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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XL - N. 30 - 28 luglio 2016 PAG. 6 Dall’intervento tenuto l’11 ottobre 2015 da Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, alla 5a Sessione plenaria del 5° CC del PMLI Negli interventi curare 3 cose Nei nostri interventi orali e scritti ci sono tre cose che dobbiamo fare sempre, curare che essi abbiano la massima dialettica, argomentazione e documentazione. Sono tre passaggi fondamentali. Per quanto riguarda la documentazione occorre cercare alla fonte i documenti ufficiali, utilizzando nel modo corretto Internet. DIFFUSIONE ALLA COOP-OVS DI VIALE TALENTI A FIRENZE Consensi al volantino del PMLI “vota No” Panama “LUMINOSO FUTURO” PUBBLICIZZA LA COMMEMORAZIONE DI MAO PROMOSSA DAL CC DEL PMLI Relazione di Denis Branzanti alla 12ª Riunione dei marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna OCCUPIAMO LO SPAZIO LASCIATO VUOTO DALLA “SINISTRA” BORGHESE. PUNTIAMO TUTTO SUL RADICAMENTO LOCALE DEL PARTITO Oggi la priorità delle priorità è la battaglia per il No alla controriforma del senato Sfiorata a maggio un’altra grave tragedia ferroviaria tra Termoli e Pescara LO SFASCIO DELLE FERROVIE AL SUD Il 63% delle tratte a binario unico si trova nel Meridione DA 155 ANNI DALL’UNITÀ D’ITALIA HANNO FATTO BEN POCO PER SVILUPPARE E AMMODERNARE LA RETE FERROVIARIA DEL SUD I governanti del regime capitalista sono i responsabili politici della strage ferroviaria in Puglia L’attacco militare terroristico a Nizza è frutto della guerra imperialista all’Is No alla militarizzazione dell’Italia. Ritirarsi dalla guerra, lottare per la pace DOPO 7 ANNI LA COMMISSIONE D’INCHIESTA RICONOSCE: “LA GUERRA NON ERA NECESSARIA. NON C’ERA UN’IMMINENTE MINACCIA DA PARTE DI SADDAM HUSSEIN”; L’INVASIONE HA SCONVOLTO I FRAGILI EQUILIBRI REGIONALI E FAVORITO IL TERRORISMO BLAIR MENTÌ PER INVADERE L’IRAQ L’EX PREMIER VA PROCESSATO PER CRIMINI DI GUERRA CONQUISTATO IL CAMPIDOGLIO, IL PARTITO DI GRILLO EMULA GLI ALTRI PARTITI DEL PALAZZO Parentopoli M5S a Roma Il sottogoverno occupato da familiari e amici degli amici Secondo i dati Ocse PRECARI IL 57% DEI GIOVANI Aumentati ulteriormente grazie al Jobs Act SECONDO DATI INPS, OCSE E ISTAT Fermi gli stipendi dei lavoratori italiani Più della metà delle famiglie hanno ridotto nel 2015 la spesa per il cibo Le immagini del blog panamense “Lumi- noso futuro” con cui rilancia la comme- morazione di Mao promossa dal CC del PMLI e un Messaggio del PMLI al PC(ml)P e a Luminoso Futuro del 31 maggio scorso PAG. 6 PAG. 14 PAG. 5 PAG. 4 PAG. 4 PAG. 3 PAG. 2 PAG. 14 PAGG. 10-11-12-13

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XL - N. 30 - 28 luglio 2016

PAG. 6

Dall’intervento tenuto l’11 ottobre 2015 da Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, alla 5a Sessione plenaria del 5° CC del PMLI

Negli interventi curare 3 coseNei nostri interventi orali e scritti ci sono tre cose che dobbiamo fare sempre, curare che essi abbiano la massima dialettica, argomentazione e documentazione. Sono tre passaggi fondamentali.

Per quanto riguarda la documentazione occorre cercare alla fonte i documenti ufficiali, utilizzando nel modo corretto Internet.

Diffusione AllA CooP-ovs Di viAle TAlenTi A firenze

Consensi al volantino del PMli “vota no”

Panama

“luMinoso fuTuro” PubbliCizzA lA CoMMeMorAzione Di MAo ProMossA DAl CC Del PMli

relazione di Denis branzanti alla 12ª riunione dei marxisti-leninisti dell’emilia-romagna

oCCuPiAMo lo sPAzio lAsCiATo vuoTo DAllA “sinisTrA”

borGhese. PunTiAMo TuTTo sul rADiCAMenTo loCAle Del PArTiToOggi la priorità delle priorità è la battaglia per il No alla controriforma del senato

sfiorata a maggio un’altra grave tragedia ferroviaria tra Termoli e Pescara

lo sfAsCio Delle ferrovie Al suDIl 63% delle tratte a binario unico si

trova nel Meridione

DA 155 Anni DAll’uniTà D’iTAliA hAnno fATTo ben PoCo Per sviluPPAre e AMMoDernAre lA reTe ferroviAriA Del suD

i governanti del regime capitalista sono i responsabili politici

della strage ferroviaria in Puglia

l’attacco militare terroristico a nizza è frutto della guerra imperialista all’is

No alla militarizzazione dell’Italia. Ritirarsi dalla guerra, lottare per la pace

DoPo 7 Anni lA CoMMissione D’inChiesTA riConosCe: “lA GuerrA non erA neCessAriA. non C’erA un’iMMinenTe MinACCiA DA PArTe Di sADDAM hussein”; l’invAsione hA sConvolTo i frAGili equilibri reGionAli e fAvoriTo il TerrorisMo

blAir MenTì Per invADere l’irAqL’ex pReMIeR va pROcessatO

peR cRIMINI dI gueRRa

ConquisTATo il CAMPiDoGlio, il PArTiTo Di Grillo eMulA Gli AlTri PArTiTi Del PAlAzzo

Parentopoli M5s a roma Il sottogoverno occupato da familiari e amici degli amici

secondo i dati ocsePrecari

il 57% dei giovaniaumentati ulteriormente grazie al Jobs act

seConDo DATi inPs, oCse e isTAT

fermi gli stipendi dei lavoratori italiani più della metà delle famiglie hanno ridotto nel 2015 la spesa per il cibo

Le immagini del blog panamense “Lumi-noso futuro” con cui rilancia la comme-morazione di Mao promossa dal CC del PMLI e un Messaggio del PMLI al PC(ml)P e a Luminoso Futuro del 31 maggio scorso

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PAGG. 10-11-12-13

2 il bolscevico / strage ferroviaria in puglia N. 30 - 28 luglio 2016

Da 155 anni dall’Unità d’Italia hanno fatto ben poco per sviluppare e ammodernare la rete ferroviaria del Sud

I governantI Del regIme capItalISta Sono I reSponSabIlI polItIcI

Della Strage ferrovIarIa In pUglIa“Ho visto il collega piange-

re, ma è troppo facile dire che la colpa è sua: l’unica responsabili-tà è di chi non doveva permettere che uno sbaglio, uno solo, potesse portare a questa tragedia”.

“Parlare di errore umano è cor-retto, ma assolutamente riduttivo. Non ci fermeremo assolutamente alle prime responsabilità. L’errore umano è solo il punto di partenza di questa storia”.

Queste due frasi, rispettiva-mente di un macchinista che par-la del capostazione di Andria, uno dei sei indagati nell’inchiesta sul-la strage ferroviaria in Puglia, e del procuratore di Trani France-sco Giannella, che l’ha aperta con l’ipotesi di disastro ferroviario colposo e omicidio colposo plu-rimo, descrivono esattamente la portata dei problemi e delle re-sponsabilità che lo scontro dei due treni nella tratta a binario unico Andria-Corato ha fatto emergere, e che vanno ben al di là delle col-pe individuali dei ferrovieri inda-gati, i due capistazione di Andria e di Corato e il responsabile mo-vimento della stazione di Andria.

Colpe che pure ci sono e sono anche state ammesse dagli indaga-ti, ma che sono solo le prime e le meno gravi tra quelle evidenzia-te da questo disastro, e che come una serie di circoli concentrici e sempre più larghi rimandano alle responsabilità della società priva-ta, la Ferrotramviaria spa, che ha in concessione l’intera tratta Bari-Barletta, e che non aveva instal-lato i moderni sistemi automatici di sicurezza indispensabili sulle linee a binario unico; alla Regione Puglia, proprietaria della rete, che non ha verificato la loro installa-zione e che non ha provveduto nei tempi stabiliti al raddoppio già de-liberato e finanziato della linea; ai vari governi nazionali, compreso l’attuale governo Renzi, che con la loro dissennata politica liberi-stica e privatizzatrice dei traspor-ti continuano a privilegiare solo le più lucrose ferrovie ad alta veloci-tà e penalizzare le “improduttive” ferrovie regionali e locali; e, an-cora più in alto, alla criminale po-litica di sfruttamento e di abban-dono del Mezzogiorno da sempre praticata dal sistema capitalisti-co fin dall’Unità d’Italia, a causa della quale il generale stato di de-grado del trasporto pendolare a li-vello nazionale diventa ancor più drammatico e disastroso al Sud.

le responsabilità della concessionaria e

della regione Non a caso sono stati iscritti

sul registro degli indagati anche il direttore generale di Ferrotram-viaria, Massimo Nitti, il direttore dell’esercizio Michele Ronchi e la presidente del cda Gloria Pa-squini. I magistrati vogliono capi-re perché la sicurezza sulla tratta dell’incidente era ancora affidata all’antiquato e malsicuro sistema del “blocco telefonico”, cioè affi-data allo scambio di telefonate tra le due stazioni, con conseguente possibilità di errore umano, come poi è successo, invece che al più

moderno e sicuro Scmt (sistema di controllo marcia treno). Il siste-ma che blocca automaticamente i treni se per qualche errore si tro-vano a marciare sullo stesso bi-nario, e che secondo una direttiva europea dovrebbe essere obbliga-toriamente in funzione nelle linee a binario unico. Sarebbero basta-ti meno di due milioni di euro per installarlo, ma su quella tratta non è mai stato fatto.

Risulta addirittura da notizie dell’ultim’ora che la Regione Pu-glia già un anno fa aveva stan-ziato venti milioni di euro per la sicurezza dei treni della Ferro-tramviaria: perché non sono sta-ti utilizzati per installare il Scmt dove ancora mancava? Il contrat-to di servizio tra Regione e con-cessionaria era stato firmato ap-pena sette mesi fa, e il sospetto è che dal momento che la linea an-dava raddoppiata la società non abbia voluto investire in una tratta destinata ad essere completamen-te rifatta. Ma perché la Regione non ha controllato che i lavori di adeguamento della sicurezza sulla tratta Andria-Corato fossero stati regolarmente eseguiti?

E qui emergono anche le pe-santi responsabilità del governa-tore della Puglia Michele Emilia-no. Come anche delle precedenti giunte Vendola, sulle quali l’at-tuale governatore scarica tutte le responsabilità per il continuo rin-vio del raddoppio della linea, per il quale erano già stati stanzia-ti 180 milioni di fondi europei e che avrebbe dovuto essere com-pletato entro il 2015, mentre non sono stati nemmeno assegnati gli appalti.

Il 19 luglio 2013, all’insegna dello slogan “sali sul treno e vola in Europa”, ci fu l’inaugurazione del collegamento della tratta Ba-ri-Barletta con l’aeroporto di Bari Palese. Erano presenti Vendola, Emiliano (allora sindaco di Bari), il sindaco di Barletta, Cascella, e Alessandro De Paola, direttore di Ustif Puglia, che decantò “l’alto valore tecnologico della realizza-zione soprattutto per la parte di segnalamento e sicurezza che la pone fra le infrastrutture di alto li-vello tecnologico”. Eppure è stato proprio l’Ustif (Ufficio trasporti e impianti fissi), un ufficio peri-ferico del ministero dei Traspor-ti, che si occupa della sicurezza

delle ferrovie in concessione, me-tropolitane, tranvie ecc., a con-cedere a Ferrotramviaria la dero-ga all’istallazione del Scmt sulla tratta maledetta. E questo chiama direttamente in causa le responsa-bilità del ministro Delrio e del go-verno.

le responsabilità del governo renzi

La tratta di 37 chilometri Ru-vo-Barletta, che fa anche da me-tropolitana per l’aeroporto di Bari, ha visto in pochi anni cre-scere il traffico da 48 a 140 treni al giorno (secondo alcuni sareb-bero addirittura196). I capistazio-ne devono smistare un treno ogni dieci minuti, mentre prima erano uno ogni 50 minuti. E il persona-le non è aumentato, ma semmai diminuito. Sono stati trovati re-gistri di viaggio contraffatti, pro-babilmente per nascondere i ritar-di. Evidentemente i ritardi erano diventati ormai cronici su questa linea, con i conseguenti accaval-lamenti di treni e aumento del ri-schio di incidenti. Il giorno della strage il capostazione di Andria avrebbe dovuto gestire il traffico di 28 treni in sei ore di lavoro. In queste condizioni la probabilità di un errore umano cresce esponen-

zialmente, e quella che è successa tra Andria e Corato è perciò una strage annunciata.

Già nel 2013 il parlamentare del M5S Giuseppe D’Ambrosio, che è di Andria e questa situazio-ne la conosceva bene, aveva fat-to un’interrogazione parlamenta-re sulla mancata sicurezza e sui ritardi per il doppio binario sulla linea Andria-Corato. Ma né l’ex ministro Lupi né l’attuale mini-stro Delrio gli hanno mai risposto. Stando così le cose l’annuncio immediato di una commissione di inchiesta da parte del ministro Delrio ha il sapore di una beffa, e la visita di Renzi sul luogo del-la strage ad esprimere solidarietà ai parenti delle vittime e le rassi-curazioni di Mattarella agli stes-si che sarà fatta “giustizia fino in fondo” appaiono ipocrite e di cir-costanza: “La visita del presiden-te della Repubblica è stata un atto dovuto, mentre quella del mini-stro Delrio è stata di circostanza e quella del premier Renzi fuori luogo e molto spiacevole. Matta-rella ha compreso il nostro dolo-re e ci ha promesso giustizia, ma, del resto, se non lo facessero, sa-rebbero dei delinquenti”, ha com-mentato infatti amaramente il fi-glio di una delle vittime.

Sentite con quale equilibrismo di stampo democristiano Delrio

ha risposto in parlamento alle in-terrogazioni sulla mancata sicu-rezza nella tratta del disastro: “Il sistema di segnalamento con con-senso telefonico, pur essendo si-curo (sic), è certamente un siste-ma tra i meno evoluti rispetto alle tecnologie disponibili per la rego-lazione della circolazione ferro-viaria: infatti il sistema si affida interamente all’uomo, nella fatti-specie all’operatività dei capista-zione, come sopra descritto. Le tecnologie oggi disponibili sono molteplici, e si adattano ai diver-si regimi di esercizio in relazio-ne alle caratteristiche della rete, alla frequenza dei convogli e alla velocità di esercizio. Nel caso di specie, sulla tratta a binario sem-plice in esame, il sistema di con-senso telefonico è in uso da oltre

sessant’anni: l’attuale frequenza dei convogli è praticamente inal-terata da circa dieci anni, duran-te i quali non si sono evidenzia-ti inconvenienti all’applicazione del sistema. Il sistema, ripeto, è di completa responsabilità della Fer-rotramviaria, della società di ge-stione”.

Quindi il concetto sarebbe che il sistema è “sicuro” ma anche il “meno evoluto”, però siccome era in funzione da sessant’anni e non era successo mai nulla, vuol dire che era “adatto” al caso in specie, e comunque la responsabilità è tutta della società in concessione. La quale comunque, per il mini-stro, “è una delle aziende miglio-ri del panorama italiano in termini di efficienza ed efficacia del ser-vizio offerto, di livello professio-nale degli addetti ed interventi di ammodernamento e miglioramen-to dell’esercizio eseguiti”. Pare di assistere ad un altro film, eppure sono le esatte parole del ministro.

Invertire la politica liberista nel

trasporto ferroviarioCi sono delle responsabili-

tà politiche precise, quindi, per la strage annunciata della Puglia

e sono da ascrivere ai governan-ti del regime capitalista. È dai go-verni di “centro-sinistra” di Prodi e D’Alema in poi che va avan-ti la politica di privatizzazione e liberalizzazione delle allora Fer-rovie dello Stato, con il taglio di migliaia di chilometri di “rami secchi” delle linee locali, la ridu-zione massiccia del personale, il taglio degli investimenti pubbli-ci e la concentrazione delle ridot-te risorse esclusivamente nell’alta velocità ed essenzialmente nel-la sola direttrice Roma-Milano, quella destinata agli utenti ricchi e la sola capitalisticamente remu-nerativa, mentre i treni regiona-li e locali destinati ai lavoratori e agli studenti sono stati sempre più abbandonati al degrado, alla sporcizia, ai ritardi e disservizi e a sempre più precarie condizioni di sicurezza.

Al Sud, poi, a questa situazio-ne generale si aggiunge il sotto-sviluppo cronico economico e delle infrastrutture, dove da 155 anni dall’Unità d’Italia ben poco è stato fatto per sviluppare e ammo-dernare la rete ferroviaria. Sono 5 milioni gli italiani che ogni giorno utilizzano le linee regionali, e solo in Puglia sono 150 mila i pendola-ri che usano ogni giorno il treno. E a fronte di questo enorme traffi-co ci sono ancora 9 mila chilome-tri a binario unico su un totale di 16 mila dell’intera rete ferroviaria italiana, di cui una gran parte sono al Sud. Sono 2700 i chilometri di linee ferroviarie a binario unico date in concessione, e quanti di questi utilizzano ancora il sistema del blocco telefonico?

Eppure il governo Renzi con-tinua e anzi accentua la politica liberista dei governi preceden-ti, insistendo nel buttare miliar-di nell’inutile e devastante Tav in Val di Susa, e perseguitando e incarcerando chi giustamente vi si oppone, invece di investire nel trasporto regionale e recuperare ed ammodernare le ferrovie se-condarie indispensabili alla mobi-lità dei lavoratori e degli studen-ti e alla vita delle comunità locali: in particolare al Sud, che non di opere faraoniche ha bisogno, uti-li solo ad arricchire la speculazio-ne capitalista e la mafia, come il ponte sullo stretto di Messina, ma di una rete ferroviaria moderna, capillare ed efficiente, per uscire dall’isolamento in cui è confinato da 155 anni e mettersi al passo col resto del Paese e dell’Europa.

Ma per far questo occorre in-vertire completamente la marcia rispetto agli ultimi decenni di li-berismo sfrenato. Occorre che il trasporto ferroviario, nella sua in-terezza, ritorni nelle mani dello Stato e sotto il controllo pubbli-co. I trasporti pubblici devono es-sere considerati un bene essenzia-le, come l’acqua, e devono essere sottratti alla speculazione privata. Essi non devono generare profitti, ma devono essere finanziati dal-la fiscalità generale. E vanno pri-vilegiati gli investimenti nel tra-sporto pendolare, che deve essere adeguato alle richieste, efficien-te e sicuro, nonché anche gratui-to per i lavoratori, gli studenti e i pensionati.

Bari, 19 luglio 2013. Il taglio del nastro per la “messa in sicurezza”, in realtà mai completata, della ferrovia metropolitana Bari-Barletta, di cui fa parte la tratta Corato-Andria, teatro dello spaventoso incidente del 12 luglio scorso. Davanti a tutti, con le forbici in mano l’allora presidente della regione, Nichi Vendola. Alle sue spalle con la fascia tricolore, Michele Emiliano, oggi nuovo presidente della regione, che in quel momento era sindaco di Bari. E poi i sindaci dei comuni interessati e manager e dirigenti pubblici e privati. Alla sinistra di Vendola il presidente e amministratore delegato di Ferrotramviaria, Enrico Maria Pasquini

12 luglio 2016. Lo spaventoso incidente nella linea a binario unico Andria-Corato

N. 30 - 28 luglio 2016 strage ferroviaria in puglia / il bolscevico 3Sfiorata a maggio un’altra grave tragedia ferroviaria tra termoli e PeScara

lo sfascio delle ferrovie al SudIl 63% delle tratte a binario unico si trova nel Meridione

La nota sindacale del Fast Confsal successiva al tremendo incidente in Puglia, sottolinea come la tragedia fosse già stata sfiorata qualche mese fa in Abruz-zo. Lo scorso 3 maggio, sulla trat-ta da Termoli e Pescara, il treno Intercity 612 era fermo in pros-simità della stazione di Tollo con il semaforo rosso di “via impedi-ta”. Nel frattempo, dalla stazione di Ortona era stato fatto partire il Frecciabianca 9.824. In prossimi-tà di Tollo, il macchinista, favorito dal tratto rettilineo della linea, in-travede la coda dell’Intercity fer-mo e prontamente aziona la fre-nata rapida. La Freccia si ferma a pochi metri di distanza dall’al-tro treno. Se i due treni si fossero scontrati, il bilancio sarebbe stato ben più grave di quello di Andria, data la velocità a cui viaggiano le Frecce. L’Amministratore delega-to di FS, Renato Mazzoncini, ha liquidato la vicenda come un “in-conveniente di esercizio”, sten-dendo sul caso quella che il sinda-cato denuncia come una “cortina di segretezza”.

Il giorno precedente c’era sta-to un caso analogo anche sulla Ro-ma-Viterbo.

Le chiacchiere dei politican-ti borghesi tentano di rintronarci con ipotesi di errori umani e ca-sualità, scaricando tutta la respon-sabilità dell’incidente sulle ultime ruote del carro, i lavoratori, ma se anche un solo incidente fosse un caso, ben 120 incidenti dall’inizio del 2009 ad oggi sulla rete ferro-viaria italiana con 74 morti e 256 feriti sono una prova assolutamen-te inconfutabile che qualcosa di estremamente serio non funziona. 120 incidenti ci dicono che mac-chinisti e ferrovieri, svolgono ec-cellentemente il loro dovere in una situazione di sempre maggiore in-sicurezza e pressione e che, più che essere responsabili di errori fatali, hanno piuttosto salvato de-cine di vite di passeggeri da inci-

denti disastrosi, come quello sfio-rato in Abruzzo.

Ma se lo sfascio delle ferrovie è accentuato ultimamente dalla contrapposizione tra Alta velocità e megaopere, come il traforo del-la Valsusa, da un lato e linee mi-nori dall’altro, il Sud, dall’Unità d’Italia periferia dello Stato italia-no, subisce questo peggioramento generale nel quadro di uno sfascio centenario.

Dal 1861 ad oggi si contano almeno 60 gravi incidenti ferro-viari in Italia. Mancano in taluni casi i dati ufficiali, ma il numero dei morti potrebbe oltrepassare i 1.200, e quello dei feriti i 2.500.

C’è una discriminante tra Nord e Sud nel numero e nella gravità degli incidenti? Sì, c’è stata stori-camente, anche se oggi, il peggio-ramento dell’intera rete ferrovia-ria nazionale, ha fatto purtroppo lievitare il numero degli incidenti gravi anche al Centro-Nord. Sono ancora vive le terribili immagini dell’incidente di Viareggio del 25 giugno del 2009: 33 morti e deci-ne di feriti.

Nei disastri ferroviari avvenu-ti nel Mezzogiorno d’Italia dall’U-nità ad oggi, si contano almeno 800 morti e 1.200 feriti al Sud.

