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a cura di e DARIO NICOLI PAOLO CORVO NUOVE FIGURE PROFESSIONALI Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica NEL NON PROFIT

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a cura dieDARIO NICOLI PAOLO CORVO

NUOVE

FIGURE

PROFESSIONALI

Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica

NEL NON PROFIT

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NUOVE FIGURE PROFESSIONALINEL NON PROFIT

a cura di DARIO NICOLI e PAOLO CORVO

Milano 2001

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Questa pubblicazione è stata realizzata nell’ambito della fase operativa del Progetto“Parco Progetti: una rete per lo sviluppo locale” F.S.E. 910034/I/3 – progetto “Dallavolontà alla professionalità”, DDG n. 68155 del 10/09/1998.

© 2001 I.S.U. Università Cattolica – Largo Gemelli, 1 – Milanohttp://www.unicatt.it/librarioISBN 88-8311-136-2

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INDICE

PRESENTAZIONE........................................................................................ 7di Mauro Magatti

INTRODUZIONE........................................................................................ 11di Paolo Corvo

1. Terzo settore e crisi del Welfare State.............................................. 112. Le caratteristiche organizzative........................................................ 123. Il ruolo del terzo settore nella Legge-quadro sull’assistenza

328/2000........................................................................................... 154. I temi della pubblicazione ................................................................ 17Gli autori.................................................................................................. 20

1 UN APPROCCIO INNOVATIVO ALLE PROFESSIONI DELSETTORE NON PROFIT ....................................................................... 23di Dario Nicoli

1.1 Trasformazioni della società e della «cura» di soggettibisognosi........................................................................................... 23

1.2 Non profit e nuove professionalità centrate sulla relazione d’aiuto........261.3 Un approccio innovativo alle professioni del non profit .................. 311.4 Il concetto di famiglie/comunità professionali ................................. 371.5 Un dispositivo innovativo per la gestione delle risorse umane ........ 39Bibliografia.............................................................................................. 42

2 TERZO SETTORE ED EVOLUZIONE DEI SISTEMI DIWELFARE: LE IMPLICAZIONI PROFESSIONALI DI UNAMISSIONE SOLIDARISTICA............................................................... 45di Maurizio Ambrosini

2.1 Una parabola della solidarietà? ........................................................ 452.2 Le forme intermedie di solidarietà ................................................... 502.3 Organizzazioni basate sulla fiducia: le implicazioni

organizzative delle motivazioni solidaristiche ................................. 582.4 Diverse visioni del terzo settore: le implicazioni professionali ....... 68Bibliografia.............................................................................................. 73

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3 REPERTORIO DELLE FIGURE PROFESSIONALI............................ 79di Arduino Salatin, Beniamino Caputo, Silvia Baldo, Radames Biondo

3.1 Linee guida per l’elaborazione del Repertorio dei ProfiliProfessionali e delle Competenze del “Terzo Settore”..................... 79

OPERATORE SOCIOASSISTENZIALESettore handicap – disabilità (HD)

SCHEDA A – Caratteristiche personali e componentivocazionali ................................................................................ 84

SCHEDA B – Competenze professionali ...................................... 85SCHEDA C – Percorso formativo ................................................. 87

COORDINATORE DI SERVIZI SOCIOEDUCATIVISCHEDA A – Caratteristiche personali e componenti

vocazionali ................................................................................ 90SCHEDA B – Competenze professionali ...................................... 91SCHEDA C – Percorso formativo ................................................. 92

EDUCATORE ACCOMPAGNATORE IN PERCORSI DIORIENTAMENTO

SCHEDA A – Caratteristiche personali e componentivocazionali ................................................................................ 94

SCHEDA B – Competenze professionali ...................................... 95SCHEDA C – Percorso formativo ................................................. 96

EDUCATORE DEI CENTRI DI AGGREGAZIONEGIOVANILE

SCHEDA A – Caratteristiche personali e componentivocazionali .............................................................................. 100

SCHEDA B – Competenze professionali .................................... 101SCHEDA C – Percorso formativo ............................................... 103

EDUCATORE DEI CENTRI PER GLI ANZIANISCHEDA A – Caratteristiche personali e componenti

vocazionali .............................................................................. 107SCHEDA B – Competenze professionali .................................... 108SCHEDA C – Percorso formativo ............................................... 110

COUNSELOR FAMILIARESCHEDA A – Caratteristiche personali e componenti

vocazionali .............................................................................. 114SCHEDA B – Competenze professionali .................................... 115SCHEDA C – Percorso formativo ............................................... 116

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4 DISPOSITIVO DI ACCREDITAMENTO DELLE RISORSEUMANE DEL SETTORE NON PROFIT............................................. 119Carlo Catania e Dario Nicoli

4.1 L’impostazione............................................................................... 119

4.1.1 Peculiarità delle risorse umane nel settore non profit ......... 119

4.1.2 Parabola del concetto di qualifica professionale ................. 122

4.1.3 Caratteri del concetto di competenza ................................... 124

4.1.4 Differenti utilizzi dell’approccio per competenze................. 126

4.1.5 Gestione delle competenze come sviluppo delle risorseumane.................................................................................... 129

4.1.6 I modelli di classificazione ed analisi................................... 1314.2 Il dispositivo................................................................................... 134

A. Analisi delle caratteristiche personali .................................. 137

A1. Griglia di domande per la rilevazione dellecaratteristiche personali ....................................................... 140

A2. Scheda incontro con testimoni .............................................. 141

A3. Scheda Stage orientativo ...................................................... 142

A4. Scheda Patto del servizio ...................................................... 143

B. Analisi e valutazione delle competenze professionali........... 144

B1. Scheda di analisi e valutazione delle competenzeprofessionali.......................................................................... 144

C. Valutazione del divario di competenza ................................. 145

C1. Scheda Competenze professionali ........................................ 147

C2. Scheda di valutazione del divario di competenza ................. 147

D. Crescita personale/progetto professionale ........................... 149

D1. Piano di inserimento/crescita personale .............................. 150

E. Certificazione e riconoscimento delle competenze ............... 151

E1. Libretto personale................................................................. 152

Glossario ........................................................................................ 158Bibliografia............................................................................................ 164

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5 LA PROGETTAZIONE DEI PERCORSI FORMATIVI E DIINTRODUZIONE AL LAVORO NEL SETTORE SOCIO –ASSISTENZIALE – EDUCATIVO...................................................... 167di Elena Di Marco e Silvia Stefanoni

Introduzione........................................................................................... 1675.1 Descrizione delle fasi in cui si articola l’intervento formativo.

Ricerca e confronto con gli operatori del settore non profit........... 170

*. La selezione........................................................................... 172

A. Orientamento ........................................................................ 172

A1. Accoglienza........................................................................... 172

A2. Colloquio in ingresso (di gruppo) ........................................ 173

A3. Colloquio in ingresso (individuale) ...................................... 173

A4. Patto formativo ..................................................................... 174

A5. Testimonianza ....................................................................... 174

B. Introduzione ai supporti informatici..................................... 175

C. Capacità personali................................................................ 175

C1. Capacità di comunicazione................................................... 175

C2. Capacità relazionali e di collaborazione in gruppo............. 176

C3. Organizzazione del lavoro .................................................... 176

D. La relazione d’aiuto.............................................................. 176

E. Stili di leadership .................................................................. 177

F. Che cos’è il Business Plan.................................................... 177

G. Lo stage in azienda ............................................................... 179

H. Accompagnamento all’inserimento lavorativo ..................... 179

6 COMUNITÀ VIRTUALI TRA MITO E OPPORTUNITÀ ................. 181di Simone Tosoni

6.1 Il mito della Comunità Virtuale ..................................................... 1826.2 Sperimentare Comunità Virtuali: opportunità e problemi.............. 1876.3 Superamento dei confini geografici e sociali versus

territorialità delle Comunità Virtuali.............................................. 1886.4 L’amministrazione della cooperazione sociale .............................. 189Bibliografia............................................................................................ 191

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PRESENTAZIONE

di Mauro Magatti

Il terzo settore in Italia costituisce una realtà assai rilevante dal punto divista sociale ed economico, esprimendo una straordinaria ricchezza capacedi dar vita ad una pluralità di soggetti sociali che di fatto costituiscono unastruttura portante del Paese, in particolare nel settore dell’assistenza e dellasanità.

L’attuale fase di rimodellamento del Welfare attribuisce ulteriore peso alruolo del terzo settore e richiede la presenza di nuove figure professionalinell’ambito direttivo, amministrativo, della comunicazione. Sorge quindi lanecessità di definire le competenze professionali e i saperi specifici di questinuovi profili, anche per costruire dei percorsi formativi adeguati.

Questa pubblicazione presenta il materiale elaborato nell’ambito di unprogetto che si proponeva di predisporre un repertorio delle nuove figureprofessionali del terzo settore e di realizzare un cammino di formazione conmodalità innovative (utilizzando anche Internet e Cd Rom), finalizzato allacreazione di opportunità occupazionali.

L’iniziativa, denominata “Parco Progetti: dalla volontà alla professionali-tà”, è stata promossa dal C.I.T.E-Regione Lombardia (oggi C.O.R., CentroOperativo Regionale per l’Agenzia Formativa), con il finanziamento delFondo Sociale Europeo e la collaborazione, a livello scientifico ed operati-vo, del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano.

Il progetto operativo si è articolato in cinque linee di azione, che sonostate realizzate in stretta sinergia tra gli operatori delle varie aree, in modoche fossero elaborati prodotti omogenei e interattivi, a livello formativo e distrumentazione informatica.

Innanzitutto è stato elaborato un repertorio dei profili professionali edelle competenze del terzo settore, in riferimento ai livelli europei di pro-fessionalità e articolato in unità formative tali da consentire una sua tradu-zione in percorsi ben strutturati.

Successivamente è stato predisposto un dispositivo di accreditamento delleprofessionalità del settore, tenendo conto dei modelli europei già attivi e conadattamento ad un settore – il non profit – che presenta un limitato grado di for-malizzazione delle procedure gestionali connesse al sistema-qualità.

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Il dispositivo di accreditamento si è basato su una metodologia integratadi analisi del bagaglio personale (titoli, certificati, esperienze), su una pro-gettazione di percorsi individualizzati di completamento formativo e dicompito reale e sul riconoscimento e certificazione dei crediti formativi edelle competenze professionali.

I percorsi di formazione-lavoro e di creazione d’impresa intendevanofacilitare, seguire e valutare il processo di ingresso occupazionale-professionale o di avvio di impresa degli utenti del progetto. Tali percorsisono stati distinti in due tipologie: a) per figure imprenditoriali; b) per figurelavorativo-professionali.

I percorsi di formazione-lavoro si sono proposti l’elaborazione di un progettopersonale e realistico di ingresso nel settore non profit e il trasferimento di saperie metodologie in materia di competenze professionali rilevanti (anche nella pro-spettiva dell’accreditamento professionale e del sistema qualità)

Complessivamente gli utenti sono stati circa un centinaio selezionati tradisoccupati motivati a operare nell’ambito dei servizi alla persona e con unaprecedente esperienza, anche di volontariato, nel terzo settore. Il percorsoformativo è stato personalizzato sulla base delle caratteristiche dell’utente alfine di valorizzare il bagaglio di esperienze, saperi e competenze già posse-duto dal destinatario e di perseguire gli obiettivi previsti.

Il tirocinio si è svolto presso Enti qualificati del settore, con il dupliceobiettivo di sviluppare un percorso di ingresso/socializzazione e la rileva-zione del modello organizzativo e delle metodologie di lavoro adottate.

Il carattere sperimentale del progetto è consistito nell’opzione per il per-corso personalizzato (e non per il tradizionale corso “preconfezionato”) edinoltre per la dotazione metodologica e strumentale che si è avvalsa di trediverse tipologie di servizi:a) Servizi di sportello (informazione, accoglienza, colloquio, accompagna-

mento).b) Servizi formativi (sviluppo di competenze chiave, stage/tirocinio).c) Servizi di rete (accesso a strumenti di supporto all’apprendimento, di in-

contro domanda-offerta, di focus group).In coerenza con il repertorio di professionalità ed il modello di accredi-

tamento basato sulle competenze si sono inoltre elaborati due strumenti di-dattici su supporto informatico (CD Rom), con soluzioni didattiche e co-municative stimolanti, in modo tale da potere essere gestiti secondol’approccio dell’autoformazione assistita (che consente un’ampia applica-zione sia in corsi sia in percorsi individualizzati). Per garantire omogeneità

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ed effettiva integrazione tra il livello della formazione in aula, della forma-zione on line e della formazione off-line (cd) si è messa a punto una strate-gia formativa complessiva, che ha cercato di valorizzare le specificità deglistrumenti e delle tecniche didattiche utilizzate.

Un altro elemento profondamente innovativo del progetto è stato l’avviodi una modalità di formazione continua in rete denominata “comunità pro-fessionale virtuale”. L’obiettivo era quello di costruire una comunità pro-fessionale virtuale che, facente capo alla Regione e all’Università Cattolica,sapesse rimanere interconnessa e in questo modo rendesse possibile quelloscambio di informazioni, riflessioni e ricerche che possono stare alla base diuna vera proficua formazione continua. In tale modello, oltre alla relazioneverticale tra impresa non profit e ente formatore, diventa assolutamente im-portante la relazione tra i partecipanti al network, i quali sono i portatori dimolto sapere implicito.

Si è ritenuto opportuno realizzare la presente pubblicazione sia per inquadra-re sul piano teorico alcuni aspetti presentati negli strumenti multimediali sia perpermettere la visualizzazione del materiale anche ai corsisti sprovvisti di compu-ter e/o di lettore di Cd. In questo modo si ha una pluralità di modalità formativeche consente agli allievi del percorso di usufruire in ogni circostanza della do-cumentazione relativa alle figure professionali del terzo settore.

Crediamo si possa trattare di uno strumento utile anche per l’aggiorna-mento di formatori, progettisti di formazione, responsabili del personale di or-ganizzazioni non profit, che si trovano ad operare in un mondo come quellodel terzo settore che sta cambiando profondamente per poter svolgere in modoincisivo ed efficace il ruolo assegnatogli dal nuovo Welfare.

La partecipazione al progetto del C.I.T.E.-Regione Lombardia ha rappre-sentato per il Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica un momen-to significativo di intervento in un ambito strategico della società civile qualeil terzo settore e può costituire un modello per la collaborazione tra istituzionipubbliche e mondo accademico, nel rispetto delle reciproche competenze edelle diverse funzioni esercitate nella vita sociale del territorio.

Si auspica dunque che il rapporto intrapreso con l’attuale C.O.R. in oc-casione del progetto sul terzo settore possa svilupparsi e consolidarsi coniniziative e approfondimenti nell’ambito dei servizi alla persona, in riferi-mento all’orientamento, alla formazione e all’aggiornamento degli operatoridelle strutture socioassistenziali e socioeducative.

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INTRODUZIONE

di Paolo Corvo

Nella prima parte di questo capitolo introduttivo presentiamo i tratti ca-ratteristici del terzo settore in Italia, soprattutto in riferimento all’aspetto or-ganizzativo delle associazioni non profit, che attraversano una fase di pas-saggio da un approccio prevalentemente informale alla sperimentazione diprassi aziendalistiche.

Viene poi evidenziato il ruolo che il terzo settore è chiamato ad assumerein base alle disposizioni della legge quadro 328/2000 per la realizzazione delsistema integrato di interventi e servizi sociali, che sancisce la collaborazio-ne tra Stato, Regioni, Comuni e Onlus nella programmazione e nella gestio-ne delle attività a favore delle fasce più disagiate della popolazione.

Chiude questa parte introduttiva un cenno agli altri contributi presentinella pubblicazione e le qualifiche degli autori dei saggi.

1. Terzo settore e crisi del Welfare StateLe grandi trasformazioni sociali che si sono succedute negli ultimi de-

cenni hanno provocato l’estensione delle situazioni “a rischio”. Il considere-vole aumento della fascia più anziana della popolazione, l’impoverimentodella convivenza nelle città, accompagnato dall’incremento dei tassi di de-vianza, di disadattamento e di solitudine, la crescente complessità del merca-to del lavoro sono le conseguenze più vistose di queste modificazioni.

Questa realtà più problematica e complessa ha condotto ad una maggiorediffusione dell’emarginazione e del disagio, con i servizi sociali pubblicichiamati ad assistere con una vasta gamma di interventi un numero semprepiù elevato di utenti. Si è così verificata la crisi finanziaria e culturale dellostato assistenziale, non più in grado di rispondere in modo efficace a tutti ibisogni espressi dalle fasce più deboli della popolazione.

Di fatto però è stata proprio questa crisi a stimolare un approfondito e vi-vace dibattito sull’impostazione delle politiche sociali e sulla revisione deisistemi tradizionali di intervento. L’orientamento che sembra prevalere tragli studiosi si fonda sull’intento di sviluppare politiche sociali che“intervengano dal basso”, attraverso la responsabilizzazione dei cittadini-

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utenti, la promozione di iniziative solidaristiche e soprattutto la costruzionedi una rete di interventi.

In effetti un’efficace azione di recupero e di reinserimento sociale di sog-getti in condizioni di disagio necessita di sinergie e di collaborazione tra at-tori diversi: servizi pubblici del territorio, sistema economico, associazioni-smo, famiglie. Senza questa rete di rapporti il privato sociale rischia di nau-fragare o di assumere dallo Stato una delega impropria.

Si tratta dunque di intervenire all’interno di una prospettiva comunitaria,che veda l’integrazione delle risorse pubbliche, private e di volontariato eche sia caratterizzata da una forte flessibilità, differenziazione e personaliz-zazione delle prestazioni.

In questa prospettiva sembra opportuno privilegiare le forme più effi-cienti e sensibili del privato sociale, affinché stimolino il rafforzamento dipolitiche pluralistiche che comportino agevolazioni ed incentivi al terzosettore. Un’ulteriore opportunità si presenta nella risposta immediata ai bi-sogni delle nuove povertà (di fronte alla lentezza dell’apparato burocratico eamministrativo del welfare) e nell’assistenza ai soggetti “sgraditi” ad alcunisettori dell’opinione pubblica (nomadi, immigrati, malati di Aids, tossicodi-pendenti, ecc.).

L’accresciuto ruolo nel processo di revisione del Welfare State ha fatto sìche la ricerca sociale si sia occupata in modo consistente del terzo settoresoprattutto nell’ultimo decennio, in riferimento alla tipologia e alle motiva-zioni degli operatori, ai percorsi formativi, agli aspetti strutturali e giuridici,al profilo economico. Si sono così evidenziate realtà anche profondamentediverse per ispirazione, organizzazione, tipo di intervento, rapporti con leistituzioni e il territorio.

2. Le caratteristiche organizzativeL’aspetto organizzativo assume un’importanza fondamentale in ogni

realtà economica, istituzionale e associativa: nell’ambito delle organizza-zioni di terzo settore questa dimensione riveste però valenze complesse per-ché la maggior parte di esse è sorta con l’obiettivo di fornire servizi adun’utenza specifica in un’ottica relazionale, il che non si presta immediata-mente a discorsi di strutturazioni e di inquadramento giuridico. Per questomotivo una buona parte delle associazioni di terzo settore ha trascurato alungo la dimensione organizzativa, sia per quanto riguarda la selezione e laformazione del personale, che gli aspetti amministrativi e direttivi. Questadiffidenza nei confronti della formalizzazione del proprio operato è stata ne-

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cessariamente superata, almeno in parte, negli ultimi anni, anche se attual-mente vi sono almeno due diversi modi di concepire l’organizzazione:1) Alcune associazioni si sono date una struttura formalizzata, con figure di-

rettive ben definite, processi decisionali determinati da uno statuto e daun regolamento, meccanismi di selezione del personale o comunque at-tenzione alle caratteristiche e alle competenze delle persone, una qualcheforma di verifica delle attività svolte, talvolta anche una crescente atten-zione per nuove modalità di finanziamento, come giornate particolari especifiche modalità promozionali nel territorio (il fund raising).Questo modello organizzativo è stato adottato in molti casi perché si èraggiunta la consapevolezza che una struttura organizzativa adeguata nonpossa che migliorare la qualità e l’efficacia dell’intervento, senza perquesto ‘tradire’ lo spirito originario e la ragion d’essere dell’associazione.Certo vi è il rischio che un eccesso di procedure burocratiche, dovuto airapporti più frequenti con gli Enti Pubblici, rallenti le attività di questeorganizzazioni e comporti una progressiva spersonalizzazione degli in-terventi, con tutte le conseguenze negative nel rapporto con gli utenti.Sorgono poi altri problemi: come comportarsi nei confronti dei collabora-tori più deboli e meno efficienti? Come promuovere iniziative di lungoperiodo, di studio, di documentazione, quando i finanziamenti sono con-cessi soltanto per i servizi resi? In che modo è possibile occuparsi dei bi-sogni più scoperti, qualora questo tipo di intervento non trovi il consensoe la sensibilità dei cittadini?Sembra opportuno trovare un equilibrio tra la giusta introduzione e appli-cazione di modelli organizzativi ‘aziendalistici’ e il costante riferimentoalle motivazioni valoriali e ideali che hanno portato alla nascita e allosviluppo dell’organizzazione. Non è certamente un equilibrio facile daraggiungere: si tratta di coniugare solidarietà ed efficienza, investendo inrisorse umane, in formazione, in un’organizzazione interna più razionalee strutturata.

2) L’altro gruppo di organizzazioni che emerge dalla presente ricerca ha in-vece adottato un modello organizzativo molto informale e ‘leggero’. So-no associazioni in genere piccole o medio-piccole in quanto a numero dioperatori e interventi effettuati per gli utenti.Queste associazioni generalmente denotano grosse carenze sul piano or-ganizzativo, come la mancanza della selezione e della formazione deglioperatori, un rapporto con il territorio abbastanza precario per la quasitotale assenza di iniziative autopromozionali, una programmazione delle

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attività di corto respiro per la costante difficoltà di finanziamento, un fu-turo incerto per la mancanza di ricambio generazionale e di finanziamen-ti.In alcuni casi però riescono a conservare con maggiore forza le motiva-zioni ideali alla base della loro nascita e quindi a mantenere anche i le-gami con il territorio, riuscendo anche a individuare l’emergere di nuovepovertà e di nuovi bisogni.Certamente sia le organizzazioni formalizzate e tanto più, visto le carat-

teristiche specifiche, quelle meno strutturate traggono indubbi benefici evantaggi dall’essere affiliate a qualche (o a più) Federazione o Coordina-mento a livello nazionale e/o regionale.

L’appartenenza a questi organismi permette di poter svolgere una miglio-re promozione delle proprie attività specifiche e delle problematiche del di-sagio, di organizzare corsi di formazione per gli operatori di più associazio-ni, di essere aggiornati sulle più recenti norme legislative e fiscali, di esseresensibilizzati sull’importanza dei percorsi formativi, in sostanza di avere unpunto di riferimento per ogni ambito di intervento.

Per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni talvolta si nota una certastrumentalità, che porta ad identificare lo Stato, le Regioni, i Comuni soprat-tutto come fonte di finanziamenti, mentre sono poche le organizzazioni delterzo settore che colgono l’importanza di una collaborazione nella pro-grammazione e nella gestione delle politiche sociali. È evidente che solo su-perando un atteggiamento strumentale le associazioni del non profit potran-no ricoprire un ruolo importante nell’ambito della società civile e del nuovoWelfare.

Naturalmente anche gli Enti Pubblici devono considerare in modo diversoil rapporto con il terzo settore, stimolandone la partecipazione a livello deci-sionale ed operativo e non attribuendo ad esso solo la funzione di ‘tappabuchi’delle proprie mancanze nei settori emergenti del disagio sociale.

Un altro problema, legato all’obiettivo di contenere le spese, si evidenziaosservando le attuali procedure di appalto per l’affidamento di servizi comel’assistenza agli anziani o la gestione di comunità di accoglienza per i mi-nori. Purtroppo in molti casi viene considerato solo il fattore economico,ignorando la valutazione della qualità del servizio, l’esperienza accumulata,l’affidabilità dell’ente, la correttezza nella gestione del personale. Si rischiacosì di favorire operatori senza scrupoli e di creare una concorrenza al ribas-so con conseguenze nefaste per gli assistiti e per i dipendenti: sembra urgen-te restituire il valore centrale alla qualità delle prestazioni fornite.

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Peraltro abbiamo già notato che non tutte le organizzazioni del terzo set-tore hanno compreso il ruolo strategico della formazione e sono in grado diprogettare e realizzare percorsi formativi adeguati ai bisogni formativi deglioperatori neoassunti. Alcune associazioni intendono la formazione come tra-smissione di saperi, cioè come preparazione di tipo tecnico, mentre altrehanno un concetto più ampio e articolato dei cammini formativi, compren-dendo argomenti come la dimensione motivazionale, l’appartenenza algruppo, la gestione dei conflitti, la relazione di aiuto, ecc. In sostanza unabuona parte delle associazioni investe molto sul saper fare e in modo insuf-ficiente sul saper essere: appare dunque prioritario predisporre e attuarecorsi di formazione che tengano conto in modo equilibrato di entrambi gliaspetti.

Un altro elemento importante è quello della formazione permanente per isoggetti che da più tempo operano nei servizi, in un percorso di crescita co-stante nella relazione con l’utente e nella conoscenza delle dinamiche dellavita sociale e culturale del territorio di appartenenza. Si tratta di non daremai nulla per scontato e di vincere eventuali resistenze da parte di chi sisente in qualche modo un ‘esperto’ nel proprio ambito lavorativo.

Naturalmente la dimensione formativa può essere più facilmente compre-sa se il meccanismo di selezione del personale avviene secondo criteri e va-lutazioni che tengono conto delle competenze e delle capacità relazionali:come abbiamo osservato vi sono però ancora associazioni che trascurano ilmomento della selezione e non prevedono una verifica delle attività svoltedagli operatori.

Nasce dunque l’esigenza di una maggiore attenzione a questi processi diselezione e valutazione, che può riguardare sia le organizzazioni più struttu-rate, che quelle a carattere informale, visto che la qualità dell’intervento edella relazione con l’utente dovrebbero rappresentare la specificità dei ser-vizi forniti dal terzo settore.

3. Il ruolo del terzo settore nella Legge-quadro sull’assistenza328/2000

La Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi eservizi sociali 328/2000, rappresenta il punto di arrivo di un lungo dibattitoparlamentare, che prese avvio nel 1969 con il primo progetto di legge di ri-forma dell’assistenza.

I contenuti della legge si articolano lungo cinque direttrici:

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a) l’enunciazione di principi generali, ripresi dalla Carta Costituzionale edalla produzione normativa di questi ultimi anni;

b) una nuova articolazione di competenze fra Stato, Regioni ed Enti locali,ripresa dal Decreto Legislativo 112/98 sul decentramento amministrativo(Legge Bassanini);

c) l’individuazione di nuovi strumenti di pianificazione e di omogeneizza-zione degli interventi, nonché di nuove modalità di relazione con i citta-dini;

d) la valorizzazione e il sostegno delle responsabilità familiari, anche conl’erogazione di particolari interventi di integrazione per le famiglie chevivono le situazioni più complesse e problematiche;

e) l’attribuzione di alcune deleghe per la revisione di norme di fondamenta-le importanza nell’espletamento dei servizi e delle prestazioni, ancheeconomiche (reddito minimo di inserimento, invalidità civile, ecc.).L’elemento più significativo di questa legge è l’intenzione di conciliare

l’omogeneità di alcuni livelli minimi di prestazioni che devono essere rico-nosciuti a tutti i cittadini con la specificità degli interventi effettuati a livellolocale da Regioni e Comuni, a partire dalla programmazione degli obiettivi edalla determinazione dei criteri per l’accesso ai servizi.

Nella 328 vi sono molti riferimenti al ruolo del terzo settore:– Nell’art.1 gli Enti locali, le Regioni e lo Stato, nell’ambito delle rispettive

competenze, riconoscono il ruolo delle organizzazioni non lucrative diutilità sociale (Onlus); per cui la gestione e l’offerta di servizi non è effet-tuata solo dai soggetti pubblici, ma anche dalle Onlus.

– L’art. 3 afferma che il criterio della cooperazione tra i diversi livelli isti-tuzionali e tra questi e le Onlus rappresenta uno dei principi cardini dellaLegge.

– L’art. 6, riferito alle funzioni dei Comuni, sottolinea come sia fondamen-tale la realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, che l’art.22 definisce come “politiche e prestazioni coordinate nei diversi settoridella vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare,con eventuali misure economiche, e la definizione di percorsi attivi voltiad ottimizzare l’efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di com-petenze e settorializzazione delle risposte”. La costruzione dei servizisociali a rete si realizza mediante la collaborazione tra i diversi soggettipresenti sul territorio.

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– L’art. 5 è dedicato specificamente al ruolo del terzo settore e pone comeobiettivo l’attuazione del principio di sussidiarietà tra Enti locali, Regio-ni, Stato e terzo settore.Per realizzare questo obiettivo gli Enti pubblici, nell’ambito delle risorse

disponibili, in base ai piani nazionali, regionali, di zona e comunali, devonopromuovere azioni per sostenere e qualificare i soggetti del terzo settore, an-che attraverso politiche formative ed interventi per l’accesso al credito age-volato e ai fondi dell’Unione Europea; devono inoltre garantire la trasparen-za e la semplificazione amministrativa, fino a giungere a forme di aggiudi-cazione o negoziali che consentano ai soggetti del terzo settore di poteresprimere la loro progettualità.

I rapporti tra Enti locali e terzo settore, con particolare riferimento aiservizi alla persona, sono regolamentati dalle Regioni attraverso specificiindirizzi. Le Regioni disciplinano anche le modalità per valorizzarel’apporto del volontariato nell’erogazione dei servizi. I soggetti del terzosettore sono coinvolti nella programmazione, progettazione, realizzazionedei servizi sociali, nell’indicazione delle priorità e dei settori di innovazionecon la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali.

Per poter partecipare al sistema integrato dei servizi le Onlus devono peròessere autorizzate ed accreditate dai Comuni (art.11), per cui devono predi-sporre anche una Carta dei Servizi, secondo le modalità stabilite dall’art.13.Peraltro anche il volontariato non giuridicamente riconosciuto può essereconsultato nella fase preparatoria della programmazione, anche se questapossibilità dipende dalla disponibilità e dalla sensibilità dell’Ente locale.

I Comuni hanno dunque il compito di garantire l’accesso e la qualità deiservizi, ma anche di stimolare forme innovative di collaborazione e di con-sultazione con le varie realtà presenti sul territorio; il non profit ha invece laresponsabilità di inserirsi in modo efficace ed incisivo nell’ambito dellaprogrammazione ed erogazione dei servizi, con una sempre più qualificatacapacità di intervento.

4. I temi della pubblicazioneVi sono innanzitutto tre contributi teorici elaborati specificamente per la

dispensa:D. Nicoli è autore del saggio “Un approccio innovativo alle professioni

del settore non profit”, (cap.1) dove tratta della “cura” dei soggetti bisognosialla luce delle trasformazioni della società e delle nuove professionalità delnon profit, centrate sulla relazione d’aiuto.

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In questo ambito professionale il processo formativo è tutt’uno con ilprocesso lavorativo e ne costituisce un elemento costante. Da qui la necessi-tà di delineare un approccio alternativo in grado di superare le rigidità dellacategoria di “qualifica professionale” e nel contempo di acquisire le valenzepositive del concetto di competenza, che “rappresenta la valutazione socialedi un comportamento, di un’azione effettiva, dove è possibile apprezzare lequalità dell’individuo in relazione alle norme che regolano l’attività stessa”.

In questa prospettiva Nicoli presenta il concetto di “famiglie/comunitàprofessionali”, che costituisce uno strumento interpretativo in grado di deli-neare le relazioni tra individuo ed organizzazione secondo una modalità chenon semplifica o “modellizza” i fattori in gioco, rischiando di rinchiudersi inuna sorta di autoreferenzialità “sofisticata”, ma che procede affermandol’importanza culturale e sociale del lavoro, collocato entro le relazioni che loconformano.

M. Ambrosini in “Terzo settore ed evoluzione dei sistemi di Welfare: leimplicazioni professionali di una missione solidaristica” (cap.3) scrive dellediverse forme di solidarietà e delle dimensioni organizzative delle motiva-zioni solidaristiche. Viene così posto in risalto un elemento tipico delle or-ganizzazioni solidaristiche, che consente di individuare una via all’efficaciaorganizzativa diversa da quella seguita dalle imprese tradizionali: l’alto gra-do di condivisione degli obiettivi e di collaborazione reciproca.

L’autore mostra le diverse concezioni del terzo settore e le conseguenticompetenze professionali necessarie, che si possono riepilogare in alcunecategorie: a) competenze di tipo imprenditoriale e gestionale, collegate allacrescente caratterizzazione aziendale del terzo settore, all’accresciuta con-correnza, alla necessità di soddisfare i requisiti richiesti dalle amministra-zioni pubbliche; b) competenze di natura amministrativa, che discendonodalle precedenti, e rispondono in particolare alle esigenze di correttezzacontabile, trasparenza gestionale, oculata gestione delle risorse; c) compe-tenze di tipo operativo, centrate sulla relazione d’aiuto e sul lavoro d’équipe;d) competenze di tipo relazionale, comunicativo, di gestione di gruppi e diprocessi decisionali condivisi; e) competenze di tipo politico, di organizza-zione di campagne di opinione, di gestione dei rapporti tra organizzazioni econ soggetti esterni.

S. Tosoni (cap.6) presenta gli aspetti più significativi e le possibilità of-ferte dalla Comunità virtuale, che si fonda sul concetto di cooperazione so-ciale e quindi sull’assenza di competizione, la condivisione di risorse e in-formazioni, il frazionamento di potere e responsabilità, la partecipazione

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dell’utente alle esigenze della Comunità, l’attenzione alle relazioni umane.Ogni comunità virtuale prevede però anche un progetto di gestione, che de-finisce le regole di accesso e di comportamento, nonché l’individuazionedelle sue finalità (esplicite o implicite). In quest’ottica “tanto più nettamenteemerge la cooperazione sociale tanto più questa dà vita a forme di sogget-tività in grado di reclamare voce in capitolo sulla gestione degli spazi in cuisi dispiega”.

Per raggiungere l’equilibrio tra gestione e cooperazione Tosoni sottolineala necessità della sperimentazione, che “genera una forma di sapere che sipone al confine tra sapere teorico (senza il quale la realizzazione procede atentoni) e sapere pratico (senza la quale la speculazione teorica procede inmodo sempre più autoreferenziale, finendo per avvitarsi facilmentenell’ideologico)”.

La pubblicazione contiene anche l’elaborazione teorica del repertorio deiprofili professionali e delle competenze del terzo settore, con sei profiliscelti a titolo d’esempio, tra i diciotto elaborati per il progetto1 (cap.3): 1)Operatore socioassistenziale – Settore handicap/disabilità; 2) Coordinatoredei servizi socioeducativi; 3) Educatore accompagnatore in percorsi diorientamento; 4) Educatore dei Centri di aggregazione giovanile; 5) Educa-tore dei centri per gli anziani; 6) Counselor familiare.

Nel quarto capitolo viene presentato il dispositivo di accreditamento dellerisorse umane2, che si propone di fornire al settore non profit uno strumentoche ne valorizzi la peculiarità culturale ed organizzativa. Si tratta di uncompito delicato, perché deve superare una concezione riduttiva del concet-to di non profit e una prospettiva normativa della gestione delle risorseumane per passare ad un’ottica che si fonda sull’accreditamento e sul con-cetto di “famiglia professionale”.

Gli obiettivi e le modalità del percorso formativo per imprenditori edoperatori del non profit attuato a Milano, Brescia e Parabiago è descritto nelcapitolo cinque3. Il modello dei corsi prevede una strategia formativa fles-

1 Il repertorio è stato predisposto da un gruppo di esperti del settore, coordinati dal dott.

Arduino Salatin.2 Il dispositivo di accreditamento è stato elaborato da Dario Nicoli e Carlo Catania.3 Il percorso formativo è stato progettato da Elena Di Marco e Silvia Stefanoni.

L’organizzazione dei corsi è stata coordinata dall’Asf (Agenzia Servizi Formativi) di Mila-no (in particolare da Antonio Sassi) e gestita a Milano dal C.F.P. “M. Belloni-FondazioneClerici” (con il coordinamento di Fulvia Mentil), a Brescia dallo IAL Lombardia–Scuola

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sibile, che utilizza in modo integrato diverse opportunità: formazione d’aula,lavoro di gruppo, colloquio di orientamento individuale, action learning,esercitazioni individuali e di gruppo, laboratorio di informatica, stage4.

Gli autoriMauro Magatti è docente di Sociologia, Sociologia dei processi economici e del lavo-

ro, Sociologia dei fenomeni collettivi presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’UniversitàCattolica di Milano. Di recente ha pubblicato “Tra disordine e scisma. Le basi sociali dellaprotesta del Nord”, Carocci, Roma, 1998; con M. Monaci “L’impresa responsabile”, Bol-lati Boringhieri, Torino, 1999; con C. Giaccardi “La globalizzazione non è un destino.Mutamenti strutturali ed esperienze soggettive nell’età contemporanea”, Laterza, Roma-Bari, 2001.

Dario Nicoli è esperto di formazione professionale e di organizzazione del lavoro, do-cente incaricato di Sociologia dell’organizzazione presso la Facoltà di Scienze della For-mazione dell’Università Cattolica, sede di Brescia, redattore di Professionalità, rivista diformazione professionale de La Scuola Editrice, membro di comitati scientifici di diversiprogetti di formazione e di intervento sociale a livello nazionale ed europeo, libero profes-sionista, ha diretto e svolto attività di ricerca, consulenza e formazione per Enti pubblici eprivati. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni sui temi evidenziati.

Paolo Corvo è docente incaricato di Politica sociale presso l’Università Cattolica, sededi Piacenza e collabora con il Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica, sede diMilano, tenendo un Seminario su “Società dell’informazione e globalizzazione” presso laFacoltà di Scienze Politiche. Si occupa di tematiche relative al terzo settore,all’organizzazione dei servizi sociali e all’orientamento formativo; svolge attività di consu-lenza e di formazione per Enti pubblici e privati, Centri di Ricerca, Fondazioni. Ha pubbli-cato saggi e articoli riguardanti il non profit e il mondo della formazione.

Maurizio Ambrosini è docente di Metodologia e tecnica della ricerca sociale, Organiz-zazione e gestione delle risorse umane, Sociologia dell’organizzazione, presso l’università

Regionale Operatori Sociali (coordinatore Pietro Bisinella), a Parabiago dal C.F.P. “L.Clerici” (con il coordinamento di Anna Caspani). Va inoltre ricordato l’apporto fornito alivello amministrativo e organizzativo dalla consulente del C.I.T.E. Silvia Mereghetti e,nella seconda fase del progetto, dall’altra consulente Elisa Baggio.

4 Va segnalato che nel corso del progetto sono stati realizzati due Cd-Rom: 1)“Repertorio delle figure professionali e accreditamento” (che comprende il Repertoriodelle figure professionali dell’area socio-assistenziale e socio-educativa, le Schede per laraccolta e la gestione delle informazioni da utilizzare nell’ambito del Dispositivo di ac-creditamento, l’Impostazione teorica, il Glossario, la Bibliografia) e 2) “Tre unità formati-ve” (le tre unità riguardano la Gestione dei progetti, la Presa in carico educativa, l’Aiuto ecura della persona e sono composte ciascuna da un caso didattico, un’esercitazione sul ca-so, una sezione teorica e un test di autovalutazione). I Cd-Rom sono destinati a formatori,progettisti di formazione, responsabili del personale di organizzazioni non profit, tutor eorientatori. L’équipe di lavoro che ha realizzato i Cd è stata coordinata da Paolo Magatti.

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di Genova, facoltà di Scienze della Formazione. Si occupa da tempo di organizzazioni nonprofit, economia sociale e volontariati. Tra le sue pubblicazioni: “Tra altruismo e profes-sionalità”, FrancoAngeli, Milano, 1999; “La fatica di integrarsi. Immigrazione e lavoro inItalia”, Il Mulino, Bologna, 2001.

Arduino Salatin è docente SISF (Scuola Internazionale Superiore di Scienze della for-mazione, Venezia) e consulente ISFOL per l’area sperimentazione formativa; BeniaminoCaputo, è pedagogista e capo progetto area formazione servizi alla persona, AGFOL(Agenzia Formazione Lavoro), Venezia Mestre; Silvia Baldo è psicologa del lavoro e con-sulente Agfol per la formazione degli operatori dei servizi alla persona; Radames Biondo èpsicologo e consulente Agfol per la formazione degli operatori dei servizi alla persona.

Carlo Catania è esperto in processi formativi, svolge attività di consulenza presso Entipubblici e privati che operano nel campo della formazione professionale, dell’orientamentoe dei servizi per l’impiego. In tali ambiti ha realizzato interventi e collaboratoall’elaborazione di diversi progetti. Svolge attività di ricerca e pubblicistica intorno ai temidella formazione e delle politiche attive del lavoro. In particolare ha pubblicato articoli ri-guardanti gli stage e la gestione di processi formativi rivolti a lavoratori in mobilità.

Elena Di Marco è esperta in processi formativi, svolge attività di formazione e consu-lenza presso Enti pubblici e privati che operano nel campo della formazione professionale edei servizi per l’impiego. Ha realizzato interventi e collaborato all’elaborazione di diversiprogetti e manuali sulle tematiche dell’orienta-mento al lavoro, dell’integrazione tra sistemiformativi e dei servizi all’impiego. In particolare ha pubblicato articoli riguardanti il ruolodell’orientamento nella transizione scuola-lavoro e il nuovo canale formativo IFTS, Istru-zione e Formazione Tecnica Superiore.

Silvia Stefanoni è esperta in processi formativi. Si occupa di sistemi di gestione per laqualità applicati alla Formazione Professionale e collabora al progetto della Regione Lom-bardia Aladino relativo all’orientamento agli studi dopo la scuola secondaria superiore.Svolge attività di ricerca sul tema dell’accreditamento delle sedi formative e orientative esulle modalità formative dell’autoformazione.

Simone Tosoni è dottorando in Sociologia e Metodologia delle Scienze Sociali pressol’Università Cattolica di Milano, dove è anche cultore della materia in Sociologia dellaComunicazione e Teoria e Tecniche delle Comunicazioni di Massa. Svolge attività didatti-ca e di ricerca sul tema delle Comunità Virtuali e delle interazioni on-line.

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1UN APPROCCIO INNOVATIVO

ALLE PROFESSIONI DEL SETTORE NON PROFIT

di Dario Nicoli

1.1 Trasformazioni della società e della «cura» di soggetti bisognosiÈ indubbio che le grandi trasformazioni che hanno interessato le società

moderne – con particolare riferimento al contesto lombardo – hanno provo-cato fortissime tensioni lungo la linea che pone in relazione la famiglia, leistituzioni sociali ed i soggetti bisognosi di cura.

Le trasformazioni della famiglia, demografiche, della vita sociale com-portano due conseguenze in tema di relazioni di cura:a) Da un lato viene ridotta la «presa in carico» familiare in riferimento a di-

verse figure bisognose di cura (ed anche di differenti momenti di vitadelle stesse figure) a favore di una nuova categoria di professionisti della«relazione di cura»; si nota pertanto un movimento di dislocazione delluogo dell’assistenza dalla famiglia all’ambiente sociale istituzionalizzatotramite nuove forme di servizio (centri socio-educativi, strutture protette,comunità alloggio, strutture integrate, centri di formazione…) specifica-mente rivolte a utenti con caratteristiche di bisogno.

b) Dall’altro si crea la necessità di una diffusa competenza comunicativo-relazionale tra molte figure professionali non necessariamente del settoresocio-assistenziale, quali, ad esempio, quelle appartenenti all’ambitodell’educazione (sempre più investito di problematiche non solo connesseall’apprendimento ma che spaziano anche nella presa in carico educativae sociale), ma pure quelle dell’erogazione di servizi diversi per i quali ri-sulta decisivo operare nel senso delle capacità comunicative e relazionali.Si può dire che la relazione di cura è ad un tempo un ambito professiona-

le specifico ed anche un requisito comune a molte figure e molteplici settori.Sul piano storico, tale vicenda può essere sintetizzata in due movimenti

di fondo:

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– il movimento – avvenuto negli anni ’70-’90 – verso la delega di alcune diqueste funzioni di cura dalla famiglia verso le istituzioni pubbliche ovve-ro la creazione del Welfare State;

– il movimento più recente verso la diffusione di modalità autonome(rispetto alla pubblica amministrazione) di risposta al bisogno sia sottoforma di azioni volontarie sia nella fattispecie delle imprese sociali diservizi.Scorgiamo pertanto nell’attuale fase nell’ambito dei servizi sociali il con-

solidamento di una nuova configurazione organizzativa e professionale ten-dente a riequilibrare il rapporto pubblico-privato. Si manifesta una ricerca dilegame più intenso tra servizio e contesto territoriale di vita delle persone.

Nel contempo si nota un maggiore coinvolgimento degli enti locali mi-nori – Comuni e Comunità montane – con una forte presenza associativacomunitaria ovvero in stretta integrazione con le forze del volontariato e lacomunità sociale. È quanto viene definito in termini tecnici «strategia di re-te» o anche Welfare community, intendendo con tale espressionel’introduzione nel campo dei servizi di un modello d’azione collaborativo epolicentrico ma programmato e verificabile, secondo l’applicazione con-giunta del principio di solidarietà e di quello di sussidiarietà.

L’area dei nuovi servizi evidenzia il mutamento dei bisogni e più in gene-rale del contesto sociale. Si manifesta infatti una forte complessità, tipica diuna società dinamica, segnata da un elevato benessere economico, ma allostesso tempo sottoposta a tensioni e disagi notevoli e per molti versi scono-sciuti nelle stagioni precedenti.

Per tale motivo, si ampliano attività tra cui: assistenza domiciliare, azionia favore della popolazione anziana non autosufficiente, azioni a favore dellefamiglie che si prendono a carico l’assistenza ad un proprio congiunto nonautosufficiente, servizi per l’infanzia e di sostegno alle famiglie, servizi perl’area adolescenziale e giovanile, centri di primo ascolto, centri diurno inte-grato, centri di prevenzione e di recupero, azioni a favore degli handicappati,azioni a favore dei terzomondiali, progetto tossicodipendenza, servizio tele-soccorso, banca del tempo solidale, servizio formativo assistenziale.

L’intento che sottostà ai diversi interventi – quelli ad esempio rivoltiall’area dell’handicap, degli adolescenti e dei giovani – può essere pertantodefinito come «politica sociale comunitaria» basata su una visione comunedei problemi, sulla valorizzazione delle risorse, sul metodo della coopera-zione e della sussidiarietà. L’orientamento adottato in tale ambito di azione

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è evidenziabile nel metodo della ricerca-azione e nel rapporto tra questa, gliosservatori ed i coordinamenti.

