Nuova Messapia

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Rivista culturale dell'area elleno-salentina

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Editoriale

Periodico iscritto al Tribunale di Lecce al n° 867 del registro dellastampa dal 27 sett. 2004. Ottobre - Dicembre 2008.AmministrazioneFrancesco Manni, Alfredo MelissanoDirettore responsabileGino L. Di MitriComitato di redazioneAlfredo Melissano, Demis Russo, Francesco Manni, FrancescoGiannachi, Giorgio V. Filieri, Orlando D’Urso, SandraAbbate, Sil-vano Palamà, Vito LuceriHanno collaboratoAngelo Mingiano, CosimoMangione, Emanuela Mangione, MarcoMaraca, Maurizio PallanteSi ringrazianoAlessandro Spiliotopulos, Antonio Dragone, Gianni Palma, PaoloCarnemolla, Salvatore Rossetti, Salvatore Tommasi, Simone RussoSi ringraziano le associazioniAltracalimera.org (Calimera), Carpiniana eis ten polin (Carpi-gnano), Cicloamici (Mesagne), Ghetonia (Calimera), Grecia-GR(Ass.Italo-Ellenica) (Martano), Kaliglossa (Calimera), SalentoGriko (Martignano)

Pubblicazione patrocinata da:

Redazione ed amministrazioneAss. Socio-culturale “NuovaMessapia -ONLUS”c/o palazzo Le Castelle, via R. Elena, 1273010 Soleto (LE)Tel. 333.84.51.218 / 340.68.67.745(iscr.n°1692 reg. ass. Lecce)E-mail: [email protected] [email protected]: www.nuovamessapia.itImpaginazione e GraficaAlfredo Melissano, Francesco ManniStampaGrafiche Panico - Galatina (LE)La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. La redazione si riservadi rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo e qualsiasi inserzione.

IndiceGrecìa Salentina. Quell’oscuro oggetto del desideriodi Alfredo Melissano pg 1

La decrescita paradigma culturale per un Rinascimento possibiledi Maurizio Pallante pg 5

Biomasse ed energia - Intervista al dott. Paolo Carnemolladi Alfredo Melissano pg 7

Calimera biomasse autoritariedi Angelo Miggiano pg 9

I Porta tu ’F’ Ilìadi Giorgio V.zo Filieri pg 10

La “Specchia Murica” e il megalitismo nella Grecìa salentinadi Francesco Manni pg 13

Le pietre forate dalla Grecìa al Giapponedi Silvano Palamà pg 15

Aja Manadi Silvano Palamà pg 16

Lingua Grika: ciak si parla!di Alfredo Melissano pg 17

Eco-turismo - Il futuro della tradizionedi Emanuela Mangione pg 18

Il velo e lo sguardo. Per Carmine Zizzaridi Cosimo Mangione pg 20

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La Grecìa Salentina un marchio, un ente, una chimera… Che cosa veramente si cela dietro questo nome che ai più rievoca caldenotti d’estate passate al suono incessante del tamburello? Leggendo lo statuto, per chi ne ha voglia, si possono scoprire alcuni latinascosti, ma non meno interessanti e importanti per la vita economica, sociale e civile di tutti i cittadini della Grecìa Salentina. Dallaricerca di chiarimento su alcuni punti dello Statuto dell’Unione si sviluppa l’inchiesta “Grecìa Salentina. Quell’oscuro oggetto deldesiderio” a cura di Alfredo Melissano.Come nel precedente numero si è voluto dare voce, ed informazione, sull’acceso dibattito sviluppatosi intorno al progetto di realiz-zazione di nuove centrali a biomasse nel Salento.Anche la Grecìa Salentina, ed esattamente Calimera, non sembrano immuni da que-sta febbre energetica.Accanto alla realtà locale si è voluto affiancare il parere autorevole di un tecnico quale il dott. Paolo Carnemolla,presidente nazionale di FederBio (Federazione Nazionale dei produttori biologici e biodinamici) incontrato in veste di relatore du-rante la conferenza promossa dalla Regione Puglia sulle nuove tecnologie energetiche svolta nell’ambito della 72° Fiera del Levante.Articolo importante, con argomenti sicuramente da approfondire, è quello proposto dal prof. Maurizio Pallante, presidente nazionaledel Movimento per la Decrescita Felice. Invitato da Nuova Messapia già a luglio di quest’anno in occasione della due giorni pro-mossa dalla Consulta Infanzia, Adolescenza, Sport e Cultura del CSVSalento, durante la quale ha tenuto una stimolante conferenzasulla Decrescita Felice e le sue applicazioni nel mondo delle Organizzazioni di Volontariato. Il prof. Pallante nel suo articolo ci spiegacosa si intende per ‘Decrescita’, perché deve essere ‘Felice’ e immediatamente praticata da ciascuno di noi.Sul fronte della ricerca storica presentiamo due interessanti scoperte: quella di G.V. Filieri sulla possibile origine del nome della porta ‘Filia’di Sternatia e quella di FrancescoManni in cui ci informa sulla possibile ubicazione della ‘Specchia Murica’ nel feudo diCorigliano d’Otranto.Nota a parte merita la notizia legata alla lingua grika. Riportiamo con immenso piacere un riconoscimento ufficiale storico da partedella Curia di Otranto di una bella poesia/preghiera dedicata alla Madonna, scritta in lingua grika dal prof. Salvatore Tommasi che,con l’approvazione della Curia, può essere recitata dai fedeli durante i riti liturgici.I soci e la redazione tutta dedicano questo numero di Nuova Messapia a due amici che da poco non sono più con noi, sperando cheanche con questo piccolo gesto il loro ricordo ci sia sempre più come guida ed incoraggiamento. Ciao Luigi, ciao Alessandro.

La redazione

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L’Ente ‘Grecìa Salentina’prende formanellaprimametàdeglianni’90partendo,dapprima come associazione di comuni,poi trasformatasi in consorzio, sino allaforma politico-amministrativa attuale diUnione di Comuni. Non avendo benchiaro, sia come addetti ai lavori, checome cittadini dell’Unione la sua orga-nizzazione e le sue modalità di ammini-strazione ci siamo rivolti direttamente alpresidentedell’Unioneprof.LuiginoSer-gioe avariamministratori dellaGrecìa.Traquellicontattati, l’unicoadimostrarsidisponibile a chiarirci le idee di questooscuro Ente è stato l’assessore GianniPalma del Comune di Calimera.

Grecìa SalentinaQuell’oscuro ogge�o del desideriodi Alfredo Melissano

L’ENTE E LE SUE SEDI

Dove ha sede e come è organizzatal’amministrazione dell’Unione deicomuni?

L’Unione dei Comuni della Grecìa Sa-lentina, da questo punto di vista, èun’architettura realizzata solo a metà.Difatti all’interno dell’Unione si è su-bito stabilito che la sede dovesse es-sere ubicata a Calimera. Alla luce diquesta prospettiva l’allora Ammini-strazione di Martano si mostrava titu-bante se aderire, o meno, all’internodell’Unione. Questa momento di in-certezza, alla fine dei conti, è stato su-perato, e, a tutt’oggi, Martanopartecipa, per quanto riguarda il la-voro amministrativo o d’intervento,come tutti quanti gli altri Comuni.Circa l’organizzazione amministrativadell’ente siamo molto lontani daun’organizzazione che possa ritenersicongrua e “efficiente”. L’Unione ènata con gli uffici presso il comune diSternatia, avendo avuto l’allora sin-daco di Sternatia come primo presi-dente dell’Unione, quindi gli uffici(segreteria e protocollo - ndr) sono ri-masti a Sternatia. Il processo di accen-tramento di sede ed uffici non si è atutt’oggi ancora avviato. Dovrebberealizzarsi, ma è pura teoria e nonsiamo ancora nella fase attuativa. IlComune di Calimera sta sollecitandoaffinché ciò possa avvenire, ha messo

a disposizione una sede moderna,ampia, ben strutturata con tutte le in-frastrutture necessarie. Il non avereuna struttura che accorpi sede del-l’Unione e uffici, ricade in maniera ne-gativa sull’organizzazione stessadell’Unione.Mentre l’Unione si riunisce da unpunto di vista politico e amministra-tivo, come Consiglio e come organo diGiunta a Calimera, nel contempo uti-lizza l’ufficio tecnico del Comune diCalimera per realizzare i progetti del-l’Unione valutati e approvati da organipolitici superiori, gli uffici del Co-mune di Sterantia per la segreteria, il

che un accordo, o una decisione, siaquasi sempre passata all’unanimità.Questo è possibile grazie all’accanto-namento di ogni matrice ideologicadei singoli amministratori, assieme acontroversie, scontri e quant’altro.Fermo restando che si deve ancora in-traprendere una strada concreta di uni-ficazione amministrativa.

LE CARICHE

Come vengono formate le cariche dipresidente e dei consiglieri nella Gre-cìa salentina?

Non è facile rispondere a questa do-manda, perché in realtà la carica di pre-sidente della Grecìa Salentina è unacarica che viene determinata da unequilibrio interno che dovrebbe poicondurre ad una gestione accettata, oarmonicamente condivisa un po’ datutti. All’inizio era comune l’idea dicreare una certa rotazione, poiché, dastatuto, la carica sarebbe durata per soloun anno. In realtà noi, in seno al-l’Unione, non abbiamo mai partecipatoal rinnovo di carica e si è operato igno-rando totalmente lo statuto. Ciò signi-fica che l’attuale presidente, dopo ilprimo anno, ha fatto un secondo annosenza che nessun organo avesse mai de-liberato il rinnovo, o il perdurare dellasua carica. Quindi, questo sta a indicareche l’applicazione sistematica dello sta-tuto è stata disattesa. Lo statuto e le suedisposizioni vengono, di tanto in tanto,evocati, ma in realtà si va avanti indi-pendentemente dagli obiettivi e dalleprerogative che lo statuto indica.

I consigli di giunta vengono convo-cati con una cadenza regolare?

Le giunte, con l’insediamento del pre-sidente Luigino Sergio, e durante ilprimo anno di presidenza, si sussegui-vano con una certa cadenza e regola-rità, la giunta si riuniva quasi ognisettimana. Questo è stato il periododove la giunta ha prodotto il maggiornumero di progetti, dai quali si èavuto, a tutt’oggi, il maggior numerodi ritorni e benefici.

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Comune di Melpignano per l’ufficioragioneria e il Comune di Soleto comeufficio tecnico urbanistico. Questo de-centramento di uffici non mira, dicerto, al buon funzionamento del-l’Ente.

Da parte dell’Unione c’è una presad’atto di questa anomalia?

Non c’è una presa d’atto. L’Unione fafatica a muoversi in modo lineare, per-ché ogni decisione deve essere di-scussa tra gli 11 rappresentanti deiComuni aderenti. Essendo tanti am-ministratori all’interno dell’Unione,come si può intuire, non è facile arri-vare ad una soluzione unitaria. Anzi,fino ad ora, è stata una coincidenza

Grecìa Salentina (Foto: Melissano)

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Ma da circa un anno, nel momento incui il presidente ha avuto prima deiproblemi di salute e poi ha assunto ul-teriori impegni amministrativi, lagiunta ora mai si riunisce molto dirado, soltanto una volta ogni due mesi.Si è passati dalla regolarità di due, tregiunte al mese ad avere anche una riu-nione di giunta in due mesi.

L’AZIONE AMMINISTRATIVA

Lo statuto fa riferimento ai para-metri qualitativi di efficienza ed ef-ficacia della gestione eamministrazione dell’Unione, e siindica anche un organo di controlloper la corretta applicazione di taliparametri. L’Unione dei Comunidella Grecìa Salentina applica que-sto modus operandi correttamente?

Diciamo che i parametri relativi al-l’efficienza e all’efficacia previsti daStatuto e lo stesso Organo di Controllodell’attività dell’Unione ancora nonesistono. Quindi sono pura teoria.

Questi parametri sono esplicita-mente richiesti dalla legge sulleUnioni dei Comuni …

Sì, nonostante la legge faccia riferi-mento a parametri di efficienza e effi-cacia circa gli enti pubblici e prevededegli organi di controllo non è dettoche vengano realmente istituiti e resioperativi. Noi siamo stati efficienticome giunta finché abbiamo lavorato eindividuato alcuni percorsi e su queipercorsi abbiamo progettato e realiz-

zato azioni utili, in quel momento era-vamo, forse casualmente, efficienti.Oggi non lo siamo più.

Sempre rimanendo sul buon funzio-namento dell’attività amministra-tiva dell’Unione dei Comuni dellaGrecìa salentina, e semplificando unpo’ la questione: il sindaco e la suagiunta hanno come diretti referenti icittadini del Comune, per l’Unionedei Comune qual è il rapporto traamministratori e elettorato?

Non c’è un’elezione diretta dell’or-gano di giunta e del presidente nel-l’Unione. Funziona come per il nostroparlamento. Gli amministratori del-l’Unione della Grecìa Salentina sonoi rappresentanti politici votati nei ri-spettivi comuni attraverso le elezionicomunali, che si prestano a rappresen-tare i singoli comuni in seno al-l’Unione dimostrando, almeno finora,intenzioni positive verso gli obiettiviperseguiti da questo ente.

Nello statuto dell’Unione dei Co-muni della Grecìa Salentina tra gliobiettivi vi è la riduzione delle spesedei singoli Comuni, accorpando sin-goli servizi comunali in servizi ge-stiti e erogati dall’Unione deiComuni quali: la polizia municipale,il servizio biblioteche, servizi di rac-colta dei rifiuti e così via … Si è maiperseguito questo obiettivo in senoall’Unione?