Gli incidenti, questo in tutta Italia, sono dovuti essenzialmente al binario unico. Ricordiamo che l’Italia ha una rete ferroviaria (RFI Ferrovie dello Stato e reti private) che si compone di 7.563 chilome-tri a doppio binario e 9.161 a bina-rio unico. Cioè, quasi il 55% del-le tratte italiane è a binario unico. Ben 5.733 chilometri di binario unico si trovano nel Mezzogior-no, cioè il 63% del binario unico si trova al Sud e questo incide e ha inciso notevolmente sulla gra-vità degli incidenti ferroviari nel nostro Meridione. La Basilica-ta ha il 95% della rete a binario unico, il Molise il 91%, la Sarde-gna l’88% e la Sicilia l’87%, l’A-bruzzo il 77%, la Calabria il 67%.

Soltanto la Puglia, con il 50% e la Campania con il 41%, scendono al di sotto della media nazionale, perché sono regioni parzialmente raggiunte dall’alta velocità.

In tutte le regioni del Sud il binario unico non è interamen-te elettrificato, benché la trazione elettrica sia la più economica, an-che in termini di costi ambienta-li. Bisogna qui specificare che la trazione elettrica non copre com-pletamente neanche le regioni del Centro-Nord, tranne ovviamen-te che le linee ad alta velocità. Ci sono ad esempio i paradossi del Piemonte, dove accanto ai progetti in Valsusa, coesistono le linee fer-roviarie periferiche a binario uni-co non elettrificato.

Al Nord la situazione peggio-re in Valle d’Aosta dove ci sono solo due linee ferroviarie (81 chi-lometri totali), entrambe a bina-rio unico. Una, l’Aosta-Chivasso, collega la Valle col sistema ferro-viario italiano, mentre l’altra, che è poi una continuazione della pri-ma, trasporta merci e passeggeri dal capoluogo a Pre-Saint Didier. Soltanto la prima linea è in par-te elettrificata, mentre lungo i re-stanti chilometri i treni viaggiano a diesel.

Ma nelle regioni del Sud siamo ancora nella massima arretratez-za. In Abruzzo, dei 566 km di rete ferroviaria solo 123 sono a bina-rio doppio ed elettrificate, 196 Km sono a binario unico elettrificate, i rimanenti 247 km sono a binario unico non elettrificato. La rete fer-roviaria del Molise conta di appe-na 265 km di linee, di cui elettrifi-cato soltanto il tratto appartenente alla Direttrice adriatica. In Cam-pania, la rete ferroviaria si compo-ne di 1.094,5 km, di cui 647,2 km a binario doppio, 854,4 km elettri-ficati. In Puglia vi sono 840 km di rete ferroviaria, di cui 421 km a bi-nario doppio, e 605 km elettrifica-te. La Basilicata ha 347 km di rete ferroviaria di cui appena 18 km a binario doppio. I km elettrifica-ti sono 211. La linea ferroviaria della Calabria si estende per 852 km, di cui 279 km a binario dop-pio e 573 km a binario unico. Nel-la regione sono elettrificati 488 km di binario. In Sicilia dei 1.379 km di linee ferroviarie ben 1.189 km sono a binario unico e 801 km sono elettrificati. Per arrivare al caso ottocentesco della Serdegna, dove nessuno dei 1.038 km, di cui addirittura 608 km a scartamento ridotto, sono ancora elettrificati.

La mancanza di binario dop-pio e di elettrificazione sulle linee e la privatizzazione di intere tratte date in concessione a società pri-vate che pensano solo al massimo profitto comportano problemi sia sulla sicurezza che sulla puntuali-tà dei trasporti, come ben sanno le masse popolari meridionali.

Le vetture peraltro sono ob-solete e sporche generalmente in tutta Italia. Il 45% dei 3.300 treni che viaggiano nelle regioni italia-ne hanno più di vent’anni e il ma-teriale rotabile ha un’età media di 18,6 anni. Nelle regioni meridio-nali però si raggiungono picchi ben più alti. In Puglia il 64,4% dei treni ha più di vent’anni e un ma-teriale rotabile che ha raggiunto in media i 23 anni di vita.

La questione della sicurezza, di vitale importanza per le masse popolari, è anch’essa strettamen-te connessa alla contrapposizio-

ne tra alta velocità e mostruose opere da un lato e linee periferi-che dall’altro. Sul sito delle Fer-rovie italiane (www.rfi.it) si può leggere che RFI ha meritato il più importante premio mondiale per la ricerca ferroviaria, “il Best Pa-per Award 2006, come riconosci-mento dell’esperienza e dell’ec-cellenza dell’attività svolta” per aver adottato l’innovativo siste-ma di sicurezza Ertms (European reail traffic management system). Il problema è che il sistema è atti-vo su 4.242 km di linee, cioè solo sulle ricche linee ad alta velocità in parte del Centro-Nord. Le li-nee tradizionali a binario unico, tutte quelle meridionali di sicuro, sono sorvegliate da sistemi obso-leti. Fino ad arrivare all’utilizzo di telefoni per le trasmissioni tra ca-potreno e capostazione, che si co-municano se un treno è già partito e se il binario è ingombro. Siste-mi assolutamente meno sicuri, pri-vi di quei doppi sistemi di sicurz-za automatici che sono in grado di porre riparo a distrazioni, errori umani e casualità. Un capostazio-ne o un capotreno da soli senza l’ausilio di sistemi automatici (si pensi al gps) non potranno mai co-noscere se in qualche parte della linea si è verificato un errore, un treno è sfuggito al controllo o se un messaggio è stato o meno cor-rettamente recepito.

A questa mancanza di sicurez-za vanno aggiunte le riduzioni del personale, i tagli alla formazione, i turni spesso massacranti, la scarsa o carente manutenzione al mate-riale rotabile, la chiusura delle of-ficine riparazioni, problemi che al Sud con la soppressione di intere tratte hanno gettato nell’abbando-no e nel caos le ferrovie.

Renzi non può lavarsi la co-scienza della tragedia di Andria. Il suo stesso governo da quando è in carica ha tagliato fondi alle regio-ni del Mezzogiorno, proprio quel-li destinati al miglioramento della rete ferroviaria. Nell’Autunno del 2015, con la connivenza del Parla-mento nero, ha assegnato 4 miliar-di e mezzo di Euro alla rete fer-roviaria del Centro-Nord Italia e appena 60 milioni di Euro all’in-tero Mezzogiorno! Cioè poco più

dell’1% delle risorse disponibili. Il Mezzogiorno è stato derubato di quei fondi dal governo Renzi. È stato il ministro PD delle infra-strutture e dei trasporti, Graziano Delrio, che adesso si interroga sui morti di Andria, a operare coscien-temente per mantenere al lumicino gli investimenti al Sud e proprio per i raddoppi ferroviari. Era sta-to sempre il governo Renzi a sta-bilire che dei 28 miliardi destinati al sistema ferroviario nel 2015 dal Programma Operativo Nazionale “Infrastrutture e Reti” 2014/2020, ne andassero al Mezzogiorno solo poco più di 3.

In conclusione le responsabili-tà dell’incidente di Andria cadono sul governo centrale, Renzi e Del-rio, e sui governi e amministrazio-ni regionale e locali, a cominciare da Vendola ed Emiliano.

Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze

4 il bolscevico / interni N. 30 - 28 luglio 2016

Secondo i dati Ocse

Precari il 57% dei giOvaniAumentati ulteriormente grazie al Jobs Act

Nell’Italia di Renzi regnano la precarietà e la disoccupazione. A certificarlo nuovamente sono i dati contenuti nel rapporto sull’oc-cupazione in Europa presentato il 7 luglio dall’Ocse. E se a dirlo è l’Organizzazione per la coopera-zione e lo sviluppo economico, al servizio del grande capitale e ispi-ratrice delle peggiori politiche di compressione dei diritti dei lavo-ratori, c’è proprio da crederci.

Il rapporto fotografa la situa-zione dei giovani sotto i 25 anni: la percentuale delle ragazze e dei ragazzi di quell’età con un lavo-

ro precario nel 2015, quindi col Jobs Act in azione, sale al 57,1% rispetto al 56% del 2014. La per-centuale di chi è rimasto nello stesso posto di lavoro per meno di un anno sale al 43% nel 2015, un aumento più che considerevole ri-spetto al 37,9% dell’anno prece-dente. Peggio dell’Italia solo Gre-cia e Spagna.

Accanto al precariato endemi-co c’è un 40,3% di giovani disoc-cupati a fine 2015, in calo rispet-to alle percentuali ben peggiori degli anni scorsi, ma ugualmente inaccettabile, tanto più se si tie-

ne conto che molti hanno comun-que trovato lavori precari, e che comunque dimostra il fallimento delle “tutele crescenti” che avreb-bero dovuto cancellare la disoccu-pazione giovanile come per ma-gia. Più di un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni non studia né cerca lavoro.

A completare il quadro c’è il dato dei disoccupati di lunga du-rata, non solo giovani: il 58,7% dei disoccupati totali cerca lavoro da più di un anno. La percentuale sale al 65% per i senza-lavoro con più di 55 anni.

L’Ocse, naturalmente, non cri-tica il Jobs Act, anzi addirittura chiede di consentire alle imprese di “derogare al contratto naziona-le in caso di difficoltà economi-ca”, mettendo la pietra tombale su ogni straccio di diritto contrat-tuale dei lavoratori. Per i guru del capitalismo, il Jobs Act “ha in-centivato l’uso di contratti a tu-tele crescenti al posto di contratti temporanei con creazione netta di occupazione”. Peccato che i dati si riferiscano al 2015, con gli in-centivi a pieno regime, e non spe-cificano quanti dei nuovi contratti

siano stati riconvertiti dai vecchi. Inoltre si occulta volutamente la cruda realtà, cioè che il Jobs Act non prevede contratti stabili ma estende la precarietà a tutti, visto che i contratti nominalmente sono sì a tempo indeterminato, ma con la possibilità per il padrone di li-cenziare a piacimento. Comunque dai dati Ocse emerge chiaramen-te che il Jobs Act non produce la-voro né aumenta i salari. Questi ultimi sono diminuiti dello 0,2% dal 2007, un dato apparentemen-te minuto che non deve però trarre in inganno visto che si tratta sta-

tisticamente di migliaia di dollari, e ben lo sanno i lavoratori che vi-vono questa condizione sulla pro-pria pelle.

Ciò che il governo Renzi sta facendo, nel solco dei suoi pre-decessori, è rubare ai giovani il diritto ad un lavoro stabile e tu-telato, cioè il diritto a pianificar-si un futuro senza la minaccia co-stante della disoccupazione. Ecco perché i giovani devono ribellarsi e cacciarlo e battersi per il lavo-ro stabile, a tempo pieno, a sala-rio intero e sindacalmente tutela-to per tutti.

SecOndO dati inPS, OcSe e iStat

Fermi gli stipendi dei lavoratori italiani Più della metà delle famiglie hanno ridotto nel 2015 la spesa per il cibo

Nonostante il governo cerchi di rappresentare la situazione eco-nomica italiana come una delle migliori a livello europeo, i dati che provengono da organismi na-zionali e internazionali dimostra-no l’esatto contrario. Non sono bastati i Twitter, conferenze stam-pa, saluti di fine anno, né giorna-li, tv e altri mezzi d’informazio-ne (con l’Unità, la Repubblica e i canali Rai in prima fila) che pro-pagandano a spron battuto un’im-magine dell’Italia in ripresa e con la crisi oramai alle spalle.

L’ Ocse (L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo eco-nomico) raggruppa 34 Paesi a re-gime capitalistico avanzato e il suo rapporto sull’economia e sul mercato del lavoro che analizza i dati relativi al 2015 ci dice che il differenziale tra la percentuale di occupati nel 2015 è ancora infe-riore rispetto a quella del 2007. Questo sta a significare che qua-si 10 anni dopo l’inizio della più grande crisi capitalistica degli ul-timi decenni e una seppur debole ripresa, anche se non in tutti i 34 stati membri, non si è ancora rag-giunto il livello pre-crisi con quasi 6 milioni di occupati in meno.

Questo è il quadro generale ma per quanto riguarda il nostro Pa-ese i dati sono ancora più preoc-cupanti. Il nuovo duce Renzi e i suoi ministri si nascondono dietro la foglia di fico dei “leggeri mi-glioramenti” e dei giudizi positivi al Jobs Act contenuti nel rapporto, ma questi presunti miglioramenti ci sono stati ad inizio anno per i lauti sgravi fiscali sulle nuove as-sunzioni concessi ai padroni con la controriforma del mercato del lavoro, dopo il loro drastico ridi-

mensionamento però è stato qua-si annullato del tutto il dato po-sitivo.

Nella nota del documento de-dicata al nostro Paese si rileva come il tasso di occupazione per la popolazione tra i 15 e 74 anni ha ripreso a crescere dal primo tri-mestre 2015 per poi calare di nuo-vo e attestarsi al 49,4%, sottoli-neando come il dato italiano è il terzo più basso tra i Paesi appar-tenenti all’Organizzazione, dopo la Grecia e la Turchia, e dovreb-be restare inferiore al livello pre-crisi anche nel 2017. Il tasso di di-soccupazione, aggiunge la nota, è sceso a 11,5 % dal picco del 12,8% ma rimane di molto supe-riore alla media. l’Italia svetta in un’altra poco ambita classifica: è il terzo paese dell’Ocse per disoc-cupazione giovanile con un tas-so che rimane al 40,3 % davanti solo a Spagna (48,3%) e Grecia (49,8%).

Altra nota dolente sono il peso dei salari: “la crescita dei salari in termini reali è debole dal 2007 evidenziando il rischio di una sta-gnazione salariale duratura”. Qui non si scopre niente di nuovo, lo sanno benissimo i lavoratori ita-liani che la loro busta paga è sem-pre più leggera. Tutte le statisti-che; Ocse, Eurostat, Fondazioni private danno gli stipendi italiani tra i più bassi d’Europa ed anche quelli con una maggiore disugua-glianza. I salari d’ingresso sono i più bassi in assoluto mentre mano a mano che sale la professionali-tà e l’anzianità si rientra nella me-dia. Quando invece si parla di ma-nager e dirigenti sia pubblici sia privati l’Italia balza al primo po-sto: in media un colletto bianco

nostrano guadagna il 33% in più rispetto a un suo omologo euro-peo.

Operai e impiegati invece hanno subito una drastica perdi-ta di potere d’acquisto tanto che una larga fascia di popolazione ha dovuto ridurre le voci di spe-sa essenziali come quelle sanitarie mentre oltre la metà delle famiglie nel 2015 ha ridotto persino la spe-sa alimentare. A questa situazio-ne hanno contribuito il blocco dei salari dei dipendenti pubblici (tra l’altro giudicato incostituzionale dalla Consulta), il mancato rinno-vo dei contratti a oltre 12 milioni di lavoratori e il peso del “cuneo fiscale”. Le imposte che gravano sul lavoro sono sopra la media e in aumento ma mentre i padro-ni usufruiscono continuamente di sempre maggiori sgravi e agevo-lazioni in Italia abbiamo la pres-sione fiscale più elevata sui lavo-ratori a bassa retribuzione.

La miseria degli stipendi ita-liani è certificata anche dall’Istat. L’istituto nazionale di statistica ha

infatti rilevato che la crescita delle retribuzioni contrattuali orarie nel primo trimestre del 2016 è stata la più bassa mai registrata dall’ini-zio delle serie storiche e cioè da 34 anni a questa parte. Si dice an-che del potere d’acquisto delle fa-miglie cresciuto del’1%, un dato apparentemente in contraddizione se non fosse che ciò è dovuto alla drastica riduzione dell’inflazione che riflette il blocco dei consumi che di fatto rimangono invariati. Grandi sono le differenze tra re-gione e regione. La Calabria risul-ta essere la regione con la spesa mensile familiare più bassa, 1.729 euro, mentre Lombardia, Trenti-no–Alto Adige ed Emilia–Roma-gna sono le regioni con la spesa mensile più elevata, tutte e tre at-torno ai 3mila euro.

Nel 2015 l’Istat stima che le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta siano pari a 1 milione e 582 mila e gli individui a 4 milioni e 598 mila (il nume-ro più alto dal 2005 a oggi). Que-sto andamento nel corso dell’ulti-

mo anno si deve principalmente all’aumento della condizione di povertà assoluta tra le famiglie con 4 componenti (da 6,7 del 2014 a 9,5%), soprattutto coppie con 2 figli (da 5,9 a 8,6%) e tra le famiglie di soli stranieri (da 23,4 a 28,3%). Segnali di peggioramento si registrano anche tra le famiglie che risiedono nei comuni centro di area metropolitana (l’incidenza aumenta da 5,3 del 2014 a 7,2%) e tra quelle con persona di riferi-mento tra i 45 e i 54 anni di età (da 6,0 a 7,5%).

Si amplia l’incidenza della po-vertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata (da 5,2 del 2014 a 6,1%), in parti-colare se operaio (da 9,7 a 11,7%). Rimane contenuta tra le famiglie con persona di riferimento diri-gente, quadro e impiegato (1,9%) e ritirata dal lavoro (3,8%). A li-vello regionale al Nord la pover-tà aumenta sopratutto tra le fami-glie di stranieri mentre al Sud tra le famiglie numerose e quelle con membri in cerca di occupazione.

Anche i dati dell’Inps sul 2015 vanno a rafforzare questo quadro tutt’altro che roseo. Nonostan-te adesso si divida l’anno per 12 mesi e non più 13 (escludendo la tredicesima) i pensionati che per-cepiscono un assegno lordo al di sotto dei mille euro risultano il 38%, in larga maggioranza donne. Assegni che Tito Boeri, il presi-dente dell’ente, definisce “inade-guati”. Il rapporto registra 37mila pensionati in meno, un dato cer-tamente negativo perché vuol dire altrettante assunzioni di nuovi la-voratori in meno, “grazie” alla legge Fornero e al brusco innalza-mento dell’età pensionabile.

Una situazione sempre più in-sostenibile per i lavoratori e le masse popolari, costretti a porta-re sulle proprie spalle tutto il peso della crisi capitalistica. Di fronte a tutto questo diventa sempre più inaccettabile l’immobilismo e la passività dei sindacati, in special modo di quelli più rappresentativi come Cgil, Cisl e Uil.

come risulta da un rapporto dei nas sui controlli effettuati in circa tremila scuole

BOcciate le menSe ScOlaSticheIl ministro Lorenzin: “Non sono dati allarmanti”

Inquietanti i dati del rappor-to presentato dai Nas sulle mense scolastiche italiane, che fa segui-to alle 2.678 le ispezioni effettuate nell’anno scolastico 2015-2016: in 670 casi, ovvero il 25%, c’era qualcosa che non andava.

Di irregolarità ce n’è un intero menu: si va dagli alimenti conta-minati o ammuffiti, alla sporcizia che sommerge le cucine, alle frodi sulle forniture.

Sono stati oltre 4.200 i chili di alimenti sequestrati perché in cat-tivo stato di conservazione, alte-rati, o mancanti di tracciabilità ed etichettatura. In tutto 101 persone sono segnalate all’autorità giudi-ziaria e 487 a quella amministra-tive, 164 le sanzioni penali e 764 quelle amministrative per com-plessivi 491.496 euro. In partico-lare, al Nord sono stati effettuati 721 controlli, di cui 157 (21%) non conformi e una struttura è sta-

ta chiusa. Al Centro 1.041 con-trolli di cui 285 (27%) con irrego-larità e 19 le strutture chiuse. Al Sud 916 controlli, di cui 228 non conformi e 17 strutture chiuse.

In totale 37 sono state chiuse nell’anno scolastico appena termi-nato a causa del rinvenimento di elementi nocivi nel cibo sommini-strato ai bambini, oppure per scar-sa igiene o cibo in pessimo stato. Spesso nelle mense venivano ser-viti in tavola cibi scaduti, congelati e spacciati per freschi, tradizionali ‘mascherati’ da biologici, alimen-ti comunitari rietichettati come “made in Italy”, o anche contami-nati da listeria e stafilococchi, yo-gurt scaduto e pane con muffa.

Da sottolineare che l’indagi-ne era a campione e quindi non vi è stata l’ispezione a tappeto delle mense scolastiche italiane, altri-menti i dati avrebbero potuto es-sere ben più preoccupanti.

“Non sono dati allarmanti”, commenta incredibilmente il mi-nistro della Salute Beatrice Lo-renzin, NCD, che minimizza. L’anomalia più frequente sarebbe secondo la ministra “che quello che era previsto in base alla gara d’appalto, in realtà non veniva somministrato, come olio d’oliva che dovrebbe essere extravergine e non lo è, o prodotti che doveva-no essere a filiera corta e invece venivano da un discount”. Andia-mo bene: un ministro della salute che non vede o non vuole vedere i pericoli alla salute pubblica. La Lorenzin non è che un altro esem-pio di come la corruzione del si-stema e il malaffare abbiano co-perture pratiche e ideologiche a tutti i livelli istituzionali.

Ma si fosse anche trattato sol-tanto di qualche reato di natura amministrativa, la truffa non sa-rebbe proprio irrilevante, dato

che le mense prendono soldi dallo Stato, oltre che farsi pagare profu-matamente dalle famiglie, metten-do alla porta i figli di coloro che non possono permettersi la retta. Il tutto in un quadro di incremento del costo del servizio, giustificato solo dalla corsa al profitto.

Questo è l’ovvio risultato della privatizzazione e dell’esternaliz-zazione dei servizi mensa, ormai quasi tutti in mano a cooperative private che, oltre a fornire un ser-vizio spesso pessimo, sfruttano e sottopagano i lavoratori.

Non ci servirà l’uscita propa-gandistica della ministra che pro-mette di arrivare “di sorpresa” in una mensa scolastica a risolvere il problema. Il problema si risol-ve pubblicizzando le mense scola-stiche e universitarie italiane, in-stallandone di nuove, pubbliche e gratuite dove mancano, soprattut-to al Sud, e con cibo di qualità.

Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHIe-mail [email protected] Internet http://www.pmli.itRedazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di FirenzeEditore: PMLI

ISSN: 0392-3886chiuso il 20/7/2016

ore 16,00

N. 30 - 28 luglio 2016 roma e la parentopoli M5S / il bolscevico 5Conquistato il Campidoglio, il partito di Grillo emula gli altri partiti del palazzo

ParentoPoli M5S a roMa Il sottogoverno occupato da familiari e amici degli amici

Lo scontro fra la fazione del “raggio magico” capeggiata dal-la neo sindaco di Roma Virgi-nia Raggi e le fazioni presenti nel “mini direttorio” del boss Di Maio e della “faraona” Roberta Lom-bardi che nelle settimane scorse ha caratterizzato la spartizione de-gli assessorati in Campidoglio e il varo della prima giunta capitolina del M5S continua anche in “peri-feria” dove il nepotismo, il famili-smo, i legami di sangue, d’amore e di amicizia e soprattutto il ricor-so al classico manuale Cencelli di democristiana memoria la fanno da padrone anche nell’assegnazio-ne delle circa 300 poltrone di sot-togoverno dislocate fra i quindici municipi capitolini.

Nemmeno l’intervento di Gril-lo che ha silurato la Lombardi e invitato la Raggi ad andare avanti è servito a sedare del tutto la rissa fra le diverse fazioni e lo sputtana-mento di tutto il Movimento agli occhi dell’opionie pubblica.