In definitiva, siamo di fronte ad un cambiamento di notevole portatanell’ambito dei servizi, che procede secondo i seguenti criteri:– coordinamento ed integrazione;– valorizzazione delle risorse esistenti;– innovazione gestionale e proceduralizzazione che consenta un controllo

di qualità ed un approccio di miglioramento continuo;– responsabilizzazione dei soggetti sociali e creazione delle condizioni per

una gestione veramente sociale dei servizi indicati;– promozione di spazi espressivi e di incontro, di proposte educative per ra-

gazzi, adolescenti e giovani in forma integrata con le aggregazioni sociali ele scuole e creazione di centri di prevenzione e recupero del disagio;

– stimolo presso la popolazione per la crescita di una cultura dell’uso cor-retto dei servizi interessati.Le strategie di intervento nel settore dei servizi socio-assistenziali proce-

dono lungo una linea che prefigura una tendenza innovativa sulla base deiseguenti fattori:– diffusione e qualificazione della rete comunitaria di servizi socio-

assistenziali primari presso i territori sub-provinciali;– disegno di rete fra tutte le forze in gioco sociali, sanitarie, istituzionali, di

volontariato e culturali intorno a tale progetto in modo da estendere l’areadei servizi in rete (ad esempio il Centro diurno integrato);

– sviluppo di forme di intervento che integrino sempre più pubblico e pri-vato e migliorare gli standard di qualità degli interventi perseguendo unacrescente ottimizzazione del servizio;

– facilitazione della permanenza delle persone anziane presso il propriocontesto socio-relazionale di appartenenza sostenendo, con erogazione diservizi adeguati alle reali esigenze e/o con contributi economici mensili,le famiglie che si fanno carico dell’assistenza ad un congiunto non auto-sufficiente;

– realizzazione di strutture di accoglienza temporanea per le persone nonautosufficienti seguite dai propri familiari al fine di prevenire forme didisagio familiare per eccessivo carico assistenziale;

– diffusione qualificazione della rete di servizi per l’infanzia, favorendol’aggregazione delle famiglie e sviluppando un piano di formazione deigenitori e degli operatori;

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– stimolo all’aggregazione degli adolescenti e dei giovani, responsabiliz-zandoli nell’indirizzo e nella conduzione di interventi significativi; dif-fusione e qualificazione della rete di spazi espressivi e di incontro peradolescenti e giovani;

– stimolo alla creazione di «cooperative sociali» che, anche in forma con-sortile, si facciano carico delle esigenze e dei bisogni educativi, socio-assistenziali e culturali delle comunità;

– promozione e realizzazione di nuove Istituzioni a capitale misto per lagestione dei servizi socio-assistenziali (assistenza domiciliare, primoascolto, Informagiovani, centri diurni integrati, servizi formativi assi-stenziali);

– promozione di Servizi formativi assistenziali.Come si vede, l’insieme di tali mutamenti mira a rivalutare la comunità

come luogo di lettura del bisogno e di risposta ad esso; nel contempo si fastrada l’idea di una nuova cultura della salute da parte di ciascuno con carat-teri di (parziale) autodiagnosi e di autocura.

Dall’analisi dei documenti programmatici e delle relazioni circa l’attivitàsvolta da parte delle diverse Amministrazioni coinvolte appare con evidenzal’intento di combattere la prospettiva individualistica che tende a ridurre ilcittadino a paziente-utente e conduce ad una spersonalizzazione ed eccessivatecnicizzazione del servizio. Soprattutto la consapevolezza circa la diffusio-ne di un numero considerevole di patologie non gestibili tramite protocollitecnici conduce a ridare valore alla comunità ed alle reti primarie come fat-tori indispensabili nella nuova cultura dei servizi.

1.2 Non profit e nuove professionalità centrate sulla relazione d’aiutoLa vicenda del Welfare segue pari passo le fasi di evoluzione della realtà

sociale e rivela le energie che si mobilitano in direzione della risposta ai bi-sogni ed anche della tessitura di legami in grado di fronteggiare le lacera-zioni introdotte dal cambiamento.

Tali energie fanno riferimento per la gran parte alla forte vena solidaristi-ca ed assistenziale della cultura locale che si esprime nell’impegno volonta-rio nelle sue varie forme: filantropia, attività caritativa, mutualismo, fino allepiù moderne associazioni non profit ed imprese sociali. Esiste una forte de-dizione verso l’altro, proprio perché esiste una forte connotazione comuni-taria della cultura lombarda. Ciò permane nel tempo, pur mutando nelleforme e nei modi, come risposta ai cambiamenti che pervadono la realtà so-ciale ed istituzionale e che sfidano la stessa vita di comunità.

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Si assiste ad un nuovo slancio nelle opere di volontariato a partire dallaconcomitanza della crisi dei servizi gestiti dallo stato, ma pure come richie-sta di collaborazione (un singolare ribaltamento del principio di sussidiarie-tà) rivolta alle associazioni di volontariato da parte delle strutture pubbliche.È il caso della tossicodipendenza, dell’aiuto ai malati di Aids, delle azioni afavore dei terzomondiali, e così via comprendendo tutte le diverse formedella solidarietà, tradizionali e non.

Le opere di solidarietà tendono a crescere, via via che si fanno più pres-santi le urgenze derivanti da un tipo di evoluzione sociale che, mentre au-menta il tasso di benessere medio, diffonde però situazioni di solitudine, didisagio, di disorientamento del vivere. Sono bisogni che evidenziano uncambio storico, uno stato di crisi societaria che si accompagna ad una incer-tezza circa i riferimenti cruciali della vita. Anche in questo caso, il“movimento della solidarietà” dimostra una notevole vitalitànell’interpretare la nuova domanda sociale, evidenziando il suo profondoradicamento culturale. È anche uno sforzo teso ad introdurre nel comporta-mento umano, specie nell’ambito del lavoro, una forte valenza etica e disenso, anche per contrastare la tendenza disgregatrice e dissipatrice presentein alcuni ambiti della vita personale e sociale.

Diversi segnali, lasciano trasparire la crescita di una nuova coscienza delsociale caratterizzata da una decisa e convinta maturità. In tal modo i rap-porti di questo nuovo sociale con il sistema politico sono possibili su basi direciprocità e di rispetto, tali da renderli maturi e creativi. Il tema del rappor-to con le istituzioni pubbliche è quindi centrale per una comprensione deicaratteri di questo “nuovo sociale”. È in questo quadro che emerge l’idea ela pratica dell’impresa sociale di servizi, ovvero entità organizzate in gradodi assumere responsabilità in merito a risultati di rilievo sociale, accanto edin continuità a compiti tradizionali di aggregazione e di mobilitazione. Èquanto viene definito, in modo sintetico, “terzo settore” o “terzo sistema”.Queste associazioni sono più efficienti nella misura in cui si sviluppano alloro interno flussi molteplici di informazione, e si realizzano ampi spazi diinfluenza degli iscritti sui soci e sui dirigenti, valorizzando in questo la di-namica del gruppo faccia-a-faccia e della comunicazione diretta.

L’approccio di impresa sociale nelle organizzazioni non a fine di lucropermette di superare la frattura tra cultura e prassi, tipica di un modo retori-co di essere forza del “sociale”, ed allo stesso tempo consente di andare oltrele abitudini associative opache e carenti di riscontro popolare. Infine, l’ideadell’impresa sociale non giustifica più una gestione dei servizi come medio-

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cre traffico di risorse, ma pone a dirigenti ed operatori sfide di alto profiloideale, umano ed organizzativo.

Uno degli aspetti più rilevanti dell’impresa sociale è dato dalla capacitàdi sperimentare forme di lavoro dotate di un senso pieno, capace di coniuga-re rilievo etico e competenza professionale. Di fronte ad analisi che affer-mano troppo affrettatamente la “perdita di centralità del lavoro” e tendono asostituire il valore simbolico ed evocativo della stessa parola “lavoro” conl’idea-immagine di “cittadinanza sociale”, l’esperienza delle organizzazioninon profit ed in particolare delle imprese sociali di servizi propone una vi-sione dove il lavoro è concepito nel contesto culturale del servizio e quindidi un modo caratterizzato della persona di porsi in relazione positiva neiconfronti degli altri e della collettività nel suo insieme. Lo stile del“servizio” si può esprimere in due modi tra di loro strettamente legati:nell’attività di impegno volontario ed in quella lavorativo-professionale. Sitratta di un atteggiamento che riflette sulle potenzialità di ognuno, nel sensodi vocazione personale, e sui modi che attualizzano questo potenziale in unaforma che ne sviluppi realmente l’utilità.

Centrale in tutto ciò è la relazione di cura. Essa riguarda evidentementel’ambito socio-assistenziale e sanitario, ma riguarda anche in differente mi-sura ed intensità anche altre aree professionali. Si veda ad esempio ciò checoncerne l’ambito educativo.

Negli ultimi decenni la scienza pedagogica, trovandosi coinvolta in ungenerale dibattito relativo a nuovi indirizzi della ricerca epistemologica edessendo divenuta spesso oggetto di critiche provenienti da diversi settoriscientifici, ha maturato l’esigenza di avviare un processo di profonda rifles-sione sulla propria specificità teoretica ed operativa. Si è aperto così un nuo-vo orizzonte per la pedagogia, il cui intervento oggi non risulta più essererelegato nell’area scolastica, ma allargato all’intero arco della vita umana e adiversi ambienti.

Nasce quindi anche un diverso concetto di pedagogia, specie per ciò checoncerne l’approccio alla persona nella sua specificità e complessità. Ed èproprio all’interno delle modalità d’intervento di questa nuova attuale di-sciplina che si colloca la relazione d’aiuto, quale valido sostegno all’operad’educazione della persona, della famiglia, della coppia, del gruppo. Essa èintesa come intervento capace di aiutare, stimolare, approfondire, chiarire erafforzare il senso della vita dell’individuo, affinché questi, anche attraversola sofferenza presente nella propria esistenza, abbia una nuova possibilità dimaturazione e di crescita personale. Non si tratta di una atteggiamento tera-

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peutico, quanto di un approccio che viene richiesto ogni qual volta vi sia unincontro tra due persone, di cui una bisognosa di sostegno e l’altra desidero-sa di iniziare un cammino che, partendo dall’ “hic et nunc” della persona, lastimoli a sprigionare energie che la rendano capace di acquisire nuovi valorie significati, per divenire in grado di elaborare un diverso ed appagante pro-getto di vita.

Si vedano ad esempio i contenuti considerati fondamentali nella relazioned’aiuto specifica della prassi educativo-formativa:– avere un atteggiamento disponibile e capace di incoraggiare l’espressione

spontanea del soggetto;– essere in grado di ascoltare, senza giudicare, dispensare consigli, o colpe-

volizzare;– calarsi nel mondo del destinatario e parlare il suo linguaggio, rimanendo

però sempre lucido e obiettivo;– essere non direttivo, per lasciare il soggetto libero di esprimersi e di far

emergere il proprio disagio;– essere sempre presenti e attenti al colloquio;– osservare il linguaggio non verbale della persona;– rispettare il suo “silenzio”;– attenersi al “segreto professionale”.

È ciò che in altri termini viene definito come attività di counselling ovve-ro una metodologia operativa che accoglie in un’ottica di integrazione plu-ralistica i contributi di molte branche delle scienze umane, sociali, naturali etecnologiche.

Naturalmente, la relazione di aiuto (ed auto-aiuto) trova la sua più rile-vante attuazione nell’ambito socio-assistenziale. Essa mira a promuoverel’autonomia delle persone e la loro liberazione dallo stato di dipendenza epassività”. Il riferimento personale rappresenta il fondamento della relazio-ne. Di conseguenza, gli elementi qualificanti dell’operare non sono i servizispecifici per bisogni specifici (cibo, casa, lavoro), ma relazioni con dellepersone in stato di bisogno. I compiti peculiari sono la valorizzazione delladimensione umana e affettiva degli individui e la mediazione tra questi e lestrutture che erogano servizi.

È la qualità della relazione, e cioè la capacità di prendersi cura delle per-sone, il fattore cruciale dell’azione, più che il loro adeguamento a uno stan-dard che non tutti possono o vogliono accettare.

Ciò significa proporsi in superamento dello schema assistenzialistico cheassegna un ruolo attivo solo agli erogatori del servizio, relegando gli utenti

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in una posizione passiva che non li vede protagonisti di un percorso che essihanno invece il diritto e il dovere di gestire in prima persona.

A questo proposito costituisce positivo elemento di novità lo stile di au-to-aiuto che permette di verificare concretamente le potenzialità di recupero,di creatività e di solidarietà attiva di persone emarginate, qualora disponga-no di adeguate opportunità.

Da qui nasce la tendenza alla professionalizzazione delle figure che si oc-cupano di relazione di cura. Ciò significa acquisire competenze e informazioniadeguate, che riguardano da una parte la capacità di gestione della relazioned’aiuto (supervisione di tipo psicologico con personale competente), dall’altrala conoscenza della realtà sociale di riferimento, attraverso una raccolta di in-formazioni da organizzare in una banca dati. Inoltre l’operatore deve possede-re la capacità di sensibilizzazione del contesto sociale più ampio.

Centrare il servizio sulla persona e sulla complessità dei suoi bisogni,comporta la collaborazione in rete, sia con altre realtà del settore, sia con lestrutture sanitarie e le istituzioni sia per sviluppare confronto sia per realiz-zare convergenze operative ed opportunità di formazione.

Vi è un rapporto stretto tra professionalità e organizzazione non profit.Infatti, da un lato ci si avvede che il buon cuore non basta per realizzare unservizio sociale, ma dall’altro nella richiesta di professionalità si cerca lavalorizzazione delle doti personali dei singoli. Rilevabile è, in generale, unacorrelazione tra motivazione e impegno. Nel migliorare le prestazioni siprende atto che è condizione necessaria perché l’impresa rimanga nel merca-to, ma nel contempo si cerca di attuare una crescita dei valori umani deglioperatori. Si tende a esplicitare una volontà di servire per realizzarsi, per es-sere in grado di dare delle autentiche risposte non solo ai bisogni ma allapersona. Il senso pieno della qualifica è l’esaltazione della persona.

Come l’attenzione ai bisogni raggiunge la persona del beneficiario, inmodo analogo l’attenzione all’ambiente porta alla riscoperta dei valori dellacomunità. Da un lato le organizzazioni senza scopo di lucro sono intese daisoci e partecipanti come luoghi di cultura, ove far emergere le qualità dellavita. Da un altro lato sono vissute come parte integrante d’un territorio ove,rispondendo a bisogni emergenti o insoddisfatti, far rivivere il tradizionaleimpegno comunitario. L’esplicitazione di valori personali avviene attraversola ricerca del bene comune, il coinvolgimento responsabile dei singoli com-porta la coscienza di gruppo e di comunità.

Così, a partire dal momento in cui buona parte delle opere private in temadi assistenza sociale vengono assorbite dall’apparato prima statale e poi

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degli enti locali, si scorge un processo di riorganizzazione di organismi pri-vati preesistenti mentre ne sorgono di nuovi con caratteristiche che rivelanola coscienza della nuova realtà sociale. Da un lato l’attenzione alla personaed all’ambiente, dall’altro la strategia di impresa rappresentano gli elementidi questa nuova stagione dell’iniziativa privata in questo campo, iniziativache si collega facilmente con l’azione degli Enti locali tramite modalità con-venzionali che intendono una cooperazione reciproca e paritaria tra pubblicoe privato nella gestione dei servizi.

Rilevante è la comparsa di un nuovo ceto di responsabili oltre che di ope-ratori, spesso proveniente dal volontariato e dal lavoro dipendente, non ra-ramente nel settore della Pubblica amministrazione. Si tratta di una«conversione» verso il settore dei nuovi servizi, carico di idealità e stimolan-te nel senso della nuova imprenditorialità e professionalità sociale.

1.3 Un approccio innovativo alle professioni del non profitMa come definire le nuove professionalità del settore? Va segnalata infatti

la crisi della categoria di «qualifica» professionale connessa a tali figure.Con tale espressione si intende un’attribuzione formale ad un individuo

di un riconoscimento attestante il possesso dell’insieme delle attitudini,delle conoscenze, delle competenze e delle esperienze acquisite che permettedi esercitare un’attività lavorativa determinata. La qualifica rappresentaun’istituzione sociale riconosciuta da convenzioni collettive che classificanoe gerarchizzano i posti di lavoro (contratti collettivi nazionali); ad essa èpure orientata la formazione professionale, che classifica ed organizza i sa-peri in riferimento ai titoli di studio.

La creazione del concetto di qualifica professionale si spiega a seguitodell’affermazione della società industriale la quale determina la crisi deimodelli di acquisizione dei saperi professionali tipici della società corporati-va. Con le corporazioni, vengono aboliti l’apprendistato, l’affiancamento,gli esami professionali. Spariscono i controlli sull’insediamento dei«maestri» e l’assunzione degli apprendisti.

A seguito di questa disorganizzazione totale, l’apprendista diventa, inrealtà, un giovane operaio sottomesso senza protezione a dei compiti pocoformativi ed utilizzato al fine di creare pressione sul salario degli adulti.Questo sfruttamento si accompagna con una rottura nel processo di trasmis-sione del sapere, che spiega parzialmente anche l’assenza di mano d’operaqualificata all’epoca della industrializzazione. Da qui la questione sociale,

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che porta poco a poco alla costituzione del Welfare State, un’organizzazionedella società basata su un sistema di regolazione statuale.

La qualifica, una vera e propria istituzione sociale, si fonda pertanto su 2sistemi:– le convenzioni collettive che classificano e gerarchizzano i posti di lavoro;– la formazione professionale, che classifica ed organizza i saperi in riferi-

mento ai titoli di studio.La qualifica svolge un ruolo nelle relazioni industriali e dota i lavoratori

di armi collettive e suscettibili di opporsi ai voleri degli imprenditori.Sorge un sistema di convenzioni collettive che istituzionalizza la nozione

di qualificazione lavorativa a sua volta fondata sulla corrispondenza traabilità operativa, impiego e salario.

Il contratto di lavoro deve pertanto iscriversi entro condizioni generali,stabilite collettivamente; ciò al fine di assicurare ai lavoratori il pagamentoal giusto prezzo dei saperi e delle capacità che essi detengono e di cui i lorititoli di studio attestano l’esistenza.

La nozione di qualifica lavorativa rappresenta nel contempo anche ilpunto di appoggio per la trasmissione delle conoscenze professionali. Nellaprima parte del secolo si crea, con notevoli variazioni tra paese e paese (inItalia ciò avviene con grande ritardo e notevoli carenze che si trascinanodrammaticamente ancora oggi), l’insegnamento professionale e lo stesso ap-prendistato. La formazione professionale si costruisce attorno a qualificheprofessionali il cui contenuto è fissato sotto l’egida dello stato sia pure nellearticolazioni regionali.

La qualifica fornisce quindi la struttura a partire dalla quale si organizzatutto l’insegnamento professionale, sia nella modalità fornita dalla scuola edai centri di formazione sia in quella impartita nel processo di apprendistato.La qualifica rappresenta dunque una figura di mestiere, ma tale figura èadattata alle condizioni di esercizio del lavoro industriale.

Il sistema di qualificazione è concepito intorno al concetto anonimo di li-vello standard, omologato da parte dello stato nel titolo di studio o certifica-to professionale, ciò che corrisponde all’incremento della divisione e dellastandardizzazione del lavoro. Tra lavoratori e imprenditori si definisce unlegame salariale anonimo e non comunitario o familiare come accadeva inprecedenza. La qualifica consente ai lavoratori di entrare nell’ordine dellacittadinanza dove le differenze sociali sono basate su una classificazione ef-fettuata a partire dal livello di istruzione.

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In sintesi, la crisi del concetto di «qualifica professionale» si manifesta atre livelli:

inadeguatezza di tale categoria interpretativa a fronte della mutevolezzadel contesto organizzativo;superamento delle modalità di reclutamento e di gestione delle carrierebasate su rigide corrispondenze tra qualifiche e titoli di studio e su man-sionari predefiniti;modifica delle relazioni istituzionali tra mondo del lavoro e sistema for-mativo, oltre che dell’organizzazione e del contenuto delle attività for-mative, infine della validazione e del riconoscimento dei saperi e dellecompetenze professionali.A fronte di tali crisi è sorta da più parti negli ultimi anni la prospettiva di

utilizzare la «competenza» come categoria-base per il superamento delledifficoltà evidenziate, con un effetto sostitutivo nei confronti della qualifica.Quindi – considerando i molteplici significati di quest’ultima, ovvero socio-professionale, contrattuale e formativo – facendone un uso totalizzante quasicome fosse una chiave passepartout per ogni problema concernente le rela-zioni tra individuo ed organizzazioni di lavoro. In effetti, a partire dallecompetenze sono stati elaborati approcci innovativi di:– lettura delle realtà lavorative;– definizione di percorsi di carriera, dove in particolare le competenze

«trasferibili» (saper risolvere un problema, fare una diagnosi, dialogarecon la persona…), in misura maggiore rispetto alle conoscenze tecniche,servono da principio organizzativo della traiettoria professionale;

– definizione di progetti formativi;– creazione di formule contrattuali aperte.

Ma, a fronte di un notevole entusiasmo specie di scuola manageriale in-torno alla possibilità di un uso della categoria di competenza come chiaveper la soluzione di una notevole varietà di problemi posti dalla crisi dellaqualifica e dei modelli formativi tradizionali, emerge una presa di coscienzacirca le difficoltà teoriche e metodologiche di tale operazione totalizzante esemplificante (che per certi versi appare piuttosto «complicante»).

Tali difficoltà sono specificabili nel modo seguente:a) la competenza appare difficilmente definibile avendo essa un carattere

soggettivo (caratteristiche personali), uno oggettivo (caratteristichedell’ambiente di lavoro) ed uno di azione;

b) è pressoché impossibile definire sistemi di classificazione omogenei,univoci e validi per scuola, formazione professionale e lavoro;

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c) la tendenza dei modelli per competenze evidenzia un pericolo di«granularizzazione» ed un approccio eccessivamente tecnicistico;

d) la competenza non si regge da sola sul piano pedagogico-formativo marichiede, per la sua acquisizione, una serie rilevante di requisiti tra cuicapacità personali, saperi e meta-competenze;

e) nel contempo la competenza non si regge da sola sul piano organizzativoma richiede una strutturazione più consistente entro le organizzazioni dilavoro.Dal punto di vista della definizione, ci pare utile ricorrere a quella avan-

zata da G. Le Boterf secondo cui la competenza “non è uno stato od una co-noscenza posseduta. Non è riducibile né a un sapere, né a ciò che si è ac-quisito con la formazione. La competenza non risiede nelle risorse(conoscenze, capacità) da mobilizzare, ma nella mobilizzazione stessa diqueste risorse. Qualunque competenza è finalizzata (o funzionale) e conte-stualizzata: essa non può dunque essere separata dalle proprie condizionidi ‘messa in opera’. La competenza è un saper agire (o reagire) riconosciu-to. Qualunque competenza, per esistere, necessita del giudizio altrui (LeBoterf G., 1994).

Questa definizione è utile a chiarire alcuni punti cruciali del concetto dicompetenza:

innanzitutto distingue tra competenza – intesa come prestazione o per-formance professionale – e sue componenti: saperi, capacità, ma la defi-nisce come una mobilizzazione delle risorse da parte dell’individuo infunzione di una loro messa in opera valida;di conseguenza, non si può confondere la competenza con il contenuto diun processo di formazione, infatti quest’ultimo è pertinente a fornire lerisorse di cui le competenze si compongono, e la competenza risulta esse-re un’azione e non uno stato (il possesso certificato di saperi e capacità);l’azione è competente nel momento in cui è riconosciuta ovvero validataattraverso un giudizio altrui, che nel nostro caso è costituito dal soggettoresponsabile del contesto in cui essa si applica: l’impresa.È evidente come la nozione di competenza non possa corrispondere ad

uno schema classificatorio che pretenda di produrre tipologie valide in asso-luto e predittive dei comportamenti di lavoro.

Ciò che serve è piuttosto un modello di interpretazione ed una metodo-logia di analisi che siano in grado di accompagnare l’operatore in una prassiche in parte corrisponde ad una ricerca-azione sia pure semplificata e soste-nuta dal modello di riferimento.

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Si tratta in definitiva di un superamento della prospettiva prescrittiva deicomportamenti di lavoro.

La competenza, quindi, non rappresenta un contenuto assoluto stretta-mente connesso ad una procedura; essa costituisce più precisamente la valu-tazione sociale di un comportamento, di un’azione effettiva, dove è possibileapprezzare le qualità dell’individuo in relazione alle norme che reggonol’attività stessa. Di conseguenza, la nozione di competenza interseca trecampi differenti:

il percorso di socializzazione ovvero il campo biografico;l’esperienza professionale;la formazione.La competenza è costituita da un processo piuttosto che da uno stato; essa

è data precisamente dal processo generativo del prodotto finito – inteso co-me «performance» o prestazione. Non basta pertanto analizzare la prestazio-ne «disancorata» dal tempo e dallo spazio; occorre cogliere entro le caratte-ristiche di ciò che abbiamo definito come competenza le componenti dina-miche e gerarchiche che consentono di delineare la capacità della persona diessere competente nel tempo, a seguito delle innovazioni e dei mutamentiche concernono i saperi, le tecniche, l’organizzazione del lavoro.

La competenza è un «saper agire» riconosciuto: non ci si dichiara da sécompetenti. Essa è il risultato di un apprezzamento sociale, tanto che puòessere definita come l’esplicazione sociale di una padronanza dimostrata.Tale padronanza risulta da un intreccio tra fattori esterni e fattori interniall’individuo, questi ultimi definibili a pieno titolo «personali». Di conse-guenza, le acquisizioni variamente possedute (attraverso l’esperienza,l’istruzione o la formazione) sono costituite dagli elementi di competenzaprofessionale constatati o misurati e confrontati con gli obiettivi della stessa.Questa “misurazione di scarto” è effettuata ad esempio attraverso la prova diaccertamento dell’esistenza delle competenze professionali (o validazione).

Va ricordato che l’esperienza lavorativa non consiste soltanto in una di-namica verso l’esterno, ma comprende pure un cammino interiore, consen-tendo alle persone di riconoscere la propria vocazione e di sviluppare le pro-prie potenzialità in una varietà di relazioni sociali.

Il lavoro, dal punto di vista di chi lo esercita, presenta infatti un duplicesignificato:

è una relazione di servizio, dotata di utilità sociale;è una relazione interiore ovvero espressione della personalità e del«gusto».

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In termini analitici, il lavoro è definito da un insieme di saperi, sia for-malizzati sia informali (ma non per questo meno impegnativi e vincolanti)organizzati secondo una strutturazione sua propria, distintiva, che tende adefinirsi come «visione della realtà» e del proprio contributo in essa.

Il sapere proprio del lavoro si sviluppa per cerchi progressivi e concen-trici, che comprendono:

un linguaggio;i saperi di base;un «principio costruttivo» ovvero uno schema formale su cui si tematiz-zano gli assunti propri di tale sapere per divenire quadri concettuali edoperativi;le abilità tecniche;la creatività e la maestria.Non tutte le attività lavorative si sviluppano lungo l’intero percorso indi-

cato; da questo punto di vista esse possono risultare più o meno strutturate,fondate su saperi distintivi o di senso comune, a debole o forte grado di«maestria».

Anche le attività lavorative più ricche prevedono però diversi gradi di ac-cesso:

vi può essere un grado di supporto, che identifica persone che assistono iveri e propri detentori del sapere lavorativo-professionale;si può prevedere un grado di abilità standardizzato, ovvero in grado difornire prodotti/servizi funzionalmente ineccepibili, ma carenti di crea-tività e di «tocco» artistico;vi è infine il livello più elevato di maestria che prevede una competenzaelevata, una forte personalizzazione dell’opera, una posizione di prestigioentro la comunità di appartenenza.È la comunità lavorativo-professionale che detiene le chiavi di accesso aisaperi, che fissa le condizioni ed i requisiti (sociali, economici, personali)di accesso agli stessi con particolare riguardo all’implicazione al gradodella maestria, che presidia i riti di ingresso e di passaggio.Le relazioni di lavoro si svolgono in un’organizzazione che rappresental’ambito e nel contempo il patto – sempre aperto e dinamico e quindicome un continuo «cantiere» in costruzione – entro cui si svolgono i per-corsi di vita/di lavoro delle persone che ne fanno parte.L’organizzazione presenta anch’essa requisiti simili a quelli identificabili

nel lavoro del singolo. Si tratta in effetti di un costrutto culturale prima an-cora che tecnico-funzionale (Gagliardi, 1991), mediante il quale diversi in-

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dividui si legano distribuendo variamente compiti e funzioni – per persegui-re insieme uno scopo che singolarmente non sarebbero stati in grado di rag-giungere.

Il lavoro è quindi identità ed appartenenza; esso – come abbiamo visto –è delineato intorno ad un «modello antropologico» ovvero una rappresenta-zione della persona umana e del suo rapporto con gli altri e la realtà. Il mo-dello antropologico è spesso implicito in ogni organizzazione di lavoro e pu-re nella progettazione formativa. Esso è parte della cultura dell’impresa edesprime il significato che essa attribuisce al contributo umano al suo interno.

Occorre ricordare che i saperi lavorativi, concretamente vissuti entro re-lazioni sociali ed istituzionali rilevanti, si definiscono come «formazioneimplicita», ovvero una realtà culturale e nel contempo una traccia lungo laquale è possibile delineare un progetto/programma formativo.

Il processo formativo – ovvero la trasmissione dei saperi – è tutt’uno conil processo lavorativo e ne costituisce un elemento costante. Esso è compitonon già di figure specifiche, bensì di ogni maestro che, nel mentre opera, in-segna a lavorare.

Ciò è confermato dal fatto che la crisi della comunità professionale si ri-vela infatti come fine della «tradizione» ovvero della trasmissione dei saperilavorativi alle generazioni più giovani.

Da qui la necessità di delineare un approccio alternativo, in grado di su-perare le rigidità della categoria di «qualifica professionale» ma nel contem-po di acquisire le valenze positive del concetto di competenza, senza peral-tro rinunciare ad uno spessore sociale e culturale del lavoro proprio delcontesto in cui esso è collocato.

1.4 Il concetto di famiglie/comunità professionaliÈ per questo motivo che si propone da diverse parti la necessità di assor-

bire la nozione di «competenza» entro quella dei sistemi basata sul concettodi famiglia/comunità professionale. Si tratta di una rappresentazione piùcoerente con l’attuale dinamica dell’impresa e del lavoro, in grado di coglie-re i seguenti aspetti:

valorizzazione delle dimensioni culturali dell’impresa e del lavoro;relazione tra dimensioni stabili e dimensioni mutevoli del lavoro;enfatizzazione del settore/ambito economico-professionale di riferimento;rilevanza delle componenti soggettive ma nel contempo regolamentari enormative del lavoro.

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In tali rappresentazioni, la competenza rappresenta un fattore secondariorispetto alla «struttura professionale» (di settore, di impresa, di categoria la-vorativa). Essa interviene nel definire i caratteri della professionalità intesiin senso tecnico, dopo che sono stati definiti in forma adeguata gli aspetticulturali ovvero relativi alle motivazioni, ai saperi, alle regolamentazioni,alle relazioni ed al codice deontologico.

Con la categoria di «famiglia/comunità professionale» possiamo pertantodisporre di uno strumento interpretativo in grado di delineare le relazioni traindividuo ed organizzazione secondo una prospettiva che non semplifica o«modellizza» i fattori in gioco con il rischio di rinchiudersi in una sorta diautoreferenzialità «sofisticata», ma che procede affermando l’importanzaculturale e sociale del lavoro, che risulta collocato entro le relazioni che loconformano.

In modo specifico, con l’espressione «famiglia professionale» si intendeun aggregato di figure professionali – coincidente volta per volta con il set-tore (es.: meccanico), il processo (es.: servizi all’impresa) o la tecnologia(es.: informatica) – aventi in comune

cultura distintiva composta di valori e di saperi peculiari;le collocazioni organizzative;i percorsi;le competenze chiave.La famiglia professionale presenta pertanto le seguenti caratteristiche:

è dotata di un quadro di valori che ne definiscono lo statuto deonto-logico oltre che di requisiti di appartenenza e di tutela,è caratterizzata da un insieme di saperi specifici (anche se non cosìdistintivi come accade nelle professioni classiche),presenta canali di ingresso definiti (con partnership con scuole, cen-tri ed università) e metodologie di presa in carico delle persone,richiede per i neo-assunti percorsi formativi prevalentemente in al-ternanza tra modalità extra-aziendali ed aziendali.

Essa è composta da più profili professionali, che ne costituiscono lecomponenti riferite a specifici ruoli, sono caratterizzati da un proprio refe-renziale professionale e formativo, risultano mutevoli nel corso del tempo aseguito delle modifiche organizzative e tecnologiche.

Le competenze sono da intendere come requisiti che indicano la padro-nanza professionale del soggetto ovvero la sua capacità nel far fronte ad unaserie di problemi/opportunità presenti in una specifica area professionale.

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Si distinguono due categorie di competenza:– competenze chiave o strategiche proprie di tutta la famiglia professionale

ai vari livelli;– competenze specifiche proprie delle figure individuate ovvero caratteristi-

che rispetto alle altre figure della stessa famiglia professionale.Rimane sempre decisivo il fatto che l’acquisizione della competenza non

può essere disgiunta dal suo concreto esercizio nel contesto organizzativo incui si svolge l’attività della figura e della famiglia professionale cui si riferi-sce, pena la perdita della sua validità (che, a rigore, non può essere attribuitaalla sola agenzia formativa, bensì all’interazione tra questa e l’impresa coin-volta nel processo formativo).

In forza di questa impostazione, è ora possibile delineare il nuovo di-spositivo di gestione delle risorse umane.

1.5 Un dispositivo innovativo per la gestione delle risorse umaneSi parla di gestione delle risorse umane e non solo di formazione poiché

l’approccio indicato ci consente di definire un insieme organico di relazionitra tutte le funzioni che concernono la cura del fattore umano, e precisamen-te:

orientamento;istruzione;formazione;incontro domanda offerta;creazione / successione / innovazione di impresa;selezione;valutazione;gestione ingresso;bilancio di competenze;sviluppo professionale.Il dispositivo che si delinea presenta pertanto carattere innovativo. Esso

si definisce in riferimento a specifiche famiglie professionali, collocate entronotevoli processi di trasformazione di natura non soltanto tecnica ma ancheimprenditoriali ed organizzativi.

Tale dispositivo è composto dei seguenti elementi:

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CULTURA DI SETTOREEssa è rappresentata da: quadro dei valori – atteggiamenti – saperi. La cultura di settoredefinisce delle comunanze che si rilevano nella presenza di una «disposizione» positiva daparte della persona candidata all’ingresso in uno dei vari ambiti prevedibili (analisi dellecaratteristiche di personalità) Circa i saperi, va fatta una distinzione tra il curricolo mani-festo (quello del sistema formativo) ed il curricolo latente (quello non acquisibile tramiteapprendimento classico ovvero «separato» dalle condizioni di mobilizzazione dello stes-so).

STRUTTURE PROFESSIONALIEsse definiscono le famiglie/comunità professionali di riferimento, che possono esserecosì delineate: operative tecniche manageriali imprenditoriali. Esistono anche famiglieprofessionali di confine oppure il cui asse non è dato dal settore bensì dalla tecnologia (es.:informatica), dal processo (es.: turismo). Vanno perciò delineate le mappe di tali struttureprofessionali, con particolare riferimento a: competenze chiave – requisiti di ingresso –figure professionali – (eventuali) percorsi formativi-lavorativi.

GESTIONE FORMATIVASi tratta di una modalità integrata formazione-lavoro che consente una gestione innovativadei diversi percorsi possibili, tra cui: integrazione scuola-formazione-lavoro – percorsi diformazione iniziale – percorsi di specializzazione – percorsi di formazione lungo il corsodella vita lavorativa – percorsi di riqualificazione – percorsi di avvio/subentro di impresa –percorsi di innovazione di impresa.

Sul piano operativo, si può delineare una metodologia di intervento di-stinta in tre momenti:a) la rilevazione delle caratteristiche personalib) la rilevazione del bagaglio di partenza in termini di saperi e competenzec) la definizione del percorso formativo.

Nel momento in cui la persona si pone all’inizio di un percorso di ingres-so in una specifica comunità professionale, occorre rilevare l’esistenza dellecaratteristiche personali ovvero:– della «disposizione» positiva nei confronti dei fattori culturali, etico-

valoriali e tecnologici che la contraddistinguono (es.: capacità di comuni-cazione, capacità di relazione, capacità di strategia e guida …)

– dei requisiti fisici (es.: resistenza agli sforzi…).– di altre disposizioni regolamentari (età, patente…).

Tali fattori sono da rilevare in rapporto agli interessi della persona oppuredalle attività che essa ha svolto a vario titolo e che ne identificano – appunto– la disposizione.

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La persona può presentare queste condizioni:a) Possesso dei requisiti di disposizione già sostenuti da attività specifiche

nel settore (tirocinio, lavoro, impegno volontario…). In questo caso esi-stono rilievi tali da giungere ad un giudizio circa l’esistenza di fattori per-sonali coerenti con il quadro previsto.

b) Dichiarazione di disposizione da parte della persona, in assenza di attivitàspecifiche attestate. Da qui la necessità di sottoporre la persona ad una fa-se di prova o «cimento» mediante un tirocinio orientativo al fine di rile-vare insieme l’esistenza dei requisiti di tipo elettivo.Successivamente, si pone la necessità, una volta individuata una specifica

figura professionale di riferimento, di definire quale sia il bagaglio di saperie competenze di cui la persona è portatrice, da rilevare mediante un’appositametodologia che consenta di definire:

il livello iniziale;lo «scarto» rispetto al referenziale;il percorso di completamento formativo.Si possono trovare a questo proposito tre differenti situazioni:

a) Il caso in cui la persona possiede solo un bagaglio culturale di base. È quinecessario un percorso formativo completo sotto forma di corso di for-mazione.

b) Il caso in cui la persona possieda un bagaglio di saperi della famiglia manon di esperienze pratiche. Vi è la necessità pertanto di un percorso for-mativo personalizzato che enfatizzi l’aspetto operativo.

c) Il caso in cui la persona possieda un bagaglio di esperienze pratiche manon di saperi. Sorge qui l’esigenza di un percorso formativo personalizza-to che enfatizzi l’aspetto culturale.In ogni caso, occorre sempre considerare il quadro di «formabilità» della

persona, ovvero la capacità-possibilità di giungere ad un successo formativotenuto conto dei requisiti richiesti e delle altre condizioni accessorie (tempo,spazio, supporti…).

Il modello più generale di servizi (necessariamente integrati) che com-pongono la funzione di gestione delle risorse umane di ogni specifica fa-miglia professionale appare così configurato:

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A. GESTIONE FAMIGLIA PROFESSIONALE E COMPETENZE – analisi delle realtàorganizzative e professionali di riferimento – repertorio di famiglie professionali de-finite per figure/funzioni e competenze e validazione delle stesse – manuale di analisi,riconoscimento e certificazione delle competenze

B. ORIENTAMENTO (alla scelta, in itinere) – comunicazione – eventi – sistema infor-mativo – formazione orientativa – esperienze orientative – consulenza orientativa

C. FORMAZIONE – modelli formativi per le figure tecniche ed operative (in ingresso edin servizio) – modelli formativi per le figure manageriali ed imprenditoriali (avvio,subentro ed innovazione)

D. STAGE/TIROCINIO – convenzioni-quadro tra agenzie formative ed imprese – crea-zione della «banca stage» – manuale gestione

E. DOMANDA/OFFERTA ED ACCOMPAGNAMENTO – figure tecniche ed operative(in ingresso ed in servizio) – figure imprenditoriali (avvio, subentro ed innovazione)

F. GESTIONE DELLE RISORSE UMANE IN SERVIZIO – modello di analisi e bilan-cio – modello di sviluppo – consulenza integrata.

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2TERZO SETTORE ED EVOLUZIONE DEI SISTEMI DI

WELFARE: LE IMPLICAZIONI PROFESSIONALI DI UNAMISSIONE SOLIDARISTICA

di Maurizio Ambrosini

Non è agevole districarsi nella molteplicità dei significati e delle valenzeattribuite a quello che, in mancanza di meglio, si suole definire terzo settoreo settore nonprofit: risposta alla crisi dello Stato sociale, espressione dellecapacità auto-organizzative della società civile, recupero dei valoridell’altruismo e del dono; oppure in negativo, sintomo del declinodell’universalismo della protezione sociale, ritorno a forme pre-moderne disoccorso ai bisognosi, scorciatoia all’indebolimento delle condizioni dei la-voratori dipendenti nei servizi alle persone.

L’interesse per questo mondo è già però di per sé un fenomeno socialeinteressante. Cadute molte illusioni della società industriale matura, o se sipreferisce, della modernità, siamo alla ricerca di nuove modalità di convi-venza, di costruzione di legami sociali, di ricomposizione tra libertà degliindividui e appartenenze più ampie, di risposta alle fratture determinate davecchie e nuove forme di esclusione dal godimento di diritti fondamentali eopportunità di realizzazione di una vita buona.

Il nostro intento è quello di individuare le componenti professionali diquesta forma alternativa di organizzazione della solidarietà, che si traduce,come vedremo, in produzione di servizi, e soprattutto di servizi alle persone.In modo particolare, rifletteremo sulla combinazione tra motivazioni altrui-stiche e motivazioni professionali, che rappresenta una dimensione peculiareper la stessa analisi organizzativa del terzo settore (Ambrosini, 1999).

2.1 Una parabola della solidarietà?La lunga vicenda della modernità, a partire dal riferimento emblematico

alla Rivoluzione francese, si è caratterizzata per una concezione universali-stica, nazionale e istituzionalizzata della solidarietà, intesa come legame so-ciale e manifestazione concreta dell’unità dei cittadini.

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Già Rousseau auspicava che la nazione si assumesse il compito di madrecomune per tutti i cittadini. E la cultura repubblicana classica ha semprepolemizzato contro le “società parziali” che si frappongono tra Stato e cit-tadini, generando appartenenze particolari, lealtà su scala ridotta, legami al-ternativi, con l’effetto di indebolire l’identificazione con gli ideali repubbli-cani e l’impegno civico nei confronti della nazione. Se il termine“solidarietà” non rientra nel lessico dell’89, i due concetti di eguaglianza edi fraternità fondano il legame tra i cittadini e le obbligazioni reciproche chesi vengono a instaurare tra di loro, garantite dallo Stato. Dietro ad essi, stal’idea di nazione, come comunità di destino e luogo di identificazione deicittadini: la nazione come “plebiscito quotidiano” secondo la celebreespressione di Ernest Renan, che sintetizza icasticamente la visione repub-blicana. Questa visione avrà un futuro durevole. Anche nel successivo svi-luppo dei diritti sociali, l’appartenenza alla comunità nazionale sarà il fon-damentale principio di attribuzione degli entitlements, e la cittadinanza“densa” del Welfare post-bellico ha come confine l’appartenenza alla co-munità nazionale.

Rispetto alla centralità delle solidarietà primarie, tipica delle società pre-moderne, in cui famiglia, sistemi di vicinato e comunità locali erano leprincipali risorse solidaristiche su cui le persone potevano contare nei di-versi frangenti della vita, la società moderna ha dapprima esercitatoun’azione di rottura e affrancamento degli individui, e successivamentesviluppato, con particolare intensità nella fase post-bellica del capitalismoriformista, una rete di protezione sociale istituzionalizzata, basata su prelieviobbligatori e fornitura pubblica di prestazioni e servizi. La solidarietà diven-ta impersonale, egualitaria, obbligatoria. L’aiuto diventa un diritto, e il be-neficiario viene riscattato dall’inferiorizzazione insita nel ricevere forme dicarità discrezionali. Godbout ha sottolineato molto bene, a questo proposito,la differenza tra solidarietà e dono: la solidarietà arriva ad ammetterel’obbligo-vincolo legale, mentre il dono deve essere per definizione libero ediscrezionale: “In nome della solidarietà si possono porre obblighi legitti-mamente; mai in nome del dono (…). La solidarietà obbligata è pur sempresolidarietà; il dono imposto non è più dono” (2000: 9-10).

Spesso si è quindi rappresentata schematicamente l’evoluzione della so-cietà moderna come un passaggio da forme di solidarietà primarie, basate suappartenenze ascritte (primi fra tutti, i vincoli di sangue), moralmente co-genti ma poco codificate in regole precise, ineguali all’interno ma soprattut-to chiuse o limitate verso l’esterno, a sistemi di solidarietà istituzionalizzate,

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impersonali, egualitarie, destinate a tutti i cittadini (dello Stato-nazione)senza distinzioni, caratterizzate dall’attribuzione di un pacchetto più o menoricco di diritti di cittadinanza.

In questo schema, lo sviluppo del terzo settore rappresenta un elementodi complicazione non facile da interpretare. Già la sua natura associativa locolloca in uno spazio intermedio tra la dimensione della comunità e quelladella società: se della prima conserva il senso di appartenenza,l’identificazione in un gruppo particolare, la rilevanza delle relazioni facciaa faccia, l’impegno diretto e personale, della seconda riflette il carattereelettivo e personale dell’adesione, la reversibilità delle scelte, la volontarietàdell’impegno, la democraticità della formazione delle decisioni edell’attribuzione delle cariche (Laville, 1997)

Quasi istintivamente, la tradizione repubblicana ha respinto, almeno sottoil profilo ideologico, le forme di azione altruistica espresse dal terzo settoreverso l’area delle solidarietà particolaristiche, discrezionali, persino lesivedella dignità dei cittadini. Così il pensiero socialdemocratico ha enfatizzatola responsabilità pubblica nella costruzione di sistemi di solidarietà socialeestesi e accessibili a tutti; e una vasta letteratura sui modelli di Welfare haignorato il terzo settore o lo ha trattato come una categoria residuale (cfr.,per un approfondimento di questa critica, Salamon e Anheier, 1996).

È ormai noto tuttavia che di fatto lo sviluppo dei sistemi di welfare nonha significato l’estinzione della solidarietà volontaria e ha semmai generatomolteplici relazioni di interdipendenza tra intervento dello Stato e attivitàdel terzo settore. In luogo del tradizionale paradigma della competizione trasettore pubblico e nonprofit, è possibile sostenere una “teoriadell’interdipendenza” (Gidron, Kramer, Salamon, 1993); oppure si possonoindividuare diversi equilibri tra spesa pubblica di welfare e sviluppo del ter-zo settore

Soltanto il dibattito recente, generato soprattutto dalla crisi del Welfarestate post-bellico, ha richiesto lo sviluppo di una più attenta lettura dei rap-porti, delle connessioni e delle tendenze dei due sistemi (Ascoli, Pavolini,1999).

Sta così prendendo corpo una visione maggiormente sinergica dei rap-porti tra Stato e settore nonprofit. Gli elementi di compresenza, cooperazio-ne, reciproco sostegno nella maggior parte dei paesi appaiono, ad un’analisipiù attenta e affrancata da pregiudiziali ideologiche, almeno altrettanto dif-fusi quanto gli elementi di competizione e conflitto. Anzitutto, le organiz-zazioni nonprofit sono sovente attive in determinati campi prima che lo

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Stato si muova per coprirli. Spesso sviluppano competenze, strutture edesperienza a cui i poteri pubblici possono attingere nell’impostare le proprieiniziative. Inoltre, il terzo settore in parecchi casi è protagonista nel suscitarela mobilitazione politica necessaria per stimolare l’intervento dello Stato, equesta mobilitazione può essere utilizzata anche per assicurare un ruolo pergli stessi organismi di terzo settore nei campi in cui le istituzioni pubblichevengono sollecitate ad entrare. Infine, le organizzazioni nonprofit hannolimiti strutturali che condizionano la loro capacità di rispondere a problemidi rilevanza pubblica: anche questo fattore (voluntary failure, accanto ai fal-limenti dello Stato e del mercato) può indurre alla ricerca di collaborazionetra settore nonprofit e istituzioni statali (Salamon e Anheier, 1996).