No! Non si è mai arrivati, per diffi-coltà di diversa natura, ad accorparenell’ambito dell’Unione i diversi ser-vizi offerti dai Comuni. Le proposte cisono state. Due anni fa quando sonostato nominato assessore alla GrecìaSalentina nel Comune di Calimera,sulla spinta di un certo entusiasmo chemi trovavo, ho formulato una lista dirichieste per la messa in comune di al-cuni servizi, selezionandone quelli fa-cili da unificare, e che in qualchemodo potessero essere accolti con fa-vore dagli amministratori dell’interaUnione. Cominciando dall’unificareservizi semplici, sarebbe stato un buonbanco di prova, prima di arrivare ad

utilizzi più complessi. Servizi proget-tati, ma mai posti in opera. Uno deiprimi progetti su cui si è arenato que-sto percorso fu proprio quello di unifi-care le polizie municipali dei comunidella Grecìa. Progetto bloccato perevidenti e forti contrasti di interessi diComuni più grandi che avrebbero do-vuto cedere parte del personale ai Co-muni più piccoli che ne avrebberobeneficiato per il loro organico. Daquesto segnale è sembrato subito evi-dente una miopia amministrativa percerte questioni. E per tanto non sem-bra cosa facile rispettare gli obiettivipredisposti dal Testo Unico che hacome scopo la razionalizzazione el’ottimizzazione della gestione ammi-nistrativa tramite le Unioni di Comuni.

E pure nello statuto sono elencati inmaniera chiara un lungo elenco diservizi da unificare: difesa civica,ufficio controlli interni, ufficio perla gestione del contenzioso del la-voro, ufficio per invalidi civili, poli-zia locale, servizi catastali,protezione civile …

Non si è realizzato nulla. Anche que-sto è rimasto pura teoria, e non sem-bra esserci la benchè minimaintenzione neppure a parlarne.

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Calimera - municipio (Foto Maraca)

Luigino Sergio (Foto Melissano)

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L’Unione dei Comuni ha centrato isuoi obiettivi?

L’obiettivo del Testo Unico è crearedelle entità intermedie tra comuni e pro-vince, alfine di ottimizzare i servizi of-ferti al cittadino e ridurre sensibilmentel’impiego di denaro pubblico dei singolicomuni per gli stessi servizi. A dire dimolti, e a dimostrazione dei fatti, pro-prio questo obiettivo politico-ammini-strativo è stato disatteso dall’EnteGrecìa Salentina che ha concentrato isuoi sforzi solo sulla realizzazione disingoli progetti scollegati, alcuni di dub-bia utilità, su finanziamenti della Co-munità Europea e del Governo Italiano.

L’UNIONE E LA LINGUA GRIKA

Leggendo lo statuto dell’Unione deicomuni della Grecìa Salentina non sipuò fare a meno di notare che la pe-culiarità su cui si fonda l’esistenzastessa dell’Unione, ovvero la linguagrika, non viene per nulla menzio-nata, e viene del tutto tralasciato ogniriferimento sulla tutela, la valorizza-zione, e la promozione del patrimoniolinguistico. Come si spiega ciò?

Questo, dal mio punto di vista, è un ar-gomento dolente. Io considero l’Unionedella Grecìa Salentina un organo ammi-nistrativo che opera e persegue deter-minati obiettivi e benefìci, che, poi,hanno ricaduta sui singoli comuni. Que-sto, però, è uno scopo strettamente po-litico-amministrativo e, in subordine,economico. In realtà, io considero laGrecìa Salentina anche come entità fi-sica e demografica, ovvero un’entitàpulsante costituita da 9 comunità, chegiungono a 11 comunità se vogliamo in-cludere anche Carpignano Salentino eCutrofiano. Purtroppo, a onor del vero,i comuni di Carpignano e Cutrofianohanno sì una lontana origine ellenofona,ma di certo questi comuni da lunghis-simo tempo hanno perso la loro pecu-liarità linguistica. È innegabile cheoramai la totalità dei cittadini della Gre-cìa parla correntemente la lingua ita-liana, ma vi è anche una co-esistenza,per alcune fasce della popolazione, conla parlata grika. Ebbene io identifico

un peccato. In quel momento non ci saràpiù nulla di ciò che caratterizza oggi laGrecìa Salentina, e saremo passibilicome una delle tante Unioni di comunidel Salento. In questa prospettiva adesempio Calimera potrebbe dire, sì, ilmio nome è di origine greca …

…diventa pura letteratura …

…sì, diviene storia ,e basta. Quindi nonc’è più quel fenomeno straordinariocome quello che ci caratterizza oggi: ilfatto di poter essere nel terzo millennioa contatto con una realtà di comunica-zione globale, in contesto europeo, e nelcontempo noi parliamo ancora una lin-gua che assomiglia tantissimo al greco.La cosa straordinaria è vedere la linguagrika come un ponte ideale, linguistico edi cultura, tra noi, la Grecia e il resto delMediterraneo.

LE RISORSE ECONOMICHE

Come vengono finanziati i singoli pro-getti dell’Unione dei Comuni dellaGrecìa Salentina?

Qui bisogna fare una precisazione. LaGrecìa Salentina non è un ente dotato diuna propria capacità impositiva e quindidi una redditualità. I trasferimenti che loStato concede alla Grecìa Salentina sonosempre minori e, ad oggi, possiamo direpressoché inesistenti. Le uniche risorseche in qualchemodo arrivano inmanieraistituzionale alla Grecìa Salentina sonoquelle legate alla legge 482 del ‘99, lalegge sulla tutela delle minoranze lingui-stiche. Il resto delle risorse finan-ziarie che arrivano, sono vincolate

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come ‘Grecìa Salentina’ questa areageografica dove la caratteristica lingui-stica, o bi-linguistica, è ancora oggi udi-bile e evidente. La Grecìa Salentina èdistinguibile e identificabile, rispetto alresto del territorio salentino, anche percaratteristiche storiche, culturali e delletradizioni. Questa, a mio parere, è laGrecìa Salentina.L’Unione dei Comuni, ahimè, sembrache abbia poco a cuore questi aspettidell’entità grika e di ciò me ne ramma-rico. Con mio enorme stupore mi sonoritrovato assolutamente solo, sia nelconsesso di giunta che nei rapporti con-tinui di natura esecutiva e amministra-tiva con altri sindaci e assessoridell’Unione. Questo aspetto è del tuttoignorato.

Unire comuni così diversi, circa l’usoe il disuso della lingua Grika, nel-l’Unione dei Comuni e legarli ad unobiettivo di ripristino della stessa lin-gua, non può essere scambiata da al-cuni amministratori e cittadini comevaga corrente a carattere autonomi-sta?

No!Assolutamente no. Su questo siamolontani da una prospettiva del genere. Alcontrario, (sul punto di vista culturale -n.d.r.), noi corriamo il rischio di perderecompletamente quel minimo di matriceculturale, che fino ad oggi ci ha caratte-rizzati, e che ha fatto sì che almeno ilnome Grecìa Salentina fosse quello. Nelmomento in cui dovessero passare unpo’ di decenni e ci ritrovassimo con lepersone che riescono a parlare e a ricor-dare la lingua grika, divenute come dellemosche bianche, allora sarà veramente

Notte della Taranta 2008 (Foto Maraca)

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ai singoli interventi. Quindi se la GrecìaSalentina si è aggiudicata la misura diIntereg II, o III, o P.O.R., riceve sommesolo per quello specifico progetto pre-sentato. Non esistendo una contribu-zione diretta, o un’esazione, non si puòdisporre di cassa a cui fare riferimento.E questo è un problema. La cassa dellaGrecìa Salentina dovrebbe essere costi-tuita dalle quote versate dai singoli Co-muni dell’Unione, ma queste quotesono molto limitate, come entità. I Co-muni, finora, hanno stanziato a testa5.000 € l’anno. Ora, per far fronte al-l’assunzione di alcuni mutui da partedella Grecìa per la costruzione di pisteciclabili, si sta arrivando ad ottenere,sempre in relazione a dei finanzia-menti, una quota maggiore di inter-vento da parte dei Comuni, e si passeràdagli attuali 5.000 € ai 7.000 €. Di fattoquesta forma di autofinanziamento nonraggiunge nessun risultato poiché tutti iComuni sono in arretrato con le loroquote. La penuria di risorse proprie perl’Unione è un problema mai risolto efinché sarà così la Grecìa Salentina saràcome una auto dalla bella carrozzeriama senza carburante. La mancanza divolontà delle singole Amministrazionidi dotare l’Unione dei Comuni di ri-sorse proprie, e l’assenza di un’orga-nizzazione interna alla stessa Grecìa ingrado di recuperare queste somme inmaniera puntuale, fanno sì che la Gre-cìa Salentina non sarà mai in grado dioperare serenamente con mezzi propri.Contributi da utilizzare al fine di svi-luppare attività tramite servizi che ri-tornino in modo distributivo anche aitutti i Comuni e ai singoli cittadini.Questo è un problema prettamente ‘po-litico’. ‘Politico’ perché l’organo dipresidenza fino a questo momento nonè stato in grado di affrontare e di risol-

vere e concretizzare nulla, a partequalche timido tentativo fatto in pas-sato.

L’Unione attraverso il finanzia-mento di singoli progetti riesce amettere in moto le economie dei sin-goli Comuni dell’area dell’Unione.L’esempio che salta agli occhi è ilsuccesso riscontrato con il Festivaldella ‘Notte della Taranta’ e i ‘Cantidi Passione’. Questi eventi mettonoin moto l’economia locale facendobeneficiare con dei ritorni econo-mici anche le casse dei singoli Co-muni. Questo non è sufficiente aconvincere e incoraggiare le ammi-nistrazioni comunali per sosteneremaggiormente l’Unione dei Comunidella Grecìa Salentina?

I benefici è innegabile che ci sono.Non siamo capaci di stabilire l’entitàe la tipologia del ritorno e soprattuttochi ne usufruisce. L’Unione ha avutoquesto successo di immagine, che pro-duce ricadute economiche non indiriz-zate all’intera collettività, ma solo supochi operatori e addetti ai lavori ineventi limitati nel tempo. Di certo c’èstato, e c’è, un grosso ritorno di im-magine e di folklore che, questo sì,coinvolge tutti i cittadini della Grecìa,basti pensare alla kermesse “La Nottedella Taranta”. L’Unione, nonostantetutti i suoi problemi, all’esterno apparemolto attiva, molto capace, e forte-mente caratterizzata. Forse, proprioper la sua caratterizzazione è ammiratae invidiata. Ma se fosse anche struttu-rata e organizzata meglio dal punto divista amministrativo, sviluppando unamigliore capacità progettuale e di ge-stione degli eventi pensiamo un po’ acosa si potrebbe ambire.

RAPPORTI CON LE ASSOCIAZIONI

Il rapporto dell’Unione con le asso-ciazioni, in quanto parte attiva e ope-rante sul territorio, ha qualche formadi incontro?

Sarebbe auspicabile questo, ma finoranon si è visto nulla. L’Unione della Gre-cìa Salentina opera prevalentementecome organo di Giunta, poiché il Con-siglio si riunisce pochissimo (una o duevolte l’anno), ed ha uno scarso impattooperativo. Il Consiglio è un organo po-litico quasi per necessità. Si riuniscesolo quando bisogna approvare degliatti previsti dalla legge, infatti il Consi-glio non ha mai assunto una funzionespecifica, e si può dire che l’Unione deiComuni operi al 99% solo come giunta.La giunta fino ad oggi ha tenuto contopoco delle varie espressioni sociali dellacomunità e tra questa scarsa attenzionericadono tutte le associazioni. Nono-stante tante associazioni organizzate sipongano e sollecitino nei riguardidell’Unione chiedendo un maggioreconfronto, finora non hanno avuto labenché minima attenzione. La giuntadell’Unione ha agito in modo del tuttoautoreferenziale.

Eppure nello Statuto si fa riferimentoall’ascolto e alla collaborazione con lasocietà civile rappresentata anchedalle associazioni.

Evidentemente anche su questo puntolo Statuto è stato disatteso.

Il confronto con le associazioni sem-brerebbe importante proprio nell’ot-timizzazione e trasparenza dellescelte progettuali della Grecìa.

Questo confronto sarebbe auspicabileda parte dell’ente ed ideale per la buonae corretta gestione dell’Unione. Unazione sinergica tra le associazioni, cheoperano costantemente con il territorio adiretto contatto con i cittadini, potrebbeindubbiamente aiutare e stimolarel’azione amministrativa per meglioesprimersi sulle scelte da assumere eche vedono come ultimo referente i cit-tadino stesso.

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Grecìa Salentina: Stanza della memoria (Foto Melissano)

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Maurizio Pallante, saggista ed esperto di ef-ficienza energetica, è statonel 1988 tra i fon-datori assieme Tullio Regge e MarioPalazzetti del Comitato per l’Uso Razionaledell’Energia (CURE). Già consulente per ilMinistero dell’Ambiente sul risparmio ener-getico e le tecnologie per l’ambiente, colla-bora con Caterpillar (Radio 2) per la festadella Decrescita Felice di cui è ispiratore. Èmembro del comitato scientifico di “M’illu-mino dimeno”. E’stato gradito ospite su in-vito di Nuova Messapia durante l’iniziativapromossadalCSVSalento“Ilmondochevor-rei – Le città rinnov-Abili” realizzata aRocaNuovanelmesedi luglio incuiha tenutounaconferenza sulla decrescita felice.

