alcuni anni, sottoil coordinamento di Mariantonietta Colimberti, ha intrapresouna strada innovativa: quella di scegliere ogni volta una parolaintorno alla quale discutere e far discutere, affrontandol’argomento da diversi punti di vista.Il nuovo corso della rivista, iniziato con la parola Libano, è

proseguito con Immigrazione e poi con Città. Gli ultimi duenumeri hanno suscitato discussioni particolarmenteinteressanti. La prima, che traeva spunto dal numero intitolatoConfini, ha visto una relazione dello scienziato EdoardoBoncinelli alla presenza del Premio Nobel Rita Levi

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Montalcini; la seconda, nata dal numero Crisi, si è incentrataattorno all’intervento del presidente emerito della Cortecostituzionale Giovanni Maria Flick.Il numero che presentiamo oggi – Muri – affronta da diversi

punti di vista una parola molto evocativa, soprattutto inquesto ventennale. Vorrei segnalare tre interviste particolarmente

significative: quelle con Tommaso Padoa-Schioppa, con ilCardinale Carlo Maria Martini e con Giovanni Bollea.Queste tre interviste declinano la parola “muri”attraversouna poliedricità e una interdisciplinarietà assai impegnative.Segnalo, tra l’altro, che il grande neuropsichiatra Bolleaparla anche di Nino Andreatta, al quale era legato da unrapporto di amicizia.Del resto, oggi abbiamo il grande privilegio di ospitare qui

all’Arel, insieme a tanti amici, due illustri oratori e due grandiamici di Nino Andreatta: Giampaolo Di Paola e TommasoPadoa-Schioppa, ai quali abbiamo chiesto di esprimere il loropunto di vista su vari argomenti, in particolare sul tema delfuturo della Nato e dell’Europa, a partire proprio dalla

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riflessione sulla parola “muri”. In fondo, la caduta del muro diBerlino è stata una svolta sia per la Nato che per l’Unioneeuropea. Tommaso Padoa-Schioppa, nell’intervista di apertura della

rivista, dichiara che la caduta del Muro è stata un propellentefondamentale per la nascita dell’Unione economica emonetaria, della moneta unica soprattutto.All’ammiraglio Di Paola abbiamo chiesto di centrare la sua

attenzione sul futuro dell’Organizzazione al cui vertice oggiegli si trova.In particolare, abbiamo chiesto ai due ospiti di fare qualche

riflessione in più sulle questioni legate ai “futuri” muri, ainuovi muri che stanno sorgendo, a come prevenire la creazionedi ulteriori muri, sia all’interno dello scacchiere geostrategico,sia all’interno dell’Unione europea.Desidero ora raccontarvi un ricordo personale. Nel gennaio

1990, a pochi giorni quindi dalla caduta del muro di Berlino,Nino Andreatta mi sottopose a una sorta di esame per capire sepotevo lavorare all’Arel e mi chiese come vedevo, da giovanestudente di diritto internazionale quale io ero, il futuro

AREL le conversazioni Enrico Letta

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dell’Europa dopo la caduta del Muro. Risposi che secondo mela Nato non aveva più alcun ruolo da svolgere. Andreatta michiese di argomentare questa affermazione, cosa checertamente feci in modo maldestro. Alla fine del colloquio midisse che non era assolutamente d’accordo con quanto avevoaffermato. Io pensai che con ciò si fosse chiusa la possibilità dilavorare all’Arel.Come Andreatta aveva previsto, l’Alleanza atlantica da

vent’anni vive ancora e svolge il suo compito in modo egregioe noi oggi siamo qui con l’ammiraglio Di Paola, la cui presenzaal vertice dell’Alleanza ci inorgoglisce tutti.L’ammiraglio Di Paola e il presidente del Financial Stability

Board, Mario Draghi, sono le due personalità italiane chehanno oggi incarichi molto importanti nel mondo. Siamoorgogliosi di ciò e del fatto che una di queste due importantipersonalità sia un militare; da un po’ di tempo, infatti, l’Italiasembra perdere colpi sugli scenari internazionali. A maggiorragione, allora, ritengo che sia motivo di orgoglio laconstatazione ormai diffusa che uno dei punti fermi dellacrescita della buona immagine italiana nel mondo, almeno

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negli ultimi dieci-quindici anni, è proprio la presenza dellenostre Forze Armate.Sono veramente grato a tutti voi e do subito la parola

all’ammiraglio Di Paola.