Specialmente quando è forte la resistenza verso un impegno diretto delloStato nei confronti di domande sociali a cui comunque si avverte l’esigenzadi fornire una risposta, oppure il sostegno del terzo settore appare crucialeper accrescere il ruolo e il potere dello Stato, è probabile che si sviluppi unarelazione positiva tra la spesa pubblica di welfare e l’estensione del settorenonprofit. Nel dibattito più recente, concetti come quello di welfare mix o diwelfare plurale, o il richiamo alla “rete” di attori e istituzioni diverse, ten-dono ad esprimere, sebbene in modo spesso approssimativo, (Di Nicola,1998) l’idea della cooperazione e della sinergia tra istituzioni pubbliche ealtre forze, tra cui quelle del terzo settore, nella produzione di servizi sociali.L’ostilità tipicamente “moderna” nei confronti delle “società parziali”, frap-poste tra l’individuo e lo Stato, viene ad essere ridimensionata. Con riferi-mento agli anni ’80, Ascoli nota la crescita dell’azione volontaria in tutte lesocietà post-industriali, anche laddove lo Stato sembrava presidiare stabil-mente tutti gli spazi sociali: “La cultura del dono e la dimensione socialedell’altruismo sono così riemerse nel decennio dell’individualismo edell’attacco frontale neo-liberista al welfare state”(1992: 429).

L’ambizione di copertura universalistica ed egualitaria del Welfare Statebeveridgiano cede il passo ad una valorizzazione dell’autonomia della socie-tà civile. Il recupero del principio di sussidiarietà, sebbene soggetto a diffe-renti interpretazioni, dà rilievo alla mobilitazione dei cittadini in risposta aiproblemi sociali, invece che all’attesa di soluzioni programmate centralmen-te (Colozzi, 1997). Ascoli e Pasquinelli parlano di “caduta dell’illusione‘statalista’” (1993: 14): “Sempre più si è affermata la consapevolezza che ilsoggetto pubblico non sia in grado di rispondere ad una domanda socialecrescente, eterogenea, complessa, continuamente mutevole fra vecchie enuove emergenze”. Nello stesso tempo, lo Stato assume maggiormente la

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funzione di enabler, “di raccordo e coordinamento, di programmazione e diindirizzo, piuttosto che di intervento diretto” (ibid.: 29).

Opportunamente, Gidron, Kramer e Salamon (1993) distinguono la fun-zione di finanziamento da quella di produzione dei servizi, evidenziando lediverse formule di rapporti tra Stato e terzo settore a cui questa distinzionedà luogo: la situazione in cui lo Stato assicura il finanziamento, mentre ilterzo settore produce i servizi, tende a diffondersi a livello internazionale.

La questione è però tutt’altro che risolta. Nel dibattito contemporaneosulla ristrutturazione dei sistemi di Welfare State, una sorta di paradigmadella competizione torna di attualità anche per descrivere una parabola op-posta, in cui lo sviluppo del terzo settore viene collegato al ritirodell’intervento dello Stato (Ranci, 1994: 323).

Persistono inoltre, quanto meno nel dibattito italiano, posizioni che enfa-tizzano soprattutto il controllo che lo Stato dovrebbe avere nei confrontidelle attività di terzo settore, nonché la necessità di ricondurre il nonprofitall’ambito delle politiche pubbliche. Studiosi che da anni seguono questetematiche, come Barbetta e Ranci (1997), quando arrivano alle conclusionipropositive della loro analisi sul terzo settore italiano, pongono in rilievoquattro esigenze: un quadro normativo più chiaro, una maggiore trasparenza,controlli più efficaci, una maggiore attenzione ai costi e ai benefici dellescelte (di affidamento di determinati servizi a fornitori nonprofit). Al di làdella validità di alcune osservazioni critiche sul funzionamento del settore esui limiti della sua regolazione, sembra che la preoccupazione dominanteconsista in un persistente sospetto rispetto all’intrusione di privati nella sferadelle politiche sociali. Manca quanto meno una corrispettiva attenzione alversante della promozione e del sostegno allo sviluppo di un terzo settoreche resta più gracile dei suoi analoghi stranieri. Quanto alla necessità di su-bordinare più strettamente l’attività del terzo settore alle politiche pubbliche,mi pare che una posizione di questo genere rischi di compromettere il ruolodi innovazione, di esplorazione di nuove modalità di intervento, di identifi-cazione di bisogni scoperti, a volte anche di fornitura alternativa di servizi,che rappresenta una delle funzioni più qualificanti del terzo settore. Unaspetto non marginale del contributo del nonprofit al welfare mix consisteproprio nella sua diversità, originalità ed eccedenza rispetto all’offerta con-solidata di servizi alle persone. Tema questo che anche sotto il profilo for-mativo e della definizione dei profili professionali meriterebbe di trovarespazio, rispetto alle pressioni verso una sorta di isomorfismo professionale,

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tendente a ricondurre la formazione degli operatori del terzo settore ai ca-noni dei loro omologhi pubblici.

2.2 Le forme intermedie di solidarietàMi sembra però necessario approfondire più analiticamente la riflessione

sulle forme di solidarietà intermedie tra i due poli classici delle solidarietàprimarie, informali e particolaristiche, e delle solidarietà secondarie, istitu-zionalizzate e imperniate sull’azione redistributiva dello Stato.

Si possono anzitutto distinguere, in prima approssimazione, tra le formedi solidarietà a base volontaria e associativa, una versione mutualistica e unaversione allargata dell’azione solidaristica. La prima ha radici nei movi-menti dei lavoratori di fine ’800, e ha trovato nelle società di mutuo soccor-so e nelle imprese cooperative le più rilevanti concretizzazioni. L’intuizionefondante è quella dell’aiuto reciproco tra persone che, condividendo la me-desima condizione biografica o sociale, hanno esigenze e problemi simili odevono affrontare rischi analoghi. Si può trattare della tutela contro la ma-lattia o la vecchiaia, oppure della costituzione di forme associative di impre-sa per il credito, l’abitazione, il consumo, la creazione di occupazione: inogni caso, si tratta di unire forze individualmente deboli per realizzare ini-ziative comuni, da cui gli aderenti possano trarre benefici.

Ma la stessa azione sindacale, soprattutto nelle sue versioni associative, siè nutrita di una logica vicina a quella tipicamente mutualistica: aggregareinteressi omogenei, riconoscersi come simili, aiutarsi vicendevolmente.Semmai, entrano in gioco la mobilitazione collettiva e la negoziazione, chehanno prevalso sulla produzione diretta di servizi agli aderenti, senza peròsoppiantarla completamente; tanto che oggi questa seconda dimensione stariprendendo quota anche in Italia, come già avviene nei paesi europei in cui itassi di adesione ai sindacati dei lavoratori rimangono elevati.

Il principio aggregativo è quello di una reciprocità allargata: non solo enecessariamente tra consanguinei e “prossimi”, come nelle solidarietà pri-marie, ma tra soggetti anche lontani e talvolta sconosciuti che hanno in co-mune aspettative e interessi da tutelare. Pertanto, la solidarietà mutualisticasi caratterizza per un mix di particolarismo, responsabilità ed emancipazionedi soggetti deboli e subalterni: certamente si tratta di solidarietà parziali, chelegano e sostengono gli aderenti ma non gli estranei; e nello stesso tempo, sitratta di esperienze che in vario modo hanno migliorato le condizioni di vitae consentito significativi progressi sociali a porzioni non trascurabili delleclassi popolari. E vale la pena di sottolineare che questi risultati sono stato

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costruiti dal basso, con l’impegno diretto dei beneficiari, in organizzazioninon sempre efficienti e virtuose, ma comunque sensibili ai valori della de-mocrazia e della partecipazione.

Per queste ragioni, la solidarietà mutualistica ha riscosso storicamente, eparticolarmente in Italia, l’interesse di un vasto arco di posizioni culturali(da quelle liberali e del riformismo laico, a quelle cattolico-sociali, fino almovimento operaio) e ottenuto forme di sostegno istituzionale. Con il tempotuttavia alcune sue funzioni sono state assorbite dallo sviluppo della prote-zione sociale pubblica (basti ricordare le assicurazioni previdenziali). Altresi sono evolute verso forme imprenditoriali più vicine a quelle tipicamentecapitalistiche, pur mantenendo una configurazione giuridica e un’identitàsociale peculiare (si pensi agli sviluppi del movimento cooperativo).

È interessante però osservare che la prassi del mutuo aiuto si mantienevitale e viene oggi rilanciata da nuovi soggetti e portatori di bisogni: daigruppi di self-help per varie problematiche, allo sviluppo di associazioni trapersone colpite dalla medesima patologia, al fenomeno dell’aggregazione edell’aiuto reciproco tra immigrati della medesima nazionalità, in Italia anco-ra largamente informale, ma in altri paesi da tempo formalmente organizzatoe persino istituzionalizzato (Jenkins, 1988).

Evidentemente non tutte le organizzazioni mutualistiche sono costruttricidi solidarietà. Esistono forme di mutualismo elitario, che rafforzano processidi chiusura sociale e di presa di distanza dalla gente comune; occorre in ognicaso distinguere accuratamente, rispetto alla solidarietà mutualistica quiconsiderata, il fenomeno della formazione di club e associazioni con finalitàricreative, apprezzabili ma non assimilabili ad obiettivi di emancipazionesociale. Tuttavia, la mutualità ha offerto storicamente una strada di riscattoper le classi subalterne, e ancora oggi presenta interessanti potenzialità disviluppo, tanto più in un clima culturale che tende a valorizzare l’iniziativa ela responsabilità dei destinatari della solidarietà sociale.

L’altra grande classe di iniziative solidaristiche intermedie è meno facil-mente definibile. Si parla spesso di solidarietà volontarie, ma anche quellemutualistiche lo sono; Ranci (1999) parla di solidarietà “asimmetriche”,privilegiando nella definizione un elemento negativo. Per contrasto con lesolidarietà mutualistiche, propongo di definirle invece “solidarietà allarga-te”: il punto decisivo consiste a mio avviso nel fatto che l’aiuto non si rivol-ge agli aderenti, bensì a persone in prima approssimazione estranee e distin-te. È dubbio pertanto se il principio costitutivo possa essere identificato conuna forma simbolica di reciprocità, oppure se si debba ricorrere ad altri co-

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dici, come quello del dono. Come mostrerò in seguito, le forme organizzati-ve sono svariate, e possono spaziare dal gruppo informale alla grande asso-ciazione, dall’affidamento esclusivo all’azione volontaria alla netta preva-lenza di operatori professionali (Peirce, 1994).

Il punto su cui intendo ora soffermarmi riguarda il rapporto di questocomplesso di iniziative con le promesse universalistiche del Welfare State.Permane infatti nel dibattito sul tema una preoccupazione di cedimento aforme di discrezionalità, particolarismo, disuguaglianza, nel momento in cuiuna serie di servizi alle persone vengono affidate a soggetti privati (cfr. peres. de Leonardis, 1999).

Vorrei però provare a guardare le cose da un altro punto di vista: in real-tà, l’universalismo dei sistemi moderni di welfare è incompiuto e astratto(Donati, 1993). I diritti di cittadinanza sono attribuiti, per definizione, sol-tanto a chi appartiene allo Stato-nazione. Le persone che risiedono sul terri-torio e non beneficiano dell’appartenenza, nazionale, possono accedere adalcuni diritti sociali soltanto in maniera parziale e condizionata. Se mancanodi un titolo legale di soggiorno o l’hanno perduto, corrono il rischio di ve-dersi private di diritti umani fondamentali, come quello ad una sopravviven-za dignitosa. Si apre pertanto un divario tra l’universalismo professato daisistemi di welfare e la possibilità soggettiva di accedere ai beni sociali di cuil’universalismo si fa garante.

Ma anche nei confronti dei cittadini a pieno titolo, alcune fondamentalipromesse dei Welfare State keynesiani, come il diritto all’occupazione, sisono rivelate irraggiungibili nel quadro dell’economia di mercato (e rag-giungibili soltanto con costi umani insopportabili nelle società collettiviste).Sistemi estesi di protezione sociale, anche laddove esistono e funzionano,faticano a rimettere in carreggiata i perdenti dell’inasprita competizioneeconomica post-fordista, non riescono ad agire sulle cause multidimensio-nali del disagio, incontrano crescenti resistenze sul piano del consenso socia-le presso i cittadini-contribuenti.

La partecipazione politica attiva dei cittadini appare a sua volta declinan-te, in società in cui la diffusione del benessere e la lunga consuetudine allademocrazia sembrano aver prodotto più disaffezione e ritiro dalla sferapubblica che passione civile. Il legame tra cittadinanza allargata e parteci-pazione democratica sembra aver perso vigore. La ricerca di sintesi ed equi-librio tra la “causa delle libertà individuali” e la “causa della felicità univer-sale” che informava il modello repubblicano come “fabbrica del bene comu-ne e come sola fabbrica capace di produrlo” (Bauman, 2000: 166-167) appa-

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re compromessa. Il perseguimento delle libertà private sfocianell’isolamento e nell’ansia per la sicurezza.

Credo si possa riflettere allora sulle iniziative del terzo settore non solo intermini di risposta adattiva (o come altri sostengono, di arretramento) rispet-to al ritiro dell’impegno diretto dello Stato sul fronte della giustizia sociale,bensì anche in una prospettiva di avanzamento delle frontieredell’inclusione, di flessibilità e personalizzazione delle forme di sostegno, inuna dialettica con l’azione redistributrice dello Stato sociale che può espri-mersi in forme di protesta, di sostituzione o di integrazione collaborativa.Esaminiamo più attentamente queste tre possibilità.

Il terzo settore può svolgere anzitutto azioni di protesta rivendicativa, oadvocacy, in nome dei gruppi sociali che si vedono negata la possibilità difruire di beni sociali considerati costitutivi dei diritti di cittadinanza. È unafunzione molto sviluppata in contesti stranieri, soprattutto a welfare maturo,meno in Italia (Ascoli, 1999), dopo la grande ventata contestatrice della finedegli anni ’60. È frequente semmai che l’azione rivendicativa sia esercitata,anche su temi di welfare, o dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori, o daorganizzazioni di terzo settore che hanno come missione primaria l’aiuto di-retto alle persone, come la Caritas.

In secondo luogo, le iniziative del terzo settore possono sostituirel’azione dello Stato laddove questa non arriva, non solo per carenze organiz-zative ed economiche, ma anche per limiti giuridici. Un esempio può esserefornito dall’assistenza sanitaria agli immigrati irregolari. In un caso del ge-nere, in cui l’interesse pubblico alla tutela della salute di tutte le persone chesoggiornano sul territorio non può essere assicurato mediante le normalisoluzioni istituzionali, è interessante notare che gli attori istituzionali a varilivelli – dalle street level burocracies ai decisori politici – in vario modo in-coraggiano, favoriscono, indirizzano organizzazioni private a fare ciò chesanno essere necessario, ma che sono nell’impossibilità di assicurare me-diante i dispositivi istituzionali ufficiali: fornire assistenza sanitaria, sottoforma di visite mediche, esami clinici, medicinali, a immigrati che nonavrebbero il diritto di risiedere sul territorio e di farsi curare per vie normali.

In altri casi, la sostituzione dello Stato sociale nell’adempiere alle suemedesime promesse avviene nel senso che al terzo settore viene riconosciutauna capacità di mobilitazione di risorse e di coinvolgimento attivo dei desti-natari che appare necessaria per raggiungere gli obiettivi dell’intervento so-ciale. È il caso della cooperazione sociale per l’inserimento lavorativo dellefasce deboli, che interviene in un ambito in cui la legislazione basata

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sull’imposizione di obblighi a carico dei datori di lavoro si è rivelata insuf-ficiente a raggiungere le finalità desiderate, mentre l’impegno di fornitoriaggiuntivi di opportunità occupazionali nell’ambito del terzo settore consen-te di rispondere con maggiore flessibilità ed efficacia allo scopo socialmentecondiviso di accrescere le possibilità di accesso al mondo del lavoro per di-sabili, ex-tossicodipendenti, malati psichici, carcerati (Ambrosini, Lodigia-ni, 1997)

Entriamo qui nella terza figura, quella dell’integrazione collaborativa: al-cune finalità dello Stato sociale possono essere promosse, alcuni diritti so-ciali efficacemente fruiti, alcune esigenze possono trovare risposte ricorren-do ad agenzie esterne al sistema pubblico, ma collegate con le politiche so-ciali, che diventano destinatarie di commesse specifiche e quindi sussidiatecon denaro dei contribuenti. È questa la situazione più frequente e discussa,in cui entrano in gioco considerazioni come la riduzione dei costi, la flessi-bilità di gestione, i vincoli posti alle nuove assunzioni nel settore pubblico.È certamente possibile vedere il terzo settore come un equivalente funziona-le dell’intervento pubblico diretto, più flessibile, meno costoso, meno ga-rantista nei confronti dei lavoratori. Ma mi sembra necessario interrogarsisul valore aggiunto che può derivare dal ricorso ad agenzie nonprofit sotto ilprofilo dell’attuazione effettiva dei diritti di cittadinanza.

Il mondo del terzo settore non è rilevante soltanto per ciò che riesce a fa-re, ma anche per come lo realizza. Le sue modalità di funzionamento chia-mano in causa ciò che è, ossia le esperienze di aggregazione che promuove ele forme di partecipazione sociale e politica che direttamente o indirettamen-te produce. Non si tratta a mio avviso di un figlio minore della militanzapolitica o addirittura di un’alternativa regressiva ad essa, ma di una stradaattraverso cui si esprime l’aspirazione a costruire una società più giusta e ac-cogliente: una via quindi della cittadinanza attiva, in vario modo sensibilealla dimensione propriamente politica dei problemi. Credo sia importanteinterrogarsi sul nesso tra questo versante, per così dire, “interno” delle espe-rienze sociali riconducibili all’ambito del terzo settore, e il versante definibi-le come “esterno”, del servizio reso ai beneficiari e dei diritti resi sociali ef-fettivamente fruibili.

Mi pare colga nel segno a questo riguardo Walzer, quando, prolungandola celebre analisi di Titmuss sulla donazione di sangue, sottolinea che anchele donazioni private “creano un senso di solidarietà e di appartenenza co-munitaria”. Questo vale a maggior ragione per il tempo e l’energia, “i donipiù preziosi che i cittadini possono farsi” (Walzer, 1987: 100).

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Va da sé che anche queste forme di solidarietà incontrano limiti e dege-nerazioni patologiche. Per accennare soltanto alle più note:

eterogenesi dei fini: piccole organizzazioni sorte per servire persone indifficoltà crescono e diventano istituzioni importanti, con numerosi lavo-ratori alle dipendenze. Può accadere che ad un certo punto si debbanopreoccupare di ottenere risorse per il proprio mantenimento, sostituendodi fatto questo obiettivo a quello originario per cui sono sorte, che tende ascivolare sullo sfondo o ad essere utilizzato come argomento per acquisi-re le risorse di cui necessitano per sopravvivere;freno all’innovazione: istituzioni sorte in una certa epoca e con determi-nate impostazioni culturali, possono in seguito esercitare un frenoall’introduzione di nuove impostazioni nelle politiche sociali, anche al fi-ne di auto-mantenersi (punto precedente): per esempio, trattandosi digrandi istituti, possono trovarsi in difficoltà di fronte all’avvento di formedi intervento che mirano a mantenere i soggetti nel loro ambiente di vitaisomorfismo organizzativo: in seguito alla necessità di ottemperare aglistandard necessari per attingere a finanziamenti pubblici, o perl’introduzione di regolamentazioni più stringenti, le organizzazioni delterzo settore possono essere indotte ad adottare criteri organizzativi, mo-delli di funzionamento e in particolare figure professionali sempre piùsimili a quelle previste nell’ambito di istituzioni pubbliche che operanonel medesimo ambito. Si verifica così un tendenziale avvicinamento, senon appiattimento, con le modalità di erogazione del servizio del settorepubblico, con una corrispondente perdita di originalità, creatività, caricainnovativa da parte di organizzazioni sorte nell’ambito della società civi-le, spesso con intenti di contestazione rispetto alle prassi di interventotradizionali o burocratiche. Ascoli parla al riguardo di un pericolo distrumentalizzazione e snaturamento, specialmente nei casi in cui le or-ganizzazioni “nate come associazioni di volontari, critiche dell’ordinesociale esistente e dotate di una forte carica ideale volta a combattere leingiustizie e le disuguaglianze, si trovano oggi ad erogare servizi in con-venzione con un ente locale o con una USL” (1999: 18). Analogamente,Colozzi e Bassi segnalano, attingendo alla letteratura anglosassone, lepreoccupazioni derivanti dai processi di contracting out: rafforzamentodelle organizzazioni più grandi e strutturate, a spese di quelle più piccolee legate al territorio; adeguamento agli standard dei finanziatori pubblici,secondo logiche appunto di isomorfismo organizzativo (Di Maggio,Powell, 1983); parallela commercializzazione e spostamento verso il

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mercato; marginalizzazione delle attività complementari, come quelleeducative, non previste da appalti e convenzioni. Non considerano tutta-via inevitabili queste involuzioni, sottolineando la capacità di resistenzadel terzo settore e le risorse che possono consentire di rispondere effica-cemente alle sfide derivanti da un più intenso rapporto con il sistemapubblico.dilettantismo e improvvisazione: è il problema opposto, ed è l’accusaspesso rivolta al mondo del volontariato. Questa critica ha condotto adutilizzare in maniera crescente operatori professionali, soprattuttonell’ambito di servizi affidati dagli enti pubblici, che devono fornire ga-ranzie di continuità e qualità agli utenti. Il passaggio dal volontariato aservizi gestiti con modalità professionali è una delle tendenze più consi-stenti nei processi di espansione e consolidamento del terzo settore, egiustifica tra l’altro l’attenzione alla formazione delle figure professionalidestinate ad inserirsi nel settorepaternalismo e dipendenza: in modo particolare le componenti del terzosettore che accentuano i valori dell’altruismo e della gratuità, possonofinire con il rafforzare la distanza sociale tra chi fornisce aiuto e chi lo ri-ceve. È questa l’obiezione tradizionalmente indirizzata al mondodell’iniziativa filantropica da parte dei fautori della produzione istituzio-nale della solidarietà. Nel mondo della filantropia, la solidarietà è conces-sa per benevolenza, non è un diritto di chi versa in condizioni di bisogno.Questi non può domandare un aiuto come atto dovuto e conseguenzadella sua appartenenza alla comunità dei cittadini (come diritto quindi dicittadinanza), ma può solo chiedere umilmente e dipendere dalla conces-sione di chi può insindacabilmente dare o negare sostegno. Questo ordinedi contestazioni ha contribuito a indirizzare l’iniziativa volontaria recentesoprattutto verso servizi ad alto contenuto relazionale, oppure a dedicarsia bisogni e segmenti di popolazione non coperti dall’offerta istituzionaledel welfare. Per altro verso, l’esigenza di sottrarre determinate prestazioniassistenziali riconosciute come doverose alla discrezionalità caritativa hadato impulso all’evoluzione del volontariato verso assetti professionaliz-zati.

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Tav. 1 – L

e forme della solidarietà sociale

Solidarietà primarie

Solidarietà mutualistiche

Solidarietà allargateSolidarietà istituzionalizzate

Am

bitoFam

iglia, vicinato, comunità lo-

caleG

ruppi di individui portatori di biso-gni sim

ili, a volte legati da comuni

appartenenze

Individui e gruppi a cittadinanza de-bole nella com

unità localeIndividui appartenenti alla nazione

Attori

Consanguinei, am

iciSoci, m

ilitanti, poi gradualmente

professionistiC

ittadini organizzati in associazioni,volontari, eventualm

ente professio-nisti

Funzionari dipendenti dal sistema

pubblico

Modalità

Spontanee, informali

Inizialmente spontanee, poi organiz-

zate in forma associativa, infine

(spesso) istituzionalizzate

Spontanee, relativamente form

aliz-zate, eventualm

ente professionaliz-zate

Prestazioni assicurate in maniera

programm

aticamente universali-

stica da parte dello Stato e dei suoiapparati

Principaliservizi forniti

Aiuti di varia natura: m

ateriali,m

orali, relazionaliprestazioni assicurative; serviziquantificabili in term

ini di rapportocosti-benefici

Prevalentemente servizi alle perso-

ne, ad elevato contenuto relazionaleProtezione sociale; servizi a cuiviene riconosciuta natura pubblica(istruzione, sanità…

)B

eneficiariSim

ili, persone conosciute e lega-te da relazioni affettive

Soci, partecipanti o contribuentiD

iversi, non conosciuti (a volte co-involti in seguito in form

e di parte-cipazione attiva)

Cittadini, titolari di diritti ricono-

sciuti dallo Stato

Rapporto con

la sferapubblica

IrrilevanteA

utonomia agli inizi, a volte opposi-

zione; poi conquista di ricono-scim

ento e sostegno

Autonom

ia agli inizi; poi conquistadi riconoscim

ento e sostegnoIdentificazione; dialettica internacon altre sfere di politica pubblica

Linee evolu-

tivePersistenza in am

biti ristretti;am

bivalenza tra erosione e ripre-sa (W

elfare invisibile)

Istituzionalizzazione delle forme

tradizionali; nascita di nuove espe-rienze (per es., etniche)

Tendenze verso professionalizza-

zione, comm

ercializzazione, duali-sm

o (volontariato anche informale,

versus terzo settore professiona-lizzato)

Contenim

ento e razionalizzazionedella spesa; evoluzione verso for-m

e di welfare m

ix e politiche attive

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2.3 Organizzazioni basate sulla fiducia: le implicazioni organizzativedelle motivazioni solidaristiche

Mi propongo ora di discutere di alcune implicazioni organizzative dellepeculiarità del terzo settore che possono essere ricavate dall’analisi svoltanel paragrafo precedente.

Una prima area di interesse concerne l’intersezione tra la sfera dei valori,delle convinzioni ideologiche, delle scelte etiche e la sfera dei comporta-menti con valenze economiche e sociali.

Nella prospettiva della nuova sociologia economica, l’imprenditorialitàmutualistica e solidaristica può essere vista come un caso esemplare di radi-camento dell’azione economica in un tessuto sociale e in un sistema di va-lori che sposta la priorità dal perseguimento dell’utile individuale ad unatensione verso la produzione di benefici collettivi. Nell’impostazione neo-comunitaria di Wagner (1997), può altresì essere considerata come espres-sione dell’inserimento degli individui in un contesto all’interno del quale ri-conoscono legami di reciprocità e di condivisione di un destino comune.

Gran parte del dibattito americano sullo sviluppo del nonprofit, spiegatoa partire dai fallimenti dello Stato o da quelli del mercato, non coglie questoaspetto essenziale della questione: il ruolo delle motivazioni dei partecipan-ti, delle relazioni intersoggettive che li uniscono, delle forme di “economiamorale” a cui danno luogo, ove “il comportamento è basato sulla fiducia, glistandard normativi sono condivisi e l’opportunismo evitato” (Granovetter,1995, p.105).

Credo che sia possibile concretizzare questo spunto con qualche rifles-sione più puntuale sul radicamento sociale del terzo settore. Se queste espe-rienze non nascono in un vuoto sociale, ma sono originate da contesti speci-fici e reti di relazioni capaci di generare orientamenti pro-sociali e rapportidi fiducia, mi sembra si possano distinguere a livello analitico alcune formedi radicamento delle iniziative solidaristiche, certo non mutuamente esclusi-ve e nei fatti variamente intrecciate.1. radicamento situazionale: è quello che deriva dalla condivisione di un bi-

sogno o di una condizione specifica. Caratterizza in modo particolare leesperienze di auto-aiuto e mutuo-aiuto, così come quelle iniziative che puraprendosi anche ad altri, partono da una comune condizione biografica. Mipare possano essere riferite a questa matrice le associazioni di immigrati, difamiglie, di malati, di disabili (cfr. in proposito Boccacin, 1998)

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2. radicamento relazionale: è la forma di radicamento che si fonda sulle rela-zioni interpersonali, sull’amicizia, sul vicinato, sull’appartenenza alla me-desima comunità locale. Il radicamento territoriale può essere consideratoinfatti una forma di radicamento relazionale: difficilmente il riferimento alcontesto locale prende forma al di fuori di un sistema di relazioni interper-sonali. Qualcosa di simile avviene per le organizzazioni che si formano in-torno a leader carismatici, in cui le relazioni personali con il fondatore as-sumono una peculiare rilevanza. Si tratta in effetti della forma più flessibilee polimorfa di radicamento, che spesso si presenta mescolata con altre:un’organizzazione può avere per esempio una matrice ideologica ben iden-tificabile, ma reclutare volontari soprattutto attraverso reti di relazioni ami-cali. Le piccole associazioni o cooperative sociali attive in ambito localesono spesso un esempio di questa forma di radicamento.

3. radicamento culturale: si tratta in questo caso del radicamento delle ini-ziative di terzo settore in matrici culturali o ideologiche capaci di mobili-tare risorse, di attrarre volontariato, di infondere nei partecipanti omoge-neità di visioni e di finalità, di proporre norme etiche e valori condivisi,di favorire comportamenti cooperativi e rapporti di fiducia. Le iniziativedi ispirazione religiosa, ambientalista, sindacale, sono riconducibili aquesta matrice, anche se di fatto è probabile che si alimentino anche dialtre forme di radicamento, a partire da quelle relazionali.

4. radicamento organizzativo: in parte si sovrappone con il precedente, maidentifica in modo particolare quegli enti di terzo settore che derivano daaltre organizzazioni e si appoggiano ad esse per ottenere supporto logisti-co, finanziario, promozionale. Si tratta per esempio delle associazioni divolontariato per gli anziani promosse dai sindacati dei pensionati; dellefondazioni finanziate dalle imprese; delle cooperative collegate alle Cari-tas diocesane. La differenza rispetto al radicamento culturale consiste nelfatto che non si tratta soltanto di un legame ideale, ma di un organicorapporto di filiazione o di sponsorizzazione. Un caso come quello dellefondazioni promosse da imprese potrebbe essere visto come un esempiodi radicamento organizzativo non accompagnato da un corrispondenteradicamento culturale.L’analisi del funzionamento degli enti nonprofit porta inoltre a mettere a

fuoco, a livello micro, le implicazioni organizzative dei concetti di solidarietàe fiducia (Gherardi, Masiero, 1990). Solidarietà e fiducia definiscono un’areadominata da atti reciproci, basati sull’informalità, e non regolati né dal merca-to, né da un’autorità gerarchica. Spostano l’accento sull’importanza

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dell’altruismo, dei valori condivisi, della natura volontaria dei servizi resi, delmodo in cui tali sottosistemi di relazioni si collegano reciprocamente (ibid.:555). In questa chiave, la solidarietà viene definita in un triplice modo: comeuna relazione sociale, un comportamento collettivo, un’attività di connessione(networking) basata sulla fiducia verso un Altro generalizzato. Conduce al ri-conoscimento di una somiglianza tra gli attori coinvolti e alla creazione diun’auto-organizzazione. Così, anche la solidarietà può generare forme di or-ganizzazione e reti fra organizzazioni che riconoscono la reciproca similarità epossono trovare un interesse comune nel costruire e difendere un’identità col-lettiva. A sua volta, la solidarietà si basa sulla fiducia reciproca, definibile co-me un’esperienza sociale unitaria, in cui gli elementi emozionali, cognitivi ecomportamentali sono inseparabili (ibid: 556).

In questo schema interpretativo, relazioni inter e intra-organizzative basa-te su solidarietà e fiducia hanno la funzione di ammortizzare gli effetti delloscambio di mercato e di restringere il campo di applicazione dell’autoritàgerarchica, sostituendola con relazioni basate sulla fiducia.

Viene così posto in risalto un elemento tipico delle organizzazioni soli-daristiche, che consente di individuare una strada all’efficacia organizzativadiversa da quella delle imprese tradizionali: l’alto grado di condivisionedegli obiettivi e di collaborazione reciproca. Come è stato notato, questeesperienze, per la loro stessa esistenza, rappresentano una sfidaall’individualismo “negativo”, basato su distanza e sfiducia verso l’altro everso ogni impegno suscettibile di creare legami (Roustang e Al., 1996).

Se approfondiamo le implicazioni operative di questi concetti, possiamosostenere che sotto il profilo organizzativo gli enti di terzo settore presenta-no una peculiare complessità, difficilmente comparabile con quella di im-prese di dimensioni analoghe. Al prezzo di qualche schematizzazione, si puòinfatti notare sinteticamente che:

si tratta di organizzazioni che nascono da laboriosi processi di gestazione,non potendo essere create con la stessa facilità delle imprese economichetradizionali, e presentano il problema del mantenimento del “clima” or-ganizzativo efficace: per ottenere in particolare il coinvolgimento di vo-lontari, “l’organizzazione deve creare un ambiente di lavoro‘amichevole’, fondato su un ethos di socievolezza e sociabilità, e moti-vante, cioè capace di rinnovare continuamente i motivi ideali che leganoil singolo all’organizzazione” (Colozzi, 1996: 113);si giovano del contributo di un complesso di risorse umane alquanto articola-to, con tipi differenti di rapporto con l’organizzazione e con gradi diversi di

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coinvolgimento nelle sue attività (operatori dipendenti, professionisti esterni,volontari con diversa intensità di impegno, sostenitori a vario titolo, talvoltapersone che vivono e lavorano all’interno dell’ente) (Ambrosini, 1994);richiedono in ogni caso un alto grado di motivazione personale agli ope-ratori e collaboratori, in quanto si basano essenzialmente su incentivi“impliciti” (la condivisione degli obiettivi organizzativi) e in una certamisura “solidaristici” (la positività del lavorare insieme, in un clima in-formale e amicale), mentre hanno difficoltà ad attivare incentivi di tipomateriale (per questa tipologia, il riferimento è a Clark e Wilson, 1961)comportano una cospicua collaborazione e integrazione reciproca, chenon può essere prodotta attraverso rapporti gerarchici di tipo tradizionale(Ambrosini, 1991; 1994).Procedendo nell’elaborazione di questo punto di vista, uno spunto utile,

per approfondire le dinamiche interne di queste organizzazioni, è quello chederiva da alcuni esiti delle ricerche degli economisti neo-istituzionalisti in-torno al tema dei “costi di transazione”, imperniate in modo particolare daWilliamson (1975, 1985) sulla coppia mercato-gerarchia.

In modo particolare Butler ha sostenuto l’insufficienza della coppia merca-to-gerarchia per spiegare la formazione e il funzionamento delle imprese e piùin generale delle organizzazioni. Egli introduce così un terzo modo transazio-nale, che propone di denominare “collettivo”, in cui “gli scambi sono mediatida rapporti affettivi, da coerenza di idee e da comunanza di scopi, non otte-nibili col mercato o con la gerarchia” (1985: 378). La transazione viene poiscomposta in due fattori: il feedback, inteso come la quantità di comunicazio-ne e di aggiustamento che avviene durante una transazione, e la collaborazio-ne, vista come un mezzo per economizzare sulle comunicazioni, in seguitoalla riduzione delle esigenze di controllo. Va aggiunto che la “collaborazioneal momento presente rappresenta delle comunicazioni svoltesi nel passato” eche quindi sussiste un “costo di avviamento” della collaborazione (ibid.: 323).Ora il collettivo, nello schema di Butler rappresenta l’estremo più alto nelledue dimensioni del feedback e della collaborazione. Si tratta quindi della piùcomunicativa e cooperativa delle forme organizzative. Qui il coordinamentoavviene essenzialmente per “mutuo adattamento” (Thompson, 1967);l’autorità, diversamente dalla forma gerarchica, risiede nella “capacità di uncomportamento autodisciplinato, cooperativo”, ed è esercitata dalla collettivitànella sua interezza, pur contemplando quella che viene definita, seguendoWeber, “una forma affettiva di autorità” (ibid.: 328). Il contratto divienequello di appartenenza, che implica impegno e fiducia, può essere rotto solo in

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caso di grave devianza, e richiede pertanto molta attenzione nell’ammissionedei nuovi membri. Occorre infine diffondere e mantenere i valori comuni, at-traverso un’intensa attività di comunicazione, in modo che la collaborazionepossa essere conservata per future transazioni.

Butler è successivamente tornato sull’argomento, ponendo in rilievo unapiù ampia gamma di caratteristiche strutturali fondamentali del collettivo,definito come la forma organizzativa che agisce facendo riferimento a nor-me morali e valori condivisi: interazione, processo decisionale consensuale,patti tra membri e insieme di appartenenza. “Il collettivo è un’organizza-zione in cui fiducia, valori condivisi e norme morali formano la base ideo-logica. Strutture permettendo, l’elevata interazione può favorire lo sviluppodi norme morali oltre a trasmettere le informazioni tecniche” (1998: 28). Ilcontesto più favorevole allo sviluppo di questa forma organizzativa è inoltreidentificato nelle piccole dimensioni, nella bassa tangibilità (dei prodotti/servizi offerti), nell’alta interdipendenza tra i partecipanti. Ancora una volta,si tratta di tre caratteristiche contrapposte a quelle della forma di transazionebasata sul mercato.

Sulla base di questa impostazione, la tav.2 pone a confronto i rispettivi costi evantaggi delle imprese orientate al profitto e delle organizzazioni nonprofit –assimilabili con buona approssimazione al collettivo butleriano – nella gestionedei costi di transazione. Senza poter scendere in questa sede in maggiori specifi-cazioni, intendo sottolineare che ognuno dei due tipi di organizzazioni presentaalcuni requisiti peculiari, con vantaggi e svantaggi specifici.

I problemi tipici del collettivo, secondo questa impostazione, sono di treordini:

il sovraccarico di informazioni, dal momento che il collettivo, nella suaforma pura, è simile “a una rete di comunicazione totale, o a un gruppo dipari in cui ognuno comunica con tutti gli altri”: ad esso si può rimediarediminuendo le dimensioni del gruppo, oppure muovendo verso unasemplice forma gerarchica;il collasso di fiducia, derivante per esempio dalla formazione diun’oligarchia, da forme di free riding o comunque da spinteall’appropriazione individualistica dei benefici dell’organizzazione;la selezione dei nuovi membri, la cui affidabilità è sempre difficile davalutare e può essere misurata solo indirettamente e per gradi successivi.

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Tav. 2 – Costi e vantaggi nelle transazioni delle impreseorientate al profitto e delle organizzazioni nonprofit

Costi di transazione dell’impresa profit Costi di transazione delle organizzazioninonprofit

Incertezza sulla condivisione degli obiettivi Difficoltà di costituzione e decollo

Necessità di un controllo abbastanza stretto

sul lavoro dipendente

Necessità di un elevato consenso interno e

di una diffusa condivisione delle scelte

d’impresa

Costi di definizione e amministrazione dei

contratti di lavoro

Maggiore complessità e possibile lentezza

dei processi decisionali

Difficoltà ad andare oltre gli incentivi ma-

teriali

Difficoltà nell’utilizzare incentivi materiali

Conflittualità interna (esplicita o latente)

derivante dalla contrapposizione tra mana-

gers e managed

Difficoltà a stabilire rapporti con altri attori

economici (imprese, banche, ecc.) orientati

al profitto

Vantaggi dell’impresa profit nella gestio-ne delle transazioni

Vantaggi delle organizzazioni nonprofitnella gestione delle transazioni

Centralizzazione del potere Coesione interna e fluidità dei rapporti di

lavoro

Rapidità e linearità dei processi decisionali Elevata condivisione degli obiettivi

Facilità di accreditamento presso altri attori

economici

Maggiori opportunità di consenso e accredi-

tamento nella comunità locale

Possibilità di utilizzare agevolmente incen-

tivi economici

Importanza degli incentivi solidaristici e

impliciti

Mi sembra invece vada specificato che la fiducia e il consenso internonon nascono dal nulla e non possono essere considerati acquisiti una voltaper tutte. Qui la lezione della nuova sociologia economica è da valorizzare,ponendo l’accento sui contesti da cui provengono i protagonisti delle inizia-tive solidaristiche: in modo particolare oggi in Italia quegli ambienti delvolontariato e dell’associazionismo sociale capaci di mobilitare risorse e digenerare motivazione all’impegno altruistico. Se le organizzazioni nonprofitpossono contare su un capitale sociale di fiducia e di entusiasmo, è perché aloro volta lo ricevono da un retroterra sociale e culturale in cui idealmenteaffondano le radici, contribuendo a loro volta ad alimentarlo. Lo stesso Bu-tler, discutendo delle cooperative come forma di organizzazione collettiva,presenta il caso di Mondragón, nei Paesi baschi, dove la forte organizzazio-ne cooperativa dell’economia locale non può essere compresa senza fare ri-

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ferimento alla solidarietà della comunità basca, rafforzata dal sentimento re-ligioso e da una lingua comune (1998: 77).

Il concetto di network è a sua volta particolarmente significativo per ana-lizzare il funzionamento di queste organizzazioni non convenzionali. Soprat-tutto nella fase della fondazione e dello sviluppo iniziale, esse vivono di in-tensi rapporti con l’ambiente sociale, economico e istituzionale in cui sonoinserite. I loro referenti esterni hanno un’importanza vitale per assicurare ac-creditamento, risorse umane, canali di finanziamento, raccordi con le istitu-zioni locali. In contraccambio si attendono una risposta a problemi di coe-sione sociale nell’ambito della comunità locale. Il radicamento nel contesto,il collegamento con organizzazioni simpatetiche, il riferimento a culture evisioni del mondo omogenee, possono rappresentare elementi di chiusura edi isolamento; ma possono anche essere, contemporaneamente, fattori deci-sivi per la genesi, l’accreditamento, lo sviluppo di queste esperienze. Formedi economia alternativa e di azione solidaristica organizzata ben difficilmen-te possono prosperare – e mantenere la propria “diversità” – al di fuori di unambiente positivamente predisposto nei loro confronti. L’esperienza storicadella cooperazione può esserne una dimostrazione: in Italia come in alcuneesperienze straniere, si concentra ancora oggi in aree territoriali ben caratte-rizzate, in cui ha messo radici fin dall’800.

Una analisi così generale delle peculiarità delle organizzazioni solidari-stiche deve però misurarsi con la grande diversificazione che caratterizza ilterzo settore e con le tendenze evolutive delle organizzazioni, a cui abbiamofatto cenno in precedenza.

Le componenti di natura etica e sociale di cui si è rilevata l’importanza,assumono un particolare valore nella fase iniziale della vita delle organizza-zioni, quando si tratta spesso di superare molte difficoltà per dare formaconcreta ad un’idea di auto-organizzazione, o alla percezione di poter realiz-zare qualcosa insieme per rispondere a un problema sociale avvertito a livel-lo locale. Quando l’organizzazione si professionalizza, ottiene sostegnodalle amministrazioni pubbliche, e soprattutto quando viene incaricata digestire servizi per conto dell’ente locale attraverso pratiche sempre più dif-fuse di contracting out (De Hoog, 1993, Fazzi, 1996), tende a diventare piùautonoma, più solida dal punto di vista gestionale, più affidabile sotto ilprofilo dei servizi resi, ma corre il rischio di veder affievolirsi il sostegnodella comunità locale e dei contesti di origine, in termini di volontariato, do-nazioni, facilitazioni organizzative (cfr. Ambrosini, Lodigiani, 1997). Do-nati rileva efficacemente il paradosso di fondo del terzo settore: “per rag-

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giungere i propri obiettivi, deve adottare gradi più elevati di formalizzazio-ne, ma, quanto più si formalizza, tanto più perde quelle connotazioni rela-zionali che ne assicurano lo spirito, la mission, le motivazioni, insomma laspinta di mondo vitale” (1997: 274). Raggiungere un equilibrio dinamiconon è agevole, poiché un eccesso di informalità provoca un deficit di compe-tenza professionale, mentre un eccesso di formalizzazione comporta rigidità,spersonalizzazione, perdite motivazionali e di senso dei partecipanti. Inmodo analogo, una recente ricerca sulle nonprofit milanesi (Barbetta, Ranci,1999) pone in rilievo in termini positivi, come condizione di successo orga-nizzativo, la capacità di far convivere partecipazione e gestione efficiente.

Così pure la crescita dimensionale può essere vista come una variabile cheda un lato favorisce l’autonomia, l’efficienza organizzativa e l’affidabilitàdelle organizzazioni, dall’altro rischia di deprimere il radicamento sociale,l’identificazione dei partecipanti, la fluidità delle relazioni interne.

Anche il fattore tempo influisce sul capitale sociale delle organizzazioni diterzo settore in modo ambivalente: la presenza consolidata come ente fornitoredi servizi apprezzati in un certo territorio tende a favorirne la legittimazione, aconferire un prestigio istituzionale e a facilitare i rapporti con altre istituzionilocali; l’allontanamento dal momento fondativo e dallo spirito originario ri-schia invece di minare la tensione etica, la dedizione alla “missione”, il reclu-tamento di partecipanti omogenei per convinzioni e valori. Per questi motivivecchie e nuove organizzazioni solidaristiche dedicano risorse, tempo edenergie al rinsaldamento delle motivazioni e alla rilettura della missione, ri-chiamandosi particolarmente al messaggio dei fondatori.

Lo sviluppo di organizzazioni autonome efficaci ed efficientinell’affrontare questioni sociali irrisolte ripropone quindi per certi aspetti unparadosso già intuito, con le categorie del suo tempo, da Tocqueville: perconquistare legittimazione e diritto di parola, le associazioni volontarie de-vono conseguire successi verificabili nel trattare i problemi della società,anche se questo significa la crescita di organizzazioni professionalizzate e losviluppo di progetti formalizzati, sempre più spesso finanziati con denaropubblico; così come per ottenere udienza presso i decisori pubblici e i mezzidi comunicazione possono aver bisogno di conseguire una certa massa criti-ca, o comunque di costituire uffici-stampa, servizi di pubbliche relazioni,campagne pubblicitarie e altro ancora; ma per combattere il ritiro degli in-dividui dalla vita pubblica, mantenendo un flusso significativo di apportivolontari e di adesione ideale, le associazioni hanno bisogno di restare pic-cole, informali, personali e diversificate (cfr. Wuthnow, 1991).

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Insomma, sussiste per il terzo settore il rischio costante di essere vittima delsuo sviluppo e persino del suo successo. Ranci e Ascoli, nella ricerca condottaper la Fondazione italiana per il volontariato (1997), colgono le tensioni sullato della partecipazione volontaria derivanti dai processi di razionalizzazionee dalle pressioni verso comportamenti organizzativi più efficienti. Prevedonocosì l’aumento di un’area di organizzazioni “miste”, “che dovranno semprepiù tenere insieme la dimensione partecipativa e volontaria con quella propriadi un’agenzia che fornisce servizi alla collettività” (ibid.: 31).