Nel popoloso III municipio, guidato dalla minisindaca Roberta Capoccioni, ad esempio, Giovan-na Teodonio, moglie di Marcel-lo De Vito, pupillo della deputa-ta Roberta Lombardi, il più votato in assemblea capitolina di cui è di-ventato presidente, è stata nomi-nata assessore alla Sicurezza del personale e Polizia locale. In cam-bio la 27enne Veronica Mammì, già portaborse della deputata Fe-derica Daga nonché fidanzata del bis-consigliere comunale Enrico Stefàno, uscente in VI municipio, è stata “trasferita d’ufficio” al VII (Appio-Cinecittà), dove la presi-dente Monica Lozzi le ha dato la delega alle Politiche Sociali. Un trasferimento studiato a tavoli-no per aggirare il vincolo dei due mandati consecutivi propaganda-to come un toccasana contro la corruzione e che invece rischia di trasformarsi in un boomerang dal momento che porterà alla Mammì un doppio vantaggio: da un lato, gli permette di saltare un mandato

e quindi cadidabile alle prossime elezioni politiche o regionali fra un anno o due e, dall’altro, conti-nua a riscuotere lo stipendio per il nuovo incarico ricoperto.

Altro che “meritocrazia, capa-cità e competenza” di cui cian-ciano i dirigenti grillini. Altro che “due mandati e poi a casa”. Basta cambiare assemblea elettiva ed il gioco è fatto; infatti oggi si cam-bia municipio di Roma, domani da consigliere regionale a senato-re e nel giro di pochi anni avremo avremo frotte di riciclati a 5 Stel-le, sindaci di piccole e grandi cit-tà che migreranno dal parlamento nazionale, a quello europeo, alla presidenza di regioni e viceversa e si scanneranno per una poltrona, esattamente come avvenne negli altri partiti e usando gli stessi me-todi e la stessa politica nepotista e spartitoria in auge ai tempi di An-dreotti, Craxi, Forlani, Occhetto.

Non solo! Nel M5S può anche “capitare” che l’assistente alla co-municazione del deputato Enri-co Baroni, Mario Podeschi, venga nominato assessore al Sociale in V municipio. Mentre l’architetto Giacomo Giujusa - consulente per le tematiche ambientali dell’ono-revole Vignaroli, convivente del-la senatrice Taverna - conquisti la delega all’Ambiente e Lavori pub-blici in XI. Con il dipendente Atac Alfredo Campagna, appena eletto presidente in XIV, già compagno di scuola di Andrea Severini, ma-rito separato di Virginia Raggi, che proprio in quel territorio risiede.

Altro che “Uno vale uno”! Il canale privilegiato dei 5 stelle per entrare nelle istituzioni borghesi è lo stesso utilizzato dai Mastel-la, dai Gava, dai Pomicino e dai Mannino .

La conferma che il M5S inve-ce di combattere la casta si è pra-ticamente sostituito ad essa arriva dal VIII municipio. Nel parlamen-tino di via Benedetto Croce sie-dono una accanto all’altra Teresa Leonardi (40 preferenze) ed Eleo-

nora Chisena (91), madre e figlia; Giuseppe Morazzano (41 voti) e Luca Morazzano (34), padre e fi-glio. Senza dimenticare Daniele Diaco e Silvia Crescimanno erano fidanzati quando, nel 2013, appro-fittando della doppia preferenza di genere, divennero entrambi consi-glieri in XII. Nel frattempo si sono sposati: oggi lei è presidente del municipio, lui ha preso uno scran-no in Campidoglio.

I casi di coppie pentastellate con incarichi di governo, del re-sto, sono molti: Di Maio-Virgul-ti, Nesci-Nuti, Giordano-Mante-ro, Taverna-Vignaroli. Così come i casi di parenti e amici assunti

come collaboratori. Barbara Lez-zi aveva assunto la figlia del suo compagno, Libera. Wilma Moro-nese ha preso come collaboratore il compagno Giuseppe Rondelli. Il senatore Andra Cioffi ha assun-to Alessandra Manzin, fidanzata di Paolo Adamo, uomo della Ca-saleggio e assistente in Senato di Rocco Casalino, con delega ai so-cial network.

Il nepotismo e il familismo pentastellato non si ferma tra le mura di Roma ma travalica i con-fini del Grande raccordo anula-re e arriva anche in provincia. Per la precisione a Genzano, Comune dei Castelli Romani dove i pen-

tastellati si sono imposti alle ulti-me amministrative, come del resto a Marino, Nettuno e Anguillara. In Consiglio comunale a Genza-no sono stati eletti Elena Mercu-ri e Luigi Nasoni, moglie e marito che hanno approfittato alla grande della doppia preferenza di genere. Entra in Comune genzanese anche Daniela Fattori, sorella dell’omo-nima senatrice pentastellata.

Un caso curioso poi è rappre-sentato dall’VIII Municipio (Gar-batella-Montagnola). Il minisinda-co Pace sta attingendo alla mailing list pentastellata per varare la pro-pria giunta.

Infine nello staff della neosin-

daca, sta per entrare Francesco Silvestri, ex collaboratore del se-natore Endrizzi, già fidanzato di Ilaria Loquenzi, capo comunica-zione alla Camera.

Insomma il Campidoglio, che rappresenta il trampolino di lan-cio per la conquista di Palazzo Chigi da parte del M5S, si sta tra-sformando in una sorta di ufficio di collocamento per familiari, pa-renti, amici e sostenitori del M5S con buona pace per tutti i milioni di elettori che in buona fede hanno creduto nel “cambiamento” pro-messo da Grillo e Casaleggio.

la procura di roma indaga su gli incarichi di Virginia raggi all’asl di Civitavecchia

Nei giorni scorsi la procura ca-pitolina ha aperto un fascicolo a carico del neosindaco a 5 Stelle di Roma, Virginia Raggi, inerente gli incarichi di consulenza affida-ti dalla Asl di Civitavecchia tra il 2012 e il 2015.

L’apertura del fascicolo, atti re-lativi modello 45, cioè senza inda-gati e senza ipotesi di reato, è stata decisa dopo la presentazione alla magistratura di un esposto da par-te dell’ Associazione nazionale li-bertà e progresso (Anlep) vicina al PD nel quale si ipotizza il reato di falso ideologico.

“Da alcuni quotidiani e noti-zie pubblicate sul web – si legge nell’esposto di Anlep fascicolato con numero di protocollo 85523 – si apprende che l’avvocato Vir-ginia Raggi avrebbe omesso di di-chiarare incarichi e compensi per attività professionale svolta in fa-vore della Asl di Civitavecchia ne-gli anni 2012, 2014 e 2015, nel

periodo in cui riceveva l’incarico di consigliere presso l’assemblea Capitolina di Roma Capitale”. In base a ciò, l’Anlep ipotizza “il re-ato di falso ideologico in atto pub-blico e altra violazione alla norma-tiva sulla trasparenza per coloro che ricoprono incarichi politici”.

Sulla vicenda il quotidiano “la Repubblica” ha aggiunto che la sindaca grillina ha ottenuto gli incarichi grazie a un “aggancio” all’interno della Asl. Si tratta di “Una funzionaria di lungo corso che le avrebbe consentito di pro-curarsi il lavoro, bypassando l’al-bo dei professionisti ai quali la Asl deve invece attingere per scegliere i nomi dei legali a cui rivolgersi. Pur non facendo parte dell’elen-co istituito nel novembre 2012, la pentastellata ottenne infatti l’inca-rico per un compenso pattuito di 5mila euro”.

Si tratta di due incarichi legali di recupero crediti per complessi-

vi 13mila euro per i quali la Rag-gi ha incassato finora un acconto di 1.878 euro. Entrambi sono stati affidati dall’Asl Roma F di Civi-tavecchia alla Raggi per fare cau-sa al dottor Giuseppe Crocchian-ti, deceduto a febbraio, accusato di avere ottenuto rimborsi indebi-ti per molti interventi alla cataratta effettuati tra il 2005 e il 2011. Gli interventi sono stati fatti passare sotto una dicitura diversa che pre-vede un rimborso maggiore: mille euro contro i 75 realmente dovuti dal Servizio sanitario nazionale.

Il primo incarico di 8mila è del luglio 2012; il secondo da 5mi-la del luglio 2014, quando Raggi era già consigliera M5S. Non solo, dalle carte risulta che il secondo incarico è stato affidato nonostan-te ci fosse un regolamento che im-poneva di scegliere professionisti iscritti all’albo creato dall’Asl nel novembre 2012: Raggi non ne fa-ceva parte ma il direttore genera-

le Giuseppe Quintavalle sostiene che conosceva il “delicato” caso in virtù del precedente incarico. In sostanza, i professionisti venivano scelti sulla base di cinque requisi-ti, il primo dei quali era “l’espe-rienza o comprovata specializza-zione”. Virginia Raggi, prescelta tra migliaia di avvocati, dichiara-va 17.278 euro di reddito netto al fisco e finora si è sempre rifiutata di dire pubblicamente chi l’ha se-gnalata alla Asl.

Del resto, pretendere “onestà, legalità e trasparenza” da un sin-daco come la Raggi che ha svolto il praticantato avvocatizio presso lo studio di Cesare Previti: “l’av-vocato degli affari sporchi di Ber-lusconi”, è a dir poco illusorio. Un rapporto di lavoro e di amicizia imbarazzante che la Raggi ha spu-doratamente omesso dal suo curri-culum quando decise di candidarsi col Movimento 5 stelle per la pol-trona di sindaco di Roma.

Finito nella rete anche l’ex assessore ai trasporti nella giunta Marino, Guido improta

13 indaGati Per la truFFa della Metro C Lo scorso 11 luglio la guardia

di finanza, su disposizione del-la procura della Repubblica di Roma, ha effettuato una perquisi-zione nella sede del Consiglio co-munale di Roma e in quella della società Roma Metropolitane, con sequestro di copiosa documenta-zione che riguarda la metro C.

In particolare è stato sequestra-to tutto il carteggio relativo ai rap-porti amministrativi tra i due ex assessori della giunta Marino re-sponsabili rispettivamente del-la mobilità e del bilancio, Guido Improta e Daniela Morgante, che avevano a lungo dibattuto all’in-terno della giunta per gli appalti alla metro C.

Il filone di indagine sugli ap-palti per la Metro C, che ha por-tato ai sequestri di documentazio-ne, è quello che vede indagate 13 persone tra amministratori locali, dirigenti di Roma Metropolitane e vertici di Metro C per il reato di truffa aggravata ai danni di enti pubblici.

Tra gli indagati i nomi più im-

portanti sono sicuramente quelli dell’ex assessore capitolino non-ché rutelliano doc Guido Improta e dell’ex dirigente del ministero dei Trasporti, Ercole Incalza, ma an-che Roma Metropolitane e Metro C hanno visto finire sotto inchie-sta una buona parte della dirigenza passata e anche attuale: per Roma Metropolitane sono infatti finiti sotto inchiesta il direttore tecnico Luigi Napoli, il consigliere di am-ministrazione Massimo Palombi, il responsabile unico del procedi-mento Giovanni Simonacci, i con-siglieri del Cda, Luadato e Nardi e il responsabile unico del proce-dimento Sciotti, mentre per Me-tro C sono stati iscritti nel registro degli indagati il presidente Franco Cristini, l’amministratore delega-to Filippo Stinellis, il direttore ge-nerale Francesco Maria Rotundi e il direttore dei lavori Molinari. Secondo i pm alcuni indagati in-ducevano in errore lo Stato (e nel-

la fattispecie il Comitato intermi-nisteriale per la programmazione economica), la Regione Lazio e il Comune di Roma, ossia i tre enti finanziatori della costruzione del-la linea C della metropolitana di Roma, circa il dovuto pagamen-to dell’importo di 230 milioni di euro, procurando un ingiusto pro-fitto alla società Metro C, in quan-to la somma non era dovuta.

Peraltro tale somma, erogata fino al 2014, non è mai stata spesa per proseguire i lavori, che infat-ti sono fermi ormai da anni, e su tale illecito utilizzo dei soldi pub-blici sono in corso, oltre a quella della magistratura ordinaria che ha portato ai sequestri di documenti, anche tre inchieste della corte dei conti aperte da tempo insieme a quella della procura di Roma.

Già nel novembre del 2013 in-fatti il procuratore regionale della Corte dei Conti, Angelo Raffaele De Dominicis, comunicava alla

stampa che erano in corso da parte del suo ufficio tre distinte inchie-ste: la prima è relativa all’abnor-me lievitazione dei costi dell’ope-ra, la seconda - nata da un esposto di un giudice della sezione con-trollo della stessa corte - riguar-da irregolarità nella delibera Cipe del 2012 che ha stanziato i 253 mi-lioni necessari a chiudere il con-tenzioso tra la stazione appaltante Roma Metropolitane e il consor-zio di imprese vincitore della gara, e la terza verte invece sui possibi-li danni all’area archeologica dei Fori derivanti dai lavori tra San Giovanni e piazza Venezia.

In quella occasione De Domi-nicis fece un vero e proprio atto di accusa nei confronti degli ammi-nistratori locali, che il magistrato accusò senza mezzi termini di non vigilare sull’impiego del dena-ro pubblico, e anche nei confron-ti degli interessi privati delle ditte costruttrici, accusate da De Domi-

nicis di tenere un comportamento torbido con la complicità di Roma Metropolitane (la società che per conto del Campidoglio segue la realizzazione dell’opera) per al-lungare artificiosamente i tempi della realizzazione dell’opera, al fine di incassare di più.

È come dire, in altre parole, che nel sistema capitalista gli am-

ministratori e i dirigenti locali, che dovrebbero attentamente vigilare affinché gli interessi privati delle ditte appaltatrici non prevalgano sugli interessi pubblici che van-no a vantaggio della collettività, rimangono invece irretiti proprio da quegli interessi delle ditte pri-vate che dovrebbero controllare, con il risultato che le opere pubbli-che rallentano e lievitano di costi a danno di tutta la collettività.

Spesi 320 milioni per lavori mai fatti

Le richieste vanno indirizzate a:[email protected] - via A. del Pollaiolo, 172/a 50142 FirenzeTel. e fax 055 5123164

richiedete

6 il bolscevico / PMLI N. 30 - 28 luglio 2016

Panama

“Luminoso Futuro” pubblicizza la commemorazione di mao promossa dal CC del PmLI

Il blog panamense “Lu-minoso futuro” sta pub-blicizzando sul web la commemorazione di Mao promossa dal CC del PMLI, rilanciando il mani-festo dell’iniziativa accom-pagnato da una nota titolata “PMLI: un’iniziativa sto-rica da assumere come im-pegno irrinunciabile” in cui si legge: “Per 39 anni, dal-la sua triste scomparsa fi-sica, il 9 settembre 1976, il Partito marxista-leninista

italiano ha commemora-to ogni anno questo evento doloroso per il movimento comunista internazionale (marxista-leninista). Come prevedibile, nella data più prossima a tale ricorren-za, del 9 settembre 2016, il PMLI si prepara a rende-re omaggio al Grande Ma-estro del proletariato rivo-luzionario internazionale il compagno Presidente Mao Zedong. Sarebbe oppor-tuno che questa iniziativa

storica, del PMLI, venisse adottata da ciascuna del-le scuole di interpretazione e applicazione del pensie-ro di Mao Zedong come un impegno permanente e irri-nunciabile. Ribadiamo che, per le sue idee e l’impegno nel corso della sua vita, per il suo lavoro e i suoi inse-gnamenti scientifici rivo-luzionari, facciamo nostra con tutto il cuore la paro-la d’ordine ‘Con Mao per sempre!’”.

Diffusione alla Coop-Ovs di viale Talenti a Firenze

COnsensI aL vOLanTInO DeL PmLI “vOTa nO”

�Redazione di FirenzeGiovedì 14 luglio militanti e simpatizzan-

ti della Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze hanno diffuso il volantino “Vota No alla controriforma piduista e fascista del se-nato” davanti alla Coop-Ovs di viale Talenti. Nonostante la piena estate e la relativa scar-sa affluenza di persone, sono stati diffusi 200 volantini.

La posizione del PMLI è stata accolta con interesse, molti hanno dichiarato di essere d’accordo a votare No al prossimo referen-dum e qualcuno si è soffermato per esprime-re i propri sentimenti di sdegno e contrarietà alla politica portata avanti da Renzi.

La biografia di stalin realizzata dal PmLI è

un’opera fondamentaleCari compagni,ritengo importante, come pe-

raltro tutti questi testi e gli artico-li de “Il Bolscevico”, il volume del PMLI su Stalin, edito in occasio-ne del ventisettesimo Anniversa-rio della Fondazione dello stesso PMLI, caduto il 9 Aprile 2004.

La figura del Maestro georgia-no (efficace la similitudine con le cinque dita della mano, che ren-dono la progressione storica, da Marx ed Engels, a Lenin, a Sta-lin, a Mao), vissuto in condizioni difficili, costretto a seguire gli stu-di superiori in seminario, non cer-to per vocazione ma perché altri-menti non avrebbe avuto alcuna altra possibilità di seguirli, vie-ne spiegata nella sua evoluzio-ne intellettuale e politica, a partire dall’adesione al marxismo-lenini-smo, già verso i vent’anni.

Nel febbraio del 1905, Stalin (Josif Vissarionovich Dzugasvi-li, nato nel dicembre del 1879), giovane dirigente bolscevico dell’Unione del Caucaso coglie la volontà del governo zarista di di-videre i Russi: “Il governo dello Zar... semina l’ostilità tra le na-zionalità della Russia, le aizza l’una contro l’altra, si sforza di frantumare il movimento gene-rale del proletariato in picco-li movimenti e di volgerli l’uno contro l’altro, organizza il po-grom contro gli ebrei, gli arme-ni, ecc.” (Stalin, “Viva la fratellan-za internazionale” del 13 febbraio 1905).

In Stalin è già chiarissima la prospettiva internazionalista, pe-raltro desunta da Marx, Engels, Lenin, ma applicata in modo ori-ginale a un problema specifico, quello della Russia - allora zarista - e in particolare alla situazione transcaucasica, specifica in quan-to crocevia di diverse popolazio-ni, di lingue e provenienze diver-se. A parte la netta condanna dei pogrom, che ridicolizza le calunnie borghesi e revisionistiche su un presunto “antisemitismo” di Sta-lin, emerge netta la condanna di ogni guerra, sempre imperialistica e fautrice degli interessi della bor-ghesia e - all’epoca dello zarismo e degli imperi -, favorevole agli in-teressi congiunti di aristocrazia, alto clero e borghesia; frasi anco-ra validissime, se pensiamo all’in-

venzione borghese dello “scon-tro di civiltà” (Samuel Huntington) che, da fine anni Novanta le po-tenze imperialistiche perseguono, contro i popoli oppressi del Medio Oriente, dell’Africa, dell’Estremo Oriente, per un ordine mondiale rigorosamente bianco, occiden-tale, cristiano, borghese, quella strategia euroamericana che dal-le guerre del Golfo e dall’invasione di Iraq e Libia, con la scusa di Al Qaeda arriva all’attacco indiscri-minato all’ISIS e alle popolazioni coinvolte.

Ancora, in “Trotzkismo o leni-nismo?”, narrando ed esaminan-do le sedute del Comitato Cen-trale del Partito Comunista Russo (Bolscevico) Stalin demistifica agevolmente “la leggenda sulla funzione particolare di Trotzki nell’insurrezione d’Ottobre”. La condanna del trotzkismo e quindi del revisionismo in genere (il trot-zkismo ne è quasi l’emblema, po-tremmo dire, provenendo Trotzki dal menscevismo e quindi dalla socialdemocrazia, poi, credendo di rimediare al suo revisionismo di destra, finisce in quello di sini-stra, contaminando il marxismo con l’anarchismo) è del resto sen-za appello, sempre, in tutte le pre-se di posizione e negli scritti, im-portantissimi, come dimostra, tra gli altri, il seguente passo di “I no-stri dissensi” (19 gennaio 1921): “Trotzki sbaglia perché misco-nosce la differenza che esiste tra organizzazione operaia e or-ganizzazione militare, non ha capito che la contrapposizio-ne dei metodi militari a quelli democratici(sindacali)è neces-sario e inevitabile nel momen-to della fine della guerra e del-la rinascita dell’industria, che perciò è errato trasferire i me-todi militari nei sindacati...”. An-che qui, se pensiamo agli errori di oggi, dei movimentisti, bertinottia-ni o “rizziani”, dei vari opportunisti che si fanno passare per “marxisti-leninisti”, bisogna pur riconoscere, tristemente, che la pessima lezio-ne del pessimo “maestro” Trotzki ha fatto scuola e continua a farla.

Idem per la lucidissima anali-si del perché gli hitleriani non si-ano “nazionalsocialisti”; perché, ci dice Stalin, gli hitleriani non sono ora (durante la Seconda guerra mondiale) nazionalisti, ma impe-rialisti e non si possono conside-rare socialisti. In realtà sono dei nemici giurati del socialismo, ul-trareazionari e centoneri.

Enumerare i meriti del Maestro Stalin comporterebbe una tratta-zione molto lunga, qui non possi-bile, a meno di non arrivare alla lunghezza di un libro quale que-sto, bellissimo e completo dal punto di vista analitico e sinteti-co, chiaro quanto profondo, sen-za dimenticare la fondamenta-le appendice, che comprende un editoriale del compagno Segreta-rio generale del PMLI, Giovanni Scuderi “Teniamo alta la grande bandiera rossa di Stalin”, non-ché “Sulla storia del socialismo in URSS”. Il grande capolavoro di Lenin e Stalin distrutto dai revisio-nisti” (speciale de “Il Bolscevico”, n.10/2001), di cui riassumo bre-vissimamente (e quindi con tutti i limiti di un simile riassunto) i pun-ti nodali: a) Non esiste culto della personalità in Stalin, anzi egli lo ri-fiutava totalmente; altra cosa è la disperazione del popolo russo alla sua morte (4 Marzo 1953), quan-do piange il grande Timoniere del-la Rivoluzione bolscevica; b) l’in-vito, anzi l’esortazione alla pace e all’internazionalismo proletario in tutta l’opera e l’operato di Stalin; c) La continuità tra Marx ed En-gels, Lenin e Stalin, dove le ricor-renti mistificazioni pseudostoriche si negano da sole; d) Il pericolo, sempre ritornante, del revisioni-smo, sempre denunciato da Sta-lin, dove lo stesso (revisionismo) si ripresenta in forme diverse, ma sempre convergenti; e) I proces-si di Mosca furono pubblici e mai ispirati da accanimento punitivo, ma limpidi nella loro necessaria “durezza”, data dalla volontà di stroncare il pericoloso insito nel revanscismo, nel nazionalismo e nel revisionismo, anche quando molto ben travestiti.

In tutti i testi dei Cinque Mae-stri troviamo spunti di riflessione per l’oggi: così se l’analisi econo-mica di Marx (e di Engels) ci dà una disamina precisa del capitali-smo di oggi come di ieri, così En-gels ci invita a leggere materiali-sticamente e dialetticamente la natura e la scienza, senza incor-rere in sirene idealistico-spiritua-listiche; in Lenin, Stalin e Mao, con diverse accentuazioni, relati-ve all’epoca storica, ma sempre con saldo riferimento alla dottrina marx-engelsiana, cioè al materia-lismo storico e dialettico, con una visione internazionalista e mai solo “nazionale”, troviamo orien-tamenti per leggere la realtà, ol-tremodo complessa e “intricata”, nella quale ci troviamo a vivere.

Cari saluti marxisti-leninisti.Eugen Galasso - Firenze

Da marxista-leninista vorrei collaborare

col PmLICompagni e compagne del

PMLI,ho 33 anni, sono laureato e

attualmente disoccupato. Dai 18 anni in su partecipo attivamen-te alla vita politica sposando da sempre i vostri valori che mi acco-

munano profondamente al vostro agire e al vostro pensare.