La decrescitaParadigma culturale per un Rinascimento possibiledi Maurizio Pallante

L’imperativo della crescita è la super-ideologia che accomuna tutte le correntidi pensiero e tutti i raggrup- pamenti po-litici nelle società industriali avanzate.Per questa ideologia, il senso stessodelle attività economiche e produttivenon è la produzione di beni e servizi permigliorare la vita degli esseri umani, mala crescita del p.i.l. (Prodotto InternoLordo - ndr). Il lavoro umano è una fun-zione della crescita economica.La parola decrescita è stata esorcizzataanche verbalmente. Quando il p.i.l. noncresce si dice che l’economia attraversauna fase di “crescita negativa”. Come sedi un novantenne si dicesse che ha unagioventù negativa. Tuttavia negli ultimianni si è assistito allo sviluppo di alcunecorrenti di pensiero che sostengono lanecessità di una decrescita.Spesso questo concetto viene confusocon la sobrietà, con la riduzione del con-sumismo per ragioni fondamentalmenteetiche:

- l’ineguale distribuzione delle risorsea livello mondiale;

- l’impatto ambientale della crescita siadal punto di vista dell’input di risorse,sia dal punto di vista dell’output di ri-fiuti;

- la necessità di non appiattire gli esseriumani sulla dimensione materialistica;

- l’opportunità di sostituire alcuni benie servizi individuali con beni e servizi

collettiviTutte queste critiche non vanno alla ra-dice del problema. Per capire bene cosasignifica il concetto di decrescita epossa costituire il quadro di riferimentodi un paradigma culturale diverso daquello che informa le società industriali,occorre prima definire bene il concettodi ‘crescita’.Generalmente si ritiene che la crescitadel p.i.l.misuri la quantità dei beni e deiservizi che un sistema economico e pro-duttivo mette a disposizione di una po-polazione nel corso di un anno. In realtàil p.i.l. non misura i beni, ma le merci,ovvero gli oggetti e i servizi che ven-gono scambiati con denaro.Il concetto di ‘bene’ e il concetto di‘merce’ non solo non con coincidono,ma spesso confliggono. Ci sono merciche non sono beni e beni che non sonomerci. La confusione è voluta. Un’operadi disvelamento è fondamentale. Esempidi merci che non sono beni: il carburantein più consumato in una coda automobi-listica, o il combustibile in più consu-mato nel riscaldamento di un edificioche disperde calore. Se si ritiene che ilp.i.l. misuri il benessere ogni volta chesi sta in coda sulle strade bisognerebbeessere felici.Esempi di beni che non sono merci:l’autoproduzione di un orto familiare (inrelazione alla crescita è un’operazione

asociale), i servizi alla persona scambiatiper amore all’interno di una famiglia.Ridurre il consumo di merci che nonsono beni fa decrescere l’economia emigliora la qualità della vita e degli am-bienti. In una casa ben coibentata, checonsuma meno energia si sta meglio,perché il corpo umano scambia il caloreal 70 per cento per irraggiamento con lepareti e al 30 per cento con l’aria dellastanza; quindi una casa ben coibentata,che non disperde calore, ha le pareti piùcalde di una casa che lo disperde. Inoltrele emissioni di CO2 a parità di benesseresono minori, ma sono minori anche icosti, per cui si può lavorare di meno e sipuò dedicare più tempo alle relazioni in-terpersonali. La riduzione della produ-zione e del consumo di una merce chenon è un bene è una decrescita felice.Ugualmente, l’aumento della produ-zione e del consumo di beni che nonsono merci fa decrescere l’economia emigliora la qualità della vita e degli am-bienti. I pomodori autoprodotti in unorto familiare fanno diminuire la domanda della merce pomodori, sono mi-gliori qualitativamente, si produconou-tilizzando tecniche naturali e nondanneggiano la terra, non consumanocarburante nei trasporti, non produconorifiuti. Anche in questo caso una decre-scita felice.Naturalmente non ci si può autopro-

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Maurizio Pallante a Roca Nuova (Foto Melissano)

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durre tutto. Ma non tutto ciò che non sipuò autoprodurre si può solo comprare.Per usare un’immagine: la decrescita ècome un tirassegno composto da tre cer-chi concentrici. Al centro c’è la rivalu-tazione dell’autoproduzione di beni (piùdi quanti non immaginiamo) e la forni-tura diretta di servizi alla persona. Nellaprima corona circolare si collocano gliscambi non mercantili fondati sul donoe la reciprocità. La parola comunità ècomposta dall’unione di due parole la-tine: la preposizione cum, che significacon e indica il legame, e il nome munus,che significa dono. Le comunità sonogruppi umani legati da forme di scam-bio non mercantili, basate sul dono e lareciprocità. Tutto ciò che si dona sosti-tuisce qualcosa che si compra e fa de-crescere il p.i.l., e crea legami sociali esolidarietà. Migliora la qualità dellavita. Questi legami vengono ripropostiora dalle ‘banche del tempo’. Nella se-conda corona circolare si collocano gliscambi mercantili. Tutto ciò che non sipuò autoprodurre, o non si può scam-biare sotto forma di dono, non può cheessere comprato. Tuttavia, anche in que-sti scambi, che fanno crescere il p.i.l., èpossibili reincorporare una dimensionerelazionale, mediante contatti diretti traproduttori e acquirenti. È ciò che fannoi Gruppi di Acquisto Solidali (G.A.S.).L’economia della crescita allarga laterza sfera rosicchiando continuamentelo spazio delle altre due. L’economiadella decrescita amplia lo spazio dei duecerchi interni riducendo il terzo alla suadimensione fisiologica.La decrescita non comporta dunque ri-nunce, o sacrifici. Non è una prospettiva

francescana. Rivaluta la sobrietà insenso positivo. Intesa in questo mododiventa un potente strumento per sotto-porre a critica e revisione il paradigmaculturale della crescita e per delineareun paradigma culturale diverso.Per esempio, il concetto di povertà e ric-chezza si misura col denaro solo inun’economia fondata sulla crescita delp.i.l., perché se tutto è merce, chi ha piùdenaro può comprarne di più. Se invecesi riscopre l’importanza dei beni, nelcalcolo della povertà e della ricchezzail denaro non è tutto.Per esempio: il concetto di lavoro di-venta più ampio del solo concetto di oc-cupazione, che indica solo i lavori svoltiper produrre merci in cambio di denarocon cui acquistare merci. Nei calcolidell’Istat le persone che col loro lavoroproducono beni e non ricevono denaroin cambio, fanno parte delle ‘non forzedi lavoro’. I contadini che produconoper la propria famiglia e vendono solo leeccedenze, per l’Istat non lavorano. Ecosì anche le casalinghe. Non è una ver-gogna?Per esempio le innovazioni tecnologi-che, che nella società della crescitahanno lo scopo di aumentare la produt-tività (con le conseguenze devastanti di:esaurire le risorse, aumentare l’inquina-mento e i rifiuti) vengono finalizzate aridurre gli sprechi di energia e di mate-rie prime, la quantità dei rifiuti. Ma se sispreca meno energia per produrre ciòche è necessario, se si consumano menomaterie prime, se diminuiscono i rifiutie si riciclano le materie prime che con-tengono, si fa decrescere il p.i.l. e si stameglio.La decrescita è come uno sgabello a 3zampe. Se ne manca una lo sgabellonon sta in piedi. Le tre zampe sono: glistili di vita; la tecnologia; la politica.Occorre intervenire su tutti e tre. Glistili di vita della decrescita si basano,come si è detto sulla valorizzazionedella sobrietà, dell’autoproduzione,degli scambi non mercantili. Le tecno-logie sulla riduzione, per ogni unità diprodotto, o di servizio fornito, di ener-gia, materie prime e rifiuti. In politicaoccorre agire nella stessa direzione, fa-vorendo l’adozione, specialmente a li-vello locale di delibere ispirate alla

decrescita: regolamenti edilizi che nonconsentono di costruire edifici se con-sumano più di 7 litri di gasolio o 7metri cubi di metano al metro quadratoall’anno; blocco dell’espansione edili-zia sui terreni agricoli e concentrazionedelle attività edili sulla ristrutturazioneenergetica degli edifici esistenti; recu-pero delle materie prime contenute neirifiuti; potenziamento del trasporto pub-blico.La decrescita non è un’opzione. La de-crescita ci sarà perché la crescita siscontrerà con i limiti della natura. L’an-damento crescente delle emissioni diCO2 ha già messo in moto dei cambia-menti climatici. Se accadrà questo,comemolto probabile, la decrescita saràdisastrosa. Se sarà scelta e avrà l’anda-mento di una recessione ben temperata(Elémire Zolla), potrà essere felice; gliesseri umani non saranno più al servi-zio della crescita economica e l’econo-mia tornerà ad essere il mezzo permigliorare le condizioni di vita degli es-seri umani, ma non a scapito degli altriviventi. Questa alternativa è ancora, perpoco tempo, possibile.

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SITOLOGIA:

Movimento per la decrescita felicehttp://www.decrescitafelice.it/

Casa climahttp://www.agenziacasaclima.it/index.php?id=3&L=1

Rete GAShttp://www.retegas.org/

DePILiamocihttp://www.benessereinternolordo.net/

Logo Movimento per la Decrescita Felice

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Paolo Carnemolla è il nuovo presidentedi Federbio, laFederazione italiana perla tutela e lo sviluppo dell'agricolturabiologica e biodinamica.FederBio è l’organismo nazionale dirappresentanza dell'intero movimentobiologico e biodinamico italiano, ne co-ordina le iniziativealfinedimigliorare laqualità e la diffusione dei prodotti biolo-gici, e rappresenta, sia insedenazionalecheregionale, le istanzedi tutto il settore.

Biomasse ed energiaIntervista al do�. Paolo Carnemolla Presidente FederBio (Bologna)

a curadi Alfredo Melissano

Che cosa sono le biomasse?

Le biomasse sono materiale organicoche viene utilizzato per produrre ener-gia. Si tratta principalmente di scarti emateriale di origine forestale, zootec-nica e agroindustriale ma anche di veree proprie coltivazioni dedicate e pro-dotti da esse ricavati, come nel casodegli oli vegetali. Recentemente si è ini-ziato a parlare anche di alghe, in parti-colare per la produzione dibiocombustibili.

Su quali condizioni si basa un utilizzoottimale delle biomasse per produrreenergia e calore?

E’anzitutto ottimale l’utilizzo di scarti oreflui, che altrimenti dovrebbero esseresmaltiti come rifiuti. E’ poi importanteche le biomasse provengano il più vi-cino possibile dall’impianto di produ-zione di energia, sia per ottimizzare icosti che per ridurre le emissioni di CO2e il disagio per la viabilità e le popola-zioni locali. Una produzione di bio-masse da manutenzione dei boschi e delverde pubblico, da reflui di allevamentoo industrie alimentari e da colture ener-getiche inserite in maniera ottimale al-l’interno delle rotazioni agrarie è il mixideale per alimentare impianti che for-niscono energia al territorio da cui labiomassa proviene.

Come è strutturata una filiera per laproduzione di energia e calore da bio-masse?

Attualmente le grandi centrali a bio-masse utilizzano principalmente oli ve-

getali, scarti legnosi e pannelli vegetaliprovenienti dall’estero, anche da altricontinenti. In questo caso le biomasseraggiungono i grandi porti e da qui lecentrali, non di rado collocate in prossi-mità. In pochi casi le centrali sono loca-lizzate in prossimità di comprensori diproduzione di biomassa, in particolaredi origine forestale, dunque la filiera è lamedesima della produzione del legno.Nel caso di piccoli impianti a dimen-sione locale, invece, solitamente l’ap-provvigionamento di biomassa avvienenell’ambito del territorio limitrofo at-traverso contratti di fornitura con glioperatori interessati a collocare per usoenergetico scarti o prodotti appositi.

Esistono fattori di rischi per il terri-torio e l’ambiente? E se si quali sono?

I rischi sono principalmente legati allecentrali a combustione, dato che anchein questi casi si può avere del partico-lato e la produzione di sostanze perico-lose se la biomassa che viene bruciata èa sua volta contaminata da sostanze chi-miche, come può avvenire nel caso di

legno di risulta da altri impieghi o nelcaso di residui di potatura o altro mate-riale proveniente da piante trattate conpesticidi. Le grandi centrali a biomasseoltre all’impatto sul territorio legato allalogistica necessaria per l’approvvigiona-mento possono inoltre provocare una ri-chiesta eccessiva di biomassa di originelocale, alterando in questo modo gli ordi-namenti colturali, il paesaggio e le con-dizioni agro-ecologiche se non addiritturafavorire l’introduzione di colture OGM ea maggior richiesta di input chimici eacqua.

Possibili vantaggi e svantaggi in una fi-liera a biomasse nel Salento?

Date le caratteristiche del territorio salen-tino e della sua agricoltura non mi pare visiano le condizioni per la creazione e lagestione in economia di grandi centrali abiomasse alimentate dal territorio. Moltopiù utile appare invece la diffusione diimpianti aziendali alimentate da sotto-prodotti dell’attività agricola e la crea-zione di impianti consortili presso idistretti agroindustriali più importanti,dove la disponibilità di biomassa deri-vante dagli scarti delle lavorazioni (vi-nacce, sanse, bucce di pomodoro, etc)raggiunge quantità interessanti.

Esistono reali vantaggi per gli agricol-tori in una filiera per l’energia da bio-masse?

Al momento questi vantaggi appaiononon ancora ben definiti, sia per le condi-zioni di estrema variabilità dei prezzidelle materie prime agricole e dell’ener-gia che per l’aumentare dei costi di pro-duzione. Inoltre i contributi ad ettaro perle colture energetiche nell’ambito deipiani di sviluppo rurale sono ancora ri-dotti e contingentati, dunque più adattialle aziende di grandi estensioni che aquelle presenti nella realtà salentina. Perquesti motivi non è ancora chiaro se l’ob-bligo di miscelazione di biodiesel e bioe-tanolo a gasolio e benzina, in vigore dal2008, così come la nuova normativa sulconto energia e sui certificati verdi, an-cora non del tutto attuate, potranno dav-vero creare un mercato interessante per leproduzioni energetiche.

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Centrale a biomasse

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Facendo una previsione le biomassein che percentuale potrebbero esseredeterminanti in un’economia energe-tica del prossimo futuro?

Per quanto riguarda i biocarburanti laprevisione dell’Unione Europea èquella di una miscelazione obbligatoriaai carburanti a base di petrolio del5.75% entro il 2010.Ammesso che taleprevisione venga rispettata e che si dif-fonda sempre più l’uso di tali combu-stibili almeno nel trasporto pubblico enell’ambito agricolo e della pesca è co-munque difficile immaginare che nelprossimo decennio nell’Unione Euro-pea si superi la soglia del 10%. Perquanto riguarda l’energia elettrica esi-ste anche in questo caso un obbligo diimmissione in rete di energia da fonterinnovabile ma la situazione in Italiadelle centrali e degli impianti a bio-masse è ancora agli inizi e talmentepiena di incognite che al momento è dif-ficile azzardare previsioni per il futuro.

In che misura la politica delle bio-masse è incentivata dal denaro pub-blico?