Mi sembra tuttavia che nel caso italiano il problema del rapporto trafornitura efficiente di servizi e partecipazione volontaria non induca tantouna trasformazione delle associazioni volontarie in senso aziendale, conl’emarginazione delle componenti spontanee e non professionali, quantopiuttosto una crescente diversificazione tra le espressioni del terzo settore.Mentre infatti molta parte del mondo del volontariato si sforza di difendere eriaffermare le sue componenti di gratuità e servizio disinteressato, la di-mensione professionale e di fornitura di servizi alle amministrazioni pubbli-che tende ad essere assunta soprattutto dalla cooperazione sociale. È questal’esperienza che oggi avverte maggiormente la tensione tra dimensione“aziendale” e dimensione associativa. Volontariato e cooperazione sociale,pur nascendo spesso da contesti simili, sembrano pertanto seguire itinerari disviluppo che tendono a differenziare le due forme organizzative.

Se a queste due componenti del nonprofit si aggiungono quelle più istitu-zionali e tradizionali, il quadro diventa ancora più complesso. Le fondazioni,anzitutto, appaiono l’espressione del nonprofit che almeno in teoria può piùfacilmente prescindere dalla disponibilità di capitale sociale, così come da di-namiche associative e di radicamento sul territorio. È infatti la volontà deifondatori a determinare l’indirizzo dell’attività, mentre spetta alle istituzionidello Stato riconoscere la meritorietà dell’iniziativa e tutelarla, indipendente-mente dal consenso e dalla partecipazione dei cittadini. Questo è un po’ menovero nel caso degli enti morali e degli enti ecclesiastici. I primi hanno di solitoun rapporto consolidato con le comunità locali, e nei loro consigli siedonorappresentanti delle istituzioni del territorio. Pur disponendo di patrimoni piùo meno ingenti, la continuazione della loro attività si legittima mediante i ser-vizi che rendono. Lo spazio per istituzioni statiche, autoreferenziali, incapacidi rinnovare una sorta di “patto di cooperazione” con le comunità locali, appa-re sempre più ristretto. Semmai può subentrare il problema già ricordatodell’eterogenesi dei fini: in aree che offrono scarse opportunità occupazionali,la presenza di un grande istituto assistenziale (così come di altri servizi: ospe-

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dali, caserme, scuole...) può essere legittimata più dai posti di lavoro che assi-cura, dalle posizioni direttive e consulenziali che offre, dai vantaggi derivantidalla partecipazione agli organismi direttivi, che dai servizi effettivi che rendealla collettività. La sopravvivenza di grandi istituti per minori in alcune re-gioni, quando in altre sono stati superati o trasformati in piccole comunità-alloggio, si spiega con dinamiche di questo genere.

Nel caso degli enti ecclesiastici, la gestione almeno sulla carta può essereindipendente dalle comunità locali. Ma anche per essi sussiste anzitutto unproblema di legittimazione derivante dall’utilità sociale riconosciuta deiservizi forniti, e in secondo luogo una dipendenza, economica ma non solo,dai flussi di donazioni, offerte, apporti volontari, espressioni diversedell’accreditamento nella comunità in cui l’istituzione è inserita. Senzaquesto consenso diffuso, sempre più difficilmente un ente di matrice religio-sa può sopravvivere a lungo. Non va dimenticato al riguardo il calo dellevocazioni religiose, che obbliga all’inserimento di personale laico regolar-mente retribuito, spingendo gli enti ad incrementare i rapporti con la societàesterna (sistema pubblico, benefattori, destinatari di eventuali servizi copertida rette e contributi dei privati) per mantenere i bilanci in equilibrio.

Il radicamento e la disponibilità di capitale sociale, quelle che potremmodefinire “riserve di altruismo”, non possono quindi essere dati per scontatiuna volta per tutte, non appartengono a tutti gli enti in eguale misura, vannocontinuamente perseguiti e rinnovati. Possono entrare in tensione sia con ilsuccesso e la crescita delle iniziative, sia con il riconoscimento e il sostegnoda parte delle istituzioni pubbliche, peraltro in molti casi necessari per poteroffrire servizi qualificati, ben strutturati, affidabili.

Questa riflessione ha robuste implicazioni sul piano della definizione edella formazione delle competenze professionali. La via più facile, e di fattoseguita nella maggior parte delle esperienze, è quella di una netta separazio-ne tra ruoli operativi e ruoli imprenditoriali. Per i primi, si assume solita-mente che le competenze richieste in organizzazioni del terzo settore nonsiano dissimili da quelle reputate necessarie per operare nel settore pubblicoo nel privato profit oriented: in altri termini, un educatore o un assistentegeriatrico, adeguatamente preparato sul piano tecnico, può operare indiffe-rentemente in enti di natura diversa, appartenenti o meno al terzo settore. Peri ruoli imprenditoriali, è invece possibile che si individuino delle specificitànel pacchetto di competenze richieste dal settore nonprofit. Ma in molti casisi insiste comunque sulle componenti tipicamente economico-aziendali delruolo: proliferano pertanto i corsi che offrono formazione imprenditoriale e

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contenuti specifici su aspetti come il controllo di gestione, la progettazione,il fund raising, ecc. Le motivazioni sociali vengono considerate, in tali casi,una variabile esterna, eventualmente operante nella scelta soggettiva di im-pegnarsi nel settore nonprofit, ma le cui implicazioni sull’esercizio del ruoloe sui fabbisogni formativi hanno scarso rilievo.

La seconda strada, certo più impegnativa ed esigente, è invece quella diincludere le dimensioni dell’impegno prosociale, della corresponsabilità or-ganizzativa e della partecipazione alle decisioni come elementi trasversalinel pacchetto delle competenze professionali degli operatori del terzo setto-re. In tal modo, si accentua certo la diversità del settore, lo si rende menoassimilabile e comunicante con le organizzazioni pubbliche e private cheintervengono negli stessi ambiti operativi, ma si può immaginare di contri-buire anche per questa strada a preservare e a promuovere i valori fondantidell’impegno solidaristico.

2.4 Diverse visioni del terzo settore: le implicazioni professionaliLe considerazioni proposte rimandano poi a diverse visioni del terzo set-

tore, che si traducono nell’accentuazione di aspetti differenti di questa multi-forme galassia. Gli stessi protagonisti enfatizzano componenti diverse delleragioni e delle finalità dell’iniziativa nonprofit. De Leonardis (1999) parla inproposito di diverse “versioni” del terzo settore, che identificano dei campidi azione a cui il terzo settore apparterrebbe prioritariamente. La tipologiaprodotta appare però ristretta e carica di pregiudizi ideologici. Pur assumen-do l’utilità dell’idea post-moderna di “versione” del terzo settore, ritengonecessario proporre una tipologia più articolata delle prospettive e dei di-scorsi concernenti il nonprofit.

Una prima visione del fenomeno, tipica delle analisi più interne alle poli-tiche sociali come politiche pubbliche e di quegli osservatori che manifesta-no una preferenza di fondo per l’azione diretta dello Stato in campo sociale,vede lo sviluppo del terzo settore come risposta alla crisi del Welfare State.L’aumento dei bisogni non più coperti dall’intervento pubblico sollecita di-rettamente o indirettamente l’ingresso in campo di nuovi soggetti. Questisono chiamati a fornire, con minori costi e con più flessibilità, una gammadi servizi alle persone. Periodicamente, il loro ruolo può essere ridiscusso,posto in competizione con le offerte di altri fornitori, sostituito per ragioni dicosto, di qualità, di innovazione. In questo approccio, lo sviluppo del terzosettore è strettamente legato alla domanda di servizi lasciata scoperta dallacontrazione della copertura dello Stato sociale. Le ragioni dell’espansione

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consistono soprattutto nei minori costi diretti e indiretti, e quindi nellamaggiore convenienza per il sistema pubblico. Questa convenienza è pagatasoprattutto dai lavoratori, in termini di minore e stabilità e tutela, oltre che dipeggioramento dei trattamenti retributivi e accessori. Da questo punto di vi-sta, il fenomeno ha caratteristiche regressive, rappresenta principalmente unarretramento della condizione professionale degli operatori. Una posizioneemblematica in proposito è quella di Anastasia, che polemizza control’“araba fenice del terzo settore” (1998: 89), sostenendo che lo sviluppo delnonprofit è funzionale essenzialmente ad una riduzione sistematica del costodel lavoro. Il terzo settore sarebbe dunque “la testa di ponte per strategie diflessibilizzazione verso il basso del costo e delle condizioni della prestazio-ne avendo nel suo (privilegiato) assetto normativo la più cospicua fonte delvantaggio competitivo che ne spiega gli spazi via via conquistati” (ibid.).

Speculare alla prima è la visione che enfatizza nel terzo settore lo svilup-po di una nuova imprenditorialità sociale. Qui, in relazione al riconoscimen-to degli spazi economici aperti dalla domanda di servizi non più soddisfattadal sistema pubblico, assume consistenza la dimensione dell’offerta: un nu-mero crescente di individui, insoddisfatti del lavoro alle dipendenze di buro-crazie pubbliche e private, vorrebbe sviluppare esperienze imprenditorialialternative, capaci di conciliare efficienza economica e solidarietà sociale, diprodurre insieme significati e valori morali, di generare posti di lavoro gra-tificanti e attività dotate di senso a servizio dei più deboli. È soprattutto inquesta accezione che i processi di valorizzazione delle competenze gestio-nali e imprenditoriali acquistano rilievo, come necessario complementodella professionalizzazione delle attività che in molte esperienze eranosvolte in una prima fase a titolo volontario. Il problema che si profila consi-ste nell’esito di una parabola di compiuta evoluzione verso assetti organiz-zativi economicamente efficienti e professionalmente qualificati: quello diun’omologazione prima con la cooperazione di produzione e lavoro, poi conle imprese “normali”, fatto salvo il vincolo di non distribuzione degli utili.

Il terzo filone di rappresentazioni del terzo settore si colloca invece piùvicino alle sue radici volontaristiche. Accentua la dimensione dell’azionealtruistica, gratuita, rivolta direttamente ai bisogni delle persone in difficol-tà. Enfatizza la dimensione relazionale, anche quando non si tratta più di pu-ro volontariato, ma si prevede un coinvolgimento di operatori professionaliper alcune attività. Soprattutto in questa versione, si colgono voci criticheverso l’aziendalizzazione della solidarietà e rivendicazioni in favore del va-lore dell’azione volontaria “pura”, marcando le distanze rispetto alle tenden-

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ze alla professionalizzazione e alla commercializzazione di altre componentidel terzo settore. Anche nei rapporti con il sistema pubblico, emergono piùfacilmente qui rivendicazioni di autonomia e logiche di intervento ispiratealla volontà di collocarsi in spazi non coperti dall’iniziativa pubblica, sebbe-ne la sensibilità per la dimensione politica delle questioni affrontate siaspesso ben presente.

Una variante dell’approccio è rappresentata dalle forme di mutuo aiuto chesi muovono su base volontaria e autonoma rispetto a sovvenzioni e interventipubblici. Si può parlare quindi di una residualità consapevole e persino voluta,di una professionalizzazione più subita che accettata, di una ricerca di razio-nalità economica e organizzativa minimale, subordinata alle finalità di servizioal prossimo e non coltivata come opzione strategica di sviluppo.

Diverso dal precedente, anche se ricco di legami con il substrato volon-taristico, è il complesso di visioni del terzo settore che lo qualificano soprat-tutto come insieme di occasioni per l’esercizio di forme di cittadinanza atti-va. Le matrici possono essere individuate da un lato nella ricerca di nuovisbocchi per le motivazioni di partecipazione sociale, dopo il declino delleforme tradizionali di azione politica e dei movimenti di protesta che avevanoraggiunto l’acme negli anni ’70; dall’altro lato, si è acutizzata nelle compo-nenti più avvertite della società civile la consapevolezza dell’allargamentodi aree di disagio sociale non tutelate e di diritti che l’attuale organizzazionedello Stato sociale non può o non riesce a garantire. L’evoluzione tipica diqueste esperienze parte dal gruppo informale, evolve in associazione forma-lizzata, approda a volte alla cooperazione sociale (Ambrosini, 1991).L’azione diretta non è però alternativa alla rivendicazione dei diritti eall’invocazione di soluzioni istituzionali.

Nello stesso tempo, mettendo in relazione soggetti forti e soggetti deboli,soprattutto questa visione del terzo settore punta all’ampliamento delle retisociali di riferimento e di aiuto reciproco; ma insiste anche sulla consapevo-lezza delle cause e dei processi che producono deprivazione e disagio, ali-mentando l’iniziativa volta ad accompagnare i servizi diretti con interventidi natura politica capaci di contrastare a livello istituzionale i fenomeni dimarginalità e debolezza sociale. Giustamente è stata posta in rilievo al ri-guardo la portata delle forme di “integrazione dal basso” realizzate in questianni in Italia (de Bernart, 1998: 363) rispetto alle questioni postedall’immigrazione straniera: “il valore ed il potenziale innovativo, sociale,civile ed umano, di questo associarsi (in quanto processo prima ed oltre cheprodotto) non è legato solo a ciò che passa tra i singoli o al loro scopo co-

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mune (l’uno e l’altro necessariamente regolati anche secondo criteri di le-galità) quanto alla capacità di affrontare e risolvere i problemi che effetti-vamente si presentano senza rinunciare ad ‘associarsi per amore’ anche insituazioni difficili, tra i direttamente coinvolti e con altri, raccordandosi conle istituzioni e la vita della città nel suo complesso senza perdere di vistal’orizzonte del più vasto mondo” (ibid.: 363-364).

Quando la spinta solidaristica iniziale si concretizza in servizi strutturati ein rapporti con il sistema pubblico, sorge il problema del reperimento dioperatori, o della trasformazione di parte dei volontari in figure professiona-li. È quindi possibile che esperienze riconducibili a questo modello evolva-no verso forme più o meno esplicite di imprenditorialità sociale. Quando in-vece riescono a conservare l’impronta originaria, assumendo l’agire im-prenditoriale come un mezzo e non come un fine, è riscontrabile una mag-giore attenzione alla partecipazione interna e al lavoro di rete con altri sog-getti impegnati sul medesimo terreno. Questo dato incide anche sulla for-mazione e sui profili professionali degli operatori, a cui si richiede non soloun impegno assiduo nella relazione d’aiuto, ma anche di partecipare attiva-mente alla vita dell’organizzazione.

Da ultimo, vale la pena di accennare ad un altro modo di vedere il terzosettore, non molto sviluppato in Italia ma ben presente nelle maggiori espe-rienze internazionali: quello che accentua le dimensioni di advocacy, di or-ganizzazione dei cittadini per rivendicare un maggiore impegno dello Statoin risposta ai diritti di fatto negati (Rey, 1999). In questo caso, i soggetti delterzo settore non si preoccupano dell’offerta diretta di servizi, se non inmaniera marginale e accessoria rispetto allo sviluppo di azioni rivendicativevolte a sensibilizzare l’opinione pubblica e a scuotere l’inerzia,l’insufficiente iniziativa o i comportamenti dello Stato giudicati ingiusti.Qui le competenze richieste hanno quindi a che fare soprattutto con abilitàdi tipo politico e organizzativo, che spaziano dai rapporti con i media allapromozione di campagne di rivendicazione, dalla raccolta di finanziamentialla mobilitazione degli aderenti. Le categorie sociali svantaggiate scom-paiono come beneficiari diretti (entrano semmai in gioco come co-protagonisti delle azioni rivendicative) e la relazione d’aiuto non è una fun-zione-chiave dell’azione organizzativa. Animazione, sensibilizzazione,mobilitazione assurgono invece ad un ruolo caratterizzante.

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Tav. 3 – L

e visioni del terzo settore a confronto

Risposta alla crisi del W

.S.N

uova imprenditorialità

socialeN

uove forme di altruism

oC

ittadinanza attivaM

ovimenti di advocacy

Origini

Dom

anda: bisogni lasciatiscoperti dal ritiro delloStato

Dom

anda: esigenza difornitori alternativi di ser-vizi pubblici O

fferta: desi-derio di sviluppare form

eeconom

iche alternative

Offerta: condivisione di

valori solidaristici alla ri-cerca di possibilità diespressione

Offerta: nuove form

e dipartecipazione socialeD

omanda: Percezione di

diritti incompiuti, nuove

povertà non tutelate

Offerta: auto-

organizzazione dei citta-dini D

omanda: lacune e

ingiustizie dello Stato so-ciale (e del m

ercato)Processi organizzativichiave

Contracting-out, concor-

renza tra fornitoriProfessionalizzazionedelle attività di cura; con-solidam

ento imprenditoria-

le

Concentrazione sulla rela-

zione di aiuto, su serviziad alta intensità relazionale

Dal gruppo

all’organizzazione Struttu-razione di servizi A

ssun-zione di com

piti pubblici

Azioni rivendicative, for-

me di m

obilitazione socia-le

Requisiti professionali

Non dissim

ili da quellirichiesti nel sistem

a pub-blico

Enfasi sulle com

petenze ditipo im

prenditoriale e ge-stionale

Enfasi sul livello operati-

vo, di rapporto diretto coni beneficiari

Enfasi sulle com

ponentipartecipative e sul lavorodi rete con altri soggetti

Enfasi sulle dim

ensionidell’azione collettiva esulle com

petenze politicheR

icadute socialiM

inori costi dei servizi diw

elfare (minore tutela per

i lavoratori)

Sviluppo di occupazione,econom

ia pluraleIntervento su problem

isociali specifici, spessonon coperti dallo Stato

Offerta di cittadinanza a

gruppi esclusi Offerta di

forme significative di im

-pegno civico e partecipa-zione associativa

Sensibilizzazione, spinta alm

iglioramento dell’offerta

di servizi pubblici

Espressioni tipiche

Cooperazione sociale

Cooperazione sociale

Volontariato, anche infor-

male, gruppi di m

utuoaiuto

Nuove associazioni di

volontariato; evoluzioneverso cooperazione sociale

Associazioni di utenti, or-

ganizzazioni di advocacy

Problemi evidenziati

Spinta al ribasso dei costi,problem

i di qualità delleprestazioni

Om

ologazione con la co-operazione di lavoro e poicon le im

prese “normali”

Difficoltà ad assum

erecom

piti pubblici, a lavora-re con i servizi form

ali

Crescente professionaliz-

zazione, allontanamento

dalle radici sociali

Fragilità strutturale; evo-luzione verso altre form

edi attività

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Come abbiamo visto, ognuna di queste visioni del terzo settore includeimplicitamente una costellazione di competenze professionali ritenute priori-tarie. Possiamo riepilogarle in alcune classi:

competenze di tipo imprenditoriale e gestionale (marketing sociale, fundraising, progettazione, analisi finanziaria, gestione della qualità, ecc.),collegate alla crescente caratterizzazione aziendale del terzo settore,all’accresciuta concorrenza, alla necessità di soddisfare i requisiti ri-chiesti dalle amministrazioni pubblichecompetenze di natura amministrativa, che discendono dalle precedenti, erispondono in particolare alle esigenze di correttezza contabile, traspa-renza gestionale, oculata gestione delle risorse, derivanti siadall’intensificazione dei rapporti con il sistema pubblico, siadall’assunzione di caratteristiche di natura aziendale, sia dalla necessitàdi dare riscontro alla fiducia dei donatoricompetenze di tipo operativo, centrate sulla relazione d’aiuto e sul lavorod’équipe, derivanti dall’importanza dei servizi alla persona per lo svilup-po del settore e dalla volontà di marcare una differenza rispetto alla buro-cratizzazione degli interventi pubblici e alla mentalità mercantiledell’iniziativa privata profitcompetenze di tipo relazionale, comunicativo, di gestione di gruppi e diprocessi decisionali condivisi, legate alla necessità di alimentare la par-tecipazione interna e la natura democratica delle organizzazionicompetenze di tipo politico, di organizzazione di campagne di opinione,di gestione dei rapporti tra organizzazioni e con soggetti esterni, che ri-mandano anzitutto alle valenze di promozione dei diritti e di recupero dicittadinanza per gli esclusi.

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3REPERTORIO DELLE FIGURE PROFESSIONALI

di Arduino Salatin, Beniamino Caputo, Silvia Baldo, Radames Biondo

3.1 Linee guida per l’elaborazione del Repertorio dei ProfiliProfessionali e delle Competenze del “Terzo Settore”

Il Terzo Settore viene più recentemente denominato Terzo Sistema inquanto è composto di molti e diversi settori:

Cooperazione socialeVolontariatoAssociazionismo pro-socialeEnti privati non profitGruppi di mutuo aiutoFondazioniFinanza etica

Le funzioni:

promozione e tutela dei diritti della persona nei confronti dello Stato e delmercatoredistribuzione di risorse liberamente attribuite a destinate ad attività al-trimenti trascurateproduzione dei beni e servizi in forma stabile o provvisoria

Aree di intervento nel 3° Settore

Assistenza socialeIstruzione e ricercaSanitàCultura e ricreazionePromozione e sviluppo com. localiAmbientalismo

Circa il 90% del personale (sia retribuito che volontario) opera in tre aree:

Assistenza sociale Sanità Formazione/Istruzione

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Le Figure professionali che gravitano nelle tre aree spesso si intersecano.Alcuni ambiti di intervento si sovrappongono almeno in parte. Le sovrap-posizioni tra le aree hanno spesso portato alla conseguente difficoltà di de-finizione dei ruoli, dei profili e anche delle istituzioni competenti a definirlie a regolamentarli. Si veda come esempio la questione dell’Operatore Tec-nico di Assistenza (figura del settore sanitario) e dell’Addetto all’Assistenzadi Base (figura del settore sociale) figure di cui a livello regionali si va at-tuando l’unificazione almeno per quanto riguarda la loro formazione di base.

I livelli organizzativi:

Posto che ogni organismo o ente si dà una struttura organizzativa il cuigrado di complessità può variare a seconda delle esigenze o delle situazioni,dal punto di vista organizzativo o funzionale le figure professionali che ope-rano all’interno di organizzazioni nel privato-sociale (ma non solo in questocontesto) possono strutturarsi su più livelli e assolvere a diverse funzioni.

In un panorama così complesso, è stato necessario definire il “perimetro”della nostra proposta, consapevoli che le aree di intersezione sono molteplicie che tracciare un confine laddove spesso vi è una “sfumatura” implica ne-cessariamente una categorizzazione “forzata”.

La nostra attenzione si è volta quindi:a) alle aree di intervento sociale-educativo e assistenziale. Non sono state

prese in considerazione le figure che pure intervengono negli organismiche operano nel privato-sociale, che appartengono più specificatamenteall’area sanitaria e della formazione/cultura, in quanto i profili professio-nali sono stati definiti in altri contesti.

b) alle figure con funzioni operative, tecniche e di coordinamento. Esclu-dendo quindi da un lato tutti i profili relativi alle funzioni di servizio osupporto (amministrativo, segreteria, servizi di pulizia e manutenzioneetc..) e dall’altro le figure del management generale.Variabili utili nella individuazione delle figure:modalità di erogazione del servizio:– servizio domiciliare;– centro diurno o semiresidenziale;– servizio residenziale;– scuola;– servizio territoriale;– servizio presso strutture sanitarie ospedaliere.

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fascia dell’utenza:– minori;– giovani;– adulti;– anziani;– famiglie.tipologia del disagio:– dipendenze;– hiv-aids;– ammalati terminali;– disabile fisico;– menomati sensoriali;– Handicap psico-fisico;– malattia mentale;– violenze;– detenuti o ex detenuti;– immigrati;– senza fissa dimora;– nomadi;– prostituzione;– territorio;

Area socio-educativa

Educatore professionale

Ambiti di servizio

Educatore di comunità alloggio per minoriEducatore di istituti educativi-assistenzialiEducatore della rieducazione carcerariaEducatore di comunità per tossicodipendentiEducatore dei servizi per handicappatiEducatore di servizi psichiatriciEducatore di servizi geriatriciEducatore di servizi per immigratiEducatore di case protette

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Ambiti di servizio nel territorio

Educatore degli adultiEducatore dei centri per il tempo liberoEducatore dei centri per gli anzianiEducatore dei centri di aggregazione giovanileEducatore – operatore di strada

Altri operatori dell’area socio-educativa

Mediatore culturaleTutor educativo del tirocinio formativo e di orientamentoMaestro d’arte

Area socio-assistenziale

Operatore tecnico addetto all’assistenza:Operatore nei servizi per handicappatiOperatore nei servizi psichiatriciOperatore nei servizi geriatriciOperatore di comunità per malati terminaliOperatore domicilare

Area di coordinamento:

Si definiscono in riferimento ai contesti in cui operano non vi è quindiuna formazione unicamente definita per rivestire questi ruoli si possono tut-tavia identificare alcune figure di direzione e coordinamento tipiche e ricor-renti:

Responsabile di ServizioResponsabile di NucleoCoordinatore di unità operativa

Interventi formativi e di specializzazione

Per quanto riguarda i percorsi di formazione in ciascuno per ciascuno deiprofili si possono prevedere interventi di tre tipi:

Formazione di baseFormazione specifica o specialisticaFormazione continua Data la variabilità delle situazioni professionali ed organizzative è ipotiz-

zabile una articolazione per moduli formativi (o knowledge unit) traducibili

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in percorsi anche personalizzabili, in funzione dei prerequisiti di ingresso,ed esprimibili in crediti formativi capitalizzabili.

Di seguito presentiamo i referenziali di competenza e di formazione di seiprofili professionali:

Ambito socioassistenziale

1) Operatore socioassistenziale del settore handicap-disabilità

Ambito socioeducativo

1) Coordinatore di servizi socioeducativi2) Educatore accompagnatore in percorsi di orientamento3) Educatore dei centri di aggregazione giovanile4) Educatore professionale di servizi agli anziani5) Counselor familiare.

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REFERENZIALI DI COMPETENZA E DI FORMAZIONE

Profilo Professionale:OPERATORE SOCIOASSISTENZIALE

Settore handicap – disabilità (HD)

SCHEDA A CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTI

VOCAZIONALISCHEDA B COMPETENZE PROFESSIONALISCHEDA C PERCORSO FORMATIVO

SCHEDA A – CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTI VOCAZIONALI

Il profilo dell’OPERATORE SOCIO ASSISTENZIALE (OSA) – HD, è quello di un ope-ratore che interviene presso utenze in età evolutiva, giovanile e adulta portatrici di svan-taggi psicofisici e fisici per fornire loro prestazioni di cura, sostegno e assistenza a livellofisico, socio-educativo, organizzativo e riabilitativo e al nucleo familiare.Egli contribuisce in particolare al mantenimento dell’autonomia dell’utente e della suarete di relazioni: perciò deve assicurare un uso consapevole del rapporto interpersonale edel contesto territoriale. Pur avendo una funzione esecutiva e operativa, il suo lavoro sisvolge essenzialmente in una rete di rapporti nei quali il singolo operatore è coinvolto di-rettamente come persona. Inoltre deve possedere un forte flessibilità, dato che un lavorodi rapporto con le persone, non avviene “a norma”, in modo predeterminato, ma anzi ri-chiede una soluzione diversa per ogni caso. Gli obiettivi sono infatti spesso incerti e va-riabili: determinarli fa parte del lavoro e resta comunque aperto lo scarto tra il traguardoconseguibile con le tecniche disponibili e il traguardo desiderato. Per questo, accanto alladisponibilità ad aiutare le persone portatrici di handicap e/o disabilità, l’OSA HD devegarantire un’etica di comportamento nel rispetto dell’utente e nell’adempimento del ser-vizio.Inoltre l’OSA – HD, lavorando sia a domicilio sia presso servizi comunitari (Scuole,Centri Educativi Occupazionali Diurni, Centri Occupazionali Diurni, Comunità Alloggio)sia presso Aziende Cooperative Sociali di tipo B (Centri di Lavoro Guidato), si confrontacon situazioni che mettono alla prova la sua “tenuta” personale: i problemi personali delsingolo, i problemi che nascono dalla pratica professionale e quelli che scaturiscono da unconfronto costante col progetto socio-assistenziale proposto coinvolgono l’operatore an-che da un punto di vista emotivo-relazionale; per questo si necessita un confronto di é-quipe mirato e una costante alimentazione delle motivazioni individuali.L’azione professionale dell’OSA – HD, ha come destinatari:

minori, giovani e adulti portatori di handicap e disabilità.Per ciascuna di queste tipologie di utenza, l’OSA – HD, assume una disposizione moti-

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vazionale e comportamentale ad hoc.L’OSA – HD, crede alla positività delle relazioni di aiuto per mantenere, migliorare o le-nire le condizioni di vita dell’individuo caratterizzato da situazioni permanenti di soffe-renza o disagio fisico e/o psicofisico a qualsiasi età o contesto sociale. È disponibile adincoraggiare e a “servire” ma senza atteggiamenti pietistici.Le principali componenti personali e motivazionali che spingono alla scelta di intrapren-dere la professione sono le seguenti:

sensibilità umanadisponibilità ad intervenire in contesti di deprivazione e sofferenzaempatia ed entusiasmo nell’aiutare gli altriprecisionediscrezionetolleranza allo sforzo fisico e allo stressdisponibilità all’ascolto dei bisogni dell’utenzafiducia e sicurezza in sé e negli altriautocontrollo delle proprie emozionipazienzadisponibilità ad essere flessibile nei tempi e negli interventidisponibilità alla collaborazione con altri operatori.

Le persone interessate a diventare OSA – HD, dovrebbero sperimentare luoghi e situa-zioni che possano favorire l’evidenza di queste caratteristiche individuali. In particolarepossono iniziare col fare una esperienza di volontariato presso servizi sociali alla personae/o aziende cooperative e/o comunità residenziali finalizzata all’osservazione e alla cono-scenza della struttura e del servizio/i erogati e vivere in un contesto relazionale specifico.L’OSA – HD può trovare occupazione presso servizi/strutture pubbliche di tipo socio-assistenziale, socio-educativo e in aziende Cooperative Sociali di tipo B in cui sia previstala presenza di operatori qualificati.

SCHEDA B – COMPETENZE PROFESSIONALI

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PROFI-LO PROFESSIONA-LE

L’OSA – HD, è chiamato a svolgere una serie di interventi integratidi: assistenza diretta alla persona, b) aiuto domestico, c) aiuto com-plementare alle attività di assistenza e tutela svolte da altri operatoriper il miglioramento delle condizioni di vita, igieniche e relazionalidell’assistito. La situazione tipica di lavoro si esercita in: servizi do-miciliari (Assistenza Domiciliare), servizi semiresidenziali (Scuola,Centri Educativi Occupazionali Diurni), servizi residenziali(Comunità Alloggio), aziende Cooperative Sociali di tipo B (CentriOccupazionali Diurni, Centri di Lavoro Guidato). Pur avendo unruolo esecutivo e operando all’interno di un piano prestabilito di la-voro, l’OSA – HD è un operatore le cui funzioni richiedonoun’autonomia tecnica e sono caratterizzate da un rapporto diretto conl’utenza finalizzato a far evolvere stati soggettivi, comportamenti ocondizioni di vita degli utenti. La professione viene esercitatanell’ambito di servizi pubblici e del privato sociale (cooperative, …)

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sia essi servizi diurni o strutture residenziali, in riferimento ad unaéquipe e sotto la responsabilità di un coordinatore di servizio. L’OSA– HD, può essere denominato anche come Operatore Addettoall’Assistenza, Operatore socio-assistenziale dei servizi domiciliari etutelari Addetto all’assistenza di base – Ausiliario socio-assistenzialeI principali compiti che l’OSA – A svolge durante il proprio lavoro,sono le seguenti: vestizione/svestizione igiene della persona puliziadegli ausili/attrezzi igiene dell’ambiente domestico e comunitariosomministrazione cibi e imboccamento controllo per la sommini-strazione di medicinali alzata e messa a letto trasporto/smaltimentorifiuti speciali trasporto materiali relazione psicosociale animazionesocioculturale mobilizzazione rifacimento del letto segretariato socia-le igiene e vestizione della salma partecipazioni alle riunioni di lavo-ro scrittura passaggi di consegne

COLLOCAZIONEORGANIZZATIVA

Scuole – Centri Educativi Occupazionali Diurni – Comunità Al-loggio – Domicili privati – Centri Occupazionali Diurni –Aziende Cooperative Sociali di tipo B

REQUISITI RICHIE-STI

Titolo di studio di base: diploma di scuola media inferiore

Formazione professionale iniziale: diploma di qualifica per OAAEsperienze professionali pregresse: non necessarie per l’entratanel ruolo. Possono risultare molto utili esperienze di volontariatonel settore socio-assistenziale.

LIVELLO PROFES-SIONALE (secondo lascala UE)

Livello 2: Lavoro esecutivo che può comportare gradi diversi diautonomia e responsabilità rispetto alle mansioni tecnico-operative.

COMPETENZE CO-MUNI ALLA FAMI-GLIA PROFESSIO-NALE

Area aiuto alla persona aiutare e curare la persona trasportare,mobilizzare e far deambulare Area intervento sull’ambiente divita dell’utente riordinare, pulire e igienizzare/sanificarel’ambiente di vita Area relazionale comunicare con l’assistito ele altre persone che lo circondano aiutare l’utente a mantenererapporti positivi con le altre persone che lo circondano Area or-ganizzazione del lavoro osservare lavorare in équipe – lavorareautonomamente

COMPETENZESPECIFICHE DELPROFILO

Intervenire e relazionarsi con soggetti portatori di handicap psi-cofisici e disabili minori, giovani e adulti sia a domicilio, sia instrutture residenziali e semiresidenziali sia in accudienza scola-stica sia inseriti in attività lavorative presso cooperative sociali

SERVIZI DOMICI-LIARI

preparare cibi predisporre stoviglie svolgere compiti di segreta-riato sociale coinvolgere risorse del territorio spostarsiall’interno della città e/o quartiere assumere autonomamente de-cisioni tecnico-pratiche sulla base di un programma di interventi

SERVIZI DIURNI ERESIDENZIALI

preparare cibi predisporre stoviglie orientare, accompagnare eavviare al lavoro l’utenza partecipare e svolgere interventi socio-educativi, animativi ed occupazionali

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SCHEDA C – PERCORSO FORMATIVO

MODALITÀ DI IN-GRESSO NEL PER-CORSO

Al percorso possono accedere persone di diversa provenienza:dal volontariato, da strutture di servizio alla persona sia pubbli-che che private, da altre realtà lavorative. A secondadell’esperienza professionale e /o formativa pregressa potrannoessere riconosciuti eventuali crediti formativi o validate acquisi-zioni professionali comportanti la padronanza di determinati sa-peri. L’ingresso nel percorso formativo sarà preceduto daun’apposita analisi dei requisiti, esperienze e motivazioni fun-zionali alla definizione di un progetto professionale e personale.

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PER-CORSO

Il percorso formativo riportato è finalizzato a ricoprire i requisitie i saperi fondamentali richiesti nell’esercizio professionale. Ilpercorso formativo va inteso come accompagnamento del per-corso di professionalizzazione; esso è articolato nelle seguentifasi: Ingresso al ruolo Consolidamento professionale per tipolo-gia di utenza. Il percorso pur facendo riferimento ad una struttu-ra di base standardizzata dovrà essere raccordato ai singoli pro-getti personalizzati.

METODOLOGIA La metodologia formativa prevede attività di aula e extra aulacosì composta: Lezioni seminariali in presenza o a distanza La-vori di gruppo, role playing e simulazioni Laboratori Attività insituazione (project work, osservazione, visite di studio, …). At-tività in autoformazione assistita Valutazione

ARTICOLAZIONEMODULARE

Il percorso è strutturato in moduli corrispondenti ad altrettantetappe del percorso cognitivo e di socializzazione lavorativa col-legate alle progressioni personali, al rafforzamento motivaziona-le e alla costruzione dell’identità professionale attraversol’acquisizione delle competenze richieste dal ruolo. In funzionedell’analisi dei requisiti personali e professionali di ingresso po-trà, inoltre, essere proposto un apposito modulo propedeutico. Laprogressione formativa potrà richiedere l’iterazione e/ol’integrazione di alcuni contenuti professionali specifici tra lafase di ingresso e la fase di consolidamento e sviluppo. Talicontenuti potranno essere funzionali anche ad un approfondi-mento reso necessario dall’assunzione progressiva e/o evoluzio-ne di responsabilità e funzioni organizzative.

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MODULI FORMATIVI PER L’INGRESSO AL RUOLO

MACRO MODULI AREE DI CON-TENUTO PRO-FESSIONALE

CONTENUTI

0 PROPEDEUTICO Elementi di igie-ne della persona,dell’ambiente edegli alimenti

Le malattie infettive L’isolamento Le infe-zioni ospedaliere Il microclima Il lavaggiodella mani La pulizia e la sanificazione Ladisinfezione La sterilizzazione I “percorsi”pulito e sporco I sistemi di protezioneL’igiene personale quotidiana Le cureigieniche parziali Le cure igieniche totaliL’igiene del corpo dopo la morte

Elementi di ali-mentazione edietologia

L’alimentazione sana Lo stile alimentareGli alimenti I principi nutritivi Il fabbiso-gno energetico L’apparato digerente Igienedegli alimenti Somministrazione del vitto eaiuto nell’assunzione Particolari situazionifisiologiche e patologiche

Elementi di psi-cologia, socio-logia e pedagogia

Interazione e comunicazione Il contestosociale L’adattamento Il lavoro di rete

Elementi di legi-slazione dei ser-vizi sociosanitari

Il diritto Il Servizio Sanitario Nazionale ID.Lgs 502/92 e 517/93 Leggi sociosanitariedi grande rilevanza Gli Istituti di PubblicaAssistenza e Beneficenza Le ResidenzeSanitarie assistenziali

Mobilizzazione etrasporto

Il movimento Le ossa, le articolazioni, imuscoli e i nervi Le tecniche Le posture Itrasferimenti posturali Il trasporto dei ma-teriali

Primo soccorso Urgenza e gravità L’esame dell’infortunatoAllarme e chiamata L’apparato respiratorioL’apparato cardiocircolatorio L’ostruzionedelle vie aeree La rianimazione cardio-polmonare Le emorragie Le ustioni Le crisiepilettiche

Tecniche delservizio domesti-co alberghiero

La stanza di degenza L’unità del malato Ilrifacimento del letto La vestizione e lasvestizione dell’utente Lo smaltimento deirifiuti

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MODULI FORMATIVI PER IL CONSOLIDAMENTO PROFESSIONALE

MACRO MODULI AREE DI CONTENUTO PROFESSIONALE1 ORGANIZZAZIO

NE E GESTIONEDEL SERVIZIO

Metodi e stru-menti della pro-grammazionesocio-assistenziale

L’osservazione L’analisi dei bisogniL’analisi delle risorse e dei vincoli La sceltae la definizione degli obiettivi Le strategieoperative La verifica La valutazione Lagestione del tempo Il lavoro di gruppo ed’équipe Il sistema qualità Legislazione inmateria e sicurezza e igiene sul posto di la-voro

2 RELAZIONE DIAIUTO

L’assertività el’autoefficacia

Le gestione dei conflitti L’autostima

Etica e deonto-logia professio-nale

La persona Il ruolo sociale e il ruolo pro-fessionale

La gestione dellostress

Il burn-out La gestione dell’ansia

3 IL PORTATOREDI HANDICAP EDI DISABILITÀ

Problematichedell’handicap

Infanzia e adolescenza Lo sviluppo psico-motorio Principali patologie causa di disa-bilità fisiche e mentali I servizi per i porta-tori di handicap e i disabili La legge quadroper l’assistenza, l’integrazione sociale e idiritti delle persone handicappate (L.104/92)

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REFERENZIALI DI COMPETENZA EDI FORMAZIONE

Profilo Professionale:COORDINATORE DI SERVIZI SOCIOEDUCATIVI

SCHEDA A CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTIVOCAZIONALI

SCHEDA B COMPETENZE PROFESSIONALISCHEDA C PERCORSO FORMATIVO

SCHEDA A – CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTI VOCAZIONALI

Il profilo del coordinatore di servizi socio-educativi (CSE) è quello di un operatore socio-educativo che programma, supervisiona e valuta specifici progetti educativi e riabilitativi,nell’ambito di un programma elaborato da un’équipe multidisciplinare.L’azione professionale del CSE si esercita nei servizi alla persona e fa della relazione conla persona la base irrinunciabile delle sue funzioni. La funzione educativa, infatti, siesplica e trova compimento solo in quanto esiste un rapporto con gli altri e con specificicontesti sociali. Proprio per questo motivo non si “fa” l’educatore ma si “è” educatore.Nei servizi alla persona, diversamente da quanto avviene in altre strutture di lavoro i cui i processilavorativi e le norme possono essere standardizzate, l’educatore si muove con estrema autonomiae discrezionalità nell’esercizio del proprio ruolo. Gli educatori coordinatori sono dei professionistiche svolgono una pluralità di attività gestionali riferite all’utenza e al servizio nel suo complesso.Il CSE si confronta con situazioni si che mettono alla prova le sue competenze acquisite ele sue doti personali: il coordinamento, la gestione, la responsabilità del ruolo lo coinvol-gono anche da un punto di vista emotivo-relazionale; per questo si necessita un lavoromirato e una costante alimentazione delle motivazioni individuali.Le principali componenti personali e motivazionali che spingono alla scelta di intrapren-dere la professione di CSE sono le seguenti:

Disponibilità al dialogo e all’ascolto dei bisogni dell’utenza e dei colleghiDisponibilità a lavorare in équipeFiducia e sicurezza in sé e negli altriDisponibilità ad accettare consigli e suggerimenti da colleghi ed utentiAutocontrollo delle proprie emozioniPazienzaDisponibilità a mettersi in discussioneDisponibilità ad essere flessibile nei tempiDisponibilità alla collaborazione con altri operatoriAutorevolezza

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Il CSE:Crede nella possibilità di miglioramento delle condizioni vita dell’individuo carat-terizzato da situazioni temporanee o permanenti di disagio fisico e/o psichico aqualsiasi età e in contesti vitali.Possiede spiccate doti relazionali e comunicative.Possiede la condizione fisica necessaria all’esercizio del ruolo oltre che una spic-cata propensione a far fronte a situazioni di stress.

Le persone interessate a diventare CSE devono aver sperimentato una significativa espe-rienza professionale di educatore nei servizi di specializzazione e/o di interesse. Il ruoloricoperto, infatti, lo pone a coordinare gruppi di lavoro composto da altri professionisti oservizi complessi.Inoltre può trovare occupazione come coordinatore presso altre strutture pubbliche in cuisia prevista la presenza di educatori coordinatori qualificati.

SCHEDA B – COMPETENZE PROFESSIONALI

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PROFI-LO PROFESSIONA-LE

Il CSE oltre a lavorare a contatto con l’utenza del suo servizioopera con funzioni di coordinamento e gestione delle attività edel servizio Nell’esercizio della sua attività professionale con-trolla la sua implicazione personale e intrattiene le relazionifunzionali agli scopi gestionali con i colleghi e con i committentidel servizio (Ente Pubblico) Le condizioni tipiche di lavoro delCSE sono: far parte di una équipe multidisciplinare con cui ope-ra per fornire le risposte migliori ai bisogni dell’utenza. unaprolungata frequentazione e costante contatto con l’utenza. Unacostante interazione con gli altri soggetti sociali e istituzionalidel territorio Una costante attività di aggiornamento professiona-le e personale Le funzioni chiave della professione sono: 1 Pre-disposizione e gestione di piani di sviluppo del servizio e delgruppo e/o del gruppo di lavoro 2 Gestione del servizio 4 Realiz-zazione di attività formative, orientative, di ricerca e documen-tazione, supervisione e accompagnamento delle risorse umaneimpegnante nel servizio e/o équipe 5 Autosviluppo professionalePertanto, il CSE generalmente svolge i seguenti compiti*: Or-ganizza le attività del servizio Gestisce progetti complessi Pro-getta interventi educativi complessi Coordina équipe di lavoroRealizza colloqui e attività nell’ambito della presa in carico edu-cativa dell’utenza Definisce e concorda protocolli professionalicon il personale del servizio(la gestione delle crisi, le patologie, irapporti con la famiglia, i rapporti con il territorio, il reinseri-mento sociale e lavorativo) Redige relazioni e rapporti di attivitàPartecipa alla vita del servizio nella specificità del suo ruoloPartecipa a gruppi di coordinamento locali Lavora in rete con icoordinatori degli altri servizi Pianifica finanziariamente quantodi sua competenza (progetti, servizi, ...) Svolge compiti di moni-

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toraggio e controllo di qualità del servizio Progetta e gestisce at-tività di formazione del personale *La definizione dei compitiche l’EPDF svolge è legata sia alla progressione professionale,sia all’organizzazione del servizio e alla sua filosofia operativa.

COLLOCAZIONEORGANIZZATIVA

La professione viene esercitata nell’ambito di servizi pubblici edel privato sociale (cooperative, …) sia essi centri diurni ostrutture residenziali sotto la responsabilità di una direzione.

REQUISITI RICHIE-STI

Titolo di studio di base: diploma di istruzione superiore

Formazione professionale iniziale: Diploma Universitario Trien-nale ovvero, diploma equipollente in base alla L 42/1999: Educa-tore professionale dei corsi regionali triennali purché antecedentila data del decreto Ministro della sanità del 10 febbraio 1984;corsi triennali di formazione specifica.Esperienze professionali pregresse: almeno 6 anni di esperienzacome educatore professionale all’interno di strutture del privatosociale o pubblico certificabile

LIVELLO PROFES-SIONALE (secondo lascala UE)

Livello 4: Attività professionale con rilevanti competenze tecni-co/scientifiche e/o livelli significativi di responsabilità e auto-nomia nelle attività di programmazione, amministrazione e ge-stione

COMPETENZESPECIFICHE DELPROFILO

Definire e attuare piani di sviluppo del servizio Analizzare, veri-ficare e mettere a punto il processo produttivo del servizio Defi-nire e gestire azioni di marketing sociale Promuovere la defini-zione di progetti comuni con strutture pubbliche e private Gestirele relazioni strategiche per la realizzazione del progetto educati-vo del sua struttura

SCHEDA C – PERCORSO FORMATIVO

MODALITÀ DI IN-GRESSO NEL PER-CORSO

Al percorso possono accedere persone che hanno maturato 5anni di esperienza in qualità di educatore professionale pressoservizi e strutture socio-educative assistenziali e/o sanitarie. Aseconda dell’esperienza professionale e /o formativa pregressapotranno essere riconosciuti eventuali crediti formativi o validateacquisizioni professionali comportanti la padronanza di determi-nati saperi. L’ingresso nel percorso formativo sarà preceduto daun’apposita analisi dei requisiti, esperienze e motivazioni fun-zionali alla definizione di un progetto professionale e personale.