Io da sempre mi sono identi-ficato come marxista-leninista in quanto, cari compagni/e, ho cre-duto e credo tuttora fortemente che sia possibile uno sviluppo so-ciale, comportante una trasforma-zione sociale, ancora di più oggi che nel passato.

Mi sono approcciato a voi per-ché ho concepito, magari tardi, e fatta mia l’idea di base che la po-litica, una politica reale, concreta effettiva di trasformazione (nego gran parte della concezione idea-le della vita e della realtà) la si può fare, se si è uniti, compatti e co-scienti, anche al di fuori dell’appa-rato statale, al di fuori del sistema rappresentativo borghese.

Dico questo, compagni e com-pagne, perché rifiutato e chiuso col passato. Fondamentalmente ho fatto politica attiva per il Parti-to di Rifondazione Comunista, nel-la sezione che c’era qui da me a Treviso, che però nel suo percorso storico mi ha tradito e ritradito strin-

gendo più o meno alleanze con più o meno forze centriste e conserva-trici, in sostanza, si è venduto per un seggio in parlamento. È un par-tito che si è venduto!

Ho coltivato le mie esperien-ze post Rifondazione Comunista nella politica sociale, nel volon-tariato. Tale percorso mi ha fatto crescere e far mio ancor di più il motivo stesso della mia esisten-za che immagino sia condivisibi-le con voi compagni, ovvero di un mondo emancipato dalle logiche di mercato capitalistiche e impe-rialiste, che comportando sfrut-tamento totale dei lavoratori e non, a favore del socialismo reale come atto prima per il comunismo evoluto e creato, ovviamente non come fine ultimo, ma anche come propulsore per rigenerarsi e rivo-luzionarsi.

Ora sono attivo nell’associa-zione Onlus “I Care” in Treviso che combatte la povertà del mon-do soprattutto dei Paesi africani (per esempio, molto probabilmen-te, a settembre partirà un corso

per la formazione di 20-25 volon-tari che si occuperanno di vigilare e segnalare qualsiasi forma di di-scriminazione razziale).

Vorrei, se possibile, fare prati-ca, agire anche con voi sostenen-dovi con tutte le forze che ho a disposizione ma principalmente nelle stretta collaborazione, im-plicita nell’associazionismo uma-no e delle relazioni sociali. Come posso collaborare concretamente con voi e per voi? E vi chiedo nel vostro più totale rispetto, da ulti-mo arrivato, in punta di piedi, che ascolta e recepisce ogni consiglio su che cosa posso fare per ren-dermi pratico per voi, per la lotta di classe, per la rivoluzione socia-le e per la vittoria del proletariato sul capitalismo!

Ringraziandovi e supportan-dovi di cuore aspetto una risposta gentilissimi/e compagni/e.

Enrico - Treviso

Dall’intervento tenuto l’11 ottobre 2015 da Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, alla 5a Sessione plenaria del 5° CC del PMLI

Negli interventi curare 3 coseNei nostri interventi orali e scritti ci sono tre cose che dobbiamo fare sempre, curare che essi abbiano la massima dialettica, argomentazione e documentazione. Sono tre passaggi fondamentali.

Per quanto riguarda la documentazione occorre cercare alla fonte i documenti ufficiali, utilizzando nel modo corretto Internet.

Firenze, 14 luglio 2016. La diffusione del vo-lantino del PMLI per il No davanti alla Coop-Ovs di viale Talenti (foto Il Bolscevico)

N. 30 - 28 luglio 2016 PMLI / il bolscevico 7Partecipando all’iniziativa della sezione “Oltrarno” dell’Anpi di Firenze

Il PMlI OnOrA I MArtIrI dI PIAzzA tAssO sOstenendO Il “nO”

Al reFerenduM cOstItuzIOnAleRedazione di Firenze �Domenica 17 luglio, su ini-

ziativa della sezione “Oltrarno” dell’ANPI, si è tenuta come tutti gli anni nel popolare quartiere di San Frediano la commemorazio-ne delle strage perpetrata dai na-zifascisti repubblichini nel 1944, che spararono sulla popolazione in Piazza Tasso uccidendo 5 persone fra cui il bambino di 8 anni Ivo Poli per punire il quartiere culla di mol-ti antifascisti e partigiani fiorenti-ni. Fra questi la Medaglia d’Oro Bruno Fanciullacci, morto lo stes-so giorno a seguito delle torture su-bite dagli stessi repubblichini della Banda Carità a Villa Triste.

Il PMLI è stato presente con mi-litanti e simpatizzanti della Cellu-la “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” che ha tenuta ben alta la bandiera del Par-tito e la locandina con il manifesto del Partito per il “No” al referen-dum costituzionale. L’unica presen-

za che ha qualificato politicamente l’intera iniziativa, ponendo all’at-tenzione degli antifascisti questa

battaglia oggi all’ordine del giorno.Dopo un breve corteo che ha

accompagnato la deposizione del-

le corone alla targa e al monumen-to ai martiri antifascisti, si sono te-nuti gli interventi del presidente della Sezione “Oltrarno” Alessan-dro Pini, del presidente del Quar-tiere 1 Maurizio Sguanci, della consigliera comunale PD Fran-cesca Paolieri; tutti hanno evitato di entrare in merito alle questioni d’attualità. Al termine gli interve-nuti hanno intonato “Bella Ciao”.

La serata si è conclusa nel chiostro delle Leopoldine con una cena e una rappresentazione tea-trale sulla strage nazi-fascista di Sant’Anna di Stazzema, ricordan-do insieme idealmente Ivo Poli, a cui quest’anno è stata dedica-ta l’area giochi di piazza Tasso, i tanti bambini vittime a Sant’Anna e tutti i bambini vittime delle guer-re. In questo quadro all’interno del chiostro era esposta una piccola mostra sui bambini siriani vittime del conflitto in corso.

Il nOsOcOMIO erA cOllOcAtO A rIdOssO deI quArtIerI POPOlArI dI FOrcellA e sAnItà

chiude lo storico ospedale “Annunziata”

a napoliStessa sorte per il “San Gennaro”? Gravissime responsabilità di Renzi,

De Luca e De MagistrisRedazione di Napoli �L’ennesimo colpo alla sanità

napoletana questa volta viene dalla chiusura più volte annun-ciata dello storico ospedale “Annunziata”, a due passi dal rettifilo Corso Umberto, ma so-prattutto a ridosso dei quartieri popolari di Forcella e Sanità.

La decisione di “spegnere” le attività dell’ospedale è stata data il 30 giugno scorso, ma era già stata decisa dal gover-no del nuovo duce Renzi con l’avallo della precedente giunta regionale campana guidata dal berlusconiano Caldoro nell’otti-ca dei tagli selvaggi alla sanità. Sono 4 anni che le istituzioni nazionali e locali in camicia nera non riescono nel loro intento di chiudere l’Annunziata per la forte resistenza delle masse popolari napoletane, sfociate in proteste, blitz negli ospedali e raccolta firme (cui hanno parte-cipato anche i nostri compagni marxisti-leninisti residenti nel quartiere).

L’Annunziata è stata un’ec-cellenza in Campania: con 1.300 parti l’anno, era il reparto neonatale di riferimento per il centro storico (500 mila abitanti) e la provincia. A rendere sicure le nascite c’erano la Tin, chi-rurgia, il servizio malattie rare, il centro screening neonatale e pediatria. Di sicuro il colpo più duro è avvenuto nel 2012 con la chiusura dello storico reparto maternità.

Stanno discutendo anche di un nuovo duro colpo alla sa-nità campana con la chiusura prossima del “San Gennaro”, che si trova nel cuore del rione Sanità: qui l’eccellenza è l’or-topedia ma il reparto chiuderà

questa estate e i medici verran-no spostati in altre strutture. Il taglio avviene per la prossima apertura, annunciata ormai da anni, del fantomatico “Ospeda-le del Mare” a Ponticelli anche se questa operazione doveva avvenire progressivamente.

“Sull’Annunziata si è alzato un polverone sul nulla: mante-niamo aperto il reparto di pe-diatria fino a che non si crea l’alternativa, il resto è sciacal-laggio politico” aveva detto il governatore renziano Vincenzo De Luca, mentre l’Asl si affret-tava a precisare di mantenere il “presidio per la gestione del primo soccorso pediatrico, fino all’apertura dell’Ospedale del Mare”. La riorganizzazione, se-condo il nuovo piano ospedalie-ro, prevederebbe lo spostamen-to della maternità dall’ospedale di Forcella al Loreto Mare e al San Giovanni Bosco ma solo dopo l’apertura dell’Ospedale del Mare a Ponticelli: un’opera faraonica cominciata nel 2004, oggetto di inchieste e che do-vrebbe entrare in funzione quest’anno. Sì, ma quando? Lacrime di coccodrillo della capogruppo del Movimento 5 Stelle che critica le chiusure dei nosocomi, attacca De Luca, ma poi non dice come fermare lo smantellamento della sanità pubblica. Nemmeno una paro-la dal sindaco De Magistris che ha comunque la responsabilità politica di non aver criticato né la giunta regionale né il gover-no del nuovo Mussolini Renzi, nel clima di nuova pacificazione sulla questione Bagnoli, mentre lo sfascio della sanità a Napoli e provincia è ormai sotto gli occhi di tutti.

Venerdì 8 luglio alla Società di mutuo soccorso di Rifredi a Firenze si è tenuta un’assemblea straordinaria nazionale del Sinda-cato è un’altra cosa (opposizione della Cgil). Do alcune informazio-ni ed esprimo le mie valutazioni su di essa.

All’assemblea hanno parte-cipato circa 200 delegati di vari territori e di diverse categorie, per la maggiore della Fiom, del-la Filcams, trasporti e logistica, dei servizi-coop e anche alcuni dell’Flc.

Ha aperto il dibattito Eliana Como (della Fiom), Con 4 pre-messe iniziali: sulle pensioni, la necessità di far saltare le tratta-tive al tavolo con il governo su l’ApeE, il No netto ad un ulteriore business per le banche, Accordo Fincantieri con il sostegno alla campagna per il No al referen-dum, solidarietà con gli autisti UPS e lotta contro i licenziamenti in Sistemi Informativi. Il No al re-ferendum sulla “riforma” costitu-zionale.

Si sono susseguiti interventi di delegati della varie categorie, in alcuni frangenti anche molto conflittuali, che hanno dimostra-to l’ulteriore frammentazione che vive l’area, probabilmente dovu-ta ai condizionamenti della va-rie realtà politiche interne, tutte trotzkiste e finte comuniste, tipo Rifondazione Comunista, Partito

comunista dei lavoratori ed ele-menti dei Carc. La dimostrazione pratica è stata la presenza nella sala di svariati banchini che pre-sentavano quasi esclusivamente la bibliografia di Trotzky.

Al dibattito è intervenuta una esponente dell’unione sindacale Solidaires francese che racco-glie Sindacati e federazioni della funzione pubblica, delle aziende pubbliche e delle aziende priva-te.

Vari delegati hanno detto che lo scopo principale di questa riu-nione era per un rilancio e la rior-ganizzazione dell’area sindacale che si è resa imprescindibile sia per la repressione subita da par-te della Fiom e Cgil nelle vicende in FCA (ossia Fiat), ma anche per l’esclusione dagli organismi (Co-mitato centrale Fiom), per i ten-tativi di destituzione dal ruolo di RSA di alcuni delegati, dal conse-guente abbandono di una parte del gruppo dirigente che ha de-ciso di confluire nei “sindacati di base”, ritenendo, secondo loro, impossibile resistere all’attacco al pluralismo e ritenendo conclu-sa la possibilità di fare opposizio-ne in Cgil.

La scelta di abbandonare l’area è considerata un errore. E si ritiene invece fondamentale e attuale continuare a fare oppo-sizione contro l’involuzione della Cgil.

È stata proposta una discus-sione indispensabile per avviare una riorganizzazione, nel quadro di un’area sindacale ancora pic-cola ma plurale e per rilanciare l’iniziativa. 4 le linee di intervento indicate dal coordinamento na-zionale: la difesa del pluralismo, la ripresa della lotta contro il go-verno, il contrasto con la linea contrattuale della maggioranza, la necessità di sostenere, con-nettere e dare protagonismo alle diverse lotte e vertenze oggi di-sperse.

Anche se durante tutta l’as-semblea non è stata nominata la madre di tutte le questioni, certo, si è parlato di lotta al capitale, ma non è stato mai messo in di-scussione il capitalismo al quale la Cgil, al pari di Cisl e Uil è omo-logata come è omologata anche al regime neofascista imperante, che ha oramai stracciato la Co-stituzione del ’48.

Non è stata mai citata la Carta

dei diritti universali dei lavorato-ri e la conseguente proposta di legge d’iniziativa popolare, che evidenzia sempre più il carattere reazionario della Cgil con il chiaro intento di trasformare il sindacato in istituzioni dello Stato borghe-se, sempre più complice del go-verno Renzi e degli interessi del capitalismo italiano trascinandosi a rimorchio anche la sua opposi-zione.

In fondo anche i cosiddetti “sindacati di base”, nei quali sono confluiti alcuni dirigenti e dele-gati dell’opposizione Cgil, come l’Usb, uno dei maggiori di questi sindacati prima ha condannato il testo unico sulla rappresentanza, ma poi ha finito per firmarlo per non perdere i diritti come per-messi retribuiti, deleghe, distac-chi sindacali, ecc., che l’accordo concede solo ai firmatari, crean-do scompiglio e scissioni al suo interno.

La sensazione infatti che si percepiva in questa assemblea non è stata la ricerca di unità ma un’ulteriore frammentazione e competizione sia con la direzione della Cgil che con i “sindacati di base” per spartirsi un po’ di quel-

la rappresentanza che adesso la Cgil vuole certificare con un con-tratto garantito con lo Stato, tra-mite appunto la Carta dei diritti. Con ciò aumentando sempre più la distanza con chi si dovrebbe rappresentare, i lavoratori, i quali non hanno pressoché partecipa-to all’Assemblea.

L’obbiettivo strategico, come propone il PMLI, dovrebbe es-sere quello di andare oltre ai sin-dacati attuali, fino al loro sciogli-mento, e costruire veramente dal basso un unico grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale delle as-semblee generali dei lavoratori. Un sindacato che rigetti il cor-porativismo e sia autonomo dal governo, dai padroni, dai partiti, il rifiuto a livello di principio della concertazione e del “patto socia-le” con le controparti (governo e padronato) poiché è solo con la lotta di classe, con l’uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi.

Un sindacato fondato sul mo-

dello organizzativo della demo-crazia diretta che non ammette deleghe in bianco e senza con-trollo e poggia sul protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori nella lotta e nella gestione della vita sindacale nei luoghi di la-voro e nella contrattazione con i padroni e il governo. Essa va dal basso verso l’alto e non viceversa e è l’unica capace a livello sinda-cale di unire le masse lavoratrici e dei pensionati attorno ai loro interessi di classe e a liberarle dai condizionamenti esercitati dalle opprimenti burocrazie sindacali istituzionalizzate.

Al centro della democrazia sindacale diretta va posto lo stru-mento insostituibile dell’assem-blea generale, che nelle storiche lotte operaie degli anni Settanta ebbe un ruolo determinante per vincere le resistenze dei vertici sindacali di allora per inondare le piazze di grandiosi movimen-ti di lotta contro lo sfruttamento e l’oppressione padronale, per rivendicare migliori condizioni di vita e di lavoro.

Altrimenti continueremo a ri-manere sempre subordinati ai vo-leri e agli interessi della borghesia al potere e ai sindacati ad essa complici.

Massimo, simpatizzante di Pontassieve (Firenze) del PMLI

Il sIndAcAtO è un’AltrA cOsA rIMAne nellA cgIl MA nOn cOnvInce lA suA strAtegIA

Assemblea nazionale straordinaria a Firenze

Cantata “Bella Ciao”

cOMunIcAtO del FOruM tOscAnO deI MOvIMentI Per l’AcquA

Basta sprechi e danni alla collettività da parte di Publiacqua

Riceviamo e volentieri pubbli-chiamo in ampi estratti.

Il Forum Toscano dei Movi-menti per l’Acqua accoglie con pieno favore l’iniziativa lanciata dai lavoratori e dalle lavoratrici di Publiacqua, di un “semestre ros-so”, per sostenere e rilanciare una migliore gestione del servizio, e quindi condizioni di lavoro eque, rispettose della dignità e dei di-ritti di chi opera in prima persona nell’azienda idrica.

Il disastro di Lungarno Torri-giani, a Firenze, ha mostrato al

mondo intero quale possa essere il risultato di politiche e pratiche gestionali votate solo alla produ-zione di utili.

Una voragine nel cuore della città-capoluogo, ma in tutte le zone servite da Publiacqua si tocca con mano quanto sia peggiorata la qua-lità dell’acqua, quanto inquinanti di ogni genere la rendano pericolosa per la salute umana e dell’ambien-te, quanto una risorsa vitale sia sprecata grazie a reti colabrodo e a manutenzioni non fatte.

E, ancora, quante ingiustizie e vessazioni siano perpetrate a

danno dei cittadini, pure costretti a pagare tariffe esose per un ser-vizio sempre più scadente.

È una stessa unica logica quel-la che grava e danneggia la collet-tività intera: la logica del mercato e del profitto, la logica dello sfrutta-mento, della speculazione...

D’altra parte, registriamo negli amministratori locali, nonché soci di Publiacqua, solo compiacen-ze e favori nei confronti del socio privato: l’unico a dettare legge, l’unico a segnare e manovrare la gestione aziendale, in base al proprio esclusivo tornaconto. An-

che per il futuro, a scadenza della convenzione, si sta preparando il terreno, impunemente.

Come cittadini, fianco a fianco con le lavoratrici e i lavoratori di Publiacqua. E, di più, siamo pronti a creare altri interventi che ci tro-veranno comunque uniti.

Sì, l’orizzonte è il medesimo, è quello che nel 2011 ha portato alla grande vittoria referendaria. È una gestione del servizio idrico in cui cittadini e lavoratori siano prota-gonisti negli indirizzi e nei control-li: una gestione dell’acqua, equa, democratica e partecipata.

Firenze, 17/7/ 2016. La partecipazione del PMLI alla commemorazione delle vittime della strage fascista di Piazza Tasso (foto Il Bolscevico)

8 il bolscevico / Documento del CC del PMLI N. 30 - 28 luglio 2016

Al referendum di ottobre

VotA No AllA coNtroriformA piduistA e fAscistA del seNAto

documento del comitato centrale del pmli

VotA No AllA coNtroriformA piduistA e fAscistA del seNAto

Il referendum di ottobre sulla controriforma piduista e fascista Renzi-Boschi della Costituzione è una battaglia di importanza sto-rica per tutti gli antifascisti, i de-mocratici e i progressisti. Esso rappresenta un punto di svolta cruciale, perché sono in ballo l’af-fossamento definitivo della Costi-tuzione del 1948 e delle residue libertà democratico-borghesi e la difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori e delle masse popo-lari.

Il nuovo duce Renzi si sta gio-cando la carriera politica con que-sto referendum, tanto da averlo definito “la madre di tutte le sfi-de” e da proclamare che andreb-be a casa se vincesse il No. Il suo obiettivo è vincere il referendum per blindarsi al potere almeno fino al 2023 (non a caso ha dichiara-to che si “contenterebbe” di due mandati), o addirittura per un ven-tennio, come i suoi maestri Ber-lusconi e Mussolini, così da poter completare senza problemi il re-gime neofascista e la sua politica liberista, antisindacale e interven-tista fino a cambiare i connotati istituzionali, economici e politi-ci al Paese. Anche perché adesso, col parlamento uscito dal porcel-lum, egli non ha il controllo pieno del Senato e sa che non potrebbe durare tanto più a lungo.

i contenuti della controriforma

Renzi e Boschi mentono spu-doratamente quando parlano de-magogicamente di “tagli ai costi della politica” per mezzo miliar-do, mentre si tratta invece di qual-che decina di milioni, e quando dicono che la loro “riforma”, che cambia oltre 40 articoli della Co-stituzione, non ne tocca la prima parte. In realtà la tocca eccome, grazie anche alla legge elettora-le ultra maggioritaria Italicum, un meccanismo truffaldino che consente al candidato premier della lista vincente di assicurar-si la maggioranza assoluta in par-lamento con appena il 25-30% dell’elettorato. L’abbiamo bolla-to Italicum “fascistissimum” per-ché esso è peggiore della legge truffa democristiana e più simile alla legge Acerbo di mussoliniana memoria e manomette l’impianto complessivo della Carta del ’48, trasformando surrettiziamente la forma della Repubblica e del go-verno da parlamentare a presiden-ziale, nella versione del “premie-rato forte”.

L’equilibrio dei poteri su cui si basano le democrazie parla-mentari borghesi viene scardi-nato. Grazie all’abnorme premio di maggioranza e i 100 capilista da lui personalmente nominati, e all’abolizione del bicameralismo perfetto, con la fiducia al gover-no votata dalla sola Camera dei deputati (la sola anche a votare la dichiarazione di guerra), e l’ob-bligo di quest’ultima di votare le leggi del governo entro 70 giorni, il presidente del Consiglio viene

ad assumere infatti una posizio-ne nettamente prevalente rispetto al parlamento. Anche perché con-trollerà facilmente pure il nuovo Senato composto da consiglieri regionali e sindaci, altri nomina-ti che faranno a gara per entrarci e acquisire l’immunità parlamen-tare. Da questa posizione di forza potrà poi nominare il presidente della Repubblica, 10 su 15 giudi-ci della Corte costituzionale e un terzo del Consiglio superiore del-la magistratura, oltre al suo vice-presidente e al presidente (che è lo stesso capo dello Stato).

Completano l’opera la “rifor-ma” del Titolo V, che è concepi-ta per togliere alle Regioni e alle comunità locali il potere decisio-nale su questioni vitali per le mas-se come la politica energetica e la difesa dell’ambiente, concen-trandole nelle mani del governo come “materie di interesse strate-gico nazionale”, e l’innalzamento delle firme per i referendum abro-gativi e per le leggi di iniziativa popolare, che insieme all’aboli-zione delle province costituisco-no un’altra riduzione secca della rappresentanza e della democra-zia borghesi.

l’antico disegno piduista e fascistaQuesta controriforma ha ben

noti padrini politici, sia a livello internazionale che nazionale. A li-vello internazionale sono da ricer-care nella grande finanza masso-nica mondiale, a cominciare dalla Trilateral fondata nel 1973 dal ma-gnate americano Rockefeller e da-gli ex segretari di Stato Usa Kis-singer e Brzezinski con l’intento dichiarato, come del resto si pro-pone anche l’altra associazione massonica bianca internazionale, Bilderberg, di imporre una sorta di governo mondiale di potenta-ti economici e tecnocrati in grado di dettare ai vari governi nazionali un’unica politica liberista, antico-munista e interventista.

La politica ispiratrice del-la controriforma costituzionale emerge chiaramente anche nel fa-migerato documento golpista del 2013 della banca di affari ameri-cana JP Morgan, in cui si mettono sotto accusa “I sistemi politici del-la periferia meridionale dell’Eu-ropa” e le loro Costituzioni nate dalla sconfitta del fascismo, che ancora oggi “mostrano una for-te influenza delle idee socialiste” e sono caratterizzati da “esecuti-vi deboli e governi centrali deboli nei confronti delle regioni”.