Per quanto riguarda i biocarburanti esi-ste la defiscalizzazione all’80% perquantità di biodiesel e bioetanolo cheperò sono rispettivamente un terzo e unquarto di quelle necessarie al solo ri-spetto dell’obbligo di miscelazione congasoli e benzine. Per la produzione dienergia elettrica e termica da biomasseesistono poi il conto energia e i certifi-cati verdi, ovvero tariffe elettriche age-volate e contributi che sono più elevatise le biomasse prodotte sono autopro-

dotto o di origine locale in filiera. Al-cune colture energetiche possono inoltregodere di contributi ad ettaro nell’am-bito delle risorse comunitarie e nazio-nali messe a disposizione dai pianiregionali di sviluppo rurale 2007-2013.Per quanto riguarda invece la costru-zione delle centrali ingenti risorse pub-bliche sono state messe a disposizioneper la riconversione degli zuccherificimentre per la costruzione di impianti abiogas e caldaie a biomassa sono previ-sti incentivi sia dalla legge finanziaria2008 che dai piani regionali di svilupporurale.

La Puglia a quanto detto dal vice pre-sidente della Regione Puglia Frisulloe dall’assessore regionale all’ecologiaLoSappio produce circa l’88,8% inpiù del suo reale fabbisogno energe-tico. Questa super produzione è de-stinata all’esportazione. Sapendo chel’energia elettrica più va lontano dalluogo di produzione e più si perde perstrada, non è controproducente?

Questo fatto è conseguenza di un mo-dello di sviluppo industriale e energe-tico che non è mai stato pianificatoadeguatamente a scala nazionale e cheha privilegiato i grandi insediamenti in-dustriali e le mega centrali alimentate damaterie prime provenienti via mare o dareti che ci mettono in relazione con iPaesi della sponda sud del Mediterraneoe dell’Asia. L’efficienza del trasportodell’energia attraverso le tradizionalireti elettriche non è mai stato un fattoreadeguatamente considerato nell’ambitodi questo modello energetico, figlio diun’epoca diversa, così come non mi

pare che i costi ambientali e sociali deigrandi insediamenti energetici presentiin Puglia siano mai stati adeguatamentecompensati dai territori verso cui l’ener-gia è stata esportata.

C’è differenza tra centrali industrialia biomasse e piccoli cogeneratori do-mestici?

Aparte le evidenti differenze tecnologi-che e dimensionali esiste una sostan-ziale differenza fra i modelli energeticiche queste due tipologie di impianti rap-presentano. Nel primo caso si riproponeil modello già sviluppato con i combu-stibili a base di petrolio e gas, ovverograndi centrali dipendenti da approvvi-gionamenti anche molto lontani e conimpatti rilevanti sul territorio. Nel se-condo caso si tratta di un modello chepunta all’autosufficienza energetica dif-fusa, sul recupero e sulla valorizzazionedi biomassa locale e meglio si integracon politiche serie di risparmio ed effi-cienza energetica in ambito urbano econ la produzione di energia anche daaltre fonti rinnovabili.

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SITOLOGIA:

FederBiowww.federbio.it

Piano energetico regionalehttp://www.regione.puglia.it/index.php?page=documenti&id=40&opz=getdoc

Cogeneratore domestico

Il girasole: una delle materie prime delle centrali a biomasse

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CalimeraBiomasse autoritariedi Angelo Mingiano

A Calimera è ormai scontro aperto traamministratori e buona parte della po-polazione. Oggetto del contendere:l’installazione di un inceneritore a bio-masse alimentato da legno vergine conpotenza pari a 1MW. Impianto che do-vrebbe sorgere a ridosso delle case,circa 300 metri dall’abitato. Inceneri-tore voluto dalla società FIUSIS srl diGalatone, il cui responsabile legale,sotto altra società, aveva già propostonello stesso territorio calimerese unaltro inceneritore ad oli vegetali, peruna potenza di circa 15 MW. Ma al-meno per questo sembrerebbe essercistata una retromarcia.Ma procediamo con ordine. Prima del-l’estate, al chiuso degli uffici comunali,gli amministratori danno via libera allaFIUSIS srl a poter avviare tutte quelleprocedure burocratiche per installarel’inceneritore a biomasse legnose. L’in-tento è di procedere in fretta, magarisenza intralci e quindi, evitando diaprire una fase di dialogo e confrontocon i cittadini. La volontà è chiara.L’inceneritore proposto è da fare. Tantoche ancor prima di stipulare una con-venzione con la società proponente, giàsono pronte le carte per il contratto dilocazione riguardante i terreni comu-nali sui quali sorgerà la centrale.Tuttavia qualcosa sfugge di mano, lanotizia trapela in paese e, in pienaestate, si costituisce un comitato citta-dino chiamato “Salute e Ambiente perCalimera”. Suoi propositi sono: infor-mare la popolazione sui rischi per la sa-lute e l’ambiente causati da siffattecentrali e stimolare un confronto tra cit-tadini e istituzioni, sino ad allora deltutto assente. Da subito vengono affissimanifesti informativi e in poche setti-mane, tra luglio e agosto, vengono rac-colte centinaia di adesioni per ilcomitato. Nonostante la calura estiva lamobilitazione è fortissima. Nelle case,in paese o al mare, si parla di inceneri-tori a biomasse. Gli interrogativi sonotanti. Si discute su centrali a biomassegrandi e piccole, sulle diverse tipologiee i rischi ad ognuna di esse connessi. Siparla soprattutto dell’inceneritore a bio-masse legnose. Sebbene tutti sianod’accordo nel sostenere che si tratti diun impianto di dimensioni ridotte (1MW) e quindi molto meno peggio ditanti altri inceneritori, sorgono fortidubbi sul reale contenimento dell’in-quinamento che produrrà, sulla suareale necessità e sugli esigui vantaggiper il paese: meno di 7 euro per citta-dino (45.000 euro in tutto), a fronte deipotenziali profitti milionari per la so-cietà proponente. Il crescente numerodelle adesioni al comitato, i dubbi e gliinterrogativi avanzati tra i cittadini

hanno l’effetto di rompere le uova nelpaniere. E perciò la risposta lassù nelcomune non si fa attendere: alla richie-sta del comitato di tenere in piazza al-cuni banchetti di raccolta adesioni, ilsindaco risponde con un diniego chetanto sembra avere il sapore autoritario.Motivazioni di quest’atto: diffusione dinotizie false e tendenziose, necessità dievitare il diffondersi di allarmismo so-ciale tra la popolazione. Con questogesto i nervi diventano sempre più tesi;ai primi di settembre le adesioni quasiraddoppiano (circa 700) e forse tra glistessi amministratori qualcuno comin-cia a storcere il naso e ad appoggiare al-meno la richiesta del comitato di aprirsial confronto con i cittadini.In un contesto del genere si arrivaquindi, lo scorso 19 settembre, ad unconvegno tardivo organizzato dall’am-ministrazione. I membri del comitato,dati anche gli ultimi infelici avveni-menti causati dal sindaco, per poter par-tecipare chiedono pubblicamente, edottengono, che al convegno siano pre-senti propri referenti scientifici e so-prattutto che sia prevista una fase didibattito aperto a tutti.La sera del convegno l’atmosfera è te-sissima, la partecipazione popolare èfortissima e molti, sia critici che favo-revoli all’inceneritore, respiranoun’aria nervosa e con difficoltà rie-scono a sedare i propri animi. Tra gli in-vitati dell’amministrazione ci sono:Murrone, Presidente CIA; Scogna-millo, Ass.re provinciale all'ambiente;Federico, Prof. Oncologo da Modena(referente scientifico ass.ne AngelaSerra); De Risi, Prof. dell'Università diLecce ed esperto in energie rinnovabili.Convocati dal comitato invece: Dott.Serravezza, Presidente LILT di Lecce eIng. De Giorgi.Ogni intervento suscita forte interessema, anziché dirimere dubbi sugli ince-neritori a biomasse e su quello speci-fico per Calimera, aumentano gli

interrogativi tra il pubblico. Un mo-mento appassionato è nello “scontro”tra il Dott. Federico e il Dott. Serra-vezza. Il primo, critico sul proprio in-terlocutore citando però fontigiornalistiche incerte, sembra sostenerela non pericolosità di qualsiasi tipo diinceneritore. Il secondo, d’altro canto,preoccupato dei fattori di rischio cheanche queste centrali comportano,mette in guardia tutti dall’aggiungerel’ennesimo impianto in una terra, qualequella salentina, già fortemente inqui-nata e con un alto tasso di tumori. Dalleloro dichiarazioni sembra così emer-gere una spaccatura nello stesso mondoscientifico; spaccatura i cui confini trale posizioni sembrano delineabili trachi pone attenzione verso il mondodella cura e chi, invece, mira a pro-muovere opportune pratiche nel mondodella prevenzione. Spaccatura che, as-sieme ai dubbi dei tanti cittadini cheprendono la parola, dà sostanza soprat-tutto ad un interrogativo al quale nes-suno riesce a rispondere: se anche nonfosse certo che un inceneritore del ge-nere faccia male, così come non è pro-vato, al contrario, che non sia dannoso,allora per quale necessità farlo? Nelsemplice dubbio, perché farlo?A ciò né sindaco, né assessore all’am-biente, né i loro stessi referenti rispon-dono. O meglio, evitano di rispondere,arrovellandosi a sostenere che comun-que una centrale del genere non facciamale. Sorvolano altresì su quanto espo-sto da alcuni cittadini in merito a pol-veri sottili come le nano particelle.Assecondano il problema della produ-zione di diossine e dell’emissione senzasosta di fumi per 11 mesi l’anno e apochi passi dall’abitato. Sostengonoche tale inceneritore funzionerebbe conuna filiera corta ma lunga 70 km, senzaperò considerare l’inquinamento pro-dotto dal via vai di camion che traspor-teranno il combustibile. Arrivano asostenere la bontà del progetto senzaneppure considerare il contesto salen-tino, ricco di simili proposte in tantis-simi comuni, senza offrire opportunegaranzie a che in futuro lo stesso ince-neritore a biomasse non venga trasfor-mato in bruciatore di qualcos’altro,senza neppure vagliare altre alternativea simile impianto.Nonostante tutto questo, d’altra parte,comitato e cittadini avanzano una sem-plice richiesta: nel dubbio sulla perico-losità o meno della centrale, perché nonindire almeno un referendum consul-tivo? Perché non lasciare alla democra-zia partecipativa una decisione cosìimportante?Purtroppo, anche a questo la risposta daparte del sindaco è fulminea: assoluto no.

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Centrale a biomasse

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I Porta tu ’F’ IlìaNiente pace, né amicizia: l’antica porta del borgo antico

di Sternatia è dedicata a sant’Elia di Giorgio V.zo Filieri

Da diversi anni, in privato o in articolie didascalie di foto pubblicate su qual-che periodico salentino, ho sempre cer-cato di sottolineare che il nomecompleto della porta di accesso al cen-tro antico di Sternatia non è Filìa bensìtu Filìa.La presenza di questo tu è stata negli-gentemente sottovalutata dalla maggiorparte di coloro che si sono interessati discrivere qualcosa su questo monu-mento, tanto da essere volutamenteomessa per la sua difficile interpreta-zione; solo da pochissimi è stata segna-lata con la dovuta accortezza anche secon traduzioni non del tutto corrette.Per comprendere bene che cosa sia suc-cesso cerchiamo di spiegare con ordine.Chi ha cercato di dare una traduzionealla dicitura Porta tu Filìa ha sempli-cemente fatto questo ragionamento: checosa significa filìa? La soluzione sem-bra semplice, visto che filìa in greco sa-lentino significa “pace”, come cipossono confermare i grecofoni deiChorìa Grika; questa traduzione però,che non coincide con quella trovata suivocabolari di greco classico o moderno,dove alla voce filiva (filìa) più che iltraducente “pace”, corrispondente aeijrhvnh, compare quello di “amicizia”,“concordia”, “alleanza”, ha indotto tuttia tradurre dando più significati, e cioè:“Porta della Pace, dell’Amicizia, della

Concordia, dell’Alleanza, dell’Amore”.Comprendere che questo ragionamentosia privo di basi storiche, linguistiche efilologiche non è difficile, per i se-guenti motivi: in primo luogo la storialocale non ci ha lasciato alcuna testi-monianza di “pace”, “alleanze” o“amori” avvenuti in questo luogo cheabbiano potuto dare il nome alla Porta,anzi, stando alle ultime scoperte fatteproprio in questi giorni durante i lavoridi scavo intorno e sotto questa Porta peril rifacimento del basolato, potremmoaffermare (per assurdo) che più che“della Pace” questa potrebbe essere de-finita la “Porta della Guerra”, visto il ri-trovamento di alcune palle in pietra perbombarde, lanciate probabilmente daiTurchi nel 1480 per conquistare Ster-natia.In secondo luogo, la stessa presenza deltu (tou), cioè di un articolo maschilesingolare in caso genitivo, che non con-corda affatto con la parola filiva (filìa)di genere femminile, intesa come “ami-cizia”, e ancora il fatto che non sonoconosciuti altri casi analoghi per poteraffermare che si tratti di un errore lin-guistico, ci fa capire che qui la pacec’entra poco.Per poter tradurre “La Porta della Pace”(o dell’Amicizia) dovremmo avere ingreco i Porta tis Filìa(s) (h Povrtath" Filiva" ), oppure, secondo le re-gole del greco sternatese, i Porta a’tti’Filìa, con l’articolo femminile tis e noncon tu che invece è maschile.Non si comprende poi perché chi ha vo-luto omettere l’articolo tu, chiamandolasoltanto Porta Filìa, abbia tradotto“Porta della Pace” e non semplice-mente “Porta Pace”.Che il nome Filìa sia di genere ma-schile è testimoniato dalla gente più an-ziana di Sternatia che per dire peresempio “ti aspetto vicino la Porta …”dice in greco se meno ambrò si’ Portatu Filìa e in dialetto romanzo te spettuannanti alla Porta de lu Filìa, e non dela Filìa, sottolineando così il generemaschile della parola Filìa.La presenza dell’articolomaschile è inol-tre confermata da un rogito dell’Otto-cento, dove gli allora due trappeti ipogei,che ancora oggi si trovano accanto allaPorta, erano denominati dello Filìa1.Dall’indagine fatta sul significato di tuFilìa tra gli anziani del paese sonoemerse diverse interpretazioni: ’en it-sèro «non so», ’en itsèro tis ìsane oFilìa «non so chi fosse Filìa», o Filìa

ìsane cino pu ànigghe ce ìklinne ti’porta «Filìa era quello che apriva echiudeva la porta», ma nessuno ha ri-sposto “pace” né tantomeno “amici-zia”, “concordia”, ecc.; ciò checomunque sia emerge dalle risposte èche sicuramente si tratta di un nome le-gato a una persona o un personaggio lacui memoria si perde nel tempo.Da quanto mi ha riferito un anziano si-gnore di Martano, sembra che Filìa do-vesse essere anche un soprannome opatronimico di Sternatia: l’ultraottan-tenne mi riferì di essere parente di uncerto Jorgi tu Filìa; ciò significa chequesto Jorgi (Giorgio) poteva essere di-scendente di uno che si chiamava Filìa,oppure aveva acquisito un tale sopran-nome perché abitava accanto o neipressi della Porta.Tutte le testimonianze apportate sinora, anche se non ci delucidano sul verosignificato del nome tu Filìa, ci fannoperò chiaramente capire una cosa: inquesto caso, cioè in riferimento allaPorta, Filìa è un nome maschile e non si-gnifica affatto “pace”.A questo punto, prima di giungere auna nostra conclusione, è bene consul-tare le interpretazioni date da chi hascritto prima di noi.L’Arditi nel 1879 afferma che «un ultimoavanzo dell’antica munita cinta rappre-sentato dalle due Porte, ancor in piedi,dette di Lecce e Filia, traverso le qualisfila diritta e larga una bella strada da set-tentrione a mezzogiorno»2, senza darciparticolari spiegazioni sul significato deltermine Filìa.Il Lambrinos3 riporta l’esempio del poetacontadino Cesare De Santis che nelle suepoesie, pur chiamandola porta tu filìa, latraduce come “porta dell’amicizia”4.Nel Lessico di Sternatia è riportata comePorta Filìa ed è tradotta come “Portadella Pace”5.Luigi Manni, curatore della Guida diSternatia, pur avendo pubblicato l’ine-dito documento citato sopra in cui itrappeti venivano chiamati dello filìa,la riporta come Porta Filìa interpre-tando Filiva come «pace, alleanza»6.