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PER-CORSO

Il percorso formativo riportato è finalizzato a ricoprire i requisitie i saperi fondamentali richiesti nell’esercizio professionale. Ilpercorso formativo va inteso come accompagnamento del per-corso di professionalizzazione; esso è articolato alla fase di spe-cializzazione/perfezionamento Il percorso pur facendo riferimen-to ad una struttura di base standardizzata dovrà essere raccordato

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ai singoli progetti personalizzati.METODOLOGIA La metodologia formativa prevede varie attività di aula e extra

aula con diverse configurazioni tra cui:: Lezioni seminariali inpresenza o a distanza Lavori di gruppo, role playing e simula-zioni Laboratori Attività in situazione (project work, osservazio-ne, visite di studio, …) Attività in supervisione e coaching At-tività in autoformazione assistita Valutazione

ARTICOLAZIONEMODULARE

Il percorso è strutturato in moduli corrispondenti ad altrettantetappe del percorso cognitivo e di socializzazione lavorativa col-legate alle progressioni personali, al rafforzamento motivaziona-le e alla costruzione dell’identità professionale attraversol’acquisizione delle competenze richieste dal ruolo. La progres-sione formativa potrà richiedere un approfondimento reso neces-sario dall’assunzione progressiva e/o evoluzione di responsabili-tà e funzioni organizzative.

MODULI FORMATIVI PER L’INGRESSO AL RUOLO

MACRO MODULI AREE DI CON-TENUTO PRO-FESSIONALE

CONTENUTO

1 MANAGEMENTDEI SERVIZISOCIO EDUCA-TIVI

Organizzazionedei servizi sociosanitari e assi-stenziali

Principi di organizzazione e progettazionedei servizi Negoziazione e contrattazionecon la committenza I contratti della pubbli-ca amministrazione Elementi di sociologiaeconomica

Gestione dellerisorse umane

Organizzazione delle risorse umane Valo-rizzazione e motivazione della RisorsaUmana

Amministrazionee bilancio

Elementi di contabilità generale dei servizialla persona

La valutazionedell’efficacia edell’efficienzadel servizio

Metodi e tecniche di valutazione degli in-terventi e del servizio

La qualità delservizio

Gestione dei processi e qualità dei risultatiIl ciclo della qualità

2 GESTIONE DELRUOLO

Gestione delruolo professio-nale

Leadership Comunicazione

Deontologia pro-fessionale

Gestione della responsabilità e deontologia

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REFERENZIALI DI COMPETENZA E DI FORMAZIONE

Profilo Professionale:EDUCATORE ACCOMPAGNATORE IN PERCORSI DI

ORIENTAMENTO

SCHEDA A CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTIVOCAZIONALI

SCHEDA B COMPETENZE PROFESSIONALISCHEDA C PERCORSO FORMATIVO

SCHEDA A – CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTI VOCAZIONALI

L’azione dell’educatore accompagnatore in percorsi di orientamento consiste nel forniresupporto alle persone nei loro processi di transizione lavorativa o formativa. Momentitipici di transizione sono i periodi che seguono la fine di percorsi scolastici (medie infe-riori – obbligo scolastico – e superiori, università, corsi di formazione), o l’avvio dellaricerca di lavoro al termine di percorsi formativi, a seguito di licenziamento, il rientro sulmercato del lavoro dopo che per scelta o accadimenti personali se ne è rimasti fuori perun periodo. Tale attività costituisce uno dei cardini di una politica attiva del lavoro e deldiritto allo studio. Essa è sempre più necessaria, in un’epoca di rapide, profonde trasfor-mazioni nel campo delle tecnologie, delle conoscenze, delle professionalità, degli atteg-giamenti e delle aspettative individuali e collettive. Un servizio di orientamento si poneobiettivi specifici che riguardano l’integrazione delle informazioni sugli elementi di con-testo (formativo o occupazionale) eventual-mente non disponibili agli utentiL’approfondimento della conoscenza di sé, delle proprie capacità e delle proprie motiva-zioni; il sostegno ai processi decisionali; il supporto formativo per l’acquisizione di com-portamenti coerenti ed efficaci in vista del raggiungimento dei propri obiettivi. I destina-tari ‘classici’ delle attività di orientamento sono studenti della scuola di base (o che hannocompletato l’obbligo scolastico) e delle superiori (e i loro genitori), diplomati e laureati,senza lavoro e lavoratori disoccupati giovani e adulti, donne che desiderano rientrare sulmercato del lavoro, persone in situazioni particolari: handicappati, ex-tossicodipendenti,invalidi, ex carcerati, immigrati.Il lavoro dell’educatore accompagnatore in percorsi di orientamento può svolgersi presso centriper l’orientamento, centri per l’impiego (servizi aperti ai singoli utenti) o presso scuole, centridi formazione professionale o università (servizi presso gruppi omogenei di utenti). Le princi-pali componenti motivazionali e le caratteristiche personali che sostengono l’assunzione delruolo di educatore accompagnatore in percorsi di orientamento sono le seguenti:

Capacità di osservazioneAttenzione alla motivazione

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Propensione al pensiero positivoAutorevolezzaDisponibilità ad essere flessibile nei tempiDisponibilità al dialogo e all’ascolto dei bisogni dell’utenzaProntezza nel cogliere e interpretare i bisogni, le situazioni e le opportunitàFiducia e sicurezza di séCapacità di gestire il fallimento e l’insuccessoAutocontrollo delle proprie emozioni e reazioniDisponibilità a lavorare in équipeAtteggiamento non valutativoCapacità di far fronte a situazioni di stressCostanza nella realizzazione dei progetti e nel raggiungimento degli obiettiviValorizzazione dei contributi degli altri; Orientamento alla ricerca eall’autoaggiornamento

L’educatore educatore dei centri di aggregazione giovanile può evolvere verso ruoli dicoordinamento o gestione di équipe di operatori o nella progettazione di servizi innova-tivi in rete sul territorio.

SCHEDA B – COMPETENZE PROFESSIONALI

COLLOCAZIONEORGANIZZATIVA

Può operare in uffici pubblici, nei centri di formazione o –all’interno di strutture di servizio appositamente sia pubblicheche gestite da organismi privati senza fini di lucro (Sindacati,Associazioni religiose o studentesche, ecc.). Si rapporta con glialtri operatori e istituzioni del territorio, della scuola e con il Re-sponsabile del servizio.

REQUISITI RICHIE-STI

Titolo di studio di base: diploma di istruzione superiore

Formazione professionale iniziale: In Italia la professione deleducatore accompagnatore in percorsi di orientamento non è ri-conosciuta, vale a dire che la legge non stabilisce percorsi for-mativi specifici o requisiti minimi; chiunque la può svolgere. Èsignificativo che in altri Paesi Europei dove la professione ha piùstoria, possano diventare “orientatori” o svolgere attività diorientamento anche persone che non hanno una laurea a indiriz-zo educativo o psicologico; in genere è richiesta una precedenteesperienza lavorativa e la frequenza di un corso breve di forma-zione specifica.Esperienze professionali: Data la complessità dei compiti ri-chiesti all’educatore accompagnatore in percorsi di orientamentooltre ad uno specifico percorso formativo è auspicabile un ade-guato periodo di esperienza in almeno uno dei settori interessatiall’orientamento (scuola, formazione professionale, …) o di af-fiancamento in un servizio di orientamento.

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LIVELLO PROFES-SIONALE (secondo lascala UE)

Livello 3: Lavoro tecnico, che può comportare gradi di autono-mia e responsabilità rispetto ad attività di programmazione o co-ordinamento

COMPETENZE CO-MUNI ALLA FAMI-GLIA PROFESSIO-NALE

Rilevare attraverso l’osservazione e i colloqui i fabbisognidell’utenza Contribuire alla definizione e gestione dei percorsiindividualizzati e di servizio Progettare e realizzare interventi diformazione orientativa Condurre e animare team o gruppi Gesti-re relazioni funzionali con altri operatori e servizi del territorioContribuire ad attività di ricerca sociale Cooperare attivamentenei gruppi di lavoro

COMPETENZESPECIFICHE DELPROFILO

Rendere l’informazione fruibile da parte dell’utenza Supportarel’autoesplorazione della persona (desideri personali, potenzialità,vincoli) Attivare relazioni di aiuto anche in situazioni ad altacomplessità Condurre alla presa di decisione Attivare un soste-gno finalizzato all’autonomia nella realizzazione del progettoprofessionale personale

SCHEDA C – PERCORSO FORMATIVO

MODALITÀ DI IN-GRESSO NEL RUO-LO

È possibile giungere ad esercitare questa attività attraverso varipercorsi: corso di laurea in Psicologia o in Scienzedell’educazione, indirizzo esperti in processi formativi o educa-tori professionali pratica (apprendimento sul campo, in affian-camento) presso sportelli di orientamento pratica (appren-dimento sul campo, in affiancamento) a partire dall’attività diinsegnante corsi di specializzazione organizzati da strutture qualiCentri di Formazione Professionale, Provveditorati agli Studi,Facoltà universitarie (Psicologia o Scienze della formazione),soggetti privati. A seconda dell’esperienza professionale e/o vo-lontaria pregressa verrà valutata la padronanza o meno di certisaperi o competenze. L’ingresso nel percorso formativo sarà pre-ceduto da un’apposita analisi dei requisiti, esperienze e motiva-zioni funzionali alla definizione di un progetto professionale epersonale.

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PER-CORSO

Il percorso formativo riportato è finalizzato a ricoprire i requisitidi base in termini di sapere e saper fare. Al percorso possono ac-cedere persone di diversa provenienza. Il percorso di professio-nalizzazione può essere accompagnato da un percorso formativoarticolato nelle seguenti fasi: Ingresso al ruolo Consolidamentoprofessionale Il percorso pur facendo riferimento ad una strutturadi base standardizzata dovrà essere raccordato ai singoli progettipersonalizzati.

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METODOLOGIA La metodologia formativa prevede varie attività di aula e extraaula con diverse configurazioni (a seconda delle fasi di ingressoo consolidamento), tra cui: Lezioni seminariali in presenza o adistanza Lavori di gruppo, role playing e simulazioni LaboratoriAttività in situazione (project work, osservazione, visite di stu-dio, …) Attività in supervisione e coaching Attività in autofor-mazione assistita Valutazione

ARTICOLAZIONEMODULARE

Il percorso è strutturato in moduli corrispondenti ad altrettantetappe del percorso cognitivo e di socializzazione lavorativa col-legate alle progressioni personali, al rafforzamento motivaziona-le e alla costruzione dell’identità professionale attraversol’acquisizione delle competenze richieste dal ruolo. In funzionedell’analisi dei requisiti personali e professionali di ingresso po-trà, inoltre, essere proposto un apposito modulo propedeutico. Laprogressione formativa potrà richiedere l’iterazione e/ol’integrazione di alcuni contenuti professionali specifici tra lafase di ingresso e la fase di consolidamento e sviluppo. Talicontenuti potranno essere funzionali anche ad un approfondi-mento reso necessario dall’assunzione progressiva e/o evoluzio-ne di responsabilità e funzioni organizzative.

MODULI PER L’INGRESSO AL RUOLO

MACRO MODULI AREE DI CON-TENUTO PRO-FESSIONALE

CONTENUTI

Contesto organiz-zativo del servizioe gestione delruolo professionale

Introduzione al ruolo e informazione sulcontesto operativo Le diverse tipologie diorganizzazione dei servizi all’impiego Ilmercato del lavoro Il mercato delle profes-sioni

Elementi di legi-slazione

Normative di riferimento: evoluzione stori-ca aggiornamenti e prospettive

Elementi di psico-pedagogia dellarelazione di aiuto

Tipologia dell’utenza e conoscenze delletematiche legate alla scelta scolastica e pro-fessionale La relazione educativa Preven-zione e attenzione ai segnali del disagio

Informatica di base Informatica di base La gestione dei data ba-se La costruzione di testi e l’utilizzo di sus-sidi multimediali Il sussidio informatico perla ricerca tematica e per il lavoro in rete

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1 METODOLOGIEE PRATICHEDELL’ORIEN-TAMENTO EDU-CATIVO

Progettazione degliinterventi

Tecniche, strumenti e modalità di progetta-zione Verifica e valutazione dei risultati

Analisi e valuta-zione delle situa-zioni

Modelli teorici di riferimento Tecnichestrumenti e modalità di raccolta delle in-formazioni Modalità e strumenti per la de-scrizione di situazioni e fenomeni

Metodologie diintervento orienta-tivo

Modelli teorici di riferimento Tecniche,strumenti e modalità di progettazione dipercorsi orientativi Analisi e confronto diesperienze esemplari

Lavoro di gruppo Dinamiche di gruppo Tecniche e strumentidi rilevazione Tecniche di conduzione eanimazione di gruppo

Etica professionale Approcci e le problematiche dei codici eticie deontologici nelle professioni dei servizialla persona Le problematiche specifiche ele prospettive relative al rapporto educativoe al ruolo dell’educatore

2 LE RETI TERRI-TORIALI DEISERVIZI

Lavoro di rete nelterritorio

I servizi del territorio Modalità di coopera-zione tra servizi Le reti formali e informaliL’utilizzo delle banche dati e dei mezzi in-formatici e telematici per la creazione di unsistema informativo condiviso La raccolta,l’interpretazione, l’organizzazione, la ge-stione, l’aggiornamento e la trasmissionedell’informazione

Il lavoro in équipemultidiscilplinari

Le reti formali e informali Il lavoro in équi-pe multidisciplinari La pianificazione dellavoro in équipe

3 IL SERVIZIO DIORIENTAMEN-TO

Organizzazione delservizio

Organizzazione del servizio Definizionedegli obiettivi e delle funzionai delle diver-se componenti funzionali del servizio Ruo-li, funzioni e modalità operative di coordi-namento La struttura formale e informaledelle organizzazioni I flussi comunicativi

Qualità dei servizi La gestione del ruolo professionale Laqualità del servizio I parametri e gli indica-tori di qualità

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4 LA COMUNI-CAZIONE IN-TERPERSONA-LE

La gestione delcolloquio

La relazione di aiuto Il colloquio individua-le Il colloquio strutturato Gli strumenti perl’analisi delle risorse personali e professio-nali Tecniche di ascolto attivo

Tecniche di orien-tamento di gruppo

L’attivazione della partecipazione e la va-lorizzazione delle risorse Il colloquio digruppo Gestione di gruppi di sostegno o dimutuo aiuto Tecniche di ricerca attiva dellavoro

MODULI FORMATIVI PER IL CONSOLIDAMENTO PROFESSIONALE

1 METODOLO-GIE DI INTER-VENTO DIORIENTA-MENTO

Progettazione degliinterventi

Tecniche, strumenti e modalità di progetta-zione di servizi complessi e interventi spe-rimentali Verifica e valutazione dei risultatidi azioni di sistema

Analisi e valuta-zione delle situa-zioni

Aggiornamento e sviluppo rispetto a nuovimodelli teorici ed organizzativi Analisi econfronto di esperienze esemplari Analisi dibisogni emergenti e progettazioni dei rela-tivi interventi

2 GESTIONE DISERVIZI DIORIENTA-MENTO

Aspetti organizza-tivi e gestionali

Organizzazione del servizio Utilizzo otti-male delle risorse e delle opportunità

Progettazione diservizi innovativi

Analisi dei nuovi bisogni Analisi delle ri-sorse Tecniche di progettazione Costruzio-ne di reti di servizi Reperimento delle risor-se finanziarie

3 SUPERVISIO-NE E AUTO-SVILUPPO

Aspetti metodolo-gici e organizzativi

Strumenti di verifica della efficacia ed ef-ficienza Monitoraggio La qualità del servi-zio

Aspetti relazionalie del progetto pro-fessionale

Metodi e tecniche di autodiagnosi profes-sionale Metodi e tecniche per la supervisio-ne delle attività

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REFERENZIALI DI COMPETENZA E DI FORMAZIONE

Profilo Professionale:EDUCATORE DEI CENTRI DI AGGREGAZIONE GIOVANILE

SCHEDA A CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTIVOCAZIONALI

SCHEDA B COMPETENZE PROFESSIONALISCHEDA C PERCORSO FORMATIVO

SCHEDA A – CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTI VOCAZIONALI

L’educatore dei centri di aggregazione giovanile opera rispondendo ai bisogni di socializ-zazione dei ragazzi e degli adolescenti, ai bisogni di relazione e comunicazione tra coeta-nei accompagnando e sostenendo il processo di crescita.Nell’ambito di Centri di aggregazione promossi da Enti pubblici e/o realtà del territorio(associazioni, gruppi, cooperative) egli agisce in modo differenziato:

agevola la costruzione di opportunità di interazione e di sostegno alle esperienze diaggregazione spontanea tra adolescentisostiene le esperienze associative, promuovendo e rafforzando l’adesione e lacontinuità in base alla capacità di risposta ai bisogni degli adolescentiattiva opportunità di aggregazione tra adolescenti

Opera in centri che offrono opportunità di aggregazione all’interno di un contesto orga-nizzato, nel quale esistono vincoli (regole, orari...) ma anche risorse (psicologiche, peda-gogiche e strutturali) che possono essere liberamente utilizzate da ragazzi e adolescenti,spazi di animazione e di scoperta, unitamente a una relazione significativa tra coetanei etra adolescenti ed adulti.La sua azione può essere condotta in sinergia e complementarità con le risorse dellascuola. La sua professionalità è finalizzata all’attivazione di processi di promozione dellapartecipazione sociale e di processi di sviluppo delle potenzialità (fisiche, ludiche,espressive, culturali, relazionali e organizzative) dei giovani e dei gruppi, assumendo laprospettiva della prevenzione dell’emarginazione dell’esclusione sociale e del disagio. Leiniziative specifiche sono connesse allo studio e alla socializzazione nel tempo libero epossono essere tradotte in attività differenziate sia in situazioni individuali che di gruppoattraverso ad esempio sostegno scolastico, gioco e sport, laboratori di manualità edespressività. Si prefigge il raggiungimento di importanti obiettivi quali:

l’educazione alla solidarietàl’educazione alla responsabilità delle proprie azionil’educazione all’importanza e il gusto dell’organizzazionel’educazione alla socializzazione

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l’educazione all’autonomial’educazione alla valorizzazione delle diversità culturali e fisiche

Le principali componenti motivazionali e le caratteristiche personali che sostengonol’assunzione del ruolo di educatore dei centri di aggregazione giovanile sono le seguenti:

Capacità di osservazione, lettura e monitoraggio dei fenomeni e delle relazioni in-terpersonaliCreativitàEntusiasmoAutorevolezzaDisponibilità ad essere flessibile nei tempiDisponibilità al dialogo e all’ascolto dei bisogni dell’utenzaProntezza nel cogliere e interpretare i bisogni, le situazioni e le opportunitàFiducia e sicurezza di séAutocontrollo delle proprie emozioni e reazioniDisponibilità a lavorare in équipeAtteggiamento non valutativoCapacità di far fronte a situazioni di stressCostanza nella realizzazione dei progetti e nel raggiungimento degli obiettiviValorizzazione dei contributi degli altri

L’educatore deve avere una condizione fisica adatta all’esercizio del ruolo. L’educatoredei centri di aggregazione giovanile può evolvere verso ruoli di coordinamento o gestionedi équipe di operatori o nella progettazione di servizi innovativi in rete sul territorio.

SCHEDA B – COMPETENZE PROFESSIONALI

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PROFI-LO PROFESSIONA-LE

Opera in centri che offrono opportunità di aggregazioneall’interno di un contesto organizzato, nel quale esistono vincoli(regole, orari...) ma anche risorse (psicologiche, pedagogiche estrutturali) che possono essere liberamente utilizzate da ragazzi eadolescenti, spazi di animazione e di scoperta, unitamente a unarelazione significativa tra coetanei e tra adolescenti ed adulti.Nella sua attività: contribuisce all’analisi dei bisogni e delleaspettative degli utenti; formula progetti di animazione in colla-borazione con l’utenza utilizza strumenti e tecniche di animazio-ne; gestisce le attività di animazione programmate; prepara stru-menti di rivelazione dei bisogni nell’area di intervento; forniscedati per la valutazione degli interventi di sua competenza; utiliz-za le risorse a disposizione per l’attuazione dei progetti di ani-mazione; si procura le risorse necessarie per l’attività favorisce larelazione tra tutti i componenti del gruppo/utenza e tra il gruppoe il contesto di riferimento; partecipa a momenti di incontro conle realtà del territorio e con altri operatori delle professioni so-ciali, finalizzati alla realizzazione di progetti animativi; stabiliscerelazioni con altri operatori e servizi, al fine di coordinare gliinterventi di propria competenza; raccorda, in modo dinamico, i

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bisogni dell’utente con i vincoli istituzionali e strutturali; si rap-porta ai responsabili del servizio, ai genitori e agli altri operatorisociali nell’ottica di un intervento preventivo Le funzioni chiavedella professione sono: Ampliamento e integrazione culturaleSocializzazione e interazione socio affettiva Osservazione delleesperienze aggregative del territorio Promozione delle esperienzeassociative tra adolescenti

COLLOCAZIONEORGANIZZATIVA

Opera in istituzioni pubbliche o private preposte allo sviluppo diattività di vita comunitaria sia occasionale che sistematica confinalità promozionali, preventive e di integrazione sociale. Sirapporta con gli altri operatori e istituzioni del territorio, dellascuola e con il Responsabile del servizio.

REQUISITI RICHIE-STI

Titolo di studio di base: diploma di istruzione superiore

Formazione professionale iniziale: Diploma UniversitarioTriennale ovvero, diploma equipollente in base alla L 42 /1999:Educatore professionale dei corsi regionali triennali purché ante-cedenti la data del decreto Ministro della sanità del 10 febbraio1984; corsi triennali di formazione specifica. In alternativa ade-guata e documentata esperienza pluriennale in servizi di tipoeducativo e sociale.Esperienze professionali: È preferibile la provenienza da espe-rienze di partecipazione anche a titolo di volontariato in asso-ciazioni o gruppi giovanili

LIVELLO PROFES-SIONALE (secondo lascala UE)

Livello 3: Lavoro tecnico, che può comportare gradi di autono-mia e responsabilità rispetto ad attività di programmazione o co-ordinamento

COMPETENZE CO-MUNI ALLA FAMI-GLIA PROFESSIO-NALE

Rilevare attraverso l’osservazione e i colloqui i fabbisognidell’utenza Contribuire alla definizione e gestione dei progettieducativi e animativi individualizzati e di servizio Progettare erealizzare interventi di prevenzione sul territorio Condurre eanimare team o gruppi Gestire relazioni funzionali con altri ope-ratori e servizi del territorio Contribuire ad attività di ricerca so-ciale Cooperare attivamente nei gruppi di lavoro

COMPETENZESPECIFICHE DELPROFILO

Creare spirito di appartenenza e partecipazione Promuovere pro-cessi di attivazione del potenziale ludico, culturale, espressivo,relazionale sia a livello individuale che di gruppo Condurre at-tività individuali e di gruppo Organizzare eventi

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SCHEDA C – PERCORSO FORMATIVO

MODALITÀ DI IN-GRESSO NEL RUO-LO

È preferibile la provenienza da esperienze di partecipazione an-che a titolo di volontariato in associazioni o gruppi giovanili diattività culturale, ludica, sportiva, espressiva, etc. A secondadell’esperienza professionale e /o volontaria pregressa verrà va-lutata la padronanza o meno di certi saperi o competenze.L’ingresso nel percorso formativo sarà preceduto da un’appositaanalisi dei requisiti, esperienze e motivazioni funzionali alla de-finizione di un progetto professionale e personale.

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PER-CORSO

Il percorso formativo riportato è finalizzato a ricoprire i requisitidi base in termini di sapere e saper fare. Al percorso possono ac-cedere persone di diversa provenienza. Il percorso di professio-nalizzazione può essere accompagnato da un percorso formativoarticolato nelle seguenti fasi: Ingresso al ruolo Consolidamentoprofessionale Il percorso pur facendo riferimento ad una strutturadi base standardizzata dovrà essere raccordato ai singoli progettipersonalizzati.

METODOLOGIA La metodologia formativa prevede varie attività di aula e extraaula con diverse configurazioni (a seconda delle fasi di ingressoo consolidamento), tra cui: Lezioni seminariali in presenza o adistanza Lavori di gruppo, role playing e simulazioni LaboratoriAttività in situazione (project work, osservazione, visite di stu-dio, …) Attività in supervisione e coaching Attività in autofor-mazione assistita Valutazione

ARTICOLAZIONEMODULARE

Il percorso è strutturato in moduli corrispondenti ad altrettantetappe del percorso cognitivo e di socializzazione lavorativa col-legate alle progressioni personali, al rafforzamento motivaziona-le e alla costruzione dell’identità professionale attraversol’acquisizione delle competenze richieste dal ruolo. In funzionedell’analisi dei requisiti personali e professionali di ingresso po-trà, inoltre, essere proposto un apposito modulo propedeutico. Laprogressione formativa potrà richiedere l’iterazione e/ol’integrazione di alcuni contenuti professionali specifici tra lafase di ingresso e la fase di consolidamento e sviluppo. Talicontenuti potranno essere funzionali anche ad un approfondi-mento reso necessario dall’assunzione progressiva e/o evoluzio-ne di responsabilità e funzioni organizzative.

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MODULI PER L’INGRESSO AL RUOLO

MACRO MODULI AREE DI CON-TENUTO PRO-FESSIONALE

CONTENUTI

0 PROPEDEUTICO Contesto orga-nizzativo delservizio e gestio-ne del ruolo pro-fessionale

Introduzione al ruolo e informazione sulcontesto operativo Le diverse tipologie diorganizzazione dei servizi di aggregazionegiovanile Interventi educativi e di preven-zione

Elementi di legi-slazione

Normative di riferimento Il ruolo degli entilocali e delle associazioni culturali

Elementi di psi-copedagogia

Tipologia dell’utenza e conoscenze delletematiche psicopedagogiche nell’interventodi prevenzione La relazione educativa Pre-venzione e attenzione ai segnali del disagio

Informatica dibase

Informatica di base La gestione dei data ba-se L’utilizzo delle banche dati Il sussidioinformatico per la ricerca tematica e per illavoro in rete

1 METODOLOGIEE PRATICHEDELL’AGIREEDUCATIVO

Progettazionedegli interventi

Tecniche, strumenti e modalità di progetta-zione Verifica e valutazione dei risultati

Analisi e valuta-zione delle si-tuazioni

Modelli teorici di riferimento Tecnichestrumenti e modalità di osservazione Mo-dalità e strumenti per la descrizione di si-tuazioni e fenomeni

Metodologie diintervento socio-educativo

Modelli teorici di riferimento Tecniche,strumenti e modalità di animazione ludico,espressivo, culturale, sportivo, etc. Analisi econfronto di esperienze esemplari

Lavoro in équipe Dinamiche di gruppo Tecniche e strumentidi rilevazione Tecniche di conduzione eanimazione di gruppo

Etica professio-nale

Approcci e le problematiche dei codici eticie deontologici nelle professioni dei servizialla persona Le problematiche specifiche ele prospettive relative al rapporto educativoe al ruolo dell’educatore

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2 LE RETI TERRI-TORIALI DEISERVIZI

I servizi del terri-torio

I servizi del territorio: organizzazione fun-zioni e modalità di accesso Ruoli e funzionidei diversi servizi

Il lavoro in rete Le reti formali e informali La raccolta,l’interpretazione, l’organizzazione e la tra-smissione dell’informazione L’utilizzodelle banche dati

3 IL SERVIZIOANIMATIVOEDUCATIVO

Aspetti organiz-zativi

Il contesto operativo Diverse tipologie or-ganizzative e di servizio Organizzazione delservizio La struttura formale e informaledelle organizzazioni

Aspetti funzio-nali

Ruoli e funzioni I flussi comunicativi Lagestione del ruolo professionale La pianifi-cazione del lavoro in équipe

4 LA COMUNI-CAZIONE IN-TERPERSONA-LE

Tecniche indivi-duali

Il colloquio educativo Il colloquio orienta-tivo Tecniche di ascolto attivo Il colloquioin situazioni destrutturate Il coinvolgimentoe la comunicazione persuasivaL’attivazione della partecipazione e la va-lorizzazione delle risorse personali

Tecniche digruppo

Il colloquio di gruppo Il coinvolgimento ela comunicazione persuasiva L’influenzasociale L’attivazione della partecipazione ela valorizzazione delle risorse del gruppo

MODULI FORMATIVI PER IL CONSOLIDAMENTO PROFESSIONALE

1 METODOLO-GIE DI INTER-VENTO ANI-MATIVO E SO-CIALE

progettazionedegli interventi

Tecniche, strumenti e modalità di progetta-zione di servizi complessi e interventi spe-rimentali Verifica e valutazione dei risultatidi azioni di sistema

analisi e valuta-zione delle si-tuazioni

Aggiornamento e sviluppo rispetto a nuovimodelli organizzativi Tecniche innovative,strumenti e modalità di intervento animati-vo-educativo Analisi e confronto di espe-rienze esemplari Analisi di bisogni emer-genti e progettazioni dei relativi interventi

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2 GESTIONE DISERVIZI SOCIOEDUCATIVI EANIMATIVI

aspetti organiz-zativi e gestionali

Organizzazione del servizio Utilizzo otti-male delle risorse e delle opportunità

progettazione diservizi innovativi

Analisi dei nuovi bisogni Analisi delle ri-sorse Tecniche di progettazione Costruzio-ne di reti di servizi Pianificazione di inter-venti multidimensionali Reperimento dellerisorse finanziarie

3 SUPERVISIO-NE E AUTO-SVILUPPO

aspetti metodo-logici e organiz-zativi

Strumenti di verifica della efficacia ed ef-ficienza Monitoraggio La qualità del servi-zio

aspetti relazionalie del progettoprofessionale

Metodi e tecniche di autodiagnosi profes-sionale Metodi e tecniche per la supervisio-ne delle attività e dei gruppi

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REFERENZIALI DI COMPETENZA E DI FORMAZIONE

Profilo Professionale:EDUCATORE DEI CENTRI PER GLI ANZIANI

SCHEDA A CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTIVOCAZIONALI

SCHEDA B COMPETENZE PROFESSIONALISCHEDA C PERCORSO FORMATIVO

SCHEDA A – CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTI VOCAZIONALI

L’educatore dei centri per gli anziani opera rispondendo ai bisogni di occupazione e or-ganizzazione del tempo libero, ai bisogni di socializzazione e di valorizzazione del ruolosociale dell’anziano. Nell’ambito di Centri di aggregazione promossi da Enti pubblici e/orealtà del territorio (associazioni, gruppi, cooperative) egli agisce in modo differenziato:

– agevola la costruzione di opportunità di interazione e di sostegno alle esperienze di– aggregazione spontanea tra anziani e/o adulti

– sostiene le esperienze associative, promuovendo e rafforzando l’adesione e lacontinuità in base alla capacità di risposta ai bisogni degli anziani

– attiva opportunità di aggregazione tra anziani, adulti e altri sul territorioLa sua azione può essere condotta in sinergia e complementarità con le risorse del Comu-ne, del quartiere, della parrocchia, etc. La sua professionalità è finalizzata all’attivazionedi processi di promozione della partecipazione sociale e di processi di valorizzazione erecupero delle potenzialità (fisiche, espressive, culturali, relazionali e organizzative) deglianziani e dei gruppi, assumendo la prospettiva della prevenzione dell’emarginazionedell’esclusione sociale e del disagio e del miglioramento della qualità di vita Le iniziativespecifiche sono connesse alla socializzazione nel tempo libero e possono essere tradottein attività differenziate sia in situazioni individuali che di gruppo attraverso ad esempioattività culturali, attività ludico-sportivo, attività sportivo-riabilitativa, ballo, laboratori dimanualità ed espressività, iniziative turistiche e gastronomiche.

Si prefigge il raggiungimento di importanti obiettivi quali:Il recupero e la valorizzazione delle risorse personalila promozione della reciproca cura e della solidarietà socialel’attivazione di reti informali di sostegnoIl superamento della solitudine e dell’isolamentol’educazione alla valorizzazione delle diversità culturali e fisichela promozione della qualità della vita

Le principali componenti motivazionali e le caratteristiche personali che sostengonol’assunzione del ruolo di educatore dei centri per gli anziani sono le seguenti:

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Capacità di osservazioneCreativitàEntusiasmoAutorevolezzaPazienzaAdattabilità e flessibilitàRealismo e rispetto dei limiti dell’utenzaAtteggiamento non valutativoDisponibilità ad essere flessibile nei tempi e ad adeguarsi alle esigenze dell’utenzaDisponibilità al dialogo e all’ascolto dei bisogni dell’utenzaProntezza nel cogliere e interpretare i bisogni, le situazioni e le opportunitàFiducia e sicurezza di séAutocontrollo delle proprie emozioni e reazioniCapacità di gestire il fallimento e l’insuccessoDisponibilità a lavorare in équipeCapacità di far fronte a situazioni di stressCostanza nella realizzazione dei progetti e nel raggiungimento degli obiettiviValorizzazione dei contributi degli altri

L’educatore deve avere la condizione fisica adatta all’esercizio del ruolo.L’educatore dei centri per gli anziani può evolvere verso ruoli di coordinamento o gestio-ne di équipe di operatori o nella progettazione di servizi innovativi in rete sul territorio.

SCHEDA B – COMPETENZE PROFESSIONALI

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PROFI-LO PROFESSIONA-LE

Opera in centri che offrono opportunità di aggregazioneall’interno di un contesto organizzato, nel quale esistono risorse(psicologiche, pedagogiche e strutturali) che possono essere libe-ramente utilizzate da tutti gli utenti. Nella sua attività: contribui-sce all’analisi dei bisogni e delle aspettative degli utenti; formulaprogetti di animazione in collaborazione con l’utenza utilizzastrumenti e tecniche di animazione; gestisce le attività di anima-zione programmate; prepara strumenti di rivelazione dei bisogninell’area di intervento; fornisce dati per la valutazione degli in-terventi di sua competenza; utilizza le risorse a disposizione perl’attuazione dei progetti di animazione; si procura le risorse ne-cessarie per l’attività favorisce la relazione tra tutti i componentidel gruppo/utenza e tra il gruppo e il contesto di riferimento;partecipa a momenti di incontro con le realtà del territorio e conaltri operatori delle professioni sociali, finalizzati alla realizza-zione di progetti animativi; stabilisce relazioni con altri operatorie servizi, al fine di coordinare gli interventi di propria competen-za; raccorda, in modo dinamico, i bisogni dell’utente con i vin-coli istituzionali e strutturali; si rapporta ai responsabili del ser-vizio, alle famiglie e agli altri operatori sociali nell’ottica di unintervento preventivo Le funzioni chiave della professione sono:

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Sostegno alla socializzazione e interazione socio affettiva Osser-vazione delle esperienze aggregative del territorio Promozionedelle esperienze associative tra adulti e anziani Attivazione diiniziative culturali e di sensibilizzazione

COLLOCAZIONEORGANIZZATIVA

Opera in istituzioni pubbliche o private preposte allo sviluppo diattività di vita comunitaria sia occasionale che sistematica confinalità promozionali, preventive e di integrazione sociale. Sirapporta con gli altri operatori e istituzioni del territorio, dellascuola e con il Responsabile del servizio.

REQUISITI RICHIE-STI

Titolo di studio di base: diploma di istruzione superiore

Formazione professionale iniziale: Diploma Universitario Trien-nale ovvero, diploma equipollente in base alla L 42 /1999: Edu-catore professionale dei corsi regionali triennali purché antece-denti la data del decreto Ministro della sanità del 10 febbraio1984; corsi triennali di formazione specifica. In alternativa ade-guata e documentata esperienza pluriennale in servizi di tipoeducativo e sociale.Esperienze professionali: È preferibile la provenienza da espe-rienze di partecipazione anche a titolo di volontariato in asso-ciazioni o centri di animazione

LIVELLO PROFES-SIONALE (secondo lascala UE)

Livello 3: Lavoro tecnico, che può comportare gradi di autono-mia e responsabilità rispetto ad attività di programmazione o co-ordinamento

COMPETENZE CO-MUNI ALLA FAMI-GLIA PROFESSIO-NALE

Rilevare attraverso l’osservazione e i colloqui i fabbisognidell’utenza Contribuire alla definizione e gestione dei progettieducativi e animativi individualizzati e di servizio Progettare erealizzare interventi di prevenzione sul territorio Condurre eanimare team o gruppi Gestire relazioni funzionali con altri ope-ratori e servizi del territorio Contribuire ad attività di ricerca so-ciale Cooperare attivamente nei gruppi di lavoro Gestire i collo-qui individuali e di gruppo Attivare relazioni di aiuto

COMPETENZESPECIFICHE DELPROFILO

Creare spirito di appartenenza e partecipazione e promuovereprocessi di attivazione dei potenziali individuali e di gruppoCondurre attività individuali e di gruppo Saper integrare le di-versità e valorizzare le risorse degli utenti Organizzare eventi

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SCHEDA C – PERCORSO FORMATIVO

MODALITÀ DI IN-GRESSO NEL RUO-LO

È preferibile la provenienza da esperienze di partecipazione an-che a titolo di volontariato in associazioni o gruppi locali perl’organizzazione di attività culturali ed espressive. A secondadell’esperienza professionale e /o volontaria pregressa verrà va-lutata la padronanza o meno di certi saperi o competenze.L’ingresso nel percorso formativo sarà preceduto da un’appositaanalisi dei requisiti, esperienze e motivazioni funzionali alla de-finizione di un progetto professionale e personale.

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PER-CORSO

Il percorso formativo riportato è finalizzato a ricoprire i requisitidi base in termini di sapere e saper fare. Al percorso possono ac-cedere persone di diversa provenienza. Il percorso di professio-nalizzazione può essere accompagnato da un percorso formativoarticolato nelle seguenti fasi: Ingresso al ruolo Consolidamentoprofessionale Il percorso pur facendo riferimento ad una strutturadi base standardizzata dovrà essere raccordato ai singoli progettipersonalizzati.

METODOLOGIA La metodologia formativa prevede varie attività di aula e extraaula con diverse configurazioni (a seconda delle fasi di ingressoo consolidamento), tra cui: Lezioni seminariali in presenza o adistanza Lavori di gruppo, role playing e simulazioni LaboratoriAttività in situazione (project work, osservazione, visite di stu-dio, …) Attività in supervisione e coaching Attività in autofor-mazione assistita Valutazione

ARTICOLAZIONEMODULARE

Il percorso è strutturato in moduli corrispondenti ad altrettantetappe del percorso cognitivo e di socializzazione lavorativa col-legate alle progressioni personali, al rafforzamento motivaziona-le e alla costruzione dell’identità professionale attraversol’acquisizione delle competenze richieste dal ruolo. In funzionedell’analisi dei requisiti personali e professionali di ingresso po-trà, inoltre, essere proposto un apposito modulo propedeutico. Laprogressione formativa potrà richiedere l’iterazione e/ol’integrazione di alcuni contenuti professionali specifici tra lafase di ingresso e la fase di consolidamento e sviluppo. Talicontenuti potranno essere funzionali anche ad un approfondi-mento reso necessario dall’assunzione progressiva e/o evoluzio-ne di responsabilità e funzioni organizzative.

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MODULI PER L’INGRESSO AL RUOLO

MACRO MODULI AREE DI CON-TENUTO PRO-FESSIONALE

CONTENUTI

0 PROPEDEUTICO Contesto orga-nizzativo delservizio e gestio-ne del ruolo pro-fessionale

Introduzione al ruolo e informazione sulcontesto operativo Le diverse tipologie diorganizzazione dei servizi rivoltiall’anziano

Elementi di legi-slazione

Normative di riferimento: evoluzione stori-ca aggiornamenti e prospettive

Elementi di psi-cologiadell’anziano

Tipologia dell’utenza e conoscenze delletematiche psicopedagogiche Psicofisiologiadell’anziano La relazione educativanell’intervento con gli anziani Prevenzionee attenzione ai segnali del disagio

Informatica dibase

Informatica di base La gestione dei data ba-se L’utilizzo delle banche dati Il sussidioinformatico per la ricerca tematica e per illavoro in rete

1 METODOLOGIEE PRATICHEDELL’AGIREEDUCATIVO

Progettazionedegli interventi

Tecniche, strumenti e modalità di progetta-zione Verifica e valutazione dei risultati

Analisi e valuta-zione delle si-tuazioni

Tecniche strumenti e modalità di osserva-zione Modalità e strumenti per la descrizio-ne di situazioni e fenomeni

Metodologie diintervento socio-educativo

Modelli teorici di riferimento Tecniche,strumenti e modalità di animazione conadulti e anziani. Analisi e confronto diesperienze esemplari

Lavoro in équipe Dinamiche di gruppo Tecniche e strumentidi rilevazione Tecniche di conduzione eanimazione di gruppo

Etica professio-nale

Approcci e le problematiche dei codici eticie deontologici nelle professioni dei servizialla persona Le problematiche specifiche ele prospettive relative al rapporto educativoe al ruolo dell’educatore

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2 LE RETI TERRI-TORIALI DEISERVIZI

Lavoro di retenel territorio

I servizi del territorio Le reti formali e in-formali La raccolta, l’interpretazione,l’organizzazione e la trasmissionedell’informazione L’utilizzo delle banchedati

Il lavoro in équi-pe multidiscipli-nari

Le reti formali ed informali Il lavoro in é-quipe multidisciplinari

3 IL SERVIZIOANIMATIVOEDUCATIVO

Organizzazionedel servzio

Organizzazione del servizio La strutturaformale e informale delle organizzazioniRuoli e funzioni I flussi comunicativi Lagestione del ruolo professionale La pianifi-cazione del lavoro in équipe

Qualità del ser-vizio

4 LA COMUNICA-ZIONE INTER-PERSONALE

La relazioned’aiuto

Il colloquio in situazioni destrutturate Tec-niche di ascolto attivo La valorizzazionedelle risorse personali

Il gruppo Il colloquio di gruppo Il coinvolgimento ela comunicazione persuasiva L’attivazionedella partecipazione e la valorizzazionedelle risorse Modalità espressive ed anima-tive per l’attività con gli nazioni Le rela-zioni intragruppo Le relazioni inter-gruppo

MODULI FORMATIVI PER IL CONSOLIDAMENTO PROFESSIONALE

1 METODOLO-GIE DI INTER-VENTO ANI-MATIVO E SO-CIALE

Progettazionedegli interventi

Tecniche, strumenti e modalità di progetta-zione di servizi complessi e interventi spe-rimentali Verifica e valutazione dei risultatidi azioni di sistema

Analisi e valuta-zione delle si-tuazioni

Aggiornamento e sviluppo rispetto a nuovimodelli organizzativi Tecniche innovative,strumenti e modalità di intervento animati-vo-educativo con anziani Analisi e confron-to di esperienze esemplari Analisi di biso-gni emergenti e progettazioni dei relativiinterventi

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2 GESTIONE DISERVIZI SOCIOEDUCATIVI EANIMATIVI

Aspetti organiz-zativi e gestionali

Organizzazione del servizio Utilizzo otti-male delle risorse e delle opportunità

Progettazione diservizi innovativi

Analisi dei nuovi bisogni Analisi delle ri-sorse Tecniche di progettazione Costruzio-ne di reti di servizi Pianificazione di inter-venti multidimensionali Reperimento dellerisorse finanziarie

3 SUPERVISIO-NE E AUTO-SVILUPPO

Aspetti metodo-logici e organiz-zativi

Strumenti di verifica della efficacia ed ef-ficienza Monitoraggio La qualità del servi-zio

Aspetti relazio-nali e del proget-to professionale

Metodi e tecniche di autodiagnosi profes-sionale Metodi e tecniche per la supervisio-ne delle attività e dei gruppi

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REFERENZIALI DI COMPETENZA E DI FORMAZIONE

Profilo Professionale:COUNSELOR FAMILIARE

SCHEDA A ARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTIVOCAZIONALI

SCHEDA B OMPETENZE PROFESSIONALISCHEDA C ERCORSO FORMATIVO

SCHEDA A – CARATTERISTICHE PERSONALI E COMPONENTI VOCAZIONALI

Il profilo del counselor familiare (CF) è quello di un professionista che attua specificiinterventi di counselling e mediazione. Il CF è in grado di favorire la soluzione di situa-zioni di disagio esistenziale e/o relazionale che la famiglia o uno dei suoi membri può vi-vere. Il CF favorisce lo sviluppo e l’utilizzazione delle potenzialità già insite nella fami-glia e negli individui che la compongono.L’azione professionale del CF si esercita sia all’interno dei servizi alla persona che in ri-ferimento all’attività libero professionale. Il CF fa della relazione con la persona la baseirrinunciabile delle sue funzioni. La funzione di counselor, infatti, si esplica e trova com-pimento solo in quanto esiste un rapporto con gli altri e con specifici contesti sociali.Il CF si confronta con situazioni si che mettono alla prova la sua “tenuta” personale: iproblemi personali del singolo, i problemi che nascono dalla pratica professionale e quelliche scaturiscono da un confronto costante col progetto educativo proposto coinvolgonol’operatore anche da un punto di vista emotivo-relazionale; per questo si necessita un la-voro di équipe mirato e una costante alimentazione delle motivazioni individuali.Le principali componenti personali e motivazionali che spingono alla scelta di intrapren-dere la professione di CF sono le seguenti:

Disponibilità al dialogo e all’ascolto dei bisogni dell’utenzaFiducia e sicurezza in sé e negli altriDisponibilità ad accettare consigli e suggerimenti da colleghi ed utentiAutocontrollo delle proprie emozioniPazienzaDisponibilità a mettersi in discussioneDisponibilità ad essere flessibile nei tempiDisponibilità alla collaborazione con altri operatori e al lavoro di équipe

Il CF:Crede nella possibilità di miglioramento delle condizioni vita dell’individuo carat-terizzato da situazioni temporanee o permanenti di disagio a qualsiasi età e incontesti vitali

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Possiede spiccate doti relazionali e comunicativePossiede la condizione fisica necessaria all’esercizio del ruolo oltre che una spic-cata propensione a far fronte a situazioni di stress

Le persone interessate a diventare CF dovrebbero sperimentare luoghi e situazioni chepossano favorire l’evidenza di queste caratteristiche individuali. In particolare possonoiniziare col fare una esperienza di volontariato presso servizi sociali e/o strutture coope-rative e/o comunità residenziali finalizzata all’osservazione e alla conoscenza della strut-tura e del servizio/i erogati.Il CF può evolvere verso ruoli specialistici o di coordinamento (dei colleghi o del servi-zio) nelle struttura in cui opera.