AREL le conversazioni Enrico Letta

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GIAMPAOLO DI PAOLA

L’Alleanza atlantica, insieme al Patto di Varsavia, si ècaratterizzata per essere proprio come l’immagine di un muro.Da una parte eravamo lì per difendere il muro e dall’altra parteeravamo lì per sgretolare quel muro: l’Alleanza atlantica hacertamente avuto un ruolo fondamentale per creare lecondizioni che hanno portato alla caduta del muro di Berlino.Ma dopo la caduta di quel muro, si è sviluppata un’azione

di prevenzione del risorgere di nuovi muri: l’Alleanza atlanticaha fatto in realtà una scelta fondamentale, cioè di aprirsi versoaltri paesi, soprattutto sotto la forte spintadell’Amministrazione americana degli anni Novanta e con ilcontributo di vari paesi europei dell’Alleanza. La Nato si èmossa verso l’esterno creando gli strumenti fondamentali di

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partenariato: in effetti essa non solo si è allargata a nuovimembri (non è necessariamente questo l’elemento piùsignificativo), ma soprattutto ha svolto una politica di aperturadi partenariato verso la Russia, il Mediterraneo, l’Asia, iBalcani. Insomma, un’azione che ha voluto andare oltre ilconcetto di muro, tentando di prevenirne la rinascita, oalmeno di limitare il sorgere dei nuovi che si sono venutisviluppando.Questa è la caratteristica fondamentale della Nato, che si è

così evoluta andando nella direzione dell’apertura.Alcuni giorni fa a Bruxelles c’è stata una riunione del

Comitato militare, da me presieduta, in sessione con i Capi diStato Maggiore. Tradizionalmente si tratta di una riunione fragli alleati; questa volta c’erano 63 Capi di Stato Maggiore, manon ci sono 63 paesi nell’Alleanza. Ci siamo riuniti in variformati in 63 nazioni; a dimostrazione di questa politica diapertura, c’erano i paesi dell’Alleanza, i paesi che insiemeall’Alleanza sono in Kossovo, i paesi che insieme all’Alleanzasono in Isaf, i paesi del partenariato euroatlantico, i paesi deldialogo mediterraneo. Esiste, poi, il dialogo nei confronti dei

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paesi del Golfo, la cooperativa di Instabul. Insomma, 63 paesiche danno la dimensione del cuore dell’iniziativa dell’Alleanza,così come la politica di partenariato. Per noi, che siamo unpaese del Mediterraneo, il dialogo mediterraneo stentamaggiormente perché i paesi nell’altra sponda hanno problemiculturali, sociali nell’approccio verso di noi. Lì esistonoveramente dei muri che devono essere abbattuti; infatti,quando si parla di dialogo mediterraneo, così come dipartenariato mediterraneo dell’Unione europea, le cose nonprogrediscono altrettanto facilmente come in altri formati dipartenariato. Ma l’impegno, sia da parte della Nato con lacreazione del dialogo mediterraneo, sia dell’Unione europeacon la creazione dell’Unione per il Mediterraneo, rappresentaproprio lo sforzo compiuto per abbattere questi muri. Ci vuolepazienza strategica e nel tempo questi muri si eroderanno. Nonsarà una caduta come il muro di Berlino, ma sarà un’erosione.In questo senso, è particolarmente significativo il processo

del nuovo concetto strategico che l’Alleanza atlantica in questomomento sta intraprendendo, forse il più importante processodi policy dal 1989.

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Sono due le cose importanti: la nuova definizione diconcetto strategico, che indica un “nuovo” concetto strategico,non la revisione del concetto strategico elaborato dall’Alleanzanel 1999. Con questo termine si è voluto indicare che siintendeva fare una riflessione ex novo, partendo da zero eriflettendo in modo nuovo sul senso e sul valore dell’Alleanzanel futuro. La seconda cosa importante è che per la prima volta questo

processo non è stato affidato alle burocrazie militari odiplomatiche dell’Alleanza, bensì al segretario generale dellaNato, che presenterà la propria proposta alle Nazioniavvalendosi nel lavoro preparatorio delle riflessioni di ungruppo esterno di esperti. Il gruppo di esperti è sotto ladirezione di Madeleine Albright, l’ex segretario di Stato degliStati Uniti al tempo di Clinton, uno degli artefici dellepolitiche dell’open door policy degli anni Novanta.Il vice di Madeleine Albright è Jerome van der Veer, che è

stato amministratore delegato della Shell olandese. Per l’Italiac’è l’ambasciatore Aragona; curiosamente, per un’Alleanza chefa dell’elemento militare la sua essenza, in questo gruppo di