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Notizie inedite riguardanti le porte,le mura, la torre, i trappeti e alcunepopolazioni di Greci, Valloni e Al-banesi, venute a Sternatia nel 1396.

La Porta di S. Elia (Foto G.V. Fileri) Fondamenta torre quadrata (Foto G.V. Fileri)

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Torre quadrata (Foto G.V. Fileri)

Base di appoggio del telaio porta (Foto G.V. Fileri) Palla di bombarda

Giorgio Filieri Scordari, sul sito uffi-ciale di Sternatia, omettendo il tu, lachiama semplicemente Porta Filìa, di-cendo che il nome Filìa significa ingreco «Amore», «Pace», «Amicizia».Naturalmente mi sembra inutile elen-care i nomi di tanti altri che hanno sem-plicemente citato acriticamente il nomedella Porta; mi sembra però doverosocitare il parere di chi, pur non riuscendoa dare la giusta interpretazione, ha vo-luto almeno con onestà scientifica ri-portare il nome completo della Porta edha cercato di dare una spiegazione al-l’articolo tu.Paolo Stomeo nel glossario dei Rac-conti greci inediti di Sternatia scrive chea «Sternatia esiste una porta delle anti-che mura detta Porta Filìa ( povrtafiliva" ) = porta della pace». Poi ag-giunge «Altri vogliono dire che sichiami “Porta tu Filìa” in tal caso “filìa”sarebbe il cognome del costruttore”»7.Segnalo anche l’interpretazione di Giu-seppe Indino che dice «… il trappetoipogeo sito nei pressi della Porta Filìa(lett. pace od amicizia), forse sostantivoderivato dal genitivo patronimico “toùFilìas”».Quando diversi anni fa proposi agliamici appassionati di storia locale lamia interpretazione del nome dellaPorta dicendo che quella doveva esserela “Porta di Sant’Elia”, fui subito con-traddetto in quanto chi aveva già ac-quisito la convinzione che quella era la“Porta della Pace” faceva grande faticaad abbandonare la propria opinione.La mia idea era supportata, oltre chedalla vicinanza del nome greco Ilìas aFilìa, anche dal fatto che nella visita pa-storale del 1691, tra i Beneficij extramoenia era citata la «chiesa diruta delbeneficio di S. Elia»8, che secondo mepoteva trovarsi proprio nella zona anti-stante la Porta; inoltre i nomi di portededicate a santi non sono una novità,basti pensare alle quattro porte di So-leto, alla Porta San Biagio a Lecce , ecc.L’ipotesi che la Porta fosse dedicata asant’Elia, profeta biblico9, mi è stataconfermata di recente dal tecnico comu-nale, architetto Giorgio Pellegrino, alquale va un doveroso ringraziamento perla disponibilità e l’opportunità datami diconsultare la trascrizione di un volume

manoscritto di atti giudiziari e vecchidocumenti che abbracciano un arco ditempo che va da XIV al XIX secolo10.Questi documenti forniscono una seriedi notizie del tutto inedite e di fonda-mentale importanza per la ricostruzionedella storia di Sternatia riguardanti so-prattutto la disputa tra i monaci dome-nicani che volevano costruire untrappeto per molire le proprie olive, eil marchese Granafei che, rivendicandoil diritto su tutti i trappeti, ne volevaimpedire la costruzione.Diamo ora uno sguardo alle righe di al-cuni documenti dove si fa riferimentoai trappeti, alle porte e alle mura checircondavano Sternatia.Nel 1581 il duca di Nardò GiovanniBernardino di Acquaviva d’Aragonapossedeva dieci trappeti di cui ne ce-dette nove all’Università della Terra diSternatia, pretendendo una tassa annuadi ducati cento divisi in tre rate (Natale,Pasqua e agosto). Dei trappeti abbiamosia il nome sia l’esatta ubicazione: LoTarpito nominato li praiti dentro lofosso di essa terra, due si dice la Croceverso l’occidente appresso la grottadicto Arcidiacono di Sternatia, e lo se-guente tarpito de li Porcelli, lo Tarpitodelli Pozzielli nel medesimo luogo vi-cino lo Tarpito nominato li preiti e loseguente detto Lo Mancone, lo Tarpitodetto dalle Manzone nel medesimoluogo vicino lo sopradetto Tarpito delliPorcièlli; lo tarpito nuovo ancora im-perfetto dentro lo fosso, e la porta di S.Elia lo tarpeto detto S. Rocco qualeconfine collo Tarpito detto lo grandedel Castello in luogo detto fuori laporta falza dello Castello, lo Trappetonominato lo nuovo dello Castello qualetocca sopradetto nominato lo grandedello Castello, nelli sopradetti trapetisi entra nello principio per uno mede-simo luogo e lo trapeto […] quale con-fina colli confini colla Curte diGiobeccio, e collo giardino delli Eredidi Evangelista Capore, li quali 9 trap-peti sono dentro li fossi ed a torno le

mura di detta terra11.Nella interessantissima lista di questifrantoi vi è uno nominato lo tarpitonuovo ancora imperfetto dentro lofosso e la porta di S. Elia12.Più avanti viene specificato che:Domi-nis Dux sibi serervavit et reservat deci-mum tarpetum existans ultra novem utsupra cocessa nominatum alla porta diS. Elia iuxtum tarpetum novum ad huncimperfectum ex dictis novem ut supraconcessa dictum portamo per dictaeTerrae nominatum S. Elia, et …13.Negli anni 1596-1599 Geronimo Per-sonè, barone delle Terre di Sternatia ePulsano, possiede la terza parte deltrappeto situato in loco dicto alla portadi santo Lia14.Di fronte a tali documenti penso che laquestione del nome della Porta debbaconsiderarsi chiusa.La dizione “Porta di sant’Elia” presup-pone in greco h Povrta tou AgivouHliva (i Pòrta tou Aghìou Ilìa) o me-glio visto che i greci sono soliti chia-mare questo santo Profhvth" Hliva"(Profìtis Ilìas), h Povrta touProfhvth Hliva (i Pòrta tou ProfìtiIlìa).Si può ipotizzare che da (Pro)f(hvth)Hliva sia nato poi F’Ilìa, reinterpretatosuccessivamente come Filìa.

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* * *La “Porta di sant’Elia”, che si trova inposizione Sud-Est (con l’entrata rivoltaad Est) era collegata alla Porta di Nord-Ovest detta “Porta di Lecce” (I Portaapù Luppìu?) attraverso la strada larga,ossia la via Platea.La terza Porta, cioè quella di Sud-Ovest, era chiamata “Portarone”, e in-fatti dai documenti consultati risultache nel XVIII sec. nel suburbio ci sonodue grotte nel luogo detto Portaroneper uso di calce e propriamente nelfosso di detta terra dalla parte di sci-rocco e via pubblica16.Il “Portaggio dell’Apano”, segnalatodal Manni, invece, potrebbe riferirsi aun’antica costruzione di via Apano, di-strutta 30-35 anni fa per fare spazio aun giardino, alla quale si accedeva at-traverso un grande portone e il cui cor-tile interno era circondato da diversiarchi; e poi in verità questa terza Portapiù che con viaApano era collegata convia S. Stefano e via Candelora.Il termine Portarone (o Portarùna ingreco salentino) era già noto dai rac-conti degli anziani, anche se non era deltutto chiara la sua collocazione; ora ab-biamo la conferma che si tratta dellaPorta a Sud-Ovest, quella cioè che si af-facciava sull’attuale Piazza Alighieri,meglio conosciuta come Calvario.Per quanto riguarda la quarta Porta, si-tuata a Nord-Est, sempre dai documenticonsultati risulta che il trappeto dettolo grande del castello si trovava inluogo detto la porta falza del castello.Il termine falza, ci lascia un po’ nel dub-bio in quanto può significare che conmolta probabilità nelle vicinanze di que-sta “falsa” ce ne dovesse essere una, percosì dire “vera”, dalla quale si accedeva alpaese o allo stesso castello. Per ora, in at-tesa di ulteriori chiarimenti, chiameremoquesta quarta porta “La Porta del Ca-stello” (I Porta tu Kastèddhi?).Da una cronaca galatinese del Cinque-cento sappiamo che le mure prime chesi fecero in Santo Pietro (scil. Gala-tina), furo fatte nell’anno 1334 et nelmedesimo anno si murò Galatona, So-

lito et Sternatia17; queste mura di Ster-natia erano ben visibili ancora alla finedel Settecento, quando il marcheseGranafei per costruire i suoi giardininon solo usurpò buona parte delle murama anche l’antica “Torre di Tripèlle” ,di cui si conserva ancora una parte benvisibile da via E. Perrone (un’altratorre, oggi mimetizzata dalla calcebianca e usata come abitazione, si trovaproprio attaccata alla Porta di sant’Elia).Il Comune di Sternatia in una causacontro i Granafei nel 1808 così siesprime: si sono usurpati dalle famiglieGranafei attuale posseditrice di Ster-natia i muri della Università in cannetrenta, ed un dipresso una torre che di-casi Tripelle, e molte fogge destinate ariporre il grano e le vettovaglie de cit-tadini, e tutto con violenza si è denun-ciato, e per conformati edificio egiardino per ingrandire l’antico pa-lazzo Baronale, e a circa 10 anni daldemanio universale usurpò circa mezzatumulata, di terreno formandone un giar-dino attaccato a detto PalazzoBaronale19.La famiglia Granafei si difende di-cendo: l’imputazione che riguarda ilmuro, che si è asserito dalla Università,resta svanito dalla semplice considera-zione del vero fatto. Questo pezzo dimuro era una torre antica annessa alcastello Baronale, la di cui superficienon eccedeva un quarto di stoppello esulla quale esiste ora un giardino pen-sile. Che questa Torre non fosse statadella comune si rileva dalla venditafatta dal re Ferdinando I, che espres-samente nominò il Castello ed i suoiFortilizi. La maggior parte di questisono stati usurpati dai cittadini, chesono arrivati a fabbricarvi, ed il Com-parente mentre avrebbe avuto esso ildiritto di vendicare questi Cenzi, ha do-vuto ora esser facciato per questo sog-getto medesimo. Espressamente siriserba poi il Principale del Compa-rente di dimostrare in altro luogo, chei cittadini di Sternatia derivano da unacolonia Albanese20, e che in conse-guenza destituiti si trovano di tuttequelle ragioni che appoggiano gl’Inti-geni di questo regno21.

A proposito di colonie, diamo oraun’altra importantissima notizia ine-dita, che il procuratore dei Granafeitrova in un documento del 1396 dalquale si rileva, che la nascente coloniadi Greci, Valloni ed albanesi, notando-sene ancora qualcuno venuto da Jan-nina, componenti appena lapopolazinne di 200 persone, furono dalprincipe impiegati per coloni nei suoistessi terreni feudali22.Ma l’arrivo di questi coloni a Sternatiapotrà essere l’argomento di un pros-simo articolo.