SCHEDA B – COMPETENZE PROFESSIONALI

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PROFI-LO PROFESSIONA-LE

L’ CF lavora con la famiglia al fine di favorire la soluzione didisagi esistenziali e relazionali che si verificano in ambito fami-liare. Il CF può operare in tutti i servizi alla persona che preve-dano un ruolo significativo nella gestione dei rapporti familiari epuò esercitare la sua professione come libero professionista. Lasua attività professionale si sviluppa nel rispetto delle istanzepersonali, etniche, religiose e culturali degli individui.Nell’esercizio della sua attività professionale controlla la suaimplicazione personale e intrattiene le relazioni funzionali agliscopi educativi con i colleghi, con la famiglia e con quelle realtàpresenti sul territorio che rappresentano risorse educative utili alsuperamento delle situazioni di disagio. Le condizioni tipiche dilavoro dell’ CF sono: Far parte di una équipe multidisciplinarecon cui opera per fornire le risposte migliori ai bisognidell’utenza. Una prolungata frequentazione e costante contattocon l’utenza. Una costante attività di aggiornamento professiona-le e personale Le funzioni chiave della professione sono: 1Predisposizione e gestione di interventi di couselling educativo 2Gestione della presa in carico clinica e/o educativa anchenell’ambito della propria équipe 3 Supporto tecnico alla gestionedel servizio 4 Realizzazione di attività formative, orientative, diricerca e documentazione, supervisione e accompagnamento, 5Autosviluppo professionale Pertanto, il CF svolge generalmente iseguenti compiti*: Progetta e realizza gli interventi educativiRealizza colloqui e attività nell’ambito del counseling Lavorautilizzando protocolli professionali Organizza le attività previstedal progetto di servizio, suo o della struttura in cui si trova inseri-to Redige relazioni e rapporti di attività Lavora in rete con glioperatori degli altri servizi *La definizione dei compiti che il CFsvolge nel servizio è legata sia alla progressione professionale,sia ai programmi attivati dal servizio stesso. I compiti sono al-tresì legati allo svolgimento della attività libero professionale

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COLLOCAZIONEORGANIZZATIVA

La professione viene esercitata nell’ambito di servizi pubblici edel privato sociale (cooperative, …) sia essi centri diurni ostrutture residenziali, in riferimento ad una équipe, e sotto la re-sponsabilità di un coordinatore di servizio o direttore. La pro-fessione può essere esercitata da libero professionista

REQUISITI RICHIE-STI

Titolo di studio di base: diploma di scuola media superiore

Formazione professionale iniziale: Laurea in psicologia, Scienzedell’educazione, pedagogiaEsperienze professionali pregresse: Supervisione e stage diorientamento.

LIVELLO PROFES-SIONALE (secondo lascala UE)

Livello 4: Attività professionale con rilevanti competenze tecni-co/scientifiche e/o livelli significativi di responsabilità e auto-nomia nelle attività di programmazione, amministrazione e ge-stione

COMPETENZESPECIFICHE DELPROFILO

Osservare, registrare e valutare i fabbisogni e le progressioni in-dividuali e di gruppo dell’utenza Definire e gestire interventi dimediazione familiare Definire e gestire interventi di counselingindividuale Gestire i colloqui e le relazioni di aiuto Condurre eanimare team o gruppi Assicurare il rispetto degli standard diqualità del servizio Gestire relazioni funzionali con altri opera-tori e servizi del territorio Programmare e gestire attività forma-tive, orientative e di tirocinio

SCHEDA C – PERCORSO FORMATIVO

MODALITÀ DI IN-GRESSO NEL PER-CORSO

Al percorso possono accedere persone di diversa provenienza:dal volontariato, da strutture di servizio alla persona sia pubbli-che che private, da altre realtà lavorative. A secondadell’esperienza professionale e /o formativa pregressa potrannoessere riconosciuti eventuali crediti formativi o validate acquisi-zioni professionali comportanti la padronanza di determinati sa-peri. L’ingresso nel percorso formativo sarà preceduto daun’apposita analisi dei requisiti, esperienze e motivazioni fun-zionali alla definizione di un progetto professionale e personale.

BREVE DESCRI-ZIONE DEL PER-CORSO

Il percorso formativo riportato è finalizzato a ricoprire i requisitie i saperi fondamentali richiesti nell’esercizio professionale. Ilpercorso formativo va inteso come accompagnamento del per-corso di professionalizzazione; esso è inteso di specializzazio-ne/perfezionamento Il percorso pur facendo riferimento ad unastruttura di base standardizzata dovrà essere raccordato ai singoliprogetti personalizzati.

METODOLOGIA La metodologia formativa prevede attività di aula e extra aulacosì composta: Lezioni seminariali in presenza o a distanza La-vori di gruppo, role playing e simulazioni Laboratori Attività in

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situazione (project work, osservazione, visite di studio, …) At-tività in supervisione Attività in coaching Attività in autoforma-zione assistita Valutazione

ARTICOLAZIONEMODULARE

Il percorso è strutturato in moduli corrispondenti ad altrettantetappe del percorso cognitivo e di socializzazione lavorativa col-legate alle progressioni personali, al rafforzamento motivaziona-le e alla costruzione dell’identità professionale attraversol’acquisizione delle competenze richieste dal ruolo. In funzionedell’analisi dei requisiti personali e professionali di ingresso po-trà, inoltre, essere proposto un apposito modulo propedeutico. Laprogressione formativa potrà richiedere l’iterazione e/ol’integrazione di alcuni contenuti professionali specifici. Talicontenuti potranno essere funzionali anche ad un approfondi-mento reso necessario dall’assunzione progressiva e/o evoluzio-ne di responsabilità e funzioni organizzative.

MODULI FORMATIVI DI PERFEZIONAMENTO/SPECIALIZZAZIONE

MACRO MODULI AREE DI CON-TENUTO PRO-FESSIONALE

CONTENUTO

0 PROPEDEUTICO Organizzazionedei servizi sociosanitari e assi-stenziali

Introduzione al ruolo e informazione sulcontesto operativo Normative di riferimentoTipologie dell’utenza L’utenza come risor-sa Prevenzione e attenzione ai segnali deldisagio

Elementi di legi-slazione nel cam-po dell’intervento

Normative Nazionali e Regionali nel campodell’intervento Diritto della famiglia

Elementi di psi-copedagogia

Pedagogia Speciale Pedagogia Sociale Psi-cologia dell’età evolutiva Psicologia socialeSociologia della devianza e della condizio-ne giovanile Sociologia della famiglia

Informatica dibase

Informatica di base applicata alla gestionedei casi

Presa in carico erelazione di aiuto

La relazione di aiuto La gestione dei con-flitti L’ascolto attivo La comunicazioneverbale e non verbale

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1 METODOLOGIEE PRATICHEDEL COUNSE-LING

Analisi e valuta-zione delle situa-zioni e degli in-terventi

Modelli teorici di riferimento Tecnichestrumenti e modalità di osservazione Mo-dalità e strumenti per la descrizione di si-tuazioni e fenomeni

Etica professiona-le

Approcci e le problematiche dei codici eticie deontologici nelle professioni dei servizialla persona Le problematiche specifiche ele prospettive relative al counselor familiare

Lavorare in équi-pe

Dinamiche di gruppo Tecniche e strumentidi rilevazione Tecniche di conduzione eanimazione di gruppo I gruppi centrati sulcompito

Tecniche di in-tervento con lefamiglie

Modelli della mediazione familiare Tecni-che di mediazione

Supervisione eautosviluppo

Metodi e tecniche di autodiagnosi profes-sionale La costruzione del proprio progettoprofessionale Metodi e tecniche per la su-pervisione delle attività e dei gruppi

Gestione delleazioni di orien-tamento

Metodi e tecniche di orientamento L’aiutoeducativo a valenza orientante

2 RELAZIONE DIAIUTO E COUN-SELING

Il counseling per-sonalizzato

Il counselling educativo personalizzato

Il burn out e lagestione dellostress

Riconoscere il Born-out Metodi e tecnicheper la gestione dello stress professionale

Progettazionedegli interventi

Tecniche, strumenti e modalità di progetta-zione degli interventi di counseling Verificae valutazione dei risultati

TOTALE ORE 480

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4DISPOSITIVO DI ACCREDITAMENTO

DELLE RISORSE UMANEDEL SETTORE NON PROFIT

Carlo Catania e Dario Nicoli

4.1 L’impostazione

4.1.1 Peculiarità delle risorse umane nel settore non profit

Con il presente dispositivo intendiamo fornire al settore non profit unostrumento che consenta una gestione delle risorse umane di tipo innovativo enel contempo valorizzante la peculiarità culturale ed organizzativa dellostesso. Si tratta di un compito impegnativo, che si espone a due difficoltà: –superare una concezione eccessivamente riduttiva del concetto di “non pro-fit”; – passare da una prospettiva normativa della gestione delle risorseumane ad una prospettiva di accreditamento e di “famiglia professionale”.

Circa il primo aspetto, va ricordato che spesso – specie in Italia – le po-sizioni teoriche proprie dell’analisi sociologica tendono ad attribuirel’etichetta di terzo settore ad un insieme di attività genericamente poste traStato e mercato, dai contorni vaghi e in qualche caso onnicomprensivi. Ciòche occorre non è solo rendere conto degli elementi di continuità o di diffe-renziazione strutturale che sono rilevabili nel tempo e nello spazio, così co-me le relazioni con i fattori storici e sociali che hanno determinato lo svilup-po dei moderni regimi welfare (Salamon e Anheier, 1996), ma anche degliaspetti più di natura culturale ed organizzativa. Un approccio che faccia ri-ferimento alla assenza, nell’atto costitutivo dell’ente, della finalità di lucro eche quindi ponga in luce la distinzione tra finalità altruistica e funzionalitàorganizzativa.

Quest’area di enti ed organismi di solidarietà risulta infatti caratterizzatada una organizzazione peculiare, con connotati di managerialità sociale, ca-paci di coniugare altruismo e professionalità. Le organizzazioni non a direttoscopo di lucro sono istituti che operano per conseguire il bene collettivo o

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bene comune tramite la produzione e l’erogazione di beni e servizi in unalogica di scambio con il loro ambiente (Fiorentini 1992, p.1)

Aspetti rilevanti della realtà non profit sono:– il clima organizzativo di tipo comunitario,– il legame o identificazione nella “mission”,– la capacità di mobilitazione personale,– la de-burocratizzazione.

È quanto afferma Likert, riferendo di un programma di ricerca dal doppioscopo:

sperimentare la validità, nel campo delle associazioni volontarie, deiprincipi generali di leadership e di organizzazione che producono i mi-gliori risultati nell’industria e negli enti pubblici;arricchire i punti di vista sulla leadership e la gestione organizzativa, a partiredai modelli riscontrabili in un’associazione volontaria (Likert 1982).In realtà, gli studi hanno dato risultati sorprendenti: il limitato rilievo del mo-

tivo economico ha fatto emergere l’importanza dei fattori motivazionali comerisorsa in grado di sostenere l’organizzazione. Più specificamente, gli iscritti alleassociazioni volontarie reagiscono positivamente alle pressioni a partecipare, siaquelle provenienti da loro stessi (valori e obiettivi interiorizzati), sia quelle delproprio gruppo faccia-a-faccia, mentre risentono negativamente alle pressioniprovenienti dal livello gerarchico. Gli iscritti più efficienti ritengono poi di avereun’influenza considerevolmente maggiore sulla loro organizzazione, ed inoltreritengono di essere tenute meglio informate.

È di vitale importanza che i dirigenti abbiano interesse per le idee degliiscritti.

Si tratta di processi o forze motivazionali estremamente diffusi in questo tipodi associazioni. In sostanza, queste associazioni sono più efficienti nella misurain cui si sviluppano al loro interno flussi molteplici di informazione, e si realiz-zano ampi spazi di influenza degli iscritti sui soci e sui dirigenti, valorizzando inquesto la dinamica del gruppo faccia-a-faccia e della comunicazione diretta. Diconseguenza, sono più confacenti alla massimizzazione di tali risorse motiva-zionali dimensioni medio-piccole, e la funzione dei “gruppi di sovrapposizione”o perni di collegamento tra vari gruppi faccia-a-faccia.

È cruciale, in un’organizzazione volontaria, il clima di sostegno vicende-vole che si crea tramite la ricchezza della comunicazione, dell’interazione edell’influenza. È questo un insegnamento rilevante, che porta tali associa-zioni (nei casi in cui ciò si verifica in misura soddisfacente) a sviluppare ca-pacità di leadership e di organizzazione più efficienti di quelli delle imprese

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a fine di lucro. Gli organismi non profit sono espressione, in altri termini,dell’appartenenza e del radicamento dell’individuo all’interno della comuni-tà cui egli sceglie di appartenere e in quanto strumento operativo per costrui-re il fondamento di un ordine sociale basato sui principi comunitari(Lohmann, 1992). Tutto ciò ci consente di caratterizzare in modo più pun-tuale la prospettiva delle risorse umane per il settore cui ci si riferisce. Inmaniera specifica, si ritiene che – in relazione a tali risorse – costituiscanofattori peculiari del settore i seguenti aspetti:

1. Motivazionali Presenza di una forte “passione” personale nella relazione di servi-zio – Ricerca di un’appartenenza di tipo comunitario – Capacità dimobilitazione personale

2. Organizzativi Legame o identificazione nella “mission” – Clima organizzativo ditipo comunitario – Stile di lavoro cooperativo – Leadership basatasu guida, testimonianza e responsabilità

3. Di servizio De-burocratizzazione – Enfasi sulla relazione con l’utente comeelemento di fondazione e validazione dell’opera

Circa il secondo aspetto, si intende utilizzare l’approccio definito della“famiglia professionale e delle competenze” che si differenzia dalla tradizionalelogica delle “declaratorie professionali” secondo le seguenti specifiche:

Logica delle “declaratorie pro-fessionali”

Logica della famiglia professionale edelle competenze

Concezione dellaprofessionalità

Professionalità è una condizio-ne soggettiva garantita dal pos-sesso del titolo di studio di ri-ferimento e delimitata dalmansionario e dalla contrattua-listica di settore

Professionalità è la condizione checonsente al soggetto di presidiare unruolo/compito/funzione lavorativa inmodo soddisfacente in relazione alleesigenze del posto ed alle attese deiclienti/utenti

Natura della clas-sificazione

La declaratoria professionalederiva da: Analisi delle man-sioni (job/skill) Tipolo-gia/gerarchia dei titoli di stu-dio. È essenzialmente statica

La classificazione professionale de-riva da: Analisi del settore Modelliorganizzativi “mix” di competenze.È essenzialmente dinamica

Relazione conl’organizzazione

L’organizzazione è concepitain modo rigido, sul modellodelle “burocrazie lavorative eprofessionali”.

L’organizzazione è concepita comerealtà vitale e mutevole che reagiscein modo dinamico alle sfide delcontesto e si avvale in questo della“professionalità” dei suoi membri

Legame con laformazione

La formazione è distinta in:formazione di ingresso o isti-

La formazione segue la dinamicadella competenza: formazione ap-

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tuzionale, per i neo-assuntiaggiornamento o passaggio diruolo/mansione per il personalein servizio

profondimento prevenzione miglio-ramento nuova formazione

Tipo di gestione Prevale la logica contrattualeed amministrativa. È possibileun primo (timido) avvio dellanegoziazione individuale e ri-ferimento ai “risultati”

Il processo gestionale origina dal“bilancio del capitale umano”, pre-vede l’accreditamento, esige valuta-zioni periodiche da cui si definisce ilpiano di formazione

Legame profes-sionale

Legame generico, di tipo mas-simicato

Legame elettivo, come componentedi una “comunità professionale”distintiva e dinamica

4.1.2 Parabola del concetto di qualifica professionale

La gran parte dei modelli di classificazione del lavoro di tipo tradizionalefa riferimento al concetto di qualifica professionale.

La qualifica, una vera e propria istituzione sociale, si fonda su 2 sistemi:– le convenzioni collettive che classificano e gerarchizzano i posti di lavo-

ro,– la formazione professionale, che classifica ed organizza i saperi in riferi-

mento ai titoli di studio.La qualifica svolge un ruolo nelle relazioni industriali e dota i lavoratori

di armi collettive e suscettibili di opporsi ai voleri degli imprenditori.Sorge un sistema di convenzioni collettive che istituzionalizza la nozione

di qualificazione lavorativa a sua volta fondata sulla corrispondenza traabilità operativa, impiego e salario.

Il contratto di lavoro deve pertanto iscriversi entro condizioni generali,stabilite collettivamente; ciò al fine di assicurare ai lavoratori il pagamentoal giusto prezzo dei saperi e delle capacità che essi detengono e di cui i lorititoli di studio attestano l’esistenza.

La nozione di qualifica lavorativa rappresenta nel contempo anche ilpunto di appoggio per la trasmissione delle conoscenze professionali. Nellaprima parte del secolo si crea, con notevoli variazioni tra paese e paese (inItalia ciò avviene con grande ritardo e notevoli carenze che si trascinanodrammaticamente ancora oggi), l’insegnamento professionale e lo stesso ap-prendistato. La formazione professionale si costruisce attorno a qualificheprofessionali il cui contenuto è fissato sotto l’egida dello stato sia pure nellearticolazioni regionali.

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Il sistema di qualificazione è concepito intorno al concetto anonimo di li-vello standard, omologato da parte dello stato nel titolo di studio o certifica-to professionale, ciò che corrisponde all’incremento della divisione e dellastandardizzazione del lavoro.

Tra lavoratori e imprenditori si definisce un legame salariale anonimo enon comunitario o familiare come accadeva in precedenza. La qualifica con-sente ai lavoratori di entrare nell’ordine della cittadinanza dove le differenzesociali sono basate su una classificazione effettuata a partire dai livello diistruzione.

Le critiche alla qualifica sorgono a partire da molti aspetti:La questione del riconoscimento dei saperi acquisiti mediante il lavoro, equindi quella della mobilità professionale. Se infatti la posizionenell’organizzazione gerarchica del lavoro dipende dal titolo di studio,quale valore viene riconosciuto ai saperi acquisiti nel lavoro? Se le cono-scenze che consentono di accedere ad una legittimazione sociale si ac-quisiscono nella scuola o nei centri di formazione e non nel lavoro, com’èpossibile un’evoluzione professionale senza sottomettere i lavoratori alleesigenze dei titoli di studio costruiti attorno alla logica scolastico-formativa? La questione dell’inadeguatezza del mondo scolastico-formativo di fronte ai grandi cambiamenti del sistema di produzione chehanno iniziato a manifestarsi già negli anni settanta. Esso infatti rappre-senta un fattore di rigidità, nel momento in cui il mondo del lavoro deveconfrontarsi con il fenomeno della flessibilità. Per rispondere ai muta-menti relativi ai prodotti ed ai processi di produzione, alle esigenze delconsumo così come all’evoluzione tecnologica, le organizzazioni di lavo-ro si modificano continuamente. Ciò richiede flessibilità nelle persone. Ilsistema delle qualifiche, adatto all’organizzazione stabile di tipo taylori-stica, non è in grado di adattarsi ai modelli organizzativi successivi. Talesistema diventa quindi un ostacolo che impedisce l’adattamento dellamano d’opera alle nuove esigenze del mondo produttivo.La questione del lavoro terziario. Il lavoro tipico dei servizi non è tale daconsentire la determinazione dei saperi necessari al di fuori della relazio-ne particolare cliente-addetto, la qualità del servizio non si può analizzarein astratto senza tenere conto del cliente. Il lavoratore dei servizi pone ingioco soprattutto risorse relazionali; quindi la crescita del lavoro terziarioha contribuito a valorizzare le pratiche connesse alle qualifiche inadatte atale ambito.

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La crisi occupazionale e l’abbandono delle ambizioni pianificatrici. Il si-stema delle qualifiche, pensato in un’epoca di carenza di mano d’operaqualificata, non pare più pertinente in un periodo di basso livello di occu-pazione e di prolungamento degli studi. La sovrabbondanza dei titoli distudio in riferimento ai bisogni del mercato del lavoro comporta una loroperdita di legittimazione. Il loro potere diviene pletorico, non sono più ingrado di adeguare le relazioni tra domanda ed offerta di lavoro.È in questo quadro che si colloca la crisi del concetto di qualifica e la ne-

cessità di una nuova modalità di definizione della prestazione di lavoro. La“competenza” si presta a questo utilizzo, anche se – come abbiamo già af-fermato – si accompagna da sempre a forti ambivalenze.

In ogni caso, la considerazione dei fattori giuridici e di relazioni indu-striali – spesso dimenticata nelle analisi asettiche – risulta importante percomprendere il punto di vista degli attori cui spesso si ritiene di poter impor-re un modello alla cui elaborazione essi non hanno partecipato.

4.1.3 Caratteri del concetto di competenza

È evidente – a differenza di quella di “qualifica” – come la nozione dicompetenza non possa corrispondere ad uno schema classificatorio che pre-tenda di produrre tipologie valide in assoluto e predittive dei comportamentidi lavoro.

Si tratta di un modello di interpretazione ed una metodologia di analisiche siano in grado di accompagnare l’operatore in una prassi che in partecorrisponde ad una ricerca-azione sia pure semplificata e sostenuta dal mo-dello di riferimento.

Una definizione soddisfacente è fornita da Le Boterf: “Non è uno stato oduna conoscenza posseduta. Non è riducibile né a un sapere, né a ciò che si èacquisito con la formazione”… La competenza non risiede nelle risorse(conoscenze, capacità…) da mobilizzare, ma nella mobilizzazione stessa diqueste risorse. … Qualunque competenza è finalizzata (o funzionale) e con-testualizzata: essa non può dunque essere separata dalle proprie condizionidi ‘messa in opera’… La competenza è un saper agire (o reagire) riconosciu-to. Qualunque competenza, per esistere, necessita del giudizio altrui” (G. LeBoterf).

Si tratta in definitiva di un superamento della prospettiva prescrittiva deicomportamenti di lavoro.

La competenza, quindi, non rappresenta un contenuto assoluto stretta-mente connesso ad una procedura; essa costituisce più precisamente la valu-

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tazione sociale di un comportamento, di un’azione effettiva, dove è possibileapprezzare le qualità dell’individuo in relazione alle norme che reggonol’attività stessa.

Di conseguenza, la nozione di competenza interseca tre campi differenti:– il percorso di socializzazione ovvero il campo biografico,– l’esperienza professionale,– la formazione.

La competenza è sempre:di un individuo o di un collettivo in azionefinalizzata, non astrattacontestualizzata, specifica e contingentel’insieme della prestazione (performance) e la sua rappresentazione.La competenza è costituita da un processo piuttosto che da uno stato; essa

è il processo generativo del prodotto finito – inteso come “performance” oprestazione.

Non basta pertanto analizzare la prestazione “disancorata” dal tempo edallo spazio; occorre cogliere entro le caratteristiche di ciò che abbiamo de-finito come competenza le componenti dinamiche e gerarchiche che consen-tono di delineare la capacità della persona di essere competente nel tempo, aseguito delle innovazioni e dei mutamenti che concernono i saperi, le tecni-che, l’organizzazione del lavoro.

Le competenze più rilevanti sono pertanto quelle incorporate nell’azione,e perciò stesse difficili da inquadrare o classificare. Si tratta di competenzetacite, difficilmente esplicitabili; sono mobilitate nella situazione e si leganoa processi di lavoro difficilmente riducibili a routine, ma sempre aperti,mutevoli. Esse sono valutabili in prospettiva dello scopo che si prefiggono,poiché un’azione è un processo sottomesso ad uno scopo consapevole.

La competenza è inoltre un “saper agire” riconosciuto: non ci si dichiarada sé competenti. Essa è il risultato di un apprezzamento sociale, tanto chepuò essere definita come l’esplicazione sociale di una padronanza dimostra-ta. Tale padronanza risulta da un intreccio tra fattori esterni e fattori interniall’individuo, questi ultimi definibili a pieno titolo “personali”.

Più ampia del concetto di abilità o saper fare, la nozione di competenzaingloba pertanto non solo le capacità richieste per l’esercizio di un’attivitàprofessionale, ma anche l’insieme dei comportamenti, facoltà d’analisi, diprese di decisione, di trasmissione di informazioni... giudicati necessari perla piena padronanza di questa attività.

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Di conseguenza, le acquisizioni variamente possedute (attraversol’esperienza, l’istruzione o la formazione) sono costituite dagli elementi dicompetenza professionale constatati o misurati e confrontati con gli obiettividella stessa.

Questa “misurazione di scarto” è effettuata ad esempio attraverso la pro-va di accertamento dell’esistenza delle competenze professionali (o valida-zione).

Essa presenta i seguenti caratteri:Integra la capacità di trasferire saper fare e conoscenze verso nuova si-tuazioniAbbraccia l’organizzazione e la pianificazione del lavoro, l’innovazione ela presa in carico di attività non di routineConcerne delle qualità tali quali: l’efficacia personale, l’assunzione di re-sponsabilità verso i colleghi, il personale dell’azienda ed i clienti.I livelli di competenza sono:Attività di routineAttività diverse, lavoro in équipeAttività diverse, principalmente complesse e non di routine; controllo eguida del lavoro di altre personeAttività diverse e complesse; responsabilità dell’utilizzo delle risorse edel lavoro di altre personeAttività complesse, in condizioni differenziate; responsabilità per il di-slocamento delle risorse, l’ideazione, la pianificazione e la realizzazionedel proprio e altrui lavoro.È a questo punto che si colloca la questione “politica” della competenza:

infatti, la rielaborazione permanente delle attività di lavoro impedisce unaloro codificazione (nonostante i vari tentativi volti a definire nuove forme diclassificazione che non riescono peraltro a liberarsi da eccessi di rigidità edintenti deterministici). Si apre quindi la possibilità di slegare il rapporto sa-lariale dagli ancoraggi a “posti” o saperi prestabiliti. E ciò comporta conse-guenze di notevole rilievo dal punto di vista delle modalità di gestione dellerisorse umane.

4.1.4 Differenti utilizzi dell’approccio per competenze

I diversi utilizzi che si possono fare della categoria di competenza sono iseguenti:

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i processi di apprendimento/insegnamento (LEARNING)l’incontro domanda/offerta per il mercato del lavoro e lo sviluppo locale(PLACEMENT)lo sviluppo organizzativo e la gestione delle risorse umane(DEVELOPMENT).È bene ricordare che, a seconda dei diversi utilizzi, avremo una differente

modalità d’uso dello strumento della competenza.In altri termini, occorre guardarsi da una visione “universalistica” che

consideri la possibilità di dar vita a “dispositivi” di descrizione, certificazio-ne e riconoscimento delle competenze che funzionino indipendentementedalle relazioni e dalle dinamiche che si instaurano tra gli attori in gioco.

I tre ambiti indicati perseguono in realtà finalità differenti e affrontano inmodo diverso il lavoro di analisi, valutazione e riconoscimento delle compe-tenze, come di seguito indicato.

Come si può vedere dalla tabella successiva, le ragioni che reggono i dif-ferenti utilizzi sono differenti da caso a caso. In particolare:

I dispositivi di natura scolastico-formativa hanno una valenza più formalee tendono all’automatismo dei riconoscimenti.I dispositivi di incontro domanda/offerta si basano invece su declaratorieelaborate a partire dai codici Istat di natura onnicomprensiva e difficil-mente analizzabili in componenti essenziali. D’altra parte una maggioreprecisione degli strumenti interpretativi finirebbe per contravvenire allefinalità di tali dispositivi, visto che loro compito non è l’esatta descrizio-ne del quadro delle competenze possedute (nella logica delle modernestrumentazioni di bilancio del capitale umano), ma il sostegnoall’occupabilità delle persone.Il modello delle competenze, inteso in senso proprio, si colloca più ade-

guatamente nell’ambito dei dispositivi di sviluppo delle risorse umane. Inquesto sistema di valutazione vengono considerate in particolare le compe-tenze distintive, ossia gli aggregati di conoscenze professionali, capacità eorientamenti richiesti dal business e dai suoi fattori critici di successo edespressi dalle persone in comportamenti che producono prestazioni e risul-tati competitivi eccellenti.

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Finalità Oggettodell’azione

Modello di riconoscimen-to

LEARNING Acquisizione di undiploma o un cer-tificato di qualificavalorizzando icrediti accumulati

Esistenza di re-quisiti formali diconoscenza edabilità attinentiall’area contenu-tistica-disciplinaredi riferimento

Universalistico ed auto-matico: il possesso diun’attestazione valida at-tribuisce un diritto spen-dibile senza onere dellaprova

PLACEMENT Inserimento nelmondo del lavorospecie in riferimen-to a soggetti debolio categorie svan-taggiate

Esistenza dellecondi-zioni di oc-cupabilità com-prendenti requisitidi base, tecnico-professionali e“trasversali”

Misto (universalistico econte-stuale): il possessodel credito indica unacompetenza che il sogget-to deve confermare in unpercorso di inserimentoprofessionale

DEVELOPMENT Sviluppo delle ri-sorse umane incoerenza con losviluppo organiz-zativo

Esistenza di corri-spondenza allecom-petenze ri-chieste dalla orga-nizzazione

Contestuale e dinamico:valutazione sistematicadella professionalità diuna persona, intesa comevalore aggiunto al patri-monio di competenzedell’impresa

È perciò indispensabile chiarire in quale contesto ci troviamo, per poidotarsi di una strumentazione adeguata ad esso.

Nel nostro caso, ci muoviamo entro la prospettiva dello sviluppo delle ri-sorse umane (Development), nella quale i dispositivi di analisi e gestionedelle competenze si dispiegano pienamente.

Ciò significa concepire quello della gestione delle competenze come unservizio peculiare, rivolto ad imprese che adottano modelli avanzati di svi-luppo delle risorse umane oppure a persone con particolari requisiti, da nonconfondersi con l’ambito dell’incontro domanda-offerta che, come abbiamovisto, richiede dispositivi di classificazione riferiti a figure professionalisintetiche piuttosto che strumentazioni sofisticate.

Due risultano pertanto gli ambiti di applicazione dell’approccio per com-petenze:– supporto (del tipo Assessment Center) nei confronti di imprese che inten-

dano operare nella logica dello sviluppo delle risorse umane su baseprofilo/competenza,

– sostegno ad utenti individuali in condizioni di difficoltà di inserimentolavorativo anche se in possesso di un curricolo particolarmente ricco.

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4.1.5 Gestione delle competenze come sviluppo delle risorse umane

I risultati che assicurano la competitività e lo sviluppo delle imprese di-pendono sempre meno dai confini certi e rassicuranti di una posizione inca-sellata in un organigramma e sempre più dalla crescita del patrimonio intel-lettuale e professionale dei singoli e dell’impresa nel suo insieme.

A tal fine le organizzazioni si stanno orientando verso un integrazione e,a volte, sostituzione dei tradizionali sistemi di valutazione delle posizioni,delle prestazioni e del potenziale (le cosiddette «3P») con dei sistemi di va-lutazione delle competenze («3C»: competenze richieste, comportamenti os-servati e crescita individuale).

Il passaggio dalla valutazione di posizione, prestazione e potenziale aquello delle competenze si è reso recentemente necessario per superare ilimiti di staticità del modello delle «3P» e soprattutto per favorire la centrali-tà delle risorse umane.

In questo sistema di valutazione le competenze e, in particolare, le com-petenze distintive, ossia gli aggregati di conoscenze professionali, capacità eorientamenti richiesti dal business e dai suoi fattori critici di successo edespressi dalle persone in comportamenti che producono prestazioni e risul-tati competitivi eccellenti, vengono considerate:

definibili, partendo dai loro elementi costitutivi;osservabili, nei comportamenti;misurabili, su una scala di eccellenza;sviluppabili, attraverso processi di trasformazione.Nell’ambito del processo diagnostico delle competenza possono essere

distinte tre fasi:

1) L’analisi, che porta alla composizione del quadro d’insieme e alla descrizione del fe-nomeno

2) La valutazione, che invece è l’utilizzo dell’analisi rispetto a dei fattori di riferimento,che variano col variare del contesto. Tale processo è detto anche audit (verifica) dellacompetenza ed è finalizzato a definire la situazione di fatto, per poi confrontarla conquella desiderata. La differenza fra queste due situazioni viene definita “divario dicompetenza”.

3) La definizione del piano di crescita che riguarda la persona in relazione al percorsodi inserimento e di sviluppo lavorativo-professionale.

Le modalità di rilevazione delle competenze si differenziano in base alloro posizionamento rispetto alle polarità tra:

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metodo deduttivo o top down, per cui la mappa delle competenze vienededotta a partire dai diversi modelli e dalle diverse teorie prese a riferi-mento sul funzionamento dell’uomo al lavoro e metodo induttivo o bot-tom up, per cui i repertori di competenza vengono definiti a partire daun’analisi empirica dei comportamenti dei performer e, in particolare, deibest performer (es.: modello delle competenze di successo);competenze viste dall’alto (eterovalutazione) e competenze viste dal bas-so (autovalutazione);metodi accurati/scientifici, che però necessitano di strumenti e metodid’analisi sofisticati, complessi da somministrare e di non sempre agileutilizzo e metodi legittimati/fattibili, che utilizzano strumenti e metodi dianalisi di facile comprensione, di presa immediata e caratterizzati da au-torevolezza, ma spesso a scapito dell’accuratezza e del rigore metodolo-gico;rilevazione delle competenze organizzative o individuali;identificazione di competenze generiche o specifiche;rilevazione delle competenze in atto o in potenza, in riferimento al ciclodi vita delle competenze;analisi delle competenze finalizzata alla loro valutazione o al loro svilup-po.

Gli strumenti fondamentali di analisi della competenza sono:l’osservazione, i diari, le interviste, la tecnica dell’incident critico, la grigliarepertorio, le liste di controllo e i repertori, ecc.

In definitiva, è possibile provare la propria competenza attraverso le se-guenti azioni:

Osservazione in situazione lavorativaDocumenti provenienti dall’attività professionaleSimulazioniProve supplementari: colloquio, domande aperte scritte, questionari ascelta multipla.Le prove di competenza sono:

a) Dirette:attività lavorativaattestati e curricoladimostrazione di prodotti del proprio lavoro

b) Indirettelettere di accompagnamento

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curricolarapporti lavorativi.Vediamo ora come si delinea il processo di certificazione:

Candidato: deve fornire le prove della sua competenzaValutatore: aiuta il candidato a costruire il proprio portafoglio delle competenzeVerificatore interno: responsabile del controllo qualità della valutazioneAuditor esterno: esperto indipendente che convalida la certificazione.

4.1.6 I modelli di classificazione ed analisi

Tra i vari modelli esistenti per l’analisi ed il riconoscimento delle compe-tenze, tre ci paiono meritevoli di riflessione e confronto, poiché esprimonodiverse prospettive di intervento. Essi sono:

ECTS (European Credit Transfer System),SMART (sistema canadese),ISFOL.

Tutti e tre si basano su una classificazione tripartita; alcune di queste ti-pologie sono ricorrenti (anche se la loro specificazione risulta differente an-che in modo sostanziale da un caso all’altro).

Altre invece sono fortemente differenti, specie la terza categoria.Li presentiamo in sequenza per poi svolgere un confronto.

ECTS (European Credit Transfer System) Saperi “fondamentali”: matematica, scienze,informatica, geografia, scrittura (nella madre lingua), lingue straniere. Competenze pro-fessionali/tecniche: marketing, tecniche di gestione d’impresa, contabilità, ma anchecompetenze identificate all’interno dei lavori del terziario (banche, commercio, finanzainternazionale) o nei mestieri definiti nelle grandi federazioni professionali della mecca-nica, dell’elettronica, etc… Competenze chiave: logistica, tecniche d’organizzazione,comunicazione, attitudini alle decisioni, attitudine a prevedere e gestire i rischi, attitudinealla negoziazione e, in maniera più generale, attitudini relazionali.

SMART COMPÉTENCE Riconosciuto ed accreditato da parte della Société Québécoisede Développement de la Main-d’œuvre (SQDM, legge dell’ 1%) Competenze personali(EST): sono le competenze proprie ad un individuo, quelle che fanno parte integrantedella sua personalità e si sviluppano entro gli 0 ed i 20 anni. Si tratta delle competenzeseguenti: imprenditività, motivazione, leadership, stile d’interazione ed orientamentotecnico.Competenze professionali (Acquis): si tratta di competenze applicabili ad ogni personache lavora indipendentemente dal settore di attività. Esse sono raggruppate in cinque

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grandi ambiti: gestione, supervisione, comunicazione, marketing e tecnica. Per ciascunadi esse è prevista una scala di responsabilità a cinque livelli. Inoltre, per ogni livello, e perciascuna competenza, si prevede una definizione ed indicatori di attività realizzati nelcontesto di lavoro cui si riferiscono. Competenze specifiche (Environnement): esse rag-gruppano l’insieme delle conoscenze, abilità ed attitudini specialistiche, specifiche ad unposto e necessarie all’individuo al fine di svolgere un lavoro e perseguire i suoi obiettivi.Anche le competenze specifiche si definiscono in cinque livelli e sono sviluppate a partiredalle esigenze e dalla cultura dell’impresa.

ISFOLCompetenze “di base” (quelle ritenute oggi ed in prospettiva requisiti fondamentali per“l’occupabilità” delle persone e per garantire il diritto alla formazione come diritto dicittadinanza: lingue, informatica, economia, organizzazione d’impresa, legislazione econtrattualistica sul lavoro, tecniche di ricerca attiva del lavoro, etc). Esse costituiscono il“sapere minimo”, sostanzialmente indipendente dai processi operativi concreti nei quali ilsoggetto è impegnato nell’esercizio del suo lavoro. Sono ritenute cruciali per il cittadino-lavoratore e ormai consensualmente riconosciute come prerequisito per l’accesso allaformazione, anche al fine di garantire migliori chanche d’occupabilità e di sviluppo pro-fessionale del soggetto;Competenze “trasversali” (quelle che non sono connesse specificamente ad una determi-nata attività posizione lavorativa, ma che entrano in gioco nelle diverse situazioni, e dallequali dipende largamente la stessa possibilità degli individui di esprimere comportamentiprofessionali “abili” o “esperti”): le competenze comunicative, diagnostiche, decisionali,di problemi solving. Si tratta di quelle abilità che consentono all’individuo di svilupparela propria competenza in attività differenti (transfert). Riguardano il soggetto e le sue mo-dalità di funzionamento (cognitivo, affettivo, motorio). Tali competenze sono considera-te, nell’ambito del modello proposto, cruciali ai fini della “trasferibilità” delle competen-ze da un ambito professionale ad un altro;Competenze “tecnico-professionali”, (l’insieme delle conoscenze e delle capacità connes-se all’esercizio efficace di determinate attività professionali nei diversi comparti/settori);esse sono costituite dalle conoscenze (i saperi) e dalle tecniche operative “specifiche” diuna certa attività professionale che il soggetto deve presidiare per poter agire con“competenza”. Riguardo al lavoro e alle sue caratteristiche, per come si configurano at-tualmente ed in prospettiva nei diversi comparti produttivi/processi e servizi.

Come si vede, i tre modelli presentano differenze piuttosto rilevanti:Circa la classificazione generale, troviamo alcune assonanze tra il primoed il terzo modello, ma essi si distinguono per la terza tipologia: mentreECTS individua “competenze chiave” ovvero ulteriori e distintive, I-SFOL propone competenze “trasversali” con un’accezione peraltro pocofelice (essa fa riferimento non ad un fattore primario, ovvero della naturapeculiare della competenza, ma ad un fattore secondario, riferito cioè adun carattere di trasferibilità che non definisce la natura delle competenze

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indicate ma ne coinvolge anche diverse altre), tanto da creare problemi disovrapposizione ad esempio con le competenze di base.Il modello Smart propone invece una classificazione differente dalle dueprecedenti, costruita in base ad una progressione da un lato pedagogica edall’altro operativa. Infatti al primo livello troviamo competenze perso-nali che definiscono per così dire i tratti e la disposizione della personali-tà; successivamente incontriamo le competenze professionali riferite nonal posto ma alla figura idealtipica; infine le competenze specifiche o“situazionali” che si riferiscono alla concreta organizzazione di lavoro diriferimento.ECTS rivela la sua natura prettamente scolastico-formativa specie nellaprima categoria di competenze che richiama molto da vicino le “aree di-sciplinari” dei curricoli di base. ISFOL invece dà per scontato i “requisitiformativi di base” ed estende la prima categoria a saperi sociali definiti di“occupabilità”. SMART presenta una logica assolutamente non curricola-re e si rivolge invece ad un “modello antropologico” e sociologico checoncepisce il lavoro come un continuum tra personalità, competenzetecniche e specifiche. Solo le competenze tecnico-professionali paionoinvece piuttosto simili nei tre modelli, con una consonanza che esprime –paradossalmente – un accordo proprio sull’ambito considerato oggi nonpiù sufficiente per poter definire “competente” una persona.Rispetto ai tre modelli proposti, la classificazione utilizzata nel seguente

dispositivo presenta alcune peculiarità, anche se è certamente più vicina almodello SMART, da cui trae in buona sostanza ispirazione. Può essere cosìsintetizzata:

Caratteristiche personali: rappresentano l’insieme degli aspetti personali,motivazionali e vocazionali ritenuti essenziali per l’ingresso a specifichefunzioni lavorative. Sono propri della persona e indicano la presenza diuna disposizione soggettiva (vocazione) verso specifiche professioni.Competenze comuni: rappresentano l’insieme di saperi, capacità e abilitàcomuni alla cultura di una famiglia professionale, a prescindere dallospecifico ambito di attività.Competenze specifiche: sono le competenze proprie di una determinatafigura professionale e variano in funzione dell’ambito di applicazione.Si è optato quindi per un modello di classificazione che rinuncia a ogni

pretesa universalistica, inevitabilmente troppo arida e astratta, sacrificandola spendibilità esterna e la trasversalità rispetto agli ambiti di applicazione, a

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favore di una forte aderenza alle peculiarità culturali del settore e della fa-miglia professionale.

Si tratta di una classificazione che distingue due grandi ambiti: quellopersonale-vocazionale e quello tecnico-professionale. È prevalsa, in altre pa-role, la volontà di evitare la frammentazione molecolare delle professioni,mediante la loro scomposizione in un pulviscolo di voci, che il più dellevolte rispondono a esigenze analitiche più che a una reale corrispondenzacon l’esercizio concreto della professione. Una scelta, peraltro, giustificatadal fatto che, come ricordato in precedenza, le professioni del terzo settore sicaratterizzano per la limitata rilevanza dei saperi specialistici e per un fortecoinvolgimento personale.

4.2 Il dispositivoPer dispositivo s’intende un processo articolato in unità di servizio (o fa-

si) distinte e fra loro correlate in un complesso logico in cui sia chiaramentedefinito l’impianto procedurale, metodologico e strumentale impiegato perla gestione delle singole fasi.

L’oggetto del presente contributo è l’elaborazione del dispositivo di ac-creditamento delle risorse umane del terzo settore, ossia la definizione diun’apposita metodologia che consenta di riconoscere e certificare i crediti ele competenze maturate dal candidato, nonché le acquisizioni da sviluppareall’interno del percorso formativo, verificando che i requisiti posseduti sianoconformi agli standard previsti dal repertorio delle competenze e dei profiliprofessionali.

Si tratta di una metodologia che privilegia un approccio misto che consi-dera congiuntamente due punti di riferimento: la figura professionale e lecompetenze. Ciò perché un approccio unicamente centrato sulle competenzefinirebbe per cadere nel pericolo della frammentazione e della decontestua-lizzazione, mentre un approccio soltanto per figure professionali si presentatroppo rigido e monolitico. È bene quindi considerare come referenzialedell’attività di analisi, valutazione e sviluppo la figura professionale come“istituzione” di natura sociale collocata entro un’organizzazione a sua voltadotata di una cultura (e non soltanto di “funzioni” che – se definite in modoasettico – risultano sfuggenti ed ingestibili, acquisendo una oggettività nongiustificata). Tale figura va vista però come un insieme mutevole di compo-nenti che variano con il tempo e si dispongono lungo una gerarchia basata sulivelli di professionalità.

Il processo cui si fa riferimento presenta a sua volta due polarità:

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– la figura professionale, definita a partire dalla costruzione del repertoriodei profili professionali del terzo settore.

– la persona portatrice di competenze, ma pure di carenze e di potenzialitàrispetto alle quali si delinea un processo di crescita e sviluppo riferito allafigura sopra riportata.La competenza non è quindi definita in rapporto ad uno standard astratto,

ma in riferimento ad una figura professionale definita, a sua volta compostada competenze di natura differente (alcune comuni al sapere e alla culturadella famiglia professionale; altre specifiche della figura di riferimento).

Anche il metodo della rilevazione appare misto, poiché comprende un in-crocio tra la metodologia deduttiva che si appoggia su sistemi di classifica-zione (nel nostro caso si parla di: caratteristiche personali, competenze co-muni, competenze specifiche) e una induttiva che si appoggia su un’analisiempirica centrata sostanzialmente sul principio-base dell’analisi di lavoro: il“ciò che si fa”.

La prospettiva gestionale scelta non si limita tuttavia alla mera analisi ecertificazione delle competenze (sarebbe questa una scelta che punta ad au-mentare le dotazioni individuali in termini di certificati ma non avrebbe uneffetto valido dal punto di vista dello sviluppo personale), ma predilige ilpassaggio alla valutazione e alla crescita personale e professionale.

Il processo che si delinea evidenzia due possibili utilizzi del dispositivo:in riferimento alla persona, si propone come uno strumento di sostegno asoggetti il cui percorso formativo e professionale risulta difficilmente ri-ducibile a condizioni standard e che necessitano di una metodologia so-fisticata di analisi, valutazione e promozione;in riferimento all’impresa, si propone come uno strumento di assistenzaspecie in presenza di culture aziendali che enfatizzano la centralità dellarisorsa umana e dedicano una cura particolare a tutti i momenti che la ri-guardano.Di seguito è schematizzato il dispositivo completo, che definisce anche il

percorso idealtipico standard.

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SCHEMA DI GESTIONE DEL DISPOSITIVO

Quadro sintetico

Denominazionefase

Descrizione Strumenti

A Analisi dellecaratteristiche personali

Rappresenta il momento d’ingresso al pro-cesso di accreditamento ed è finalizzato allarilevazione delle caratteristiche personali,motivazionali e vocazionali, definite a par-tire da un modello antropologico e cultura-le. Tale rilevazione dovrà seguire la logicaon-off poiché il possesso di queste compo-nenti è considerato vincolante perl’impiegabilità nel no-profit e, quindi, per lacontinuazione stessa del percorso formativo

A1. Griglia di rilevazionedelle caratteristiche per-sonali A2. Scheda incon-tro con testimoni A3.Scheda stage orientativoA4 Scheda patto del ser-vizio

B Analisi e va-lutazionedelle compe-tenze profes-sionali

Questa fase mira alla rilevazione e alla va-lutazione del bagaglio di competenze pro-fessionali di cui la persona è in possesso,secondo la medesima classificazione utiliz-zata nel referenziale professionale.

B1. Scheda analisi e valu-tazione delle competenzeprofessionali

C Valutazionedel divario dicompetenza

La valutazione consiste nell’attribuzione al“capitale umano” della persona di un giu-dizio di valore in rapporto alla situazioneprofessionale attesa. La valutazione è fina-lizzata alla definizione del divario di com-petenza come pure dell’area del potenziale.

C1. Scheda competenzeprofessionali (referenzialedi competenza) C2. Sche-da di valutazione del di-vario di competenza

D Crescita per-sonale/progetto professio-nale

Rappresenta il momento di elaborazione edi esplicitazione del progetto di maturazio-ne personale e professionale del candidato.Il progetto dovrà indicare le tappe fonda-mentali al fine di favorire la costruzione dipercorsi formativi ad personam.

D1. Piano di inserimento/Crescita personale

E Certificazionee riconosci-mento dellecompetenze

Si tratta di riportare nel libretto personalel’insieme di competenze acquisite durante ilpercorso formativo e quelle già possedutedalla persona. Tale fase ha valore solo in unsistema di accreditamento dell’organismocertificante e non in una logica unilaterale.

E1. Libretto personale

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A ANALISI DELLE CARATTERISTICHE PERSONALI

Presentazione

Nel presente dispositivo s’intende per analisi delle caratteristiche perso-nali il momento d’ingresso al processo di accreditamento, centrato sullaprassi del colloquio orientativo. Non si tratta, semplicemente, di inviarel’utente verso uno dei servizi attivati presso il centro (secondoun’interpretazione diffusa dell’azione orientativa, che tuttavia si presta a unimpiego strumentale e riduttivo della stessa), ma di porre le premesse es-senziali per la “messa in valore” delle attitudini personali e degli aspetti vo-cazionali.