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riflessione non c’è nemmeno un militare, questo a confermadella novità dell’approccio, essenzialmente politico.Si tratta di un forte simbolo, il documento vuole essere

politico, deve tracciare l’orientazione strategica dell’Alleanzaper i prossimi dieci-quindici anni, non deve essere undocumento tecnico, ma deve avere una forte valenza strategicaper i cittadini dei paesi alleati e anche per i cittadini dei paesinon alleati. Il documento dovrà comunicare quale sarà ilruolo dell’Alleanza nel nuovo futuro che si caratterizza comeuna nuova rivoluzione portata dalla globalizzazione. In effetti,la globalizzazione ha generato una rivoluzione copernicana nelmondo in tutte le aree, compresa quella della sicurezza. Inrealtà, ci troviamo in una situazione in cui i rischi, le minaccesono globali, non hanno frontiere. Le frontierefondamentalmente non hanno minacce, praticamente si trattadi una realtà completamente diversa da quella del secoloscorso, in cui le frontiere erano minacciate. Le sfide sonoglobali, le più pericolose sono quelle del terrorismo esoprattutto quelle provenienti dalla possibilità di unterrorismo nucleare, la combinazione, cioè, dell’elemento

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terroristico con le armi di distruzione di massa. Sui temi dellasicurezza incidono queste questioni, come incidono i grandicambiamenti sociali, anche quelli climatici.C’è, insomma, uno scenario strategico che non si

caratterizza più con un nemico alle frontiere, quindi la Natodeve chiedersi qual è il suo ruolo e quale contributo può dare.Il concetto strategico si sta sviluppando ora: siamo in una

fase di riflessione. Ma una prima riflessione da fare è che laglobalizzazione e la sicurezza determinano un continuum trasicurezza e difesa. La difesa del territorio, che rimane un valorefondante, in realtà oggi è legata in continuum con la sicurezza:oggi la difesa, la sicurezza si conseguono anche con gli impegniesterni.Siamo in Afghanistan insieme alla comunità internazionale

perché c’è il riconoscimento che il problema afghano ha riflessisulla nostra sicurezza interna. E quindi è bene cercare dicontribuire a risolvere i problemi fuori prima che essi arrivinoa casa. E se osserviamo bene, la politica del partenariato è unapolitica attiva che cerca di prevenire la crescita di nuoveminacce e di contenerle prima che esse diventino un problema

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vitale per il nostro territorio. Quindi, in questa dimensioneglobale della sicurezza la Nato non ha più confini, il che nonvuol dire che la Nato si pone come una organizzazione globalee mondiale che andrà dappertutto, ma certamente andràladdove collettivamente ci sarà un consenso sulla sua missione. L’Alleanza è un’organizzazione importante in un mondo

globalizzato che di fatto non ha dei limiti geografici. Diecianni fa nessuno avrebbe pensato di andare in Afghanistan, cosìcome prima della caduta del muro di Berlino nessuno pensavache si andasse nei Balcani. I Balcani oggi non vengononemmeno considerati come un teatro esterno, fanno parte delgrosso processo di stabilizzazione della realtà europea.Proprio a proposito di muri, mentre si parla di progressiva

integrazione della realtà euro-atlantica, constatiamo invece chenei Balcani ci sono ancora tanti muri. Sono forti le pulsioninazionalistiche che tuttora si manifestano: pulsioni cherichiedono all’Unione europea e all’Alleanza atlantica dicontinuare ad essere presenti attivamente e con pazienzastrategica, per portare i tasselli del mosaico balcanico al loroposto nell’area atlantica.

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Da questo punto di vista, c’è una consapevolezza di umiltà.Mentre prima, soprattutto nella difesa, l’Alleanza atlanticaaveva una sua autonomia, oggi vi è la consapevolezza che laNato è un’organizzazione internazionale che deve non soloconvivere ma cercare uno stretto coordinamento con le altregrandi organizzazioni internazionali: la Nato ha un rapportostrutturale con l’Onu, ma ha un rapporto fondamentale conl’Unione europea.E forse oggi, se esiste ancora un muro, è proprio quello tra

la Nato e l’Unione europea, in quanto ancora non c’è unrapporto istituzionale, strutturato. E questo è un punto deboledell’Occidente perché l’Unione europea e l’Alleanza atlanticasono l’espressione del rapporto con gli Stati Uniti; sarebbequindi un errore fondamentale recidere questo rapporto. Maoggi la necessità di un rapporto istituzionale strutturato traAlleanza atlantica e Unione europea dipende proprio dai muriche ancora esistono e che si chiamano Turchia, Grecia, Cipro.Questi muri vanno abbattuti.Io mi aspetto che il concetto strategico faccia del rapporto

Nato-Unione europea un rapporto forte, che quando sarà

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recepito ai massimi livelli diventi un’orientazione strategicadell’Alleanza. Forse l’unico muro che non va abbattuto èquello dei valori in cui crediamo e che l’Alleanza atlantica el’Unione europea rappresentano: i valori della libertà, i valoridi una società liberale, di democrazia e dei diritti dell’uomo.Questi sono i valori che dobbiamo sempre difendere esostenere. In questo sta la vera essenza dell’Alleanza atlantica.