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NOTE:1 Cfr. L. Manni, Sternatia: da Porta Filìa a PalazzoGranafei, inAA.VV. Guida di Sternatia, 1993, p. 14.2 Cfr. G. Arditi, La corografia fisica e storica dellaProvincia di Terra d’Otranto, 1879, p. 573.3 Cfr. S. Lambrinos, Il dialetto greco salentino nellepoesie locali, 2001, p. 182.4 Vedi C. De Santis, Col tempo e con la paglia, sto-rie rimate e no di un poeta e di un paese, 1983, p. 48.5 Cfr. Carmine Greco – Georgiva Lamprogiwvr-gou , Lessico di Sternatia, 2001, pp. 217 e 365.6 Cfr. L. Manni, op. cit., p. 10.7 Cfr. P. Stomeo, Racconti Greci Inediti di Sternatia,1980, pp. 386-387; vedi anche: P. Stomeo, Vocabo-lario Greco – Salentino, 1992, dove però non vienedata alcuna interpretazione.8 Cfr. L.Manni,Chiese confraternite, clero e beneficia Sternatia nell’anno 1691, pp.114-115 in op. cit,Ap-pendice 2.8 Il profeta Elia lottò contro il sincretismo religiosodel re Acab e della regina Gezabele nel regno delNord. Sterminò i profetici Baal; fu rapito in cielo suun carro di fuoco.Cfr.Ml 3,24;Mt17,3.10;Lc1,17; 9,30.9 La notizia del ritrovamento di questi documenti era giàstata pubblicata su un giornale locale nel 1988, dove ve-niva avanzata la proposta di collaborazione traComunediSternatia e Università di Lecce per la traduzione in linguacorrente dell’interomanoscritto.Cfr.A.Reale,Giacimenticulturali e turismo:Zucclà e anticomanoscritto, in «Rita-gli», anno I, n° 1, aprile-maggio, 1988, p. 7.11Trascr.man. c. 104 r.12Trascr.man. c. 103 r.13Trascr.man. c. 107 r.14Trascr.man. c. 78 r. e c. 80 v.15 Cfr. I. A. Ferrari, Apologia Paradossica della Città diLecce, (a cura diA. La Porta), 1977, p. 522; G.Arditi, op.cit., p. 573.16Trascr.man. c. 133 r.; c 135 r.; c.139 r.; c 141 – 2.17 Cfr. L.Manni, op. cit., p. 10.18 Detta anche di “Tripalle” e di “Pripelle”.19 Trascr.man. c. 189 r.; vedi anche c. 163 r.; c. 212 r.20Si riferisceaunacoloniaAlbanesevenutanel1466,vediTrascr.man. c. 222 r.21Trascr.man. c. 226 r.22Trascr.Man. c.220 r.

Mappa di Sternatia Particolare

Torre Tripelle

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La “Specchia Murica”e il megalitismo nella Grecìa salentinadi Francesco Manni

I primi studi di una certa rilevanza delmegalitismo (dal greco “grandi pietre”)nel Salento sono da far risalire alla finedel XIX sec. con la pubblicazione di al-cune opere pionieristiche realizzate dalMaggiulli (Monografia di Muro Lec-cese del 1871) e da Cosimo De Giorgi(I monumenti megalitici di Muro Lec-cese, Miervino e Giuggianello in Terrad’Otranto del 1879) seguite a pochianni di distanza dall’importante lavorodi Dryden (Menhirs and dolmens in thedistrict of Otranto) e della viggiatriceinglese Janet Ross (Italian sketches).Da allora per tutto il XX sec. gli scrittisu questo argomento si sono moltipli-cati e hanno, via, via, rilevato un feno-meno di grande consistenza che haportato alla scoperta di un centinaio dimegaliti in tutta la provincia di Lecce.Lo stesso Cosimo de Giorgi ci descriveuna specchia presente nella zona internadella penisola salentina che denomina“Specchia Murica o Murga” che defini-sce “una delle più belle del territoriosalentino” e più avanti ci riferisce che“è posta su una collina e comunicantecon le specchie di Supersano e Ruffano”e ancora “dalla sommità della specchiasi può ammirare il paesaggio circo-stante e i paesi di Soleto, Galatina,Nardò, Galatone, Zollino, San Donato”.Che io sappia, in tutti gli studi (ancheconcernenti il tema in oggetto) e le rela-tive pubblicazioni realizzate negli ultimianni sul territorio greco-salentino, talespecchia non è mai stata menzionata.Quindi potremmo in qualchemodo affer-mare che nel corso del ‘900 si è obliata lasua esistenza e la sua ubicazione.Da questa descrizione possiamo, però,cogliere una serie di elementi che ci pos-sono indirizzare sulla sua collocazione.In prima istanza il nome. Il termine“murica”, infatti, ci rimanda ad unluogo ben noto agli abitanti dei paesi diSoleto e Corigliano d’Otranto costituitoda un altopiano (specchia) presente trai feudi dei due paesi grecofoni, territo-rio, tra l’altro, di antichissima frequen-tazione umana considerando che sullasua sommità a circa un chilometro didistanza dal sito in oggetto si è rinve-nuta una stazione messapica arcaica. Aciò si deve aggiungere che sullo stessoaltopiano è presente la masseria deno-minata proprio Specchia Murica che, aquesto punto, se confermata la sua pre-senza, potrebbe aver acquisito il nomeproprio dal megalite descrittoci dallostudioso di Lizzanello.

Importante è anche l’elenco dei paesiche il De Giorgi ci dichiara possano es-sere ammirati dalla sommità della spec-chia. Soleto, Galatina, Zollino e SanDonato, infatti, sono proprio posizionatisulla parte perimetrale della murgia danoi menzionata e ciò va a confermarel’ipotesi che il megalite descrittoci dallostudioso si trovi proprio sul territorioche divide Soleto e Corigliano.Da quanto sopra posiamo porci una do-manda. Che fine ha fatto la specchia e,se ancora esistente, come mai nessunosi è mai accorto della sua presenza?Ovviamente è sempre rimasta nellastessa posizione. A mio avviso il mo-tivo per cui se ne è persa la memoria èdovuto al fatto che nel corso dell’ul-timo secolo in tutta la zona circostantesi sia realizzato un fitto uliveto che hacelato la sua presenza.Alcuni anni orsono, durante le escur-sioni rurali realizzate dal gruppo diNuova Messapia, ci è capitato di im-batterci, nella zona in oggetto, in un in-consueto ammasso di pietre che, vistele dimensioni, (altezza circa 4 metri,lunghezza circa 15 metri) la forma e laposizione (si trova a poche decine dimetri dalla soglia dell’altopiano che de-grada rapidamente verso la località notacome “Li Chiani”) ci aveva fatto sup-porre che potesse proprio trattarsi diuna specchia megalitica. Dalla sommitàla visuale è disturbata ,come dicevo inprecedenza, proprio dalla presenza diun uliveto realizzato, considerando ledimensione degli alberi, non più di unatrentina di anni addietro e che, quindi,nel periodo in cui visse Cosimo DeGiorgi non esisteva ancora.L’unico sito visibile dalla sommità è pro-prio la specchia di Supersano e Ruffano.Tutti questi elementi in comune tra il

megalite descrittoci alla fine del 1800dall’importante autore dei “Bozzetti” ela presunta specchia rinvenuta da noimi ha fatto ipotizzare che potesse trat-tarsi dello stesso monumento.Naturalmente bisognerebbe in qualchemodo tentare di approfondire il tuttocon la realizzazione di studi più miratie specifici.Nell’area greco-salentina nel corso del-l’ultimo secolo è stato censito un grannumero di megaliti e, di seguito, ne for-nisco un breve elenco. Amio avviso lamancanza di uno studio specifico ri-guardante questo argomento nella no-stra area ha spesso portato allarealizzazione di pubblicazioni incom-plete. Inoltre, la difficoltà che neltempo si è avuta nella rilevazione di talimonumenti, ha fatto si che siano sortedelle incertezze nella catalogazione dialcuni di loro e, di conseguenza, moltoprobabilmente anche questa mia listarisulterà mancante in qualche elemento.Nel territorio tra Calimera e Melen-dugno vi è la presenza di due dolmen:il Placa e il Gurgulante.Vennero scoperti rispettivamente nel1909 e 1910 dal Palumbo. Il primo ècomposto da una tavola di tufo di 1.80x 1.60 m. è sorretto da sette pilastri dicui quattro monolitici. Il secondo, di-stante un paio di chilometri dal prece-dente, ha la copertura di metri 2 x 1.50sostenuta da cinque pilastri monolitici acui, molto probabilmente in epoca piùrecente, ne sono stati aggiunti cinquealtri per la chiusura della cella.Tra i megaliti dovrebbe anche esseremenzionata la Pietra di S. Vito, ubicatanell’omonima cappella sita a pochecentinaia di metri dall’abitato. Il mono-lite presenta al centro un foro ci circa0,30 metri dal quale nel giorno di pas-

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Presunta ‘Specchia Murica’ (Foto Melissano)

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quetta le persone passano in segno dibuon augurio. E’ abbastanza intuitivo ilsenso di rinascita che tale rito di pas-saggio esercita sugli uomini e le donneche lo compiono.ACarpignano Salentino sono presentii menhir Grassi e Staurotomea (dalgreco “Croce grande”).Anche il menhir Grassi fu individuato,come i precedenti, dal Palumbo nel1910. Del secondo rimane oggi sola-mente una parte alta circa un metro. IlDe Giorgi nel descriverlo nel 1910 ciriporta leggenda: Due sorelle, una nu-bile e l’altra maritata, verranno ungiorno a riposare a piè di questa co-lonna; questa cadrà e ne accopperàuna, la maritata; e l’altra troverà sottola pietrafitta il tesoro nascosto.Sempre a Carpignano va menzionato ilcosiddetto trilite di “Santo Stefano”che secondo alcuni non è però un me-galite antico ma il risultato del riutilizzodi alcuni elementi di una chiesa che sitrovava nelle vicinanze.Nel territorio diCorigliano d’Otrantoesistono tre dolmen quasi sconosciuti: iCaroppo 1 e 2 e il Barrotta. I primidue furono scoperti nel 1993 da O. Ca-roppo e si trovano a sud del paese. Tral’altro, il Caroppo 1 è consideratol’unico dolmen a “galleria” del Sa-lento. E’ formato da quattro grosse la-stre per la copertura che formanoquattro celle sottostanti. Sorretto da unelevato numero di ortostati, alcuni mo-nolitici altri composti da alcune pietresovrapposte. A poche decine di metri sitrova il Caroppo 2 costituito da un’unicagrossa lastra di copertura a forma di “L”sostenuta da quattro ortostati.Il Barrotta, a differenza dei precedenti,è un dolmen a piccola specchia megali-tica. E’ formato, cioè, da un tumolo dipietre da cui si nota , sul lato Nord, lapresenza di un dolmen costituito da unacella rettangolare di 0,80 x 0,60 m.AMartano nel centro abitato in largoS. Lucia troviamo il menhir San To-taro. Scoperto da Cosimo de Giorgi il

29 giugno 1879 è considerato il più altomenhir pugliese (5 metri).A pochi metri della strada provincialeMartano-Caprarica è facilmente indivi-duabile una delle più famose specchiemegalitiche del Salento: la Specchiadei Mori. E’ alta circa 5 metri ed ècomposta da una grande quantità di pie-trame calcareo.Ben sei erano i menhir che, fino al se-colo XIX, esistevano a Melpignano.Oggi ne sono rimasti quattro: Lama,Candelora, Minonna e Scineo diTamburino.Rispetto alla descrizione fattaci dal DeGiorgi nel 1916, probabilmente, il men-hir Lama è stato spostato e raddrizzato.Oggi si trova all’interno di un aiuola dipiazzetta asilo (ex Lama) ed è alto 4,20metri. Il Candelora si trova in periferianell’omonimo terreno seguendo via Poa ridosso di un edificio industriale. Hauna profilo particolare a punta non do-vuta all’intervento umano ma al di-stacco di una parte per cause naturali.Anche il Minonna si trova nella zonaperiferica dell’abitato. Corrispondenteal menhir n° 4 descritto dal De Giorgi èalto 2,20 metri.A poca distanza dalla masseria Scineodi Tamborino si nota l’omonimo men-hir. Viste le piccole dimensioni, (1,90metri) probabilmente, in passato è statotroncato nella parte superiore per inse-rirvi una croce.Il 2 gennaio 1978 Luigi Corsini indivi-duò in località Sidero il dolmen Spec-chia. La lastra superiore, lunga fino a2,50 m. e larga 1,60 m. è di forma quasicircolare e sorretta da tre appoggi di cuidue monolitici.I menhir della Stazione e S. Anna sielevano nel territorio di Zollino.Il primo è posizionato in un quadrivio acirca 300 m. dalla stazione ferroviaria.Alto 4,30 m. e orientato, come la mag-gior parte delle pietrefitte, nella dire-zione Est-Ovest. Fra l’altro, alcunistudi hanno dimostrato come questomegalite si trovi su un tracciato della

centuriazione romana appartenente alvicino abitato messapico di Soleto.Il S.Anna prende il nome da una chiesache si trova nella periferia del paese.Secondo una leggenda, a poca distanzadal menhir, era insediata una tribù gui-data da un potente capo. Quando questimorì, a ricordo e per la stima che i suoisudditi nutrivano nei suoi confronti, fueretto un monolite a futura memoria.Oltre ai megaliti sin qui citati esistonodegli altri che, a causa delle difficoltà in-terpretative che pongono, non fanno partedegli elenchi ufficiali redatti negli anni.Ad esempio a Zollino qualche anno faè stata individuata una potenzialeTomba a Tholos che, se confermata lanotizia, sarebbe l’unico esempio nelSalento oltre alla ben nota Tholos“Quattro macine” di Giuggianello.Sempre a Zollino, nelle vicinanze dellacappella della Madonna di Loreto, inlocalitàMandafori si trova un possibile“Furnieddhu” arcaico nelle cui vici-nanze si è rinvenuta una lastra di pietracon inciso il gioco del Tris. (NuovaMessapia n° 15. I segni della storiadell'uomo nella Grecìa salentina diFrancesco Chiga. Luglio 2005).Tra Zollino e Martano vi sono poi unaserie di interessanti cumuli di pietre, al-cuni dei quali sono considerati dellepossibili specchie megalitiche.Da quanto detto sin’ora si può facil-mente comprendere quanto il feno-meno del megalitismo nel Salento siacomplesso e di delicata interpretazione.A tal motivo questo breve articolovuole rappresentare solo un piccolocontributo nel tentativo di fare sempremaggiore luce in questo difficile ma af-fascinante “mondo”.