Specificazioni

Lo schema-quadro è il seguente:

1.Accoglienza iniziale Rappresenta la fase d’ingresso al colloquio. Le sue finalità sono:Stabilire il primo contatto con l’utenza e fare una prima analisidella domanda Rilevare le condizioni minime per accedereall’accreditamento Informare il candidato sulle opportunità offer-te dal progetto formativo

2.Colloquio orientativo È il momento centrale del colloquio e ha il compito di: Rilevarele caratteristiche personali Individuare la famiglia professionaleo la figura di riferimento

3. Patto del servizio Rappresenta la fase conclusiva del colloquio e sanciscel’impegno reciproco

Le caratteristiche personali costituiscono gli elementi di personalità, mo-tivazione e vocazione la cui mancanza preclude la possibilità di accederealle opportunità offerte durante il percorso formativo. Tali requisiti, insiemealle competenze professionali (la cui diagnosi e valutazione è posticipataalle fasi successive) soddisfano le condizioni minime per l’impiegabilità deisoggetti nel settore no-profit. Come è stato più volte ricordato (cfr. par.1),infatti, il settore dei servizi alla persona si regge per buona partesull’attivazione di competenze e capacità personali, relazionali, di comuni-cazione, leadership, capacità di ascolto, presa in carico dell’utente, mobili-tazione e passione individuale.

La scelta di centrare il colloquio sulla rilevazione di queste caratteristicheè giustificata dalla consapevolezza che esse non si possono “formare”, bensì

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solo attivare, suscitare, stimolare, là dove sono presenti quantomeno in po-tenza.

È quindi parso logico pensare che se queste capacità formano il nucleoportante delle professioni sociali, esse rappresentano anche il metro di misu-ra in base al quale effettuare la scrematura dei potenziali candidati.

Il colloquio orientativo sarà, pertanto, volto a indagare la storia pregressadell’utente, con l’intenzione di rintracciare in essa quei vissuti personali ingrado di dimostrare che il soggetto presenta le caratteristiche richieste per lapresa in carico del servizio. Ai nostri fini, questi vissuti rappresentano gli“indicatori vocazionali” che ribadiscono la presenza di una disposizione per-sonale verso attività di no-profit.

Si possono ipotizzare due differenti situazioni:La persona mostra fin dalle battute iniziali di aver già le idee chiare sultipo di professione cui aspira, i suoi vissuti confermano la presenza diuna disposizione personale verso questo tipo di attività, esiste un progettod’inserimento che tuttavia dev’essere definito con maggior dettaglio neisuoi contenuti, nei tempi e nelle modalità di realizzazione;La persona manifesta un desiderio generico di lavorare nel terzo settore,ma ha le idee confuse sia sul tipo di professione sia sul progettod’inserimento; inoltre la ricostruzione della storia personale non fa emer-gere la presenza di vissuti che confermino il possesso delle caratteristichepersonali richieste.Nel primo caso si tratterà di passare alla diagnosi e valutazione delle

competenze professionali, momento indispensabile per il riconoscimento deicrediti posseduti e per definire nel dettaglio il progetto personale. Nel se-condo caso, invece, è utile offrire al candidato servizi specifici che possonoaiutarlo a elaborare con maggior chiarezza il proprio progetto (informazioni,incontro con testimoni, visite, stage orientativo, ecc.), verificando poi se ilsoggetto presenta o meno il profilo personale richiesto.

È evidente che le due situazioni sopra descritte rappresentano idealmentei poli estremi di una realtà molto più sfumata e perciò stesso difficile daclassificare. L’importante è che sia chiaro l’obiettivo finale del processo:alla fine del colloquio la persona deve aver mostrato di possedere i requisitipersonali richiesti. I tempi, le modalità, gli strumenti impiegati si differen-ziano in funzione delle caratteristiche che presenta il potenziale candidato.

A conclusione del colloquio orientativo vengono definite le condizionireciproche del rapporto servizio-utente, mediante la stipulazione di un patto.Quest’ultimo rappresenta il momento preliminare all’accreditamento, oltre

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che un momento cruciale di ogni processo formativo. È importante chel’adesione della persona sia attiva e consapevole, poiché il riconoscimentodella propria professionalità implica, in primis, una “messa in gioco” delleconoscenze/esperienze pregresse. È bene che tali elementi siano esplicitatifin dall’inizio poiché la scarsa considerazione del loro peso rischierebbe diinvalidare l’intero percorso formativo.

Strumenti

A1. Griglia di domande per la rilevazione delle caratteristiche personaliA2. Scheda incontro con testimoniA3. Scheda stage orientativoA4. Scheda patto del servizio

La scheda d’incontro con testimoni consente di approfondire la cono-scenza di una specifica professione. La sua peculiarità rispetto ad altri stru-menti di analisi del lavoro è quella di essere compilata a partire dalle infor-mazioni fornite direttamente da persone che esercitano la professioned’interesse. Un incontro con queste persone può diventare, se ben gestito, unosservatorio privilegiato per conoscere i canali d’accesso alla professione, isuoi contenuti fondamentali, gli ambienti e le principali problematiche delsettore, le modalità d’implicazione prevalenti, ecc.

Lo stage orientativo è finalizzato principalmente ad aiutare l’utente nellascelta di uno specifico percorso di formazione-lavoro, medianteun’osservazione sul campo della figura professionale considerata. Può esse-re realizzato in forma di visita aziendale, articolata in una o due giornate (ladurata complessiva varia da un minimo di quattro a un massimo di otto ore),strutturata in più momenti: incontro con testimoni, osservazione della realtà,verifica (direttamente in azienda ovvero mediante simulazioni in laborato-rio). Si tratta, pertanto, di uno strumento completo, che include anche ilcolloquio con esperti del settore, ma in più permette un apprendimento nonmediato dei processi lavorativi fondamentali tramite un inserimento nel vivodi una situazione lavorativa reale.

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A1 GRIGLIA DI DOMANDE PER LA RILEVAZIONE DELLE CARAT-TERISTICHE PERSONALI

Nome e cognome candidato ___________________________________ Operatore _________________________________________________

Ha già avuto esperienze di lavoro nel terzo settore? (Se si, descrivere le più significative)

Quali ragioni l’hanno spinta verso questo tipo di professione? (bisogno di lavorare, inte-resse personale, migliorare la propria formazione, fare esperienze, ecc…)

Ha svolto in passato attività di volontariato? (Se si, descrivere le più significative)

Quali ragioni l’hanno spinta verso attività di volontariato?

Quali ritiene siano le motivazioni principali che inducono una persona a cercare un im-piego nel terzo settore?

Quali ritiene siano le caratteristiche personali, di conoscenza ed esperienza che una per-sona deve avere per lavorare in questo settore?

Ritiene di possedere queste caratteristiche? (indicare quali)

Tra quelli indicati, qualivalori associa a questotipo di professione?(indicarne almeno tre)

Affermazione personale Alta retribuzione Prestigio socialeUtilità sociale Assunzione di responsabilità Autonomia Coin-volgimento personale Leadership Sicurezza Tempo liberoVarietà di contenuti Relazione con gli altri Flessibilità di ora-rio

In quale ambiente e con che tipo di persone vorrebbe lavorare?

Ha già pensato a un possibile progetto personale d’inserimento in questo ambito profes-sionale? Se si, sa dirmi quali azioni intende intraprendere nell’immediato futuro?

GIUDIZIO DIIDONEITÀ

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A2 SCHEDA INCONTRO CON TESTIMONI

Area lavorativo-professionaleFigura/ruoloUtente interessato Nome Cognome

Età SessoFormazione AttivitàProgetto personale

TESTIMONE INDIVIDUA-TO

Nome Cognome

ImpresaRuolo/funzioniFinalità dell’incontroLuogoTempiModalitàStrumentiOpportunità di ulteriore approfondimento

Verifica dell’incontro con il testimoneGrado di convinzionedella sceltaGrado di coerenza conla figura di riferimento

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A3 SCHEDA STAGE ORIENTATIVO

Area lavorativo-professionaleFigura/ruoloUtente interessato Nome Cognome

Età SessoFormazione AttivitàProgetto personale

IMPRESADurata dello stage1° visitaLuogoTempiFinalitàModalitàStrumentiOpportunità di ulteriore ap-profondimento2° VisitaLuogoTempiFinalitàModalitàStrumentiOpportunità di ulteriori appro-fondimenti

Verifica dell’andamento dello stageProve Grado di convinzione della scelta Grado di coerenza con la figura diriferimento

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A4 SCHEDA PATTO DEL SERVIZIO

Sottoscrizione di impegni reciproci

Li, ______________________ Il sottoscritto:

________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

DICHIARA

Di voler prender parte al processo di accreditamento delle risorse umane e di usufruiredei servizi e delle opportunità messe a disposizione dal centro

Di essere consapevole che tale percorso, al momento attuale, sia uno strumento impor-tante per la realizzazione del proprio progetto personale e professionale

Di accettarne e rispettarne le regole di svolgimento e attuazioneDi volersi impegnare attivamente per la buona riuscita dell’intervento

Autorizzo gli operatori che si occuperanno dell’attività alla raccolta e al trattamento deimiei dati. Tali notizie rimarranno riservate e verranno utilizzate ai soli fini dell’attività con-cordata ai sensi della legge 675/96.

L’operatore del servizio________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

DICHIARA

Di mettere a disposizione del candidato le proprie competenze per la buona riuscita delprocesso di accreditamento

Di accettarne e rispettarne le regole di svolgimento e attuazioneDi impegnarsi alla riservatezza delle informazioni eventualmente ricevute dagli utenti

Il candidato ______________________________________________Il tutor __________________________________________________

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B ANALISI E VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE PROFESSIO-NALI

Presentazione e finalità Lo strumento che si allega si definisce appunto di “analisi” e nondi bilancio poiché riconcentra espressamente sulla rilevazione delle competenze professio-nali, e non delinea un percorso di indirizzo della persona verso un particolare sbocco, anchese non manca di tale possibilità di finalizzazione. Il modello di competenze utilizzato è lostesso impiegato nel referenziale di competenza e si base su una classificazione distinta in:competenze comuni al sapere e alla cultura della famiglia professionale; competenze spe-cifiche della figura di riferimento Specificazioni Si punta ad una rilevazione di tipo misto:in parte autovalutazione del soggetto, in parte valutazione dell’operatore. Quest’ultima puòessere estesa ad una figura ulteriore (tecnico di laboratorio di un Centro servizi formativi odi un’azienda). In ogni caso è uno strumento che richiede una relazione intensa tra personaed operatore. Strumenti lo strumento previsto è: B1 Scheda di analisi e valutazione dellecompetenze professionali La scheda di analisi delle competenze prevede anche una rileva-zione degli aspetti curricolari: istruzione, formazione, precedenti esperienze lavorative oextralavorative

B1 SCHEDA DI ANALISI E VALUTAZIONE DELLE COMPETENZEPROFESSIONALI

Nome, Cognome SessoIndirizzo EtàAttività TempoDenominazione figu-ra/ruolo eventualmenteesercitato

Livello

Organismo rilevatore DataOperatori coinvoltiA) CURRICOLO Tipo di documentazione

1. Titolo di studio2. Formazione pro-

fessionale3. Esperienze lavora-

tive4. Esperienze extra-

lavorative5. Altri requisitiNOTE

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Competenze comuni Tipo di rilevazione Grado di padronanza1 2 3 4

01.02.03.04.05.06.NOTE

Competenze specifiche Tipo di rilevazione Grado di padronanza1 2 3 4

01.02.03.04.05.06.NOTE

C VALUTAZIONE DEL DIVARIO DI COMPETENZA

Presentazione e finalità

Lo strumento di valutazione qui presentato ha lo scopo di esplicitare ungiudizio circa il valore delle risorse umane di cui la persona è portatrice inrapporto ai requisiti professionali attesi. Tale giudizio è formulato in rela-zione a due elementi:

aspetti curricolariaspetti obiettivi (competenze professionali)

Specificazioni

Le indicazioni emerse dall’analisi delle competenze professionali sonoposte a confronto con il referenziale corrispondente (scheda competenzeprofessionali), vale a dire un documento che attesta i principali requisitid’accesso alla figura professionale alla quale l’utente intende candidarsi. Ilrepertorio dei profili professionali del terzo settore è formato da trenta refe-renziali articolati in sei voci distinte: descrizione sintetica del profilo, collo-cazione organizzativa, requisiti richiesti (istruzione, formazione, altro), livel-

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lo di classificazione europea, competenze comuni alla famiglia professionalee competenze specifiche della figura di riferimento.

Questa fase è pertanto finalizzata alla rilevazione del delta tra i requisitiche il candidato ha mostrato di possedere e i requisiti attesi. L’obiettivoprimario è di giungere alla delineazione del cosiddetto “divario di compe-tenza”, il quale deve essere contenuto entro margini di formabilità. Inoltre videve essere un rapporto positivo tra quest’ultimo e l’area del potenzialedella persona. Gli strumenti previsti sono: C1 Scheda competenze profes-sionali C2 Scheda di valutazione del divario di competenza

La Scheda di valutazione del divario di competenza prevede una certa di-screzionalità da parte del valutatore. Per evitare che venga meno l’unitarietàdell’azione valutativa è importante che vi sia un impegno rilevante edun’intesa tra i valutatori al fine di definire categorie di riferimento univochee chiare, orientate allo sviluppo della risorsa umana.

Tutte le fasi richiedono un rapporto stretto di collaborazione e fiducia re-ciproca tra operatore e utente. La relazione con la persona è tra le aree dicompetenza più importanti per il tutor che interviene in questa fase. La co-struzione di una buona relazione dipende, in ultima istanza, dall’attivazionedelle seguenti capacità:

saper ascoltaremostrare sempre interesse per il profilo personale e professionale delcandidatosaper leggere i messaggi non verbali; saper valorizzare l’esperienza pre-gressa del candidato e il possesso di capacità non riconosciuteconoscere le principali problematiche inerenti il profilo di competenzasceltosaper diagnosticare le competenze del candidato individuando i punti diforza e le principali criticitàsaper compiere una valutazione ponderata del “divario di competenza”,verificando opportunamente se esso sia o meno colmabile attraverso unpercorso di formazione-lavoroPer la descrizione del livello professionale si fa riferimento alla classifi-

cazione europea in cinque livelli.

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C1 SCHEDA COMPETENZE PROFESSIONALI

BREVE DESCRIZIONE DELPROFILOCOLLOCAZIONE ORGA-NIZZATIVAREQUISITI RICHIESTILIVELLO PROFESSIONALE(secondo la scala UE)COMPETENZE COMUNIALLA FAMIGLIA PROFES-SIONALECOMPETENZE SPECIFI-CHE DEL PROFILO

C2 SCHEDA DI VALUTAZIONE DEL DIVARIO DI COMPETENZA

Nome, Cognome SessoIndirizzo EtàAttività TempoDenominazione figu-ra/ruolo eventualmenteesercitato

Livello

Organismo rilevatore DataOperatori coinvolti

Valutazionea) Curricoloc) Competenze comunid) Competenze specificheNOTE

1. CONFRONTO TRA SITUAZIONE PERSONALE E SITUAZIONE ATTESA1.1 Fattori di coinci-

denza1.2 Fattori di carenza1.3 Fattori di ecce-

denza2. DIVARIO DI COMPETENZA2.12.22.3

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3. AREA DEL POTENZIALE3.13.23.34.GIUDIZIO SINTETICONOTE

LIVELLI DI PROFESSIONALITÀ(criterio europeo)

Livello 1 Attività che permette principalmente l’esecuzione di un lavoro relativamen-te semplice, con conoscenze e capacità pratiche molto limitate

Livello 2 Attività che prevede l’utilizzo di strumenti e tecniche, consistente in un la-voro esecutivo, che può essere autonomo nei limiti delle tecniche ad essoinerenti

Livello 3 Lavoro tecnico, che può comportare gradi di autonomia e responsabilitàrispetto ad attività di programmazione o coordinamento

Livello 4 Attività professionale con rilevanti competenze tecnico/scientifiche e/o li-velli significativi di responsabilità e autonomia nelle attività di program-mazione, amministrazione e gestione

Livello 5 Attività professionale che prevede la padronanza dei fondamenti scientificidella professione e di tecniche complesse nell’ambito di una varietà dicontesti ampia e spesso non predicibile. Si tratta di un’attività professionaleche comporta una larga autonomia e frequentemente una significativa re-sponsabilità rispetto al lavoro svolto da altri e alla distribuzione di risorsesignificative, così come la responsabilità personale per attività di analisi,diagnosi, progettazione e valutazione

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D CRESCITA PERSONALE/PROGETTO PROFESSIONALE

Presentazione e finalitàSi tratta di uno strumento di notevole importanza, poiché mira alla delineazione del“percorso di sviluppo professionale” della persona. Esso ha come obiettivo l’elaborazionedel progetto professionale e delle tappe fondamentali della sua realizzazione. È quindi ildocumento base che definisce l’articolazione dei moduli formativi ritenuti necessari perla buona realizzazione del progetto.

SpecificazioniVa elaborato tenendo conto di due ordini di fattori: – le informazioni emerse durante lefasi di diagnosi e valutazione delle competenze professionali; – le indicazioni che potreb-bero emergere durante la partecipazione ai moduli formativi previsti, fino a indurre una opiù revisioni dello stesso progetto iniziale. Quest’ultimo, infatti, non va considerato comeun insieme di prescrizioni da soddisfare, ma al contrario come un documento che accom-pagna il candidato durante il suo percorso formativo, indicando le tappe fondamentali ditale percorso, registrando opportunamente eventuali cambiamenti e monitorando di voltain volta i risultati conseguiti.

Strumenti Lo strumento previsto è: D1. Piano di inserimento/crescita individuale Il Pia-no di inserimento / crescita individuale è stato elaborato secondo una successione diquattro quadri: il primo evidenzia la figura professionale di riferimento (essa è contestua-le e specifica, non astratta), le competenze di questa, il progetto delineato, la modalità diimplicazione (il rapporto di lavoro), il progetto di crescita professionale. il secondo deli-nea l’area di potenziamento (dopo che in precedenza ne è stata accertata la formabilità) inrapporto agli ambiti di competenza ed agli elementi di ruolo il terzo specifica gli inter-venti che sostengono tale potenziamento distinguendo tra formazione istituzionale(attività formativa normalmente prevista all’interno dell’impresa), training on the job(inteso in senso “consistente”), autoformazione assistita e corsi ad hoc. l’ultimo riguardale verifiche previste lungo il percorso, che possono servire per monitorare e migliorare ilpiano di inserimento oppure per porlo a verifica alla sua conclusione.

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D1 PIANO DI INSERIMENTO/CRESCITA PERSONALE

Nome, Cognome SessoIndirizzo EtàAttività TempoDenominazione figura/ruoloeventualmente esercitato

Livello

1. Figura professionale /ruolo di riferimento

2. Requisiti di professio-nalità

3. Progetto di inserimen-to

4. Modalità di implica-zione

5. Progetto di crescitaprofessionale

NOTE

4. AREE DI POTENZIAMENTO4.1 Competenze comuni4.2 Competenze specifi-

che5. INTERVENTI DI POTENZIAMENTO5.1 Formazione istituzio-

nale5.2 Training on the job5.3 Autoformazione as-

sistita5.4 Corsi ad hoc6. VERIFICHE PREVISTE6.16.2NOTE

Data__________ NOME, COGNOME__________________________________ CENTRO______________________________ Referente _____________________________

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E CERTIFICAZIONE E RICONOSCIMENTO DELLE COMPETENZE

Presentazione e finalità

Per certificazione delle competenze si intende un documento che attestal’avvenuta acquisizione da parte dell’utente di competenze specifiche, rile-vanti al fine dell’inserimento lavorativo e dello sviluppo professionale. Taledocumento non ha valore normativo, ma consensuale (dipende dalla legitti-mazione dell’organismo certificante presso le strutture che ricevono talecertificazione); da qui l’importanza dell’accreditamento dell’organismo stes-so entro la rete dei soggetti che usufruiranno di tale certificazione. In assen-za di un livello accettabile di affidabilità, tale documento perderebbe infattimolto del suo valore.

Specificazioni

La certificazione delle competenze di cui la persona è in possesso è rea-lizzata secondo un’apposita metodologia finalizzata a rilevare le condizionigenerali di validità di un credito, tenendo conto di due variabili fondamen-tali: la natura del requisito da certificare (competenze, esperienze lavorativeo extralavorative) e il tipo di accertamento, che può essere formale (analisidel certificato o attestato) o informale (prove). Può anche verificarsi il casodi una competenza non riconosciuta dallo stesso utente che emerge infor-malmente durante il colloquio.

Nel primo caso il credito è riconosciuto senza richiesta d’ulteriore dimo-strazione (a condizione, però, che l’organismo certificante sia a sua volta ac-creditato e riconosciuto); nel secondo caso (quando il possesso di una com-petenza si basa soltanto su un’autodichiarazione dell’utente) il riconosci-mento è vincolato alla somministrazione di una prova di tipo valutativo.Tale prova può prevedere diverse modalità:

servazione diretta in situazione lavorativa;simulazione;presentazione di documentazione riguardante l’attività lavorativa;colloqui, questionari a scelta multipla, domande aperte scritte, ecc.

Strumenti

Lo strumento previsto è: E1. Libretto personaleIl libretto personale costituisce lo strumento chiave della certificazione di

competenza. Si tratta di una vera e propria carta d’identità formativa e pro-

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fessionale del soggetto, che registra l’insieme delle competenze che il can-didato ha acquisito o quelle da acquisire durante il percorso formativo.

Il libretto va pertanto impiegato al termine del processo di anali-si/valutazione delle competenze, ma accompagna il soggetto durante l’interopercorso formativo.

Lo strumento prevede:la tavola dei crediti riconosciuti;la definizione del progetto professionale con indicazione delle competen-ze da acquisire;il percorso delle acquisizioni secondo la classificazione proposta;il documento di certificazione finale che attesta l’avvenuta acquisizionedelle competenze previste dal ruolo.Si ricorda che tale documento non possiede carattere vincolante ma di

sostegno allo sviluppo delle risorse personali. Esso ha valore entro una reteaccreditata che delinea relazioni di tipo fiduciario tra il centro e gli attori ingioco.

E1 LIBRETTO PERSONALE

Cognome ________________________Nome _____________________Nato a _______________________________ il ____________________Titolo di studio ____________________________________________

Si certifica cheHa partecipato al percorso formativo svol-tosi presso il Centro didal alPer complessive oreCome percorso a se stanteNell’ambito di un progetto formativo piùampioRiconoscimento delle proprie capacitàAtteggiamento verso la formazioneAtteggiamento verso il lavoroInteressi professionaliComunicareRelazionarsiLavorare in gruppoRisolvere problemi

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AzioniQuestionariTestProva oggettivaEsercitazioni /simulazioniColloquiProve professionaliDataEnteOperatore

Competenze rilevate / crediti riconosciutiCrediti Descrizione Ente certificante Tipo di accer-

tamentoCOMPETENZECOMUNICOMPETENZESPECIFICHEESPERIENZE LA-VORATIVEALTRE ESPERIEN-ZE SIGNIFICATIVE

Progetto professionale

Descrizione____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Prerequisiti

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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Competenze da acquisire1. Mod.2. Mod.3. Mod.4. Mod.5. Mod.6. Mod.7. Mod.8. Mod.9. Mod.10. Mod.11. Mod.12. Mod.

Condizioni/Priorità personali

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Punti di forza personali

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Punti di debolezza personali

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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PERCORSO DELLE ACQUISIZIONI

1.COMPETENZE COMUNIDescrizione Modulo Raggiunta il Firma corsista Il tutor formativo Il tutor aziendale

2. COMPETENZE SPECIFICHEDescrizione Modulo Raggiunta il Firma corsista Il tutor formativo Il tutor aziendale

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REVISIONI DEL PROGETTO PERSONALE

Prima revisione data, _______________

Annotazioni____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Seconda revisione data, _______________

Annotazioni____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Terza revisione data, _______________

Annotazioni____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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ACQUISIZIONI CERTIFICATEAL TERMINE DEL SINGOLO MODULO FORMATIVO

DENOMINAZIONE MODULO FORMA-TIVOAcquisizioni Descrizione Tipo di accertamentoCOMPETENZE CO-MUNICOMPETENZE SPE-CIFICHE

STAGE/TIROCINIO

Sede di svolgimento

______________________________________________

ore _____________

Sede di svolgimento

______________________________________________

ore _____________

Sede di svolgimento

______________________________________________

ore _____________

ANNOTAZIONI____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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ACQUISIZIONI CERTIFICATE AL TERMINEDEL PERCORSO FORMATIVO

Acquisizioni Descrizione Tipo di accertamento ModuloCOMPETENZECOMUNICOMPETENZESPECIFICHE

CERTIFICAZIONE FINALE

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Livello

_____________________________________________________ Certificato rilasciato da

________________________________________ Data _____________________

GLOSSARIO

Accreditamento

Riconoscimento di II parte ovvero disposizioni che vincolano coloro chesottoscrivono accordi con l’Ente finanziatore (modello della “concessioneamministrativa”). Esso si definisce in relazione a requisiti (minimi o essen-ziali) che i soggetti attuatori debbono comprovare di possedere nei confrontidi chi eroga finanziamenti pubblici in favore di servizi di pubblica utilità.

Addestramento

Modalità formativa che consiste nel trasferimento di saper-fare attraversol’imitazione di un lavoratore esperto e nella ripetizione progressiva e con-trollata di specifiche operazioni fino ad acquisire sicurezzanell’espletamento delle mansioni. L’addestramento avviene in laboratoriodidattico oppure direttamente nell’ambito di lavoro. Esso segue il metododell’affiancamento (training on the job).

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Affiancamento

Modalità di formazione del neo-assunto che consiste nell’affidarlo ad unlavoratore esperto/qualificato in modo da acquisire mediante visione, ascoltoe ripetizione le capacità che gli consentano di essere esso stesso operativo inun determinato ruolo.

Apprendistato

Speciale rapporto di lavoro in forza del quale l’imprenditore è obbligatoad impartire o a fare impartire nella sua impresa all’apprendista assunto allesue dipendenze l’insegnamento necessario perché possa conseguire la ca-pacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l’operanella sua stessa impresa.

Autoformazione

Modalità cognitiva mediante la quale la persona diviene responsabile delproprio processo di apprendimento, attraverso una dinamica che le consentedi “dare forma” autonomamente non soltanto al proprio sapere ma all’interapropria personalità in una logica di maturazione

Autonomia

Attitudine della persona che gli consente di governarsi, di reggersi da sésenza dipendere da altri. L’autonomia rappresenta una finalità educativa ge-nerale al cui perseguimento concorre in modo rilevante anche la formazioneprofessionale.

Capacità

Dotazione personale che permette di eseguire con successo una determi-nata prestazione. É ritenuta espressione di un’attitudine (substrato costitu-zionale della capacità), che ha trovato condizioni esterne (contestuali) e in-terne (motivazionali) favorevoli al suo manifestarsi in comportamenti e pre-stazioni.

Certificazione di competenza

Attività mirante ad attestare il possesso da parte dell’utente dei requisitiche lo rendono in grado di assumere responsabilità in uno specifico campolavorativo-professionale. Tale attività può prevedere diverse metodologie,tra cui l’analisi biografica, l’intervista, il test, la performance,l’osservazione, l’autobiografia futura.

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Competenza

“Non è uno stato od una conoscenza posseduta. Non è riducibile né a unsapere, né a ciò che si è acquisito con la formazione”… La competenza nonrisiede nelle risorse (conoscenze, capacità…) da mobilizzare, ma nella mo-bilizzazione stessa di queste risorse. … Qualunque competenza è finalizzata(o funzionale) e contestualizzata: essa non può dunque essere separata dalleproprie condizioni di ‘messa in opera’… La competenza è un saper agire (oreagire) riconosciuto. Qualunque competenza, per esistere, necessita delgiudizio altrui” (G. Le Boterf).

Caratteristiche personali

Rappresentano l’insieme degli aspetti personali, motivazionali e vocazio-nali ritenuti essenziali per l’ingresso a specifiche funzioni lavorative. Sonopropri della persona e indicano la presenza di una disposizione soggettiva(vocazione) verso specifiche professioni.

Competenze comuni

Rappresentano l’insieme di saperi, capacità e abilità comuni alla culturadi una famiglia professionale, a prescindere dallo specifico ambito di attivi-tà.

Competenze specifiche

Sono le competenze proprie di una determinata figura professionale evariano in funzione dell’ambito di applicazione.

Competenze strategiche

Nozione che identifica le caratteristiche di un’organizzazione di lavoro.Essa indica una particolare integrazione di conoscenze e capacità applicateai processi aziendali e possedute dall’organizzazione per mantenere il van-taggio competitivo dell’azienda e per produrre il valore aggiunto percepitodal cliente.

Compito

Azione o insieme di azioni riferite ad uno specifico ambito lavorativo-professionale che sollecitano l’attivazione delle competenze da partedell’individuo referente il quale ne soddisfa le esigenze tramite performanceadeguate.

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Credito formativo

Documento, rilasciato da un organismo a tale scopo accreditato, che at-testa il possesso di una determinata competenza da parte della persona, chequesta può far valere:– in un percorso formativo in modo da svolgere soltanto i moduli formativi

mancanti per il raggiungimento di una determinata meta,– in un percorso di inserimento lavorativo in modo da accelerarne il pro-

cesso.

Etica del lavoro

Insieme delle qualità umane che consentono un esercizio correttodell’azione lavorativa sia dal punto di vista dei valori estrinseci e contingenti(vantaggi economici, prestigio, posizione sociale) sia da quello dei valoriintrinseci che finalizzano l’attività di lavoro al bene, alla vita buona.

Famiglia professionale

Insieme di figure professionali accomunate da un’area consistente di re-quisiti professionali, tanto da essere trattate come un tutto omogeneo. Il con-cetto di famiglia professionale si riferisce, pertanto, a un insieme di compe-tenze considerate comuni al sapere e alla cultura di più figure, indipenden-temente dal contesto in cui sono declinate.

Figura professionale

Rappresentazione della posizione che la persona ricopre entro una de-terminata organizzazione di lavoro, elaborata sulla base di elementi funzio-nali e normativi. La figura professionale è descritta solitamente in termini dicompetenze specifiche ma anche di ulteriori requisiti quali l’autonomia, laresponsabilità, inserimento professionale, progetto personale. Quando esi-stono più elementi comuni a diverse figure, queste sono accorpate nel con-cetto di famiglia professionale

Identità lavorativo-professionale

Rappresenta l’adesione personale ad una cultura e ad un insieme di pre-scrizioni e procedure operative che definiscono il sapere di una determinataprofessione. Infatti una professione si definisce come un insieme di compe-tenze o di qualificazioni, che determina un certo comportamento e che sta-bilisce un certo potere di ruolo.

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Indicatori di qualità

Rappresentano elementi puntuali tramite i quali si osserva sistematica-mente un determinato fenomeno; alla luce di precisi criteri e standard o li-velli di soglia, essi consentono di misurare e quindi di valutare un’azione.

Mansione

Insieme dei compiti prescritti e delle responsabilità attribuite a ogni lavo-ratore; essa circoscrive le conoscenze, le esperienze e la maggior parte delleattività ad essa collegate.

Mestiere

Modalità di esercizio del lavoro che consiste nella capacità da partedell’individuo di progettare ed eseguire interamente il risultato dell’attivitàcon l’ausilio di strumenti di supporto non sostitutivi dell’ingegno edell’abilità umana.

Metacompetenza

Coscienza delle proprie competenze e capacità di gestione delle stesse(combinarle, sceglierle). La produzione di una metacompetenza è facilitatadallo sviluppo di una capacità di analisi della propria azione, delle propriecondotte (competenze di processo) verso la gestione delle proprie compe-tenze.

Modello antropologico

Rappresentazione della persona umana e del suo rapporto con gli altri e larealtà. Il modello antropologico è spesso implicito in ogni organizzazione dilavoro e pure nella progettazione formativa. Esso è parte della culturadell’impresa ed esprime il significato che essa attribuisce al contributo uma-no al suo interno.

Monitoraggio

Intervento che si svolge lungo l’iter dell’azione mediante il quale è pos-sibile avere la percezione di come questa si sta sviluppando in itinere sotto ilprofilo del perseguimento degli obiettivi specifici e dei riscontri qualitativi.

Motivazione

Insieme dei fattori dinamici che determinano il comportamento di un in-dividuo.

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Performance

Insieme delle attività direttamente visibili o percepibili, manifeste o diret-tamente individuabili, con cui un individuo raggiunge gli obiettivi che glivengono posti all’interno di un ruolo. Prestazione socialmente rilevantetramite la quale l’individuo dimostra il possesso di una competenza. Essarappresenta quindi il modello dei comportamenti attesi e costituisce il puntodi partenza per la definizione delle competenze.

Portfolio

Documento rilasciato da un organismo di certificazione accreditato cheindica le competenze possedute dalla persona titolare ed offre indicazionicirca il modo in cui esse sono state acquisite (insegnamento, esperienza,formazione…).

Professione

La nozione di professione implica quattro elementi differenti dalle cuiinterazioni si esplica l’insieme:

una professione è una funzione posta nel sistema economico. Essa de-termina un’attività lavorativa specifica;una professione si definisce anche come un insieme di competenze o diqualificazioni, che determina un certo comportamento e che stabilisce uncerto potere di ruolo;una professione è anche un gruppo sociale organizzato che facilital’identificazione sociale, serve da organismo di difesa degli interessi dellaprofessione o assicura la disciplina dei suoi membri;una professione si identifica anche attraverso il sistema di formazioneistituzionalizzato che serve da iniziazione sociale e da porta d’ingressonella professione.L’importanza rispettiva di ciascuno di questi elementi per

l’identificazione di una professione dipende da fattori socio-economici, sto-rici e culturali che sono all’origine delle differenze esistenti spesso tra Paesee Paese.

Qualifica

Attribuzione formale ad un individuo di un riconoscimento attestante ilpossesso dell’insieme delle attitudini, delle conoscenze, delle competenze edelle esperienze acquisite che permette di esercitare un’attività lavorativadeterminata. La qualifica rappresenta un’istituzione sociale riconosciuta da

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convenzioni collettive che classificano e gerarchizzano i posti di lavoro(contratti collettivi nazionali); ad essa è pure orientata la formazione profes-sionale, che classifica ed organizza i saperi in riferimento ai titoli di studio.

Responsabilità

Attitudine della persona che le consente di assumere compiti e di portarlia termine in modo positivo, avendo coscienza dei propri doveri e dei pos-sibili effetti delle proprie azioni. Rappresenta, accanto all’autonomia ed alladisciplina di sé una delle più importanti virtù del lavoro (etica lavorativo-professionale).

Ruolo

Insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuoin quanto occupa una determinata posizione in una più o meno strutturaterete di relazioni sociali, ovvero in un sistema sociale.

Standard di competenza

Livelli di soglia della prestazione professionale tali da condurre ad ungiudizio di accettabilità della preparazione del candidato.

Validazione delle competenze

Azione mediante la quale si attribuisce validità alle competenze ricono-sciute da un organismo a ciò deputato. La competenza in tal modo divieneun fattore rilevante dal punto di vista sociale (ad esempio dall’azienda quan-do essa acconsente alla sua validazione).

Valutazione

Azione programmata e strutturata mediante la quale si attribuisce un va-lore all’elemento oggetto di interesse, tenendo conto del punto di vista degliattori, della condizione in cui si tale elemento colloca, delle indicazioni pro-venienti da valutazioni similari.

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5LA PROGETTAZIONE DEI PERCORSI FORMATIVI E DIINTRODUZIONE AL LAVORO NEL SETTORE SOCIO –

ASSISTENZIALE – EDUCATIVO

di Elena Di Marco e Silvia Stefanoni

IntroduzioneNel 2001 presso gli Enti di formazione di Milano e Parabiago

(Fondazione Luigi Clerici) e di Brescia (Ial) sono stati realizzati percorsiformativi per figure professionali e figure imprenditoriali del settore nonprofit, ultimo tassello di un progetto più ampio e complesso chiamato“Parco Progetti: dalla volontà alla professionalità”.

La precisazione della struttura in cui questi percorsi sono inseriti è fon-damentale per comprendere il processo di progettazione che li ha caratte-rizzati e che descriviamo come una “attività tipicamente euristica basata suprove ed errori, su successivi affinamenti, sull’uso di metodi e di approccianche molto differenti tra loro”.

La logica e i criteri alla base di una progettazione sono stati consideraticome dei punti di riferimento, dei principi generali da declinare ed interpre-tare alla luce dell’insieme delle altre variabili nella specifica situazione.

I soggetti coinvolti direttamente nel processo di progettazione sono statinumerosi:

Esperti di processi formativiCoordinatoreGruppo di esperti del settore non profitProgettistiGruppo di esperti informatici

Ciò che è stato alla base della progettazione di massima vera e propria èil lavoro svolto dai primi tre soggetti indicati.

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Innanzitutto il “Dispositivo di accreditamento delle risorse umane delsettore non profit” rappresenta la cornice all’interno del quale sono stati af-frontati tutti i successivi aspetti della progettazione.

Di seguito il lavoro svolto da esperti che hanno elaborato la descrizionedi numerosi profili professionali specifici del settore non profit definendonele caratteristiche personali, le competenze professionali ed il percorso for-mativo suggerito per ognuno.

Infine l’attività di coordinamento tra i gruppi ha sostenuto il passaggio diinformazioni consentendo l’avanzamento dei lavori.

A questo punto sono entrati in azione i progettisti, i quali presa visionedella complessità del progetto e la flessibilità che questo richiedeva hannoproceduto ad impostare un progetto di massima, in collaborazione con glienti che successivamente si sono occupati dell’erogazione della formazione.

I momenti che il processo di progettazione ha affrontato si possono cosìriassumere:

Definizione degli scopi / obiettivi del corso e loro traduzione in obiettivididatticiScelta degli argomenti da trattare in aula in base al tempo a disposizioneArticolazione del percorso formativo in moduli (obiettivi / contenuti /modalità formativa / strumenti / tempi);La traduzione di queste fasi ha dato vita al progetto che è di seguito alle-

gato, comprensivo delle integrazioni e le modifiche che era necessario effet-tuare e che grazie alla attiva collaborazione con gli enti erogatori della for-mazione ha avuto sicuramente un esito positivo a livello progettuale, cheovviamente dovrà successivamente trovare riscontro nelle valutazioni com-plessive dei percorsi, in particolare dalla soddisfazione degli utenti.

Gli aspetti innovativi di questo progetto si identificano innanzitutto nellamodalità di progettazione adottata, ovvero una progettazione fatta in modointegrato tra i soggetti coinvolti, che è proseguita per tutto lo svolgimentodel percorso da parte degli allievi.

A questo scopo si sottolineano, per esempio, alcune modifiche inseritenel momento in cui la selezione ha rivelato la presenza, in particolare nelgruppo delle figure imprenditoriali, di persone con una grande competenza euna fortissima motivazione, di conseguenza il progetto è stato rivisto, intro-ducendo la figura di un formatore-consulente che innanzitutto conoscesse ilsettore no profit specie per ciò che concerne i livelli direttivi di imprese oassociazioni-consorzi, e che inoltre fosse in grado di accompagnare i parte-cipanti, con una serie di colloqui personali (anche mantenendo integro il

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gruppo) ad elaborare il proprio progetto e ad inserirsi in un percorso di stagemirato coerente con le caratteristiche del progetto stesso.

Un altro aspetto progettuale innovativo è stata la possibilità di riconosce-re (modulo per modulo) le competenze già acquisite, in modo che fosseroriconosciuti i crediti formativi già acquisiti, consentendo agli allievi unapartecipazione al corso individualizzata e di conseguenza più funzionale alleesigenze dell’utenza.

La creazione di strumenti informatici finalizzati alla didattica eall’utilizzo futuro da parte dei partecipanti al corso ha avuto qualche ritardodovuto alla complessità nell’elaborazione degli stessi, ma ha rappresentatoun forte elemento innovativo oltre che utile per un utilizzo nel futuro in corsisimili o avanzati.

Si allega di seguito un estratto del progetto delle due tipologie di percorsodi formazione e introduzione al lavoro nel settore socio – assistenziale –educativo: per figure imprenditoriali e per figure professionali.

SCHEDA DI PROGETTAZIONE FORMATIVA

Tipologia di utenzaDisoccupati con crediti formativo – esperienziali nel settore non profitDisoccupati con crediti lavorativi nell’ambito del settore non profitDisoccupati con crediti lavorativi nell’ambito aziendale e crediti formativi nel settore nonprofitDiplomati di scuola media superiore con esperienza nell’ambito del volontariato

Risultati attesi

Il percorso si propone di raggiungere i seguenti obiettivi:orientare alla figura professionale del manager del non profitorientare alle figure professionali operanti nel settore non profit: educato-re professionale

di servizi agli anziani; di servizi per disabili fisici;di comunità per tossicodipendenti;di servizi psichiatrici;penitenziario;di comunità per minori svantaggiati;di servizi agli immigrati

verificare la presenza di attitudini e capacità personalielaborare un progetto personale professionale

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formare l’utenza in ambito informatico in modo da avviare un’esperienzadi formazione in rete nella prospettiva della “comunità professionale vir-tuale”apprendere la metodologia del business planapprendere i diversi stili di leadershipimplementare le capacità personali degli utenti in riferimento alla rela-zione d’aiutoverifica sul campo (stage) dei contenuti appresisostenere l’utente nell’ingresso o rientro nel mondo del lavoro enell’avvio del percorso di creazione di impresa

TEMPI

Data inizio: FEBBRAIO 2001Data conclusione: APRILE 2001Durata (in ore): 200Articolazione temporale: dal lunedì al venerdì – 4 ore giornaliereIl percorso sarà definito sulla base delle effettive necessità dei singoli

utenti e dei crediti formativo-lavorativi che gli utenti dimostreranno di pos-sedere nella fase iniziale del percorso.

Ogni utente potrà quindi, se in possesso di tali crediti, accedere in modopersonalizzato e dunque più efficace ai moduli proposti nel percorso.

Tale accesso personalizzato dovrà comunque rispettare le direttive delFondo Sociale Europeo ed inoltre la frequenza effettiva al corso dovrà esse-re almeno del 75% del monte ore di ogni modulo.

Orientamento – consulenza alla carriera 15Introduzione ai supporti informatici 15Sviluppo competenze chiave e capacità personali 90Stage/Tirocinio 56Accompagnamento all’inserimento lavorativo / all’avvio di impresa 24Accesso al sito internet della comunità professionale non profit –settore servizi alla persona

autoformazione

Tot. 200Azioni di accompagnamento 30

5.1 Descrizione delle fasi in cui si articola l’intervento formativo.Ricerca e confronto con gli operatori del settore non profit.

In base alla progettazione di massima si procederà ad un confronto sullefigure professionali e manageriali del settore non profit al fine di concentra-

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re le attività successive avendo concordato quali siano le conoscenze e/ocompetenze in uscita dal percorso formativo, le tappe/azioni attraverso lequali raggiungerle, le risorse disponibili.

In questa fase è bene iniziare ad attivare o rinnovare i contatti con azien-de qualificate (non profit) al fine di favorire un’esperienza di stage efficace ericercare inoltre docenti qualificati che lavorino in contesti e ruoli specificidel percorso.

Progettazione di dettaglio delle fasi di:

selezione (colloquio motivazionale + titoli)colloqui individuali di accoglienza e analisi delle competenzericonoscimento dei crediti in ingresso e personalizzazione del percorsoformativo: patto formativotestimonianza significativamodulo pratico di informaticamodulo del business planmodulo sugli stili di leadershipmodulo sulla relazione d’aiutomodulo stage formativomonitoraggio e valutazione del percorsoazioni di accompagnamento (tutoring e accompagnamento al lavoro)

Valutazione

Al fine di verificare la validità del percorso formativo, della sua appli-cazione e dell’impianto generale del programma didattico, è stato elaboratoun dispositivo di valutazione delle azioni formativa professionali e manage-riali /imprenditoriali riferite al terso settore.