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TOMMASO PADOA-SCHIOPPA

Mi è impossibile essere qui all’Arel e non pensare a NinoAndreatta, a quello che ha rappresentato per me, a quello che harappresentato per l’Italia, all’enorme bisogno che ci sarebbe dilui in questo momento. Il mio campo principale diconversazione con lui non erano le questioni militari, né lapolitica internazionale, bensì le questioni economiche emonetarie e l’Europa. Le parole che dirò oggi, dunque, sarannoincentrate sull’Unione europea e non sulla Nato. Tuttavia, comegià accennato dall’ammiraglio Di Paola, tra questi campi ci sonoconnessioni molto forti e muri ancora da abbattere. Ricordo chea Nino Andreatta piaceva, nella discussione, più dar torto a sestesso che al suo interlocutore. Era una delle sue inestimabiliqualità: il suo desiderio di capire meglio, di rimettere in

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questione quello che aveva pensato fino a quel momento, erapiù forte del desiderio di prevalere sull’interlocutore.Alcune settimane fa ho invitato l’ammiraglio Di Paola a

parlare a Parigi alla riunione annuale del Comitato diorientamento di Notre Europe, il centro di ricerca fondato ametà degli anni Novanta da Jacques Delors. L’uditorio eracomposto da personalità eminenti della politica europea. Miha colpito, in quell’occasione, quanto la sua presentazionedelle problematiche Nato, svolta con grande chiarezza e inchiave fortemente europea, si sia scontrata conl’antiamericanismo di maniera, con l’idea che se le cose nonvanno bene è perché gli americani impongono la loroegemonia all’Alleanza atlantica. Invano l’ammiraglio Di Paolaspiegava che questa egemonia non ha nulla di ineluttabileperché su 28 membri della Nato, 26 sono europei. Esisteancora un muro, soprattutto nelle nostre menti.Desidero iniziare dalla interpretazione dell’anniversario della

caduta del muro di Berlino del 1989 che ho espostonell’intervista di apertura dell’ultimo numero della rivistadell’Arel: vi affermo che il 1989 è stato sì per l’Europa un

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passaggio fondamentale che ha portato all’euro, ma è statoanche un’occasione mancata. Ed è su quest’ultima che mivoglio soffermare. Nella mia esperienza, il 1989 ha colto completamente di

sorpresa le persone impegnate nelle funzioni in cui io stessoero impegnato. Ricordo una colazione avuta nell’autunno del1989 con Jean-Claude Trichet, allora direttore del Tesorofrancese; Elisabeth Guigou, allora consigliere di Mitterrand epresidente del gruppo incaricato di fare il passaggio dalrapporto Delors alla convocazione di una conferenzaintergovernativa; Pierre de Boissieu, ora Segretario generale delConsiglio e allora principale consigliere del ministro degliEsteri francese Roland Dumas. Tutti, all’unisono, ritenevanoche una cosa fosse certa: mai avrebbero visto, nella loro vita, lariunificazione della Germania. Anche il presidente dellaRepubblica francese fu colto di sorpresa. L’evento colse tutti di sorpresa. Si deve alla grandezza di

Bush padre e di Gorbaciov – oltre che, beninteso, di Kohl – se,nonostante la sorpresa, si seppe governare efficacemente quelprocesso.

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Nello stesso tempo si è affermata l’idea che senza il 1989non si sarebbe mai arrivati all’euro. Forse è vero, ma occorrericordare che il progetto dell’euro era stato avviato ben prima;quando vennero il 1989 e poi la riunificazione della Germaniac’era già stato il Rapporto Delors; i capi di Stato e di governoeuropei avevano già deciso di rilanciare il tema dell’unionemonetaria. Non avrebbero mai potuto improvvisare in quelmomento l’iniziativa della moneta unica come risposta a ciòche stava accadendo. In altri campi, invece, l’occasione fu mancata. Se nel 1989

l’Unione europea fosse stata del tutto compiuta secondo leintenzioni di chi l’aveva fondata, se dunque fosse statarealizzata anche nel campo della sicurezza e delle relazioniinternazionali, sarebbe stata l’Unione europea stessa a dare lasicurezza della difesa ai paesi che uscivano dal blocco sovietico.Ci sarebbe stato un ingresso nell’Unione dei paesi del CentroEuropa altrettanto immediato di quello dei Länder tedesco-orientali nella Repubblica Federale di Germania. Per queiLänder non ci furono fasi preparatorie, non ci fu il lungocammino di negoziati, di qualificazione, di preparazione per