A livello interno il filo nero della controriforma Renzi-Bo-schi porta fino alla P2 e al “Pia-no di rinascita democratica” e allo “Schema R” di Gelli. Piano che nasce a metà degli anni ’70 come la Trilateral, e il cui disegno presi-denzialista procede dapprima per la via golpista, per poi essere in-corporato nella “grande riforma” di Craxi negli anni ’80, essere poi ripreso dalla Bicamerale golpista di D’Alema nel ’97 e dalla con-

troriforma costituzionale del 2006 di Berlusconi, e infine approdare alla controriforma Renzi-Boschi, concepita nelle stanze del Naza-reno insieme al piduista di Arco-re nel gennaio 2014, tenuta a bat-tesimo dal rinnegato Napolitano, allora presidente della Repubbli-ca, e benedetta oggi anche dal suo successore Mattarella.

perché renzi si sta giocando la carriera

politicaQuesta controriforma por-

ta quindi chiaramente impresso il marchio della P2 e Renzi è co-lui che sta per completare il dise-gno fascista e presidenzialista di Gelli. Egli dice che se perde andrà a casa, ma non solo e non tanto per ricattare l’imbelle e capitolar-da sinistra del PD con la minac-cia delle elezioni anticipate e la conseguente perdita della poltro-na parlamentare, quanto per chia-mare a raccolta attorno a sé tutte le forze borghesi reazionarie na-zionali e internazionali. Le qua-li sanno, dopo che in trent’anni ci hanno già provato invano Craxi, D’Alema e Berlusconi, che o la controriforma passa ora con Ren-

zi, o dovrà essere rinviata a chissà chi e a chissà quando.

Ecco perché la Banca centrale europea e la Commissione euro-pea premono sull’Italia per com-pletare al più presto il processo delle “riforme”. Ed ecco perché la Merkel si è detta “impressionata” dalle “riforme” di Renzi, e anche la Confindustria di Vincenzo Boc-cia si è schierata apertamente per il Sì al referendum, sottolineando che “Confindustria si batte fin dal 2010 per superare il bicamerali-smo perfetto e riformare il Titolo V della Costituzione, e con soddi-sfazione, oggi, vediamo che que-sto traguardo è a portata di mano”. Anche la stragrande maggioranza della stampa di regime e i suoi pennivendoli, per non parlare del-la nuova Rai renziana, sono schie-rati apertamente a favore del SI’.

creare un fronte unito per il No

A questa santa alleanza golpi-sta occorre contrapporre un fron-te unito di tutte le forze antifasci-ste, democratiche e progressiste per infliggerle una dura sconfitta e far vincere il No. Il PMLI, che ha denunciato per primo e pres-soché da solo la controriforma

fascista e piduista del Senato fin dall’indomani del patto del Naza-reno, partecipa con convinzione al fronte unito per il No, pur sul-la base di proprie motivazioni di-verse da tutte le altre forze che ne fanno parte. Anche tra le forze de-mocratiche e antifasciste, infatti, ci sono posizioni che vanno dalla difesa letterale della Costituzione del ’48 fino all’accettazione della sua modifica con proposte anche simili a quelle della Renzi-Boschi purché a certe condizioni, come l’abolizione parziale o perfino to-tale del Senato, e l’accettazione del premierato purché “tempera-to” dalle preferenze, dall’elezione dei senatori, da poteri di “bilan-ciamento” assegnati al parlamen-to, e così via.

Il PMLI non sta né con la nuo-va né con la vecchia Costituzione: noi non ci appiattiamo sulla difesa della Costituzione del ’48, perché non esiste più, essendo stata già cancellata di fatto dal regime ne-ofascista, e soprattutto perché, pur essendo una Costituzione influen-zata dalla Resistenza e dall’antifa-scismo, è comunque una Costitu-zione borghese e anticomunista, che sancisce la proprietà privata e il capitalismo e recepisce il Con-cordato con il Vaticano.

È giusto e utile difendere le li-bertà democratico-borghesi che la Costituzione formalmente ga-rantisce, alla fine però bisognerà cambiarla, ma da sinistra, per so-stituirla completamente con una Costituzione socialista, una vol-ta abbattuto il sistema capitalista e conquistato il socialismo. Nel frattempo lavoriamo per abbatte-re Renzi e il suo governo capitali-sta, neofascista, liberista, piduista e interventista, anche attraverso la vittoria del No al referendum.

uniamoci per affossare la

controriforma al referendum

Fermo restando che per noi marxisti-leninisti non è il referen-dum ma la lotta di classe, di mas-sa e di piazza lo strumento privi-legiato per lottare contro la classe dominante borghese in camicia nera e i suoi governi e per difen-dere i diritti e gli interessi delle masse lavoratrici, popolari e gio-vanili, bisogna andare a votare e votare No al referendum del 2 ot-tobre.

Ciò non è in contraddizione con la nostra indicazione tattica astensionista alle elezioni politi-che, amministrative e di principio per le europee. Qui non si tratta di delegittimare le istituzioni rap-presentative borghesi o l’imperia-lismo europeo, ma di una scelta concreta da fare su una questione specifica e ben definita. Facciamo perciò appello agli astensionisti di sinistra affinché non disertino le urne ma anzi siano in prima fila in questa battaglia. Senza farsi inti-midire o fuorviare dall’accusa dei renziani e dei loro pennivendoli di votare No insieme alla destra. An-che se nello schieramento per il No sono presenti partiti della de-stra, che non ci stanno certo per difendere la Costituzione del ’48 ma solo per motivi strumenta-li ed elettoralistici, bisogna essere consapevoli che in questa battaglia la destra è rappresentata proprio da Renzi e la sua banda e da chi lavora per la vittoria del Sì. Da chi lavora cioè per completare il piano fasci-sta e golpista della P2.

Antifascisti, democratici, pro-gressisti, astensionisti di sinistra, uniamoci per impedire che si re-alizzi il disegno mussoliniano di Renzi e per mandarlo a casa! Lottiamo uniti nelle piazze, nelle scuole e in tutti i luoghi di lavo-ro, partecipiamo ai Comitati per il NO, per sconfiggere la sua strapo-tente macchina propagandistica e demagogica e per convincere mi-lioni di elettori ad affossare sotto una valanga di NO al referendum di ottobre la sua controriforma fa-scista e piduista del Senato!

Il ComItato Centrale del PmlI

Firenze, 21 giugno 2016

Torino, 9 giugno 2016. Manifestazione dei metalmeccanici per il contratto

N. 26 - 2 luglio 2015 esteri / il bolscevico 15

www.pmli.itSede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]

Se vuoi abbattere il capitalismo e il suo governo diretto dal nuovoMussolini Renzi

Se vuoi conquistare

il socialismo e il potere politico da parte del proletariato

PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANOPRENDI CONTATTO CON IL

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Campagna di proselitismo 2016

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10 il bolscevico / riunione dei marxisti-leninisti dell’emilia-romagna N. 30 - 28 luglio 2016

Relazione di Denis Branzanti alla 12ª Riunione dei marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna

OccupiamO lO spaziO lasciatO vuOtO Dalla “sinistRa” BORghEsE. puntiamO tuttO sul RaDicamEntO lOcalE DEl paRtitO

Oggi la priorità delle priorità è la battaglia per il No alla controriforma del senatoCare compagne e cari

compagni,benvenuti alla 12ª Riunio-

ne dei militanti e dei simpatiz-zanti dell’Emilia-Romagna del PMLI, che per la seconda vol-ta si svolge a Castelvetro di Modena, nello stesso Circolo Arci dove già in precedenza si è tenuto questo importante incontro regionale. Mi unisco al compagno Federico nell’e-sprimere solidarietà ai gestori con l’augurio che possano es-sere presto superati gli attuali problemi economici.

È molto importante che sul territorio vi siano spazi come questo, aperti e fruibili dal-le masse, al di fuori della lo-gica puramente commerciale intrinseca nel sistema capita-listico.

Ringrazio il compagno Fe-derico per la preziosa intro-duzione e tutti i compagni di Modena e provincia che si sono resi disponibili a ospita-re questa iniziativa nonostan-te gli impegni su vari fronti e in particolare in questo momen-to contro la controriforma co-stituzionale varata dal nuovo Mussolini Renzi.

Un sentito ringraziamento lo rivolgo anche a tutti i com-pagni presenti, provenien-ti dalle province di Modena, Parma, Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna. Un saluto ai com-pagni assenti per vari motivi, di Ferrara e di Gabicce Mare. Un saluto affettuoso lo rivol-giamo al compagno Giusep-pe Mazzola, storico primo mi-litante dell’Emilia-Romagna che ha sostenuto la bandiera del PMLI sino a che l’età e le forze glielo hanno consentito.

Esprimo solidarietà militan-te ai compagni che negli ultimi tempi hanno perso il lavoro, che hanno problemi di salute o familiari, e che continuano a dare il loro contributo al lavoro di Partito con determinazione in base alla loro attuale situa-zione e possibilità.

Per ultima, ma non cer-to per importanza, ringrazio la Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del PMLI per gli auguri di buon la-voro che ci ha inviato.

Bilancio del lavoro

svoltoCare compagne e cari

compagni,il PMLI.Emilia-Romagna

organizza ogni anno questo incontro per fare un bilancio del lavoro svolto nelle provin-ce dove sono presenti militan-ti e simpatizzanti del Partito, per progettare il lavoro a bre-ve medio termine e stringere sempre di più i rapporti tra i

compagni.Sono questi 3 aspetti del

nostro lavoro assolutamente da non sottovalutare.

Fare un bilancio critico e autocritico della propria attivi-tà, sia a livello individuale che collettivo è indispensabile per valutare correttamente il lavo-ro svolto, mettendone in luce sia gli aspetti positivi che quel-li negativi al fine di migliorarla e fare passi in avanti nel radi-camento e nello sviluppo del PMLI nelle nostre città. La cri-tica e l’autocritica sono un po’ come farsi la doccia, occorre farla di continuo e senza pau-ra di “strofinare” troppo, non abbiamo che da guadagnarci, e il Partito con noi, se faccia-mo pulizia delle sporco bor-ghese che inevitabilmente ci si attacca addosso.

Programmare il lavoro po-litico è necessario per pianifi-care l’attività concentrandosi sulle priorità e senza disper-dere le forze finalizzandole al meglio negli ambiti in cui ope-riamo e in base agli obiettivi che ci poniamo.

Non dobbiamo mai pensa-re che “basta fare qualcosa”, noi dobbiamo fare quello che serve e al momento opportu-no, altrimenti rischieremmo anche di fare sì tanto ma poco di veramente utile.

Far sì che vi sia maggior ar-monia possibile all’interno del Partito, e tra militanti e simpa-tizzanti, è anch’esso impor-tante in quanto la causa per la quale ci battiamo, l’abbat-timento del capitalismo e la conquista del socialismo pri-ma e del comunismo poi, è la causa più bella e più giu-sta che si possa abbracciare ma richiede impegno e sacri-fici. Farlo in un contesto dove non vi siano rapporti tesi aiuta sicuramente ad affrontare me-glio anche le difficoltà che in-contriamo. I compagni devo-no avere un rapporto aperto, onesto, e solidale tra di loro, e in ogni caso occorre che ognuno metta da parte le sue riserve e dissapori, se ne ha, nell’interesse della causa co-mune che ci unisce che è e che deve essere più forte di tutto il resto.

La nostra disamina del la-voro svolto in questo arco di tempo che ci separa dalla precedente Riunione regio-nale svoltasi il 26 luglio dello scorso anno a Torre Pedrera di Rimini, non può che partire dalla “fine”, cioè dalle elezioni che si sono svolte il 5 giugno scorso anche in molti comuni dell’Emilia-Romagna.

In particolare nei 3 capo-luoghi, Bologna, Ravenna e Rimini, l’affluenza al primo tur-no è stata più bassa della me-dia nazionale del 61,93%, in calo del 5,5% rispetto alle pre-cedenti elezioni.

A Bologna ha votato solo il 60,07% (di questi poi il 2,80% ha lasciato la scheda in bian-co o l’ha annullata) contro il

71,55% delle precedenti co-munali. Al ballottaggio l’ha spuntata il ricandidato sin-daco Virginio Merola del PD contro la candidata della Lega Nord Lucia Borgonzoni che il caporione fascioleghista Sal-vini aveva appoggiato anche con ripetute e provocatorie vi-site elettorali che gli antifasci-sti bolognesi, e in particolare i collettivi universitari hanno

puntualmente, giustamente e coraggiosamente contestato con forza nonostante la vio-lenta repressione delle “forze dell’ordine”.

A loro va il nostro ringrazia-mento per aver dato il “benve-nuto” che meritava al nuovo ducetto della Lega.

A Rimini l’affluenza è sce-sa dal 68,30% al 58,67% (il 3% sono state le bianche e le nulle sui voti validi). Rie-letto il sindaco Andrea Gnas-si del PD, uno dei pochi a li-vello nazionale al primo turno ma a fronte di un crollo dei vo-tanti, al quale ha dato il pro-prio qualificato contributo an-che la Cellula “Stalin” di Rimini del PMLI.

Crollo che si è registrato anche a Ravenna dove si è recato al voto solo il 61,28%

(il 3% le bianche e le nulle sui validi) contro il 71,98% del-le elezioni precedenti, e dove al ballottaggio è stato eletto il PD Michele de Pascale che ha superato il candidato del “centro-destra” Massimilia-no Alberghini col quale si era fatto fotografare sorridente al mercato di Ravenna in una giornata che vedeva all’ope-ra poco distante anche l’Or-

ganizzazione locale del PMLI per la campagna astensioni-sta.

Si registra quindi in genera-le una parziale tenuta di pol-trone del “centro-sinistra”, che però continua a perdere co-muni che prima amministrava e soprattutto continua a per-dere migliaia e migliaia di voti riducendo il divario con il co-siddetto “centro-destra” ora-mai a trazione fascioleghista, che da parte sua però non guadagna voti in quanto è l’a-stensionismo, ancora una vol-ta, il vero vincitore queste ele-zioni.

Di fatto, se si prendono in considerazione tutti gli elettori che avevano diritto al voto, e non solo i voti validi, i neosin-daci nella stragrande maggio-ranza sono stati eletti da cir-

ca un terzo dell’elettorato, o anche meno, il che li delegit-tima e li sfiducia in partenza. Essi governano chiaramen-te, oggi ancora più di ieri, non per le masse lavoratrici e po-polari, delle quali non hanno il consenso, ma per la borghe-sia, gli interessi privati locali, le “piccole” lobby economiche che si contendono e sparti-scono ovunque i territori e le risorse ai propri fini.

In ogni caso, chiunque ab-bia prevalso, “centro-sinistra”, “centro-destra”, o Movimento 5 Stelle, la musica è e rimar-rà sempre quella del capitali-smo. Sicuramente tra le forze in campo è il M5S che conqui-stando città importanti come Roma e Torino ne ha tratto maggior vantaggio ridestando illusioni destinate comunque a lasciare spazio all’inganno, perché alla prova dei fatti se non si mette in discussione il capitalismo, il suo sistema economico, sociale, istituzio-nale, statale e militare, la sua politica interna, le sue allean-ze politiche e militari interna-zionali, a cominciare dalla Ue e dalla Nato, non è possibile produrre alcun cambiamen-to sostanziale nelle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, delle masse popola-ri, giovanili e femminili italiane.

A tentare di drenare l’asten-sionismo ci si sono messi an-che stavolta i vari partiti e li-ste sedicenti ma in realtà falsi comunisti che pur consape-voli di non produrre il minimo danno al regime e al governo, continuano a presentarsi alle elezioni e a seminare così il-lusioni elettorali, parlamentari, governative, costituzionali e ri-formiste che di fatto sabotano la lotta di classe e rallentano la presa di coscienza antica-pitalista, antistituzionale e ri-voluzionaria del proletariato e delle masse popolari italiane.

Da parte sua invece il PMLI ha partecipato alla campa-gna elettorale pur con forze ridottissime nelle città dove era presente, e quindi Rimi-ni e Ravenna, ma facendo sentire la propria voce an-che sulle elezioni a Bologna, propagandando l’astensioni-smo elettorale per delegitti-mare, indebolire, disgregare anche attraverso l’astensio-nismo cosciente, anticapitali-sta, antifascista, antirazzista, antiomofobo le istituzioni rap-presentative borghesi. Pur co-scienti che l’astensionismo elettorale non basta, occorre infatti combatterle ogni gior-no unendosi in un organismo politico di massa. Per questo il PMLI ha proposto e continua a proporre all’elettorato di sini-stra, anche a chi non è asten-sionista ma vuole il sociali-smo, di creare in tutte le città e in tutti i quartieri le istituzio-ni rappresentative delle mas-se fautrici del socialismo, os-sia le Assemblee popolari e i Comitati popolari basati sulla

democrazia diretta.L’ulteriore aumento dell’a-

stensionismo, che in Regio-ne si può dire abbia defini-tivamente spiccato “il volo”, dimostra come in generale le masse non ripongano fiducia nelle istituzioni locali come in quelle nazionali e quindi vi sia di fatto un terreno più fertile ri-spetto al passato per propa-gandare la proposta politica del PMLI.

la campagna per il no al referendum

In particolare ne può esse-re avvantaggiato il nostro la-voro di radicamento perché possiamo e dobbiamo occu-pare lo spazio lasciato vuo-to dalla “sinistra” borghese e dai falsi comunisti, anche se non è impresa semplice per via delle limitate forze e co-noscenze di cui disponiamo e anche di una certa diffidenza delle masse verso i partiti po-litici, più che giustificata quel-la verso i partiti borghesi che però si sono messi “al riparo” e per tempo con una sistema-tica campagna mediatica an-ticomunista che ha deideo-logizzato e depotenziato le masse.

Questo però non deve far-ci demordere dal ricercare sempre e comunque il contat-to con le masse, perché come dice Mao “In ogni cosa, noi comunisti dobbiamo sa-perci integrare con le mas-se. Se i membri del nostro Partito passano tutta la loro vita seduti fra quattro mura e non escono mai ad affron-tare il mondo e sfidare la tempesta, di quale utilità sa-ranno per il popolo cinese? Di nessuna utilità, e noi non abbiamo bisogno di gen-te simile come membri del Partito. Noi comunisti dob-biamo affrontare il mondo e sfidare la tempesta, il gran-de mondo e la violenta tem-pesta delle lotte di massa” (Mao, “Organizziamoci!” Ope-re scelte, vol. III, pag. 160, 29 novembre 1943).

Facendo un bilancio del lavoro politico svolto sinora possiamo essere soddisfat-ti di quanto è stato fatto a li-vello regionale, certamente siamo ancora molto indietro ma la direzione è quella giu-sta, nonostante che ogni tan-to prendiamo qualche “buca”, e su questa occorre continua-re mantenendo più dritta e re-golare la nostra Lunga marcia politica e organizzativa.

Castelvetro (Modena), 17 luglio 2016. Il compagno Denis Branzanti, Re-sponsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna, pronuncia la relazione alla 12ª riunione dei marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna

SEGUE IN 11ª ➫

N. 30 - 28 luglio 2016 riunione dei marxisti-leninisti dell’emilia-romagna / il bolscevico 11a castElvEtRO Di mODEna 12ª RiuniOnE DEi maRxisti-lEninisti DEll’Emilia-ROmagna

tre ore di discussione aperta e vivace sui temi di attualità esterni e interni al pmli

Importanti interventi di Branzanti e Picerni �Dal nostro corrispondente dell’Emilia-RomagnaDomenica 17 luglio mili-

tanti e simpatizzanti delle pro-vince di Modena, Rimini, For-lì-Cesena, Ravenna e Parma si sono ritrovati presso il Cir-colo Arci di Castelvetro di Mo-dena dove si è svolta la 12ª Riunione dei marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna.

Nella sala addobbata di rosso proletario rivoluziona-rio con le bandiere dei Mae-stri e del PMLI e vari mani-festi del Partito, alle ore 10 il compagno Federico Picer-ni ha aperto l’iniziativa (vedi il suo saluto pubblicato a par-te, ndr) ringraziando i gestori del Circolo per la disponibilità a ospitare l’incontro, elogian-do l’Organizzazione di Mode-na del PMLI e il suo Respon-sabile, compagno Antonio, esprimendogli solidarietà per il recente licenziamento e ri-marcando l’importanza del lavoro di radicamento e di massa per poter sviluppare il PMLI a livello locale.

Successivamente ha pre-so la parola il compagno Denis Branzanti, Respon-sabile del PMLI per l’Emilia-Romagna che ha tenuto un intervento (pubblicato a par-

te, ndr) sulla situazione del Partito in Regione, facendo un bilancio del lavoro svolto nell’ultimo anno e indicando il programma di lavoro a breve-medio termine.

Quindi si è aperta la di-scussione che ha coinvol-to quasi tutti i compagni pre-senti, e durata quasi 3 ore, durante la quale sono stati affrontati molti temi, sia di ca-rattere locale che nazionale e internazionale.

La Cellula “Stalin” di Rimi-ni e l’Organizzazione di Ra-venna hanno letto dei discor-si scritti, il modo migliore per prepararsi a questo tipo di ri-unioni, facendo un bilancio del lavoro svolto nelle loro cit-tà nonostante le poche forze a disposizione. L’Organizza-zione di Modena ha rimarcato l’importanza di quanto sinora fatto sottolineando gli apprez-zamenti delle masse.

Durante la discussione, che ha coinvolto anche i sim-patizzanti locali, è stato ana-lizzato il lavoro sindacale, an-che alla luce dei pochi spazi d’azione presenti nella Cgil della Camusso e di Landini criticando comunque la deci-sione di alcuni dirigenti e de-legati di abbandonare il sinda-

cato; un simpatizzante stretto ha espresso le sue remore a entrare nel Partito con il timo-re di non riuscire a fare abba-stanza a causa della sua dif-ficile situazione familiare. Gli è stato risposto che tutti i mi-litanti del Partito devono fare quanto possono per la cau-sa del socialismo, ognuno in base alla propria situazione specifica, quando si entra nel Partito non è tanto la quantità di lavoro che cambia, bensì la qualità.

Tra gli altri temi affrontati, la questione del fronte unito a livello locale, la posizione del PMLI verso l’IS, la necessità di coniugare l’impegno sia sul fronte delle rivendicazioni im-mediate delle masse che su quello dell’educazione ideo-logica delle masse, nonché di coniugare la necessità di fare quanto più lavoro politi-co possibile con quella di ri-posarsi e rigenerarsi per “ri-caricare” le pile.

Inoltre è stata affronta-ta l’importante questione dei rapporti tra i compagni che devono essere aperti, leali e solidali, in ogni caso si de-vono però mettere da par-te eventuali dissapori nell’in-teresse comune della causa

del PMLI e del socialismo.La discussione è stata

aperta e vivace, e sono sta-te messe sul “piatto” anche le questioni critiche come la difficoltà nell’affrontare una situazione in cui non si vede un riscontro immediato no-nostante il deciso impegno del Partito. Come ci insegna Mao: “Noi comunisti siamo famosi per non temere le difficoltà. Sul piano tattico dobbiamo prendere in con-

siderazione tutte le difficol-tà concrete e nei riguardi di ciascuna di esse dobbia-mo adottare un atteggia-mento serio, creare le con-dizioni necessarie, mettere l’accento sulle misure per affrontarle e superarle una per una, gruppo per grup-po”.

Al termine tutti i compa-gni hanno pranzato assieme all’‘interno del Circolo conti-nuando a scambiarsi opinioni

ed esperienze ma anche con-cedendosi qualche momento di svago, utile per rinsaldare anche i rapporti personali tra compagni.