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BIBLIOGRAFIA:Luigi Corsini. Salento Megalitico. ErreciEdizioni. Maglie 1996.P. Malagrinò. Dolmen e Menhir di Puglia.Schena Editore. Fasano 1978.Giuseppe Maria Antonucci. Salento Preisto-rico. Capone Editore. Cavallino 2005.Thierry Van Compernolle. Primo contributoalla carta archeologica di Soleto in “Studi diantichità 7”. Congedo Editore. Lecce 1994.Barbara e Elisa Vetrugno. A Melpignano isimboli di una storia antica in Nuova Mes-sapia n° 15 pg 7. Soleto Luglio 2005.Francesco Chiga. I segni della storia del-l'uomo nella Grecìa salentina in NuovaMessapia n° 15. Soleto Luglio 2005

Sito presunta specchia Murica

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Le pietre foratedalla Grecìa al Giapponedi Silvano Palamà

Nella chiesetta dedicata a San Vito, acirca mezzo chilometro da Calimera,una particolare pietra fa bella mostra disé al centro del piccolo tempio a navataunica.E’ la famosa “pietra forata”, un men-an-tol, riferimento per riti propiziatorigià molto tempo prima della venuta delCristianesimo. Erano riti propiziatori difertilità, di benessere, ma anche riti diiniziazione che segnavano il passaggiodall’infanzia all’età adulta.Il Cristianesimo ha poi assimilato, co-optato il rito, fingendo di ignorarlo ma,di fatto, conservandone e quasi esaltan-done la funzione. Non è una caso che,oggi, il rito del passaggio attraverso ilforo avvenga durante le festività dellaPasqua, tempo di “rinascita” per i cri-stiani.Il rito dell’attraversamento del foronella pietra non è però una caratteristicaesclusiva del monumento megaliticopresente a Calimera. Dall’Irlanda alCaucaso, dalla Norvegia al Giappone,dall’isola di Pasqua all’America dei na-tivi pellerossa, sono tanti gli esempi diriti analoghi abbinati alle pietre forate,ma anche ad alberi, cerchi di pietre,grotte, fenditure nelle montagne, ecc..Men-an-tol e menhir, monumenti me-galitici, sono parole di origine bretoneed indicano la “pietra col buco” e la“pietra lunga”, che richiamano sche-maticamente il sesso femminile ed ilsesso maschile e che erano visti cometramite di comunicazione con l’ente in-distinto che dava e governava la vita.Recentemente ho ritrovato in Giapponedue situazioni rituali analoghe a quellaesistente a Calimera.Nella antichissima città di Nara, già ca-pitale del Giappone, vi sono moltitempi buddisti e scintoisti, costruiti inlegno. Il più imponente di essi è co-struito con pilastri in tronchi d’alberodel diametro di 80-100 cm. Al suo in-terno, il tempio buddista ospita una sta-tua di Budda alta ben 26 metri e la suadimensione offre un’idea della impo-nenza della costruzione. Uno dei pila-stri centrali mostra alla base un fororettangolare della sezione di circa 25cm x 40 cm; all’ingresso del foro, unalunga fila di bambini faceva paziente-mente la coda per attraversarlo. Ho

tuate dai Vescovi. In entrambi i casi,inoltre, si registra un atteggiamento nonsolo passivo, ma attivo: a Calimera conla scelta del giorno della festa e con larealizzazione, nel tempo, di affreschisovrapposti, come fanno supporre i tredistinti strati di intonaco presenti sullaparete della pietra forata (sull’ultimostrato realizzato in ordine di tempo è an-cora visibile l’effigie di San Vito Mar-tire). A Nara, la presenza attiva si èconcretizzata nell’apertura del foro allabase del pilastro di legno, foro che nonpuò essere ovviamente preesistente alpilastro. E’ possibile che sia stato recu-perato e perpetrato un rito preesistente,magari in forme analoghe.Il secondo dei riti propiziatori che ho ri-trovato nel Paese del Sol Levante esistein un santuario scintoista di Kyoto, ca-pitale del Giappone prima che essafosse spostata a Tokyo. Nel cortile delsantuario esiste una pietra forata e lagente attraversa il foro due volte, se-

che si spera di portare con sé nella vitache ricomincia. Con il foglietto in manosi passa quindi attraverso il foro, poi losi attraversa in senso inverso tornandoal punto di partenza. Una volta usciti, ilfoglietto viene fissato su quelli già ap-pesi alla pietra che quindi da lontanosembra tutta bianca per le centinaia dibiglietti che la ricoprono. E’ il rito pro-piziatorio della rinascita, che anche inquesto caso è ignorato formalmentedalla religione ufficiale, ma molto se-guito dagli stessi fedeli.______________

Nota dell’autore

Le notizie riportate in questo articolo inte-grano quelle contenute nel I° Quadernodella Casa-museo nel quale, circa due annior sono, era stata indagata la diffusione nelmondo di riti analoghi all’attraversamentodel foro nel monolite presente nella Cap-pella di San Vito a Calimera.

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Pietra forata Kyoto (Foto Palamà)

chiesto ai monaci presentinel tempio informazioni sulrito del passaggio, ma mihanno risposto che era un ritoche ricordavano da semprema non ne conoscono originie motivazioni, anche perchénon è menzionato in nessunadelle tante pubblicazioni chesi occupano del tempio.Anche in questo caso la reli-gione ufficiale ignora il ritodi origine pagana, come av-viene per la pietra di SanVito, mai nominata ad esem-pio nelle Sante Visite effet-

guendo una procedura parti-colare. Prima di passare at-traverso il foro, che anchequi è a quota terreno, siprende da un tavolino, postovicino alla pietra, un fogliettobianco dove al centro è stam-pata, dall’alto in basso,un’iscrizione in giapponese.Ai lati della scritta vi sonodue bande bianche. Nellabanda a sinistra del testostampato occorre indicaregli aspetti non soddisfacentidella vita che si spera di cam-biare. A destra si annota ciò Colonna forata Nara (Foto Palamà)

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Aja ManaLa prima preghiera in griko accolta dalla Curia di Silvano Palamà

Aja Mana

Aja Mana, esù vloimmeniise panta atto Teò:emì stèome oli nomeni‘ttù sta pòddiasun ambrò.

Sa pedàcia su milume,a guaitàma esù na masi,ce st’ammàissu kanonume,ce sta chili, a’ ma jelasi.

Kanononta sti’ zoìka diaike esù, noàkundu pu ènna vastattìpasson ena pus emà.

Dopu jènnise, itti nitta,mes ti’ tzichra, mes to chioni,ce tze chari e’ citti spitta‘sù cherùmeni kanoni,

a techùddhia atta koràfiapirte o asteri na fonasi,ce u’ Re Magu m’a krusàfia,i’ charassu na merasi.

Ce iu puru pus emàesù teli: ‘s pa’ ceròna meràsome i’ charàce o tzomì mon attechò.

Ei stannù depoi, aja Mana,dopu pirte mo Pedìsto korasi ecì sti’ Kanace esù tûpe: “En ei krasì”?

Fèonta cino atto neròosson ègguale krasì- kundu ide is tôste ambrò -ce ius oli sosa’ pi.

Puru emì ittin visiaènna dòkome os adddhò,sto tikami, sti fatia,kundu p’èkame o Kristò.

Santa Madre

Santa Madre, benedettatu da Dio sei sempre stata:e noi stiamo qui riunitia pregare ai piedi tuoi.

Come i piccoli parliamo,raccontando i nostri guai,al tuo occhio poi chiediamoe alle labbra tue un sorriso.

Osservando la tua vitae le azioni che hai compiuto,dagli esempi tuoi impariamoe così ci comportiamo.

Partoristi quella nottecon il freddo e con la neve,e felice poi ammirastidella grazia la scintilla:

andò allora per i campia chiamare i pastorelli,quella stella, ed i Re Magi,per dividere la gioia.

Così pure tu da noivuoi che sempre dividiamoogni gioia con chi soffree a chi ha fame il pane diamo.

Santa Madre, ti ricordiquando andasti con tuo Figlioalle nozze, in quel di Cana,e dicesti: “Non c’è vino”?

Lui dall’acqua fece il vino- e il miracolo ben videchi gli stava più vicino -e la festa continuò.

E così lo stesso aiutoa chi è in difficoltàanche noi dobbiamo darecome fece lì Gesù.

Salvatore Tommasi

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Ne è passato di tempo, da quando alla fine del Cinquecento l’Arcudi raccolse per il Papa le preghiere in greco nel NeonAntologhion. Dopo di allora scomparve pian piano il rito greco e con esso la liturgia, le preghiere, secondo una strate-gia morbida della Chiesa di Roma che, in applicazione dei dettami della Controriforma, cancellava segni di culto speci-fici, come quelli dei greci del Salento, a favore della omologazione più completa. Di acqua è passata sotto i ponti. Dauna parte il popolo ha conservato tutta una serie di preghiere in griko (al Bambinello, a S. Pantaleo, il Pater Nostrum,),la Passione, ecc.; dall’altra, la Chiesa ufficiale ha scelto di ignorare tali fenomeni. Per conto proprio, alcuni religiosi e poetiellenofoni hanno di tanto in tanto provato a riprendere o a comporre preghiere in greco, fino addirittura all’intera SantaMessa, ma il tutto era tacitamente sopportato, non ufficializzato né tantomeno promosso dalla Chiesa ufficiale. Ci ha pro-vato Don Mauro Cassoni con Pracàliso min glòssa-su (prega colla tua lingua), E Aia Luturghìa (La santa Messa), conpreghiere alla Madonna di Roca, a S. Brizio. Domenicano Tondi ha trascritto in griko la Liturgia in Ta Pràmata Teù (Lecose di Dio), recentemente pubblicata, ma comunque la Chiesa stava sempre a guardare, quasi “sopportando” la cosa,ma sostanzialmente ignorandola. Oggi è avvenuto qualcosa di nuovo. A settembre, la Curia Arcivesovile di Otranto, adopera di Don Quintino Gianfreda, ha dato l’approvazione ecclesiastica ad una bella preghiera alla Madonna scritta in grikoda Salvatore Tommasi. Aja Mana (Santa Madre) è composta di tredici quartine che seguono nella impostazione l’aspettoteologico ufficiale della Chiesa. Certo, il Concilio Vaticano II, la valenza preminentemente culturale del griko, i tempi ma-turi dell’interculturalità, la voglia diffusa di identità, la correttezza dei contenuti del canto, sono tutti fattori che hanno fa-vorito e spiegano la decisione della Curia Otrantina, ma comunque l’avvenimento riveste grandissima importanza per lacomunità grecosalentina e non solo. La Chiesa si riappropria ufficialmente della funzione formativa espressa nella lin-gua del popolo, ed usando il griko, assieme all’italiano ed al latino, offre un aiuto notevole alla conservazione e alla va-lorizzazione di lingua e cultura grika.

Approvazione ecclesiastica

Page 19: Nuova Messapia

Pochi mesi fa con un articolo sulla nostrarivista il prof. Tommasi lamentava l’assenzadi progetti audiovisivi capaci di documen-tare in modo adeguato una lingua impor-tante emaiabbastanzadifesaqual è il griko.Bene, a distanza di pochi mesi, siamo felicidi annunciare che un importante progettoaudiovisivo sullaminoranzagrika salentinaegreco-calabra, sviluppatodaungiovane eaffermato regista e sceneggiatore italo-greco, Alessandro Spiliotopulos, c’è, e nonè solo un semplice lavoro di documenta-zione, ma molto di più. Con questa intervi-sta abbiamo voluto conoscere megliol’autore e il suo progetto.

Lingua Grika: ciak si parla!di Alfredo Melissano

Come nasce l’idea di una docu-fic-tion sulla cultura greco-salentina egreco-calabra?

L’idea iniziale, come spesso accade inquesto campo, parte da delle ricerche eda inquietudini personali. Essendoitalo-greco, vivendo tra questi due bel-lissimi Paesi e culture, ed avendo dasempre delle domande dentro di me checercavano una risposta, era solo unaquestione di tempo scoprire ed inna-morarmi delle due isole linguistiche diorigine ellenica in Italia - cosa che av-venne diversi anni fa. Il successivo miolegame verso il mondo del cinema nonpoteva che far sbocciare in me, in modospontaneo e graduale, un desiderio diunire queste due passioni. Lo stimoloiniziale è nato da un forte desiderio difare qualcosa per la salvaguardia diquesta lingua, e del suo bellissimo edinestimabile patrimonio di tradizioni ecultura che, a quanto pareva, era “mo-ribondo”. Entrando successivamente incontatto con le realtà ellenofone attra-verso la conoscenza di persone fanta-stiche ed approfondendo la loro culturanei vari aspetti, ho scoperto tanti altrimotivi per i quali è necessario fare unfilm.

Che obiettivi si pone questo pro-getto?

Direi che sono molteplici e su varifronti. Citandone solo alcuni: la docu-mentazione della parlata grika e greca-nica, registrare importantitestimonianze di queste genti, cercaredi raccontare in un modo più informale,da quello che fin’ora è stato fatto inquesto settore, la storia di queste dueisole linguistiche, senza tralasciare

l’importanza di raccontare attraversoun occhio esterno, e nel contempo inti-mamente coinvolto, le attuali vicendedi questa lingua. Ed in fine fare qual-che accenno alla corrente culturaledella “Grecità”, che è presente non soloin queste realtà, ma anche negli usi ecostumi di tutto il meridione, pur inmodo latente. Tutto questo progetto dicerto può sembrare “audace”, sia perampiezza che per complessità di adem-pimento degli obiettivi, ma, fortunata-mente, ancora oggi si può trovare gentericca di sogni e di voglia di realizzarli.E questo vale anche per gli ellenofoni.

Appunto, volevo chiederle, che climadi collaborazione ha trovato nellaGrecìa salentina e tra i greco-cala-bri?

A livello individuale, sia nel Salentoche in Calabria, il clima che ho trovatoè, a dir poco, incoraggiante. La grandedisponibilità mostratami da parte delletante persone che ho incontrato in que-sti due luoghi è stata per me la con-ferma dell’importanza di questoprogetto. Il loro entusiasmo è un incen-tivo a portarlo avanti, nonostante le im-mancabili difficoltà. Sotto il profilodelle istituzioni bisogna ancora lavo-rare parecchio per riuscire a “svegliareil gigante che dorme”. Ma, ormai, è ri-saputo giustamente che deve essere ilcittadino ad attivare e migliorare i mec-canismi istituzionali, e di certo non ilcontrario.

Ma cos’è una docu-fiction ? Si è giàcimentato in precedenza in un pro-

getto del genere?