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soddisfare criteri di ingresso; bastò il voto, l’andata alle urnedegli abitanti dei Länder della Germania orientale. Tutto illungo processo di trasformazione di un sistema economico,giuridico e istituzionale di un paese che per decenni avevaoperato in un regime completamente diverso, si svolse dopol’ingresso nella Repubblica federale e non come condizione perl’ingresso.Un altro modo di vedere l’occasione mancata è quello di

guardare alla caduta del muro di Berlino come alla fine di unaguerra mondiale, la terza del secolo, che fu “fredda” anzichécombattuta, e di confrontare il modo in cui il dopoguerra fugovernato dalle potenze vincitrici con quello delle precedentidue guerre mondiali. Un esempio infelice fu il Trattato diVersailles, un esempio riuscito fu il disegno di un ordinemondiale per il secondo dopoguerra, disegno impostato nellaprima metà degli anni Quaranta, mentre i combattimentierano ancora in corso.A mio avviso, la similitudine con Versailles è – purtroppo –

più calzante della similitudine con il “dopo” della secondaguerra mondiale.

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Versailles fu solo in piccola parte il disegno di un nuovoordine mondiale e nella misura in cui lo fu, quel disegno nonsi realizzò perché venne bocciato dagli Stati Uniti; da parteeuropea il concetto guida fu il “vae victis”, le riparazioni diguerra, il far pagare allo sconfitto il prezzo salato dellasconfitta. Sappiamo bene quanto questa impostazione abbiapesato negli anni che sono seguiti.Se guardiamo il ventennio 1989-2009 da una angolazione

più strettamente europea, vediamo che l’unione politica – ancora incompiuta nel 1989 e perciò incapace di raccogliereil dato della fine della guerra fredda – si tentò più volte direalizzarla dopo il 1989, ma senza successo. Esiste un belpassaggio in un discorso che Robert Schuman tenne all’iniziodegli anni Sessanta in cui egli sosteneva che il progetto diunificazione europea doveva essere realizzato anche per i fratellidel Centro Europa, perché sarebbe pur venuto il momento delloro ritorno alla libertà, alla democrazia e alla possibilità discegliere il proprio destino: «In quel momento – egli disse –l’Europa dovrà essere pronta». Invece, nel 1989 l’Europa nonera pronta; l’unione politica non era stata fatta.

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La fine dell’impero sovietico è all’origine del progetto cheha prodotto il Trattato di Maastricht dell’Unione politica.Una lettera di Mitterrand e di Khol scritta subito dopol’elezione nei Länder orientali e la riunificazione dellaGermania chiede al presidente – irlandese – del Consigliodella Comunità europea di convocare non una, ma dueConferenze intergovernative, una per l’unione monetaria,una per l’unione politica: siamo nella primavera del 1990.Ebbene, il Trattato di Maastricht firmato nel febbraio 1992realizza le basi giuridiche, istituzionali dell’unionemonetaria, ma sostanzialmente fallisce l’obiettivo dell’unionepolitica.La consapevolezza del fallimento fu netta, tanto che a

Maastricht stesso si decise di convocare un’altra Conferenzaintergovernativa per completare il lavoro incompiuto; questa siconcluse con lo stesso insuccesso (Amsterdam 1996) e con lamedesima simultanea convocazione di una nuova Conferenzaintergovernativa che fu, pure essa, un insuccesso (Nizza 2001).Si passò allora a un diverso metodo, la convocazione di unasorta di Assemblea rappresentativa (la Convenzione) invece di

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una conferenza di rappresentanti diplomatici. Neppure laConvenzione, però, produsse – col Trattato firmato poi aRoma – una vera unione politica, anche se conseguì alcuninon trascurabili progressi che, tuttavia, vennero poi bocciatidai francesi e dagli olandesi nei rispettivi referendum. Alla finesi giunse a una versione edulcorata dello stesso progetto, ilTrattato di Lisbona, la cui ratifica avviene in coincidenza colventennale del 1989. In breve: il ventennio 1989-2009 è una sequenza di

modeste riforme dei Trattati che tentano invano di realizzarequell’unione politica compiuta che al momento della cadutadel muro non era ancora stata realizzata. Che significa, infatti, unione politica? Se per rispondere

usiamo l’archetipo del condominio, la più piccola unionepolitica cui possiamo pensare, vediamo che una unionepolitica esiste se si realizzano tre condizioni: l’esistenza di particomuni, la capacità di prendere decisioni riguardo ad esse, imezzi per attuare le decisioni. Nell’Unione europea le particomuni (possiamo parlare di interessi comuni o, nel linguaggioeconomico, di beni pubblici europei), ci sono e sono enunciate