Anche quest’anno la Ri-unione regionale è stata un importante momento di rifles-sione e analisi politica, i com-pagni ne sono usciti sicura-mente con le idee più chiare e ancor più decisi a prosegui-re nella Lunga marcia politica e organizzativa del PMLI!

Castelvetro (Modena), 17 luglio 2016. Una veduta parziale della 12ª Riunione dei marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna

In particolare è l’Organiz-zazione di Modena, ben diret-ta dal compagno Antonio, ad aver compiuto i maggiori pas-si in avanti grazie a un lavo-ro metodico e sistematico tra le masse locali. I numerosi e qualificati banchini allestiti a Modena rappresentano bene il lavoro fatto in tal senso, sia per costanza di presenza, che le masse apprezzano partico-larmente e che ad esempio ci differenzia dai partiti borghesi che si presentano solo quan-do si tratta di raccattare voti per conquistare le dorate pol-trone, sia per i temi di volta in volta trattati, dalle campa-gne avviate dal Partito a quel-le lanciate dai Comitati come quello contro il Ttip, per l’ac-qua bene comune, e ora in particolare, per contrastare la controriforma costituzionale.

Il lavoro in tali comitati, cioè il lavoro di massa, non è che un aspetto del lavoro di radi-camento e l’Organizzazione di Modena, incoraggiata dalle istanze superiori, ha dimostra-to di averlo compreso e di agi-re di conseguenza.

Nei prossimi mesi sarà la campagna per il referendum sulla controriforma del Sena-to che dovrà vederci in prima linea e tra le masse, sia per il rilievo storico del tema, sia per l’immagine antifascista e antirenziana del Partito, sia per la possibilità che abbiamo di chiarire le idee alle mas-se sul tema e elevare la loro coscienza e combattività po-litica. Dobbiamo quindi dare fondo a tutte le nostre ener-

gie per diffondere il volantino ad hoc del PMLI e per parteci-pare ai lavori dei Comitati per il No promossi dalla “sinistra” borghese. In occasione di ini-ziative pubbliche da essi pro-mosse dobbiamo fare di tut-to per diffondere il volantino del Partito. A tal fine occorre quindi concentrarsi sul lavo-ro riguardante questo referen-dum, non disperdendo le forze ad esempio per la contempo-ranea raccolta di firme per al-tri referendum, anche perché per noi i referendum non sono il fine, ma un mezzo, e dob-biamo saperli utilizzare come sprone alla lotta di classe, che non potrà mai essere sostitu-ita dai referendum, peraltro per lo più disattesi dalle istitu-zioni borghesi quando i risul-tati non vanno nella direzione da esse auspicata.

In tal senso l’Organizzazio-ne di Modena deve imparare a dosare e gestire meglio le proprie forze, a concentrarsi sulle questioni principali e sul territorio di riferimento e a fare una corretta valutazione delle forze in campo e delle allean-ze da fare.

Le altre Organizzazioni del-la Regione, pur disponendo di forze minori, non sono cer-to esentate da questo lavoro, anzi anche per questo, non potendo fare molto come Par-tito, è necessario prendano contatto con i Comitati locali e collaborare nelle iniziative da loro organizzate, non facendo comunque mancare la voce del PMLI in questa importan-tissima battaglia con banchini, diffusioni, interventi e comuni-cati stampa.

Com’è scritto nel Docu-mento del Comitato centra-le del PMLI “Il referendum di ottobre sulla controriforma pi-duista e fascista Renzi-Boschi della Costituzione è una bat-taglia di importanza storica per tutti gli antifascisti, i demo-cratici e i progressisti. Esso rappresenta un punto di svolta cruciale, perché sono in ballo l’affossamento definitivo della Costituzione del 1948 e delle residue libertà democratico-borghesi e la difesa dei diritti e delle conquiste dei lavorato-ri e delle masse popolari”.

Una controriforma che è le-gata da un filo nero a livello internazionale alla grande fi-nanza massonica mondiale, a cominciare dalla Trilateral, e a livello interno alla P2 e al “pia-no di rinascita democratica” e allo “schema R” di Gelli.

A questa santa alleanza golpista occorre contrapporre un fronte unito di tutte le for-ze antifasciste, democratiche e progressiste per infliggerle una dura sconfitta e far vince-re il No. Il PMLI partecipa con convinzione al fronte unito per il No, ma sulla base delle pro-prie motivazioni, non appiat-tendosi cioè sulla difesa del-la Costituzione del ’48 perché essa è già stata cancellata di fatto dal regime neofascista, e soprattutto perché, pur essen-do una costituzione influenza-ta dalla Resistenza e dall’an-tifascismo, è comunque una costituzione borghese e an-ticomunista che sancisce la proprietà privata e il capitali-smo e recepisce il Concorda-to con il Vaticano.

Nei Comitati per il No al re-

ferendum ritroveremo anche l’Anpi della quale i marxisti-leninisti fanno parte non solo per ricordare doverosamen-te la Resistenza e i partigia-ni, ma anche per contrasta-re il revisionismo storico e la cancellazione delle conquiste democratico-borghesi ottenu-te con la guerra di Liberazio-ne, oltre che il proliferare di organizzazioni fasciste nelle nostre città.

Il lavoro nell’Anpi è da valu-tare positivamente, anche se qualche importante occasio-ne, come la celebrazione del suo 16° Congresso, poteva forse essere sfruttata meglio.

Nei congressi locali dove abbiamo partecipato, cioè a quelli di Mandriole a Ravenna e a quelli di Bertinoro e For-lì-Cesena non abbiamo solo presenziato ma anche preso la parola, e in particolare in quest’ultimo è stato tenuto un intervento particolarmente ap-prezzato e applaudito a più ri-prese dal centinaio di delega-te e delegati presenti, dove è stato denunciato come la na-scita e la diffusione dell’IS sia-no le conseguenze delle guer-re imperialiste che da 25 anni vengono scatenate in Medio Oriente, a partire dalla prima guerra del Golfo e sia quindi in realtà la barbarie dell’impe-rialismo a generare barbarie, e come l’appoggio dell’Anpi al progetto di un museo del fa-scismo nella ex Casa del fa-scio di Predappio, voluto dal sindaco PD Frassineti costi-tuisca, tra l’altro, “un insulto alla memoria di tutti i partigia-ni comunisti, che costituirono la parte più risoluta e combat-

tiva della Resistenza”.Questa posizione dell’Anpi

ci conferma quanto gli organi-smi di massa siano attraver-sati da contraddizioni, e che al loro interno vi siano corren-ti e posizioni che variano, an-che di molto, da territorio a ter-ritorio, in base al contesto e ai rapporti di forze nei quali na-scono e si sviluppano.

Anche per tali condizioni, in riferimento in particolare ai co-mitati di lotta, dobbiamo sem-pre valutare di volta in volta, caso per caso, con chi e come collaborare. Discorso diver-so invece per le grandi orga-nizzazioni di massa come ap-punto l’Anpi o la Cgil dove il Partito ha una specifica linea nazionale, e fa poche ecce-zioni.

il nostro impegno sul fronte sindacale

Per quanto riguarda il la-voro nel sindacato, le espe-rienze sulle quali possiamo basarci sono al momento mol-to ridotte e anche per questo dobbiamo riuscire a sfruttar-le al meglio. Vanno quindi ap-profondite alla luce della linea del Partito le cause che hanno portato a fare dei passi indie-tro all’interno del sindacato.

Certo negli ultimi tempi lo

spazio di azione all’interno della Cgil si è indubbiamen-te ridotto. Il grave atteggia-mento tenuto dalla Camusso e da Landini verso chi si op-pone al loro progetto di sin-dacato cogestionario e isti-tuzionale e chiede invece un sindacato più combattivo e conflittuale, che rappresenti i reali interessi dei lavoratori, a cominciare dai precari, pen-sionati, disoccupati, e rifiuti di andare a braccetto con indu-striali, banchieri e i loro gover-ni viene combattuto e messo ai margini. Questo ha portato, tra l’altro, al “licenziamento” del portavoce del Sindacato è un’altra cosa Sergio Bellavita e ai provvedimenti disciplina-ri verso alcuni delegati della Fiom che hanno poi abbando-nato la Cgil, così come prima di loro aveva fatto il portavoce della “Rete 28 aprile” Giorgio Cremaschi.

Noi però non crediamo che questa sia la risposta più giu-sta, la gravità della situazione e degli attacchi della segrete-ria, avrebbero richiesto piut-tosto un “serrate le fila”, una reazione compatta dell’area che invece rischia di sfaldarsi. Oggettivamente, anche se in buona fede, questa scelta non fa altro che lasciare campo li-bero alla Camusso e Landini favorendo il loro gioco.

Il nostro giudizio sulla Cgil è chiaro, ma in essa ancora oggi si ritrova la maggioranza della classe operaia italiana, è una grande organizzazione di massa. Sarebbe sbagliato ag-giungere altre sigle sindacali

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12 il bolscevico / riunione dei marxisti-leninisti dell’emilia-romagna N. 30 - 28 luglio 2016

autoisolandoci e dividendo ul-teriormente il fronte dei lavo-ratori. Riteniamo invece an-cora utile lavorare in questo sindacato non per cambiarlo, cosa che peraltro giudichia-mo impossibile, bensì per la-vorare per costruire dal basso un grande sindacato delle la-voratrici e dei lavoratori, del-le pensionate e dei pensiona-ti, fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindaca-le e contrattuale delle Assem-blee generali dei lavoratori. Ciò comporta il superamento del modello del sindacato de-gli iscritti, il sindacato associa-tivo promosso da correnti sin-dacali partitiche; comporta, quando le condizioni saranno mature e la maggioranza degli operai e dei lavoratori lo chie-deranno, lo scioglimento del-le attuali confederazioni Cisl e Uil e Cgil e dei non confe-derali.

Solo in questo modo sarà possibile realizzare l’unità sindacale di tutti i lavoratori e pensionati privati e pubbli-ci, sarà possibile dare vita a un’organizzazione sindacale di tutti i lavoratori libera dalla soffocante e mastodontica bu-rocrazia sindacale e dai vinco-li e dalle compatibilità dettate dai capitalisti e dal governo, con al centro la difesa degli interessi dei lavoratori e delle masse popolari.

Un punto debole che acco-muna l’azione politica di tutte le Organizzazioni del Partito della Regione e che rappre-senta un freno allo sviluppo del Partito è l’insufficiente co-noscenza delle realtà locali e la mancata denuncia e critica delle giunte comunali e pro-vinciali. È quindi necessario soffermarci nuovamente su questo tema.

Radicarsi e scendere in piazzaNel lavoro locale, ce lo di-

ciamo sempre, dobbiamo puntare tutto sul radicamento, che è la questione principale che dobbiamo risolvere, la pri-orità delle priorità.

Il radicamento passa es-senzialmente dalla nostra pre-senza attiva, combattiva e propositiva negli ambienti di lavoro, di studio e di vita. Oc-corre stringere un legame for-te e solido con le masse delle nostre città, quartiere, provin-cia, regione e luogo di lavoro e di studio, conoscendo e oc-cupandoci dei loro problemi immediati, dal lavoro all’istru-zione, dalla sanità all’ambien-te, alla riqualificazione delle periferie e così via, appog-giando le loro rivendicazioni, proponendo parole d’ordine e metodi di lotta atti a risolverli, bombardando senza soluzio-ne di continuità le giunte co-munali e regionali mettendo a nudo le loro malefatte, entran-do nei movimenti di lotta, fa-cendo tesoro del Programma d’azione del Partito, legando sempre il generale al partico-lare, concentrandosi soprat-tutto nel movimento operaio e sindacale e in quello studen-tesco.

In sostanza il lavoro di ra-dicamento è il lavoro di mas-sa, che va fatto sulla base del-

la parola d’ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, ra-dicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare”.

Occorre formulare delle proposte e pianificare l’attivi-tà da svolgere, apertamente o meno come Partito in base alla tattica migliore nelle sin-gole circostanze, riguardo alle tematiche emerse e nel-la situazione concreta locale, applicando la linea di massa, come ha correttamente fatto l’Organizzazione di Modena con delle riunione specifiche migliorando di conseguenza il proprio lavoro.

Dobbiamo scendere in piazza ogni qualvolta se ne presenti l’occasione perché la piazza è il nostro ambien-te naturale di lotta e di propa-ganda, assieme a quelle del-le fabbriche, dei campi, delle scuole e delle università. Fre-quentiamola quindi il più pos-sibile per diffondere i messag-gi del Partito, raccogliere le rivendicazioni, le idee, le pro-poste e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più a esse. Tenendo però pre-sente che, per regola genera-le, la vita interna di Partito va messa avanti a tutto, riunioni periodiche, studio collettivo, elaborazione di programmi e attività in particolare finalizza-ti al radicamento, lavoro gior-nalistico, rapporti col Centro, devono avere la priorità salvo eccezione, rispetto alle attività esterne del Partito. Per que-sto si chiede anche una mag-giore puntualità nel redigere i rapporti mensili, che da qual-che tempo vengono trascura-ti.

Come abbiamo detto la fase della conoscenza è fon-damentale e ci possono es-sere di grande utilità le inchie-ste da condurre sul territorio. L’Organizzazione di Modena ne ha da tempo in cantiere la realizzazione, dopo il referen-dum di ottobre si potrebbe fi-nalmente darle il via utilizzan-do questo tempo anche per prepararle al meglio, tenendo in considerazione che si tratta della prima inchiesta di questo tipo in Regione e come tale andrà poi valutata.

Modena è il luogo adat-to per fare questa esperien-za perché presenta un terreno politico particolarmente fertile, come hanno confermato an-cora una volta le reazioni po-sitive riscontrate direttamente dai nostri compagni durante le manifestazioni di piazza, i banchini, le collaborazioni e la partecipazione ai comitati.

Ma positiva è ovunque l’ac-coglienza verso il nostro Par-tito quando si presenta tra le masse, in particolare ma non solo in occasione delle cele-brazioni del 25 Aprile e del 1° Maggio alle quali coerente-mente il PMLI non manca mai di portare il proprio contributo politico venendo spesso rico-nosciuto come l’unico Partito che ancora tiene alte le ban-diere dell’antifascismo e della lotta per l’emancipazione dei lavoratori.

Questo dimostra che, no-nostante la deideologizzazio-ne e la decomunistizzazione portate avanti sistematica-mente e congiuntamente tan-to dai revisionisti borghesi e reazionari quanto dai revisio-nisti falsi comunisti, le masse ci vedono come un qualcosa al di fuori del sistema capita-listico fatto di sfruttamento, oppressione, arrivismo, cor-ruzione e sono disponibili ad ascoltare la nostra proposta

politica.Assai utile potrebbe esse-

re l’apertura della prima sede del PMLI a Modena; costitui-rebbe un importante passo in avanti a livello organizzativo, andando ad affincarsi a quelle già presenti da tempo a Forlì e a Rimini. Questo è un obietti-vo che da qualche tempo ci si è dati e sarebbe interessante

sapere a quale punto siamo.La prima sede del Parti-

to a Modena, particolarmen-te funzionale all’intensa attivi-tà dell’Organizzazione locale, potrebbe anche essere la pri-ma storica base rossa della Cellula modenese della quale il Partito auspica da tempo la fondazione essendovene tutti i presupposti politici e organiz-zativi. Voglio quindi spronare ancora una volta in particola-re chi condivide lo Statuto e il Programma del Partito e a maggior ragione se già colla-bora attivamente con un’istan-za locale a rompere gli indu-gi e a prendere il suo posto di combattimento all’interno del Partito per servire ancora me-glio la causa del socialismo. Rispettiamo, apprezziamo e accettiamo volentieri il contri-buto dei simpatizzanti e degli amici del Partito, ma è indub-bio che è solo da militanti che si può partecipare anche alla vita interna del Partito e quin-di dare un contributo politico e organizzativo maggiore alla costruzione del PMLI.

Dal punto di vista della stampa del materiale le Or-ganizzazioni sono sostanzial-mente autosufficienti, ognuna riesce a stampare da sola o con l’aiuto delle Organizzazio-ni più vicine sia i manifesti che i volantini necessari nonché le copie de “Il Bolscevico” utili sia per le diffusioni che per lo studio personale, e questo è certamente un buon risultato.

le celebrazioni dei grandi

maestriNell’analizzare il lavoro po-

litico svolto in Regione non possiamo certamente tra-lasciare le celebrazioni dei Grandi Maestri del proleta-riato internazionale, e in par-ticolare quella che si tiene annualmente a Cavriago in occasione dell’Anniversario della scomparsa di Lenin ogni volta segna un ulteriore pas-so in avanti. Quella dello scor-

so 24 gennaio è stata infatti la prima ad essere organizzata congiuntamente dal PMLI e dal PCd’I.

Il colpo d’occhio offerto dal-la piazza era d’impatto. In-fatti non solo le bandiere del PMLI, sorrette dalle decine di militanti e simpatizzanti giun-ti dall’Emilia-Romagna, dalle Marche, dalla Lombardia e dal

Piemonte, e quelle del PCd’I ma anche quelle del PRC e dell’Anpi si stringevano attor-no a Lenin per ricordarne la vita e l’opera attualizzandola alla battaglie di oggi di nome del socialismo, dell’antifasci-smo e dell’antimperialismo, grazie anche ai discorsi uffi-ciali tenuti dal Responsabile del PMLI per l’Emilia-Roma-gna sul tema “Applichiamo gli insegnamenti di Lenin sui membri del Partito” e dal Se-gretario provinciale del PCd’I di Reggio Emilia Alessandro Fontanesi, il quale si è corag-giosamente speso a favore di questa collaborazione che ha avuto un indubbio succes-so sia politico che organizza-tivo, oltre che mediatico, no-nostante che vari elementi revisionisti abbiano provato a dividere il neo costituito fronte unito per commemorare Lenin a Cavriago.

Ma il PMLI ha onorato an-che Marx, come fa già da di-versi anni, lo scorso 13 mar-zo a Riccione davanti al suo busto presente nel giardino della locale biblioteca comu-nale, nel 133° della scompar-sa, con un discorso dal titolo “Ispiriamoci agli insegnamenti di Marx per denunciare, sma-scherare e combattere il capi-talismo”.

In questa occasione per la prima volta vi è stato un con-trollo delle “forze dell’ordine”, segno evidente che anche questa iniziativa sta pian pia-no prendendo piede e comin-cia a dare fastidio. Per il futuro sarà quindi necessario pren-dere le dovute “misure” orga-nizzative come già avviene per Cavriago.

Infine, anche Stalin è sta-to ricordato in occasione del 136° della sua nascita con una riunione congiunta tra le Cellule e Organizzazioni di Forlì, Rimini, Ravenna e Ga-bicce Mare svoltasi nella sede della Cellula “Stalin” di Forlì lo scorso 20 dicembre.

Si terrà invece presso la Sala verde del Palazzo dei Congressi di Firenze, la com-memorazione di Mao in occa-sione del 40° anniversario del-la scomparsa in programma domenica 11 settembre. Dopo che a parlare nel 2015 è stato il compagno Federico Picer-ni a nome del CC del PMLI,

che ringraziamo ancora per l’importante discorso sul tema “Mao e l’istruzione nel sociali-smo” che dovrà essere neces-sariamente ripreso tra le mani per sapersi orientare corret-tamente alla luce della linea del Partito nella battaglia stu-dentesca che ripartirà alla ria-pertura delle scuole, quest’an-no sarà il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, a tenere il discorso ufficiale sul tema “Da Marx a Mao”, dopo la proiezione del video sulla vita di Mao realiz-zato dal PMLI.

Una commemorazione par-ticolarmente importante, dato l’oratore, il tema e la ricorren-za del 40° della scomparsa, alla quale va data la massima propaganda diffondendo il vo-lantino ad hoc, soprattutto tra i lavoratori, gli studenti e i gio-vani.

Rinnovo l’appello lanciato a tutti i militanti a sottoscrive-re per la commemorazione di Mao, visti gli alti costi soste-nuti dal Partito in questa oc-casione, appello ovviamente rivolto anche ai simpatizzanti e agli amici.

Per il PMLI è particolar-mente importante ricordare i cinque Grandi Maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, non per un qualche ri-tuale nostalgico ma perché questo ci sprona a studiarne l’opera e l’azione applicandole alla nostra situazione specifi-ca e perché con queste inizia-tive diamo modo di riscoprire, o scoprire per la prima volta per chi già non li conosce chi ha dato dei contributi enormi, determinanti, alla fondazione e allo sviluppo del socialismo scientifico e alla sua applica-zione pratica fino alla conqui-sta dei 2 terzi dell’intero pia-neta.

Il fatto che oggi non vi sia un solo paese socialista al mondo non toglie nulla a quanto hanno fatto e detto i nostri Maestri, anzi proprio da essi dobbiamo trarre linfa vi-tale, rossa, per riuscire nuo-vamente e con ancora più forza a strappare al capitali-smo e all’imperialismo pezzo dopo pezzo di questo mondo che stanno conducendo alla rovina e al decadimento, di cui mantengono le redini solo grazie all’oppressione, fisica e ideologica delle masse e di chiunque osi ribellarsi al siste-ma di massimo sfruttamento di ogni persona e risorsa.

Un mondo fatto di pover-tà e guerre, conteso e sparti-

to dai grandi monopoli, quan-do basta loro “limitandosi” a trattati internazionali come il Ttip che espandono il mercato capitalista calpestando i diritti dei popoli e quando “serve” ri-correndo a bombe e invasioni per sottomettere popoli e go-verni riottosi.

combattere il governo

RenziOggi in Italia è il governo

del nuovo duce Renzi a so-stenere questo marcio mon-do capitalista in ossequio ai dettami dell’Unione europea imperialista, Ue che è sem-pre più osteggiata dai popoli come dimostra anche il refe-rendum che ne ha decretato l’uscita della Gran Bretagna nonostante la campagna me-diatica dai toni apocalittici nel caso si realizzasse la “Brexit” e l’accusa di razzismo river-sato su tutti coloro che l’han-no sostenuta. Accusa soste-nuta ipocritamente proprio da chi perseguita e sfrutta in ogni modo i migranti, erige muri e sponsorizza missioni nava-li per impedirne l’arrivo o ad-dirittura la partenza dai paesi d’origine, che è la vera cau-sa della continua strage di mi-granti che ogni anno si consu-ma in mare.

Con protervia fascista il go-verno Renzi persegue l’obiet-tivo di estendere a tutti il pre-cariato e di rendere i lavoratori completamente succubi e alla mercé dei capitalisti nostrani, con la progressiva precariz-zazione dei contratti di lavoro, la perdita drastica del potere d’acquisto, le controriforme li-beriste in materia di previden-za e sanità, le privatizzazioni dei servizi pubblici e sociali le condizioni di vita e di lavoro degli operai e delle masse la-voratrici hanno subìto un pe-santissimo arretramento.

A livello costituzionale in-tende completare la seconda repubblica capitalista, neofa-scista e presidenzialista se-condo il progetto della P2 in particolare con la legge elet-torale fascista “Italicum” e la soppressione del bicamerali-smo.