Il Dispositivo è costituito da alcuni strumenti quali:scheda di analisi e valutazione delle competenze professionali in ingressoscheda di valutazione del divario di competenzepiano di inserimento / crescita personalerapporto di valutazione del formatore – consulenterapporto di valutazione del coordinatore – tutorscheda per il monitoraggio dell’attuazione dell’azione formativaquestionario di gradimento dell’utenzaMetodologia di valutazione degli apprendimenti ed altri esiti:

scheda di valutazione del progetto personalerelazione finale di autovalutazione

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Libretto personale

* LA SELEZIONE

Criteri Si è voluto inserire in questo paragrafo il processo di selezione, in quantorappresenta un momento cruciale per la buona riuscita del percorso stesso. Vi sonoinfatti caratteristiche motivazionali e personali di coloro che accedono a questi per-corsi che devono considerarsi prerequisiti indispensabili per la realizzazione di talepercorso professionale/manageriale. Queste caratteristiche possono essere riassuntenelle seguenti: motivazione e attitudini/predisposizione verso i servizi alla personaesperienza di servizi alla persona e di volontariato possesso del titolo di diploma discuola secondaria superiore (per le figure manageriali)Modalità La modalità di selezione prevede: un colloquio motivazionale e attitudina-le (Il colloquio avverrà secondo il metodo induttivo procedendo nell’analisi del cur-riculum vitae e approfondendo il vissuto esperienziale e gli aspetti attitudina-li/vocazionali). (peso nella valutazione: 50%); un test motivazionale che metta inevidenza quale motivazione è alla base di una determinata scelta occupazionale evaluti in particolare le motivazioni di tipo sociale (per entrambi i percorsi) e di tipomanageriale (per le figure manageriali) (peso nella valutazione: 30%); analisi deititoli – figure manageriali.(peso nella valutazione: 20%);Strumenti griglia per il colloquio di selezione test motivazionale (J. Barrett – G.Williams “Scoprite le vostre attitudini” in particolare il Questionario della motiva-zione pag. 123 – 169). Scheda riassuntiva dei punteggi della selezioneTempi Circa 1 ora per utente (20 minuti circa per il test e il resto del tempo per ilcolloquio motivazionale e l’analisi del curriculum vitae)

A ORIENTAMENTO

Struttura A1. Accoglienza A2. Colloquio in ingresso (di gruppo) A3. Colloquio iningresso (individuale) A4. Patto formativo A5. Testimonianza

A1 ACCOGLIENZA

Obiettivi L’obiettivo principale di questa fase è introdurre gli utenti al percorso chestanno per iniziare, fornendo loro quegli elementi che gli possano permettereun’adeguata fruizione dello stesso. Fondamentale sarà informarli sulla strutturazio-ne, i contenuti e le finalità del percorso, successivamente si creerà attraverso la so-cializzazione del gruppo un clima favorevole alla situazione di apprendimento. Infi-ne si analizzeranno e discuteranno insieme le reciproche aspettative circa la parteci-pazione a tale percorso.Contenuti presentazione e descrizione percorso; socializzazione del gruppo: presen-tazione dei partecipanti; analisi delle aspettative.Modalità Nella prima fase (presentazione e descrizione del percorso) lezionefrontale presieduta dal direttore del percorso, dal coordinatore, dagli orientatori e daltutor. Nella seconda fase (socializzazione del gruppo) giochi di interazione fina-lizzati alla conoscenza reciproca dei partecipanti al percorso. Nella terza fase

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(analisi delle aspettative) giochi di interazione e discussione di gruppo sulleaspettative nei confronti del percorso, le quali dovranno essere tenute in considera-zione anche per la stipula del contratto formativo. Tempi 4 ore

A2 COLLOQUIO IN INGRESSO (DI GRUPPO)

Obiettivi Alcune capacità personali quali le capacità relazionali, le capacità comuni-cative, di collaborazione e di leadership è possibile rilevarle e valutarle in modo piùefficace e immediato tramite un contesto di dinamica di gruppo in cui, attraversosimulazioni, giochi di ruolo mirati si riesce a determinare per ogni utente l’esistenzae le caratteristiche delle suddette capacità.Contenuti Valutazione delle: Capacità di comunicazione Capacità relazionali e dicollaborazione in gruppo Capacità di leadership (per la figura manageriale) Capacitàdi organizzazione del lavoroModalità Situazione di dinamica di gruppoStrumenti role playing / casoTempi 4 ore

A3 COLLOQUIO IN INGRESSO (INDIVIDUALE)

Obiettivi Il colloquio individuale inserito in un percorso formativo ha l’importantefunzione di orientare l’utente ed iniziare un dialogo che sia da sostegno nel processodecisionale individuale. La finalità del colloquio individuale è duplice: per l’utenza

verificare le proprie capacità personali e scoprire le proprie attitudini al fine diorientarsi e verificare le proprie scelte formative e professionali. per i soggetti ge-stori valutare le capacità personali di ogni utente (capacità di comunicazione, re-lazionali, di collaborazione, di coordinamento, di leadership – (per le figure im-prenditoriali), e valutare le competenze professionali già possedute (al fine di rico-noscere i crediti formativo-lavorativi); Il colloquio individuale potrebbe essere effet-tuato non per tutti gli allievi, ma solo per coloro che in fase di selezione mostrano uncerto disorientamento circa il proprio vissuto professionale e la figura professionalein uscita dal percorso. Per gli utenti che risultano consapevoli del loro passato espe-rienziale e sicuri circa il proprio futuro si può ipotizzare la realizzazione solamentedella fase A3: il colloquio di gruppo.Contenuti analisi del curriculum vitae analisi delle capacità personali valutazionedelle capacità comuni della figura manageriale e della figura professionale nel nonprofit valutazione delle capacità specifiche della figura manageriale e professionalenel non profitModalità Colloquio individuale di approfondimento con un esperto in analisi dellecompetenze, per quanto riguarda la “lettura” del curriculum vitae, e/o un esperto –docente del settore per l’analisi delle capacità specifiche.Strumenti Griglia per il colloquio individuale Identificazione delle competenze ma-nageriali e capacità imprenditorialiTempi 1 ora per ogni utente

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A4 PATTO FORMATIVO

Obiettivi A conclusione dei colloqui vengono definite le condizioni reciproche delrapporto servizio-utente, mediante la stipulazione del patto formativo. Questo stru-mento si propone di: assicurare adeguata chiarezza sui diritti/doveri di tutti i soggetticoinvolti; individuare gli obiettivi formativi specifici in relazione al singolo allievo,per consentire successivamente la verifica /autoverifica del loro raggiungimento altermine del percorso; valorizzare nell’allievo le capacità di analisi e programmazio-ne del proprio percorso formativo rispetto al percorso stesso; promuovere le azionidi monitoraggio e verifica del successo formativo dei singoli allievi e di qualitàdell’offerta elaborata Impegni che seguono il contratto formativo: Operatori dellaformazione perseguimento degli obiettivi del percorso formativo; valutazioneformativa complessiva degli esiti; la validazione dei crediti formativi individuati iningresso e in uscita dai percorsi; predisposizione e verifica durante lo svolgimentodel percorso formativo dell’organizzazione degli interventi di supporto individuale,del monitoraggio e della verifica dei risultati, ecc.; Allievi rispetto delle modalitàdi frequenza e partecipazione individuate nel patto formativo.Contenuti impegni reciprociModalità stipula del patto formativo successivamente ad un confronto circa leaspettative, gli obiettivi e la strutturazione del percorso formativo tra gli utenti e co-ordinatore e/o tutor. La sottoscrizione del patto formativo avviene individualmente.Strumenti scheda patto formativoTempi 2 ore

A5 TESTIMONIANZA

Obiettivi L’incontro con testimoni consente di approfondire la conoscenza di unaspecifica professione. A questo scopo è previsto in questa fase iniziale del percorsoun incontro con esperti che del settore no profit (figure manageriali e professionali).Contenuti informazioni utili sui canali d’accesso alla professione, i suoi contenutifondamentali, gli ambienti e le principali problematiche del settore, le modalità diimplicazione prevalenti.Modalità Le testimonianze verranno organizzate in modo differenziato per il percor-so formativo delle figure manageriali e per il percorso per figure professionali delsettore non profit, ovvero nel primo caso l’incontro sarà con persone che ricopronoruoli manageriali, mentre nel secondo caso l’incontro avverrà con gli esperti rappre-sentanti le aree professionali verso le quali si è indirizzato l’interesse dell’utenzastessa.Strumenti scheda di rilevazione degli interessi verso le figure professionali del nonprofit scheda di progettazione dell’incontro con i testimoniTempi 4 ore

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B INTRODUZIONE AI SUPPORTI INFORMATICI

Obiettivi Il modulo di informatica ha l’obiettivo fondamentale di permettere agliutenti di accedere alle informazioni contenute nei supporti informatici elaborati asupporto del percorso formativo. Inoltre si darà una formazione di base per l’utilizzodi Internet e di Word, in modo da consentire agli utenti una padronanza generica,ma efficace del PC.Contenuti I contenuti del modulo consisteranno nei seguenti: elementi base del PCelementi base di word l’utilizzo di word cos’è internet la ricerca in internet – i mo-tori di ricerca per parole chiave la posta elettronica cos’è un newsgroupModalità Le lezioni avverranno in un laboratorio di informatica con almeno uncomputer ogni 2 utenti.Strumenti Manuale di utilizzo facile del PC, personal computer, stampante, video-proiettore, modem. Pianificazione del modulo di informatica; CD;Tempi 15 ore di formazione in laboratorio e, se le risorse lo permettono, possibilitàdi estensione del tempo per le esercitazioni individuali, in particolare di coloro chenon hanno un computer.

C CAPACITÀ PERSONALI

Struttura C1. Capacità di comunicazione C2. Capacità relazionali e di collaborazio-ne in gruppo C3. Organizzazione del lavoro

C1 CAPACITÀ DI COMUNICAZIONE

Obiettivi Utilizzare abilità e stili comunicativi che permettono lo scambio di infor-mazioni corrette e complete; riconoscere gli effetti della comunicazione verbale enon verbale; adottare le strategie della comunicazione in riferimento ai contesti, aicontenuti, agli interlocutori e agli scopi della comunicazione; decodificare corretta-mente le varie tipologie di messaggi.Contenuti la comunicazione verbale e non verbale; ascolto attivo e osservazione; lapresentazione di sé; ruolo della comunicazione; analisi dei contesti comunicativi;argomentazione e persuasione.Modalità Lezione frontale, lavoro di gruppo, simulazioneTempi 16 ore

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C2 CAPACITÀ RELAZIONALI E DI COLLABORAZIONE IN GRUPPO

Obiettivi Raggiungere un livello di integrazione tra i partecipanti tale da permetterela creazione di una forte identità di gruppo e potenziare i risultati che il gruppo stes-so può ottenere; lavorare in gruppo e collaborare alla soluzione di problemi adottan-do comportamenti orientati alla cooperazione; diagnosticare i problemi in gruppo ericercare soluzioni al suo interno; gestire il conflitto.Contenuti il gruppo e le sue dinamiche; la comunicazione nel gruppo; la coopera-zione e il conflitto.Modalità lezione frontale, lavoro di gruppo, esercitazioni di gruppoStrumenti Role playingTempi 20 ore

C3 ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Obiettivi L’organizzazione del lavoro consiste nella pianificazione funzionale delleproprie attività e al fronteggiamento efficace di situazioni problematiche di diversanatura. Sviluppare le proprie capacità di problem solving è l’obiettivo fondamentaledi questo modulo, che comprende le capacità di osservazione, pianificazione ed or-ganizzazione di fronte ad una situazione problematica.Contenuti I contenuti di questo modulo mirano a fare possedere all’utenza le se-guenti competenze: individuare e fissare priorità stabilire e rispettare fasi e tempi diun’attività ritarare i propri piani in base al feedback dell’esperienza analizzare e va-lutare una situazione problematica produrre alternative di soluzione (progettare emonitorare piani di azione) valutare i possibili effetti delle soluzioni ipotizzate sce-gliere ed attuare le strategie anticipate come più efficaci il processo di decisione ilprocesso di delega le strategie di azione del soggetto tecniche di soluzione dei pro-blemiModalità In questo modulo è consigliabile l’esclusivo utilizzo di metodologie attivequali esercitazioni di gruppo, casi e role play sulle tematiche del problem solving.Tempi 16 ore

D LA RELAZIONE D’AIUTO

Obiettivi Si intende proporre, al di là delle competenze professionali specifiche, unariflessione attorno alle complesse dinamiche inter e intra individuali che sottendonoad ogni relazione d’aiuto. Nel rapporto quotidiano con la sofferenza e il disagio, glioperatori si trovano spesso esposti ad un forte carico emozionale che né le cono-scenze né le abilità tecniche sono sufficienti ad affrontare.Contenuti La relazione d’aiuto come spazio transizionale e strumento di lavoro Lacapacità di instaurare una relazione efficace (contatto psicologico) La capacità diascolto e rimando empatico La capacità di integrazione emotiva e cognitiva La ca-pacità di gestire in maniera efficace una relazione di aiuto La capacità di applicarel’Approccio Centrato sulla Persona nei vari contesti. La relazione d’aiuto come

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espressione del codice affettivo personale; La comunicazione nella relazioned’aiuto; Le motivazioni alla relazione d’aiuto; Le diverse percezioni dell’operatoredi fronte al bisogno dell’utente-paziente; La consapevolezza del proprio modellod’aiuto La consapevolezza di sé, l’autostima e l’assertività La capacità di accetta-zione, fiducia, rispetto e stima di sé e degli altri La capacità di comunicare i proprisentimenti e vissuti La capacità di interagire e comunicare all’interno di un gruppoLa capacità di apprendere dall’esperienza personale e di gruppo.Modalità È previsto l’impiego di: Presentazione, in base ai tempi e agli interessi delgruppo, di materiali per la discussione Presentazione di esperienze personali acquisi-te nel proprio ambito di lavoro Tecniche attive che facilitano il coinvolgimento per-sonale e di gruppoStrumenti Discussione di gruppo, Role play.Tempi 38 ore

E STILI DI LEADERSHIP

Obiettivi L’obiettivo di questo modulo è verificare e sviluppare le capacità di lea-dership all’interno di un gruppo, di una organizzazione. La leadership è una capacitàdeterminante per le prestazioni, il clima, la comunicazione, le decisioni del gruppodi lavoro. La “leadership di servizio” in particolare ha un ruolo chiaro, orientato astimolare le capacità di tutti, l’esposizione di tutti ottimizzando le risorse disponibiliall’interno del gruppo sia in termini operativi che relazionali.Contenuti La “leadership di servizio” (leadership efficace nel gruppo) Caratteristi-che della “leadership di servizio” Situazionale Trasparente Flessibile PragmaticaOrientata al compito Orientata alle relazioni Le funzioni di leadership (competenza,appartenenza, comunicazione) Leader istituzionali e leader funzionaliModalità Simulazioni, lezioni frontali, discussioni di gruppo, role playing.Strumenti Scheda I fattori di successo per un capo Scheda Stili di leadershipTempi 12 ore

F CHE COS’È IL BUSINESS PLAN

Obiettivi L’obiettivo fondamentale di questo modulo è supportare gli utenti nellatraduzione del proprio “sogno nel cassetto” in un progetto imprenditoriale che risultiun incastro perfetto tra idea – mercato – persona – risorse. A questo scopo viene af-frontata la metodologia per la costruzione del Business Plan, lo strumento che puòfar sintesi di un insieme di esperienze, riflessioni e stimoli, trasformandole in unprogetto creativo e fattibile che considera il fattore coerenza: fra l’idea e l’interpreteche la desidera realizzare; fra l’idea ed il contesto di mercato spazio – temporale; fral’imprenditore ed il suo background professionale e personale. Inoltre il BusinessPlan ha uno sviluppo progressivo, e accompagna nel tempo l’imprenditore e la suaidea nel lungo percorso che va dalla scoperta, alla validazione ed infine alle verifi-che prima e durante l’applicazione pratica. Gli obiettivi del Business Plan possonoessere così riassunti: Fornire informazioni fondamentali per l’avvio dell’attività(quali e quante risorse economiche, finanziarie ed umane sono necessarie, quali so-

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no le caratteristiche del prodotto e del mercato, etc.) Consentire all’aspirante im-prenditore una visione d’insieme dei fattori che caratterizzano l’azienda, fornendouna base sulla quale pianificare strategie ed azioni Illustrare la formula imprendito-riale (sistema di prodotto, mercato, struttura organizzativa) e non solo la descrizionedel prodotto/servizio Sottolineare l’originalità dell’idea imprenditoriale Verificarel’interesse della potenziale clientela Esprimere con chiarezza gli obiettivi che si in-tendono raggiungere e le modalità per perseguirli Verificare la coerenza tra le singo-le azioni indicate, ed in particolare tra descrizione dell’attività e conseguenti costi diinvestimento e di gestione Definire la forma giuridica in rapporto alle caratteristichedell’impresa Consentire previsioni attendibili simulando le varie ipotesi di sviluppodell’attività dell’impresa Servire come “biglietto da visita” per presentare l’impresaall’esterno (potenziali soci, finanziatori, banche, clienti e fornitori)Contenuti Introduzione: Cos’è un business plan Partire dall’idea dell’utente: la for-mula imprenditoriale Analisi della domanda Analisi della offerta Opportunità e mi-nacce Punti di forza e di debolezza Obiettivi Strategia Marketing mix (prodotto –prezzo – promozione/comunicazione – distribuzione/vendita) Controllo Definizionedel piano di fattibilità: costruzione del Business Plan La struttura del Business PlanSintesi del progetto imprenditoriale L’impresa Il gruppo imprenditoriale e le posi-zioni chiave Il mercato di sbocco La concorrenza I mercati di approvvigionamentoIl prodotto /servizio La commercializzazione Il patrimonio tecnico industrialeAspetti organizzativi Network Le proiezioni economico – finanziarie I rapporti conil destinatario del business plan I finanziamenti Descrizione dell’idea imprenditoria-le Analisi della fattibilità dell’idea imprenditoriale Analisi dell’organizzazionedell’attività Pre-visione economico – finanziaria dell’idea imprenditorialeModalità Lezioni frontali, esercitazioni individuali e di gruppo, casi, “laboratorio”,consulenza individuale. Il percorso per gli imprenditori deve considerare le diversitàpresenti nell’utenza, e quindi calibrare l’offerta formativa in rapporto a queste. Ènecessario che i docenti del percorso “standard” siano in grado di dare vita ad eserci-tazioni relative al modulo del business plan sotto forma di “laboratorio” dove sisvolgano due attività: sperimentare la costituzione di una “associazione/cooperativa– tipo” elaborare e/o rielaborare il progetto imprenditoriale personale. Va evitato unapproccio “generico” o “motivazionale” al business plan e che si affrontino le que-stioni strategiche e gestionali del progetto di impresa di cui i corsisti sono portatori.Strumenti Schede “Business Plan” su CD.Tempi 26 ore

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G LO STAGE IN AZIENDA*

Obiettivi Lo stage in azienda rappresenta un momento formativo di cruciale impor-tanza, in questa fase infatti l’allievo ha la possibilità di osservare direttamente sulcampo, gli apprendimenti specifici del corso e mettere alla prova le proprie capacitàpersonali e professionali. In particolare per quanto riguarda il percorso formativodelle figure manageriali del settore non profit, l’utente andrà ad affrontare ed analiz-zare le tematiche della leadership e del business plan, mentre per il percorso rivoltoa figure professionali del settore non profit, l’attenzione si concentrerà sulla relazio-ne di aiuto e le diverse modalità di offerta dei servizi socio educativo – socio assi-stenziali.Contenuti analisi della missione, valori e cultura organizzativa; analisi della strutturaformale e informale dell’organizzazione; analisi delle risorse umane utilizzate; ana-lisi delle modalità di comunicazione all’interno dell’organizzazione ospitante; ana-lisi dello stile di leadership adottato dal responsabile; analisi delle procedure edell’organizzazione dei servizi forniti; analisi delle procedure di costruzione del bu-siness plan;Modalità Osservazione, project work, elaborazione tesina relativa allo stage.Strumenti schema per la compilazione della tesina stageTempi 56 ore (14 giornate da 4 ore)

H ACCOMPAGNAMENTO ALL’INSERIMENTO LAVORATIVO

Obiettivi Fornire agli utenti la metodologia per la creazione e l’utilizzo degli stru-menti necessari alla ricerca del lavoro.Contenuti La presa di decisione Motivazione alla ricerca attiva di lavoro La creazio-ne di impresa Tecniche di ricerca attiva del lavoro: Ricerca di informazioni e analisidel territorio Curriculum vitae Lettere di candidatura Inserzioni Colloquio di sele-zioneModalità Lezione frontale, lavoro di gruppo.Strumenti Definizione del Progetto professionale (questionario) Prendere una deci-sione Schede sul processo di ricerca informazioni Capitoli del curriculum vitaeLettera di autocandidatura Le inserzioni Il registro personale delle candidature Ilcolloquio di selezione Scheda di valutazione e registrazione del colloquioTempi 24 ore

* Questo modulo, in particolare per quanto riguarda le figure manageriali del settore non

profit ha subito alcune modifiche in corso d’opera per la difficoltà di alcune degli enti nonprofit ad ospitare stagisti, e per una modifica progettuale circa la tipologia di stage effettua-to dalle figure imprenditoriali, ovvero si è ritenuto necessario effettuare una sorta di“laboratorio” sul proprio progetto imprenditoriale, attraverso ricerche, studi, mappatura delterritorio interessato e definizione più precisa del business plan.

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Azioni e servizi di accompagnamentoAZIONI /SERVIZI MODALITÀ PERIODO DI

SVOLGIMENTOSono azioni di accompagnamentoai percorsi tutte le attività tese acoinvolgere ed informare: le sin-gole organizzazioni / associazioniche operano nel settore non profit;i candidati allievi del corso

Riunioni e incontri pubblici conle organizzazioni / associazioni,al fine di promuovere i percorsiformativi, e la possibilità di pre-parazione di personale specificodurante il periodo di stage. – at-tivazione di un servizio telefoni-co di informazione ai candidatiallievi del corso

Durante la fase dipubblicizzazionedei percorsi

Orientamento individuale e adat-tamento del corso ai profili di-versificati di accesso

Possibilità di colloqui indivi-duali con gli studenti subito dopola fase di selezione e accoglienzache hanno come oggetto l’analisidelle competenze al fine diorientare i soggetti alle figureprofessionali e manageriali delsettore non profit

Durante la primaparte del corso,successivamentealla fase di acco-glienza.

Preparazione dei referenti cheall’interno degli enti non profitseguiranno le attività di stage co-me referenti “aziendali”

Verranno svolti da parte del tu-tor o del coordinatore del corsouno o due incontri di formazione,di ½ giornata ciascuno, rivolti aireferenti aziendali e ai tutor distage per illustrare la metodolo-gia da seguire nel corso dei pro-getti e ai fini di predisporrel’elaborazione del project workfinale.

Prima del modulostage

Tutoraggio di sostegno personalee counselling durante lo svolgi-mento del corso e dello stage co-me supporto all’apprendimento.

Attenzione particolare al contat-to personale con gli allievi daparte di un tutor che seguirà ognigiorno le lezioni; Colloqui dicounselling con un esperto

Durante il corso

Valorizzazione dei project workssvolti dagli allievi pressi gli entiospitanti gli stage.

Presentazione dei project worksin un apposito seminario finale dipubblicizzazione dei risultati delcorso rivolti a tutte le organizza-zioni e associazioni non profitinteressate.

A conclusione delcorso

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6COMUNITÀ VIRTUALI TRA MITO E OPPORTUNITÀ

di Simone Tosoni

Il concetto di Comunità Virtuale occupa sin dalla metà degli anni ’90 unaposizione centrale e persistente nel campo della riflessione di tipo accademi-co sulla comunicazione mediata dal computer, come pure nei discorsi digiornali e mass media sullo stesso argomento.

Se fino a qualche anno fa era infatti la Realtà Virtuale la tecnologia che,anche a livello di immaginario, sembrava rendere immediatamente evidentela radicalità con la quale l’informatica andava ridelineando l’esperienzadell’uomo nel mondo, oggi tale ruolo sembra essere stato assunto propriodalle Comunità Virtuali. La promessa da parte della tecnologia di renderepossibili tipi inediti di socialità e appartenenze in grado di dispiegare formedi intelligenza collettiva sembra aver sostituito quella di una realtà resaflessibile e riconfigurabile liberamente sui desideri dei propri utenti. Conse-guenza e al tempo stesso causa del ritardo con il quale la Realtà Virtuale, adifferenza della Rete, sta facendo il suo ingresso nel nostro quotidiano, taleslittamento nei reami dell’immaginario sembra perlomeno in parte imputabi-le alla capacità del mito della Comunità Virtuale di entrare in risonanza piùprofonda con la cultura contemporanea.

Del mito, la Comunità Virtuale condivide un’evidenza che pretende dinon necessitare dimostrazioni, evidenza che le deriva dall’essere oggetto didiscorso, simultaneamente, dei media tradizionali e degli utenti della retestessa, degli operatori del settore informatico e di quelli della divulgazionegiornalistica, di discipline come economia e marketing, come pure di unariflessione teorica spesso poco attenta alla verifica empirica. Sono proprioquesti sguardi congiunti che, mentre gli danno consistenza, sfumano e con-fondono il significato del termine Comunità Virtuale, rendendone partico-larmente problematico l’utilizzo a livello di riflessione scientifica: si tratta diun termine che, se definito con rigore e nel dettaglio, sembra perdere il rife-rimento ad oggetti ed esperienze “reali”.

Proprio come per le Comunità reali inoltre, la Comunità Virtuale condi-vide con il mito la capacità di dare forma all’esperienza, fornendo una cor-nice interpretativa (e normativa) col quale leggere ed impostare il senso

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delle propria presenza, delle proprie interazioni e delle proprie appartenenzein rete.

È per questo motivo che diventa urgente tentare un primo passo versouna decostruzione del mito, individuando i simboli che lo compongono e imodi in cui questi entrano in relazione. Il rischio non risiede tantonell’interagire con la rete attraverso la mediazione di un costrutto immagi-nario, ma di farlo attraverso un costrutto immaginario inadeguato a rendereconto delle dinamiche in atto al di là dello schermo. È il caso, per fare unesempio, della distribuzione gratuita di software on line, spesso ricondottaideologicamente ad un’economia del dono e della reciprocità che si vuoletipica di forme spontanee di socialità virtuale, senza focalizzare invece sullastrategia economica di vendita di servizi e aggiornamenti al prodotto regala-to, come pure di vendita a possibili inserzionisti pubblicitari del pubblicoformato dagli utenti del prodotto stesso.

L’operazione di decostruzione diviene ancor più urgente – infine – quan-do si assiste, come oggi, ad una vera e propria corsa all’implementazione erealizzazione di questo costrutto fantastico, tradotto in esperienza comuneper un numero sempre più vasto di utenti da parte di grandi e piccoli sog-getti economici presenti in rete, e dalla sperimentazione di enti pubblici, as-sociazioni di volontariato e del terzo settore: approfondire i contenuti messiin forma dal mito, come pure avviare una riflessione sui limiti e sulle diffi-coltà che esso incontra nel momento in cui si traduce in applicazioni, se nonconcrete, perlomeno reali diviene una condizione necessaria da una parte pernon confondere una Comunità con un non-luogo, dall’altra per contribuire inmodo positivo a tali sperimentazioni e non rinunciare alla possibilità di unuso consapevole e proficuo a livello sociale delle tecnologie telematiche.

6.1 Il mito della Comunità VirtualeIl fare riferimento a particolari tipi di interazioni tra utenti di reti di com-

puter come a “Comunità virtuali” è un fenomeno strettamente legato allametafora spaziale che ha accompagnato lo sviluppo di Internet fino alla fasedi telematizzazione forzata degli ultimi anni, metafora che prende formanell’idea di Cyberspazio, di rete come luogo.

In Internet si “naviga” o si “surfa”, si “visitano” siti e si “entra” in“stanze” dove chattare: tutte operazioni che rimandano alla categorie dimovimento e di spazio.

Se la rete è un luogo, e contemporaneamente è l’oggetto-metafora per ec-cellenza delle spinte globalizzanti tipiche della società contemporanea (si

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pensi al Word Wide Web, la rete grande come il mondo), il mito della Co-munità Virtuale rappresenta allora la promessa di una nuova modalità inse-diativa capace finalmente di ancorarci nel mondo globale.

Nello stesso momento in cui i flussi di merci, culture e persone che carat-terizzano il capitalismo nella sua fase più avanzata sembrano aver erosodalle fondamenta l’impalcatura delle sicurezze, sociali ma anche esistenziali,che rendevano stabili le identità e salde le appartenenze, è nella rete stessa –che di tali flussi è l’emblema – che si intravedono le possibilità di forme disocialità nuova, capaci di restituirci l’intensità e la sicurezza tipiche di formesociali comunitarie.

Poco importa se anche il concetto di Comunità “reale” rappresenta unmito in quanto fin dalla sua prima elaborazione segnato dall’aspirazioneverso qualcosa di già perduto (a favore della “società” in epoca moderna,della globalizzazione oggi).

Quel che più conta è come esso descriva forme di socialità segnate darelazioni forti, primarie, stabili nel tempo ed indipendenti da logiche eco-nomiche, in quanto centrate sulla collaborazione e sulla gratuità. In questomodo, secondo uno schema non certo inedito, la tecnologia si propone comesoluzione delle stesse tensioni e problematiche cui contribuisce a dare vita.

Più nello specifico, la pretesa è quella di rappresentare una soluzione allacontraddizione tra le spinte opposte eppure complementari verso globalità elocalismo: le due spinte si armonizzano nel mito delle Comunità Virtuali,perché queste appartengono contemporaneamente alla dimensione del globa-le – grazie alla capacità dei media telematici di trascendere la spazio fisico –e a quella del locale – in virtù della qualità delle relazioni cui sarebbero ingrado di dare vita.

La storia della nascita e del proliferare delle Comunità Virtuali è il rac-conto della possibilità di riappropriazione e riumanizzazione della Rete (edelle forme di razionalità autoreferenziale tipiche del sistema economicoplanetario che essa incarna), e rappresenta il simbolo dell’irriducibilità delleesigenze di socialità delle persone che la utilizzano – o per così dire la abita-no –: un’irriducibilità capace di trasformare un canale di flusso nella confor-tevolezza di un luogo da abitare.

È interessante per altro notare come tale mito sia a sua volta costituito esorretto, come in una saga, da una grande quantità di sotto-narrazioni, chedalla rete vengono tramandate alla letteratura giornalistica ma anche scien-tifica, dove svolgono la sospetta doppia funzione di contribuire a descriverele Comunità Virtuali e al contempo di costituire elemento probatorio per la

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veridicità delle descrizioni fornite. È il caso del racconto dell’appropriazionedi personaggi altrui su Lambdamoo, che ci parla dell’ investimento emotivoche dà realtà ad incarnazioni e relazioni telematiche; è il caso dell’apologosul cyberpsichiatra John-Julie, che tematizza come la responsabilità verso ilproprio vicino (telematico) regoli e freni il libero gioco dell’invenzionedell’identità all’interno delle Comunità Virtuale; è, in fondo, anche il casodelle tante storie d’amore nate alla tastiera che affollano ormai piccolo egrande schermo, e che ci parlano del computer come strumento in grado ditrasmettere l’intensità del contatto interpersonale più profondo.

Il mito è però più complesso e articolato. Anche se – come afferma Fa-bietti – “la Comunità Virtuale, (…) non è poi qualcosa di radicalmente di-verso dalle altre forme di comunità che l’hanno storicamente preceduta[poiché] (…) anch’essa è una finzione [e] anch’essa corrisponde ad unaforma specifica di produzione e rappresentazione tanto della memoriaquanto dell’identità”, è necessario analizzare il portato del secondo terminein gioco, “virtuale”, e di come esso declina il primo.

Il concetto di virtuale svolge infatti il ruolo fondamentale di emendarel’ideale comunitario da quegli elementi premoderni che rischiano di conno-tarlo in modo negativo, aggiornando così il mito all’estetica del divenire eall’etica dell’autodeterminazione, considerati valori chiave della contempo-raneità. La virtualità infatti, definita da Lévy innanzitutto come liberazionedall’esser-ci, dalle determinazioni spazio-temporali, sarebbe in grado di di-sinnescare le spinte alla chiusura, alla definizione rigida dei confini,all’esclusione dell’Altro tipiche delle Comunità locali. Contemporaneamen-te, la liberazione dallo spazio comporta la possibilità di sottrarsi in mododefinitivo ad un’appartenenza locale assegnata dal destino sotto forma dellecoordinate spaziali che inquadrano la nostra esistenza in culture, visioni delmondo e sistemi di valori determinati. La telematica renderebbe possibile aisoggetti scegliere le proprie appartenenze, permettendo loro di inserirsi inreti di relazioni forti ma caratterizzate da confini permeabili ed indipendentidai confini spaziali (spazi geografici e spazi sociali) assegnati in modo ca-suale nell’ambito dell’esperienza off-line.

L’utopia di emancipazione rappresentata dal mito di Comunità Virtuale èperò ancor più radicale perché virtuale è, sempre secondo Lévy, anche tuttociò che può trasformarsi in reale, ma che ha bisogno di un atto creativo perfarlo: un atto creativo e riflessivo che di continuo impedisce la riproduzionedella comunità stessa tramite l’accettazione irriflessa di valori e di visionidel mondo sedimentate e in grado di fondare l’appartenenza solo al prezzo

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dell’eterodirezione. Sono al contrario proprio la libera accettazionedell’appartenenza e dei valori che la rappresentano a dischiudere“l’investimento affettivo” capace di evocare la forza della reciprocità e dellacooperazione sociale. Una chiara esemplificazione di questo aspetto del mitodelle Comunità Virtuali è riscontrabile nell’efficace opera di divulgazionerappresentata da Virtual Community di Howard Rheingold (1993, tr. it1994), uno dei testi della letteratura giornalistica che più ha contribuito ascolpire l’immaginario della società telematica. In tale lavoro viene celebra-to il calore e la forza della cooperazione mobilitata da The Well, la più fa-mosa – grazie al libro stesso – tra le Comunità Virtuali oggi esistenti.Rheingold, che riconduce l’autorevolezza del proprio resocontoall’appartenenza alla Comunità sin dalle sue origini, tratteggia uno scenarioin cui emergono con grande incisività l’efficacia di reti di solidarietà deterri-torializzata e il dispiegarsi della forza della cooperazione, il senso di sociali-tà dato dalla condivisione di una cultura comune e – soprattutto – il prendereforma di uno stile di appartenenza identitaria basato su un’economia del do-no e della reciprocità.

Se è vero che il resoconto delle esperienze soggettive – online e offline –dell’autore indulge spesso ad un cyberottimismo il cui entusiasmo un po’ingenuo, come da più parti osservato, ne rende perlomeno dubbial’attendibilità sociologica, è anche vero che il lavoro di Rheingold, proprioperché estraneo al rigore metodologico dell’analisi etnografica, va forse va-lutato in funzione della sua capacità mitopoietica, ossia della capacità di in-scrivere le pratiche quotidiane dei membri della comunità, attraverso quellache è più la declinazione di un ideale che una descrizione fedele, all’internodi un ordine simbolico e un orizzonte valoriale condiviso.

Ecco dunque come lo slancio utopico legato all’idea di Comunità Virtua-le viene ad assumere uno specifico valore fondativo per la nuova societàdelle reti, un valore fondativo che lo distingue e al contempo lo pone al cen-tro degli immaginari che accompagnano (o hanno accompagnato) le nuovetecnologie della comunicazione nel passaggio dagli stupori entusiasti e ma-gici della fase pionieristica all’attuale riterritorializzazione nella dimensionedel quotidiano. L’elemento chiave è in ultima istanza costituito dalla ratificadella cooperazione sociale e della condivisione dei saperi a valori centrali,tanto dal punto di vista etico quanto dal punto di vista economico.

Si tratta di quegli stessi valori che, legati alla messa in produzione dellinguaggio, costituiscono l’elemento propulsore del mutamento di paradig-ma dal fordismo al postfordismo tipico delle società a capitalismo avanzato.

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Tale coincidenza fa sì che il mito della Comunità Virtuale si declini perle società postfordiste come vero e proprio mito fondativo. Ciò è massima-mente evidente a livello dei tentativi di ricostruzione storica della nascita diInternet da parte della letteratura giornalistica e scientifica, dove uno schemanarrativo spesso derivato da Internet stessa fa coincidere la prima ComunitàVirtuale con il gruppo di ricerca costituito dagli inventori e sperimentatoridell’antenata della rete globale, ossia Arpanet.

Sarebbe stato proprio tale gruppo, nell’atto stesso della fondazionedell’infrastruttura tecnologica della nuova civiltà telematica, a manipolare ilcodice genetico della rete, umanizzando le tecnologie telematiche ancora alloro stato embrionale: si tratta della leggenda dell’incontrollabile fuga diInternet dai laboratori della sperimentazione militare, e della sua riappro-priazione “dal basso”, per usi relazionali, da parte dei ricercatori e di utentisempre più numerosi.

Quest’atto originario di tradimento sarebbe stato l’effetto e al contempoanche la causa, secondo lo schema del circolo virtuoso, di quel clima di co-operazione sociale e di spontanea condivisione dei saperi che, guidando illavoro della comunità di ricerca dell’Arpa, avrebbe dato vita alla rete e diconseguenza alla network society.

La nascita e lo svilupparsi delle prime forme di Comunità Virtuali avreb-be accelerato questo processo, sostenendo il clima di cooperazione capace dipotenziare i sistemi hardware e software di cui la rete stessa è costituita, emettendo in moto quel fattore di espansione a ritmi esponenziali che vedia-mo pienamente dispiegato nel presente della cosiddetta new economy.

I luoghi dell’elaborazione e della riproduzione del potente racconto miti-co del quale abbiamo cercato di delineare le linee principali non sono statioggetto di un’attenzione sistematica e di una ricostruzione storica rigorosa,sebbene da più parti sia stata sottolineata la centralità per l’elaborazione ditale immaginario ora dei primi utenti-ricercatori della rete, ora dei gruppihacker ed ora dei loro cantori, gli scrittori ed artisti Cyberpunk. Particolar-mente urgente è la necessità di analizzare come questo mito si articoli a li-vello locale, di singole comunità realmente esistenti, e quali pratiche effetti-ve e modalità di appartenenza esso sostenga: un compito da affidarsi neces-sariamente ad una ricerca empirica scientificamente rigorosa, che esula dailimiti di questo intervento.

È infatti nelle sue realizzazioni concrete, nelle sue incarnazioni, che ilmito entra in contraddizione, si riarticola, rivela la sua problematicità anchenelle sue realizzazioni più riuscite. Sono solo queste, però, le uniche capaci

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di divenire strumenti effettivamente utili se poste al servizio del sociale,come pure potenti macchine di produzione del valore economico, se imple-mentate e possedute dai grandi soggetti economici.

6.2 Sperimentare Comunità Virtuali: opportunità e problemiCome si è tentato di dimostrare, i discorsi cui oggi il concetto di Comuni-

tà Virtuale deve il proprio successo appartengono più all’immaginario eall’ideologico che ad un’accurata analisi scientifica. Ciò non di meno, i casidi Comunità Virtuali effettivamente esistenti in rete e la letteratura che lianalizza con il rigore metodologico di discipline differenti, e a cui si riman-da per l’analisi di casi concreti – lasciano intravedere il dispiegarsi di pos-sibilità ed opportunità che rendono la sperimentazione un compito urgente.Tali possibilità sono in ultima istanza dischiuse dalle caratteristiche distinti-ve delle Comunità Virtuali di cui il mito ci parla con insistenza: possibilitàdi trascendere gli spazi – geografici e sociali –, condivisione dei saperi, co-operazione sociale. La posta in gioco è la possibilità di restituire ad usi col-lettivi – seppure in forma sempre limitata – il potenziale dischiuso dallamessa in comune delle competenze diffuse nel corpo sociale, come puredalla possibilità di rielaborare cooperativamente e ridistribuire tali saperi. LaComunità Virtuale può cioè despazializzare e riterritorializzare le mappe delsapere disancorandole non solo da luoghi fisici, ma anche da quella partico-lare politica dello spazio rappresentata dall’organizzazione gerarchica. Unavolta despazializzato il sapere può essere riterritorializzato secondo una re-distribuzione consapevole ed autoriflessiva da parte della Comunità stessa,là dove ne nasce il bisogno. Più semplicemente (ma in modo forse più dif-ficile da tradurre in atto), si tratta di restituire ad un utilizzo collettivo “le piùgeneriche attitudini della mente: facoltà del linguaggio, disposizioneall’apprendimento, memoria, capacità di astrarre e di correlare, inclinazio-ne all’autoriflessione”, dove “utilizzo collettivo” assume i significati di“esercitato collettivamente”, “gestito in modo collettivo” e di “finalizzato ascopi collettivi”.

Se ciò è vero, resta anche vero che la possibilità di trascendere gli spazi,la condivisione dei saperi e la cooperazione sociale non riescono mai a darsiin forma pura ma, nel momento della progettazione e realizzazione di unaComunità Virtuale, tali caratteristiche devono trovare una mediazione con icontesti di produzione delle Comunità stesse, con i quali entrano in con-traddizione. È tale mediazione che misura l’inevitabile scarto tra realizza-zioni e mito, ed è l’analisi critica di tale scarto che può fornirci una valida

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guida all’analisi e alla classificazioni delle comunità in rete come pure unostrumento per valutare, al di là di suggestioni utopiche e precomprensioniideologiche, quale “spazio” (virtuale) è stato allestito per noi. Affrontiamobrevemente due tra le principali di tali contraddizioni, riguardanti le politi-che dello spazio l’una, la cooperazione sociale l’altra.

6.3 Superamento dei confini geografici e sociali versus territorialitàdelle Comunità Virtuali

La possibilità di riprogettare l’estensione nello spazio delle relazioni so-ciali che andranno (desiderabilmente) a costituire la comunità virtuale, nondeve nascondere il fatto che ognuna di queste porta inscritto necessariamen-te un progetto di rapporto con il territorio. La flessibilità dei rapporti tra tec-nologia e spazio non significa che tale rapporto possa in qualche modo ri-manere non deciso. Alcune Comunità virtuali sono progettare per riterrito-rializzarsi all’interno di una stanza (come forme di groupware e programmiper la condivisione dei saperi e l’elaborazione di decisioni collettiveall’interno degli open-space che costituiscono il marchio distintivodell’azienda postfordista), altri mirano ad una estensione globale (e nel fareciò devono rinunciare ad un rapporto con specifico con il territorio). Tra idue casi estremi, si danno soluzioni intermedie, come ad esempio le reti ci-viche (comunità virtuali che ridefiniscono i propri confini sulle dimensioniurbane) o le comunità che si vincolano a bacini linguistici. Le scelte possi-bili sono numerose, ma mutuamente esclusive.

Ugualmente complessa è la progettazione del rapporto della Comunitàcon gli spazi sociali, siano essi gerarchie formalizzate o semplici squilibrisocioculturali. È necessario ammettere che questo tipo di rapporto non ètecnicamente decidibile, al contrario di quanto una ricerca sulla comunica-zione al computer fortemente compromessa con determinismi tecnologici hacreduto di dimostrare nel corso degli anni ’80. La progettazione tecnica dellacomunità potrà certo mirare a facilitare il superamento (o la preservazione)di distanze di status e posizione sociale, ma non potrà aggirare le resistenzeofferte dall’universo sociale di riferimento: la comunicazione al computernon è più democratica di chi la usa. In poche parole: avrete forse più pro-babilità di incontrare un premio Nobel in un newsgroup di Internet che nellavita reale, ma le probabilità che questi abbia voglia di parlare con voi sonopiù o meno le stesse. È forse vero infatti che l’apparente superamento delledistanze sociali che a volte si sperimenta utilizzando Internet va in buonaparte ricondotto al fenomeno della preselezione strutturale dell’utenza, la

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quale limita drasticamente la possibilità di utilizzare Internet (e le comunitàvirtuali) come strumento di mediazione tra universi socioculturali diversi.Come spesso si tende a dimenticare, le differenze tra tali universi sono giàall’origine fortemente limitate a quelle registrabili nella popolazione ristrettache possiede le risorse economiche e culturali per l’utilizzo di Internet. LeComunità Virtuali portano strutturalmente inscritto un progetto di connes-sione tra spazi sociali, gerarchie, ruoli (compresi, come vedremo, ruoli“interni” come proprietà, gestione e utenza) sotto forma di “utenza implici-ta”, ma è anche vero che, proprio come avviene per i media tradizionali, taleutenza implicita è poi necessariamente oggetto di contrattazione e negozia-zione da parte dei singoli utenti reali, dove contrattazione e negoziazione as-sumono però un significato letterale e non unicamente metaforico.

6.4 L’amministrazione della cooperazione socialeLa seconda contraddizione cui vogliamo fare riferimento non è esclusiva

delle Comunità virtuali ma riguarda, ad un livello generale e secondo formediverse, tutto l’universo della produzione postfordista. Tale contraddizione èrelativa al progetto che articola il rapporto tra proprietà, gestione e utenzadella Comunità (la versione telematica di proprietà, gestione e lavoro) inpresenza del dispiegarsi di forme di cooperazione sociale. Quest’ultima rap-presenta il risultato della libera assunzione di responsabilità (personale omediata dall’agire di gruppo) degli utenti nei confronti dei singoli altri utentie nella collettività del suo insieme. Proseguendo nell’operazione di adatta-mento del concetto – sviluppato in ambito di analisi dei processi produttivi –alla riflessione sulle Comunità Virtuali potremmo dire che la cooperazionesociale si basa su: a) assenza di competizione b) condivisione di risorse e in-formazioni c) “frazionamento di potere e responsabilità”, che si accompa-gna all’assenza di disciplina dall’alto in favore dell’autodeterminazione daparte degli utenti d) partecipazione dell’utente alle esigenze della Comunitàe) attenzione alle relazioni umane. Oltre ad un progetto di relazione con lospazio, ogni Comunità Virtuale prevede necessariamente anche un progettodi gestione della stessa, che articola i punti elencati, definendo così tanto leregole di accesso e comportamento e l’individuazione delle finalità (espliciteo implicite) della Comunità, quanto le regole di definizione delle regolestesse.

Possedere una Comunità: è questo in estrema sintesi il paradosso cui talecontraddizione dà vita, paradosso che si incarna nel problema della gestionedella comunità stessa: tanto più nettamente, infatti, emerge la cooperazione

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sociale tanto più questa dà vita a forme di soggettività in grado di reclamarevoce in capitolo sulla gestione degli spazi in cui si dispiega. Tale contraddi-zione è massimamente evidente, ad esempio, quando “una nuova categoriadi utenti di Internet, insensibile alle norme di rete, mette sistematicamentein atto comportamenti che violano palesemente queste norme pur senzaviolare alcuna legge statale”. Il problema e le sue implicazioni teoriche, se-condo le strategie retoriche che abbiamo visto essere tipiche della riflessionesulla comunicazione mediata al computer, sono ben illustrate nell’episodiorelativo allo scontro (non solo virtuale) tra gli avvocati Canter e Siegel e inewsgroup fatti oggetto da parte loro della fastidiosissima pratica dellospamming, l’invio massiccio e a tappeto di messaggi, in genere pubblicitari:“atto legale, ma irrimediabilmente sbagliato”. Da quale soggettività, conquali diritto e entro quali limiti ha origine la cogenza delle norme autoim-poste in rete? Attraverso quali processo o procedure tali regole devonogiungere a formulazione? Quali soggetti devono farsi carico di garantire illoro rispetto e come? E ancora: a chi e attraverso quali processi e procedurespetta il compito di definire prima, articolare nel dettaglio poi, gli obiettivistessi della cooperazione sociale in atto in una comunità Virtuale? La pro-gettazione di una Comunità Virtuale contiene sempre una risposta, esplicitao meno, a tale domanda: risposta che modulerà la politica di gestione lungoun continuum che ha ai suoi estremi la completa autogestione della Comuni-tà da una parte e la completa eterodirezione dall’altra (cui si può certo sem-pre rispondere con l’interruzione della cooperazione o l’abbandono dellacomunità qualora venga meno il consenso nei confronti degli amministrato-ri). La questione si complica ulteriormente qualora si tenga conto che laproprietà della Comunità e il suo progetto di realizzazione (che comprendeanche una politica di gestione) in genere preesistono all’utenza, che anzideve essere meticolosamente ricercata e costruita con raffinate strategie dipromozione e marketing. Tali strategie non possono peraltro esimersi da unafornitura di servizi destinata a rendere ancor più evidente il problema delladoppia titolarità degli spazi telematici: se esiste un servizio, esiste un sogget-to che lo eroga, e la relazione tra tale soggettività e la comunità stessa deveessere accuratamente definita e progettata.

Come abbiamo visto, gli interrogativi posti dall’incarnarsi del mito dellaComunità Virtuale sono di soluzione tutt’altro che semplice. Si è tentato dipresentarne alcuni, assai brevemente, nei limiti di questo intervento. Do-vrebbe risultare chiaro come a tali interrogativi non sia possibile dare unarisposta univoca. Si è fatto però cenno alla necessità di sperimentazione. La

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sperimentazione genera infatti una forma di sapere che si pone al confine trasapere teorico (senza il quale la realizzazione procede a tentoni) e saperepratico (senza la quale la speculazione teorica procede in modo sempre piùautoreferenziale, finendo per avvitarsi facilmente nell’ideologico). La spe-rimentazione procede infatti con un obiettivo preciso, ma senza una mappadettagliata di come raggiungerlo. Si muove manipolando progressivamenteil proprio oggetto, con un continuo rimando tra intervento, osservazione eriflessione teorica. Tale sinergia risulta oggi imprescindibile per scendere apatti con le contraddizioni della Comunità Virtuale e mettere a punto pos-sibili soluzioni, necessariamente sempre parziali e continuamente rivedibili:soluzioni che però vale la pena cercare se si pensa che le Comunità Virtualipossono essere strumenti dalle grandi potenzialità per finalità di interessecollettivo.

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versione digitale 2007ISBN 978-88-8311-136-5