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in maniera esaustiva nei Trattati: sicurezza, diritti umani,libertà, tutela dell’ambiente, mercato, moneta, etc. La capacitàdi decidere, invece, esiste solo in parte, solo là dove non vige laregola dell’unanimità: ogni volta che non c’è unanimità non sidecide e ognuno fa quello che vuole. L’esistenza di una veracapacità di decidere si verifica solo quando non si è d’accordo.Infine, i mezzi per agire, le risorse: è ovvio che se questimancano, la decisione rimane un atto del pensiero e noncontribuisce in alcun modo al governo delle parti comuni; ora,nell’Unione europea c’è una grave carenza di mezzi,soprattutto di bilancio.Al vaglio di questo schema possiamo dire che in Europa

l’unione politica esiste all’80 per cento nelle materieeconomiche, dove la capacità di decidere ancora manca insettori come la tassazione, mentre non esiste in campi checorrispondono alle funzioni classiche di un soggetto politicostatuale, come la sicurezza, la difesa, la politica estera, etc.A Maastricht l’unione politica non fu fatta; né fu fatta poi

nella lunga sequenza di emendamenti dei trattati che va daMaastricht ad Amsterdam, a Nizza, a Bruxelles, a Lisbona.

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Qual è oggi il futuro dell’Unione europea ancoraincompiuta? A mio avviso, la ratifica del Trattato di Lisbonapone fine a una lunga fase della storia dell’Unione – cominciata nel 1984 con l’Atto Unico – nella quale lacostruzione è proceduta per emendamenti successivi deitrattati. Dobbiamo ricordare che nei venticinque anniprecedenti l’Atto Unico, cioè dalla firma del Trattato di Romain avanti, la costruzione europea progrediva attraversol’attuazione, non la riforma, dei Trattati stessi: c’era unTrattato-programma (del 1957) e fino al 1984 quasi la totalitàdelle iniziative europee si pose all’interno del sistema deiTrattati per realizzarne gli obiettivi e le potenzialità,emendandoli solo marginalmente in qualche caso, come per lerisorse proprie per gli allargamenti.Questa linea venne abbandonata con l’Atto Unico, in parte

perché con le procedure del Trattato di Roma non si riuscivapiù a realizzare l’obiettivo fondamentale. Iniziò allora la seriedi interventi di riforma. Gli interventi ebbero successo allorchélegarono le modifiche istituzionali a un obiettivo specifico,come il mercato unico o la moneta unica; quando invece

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ebbero un obiettivo esclusivamente istituzionale, disancoratoda un progetto specifico, non ebbero successo e non venneronemmeno capiti dai cittadini chiamati a votarli in unreferendum. Evidentemente, c’è una difficoltà a mobilitarel’opinione pubblica e le forze politiche intorno a modificheistituzionali se queste non si presentano esplicitamente comenecessarie per uno scopo specifico. Il 2009, a mio avviso, chiude questa lunga fase e la chiude

con un risultato modesto, perché lascia irrisolte fondamentaliquestioni come la sicurezza o la politica internazionale. IlTrattato di Lisbona fa addirittura passi indietro in alcunipunti, in quanto cristallizza nel Trattato medesimo alcunecattive pratiche che erano precedentemente in vigore di fattosenza essere codificate. Nello stesso tempo, tuttavia, esso creanuove possibilità, alcune delle quali potenzialmenteimportantissime proprio nel campo della difesa, dove divienepossibile una forma di cooperazione (detta cooperazionestrutturata) molto più forte delle cooperazioni rafforzate, cheper potersi realizzare richiedono il consenso di chi nonpartecipa. Alcuni pensano addirittura che proprio la

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cooperazione strutturata nella difesa fosse il vero risultato cuimirava Giscard d’Estaing nel presiedere la Convenzione e cheper raggiungerlo egli abbia ceduto su altre questioni.Un altro ciclo che si conclude nel 2009 è quello della

leadership britannica sull’Unione, in particolare la leadershipdi Tony Blair. Dalla fine degli anni Novanta Blair è statoindiscutibilmente la figura-guida dell’Unione europea e lo èrimasto fino al momento in cui la sua candidatura allapresidenza del Consiglio europeo è tramontata; era la primavolta che la leadership dell’Unione veniva assunta da unavversario dell’Europa. E quale avversario! Come distruttoredelle iniziative di unione egli è stato più efficace di MargaretThatcher. La conclusione del ciclo britannico saràconfermata se alle prossime elezioni in Gran Bretagna seguiràun governo guidato dal partito conservatore. Ora si delineauna leadership tedesca, con una Germania molto diversa difronte all’Unione europea rispetto a quella che abbiamoconosciuto per molti anni. Negli ultimi mesi, in molteoccasioni la Germania ha già fatto sentire il suo pesodeterminante.