In politica estera si è messo

CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI

LUGLIO

2123232527

Cub-Trasporti - Trasporto Ferroviario – Sciopero personale aziende merci comparto ferroviario Gruppo Fsi

Spa,Trenitalia Spa, Serfer-Servizi Ferroviari SrlFilt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Ta - Trasporto Aereo Enav SpA - Gruppo Alitalia Sai - CityLiner – Sciopero personale

navigante tecnico e di cabina

USB lavoro privato Aereo – Sciopero personale società gruppo Meridiana Fly

Cobas Pt-Cub-Usb - Poste-Comunicazioni – Sciopero lavoratori Poste Italiane SpA

Filctem-Cgil, Falei-Cisl, Uilttec, - Elettricità – Tirreno Power – Sciopero lavoratori intera giornata

Castelvetro (Modena), 17 luglio 2016. I compagni Federico Picerni (a si-nistra) e Denis Branzanti alla presidenza della 12ª Riunione dei marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna

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N. 30 - 28 luglio 2016 riunione dei marxisti-leninisti dell’emilia-romagna / il bolscevico 13saluto di Federico picerni alla 12ª Riunione dei marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna

migliORaRE sEmpRE più il lavORO Di RaDicamEntO DEl pmli E tEnERE sOttO tiRO lE giuntE lOcali

Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare. Attualmente la priorità è la battaglia per il No alla controriforma del senato

Care compagne e cari compagni,

un caloroso benvenuto alla 12a Riunione dei marxisti-le-ninisti dell’Emilia-Romagna, che quest’anno si svolge nel Circolo Arci di Castelvetro, al quale vanno i nostri since-ri ringraziamenti per l’amiche-vole disponibilità dimostrata nei nostri confronti. Allo stes-so Circolo esprimiamo la no-stra solidarietà per la difficile condizione economica in cui si trova attualmente, aggra-vata dall’atteggiamento ostile del Comune a guida PD.

È la seconda volta che ci ri-uniamo qui: la precedente fu cinque anni fa per l’8a Riunio-ne regionale. Rispetto ad allo-ra molte cose sono cambiate, in meglio, per il nostro Partito a livello locale, soprattutto con la nascita, il 29 giugno 2014, dell’Organizzazione di Mo-dena, diretta dal compagno Antonio Leparulo, affiancato da valorosi simpatizzanti che ringraziamo per il loro fonda-mentale contributo. Ai com-pagni modenesi colpiti dallo sfruttamento padronale e da gravi problemi familiari, a par-tire dallo stesso compagno Leparulo vigliaccamente li-cenziato dalla ditta dove lavo-rava, vanno la solidarietà mi-litante e affettuosa dell’intero Partito. Con lo stesso affetto salutiamo i compagni assenti per motivi di salute.

Il cambiamento in meglio che ho menzionato è stato possibile principalmente gra-zie al lavoro di massa, che ci ha permesso di farci conosce-re dalle masse, di conquistare nuovi militanti e simpatizzanti e di trovare un terreno estre-mamente fertile nel quale, come ci insegna Mao, dobbia-mo mettere le radici e fiorire.

Si tratta di portare avanti questo lavoro con intelligenza

tattica, senza mai distaccarsi dalle masse e senza illudersi che esistano scorciatoie, ma-gari “ultrasinistre” o di picco-lo gruppo. Finiremmo solo per isolarci e lasciare il proletaria-to e le larghe masse in balìa dei riformisti. Bisogna piutto-sto migliorare sempre più il lavoro di radicamento, privi-legiando i due fronti principali per lo sviluppo tanto del Parti-to quanto della lotta di classe in Italia, ossia quello operaio-sindacale e quello giovanile-studentesco; fare tesoro delle esperienze acquisite fin qui e imparare da esse; penetrare nei luoghi di lavoro e di studio, a partire da quelli dove siamo presenti, nei quartieri popola-ri, nella periferia; promuove-re comitati di lotta o entrare in quelli già esistenti, senza disperdere le esigue forze a disposizione e concentrando-si sulle questioni più scottanti e maggiormente sentite dalle masse; conoscere i problemi delle masse, magari attraver-so inchieste, proporre soluzio-ni efficaci e chiedere il contri-buto attivo degli elementi più attivi e avanzati. Va intensi-ficata la propaganda davanti alle fabbriche e alle scuole più combattive. Quando possibi-le, dobbiamo essere presenti alle manifestazioni, soprattut-to operaie e studentesche. Bi-sogna tenere sotto tiro la giun-ta locale avviando un buon lavoro giornalistico. “Studiare, concentrarsi sulle priorità, ra-dicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare”: questa è la parola d’ordine che dob-biamo sempre tenere a men-te nel nostro lavoro di radi-camento. Se la applichiamo correttamente e se lavoriamo con perseveranza su questa base, i successi prima o poi arriveranno.

A tal proposito è essenziale

anche realizzare un buon gio-co di squadra, sia fra militanti e simpatizzanti, sia all’interno del Partito. Ciascuno faccia la propria parte con spirito d’ini-ziativa in base alla propria col-locazione lavorativa, alle pro-prie capacità e conoscenze e al tempo a propria disposi-zione. Elementi fondamentali del gioco di squadra marxista-leninista sono l’osservanza

del centralismo democrati-co, il sano uso della critica e dell’autocritica, che non van-no mai prese sul personale ma servono a migliorare se stessi e il proprio lavoro, e il ri-spetto e la solidarietà reciproci fra compagni e verso il Partito nel suo insieme.

Al momento la priorità del lavoro locale va alla battaglia per il No alla controriforma fa-

scista del senato. In questa battaglia, sia pure nell’ambi-to del fronte unito, dobbiamo portare avanti le nostre posi-zioni rivoluzionarie e lavorare con le dovute forme per tra-sformarla in una battaglia an-tigovernativa e anticapitalista.

Queste considerazio-ni, scaturite dall’esperienza modenese che è oggi la più avanzata a livello regionale, sono in realtà valide e d’ispira-zione per tutte le Istanze. Solo facendo un buon lavoro di ra-dicamento potremo finalmen-te dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso. Per questo è essenziale che ciascuna com-pagna e ciascun compagno abbia fiducia nel marxismo-le-ninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel Partito, nelle masse e in se stesso.

Come ci ricorda il com-pagno Giovanni Scuderi nel suo importante brano recen-temente ripubblicato da “Il Bolscevico” avente per titolo: “Chi siamo e cosa vogliamo”: “Noi siamo il partito del prole-tariato, l’unica classe oggetti-vamente rivoluzionaria, total-mente antagonista alla classe borghese, in grado di emanci-pare tutta l’umanità emanci-pando se stessa. Una classe che nasce con il capitalismo e che è destinata a essere il suo becchino. (…) Noi siamo il partito del proletariato anche se gli operai, in maggioranza, ancor oggi danno la loro fidu-cia e i loro voti ai partiti della ‘sinistra’ borghese e finanche, sia pure in misura minore, ai partiti della casa del fascio. Lo siamo perché ne rappresen-tiamo gli interessi immedia-ti e a lungo termine; perché possediamo e attuiamo la sua ideologia e cultura; perché la struttura del PMLI è modella-ta e funzionale alla sua natu-ra, alle sue esigenze e ai suoi

scopi rivoluzionari di classe; perché il nostro Programma generale si propone di gui-darlo di tappa in tappa verso la conquista del potere po-litico. Noi siamo il Partito del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, che è la sintesi dell’e-sperienza storica del proleta-riato internazionale, la cultura del proletariato, la guida per l’azione dei marxisti-leninisti di tutto il mondo. Il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è l’arma ideologica e politica più potente che possiedono il pro-letariato e i maxisti-leninisti di tutto il mondo. Come dimostra infatti la storia, solo posseden-do e brandendo quest’arma si possono vincere le battaglie contro la borghesia e i revi-sionisti, avanzare nella lotta di classe, conquistare e difende-re il socialismo dagli attacchi esterni dell’imperialismo, del nazismo e del fascismo e da quelli interni dei traditori revi-sionisti”.

Compagne e compagni,dopo essermi dilunga-

to fin troppo, lascio la parola al compagno Denis Branzan-ti per la sua relazione e invito tutti voi ad arricchirla attraver-so il dibattito.

Nell’anno politico a venire ci aspettano molte battaglie importanti per lo sviluppo del-la lotta di classe e antigover-nativa e per fare grande, for-te e radicato il nostro amato PMLI. A cominciare da quella referendaria contro la contro-riforma piduista e fascista del senato. Mettiamo in campo tutta la nostra forza intellettua-le e pratica per combatterle al meglio e radicare il PMLI nella lotta, mettendo a frutto quanto ci diremo nel corso di questa riunione.

Tutto per il PMLI, il proleta-riato e il socialismo. Buon la-voro!

sotto i piedi l’articolo 11 della Costituzione aumentando le spese militari e le truppe ita-liane in Afghanistan e Iraq, e scalpita per guidare un inter-vento militare neocolonialista in Libia, trascinando il nostro Paese in una guerra allo Stato islamico che serve solo gli in-teressi dell’imperialismo italia-no e espone il nostro popolo a sciagurate rappresaglie.

Le confederazioni sindaca-li hanno dimostrato di non es-sere in grado e di non volersi opporre a questi attacchi e di tutelare gli interessi dei lavo-ratori.

Dopo la Cisl e la Uil an-che la Cgil si è messa, certa-mente da tempo, sulla strada dell’istituzionalizzazione e bu-rocratizzazione dei sindacati, anche con la proposta della Carta dei diritti universali del lavoro che, ben lungi dall’es-sere un nuovo Statuto dei La-voratori che estende le tute-le come viene presentata, si adegua invece e prende atto della precarizzazione dei con-tratti e delle nuove relazioni

industriali di tipo mussoliniano rilanciando la vera e propria truffa della cogestione.

Da parte nostra siamo pie-namente coscienti che la clas-se operaia nel capitalismo avrà sempre un ruolo subal-terno alla borghesia, il noccio-lo del problema è quindi quel-lo di andare alla radice, cioè di lottare non solo contro le con-seguenze causate dal capita-lismo: la guerra, il fascismo, il razzismo, l’islamofobia, l’omo-fobia, lo sfruttamento dell’uo-mo sull’uomo, le disugua-glianze sociali, territoriali e di sesso, le ingiustizie sociali, la miseria, la disoccupazione e il dominio della borghesia, ma di lottare per abbattere il ca-pitalismo stesso e conquista-re il socialismo e il potere po-litico da parte del proletariato, che è la madre di tutte le que-stioni. La storia del movimen-to operaio nazionale e inter-nazionale ha dimostrato che il socialismo non si realizza conquistando la maggioranza nel parlamento borghese at-traverso una croce sulla sche-da elettorale, ma attraverso la rivoluzione socialista.

Come insegna Lenin, “Sol-tanto la rivoluzione proleta-ria socialista può trarre l’u-manità dal vicolo cieco in cui l’hanno condotta l’impe-rialismo e le guerre imperia-listiche. Quali che siano le difficoltà della rivoluzione e le sue eventuali sconfitte temporanee, quali che siano le ondate della controrivolu-zione, la vittoria del proleta-riato è immancabile”.

Proprio le esperienze dell’Urss di Lenin e Stalin e della Cina di Mao ci dimostra-no che il capitalismo si può spazzare via e che si può in-staurare il socialismo, ma per farlo occorre che la clas-se operaia abbandoni il rifor-mismo, il parlamentarismo, il collaborazionismo e il pacifi-smo.

Sin dalla sua fondazione il PMLI lavora per ridare al pro-letariato la sua coscienza di classe, cioè la consapevolez-za che il suo compito è quello di conquistare il potere politico e che solo il socialismo è l’u-nica alternativa al capitalismo.

Non sarà facile data la pro-fonda deideologizzazione e

decomunistizzazione delle masse, il forte indebolimento dello spirito, della combattivi-tà e della coscienza del pro-letariato, e l’educazione e la formazione delle nuove gene-razioni secondo i canoni del-la cultura e della morale bor-ghesi.

Ma siamo certi che alla fine gli sfruttati, gli oppressi e i pro-gressisti lo comprenderanno, dai fatti, dallo sviluppo delle contraddizioni, dai conflitti di classe e dalla nostra azione.

Dobbiamo quindi metter-cela tutta, perseverando con forza e con tenacia nel radi-camento nei nostri ambienti di lavoro, di studio e di vita, pra-ticando la linea del fronte uni-to, migliorando la qualità dei quadri e dei militanti del PMLI, puntando più alla qualità e che alla quantità nel lavoro politico di Partito, studiando di più, meglio e in modo mirato, individualmente e collettiva-mente, in particolare il docu-mento referendario del CC del Partito, l’editoriale del com-pagno Giovanni Scuderi per il 39° compleanno del PMLI, nonché per colmare delle pro-

prie lacune approfittando an-che del periodo estivo, per poi passare al discorso di Scude-ri alla prossima commemora-zione di Mao che certamente non mancherà di darci prezio-se indicazioni politiche e orga-nizzative.

Care compagne e cari compagni,

il lavoro da fare è tanto e le risorse e le forze ancora non sono tali da consentirci di af-frontarlo nei migliori dei modi, di conseguenza si sente il peso delle difficoltà, ma come ci insegna Mao, “Noi comu-nisti siamo famosi per non temere le difficoltà. Sul pia-no tattico dobbiamo pren-dere in considerazione tut-te le difficoltà concrete e nei riguardi di ciascuna di esse dobbiamo adottare un at-teggiamento serio, creare le condizioni necessarie, met-tere l’accento sulle misure per affrontarle e superar-le una per una, gruppo per gruppo” (“Discorso alla con-ferenza nazionale del Parti-to Comunista Cinese”, Opere scelte, V. 5, pagg.180-81 - 25 marzo 1955)

Se agiremo in base alla pa-rola d’ordine “Studiare, capi-re, agire, concentrandosi sulle priorità sulla base delle for-ze che disponiamo” in base al principio “Studio e azione, azione e studio” e se sapremo utilizzare bene i cinque assi che abbiamo in mano, rap-presentati dai nostri Maestri, col tempo i risultati certamen-te arriveranno, perché la sto-ria e i fatti dimostrano che solo il socialismo può cambiare l’I-talia e dare il potere al prole-tariato, e che solo il PMLI lo persegue con determinazione e coerenza sin dalla sua fon-dazione.

Proseguiamo dunque con determinazione, tranquillità e ottimismo rivoluzionario nella nostra Lunga Marcia politica e organizzativa!

Stiamo in cordata, stretti l’uno all’altro sostenendoci re-ciprocamente!

Cacciamo il nuovo Musso-lini Renzi!

Radichiamo e sviluppiamo il PMLI in tutta l’Emilia-Roma-gna!

Uniti e combattivi, coi Mae-stri e il PMLI vinceremo!

➫ DALLA 12ª

Castelvetro (Modena), 17 luglio 2016. Il compagno Federico Picerni pro-nuncia il saluto alla 12ª riunione dei marxisti-leninisti dell’Emilia-Roma-gna

14 il bolscevico / esteri N. 30 - 28 luglio 2016

L’attacco miLitare terroristico a Nizza è frutto deLLa guerra imperiaLista aLL’is

No alla militarizzazione dell’Italia. Ritirarsi dalla guerra, lottare per la paceL’attacco che ha colpito Niz-

za, in Francia, la notte fra il 14 e il 15 luglio durante le festivi-tà per l’anniversario della pre-sa della Bastiglia, ha lasciato 84 morti e numerosi altri feriti. I marxisti-leninisti italiani, da sin-ceri e coerenti antimperialisti, si stringono al popolo francese fratello, ne condividono il dolo-re ed esprimono la speranza di una rapida guarigione per chi è rimasto ferito.

Lo Stato Islamico (IS) il 16 luglio ha rivendicato che l’at-tentatore è un “nostro soldato” che ha “risposto agli appelli a colpire i cittadini degli Stati fa-centi parte della coalizione che combatte lo Stato Islamico”. Resta da capire se l’attacco sia stato effettivamente coordinato dall’IS, o se il 31enne tunisino abbia agito per conto suo con altri complici, magari influenza-to anche dalla situazione terri-bile che esiste in Francia per quanto riguarda la ghettizza-zione sociale e culturale degli arabi e dei musulmani che vi-vono o sono addirittura nati in quel Paese.

Hollande e Valls, prima an-cora di accertare il coinvolgi-mento dell’IS, non hanno per-so tempo per strumentalizzare l’ennesima tragedia per pro-spettare un’intensificazione della guerra allo Stato Islami-co. Hanno inoltre deciso di mi-litarizzare le città ed estendere lo stato d’emergenza, atti che potrebbero colpire anche i co-raggiosi lavoratori francesi in lotta per affossare la Loi Travail (il “Jobs act” d’Oltralpe). Infatti puntualmente gli aerei dell’im-perialismo francese hanno ri-preso i bombardamenti in Siria e Iraq, secondo quanto comu-nicato dal ministro della Difesa, pardon della guerra, Le Drian. Una nuova escalation appro-vata anche dall’Ue e dagli Usa: le due potenze imperialiste, ri-spettivamente tramite la rap-presentante per gli esteri Mo-gherini e il segretario di Stato Kerry, hanno infatti stabilito di “rafforzare la nostra coopera-zione nell’antiterrorismo”. Ma la soluzione scelta dai leader imperialisti europei e americani e francesi, raccolta anche dal-la ministra della Difesa guerra-fondaia Pinotti parlando di “non fermarci mai fino a quando non avremo sconfitto questi terribi-li assassini”, non farebbe che peggiorare ulteriormente la si-tuazione.

responsabilità e conseguenze della guerra imperialistaNoi marxisti-leninisti italiani

non vogliamo che queste stra-gi si ripetano, in Europa come in Medio Oriente e in qualsia-si altra parte del mondo. Pro-prio per questo, non possiamo esimerci dal nostro dovere an-timperialista di puntare ancora una volta il dito sulle vere radi-ci di questo conflitto. La pau-ra e l’orrore non devono farci cadere in balia dei governan-ti imperialisti dei Paesi euro-pei, i quali risponderebbero e hanno effettivamente risposto a questo attacco con nuovi e più pesanti bombardamenti, cioè aggravando e perpetuan-do questa situazione, visto che la strage di Nizza si configura come l’ennesima sanguinosa

conseguenza della guerra im-perialista contro l’IS, come tra l’altro si capisce dai comunicati di quest’ultimo.

Quello che i media e i politi-canti borghesi dell’Europa non

dicono è che è in corso una guerra, dichiarata non dall’IS ma dagli Stati europei impe-rialisti, Francia in testa, la qua-le da oltre vent’anni sta deva-stando il Medio Oriente e i suoi popoli, dove intere generazioni sono nate e vissute nelle con-dizioni di questa guerra. Non siamo in presenza di un grup-po terroristico che odia lo “stile di vita occidentale”, ma di uno Stato che, sotto attacco e per-dendo territori, resiste con que-sti atti di guerra terroristici non avendo a disposizione i caccia-bombardieri che lo bombarda-no pressoché quotidianamen-te. Non di un mostro sorto dal nulla contro i “valori occiden-tali” di “libertà” e “democrazia”, ma l’inevitabile conseguenza di anni e anni di guerre, bom-bardamenti, distruzioni e mas-sacri compiuti dall’imperialismo in Medio Oriente. Gli imperia-listi hanno infiammato l’inte-ra regione e portato fette sem-pre più ampie dei popoli locali e degli arabi e musulmani che vivono in Europa a unirsi alla resistenza armata, resistenza di cui è parte anche l’IS, piac-cia o no, come conseguen-za della complessa situazione sociale e culturale esistente in quei territori. Ciò non signifi-ca giustificare questo genere di attacchi ma contestualizzar-li all’interno della terribile spira-le guerra imperialista-attacchi terroristi, dove barbarie gene-ra barbarie, in un conflitto di-struttivo che pare senza fine e senza soluzione se non se ne capiscono le origini. In realtà questa soluzione c’è: mettere fine alla guerra ultraventennale condotta dagli Stati imperialisti contro i popoli arabi, oggi con-tro l’IS, pur non avendo il mini-mo diritto di ingerirsi negli affa-ri di quei popoli e quegli Stati. Una guerra dalla quale hanno da guadagnare solo e soltanto i grandi capitalisti, i fabbricanti e i commercianti di armi nostra-ni, a spese dei popoli arabi ed europei; davanti ai loro interes-si, anche i cosiddetti ideali di “democrazia” e “libertà”, tanto sbandierati quando si tratta di fare la guerra, cedono il passo.

Va tra l’altro rimarcata la parzialità della maggior par-te dei mass media, che spes-so ignorano o sminuiscono le stragi nei Paesi arabi aggredi-ti a causa dei bombardamen-

ti imperialisti, come si trattas-se di morti di serie B, peraltro confondendo le idee alle mas-se su ciò che avviene e quin-di sulle cause reali di attacchi militari terroristici come quello

di Nizza.Quei numeri sui morti in Me-

dio Oriente sotto i bombarda-menti che i nostri media ci ri-feriscono quasi come fossero semplici statistiche matemati-che, fredde e lontane, sono in realtà tragedie che sconvolgo-no i popoli arabi tanto quanto la strage di Nizza ha sconvol-to i popoli europei. Tragedie che infine hanno prodotto l’IS, il quale usa gli stessi metodi contro gli Stati imperialisti ag-gressori. Tali metodi ovviamen-te non sono condivisibili, visto che colpiscono i civili innocen-ti, ma questo non cambia il fat-to oggettivo, cioè che sono una reazione alla guerra imperiali-sta. Di conseguenza mettere

fine alla barbarie imperialista, cessare i bombardamenti e aprire trattative con tutte le par-ti in causa, IS compreso, ser-virebbe a mettere fine anche a questa barbarie che ora sta

mietendo tante vite anche fra i popoli europei.

Battiamoci perché l’italia si ritiri dalla

guerraLa strage di Nizza pertanto

inchioda i governanti degli Sta-ti imperialisti alle loro respon-sabilità, poiché spetterebbe a loro cessare immediatamente il conflitto se gli interessasse ve-ramente il benessere dei loro popoli, ora esposti alla minac-cia del contrattacco terroristico. Ma se i governi non hanno in-tenzione di farlo, sta ai popoli stessi scendere in campo e lot-tare per la pace e per costrin-

gerli, innanzitutto rifiutandosi di appoggiare la loro guerra e di unirsi al coro bellicoso del-l’“unità nazionale” per la “guer-ra al terrorismo”.

È urgente e imperativo bat-tersi perché l’Italia si tiri fuo-ri da questa guerra, ritirando-si dai teatri di guerra dove è presente, in particolare in Iraq e Afghanistan, e rinuncian-do a ogni intervento in Libia o altrove, per evitare che tali ri-torsioni si abbattano anche sul nostro popolo. Dobbiamo opporci alla linea del gover-no Renzi, i cui rappresentan-ti non si risparmiano negli ap-pelli alla “coesione nazionale” nella “lotta al terrorismo”: Alfa-no alla conferenza stampa del 15 luglio, ha annunciato l’in-tenzione di militarizzare il Pa-ese inasprendo i controlli poli-zieschi, i fermi e le espulsioni, ricorrendo alle forze armate, allertando i confini, aumentan-do i “controlli sul web” e inca-ricando i prefetti di condurre “controlli” capillari sul territorio; tutte misure da regime di poli-zia assolutamente inutili per lo scopo ufficiale, cioè prevenire il terrorismo. Poco dopo, alla conferenza dei capigruppo del 18 luglio (che peraltro ha deci-so di monitorare e schedare i musulmani in Italia), Renzi ha chiesto ai partiti del parlamen-to scodinzolanti, M5S compre-so, di compattarsi attorno al governo in nome della “lotta al terrorismo” e della “sicurez-za”; retorica e azioni che, oltre a mettere a repentaglio l’inco-lumità e i diritti democratici del nostro popolo, favorisce la te-nuta del nuovo duce. Tra l’altro la Boschi ha raschiato il fon-do dell’indecenza politica, se non dello sciacallaggio vero e

proprio, collegando la controri-forma piduista e fascista della Costituzione alla difesa dagli attentati terroristici.

È però ancora più grave che la CGIL sia stata messa a di-sposizione del capitalismo ita-liano, del governo e della sua politica di guerra: è questo il senso della lettera della Ca-musso alle iscritte e agli iscrit-ti del 15 luglio in difesa dei “principi e valori” di “democra-zia e libertà” del nostro Paese e dell’Europa, dando credito alle belle quanto fasulle paro-le dietro cui i governanti impe-rialisti nascondono la nuova pioggia di bombe sulla Siria e l’Iraq. Spetterebbe anche alla CGIL, insieme alle altre forze politiche, sociali, culturali e re-ligiose amanti della pace, fare la propria parte per lanciare un grande movimento contro la guerra, per non parlare poi del ruolo che potrebbe avere nel-lo smascherare gli enormi in-teressi del capitalismo italiano nella possibile avventura ne-ocolonialista in Libia; invece il vertice camussiano, debole e sonnolento quando si tratta di portare avanti le lotte dei lavo-ratori, non ha perso tempo a di-mostrarsi disponibile e affidabi-le al governo. C’è davvero da sperare che le lavoratrici e i la-voratori antimperialisti che fan-no parte della CGIL respinge-ranno l’appello.

Far uscire l’Italia dalla guer-ra è l’unico modo per far usci-re la guerra dall’Italia. Questa, non la militarizzazione, l’esten-sione dei servizi segreti e il re-stringimento delle libertà, è l’u-nica “prevenzione” veramente efficace. Per evitare le inevi-tabili ritorsioni militari terroristi-che da parte dell’Is.

Novembre 2015. Bombardamenti francesi su Raqqa, capitale dello Stato islamico. Colpiti almeno 20 obiettivi strategici. In città tagliata la rete elettrica e la fornitura di acqua potabile

dopo 7 aNNi La commissioNe d’iNchiesta ricoNosce: “La guerra NoN era Necessaria. NoN c’era uN’immiNeNte miNaccia da parte di saddam husseiN”;

L’iNvasioNe ha scoNvoLto i fragiLi equiLiBri regioNaLi e favorito iL terrorismo

Blair mentì per invadere l’iraqL’ex pRemIeR va pRocessato peR cRImINI dI gueRRa

Ci sono voluti 7 anni di in-dagini, un rapporto di 13 volu-mi e una spesa di 10 milioni di sterline, per certificare quello che milioni di manifestanti an-timperialisti e pacifisti avevano capito subito 14 anni fa, scen-dendo in piazza in tutto il mon-do per mesi per scongiurare la criminale invasione all’Iraq pia-nificata nel 2002 e attuata nel marzo 2003 dai boia imperia-listi Bush e Blair: e cioè che quella sciagurata guerra “non era necessaria”; che “non c’e-ra un’imminente minaccia da parte di Saddam Hussein”; che l’intervento militare “non era l’ultima opzione”, e fu de-ciso “prima che fossero esau-rite le possibilità di pacifica ne-goziazione”; e che l’esistenza di armi di distruzione di massa (che non esistevano) “fu pre-sentata come una certezza in-giustificata”.

È quanto ha stabilito il rap-porto Chilcot, nella sintesi che ne ha fatta il titolare presentan-dolo il 6 luglio a Londra al Cen-tro Queen Elisabeth, vicino a Westminster, davanti al qua-le manifestavano diversi attivi-

sti di Stop the war coalition. È la terza inchiesta parlamentare che tenta di ricostruire le cause e le responsabilità della guerra all’Iraq, dopo la Hutton Enquiry del 2003 e la Butler review del 2004, e anche l’unica che è ri-uscita a stabilire, sia pure par-zialmente e con ingiustificabile ritardo, la verità sull’intervento britannico a fianco degli Usa e sulle responsabilità dell’allora premier Tony Blair.

Il rapporto ripercorre tutte le fasi di preparazione dell’inva-sione, mettendo anche in luce il carattere maniacale dell’appog-gio incondizionato di Blair ai pia-ni di guerra di Bush, per quanto pretestuose e inconsistenti fos-sero le motivazioni accampate dall’amministrazione america-na per giustificare l’intervento e malgrado l’opposizione mon-diale ad esso, compresi organi-smi internazionali come l’Onu e l’Aiea, l’agenzia atomica i cui controlli avevano ripetutamente negato l’esistenza in Iraq delle presunte armi di distruzione di massa: “I will be with you wha-tever” (“sarò con te qualunque cosa accada”), scriveva infatti il

premier labourista al presiden-te Usa. E questo ancora prima che i due servizi segreti Usa e britannico producessero le fal-se prove sull’esistenza delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam. Ossia, esiste-va un accordo preventivo e a prescindere da tutto tra i due banditi imperialisti, per scaval-care gli organismi internaziona-li e scatenare la guerra senza preoccuparsi di esplorare tut-te le soluzioni alternative, che pure secondo il rapporto non mancavano di certo.

Il rapporto accusa anche Blair di non aver previsto tutte le possibili conseguenze della guerra e dello sconvolgimento dei fragili equilibri nella regione, e in particolare il rafforzamen-to di Al Qaeda e l’espansione del terrorismo in tutto il Medio Oriente, che si è potuto avva-lere dei militanti e delle armi del disciolto esercito di Saddam e perfino delle stesse armi occi-dentali. E che con i suoi atten-tati oggi sta mettendo in perico-lo gli stessi cittadini britannici in casa propria.

Al tempo stesso, però, il rap-

porto concede ambiguamente a Blair il beneficio della “buona fede”, scagionandolo dalla sua responsabilità più grave, quel-la di aver mentito scientemen-te al Paese per trascinarlo “le-galmente” in guerra. Da questo punto di vista il rapporto Chil-cot rappresenta anche una pie-tra tombale sulle responsabilità dell’ex premier, che dovrebbe essere invece processato da un tribunale internazionale come criminale di guerra, come gridava lo striscione a grandi caratteri mostrato dai manife-stanti davanti alla sua abitazio-ne (“Blair must face war crimes trial”). E come chiedono anche i parenti dei 179 soldati britannici morti in Iraq, per i quali Blair è “il peggiore dei terroristi”, e che si riservano il diritto di portarlo in tribunale.

E difatti è proprio a questa ambiguità del rapporto che il criminale di guerra Blair si è at-taccato per continuare a nega-re le sue responsabilità, e anzi rivendicare sfrontatamente la

SEGUE IN 15ª ➫

N. 30 - 28 luglio 2016 esteri / il bolscevico 15i miLitari iNsorti voLevaNo “ristaBiLire L’ordiNe democratico e La LiBertà”

fallito il colpo di stato in turchiaoltre 15mila arresti tra militari, giudici, poliziotti e giornalisti. chiesta l’estradizione dagli usa dell’oppositore gülen.

chiuso lo spazio aereo della base Nato di Incirlik. usa e ue premono perché erdogan rispetti lo “stato di diritto”aLta teNsIoNe tRa WashINgtoN e aNkaRa

Alle ore 22 del 15 luglio la base di Akinci avvisava il con-trollo del traffico aereo civile turco che due caccia F-16 del Quarto Stormo stavano per decollare con massima prio-rità per una missione specia-le. Una ventina di minuti dopo i due aerei si trovavano sopra la capitale Ankara, staccavano il trasponder, lo strumento che comunica la posizione e inizia-vano a bombardare le sedi del parlamento, la residenza presi-denziale, il quartiere generale dei reparti speciali del ministe-ro dell’Interno, il comando del-la polizia e altri obiettivi. Era il segnale, poco prima o assie-me al movimento di carri ar-mati che bloccavano due ponti a Istanbul, dell’inizio del fallito golpe tentato da una parte dei militari, con alla testa l’Aviazio-ne. Uno dei due piloti partiti da Akici era l’ufficiale che il 24 no-vembre scorso aveva abbattu-to un aereo russo sui cieli si-riani presso la frontiera turca, subito appoggiata dagli Usa e che aveva provocato la delica-ta crisi con Mosca, ricucita dal governo di Erdogan solo po-chi giorni fa con le scuse uffi-ciali a Putin; potrebbe trattarsi solo una fortuita combinazione, o forse no.

Dalle ricostruzioni dei primi passi del tentato golpe risulta anche che a sostenere gli at-tacchi sulla capitale condotti da almeno sei caccia si sia mosso un grande aereo cisterna parti-to dalla base strategica turco-americana di Incirlik. Dalle basi di Dalaman, Erzurum e Balike-sir partono invece i caccia F-16 di forze rimaste leali a Erdo-gan che contendono il control-lo dello spazio aereo ai golpi-sti e permettono quantomeno all’aereo privato del presiden-

te, che si trovava in vacanza a Marmaris, una località balnea-re nel sudovest del Paese, di decollare e dirigersi al momen-to opportuno su Istanbul.

L’aereo del presidente non si nasconde, la traccia del suo volo è monitorata persino dal sito Flightradar, ma i gol-pisti non riescono o non pos-sono intercettarlo e abbatter-lo. Le agenzie internazionali che seguivano lo sviluppo del tentato golpe davano erronea-mente Erdogan in fuga verso Germania o Inghilterra in cerca di asilo politico per accreditare il successo del golpe.

Ci sono tanti altri particola-ri del tentato golpe durato ne-anche quattro ore che forse sa-ranno chiariti per capire meglio come si sono svolti i fatti. Quel-li noti sono relativi ai repar-ti dell’esercito che nella notte tra il 15 e il 16 luglio entravano in azione nella principali città del Paese, da Istanbul a Anka-ra, a Smirne chiudendo alcuni ponti sul Bosforo, bloccavano i social network, occupavano la sede della tivù di Stato e a Istanbul l’aeroporto interna-zionale Ataturk. I militari insor-ti attaccavano in particolare le sedi dei servizi segreti e della polizia in maggioranza fedeli al presidente Erdogan. E dirama-vano una serie di comunicati per annunciare di aver preso il potere in tutto il Paese, di aver imposto il coprifuoco e la legge marziale e annunciavano che “ripristineremo democrazia e laicità” e che “una nuova Costi-tuzione sarà preparata il prima possibile”.

Erdogan appariva con una videochiamata su FaceTime dove annunciava che “sono ancora il presidente della Tur-chia e il comandante in capo.

Resistete al colpo di Stato nelle piazze e negli aeroporti. È ope-ra di una minoranza delle for-ze armate” e accusava l’oppo-sitore Fetullah Gülen, il leader islamico moderato rifugiato dal 1999 negli Usa, di esserne l’i-spiratore; Gülen respingeva le accuse e ribaltava su Erdogan l’accusa di aver messo in sce-na un falso colpo di Stato servi-to soltanto a rafforzarsi.

Le moschee rilanciava-no l’appello di Erdogan a di-fendere il governo islamico e a scendere in strada contro i golpisti mentre il capo del-la Marina militare comunica-va che “le forze sotto il suo controllo non aderiscono alla sollevazione”; stessa presa di posizione del comandan-te della Prima Armata, quella di Istanbul. Era evidente che la situazione neanche tre ore dopo l’inizio del golpe volgeva dalla parte di Erdogan.

Tre ore di clamoroso silen-zio da parte di governi occiden-tali che avrebbero dovuto sin dall’inizio fare il tifo per l’alleato Erdogan. Solo attorno all’1,30 gli Stati Uniti prendevano uffi-cialmente posizione sul colpo di Stato in corso, col segretario di Stato John Kerry, che si tro-vava a Mosca e che si limitava a comunicare che Washington stava con il governo democra-ticamente eletto. Una dichiara-zione formale e ambigua che risultava inferiore a quella di Mosca del ministro degli Este-ri Sergey Lavrov che affer-mava: “occorre evitare che si arrivi a scontri sanguinosi e ri-solvere tutti i problemi nell’am-bito delle norme costituziona-li”, come dire no al golpe. Poi Barack Obama dichiarava che “tutte le parti in Turchia devo-no sostenere il governo eletto

democraticamente, mostrare moderazione ed evitare qual-siasi violenza o bagno di san-gue”, che poteva sembrare già una indicazione a Erdogan di non essere spietato coi golpisti sconfitti. Sulla posizione degli Usa si allineavano la Nato, la Merkel e gli altri alleati europei. Da notare tra l’altro che la Nato durante la fase in cui le sorti del golpe sembravano ancora incerte, in un paese che è uno dei pilastri dell’Alleanza atlanti-ca, aveva mantenuto un atteg-giamento defilato, di attesa e anzi aveva escluso un’imme-diata convocazione di emer-genza del Consiglio Atlantico.

In ogni caso il tentato golpe era già arrivato al capolinea. I militari insorti si ritiravano dal-lo scalo Ataturk dove atterrava l’aereo di Erdogan che assie-me al premier Yildirim rilancia-va le accuse contro l’opposito-re Gülen e attaccavano gli Usa perché lo proteggevano: “Non riesco a immaginare un Paese che possa sostenere quest’uo-mo, questo leader di un’orga-nizzazione terroristica, soprat-tutto dopo la scorsa notte. Un Paese che lo sostenga non è amico della Turchia. Sarebbe persino un atto ostile nei nostri confronti”, affermava Yildirim. La sera del 16 luglio Erdogan chiedeva formalmente agli Usa l’estradizione dell’ex imam, il segretario di Stato Kerry repli-cava ad Ankara di “produrre le prove” sulle accuse.

Il bilancio della repressio-ne contro le forze golpiste era stilato al 18 luglio del premier Yildirim che parlava di “7.543 persone arrestate, tra cui 100 agenti di polizia, 6.038 solda-ti, 755 tra giudici e procurato-ri, e 650 civili. Per 316 è stata confermata la custodia preven-tiva”. Circa 1.500 dipendenti erano sollevati dai loro incari-chi dal ministero delle Finanze. Il premier forniva anche un bi-lancio delle vittime del fallito golpe: 312 morti di cui 145 civi-li, 60 poliziotti e 3 soldati, quasi 1.500 i feriti. Altre fonti parlano di oltre 15mila arresti tra milita-ri, giudici, poliziotti e giornalisti. Fra questi oltre 6.000 i membri dell’esercito e del corpo giudi-ziario tra cui spiccano 103 tra ammiragli e generali, un ter-zo del totale degli alti ufficiali in Turchia, e due giudici della corte costituzionale. Tra i mili-tari arrestati, il consigliere mi-litare del presidente Erdogan, colonnello Ali Yazici, il coman-dante della Seconda Armata, generale Adem Huduti, il co-mandante della Terza Armata, Erdal Ozturk, l’ex comandante della forza aerea, Akin Ozturk, ritenuto il leader dei golpisti, e il comandante della base aerea Nato di Incirlik, generale Bekir Ercan. Completavano il qua-dro la sospensione di 30 pre-fetti su 81 e di 47 governatori di distretti provinciali, di 8.777 dipendenti del ministero dell’In-terno in gran parte poliziotti.

Fra le misure decise dal-le autorità turche spiccava la chiusura dello spazio aereo at-torno alla base aerea turca e Nato di Incirlik, la base fonda-mentale per la presenza sta-tunitense in Medio Oriente, at-tiva dal 1943, e al momento trampolino di lancio della cam-pagna contro lo Stato Islami-

co. La misura decisa il 16 lu-glio era solo in parte modificata due giorni dopo con la ripresa le operazioni contro l’IS da par-te solo dei ricognitori Tornado tedeschi e dei droni.

Cosa sia accaduto nella base di Incirlik potrebbe essere determinante per chiarire la po-sizione dell’imperialismo ame-ricano nel tentato golpe, che presenta vari aspetti simili a quello riuscito in Egitto col gol-pista Al Sisi che ha seppellito il governo islamico del presiden-te Morsi. In ogni caso gli Usa, assieme alla Ue, hanno pre-muto affinchè Erdogan rispetti lo “Stato di diritto” e non usi il pugno di ferro nella repressio-ne non solo dei gruppi golpisti ma di tutta l’opposizione, con-tinuando quella polemica che viaggiava sottotraccia contro la repressione che il regime di Er-dogan aveva già messo in atto incarcerando giornalisti e op-positori, togliendo l’immunità ai parlamentari filocurdi e metten-do a ferro e fuoco le città curde. Proprio mentre l’imperialismo americano stringeva i rapporti coi curdi siriani per combatte-re assieme l’IS, un’alleanza vi-sta come il fumo negli occhi a Ankara.

Le crepe nel rapporto tra la Turchia di Erdogan e gli ex al-leati di ferro Usa si stavano da tempo allargando; il fallito gol-pe potrebbe accentuarle. Regi-strando l’alta tensione creata-si tra Washington e Ankara al momento non è possibile ipo-tizzare la rottura di quest’asse e l’avvicinamento all’imperiali-smo russo del nuovo zar Putin, oggetto comunque di recenti segnali distensivi; più probabi-le che Erdogan voglia giocare al rialzo e portare a casa un ri-sultato che premi le sue ambi-zioni di riportare l’imperialismo turco ai fasti dell’impero otto-mano, una delle indiscusse po-tenze egemoni quantomeno nella regione.

Per il momento possiamo solo mettere in fila le dichiara-zioni delle parti e osservarne l’evoluzione.

Gli Usa hanno chiesto a Er-dogan di porre fine alle violen-ze, gli assicurano la collabora-zione ma hanno chiesto “prove vere, non accuse” contro Fe-tullah Gulen, e con John Kerry hanno minacciato che l’appar-tenenza della Turchia alla Nato “potrebbe essere a rischio” in caso di reazione “sproporzio-nata” al golpe. Minaccia ripe-tuta anche dal segretario della Nato, il norvegese Jens Stol-tenberg. All’ipotesi di Erdogan di ripristinare la pena di morte si opponeva la Ue con la can-celliera Merkel che garantiva in quel caso “la fine delle tratta-tive per l’ingresso nell’Unione europea”. Il presidente Erdo-gan “aveva le liste” di epura-zione dei giudici e dei militari turchi “già pronte” e l’immedia-ta reazione al tentato golpe in Turchia da parte delle autorità di governo “indica che loro era-no preparati”, rincarava la dose il commissario per la politica di vicinato e i negoziati per l’al-largamento dell’Ue, Johannes Hahn.

Successivamente John Ker-ry smorzava i toni affermando che “speriamo che tutto si cal-mi senza un’accelerazione del-

le rappresaglie, e senza che si approfitti della situazione per trarne vantaggi. Comunque sembra che Erdogan abbia il pieno controllo della situazio-ne, e noi pensiamo che sia po-sitivo. Naturalmente ci sono i golpisti, che dovranno rispon-dere di ciò che hanno fatto e ne risponderanno. Ma siamo tutti preoccupati, e abbiamo espresso questa preoccupa-zione, che si alimenti una re-pressione che vada ben oltre i responsabili del golpe”.

Ben diverso il tono dei rap-porti con Mosca. Secondo le agenzie russe Interfax e Tass Putin e Erdogan si sono senti-ti per telefono e hanno concor-dato di incontrarsi di persona “presto”. Mentre il capo del co-mitato per gli affari internazio-nali del parlamento di Mosca, Alexej Pushkov, affermava il 18 luglio “ritengo che da questo confronto Erdogan sia uscito più forte di prima. L’esercito e la sua dirigenza saranno ripu-liti attraverso l’individuazione e la rimozione dei sostenitori del colpo di stato. L’esercito ha so-stenuto in massa Erdogan e gli elementi inaffidabili saranno adesso rimossi” e sottolinea-va che “per quanto riguarda la politica estera, il fatto che Er-dogan sia rimasto al potere si-gnifica che gli accordi raggiunti con la Russia sono salvi, non vedo motivi per cui Ankara do-vrebbe rinunciarvi. E penso che le correzioni che Erdogan ha gradualmente cominciato a introdurre in politica estera per migliorare le relazioni con la Russia e con i paesi vicini, con i quali la Turchia è in rappor-ti complicati, andranno avanti”.

Il parlamentare si riferiva alle recenti “novità” della po-litica estera di Erdogan, quali l’accordo di riconciliazione coi sionisti di Tel Aviv che aveva-no ucciso pacifisti turchi sul convoglio navale di solidarie-tà diretto a Gaza; coi sionisti israeliani, anche essi non in buonissimi rapporti con l’am-ministrazione Obama, Mosca ha stretto un accordo per non pestarsi i piedi nella guerra in Siria contro l’IS. Dopo le scu-se e la riappacificazione con la Russia per l’aereo abbat-tuto sui cieli siriani voluta da Erdogan il premier turco ha assicurato che Ankara “conti-nuerà a migliorare le relazioni con i vicini. Non ci sono mol-ti motivi per scontrarsi con l’I-raq, la Siria o l’Egitto mentre ne abbiamo molti per sviluppa-re la nostra cooperazione. Mi-glioreremo i nostri rapporti di amicizia con tutti i Paesi che circondano il mar Nero e il Me-diterraneo. Manterremo i nostri disaccordi al minimo”.

Queste le nuove direttive della politica del dittatore fa-scista turco che finora ha svol-to un ruolo imperialista di primo piano, in accordo con il Qatar per sostenere i Fratelli musul-mani di Morsi in Egitto, con Qa-tar e con l’Arabia saudita per “contenere” l’Iran, abbattere il presidente Bashar Assad, can-cellare ogni aspirazione dei curdi e posizionare la Turchia come prima potenza egemo-ne locale. Una politica che può procedere con un Erdogan più forte nel rapporto con gli Usa e anche con nuove alleanze.

giustezza delle sue decisioni: “Posso guardare negli occhi non solo le famiglie ma tutta la nazione e dire che non ho in-gannato nessuno”, ha detto in-fatti l’ex premier in una confe-renza stampa convocata subito dopo la presentazione del rap-porto. Questo infame ipocrita si è “scusato” per gli “errori” fatti durante e dopo la missione, ma non per la decisione di invadere l’Iraq: “Ho agito in buona fede e lo rifarei anche oggi”, ha avuto la faccia tosta di affermare. Ag-giungendo di non credere che la guerra abbia fatto aumenta-re il terrorismo, che a suo dire ci sarebbe stato comunque an-che senza l’invasione.

E comunque non ha avuto nemmeno un accenno di pen-timento per le centinaia di mi-gliaia di morti civili iracheni: le stime ufficiali variano dalle 115 mila vittime ammesse da fonti dell’esercito americano a mez-zo milione fino al 2011, se-condo uno studio di universi-tà canadesi e statunitensi. A cui vanno aggiunti almeno 250 mila feriti, due milioni di rifugia-ti all’estero e altri due di sfolla-ti interni (fonti Unchr). Ma tutto questo è come se non esistes-se, per il boia imperialista ingle-se. Senza contare le sue colpe per il milione di vittime, di cui la

metà bambini, per l’embargo imposto all’Iraq negli anni pre-cedenti l’invasione.

Al suo posto si è scusato l’at-tuale leader labourista Jeremy Corbyn, che a suo tempo votò contro la guerra, e che in par-lamento ha definito la guerra all’Iraq “un atto di aggressione militare basato su falsi pretesti” commesso in flagrante “viola-zione del diritto internazionale”. Invece, pur essendo del partito avversario, il dimissionario pri-mo ministro conservatore Ca-

meron ha difeso l’ex premier, sostenendo che dal rapporto non emergerebbe la volontà di Blair di ingannare il Paese. Tra imperialisti di destra e di “sini-stra” ci si intende sempre!

E pensare che questo crimi-nale di guerra è stato un mo-dello per la “sinistra” borghese dei vari rinnegati D’Alema, Vel-troni e compagnia bella, e che a tutt’oggi continua ad esserlo anche per il nuovo duce Renzi, che non a caso si bea di essere chiamato “il Blair italiano”!

Tony Blair e George Bush a Camp David (Usa) nel 2002

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