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Se l’oggetto fondamentale dell’azione europea sarà di nuovolo sforzo di attuare le potenzialità esistenti nei Trattati attuali, èutile sapere non solo che esse sono state ampliate, entro certilimiti, dal Trattato di Lisbona, ma che anche nei Trattati pre-Lisbona esse erano in realtà più estese di quanto la praticafacesse apparire.Prendiamo come esempio la questione fondamentale della

regola per prendere le decisioni, se debba essere la maggioranzao l’unanimità. Nell’Unione europea il Consiglio non solo èlegato alla regola dell’unanimità in una serie di campi previstidal Trattato; esso pratica tale regola anche in campi in cui ilTrattato consente la decisione a maggioranza. Ne ho fattol’esperienza diretta da ministro: se di fronte all’opposizione diun solo paese si chiedeva un voto, due o tre paesi rinunciavanoalle loro posizioni di merito e si affiancavano al dissenzientepur di affermare che l’unanimità doveva restare la pratica neldecidere. In altre istituzioni vale l’opposto: si ratifica condecisione unanime una scelta fatta a maggioranza. Attraversoun’esperienza simile a quella che l’ammiraglio Di Paola fecenella sua nomina a presidente del Comitato militare della

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Nato, nel 2007 fui eletto presidente del Comitato dei ministridel Fondo monetario internazionale, scelta che formalmente siusa fare all’unanimità; ma l’unanimità conferma un votoinformale che è già preso. Insomma, si può praticarel’unanimità dove la regola è la maggioranza e praticare il voto amaggioranza là dove la regola è l’unanimità. Un’azione volta a rafforzare la capacità di decisione

dell’Unione la si può dunque benissimo esprimere anche neifatti, operando nella cornice di un Trattato che non trasformale istituzioni tanto quanto si sperava. Si può addiritturapensare che ci vogliano alcuni anni di pratica del principiomaggioritario perché si faccia strada la convinzione di poterrinunciare alla salvaguardia di una regola scritta che,prevedendo l’unanimità, assicura a ciascuno un diritto di veto.Lo spazio è dunque ampio e solo il futuro dirà come esso verràoccupato; a mio giudizio sarà determinante il modo in cuiinteragiranno le tre istituzioni, in particolare il modo in cuiopererà il Parlamento europeo.A proposito poi di Alleanza, è bene ricordare che un’alleanza

è cosa assai diversa da un’unione; essa è costituita per uno

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scopo specifico e di solito si scioglie quando lo scopo vieneraggiunto. Senza voler contraddire quanto dettodall’ammiraglio Di Paola, tendo a pensare che il ruolo svoltodalla Nato, per tanti versi irrinunciabile, nasca in parte dalfatto che né l’Unione europea, né le Nazioni Unite, si sonodimostrate capaci di svolgere appieno i compiti loro propri:per l’Unione europea garantire la propria sicurezza, per leNazioni Unite perseguire l’ordine e la pace mondiale. È ancheper occupare questi vuoti che la Nato appare indispensabile. La storia crea occasioni e situazioni di fatto. L’occasione

perduta non torna, sicché si parte da condizioni che sono ilrisultato dello sviluppo delle occasioni mancate. Ma se siguarda indietro e si cerca un’interpretazione convincente dellacaduta del muro di Berlino nel 1989, si vede che l’essersitrovati impreparati di fronte a quell’avvenimento e l’averlogestito in un modo non lungimirante spiega molte delledifficoltà in cui oggi ci dibattiamo.

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DI PAOLA

Mi permetto di dissentire. Se per scopo della Nato siintende la sconfitta dell’Unione Sovietica, certamente questo èstato raggiunto. Ma non era quello lo scopo vero, profondo, inrealtà si trattava di difendere sostanzialmente i valorioccidentali attraverso l’alleanza Stati Uniti-Unione europea. Senoi leggiamo il Trattato di Washington (14 paragrafi), innessuna parte dei suoi paragrafi è indicata la difesa control’Unione Sovietica. Era la difesa dei valori il vero scopo che èrimasto immutato per trent’anni fino alla caduta del muro diBerlino, e poi per altri venti. La difesa dei valori era neiconfronti di una minaccia che oggi non si vede più.

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AREL le conversazioni Tommaso Padoa-Schioppa

PADOA-SCHIOPPA

Sono meno propenso di Andreatta a darmi rapidamentetorto, ma sono d’accordo con questa osservazione. È vero anche, tuttavia, che questo scopo era stato eretto a priorità vitale rispetto a una minaccia ben precisa, quella sovietica; talescopo era talmente fondamentale e ovvio che non si sentì ilbisogno di scriverlo.Se questa può essere un’interpretazione storica, resta un dato di

fatto per l’oggi: la sicurezza è ormai un tema globale che non siaffronta in modo efficace se si continua ad affidarsi allo strumentoche attraverso i secoli ha assicurato brevi periodi di pace (tregue,in realtà, non pace), cioè l’equilibrio delle forze. È ormainecessario un tipo di ordine più profondo, affidato a un poteresuperiore a quello degli Stati: non un’alleanza ma un’unione.

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Ma finché la Nato è considerata come un nemico non solodal terrorismo, ma anche – ad esempio – dalla Russia, lo scoponon si raggiunge e si resta nella spirale dell’equilibrio delleforze, di alleanze che si creano per fare da contrappeso allapotenza egemone. È una storia che l’Europa conoscebenissimo, che l’Italia ha conosciuto per secoli, e che adessodiventa mondiale.

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AREL le conversazioni Giampaolo Di Paola

DI PAOLA

Nel dibattito si evidenziano sostanzialmente tre grosse linee:la globalizzazione che fa sì che l’Alleanza atlantica chiaramentenon può più considerarsi un’organizzazione autoreferenziale; ilrapporto strutturato Unione europea-Alleanza atlantica; ilrapporto strutturato con la Russia (che però dipende moltodalla Russia) che l’Alleanza sta provando a creare.

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ENRICO LETTA

La presenza del capo di Stato Maggiore ci ha consentito diascoltare un suo prezioso commento. Io aggiungo soltanto cheventi anni fa avevo torto, perché in questi venti anni il livellodi sinergia tra Stati Uniti e Unione europea all’internodell’Alleanza atlantica si è creato e il nostro rapporto con gliStati Uniti rimane vitale.

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AREL le conversazioni Vincenzo Camporini

VINCENZO CAMPORINI

Sono molto contento di essere oggi qui e di aver avuto lapossibilità di ascoltare i nostri due illustri relatori. Ne horicavato stimoli e provocazioni. Per prima cosa dalle loro riflessioni traggo un motivo di

speranza, perché quando sento dire che l’Unione monetaria èstata resa possibile dalla caduta del muro di Berlino ed èdiventata realtà in quanto ci si lavorava, magari senza speranza,da qualche decennio, penso allora che dobbiamo lavorare conuna visione di lungo termine, con la consapevolezza che forseprima o poi riusciremo a ottenere quello che speriamo. La speranza che in particolare coltivo personalmente,

avendo assiduamente lavorato alla nascita del concetto didifesa europea, è quella di veder crollare il muro esistente tra

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Unione europea e Nato. Il problema fondamentale resta ladialettica Grecia-Turchia con l’annesso problema di Cipro, chenon fa ulteriori progressi date le difficoltà del dialogo traUnione europea e Turchia alla luce di un futuro possibileingresso della Turchia nell’Unione europea.Su questo dovremo impegnarci tutti: la posizione italiana è

stata sempre chiara ed io la condivido completamente.Considero l’ipotesi di un allontanamento della Turchia dalperimetro europeo una vera e propria sciagura. Dobbiamoquindi tutti impegnarci in una direzione che possagradualmente portare a una diminuzione dell’ostilità su questotema.Infine, a proposito della utilità dell’Alleanza atlantica, del

suo futuro, occorre ricordare che l’Alleanza atlantica è statauna fenice che è risorta immediatamente dalle ceneri del suosuccesso: il falò della vittoria comunque non ha permesso chel’Alleanza si sciogliesse e proprio per i motivi citati primadall’ammiraglio Di Paola. La lettura del Trattato diWashington è estremamente importante, le sue finalità nonsono mai cambiate: noi difendiamo il nostro substrato

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culturale, le regole del vivere occidentale, in cui la regola dellalegge è la regola di base, in cui i diritti sono condivisi da tutti enon sono mai messi in discussione.Da questo punto di vista, dunque, l’Alleanza atlantica è uno

strumento insostituibile anche per riaffermare il legameesistente tra continente Nord-americano (Canada, Stati Unitiin particolare) e l’Europa: si tratta di un legame forse piùprezioso per l’Europa che per gli Stati Uniti.

(Dibattito svoltosi in occasione della presentazione del n. 2/2009 della rivistadell’Arel Muri, che si è tenuta a Roma il 29 gennaio 2010).

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Finito di stampare il 19 luglio 2010Grafica Cristal S.r.l., Via Raffaele Paolucci, 12/14 - 00152 Roma