Il termine caratterizza un genere moltovasto pieno di tante sfumature. Inpoche parole, direi che si tratta di unfilm che sta in bilico tra la finzione edil documentario. La docufiction utilizzatecniche narrative ed espressive propriedi entrambi i generi, a seconda dellescena e del messaggio che si vuol pas-sare allo spettatore. Quindi per la va-stità e la natura dei temiprecedentemente accennati, credo chela docufiction sia un contenitore ideale.In passato ho avuto esperienze fictione documentaristiche, e questo è il primoprogetto di questo genere che vado arealizzare. Credo comunque che tutti ifilm, che siano essi documentari o difinzione, non appartengono mai rigoro-samente ad una delle due categorie. Perquesto la sfida sta nel saper miscelareelementi di realtà con una giusta dosedi finzione e nel poter sposare in modoottimale le informazioni con le emo-zioni, per dare allo spettatore gli stimoligiusti.

Questo modo innovativo di divulga-zione culturale può servire ad accre-scere la conoscenza verso lingue chealtrimenti sarebbero destinate ascomparire?

Prima di tutto bisognerebbe vedere suquali presupposti si basa la scomparsadi una lingua. Per il Griko ed il Greca-nico è da tanto tempo che si canta lafine, ma sembra che trovino sempre ilmodo di sfuggire al ‘estremo traghetta-tore’ delle lingue viventi! A parte labattuta, sì, credo che una docufictionsia un ottimo veicolo sia per la sua mo-dalità di fruizione immediata e l’uni-versalità del suo linguaggio che per lepossibilità, offerte dalle nuove tecnolo-gie, di rivolgersi ad un pubblico di granlunga più numeroso. Questo perché unfilm, come la poesia per il Foscolo, rie-sce a sconfiggere, anche se per due oresoltanto, uno dei più acerrimi nemicidegli idiomi e delle loro culture: il Si-lenzio. Il non parlare e non sentire unalingua, il non trovarsi quotidianamenteimmersi in queste realtà culturali, rap-presenta la vera condanna di ogni mi-noranza. Negli ultimi 4 decenni“boccate d’aria” al Grecanico e al Grikosono state date dalla musica, dalla poe-sia e dalla letteratura. È tempo che oraanche i film facciano la loro parte!

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Jhon Bishop e Alan Lomax

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Eco-turismoIl futuro della tradizione di Emanuela Mangione

Con la venuta meno delle tradizio-nali frontiere e con lo sviluppo deimercati globali, si è approdati allaglobalizzazone (ovvero a quel feno-meno di progress), concetto che,sebbene avesse lasciato sperare aben più alti scopi, ha finito con ne-cessitare di un passo indietro (o inavanti che dir si voglia) là dove mi-nacciava di destabilizzare le eco-nomie locali fino al cuore del piùintimo tessuto culturale. Questo in-fausto destino dello “spazio glo-bale”, è quello di uno spazio che siè dilatato a dismisura, tanto da nonpoterne intravvedere più i confini:illimitato e quindi a-nomico. Ora,fermo restando che la vita di cia-scuno, non si concretizza solo subase temporale, ma anche su quellaspaziale, l’uomo non può pensare diprescindere da un rapporto partico-lare con l’ambiente circostante.Se anticamente ogni popolo era in-timamente e indistricabilmente le-gato alla sua terra, dalla qualetraeva sostentamento e dalla qualene riceveva. Oggi, a ben vedere, lecose non stanno più così.Quella legge non scritta dell’appar-tenenza - che richiamava l’odoreprimitivo della terra, che evocaval’istinto primordiale al possessodella zolla - si è poi convertita inlegge scritta, ovvero nel ‘farsi’ so-ciale e civico, nella norma e nel di-ritto. Ma se è dunque nell’ origi-nario rapporto di reciproca e visce-rale collaborazione dell’uomo conla terra, che si collocano le radicidel vivere civile, com’è possibilegiustificare oggi questa al- tera-zione per la quale l’uomo sembri di-mentico della sua radice terri-toriale?L’arida incapacità di concepire oggila terra, come madre, come il beneprimo e “nostro”, ha finito non solocon il rendere ciechi davanti allanostra fonte di vita, quanto a tra-durla piuttosto in bene sì, ma pret-tamente valoriale, ovvero in-tendibile come utile in termini stret-tamente economici. Ora, é suffi-ciente oggi la sola volontà peringaggiare un cammino a ritroso

alla riscoperta del più intimo deinostri beni, o dobbiamo continuarea spacciare per modernità la debo-lezza ideologica che non permette dioptare per linee di condotta costrut-tive, sacrificando i ciechi guadagni?A ben vedere, l’era monodimensio-nale dell’homo economicus, che giàdoveva dirsi sul far del tramonto avantaggio di una maggiore com-plessità, perdura ancora in un reite-

rato contesto di globalizzazione, inun tempo che sembra essersi cri-stallizzato senza possibilità di svol-ta alcuna a causa di persistenti ten-tativi di arricchimento coatto e dipolitiche maldestramente specula-tive. Nessuno oggi è contro la mo-dernità in quanto tale, né contro letecnologia, a meno di non esserefolli. Quello su cui piuttosto si in-tende discutere è se sia possibilesolo dar vita a delle politiche chenon dimentichino che i nostri benisono sì dei valori, ma anche, e so-prattutto, dei valori in senso tra-scendentale, umano, sentimentale, enon solo esclusivamente in sensomateriale e ed economico.In questi ultimi anni dell’ambientesi è fatto un gran parlare, anche perquanto riguarda gli impatti turisticiin termini di inquinamento, dandorilievo in molti casi all’urgenza dipianificare progetti e condotte piùincentrati sulla salvaguardia e otti-mizzazione delle risorse, attraversouna nuova forma di turismo consa-pevole, di turismo sostenibile, o chedir si voglia ecoturismo, in grado diporre maggiore attenzione e rispettoper le comunità locali e volto al re-cupero delle proprie tradizioni sto-

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Cicloamici a Melpignano (Foto Cicloamici)

Lago di bauxite - Otranto (Foto Cicloamici)

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NOTE______________1 Per maggiori approfondimenti visitareil sito: www.ecoturismoitalia.it2 www.slowfood.it3 www.transitiontowns.org__________________

SITOLOGIAhttp://www.cicloamici.it/http://www.fiab-onlus.it/

Cesine - Pista ciclabile chiusa e inutilizzata (Foto Cicloamici)

Salento in bici

riche. Sempre più frequentemente siverifica che, sia tra i mediatori turi-stici che tra i turisti, ci siano taluniche, senza rendersene conto, adot-tano prassi ecoturistiche, ed altri,che si proclamano dediti a questa“filosofia turistica”, promuovanosolo qualche aspetto. L’ecoturismo,secondo una delle più rispettabili as-sociazioni turistiche al mondo, l’Au-stralia Ecotourism Association 1 èun “ turismo ecologicamente soste-nibile che mette l’accento sulleesperienze nelle aree naturalistichefavorendo preservazione, apprezza-mento e comprensione sia ambien-tale che culturale”.Ebbene è evidente che quando siparla di “turismo responsabile” siintende una vacanza nella quale sivivono le ricchezze ambientali eculturali di quel luogo, ma senza cheesista una vera consapevolezza del-l’effetto che il turismo possa averein queste zone. Se turismo sosteni-bile ed ecoturismo appaiono quasisinonimi, nella prima si delinea lafigura del “turista responsabile”, ov-vero del turista conscio dell’impattoche in termini economici il turismopuò avere sulla popolazione lo-cale.Nella definizione dell’ l’Au-stralia Ecotourism Association, per“comprensione ambientale - cultu-rale”, si fa riferimento a quel mo-mento dell’incontro e dello scambioculturale tra l’ospite e l’ospitante lastruttura deve garantire e può farloper esempio attraverso escursioniorganizzate con guide locali, o ap-positamente segnalate, e con mezzipoco impattanti per i luoghi (a piedio in bici, ad esempio), garantendo lapossibilità dell’acquisto di prodottiartigianali e gastronomici locali, delcontatto e conoscenza delle usanzedel luogo e della comunità ospi-tante.È in Europa che di fatto lo svilupposostenibile ha trovato terreno fertileper un’ampia diffusione. L’Europaturistica é ricchissima di offerte peri simpatizzanti di questa forma turi-stica, e le alternative in cui esso puòdeclinarsi paiono numerosissime:dallo “Slow Food ”2 che intende pro-

muovere e valorizzare il cibo locale.Divenuta una vera e propria filoso-fia alimentare basata sul presuppo-sto che la rieducazione ai saporiorienti al consumo di cibi più sanipone particolare attenzione alle mo-dalità e alle scelte produttive deglistessi (in quanto la produzione lo-cale permette di fornire quante piùinformazioni possibili sulle moda-lità di allevamento o di cultura, sul-l’uso di pesticidi o meno, sullatipologia di mangimi utilizzati in al-levamento ecc..) alla rete di piccolecittà nel sud-est del Regno Unito, le“Transition Towns” 3 , che stanno ri-convertendo le modalità usuali diproduzione e consumo in altre, chepermettano, ad esempio, di non ri-correre all’uso di combustibili fos-sili. Strutture all’insegna di turismoeco-sostenibile si trovano anche inItalia che operando nel loro piccolofanno scelte importanti come il ri-sparmio energetico utilizzando lam-padine ed elettrodomestici a bassoconsumo elettrico, consigliano aiclienti un utilizzo consapevole del-l’acqua per evitare sprechi, si ado-perano nella riduzione dei rifiuti enella loro raccolta differenziata e

propongono ai clienti soluzioni al-ternative ai mezzi di trasporto pri-vato per le visite di piacere,registrando un altissimo grado di ap-prezzamento da parte clienti (custo-mer soddisfation).Tuttavia, sebbene la coscienza so-ciale abbia fatto grandi passi avantirelativamente alle tematiche legateal turismo, il nostro ordinamentomanca ancora di strumenti di sup-porto adeguati, ed in particolare nelnostro Salento. Sebbene si registriuna sempre crescente attenzione daparte degli operatori turistici e deglienti locali, circa la tutela e valoriz-zazione dei prodotti tipici e di tradi-zione che costituiscono i veri tesoridell’economia locale. A dispetto diquanto spesso si crede, questa nuovatipologia di turismo può contribuirealla conoscenza e alla tutela persinodel patrimonio architettonico conta-dino e rurale. È proprio attraverso lacreazione di attività volte al rispettodei luoghi e delle tradizioni che pos-siamo conciliare e riscattare l’esi-genza di uno sviluppo di un’eco-nomia più giusta e attenta alla sag-gezza antica altrimenti destinata ascomparire.

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Il velo e lo sguardoPer Carmine Zizzari di Cosimo Mangione

Uno degli ultimi lavori di CarmineZizzari. Un autoritratto. Il luogodella riflessione sul senso e sui li-miti della propria “identità”. Iden-tità? Andiamo con calma. I tratticon cui il corpo e il volto sono“rappresentati” colpiscono imme-diatamente l’”osservatore”. Egli èaffascinato, quasi stordito direi, daun orizzonte in cui si distende il si-lenzio dolcissimo di una pace infi-nita. Non si avverte la pesantezzacon cui le cose affondano nellospazio. Il loro cadere nello spazio.C’e’ solo una luce. Finalmente laluce. Il corpo risplende. E’ trascesodalla sua stessa profondità. La lucedel corpo. Del proprio corpo. Unaluce che sfugge alla forza di gra-vità dell’inconscio, alla sua terri-bile voracità. E’ tutto quello che siriesce a vedere. La cosa che piùcolpisce intendo. Ma di quale lucevuole parlarci Carmine? GuidoAristarco ha scritto una volta che“ogni arte è un gioco con il caos”.Carmine direbbe che è un giococon la luce. Credo che egli cerchiin questo dipinto di “documentare”la sua riflessione sul sé o meglio lastoria di questo percorso alla ri-cerca del senso del sé. Significa“identità” essere “identici-a-se-stessi” o forse essa è solo un abissodove l’ uomo raccoglie l’ eco dellesue grida? E’ forse un autoritrattoil modo più “ragionevole” perchiarire l’ equivalenza tra ciò cheil pittore “ e’ ’” e quello che glialtri pensano che lui “sia”? E’ laluce che vediamo solo un “ri-flesso”? E se non “è” un riflesso,da dove nasce? E’ forse qualcosache il corpo naturalmente “pos-siede”? Tutte queste domande ripo-sano negli anfratti silenziosi diquesto lavoro. Non ho nessuna vo-glia di provare a trovare delle ri-sposte. Anche perché questedomande non sono rivolte a chiguarda, ma a chi si ostina a pensarementre guarda. Se lasciamo stareper un istante il turbine frivolo dipensieri che ci assale mentre “ve-diamo la luce”, allora “riusciremoveramente a vedere”. Ma vedere

“cosa”? Potrei continuare a lungo,però non credo riuscirei a chiarireappieno il senso di ciò che in realtàCarmine vuole rivelarci. Egli ci staparlando della “bellezza” o della“bellezza delle bellezze”, come di-rebbe un altro esploratore del-l’anima umana, un altro soletano.Spesso mi è capitato d’incontrareCarmine di notte, mentre tornavo apiedi dal lavoro. Una volta lo vidiseduto su una panchina. Ricordo larisposta che diede alle mie insi-stenti domande circa la ragione delsuo starsene lì a quell’ora cosìtarda: “Non riescu dormu”. Ecco,lo sguardo che accompagnava que-ste parole è lo sguardo che poi horitrovato nel suo autoritratto. E’ losguardo dell’insonne Emil Cioranmentre passeggia di notte nellestrade di Montmartre a Parigi, diGiovanni Drogo ne “Il Deserto deiTartari” di Buzzati, de “ I sette im-piccati” nello straordinario rac-conto di L. N. Andreev, delcavaliere Antonius Block nel “Set-timo Sigillo” di Ingmar Bergman edi mille visionari e mille visioniche punteggiano l(a)’ (insonne)storia segreta del mondo. Poi nondicemmo più nulla. Però lo sguardolo ricordo ancora. Esso non mi“guardava”, ma “si” guardava. Eraun velo che annunciava il desideriodis-velarsi, senza mai farlo.Ma non è forse proprio questo il

segreto del bello, il segreto stessodella vita, il segreto del linguag-gio? E’ proprio vero quello che af-fermava Walter Benjamin quandoscriveva che nel “disvelamento ilvelato si trasforma” e “che esso ri-marrà uguale a se stesso solo sottol’involucro.” Il “sé” che si rivelanell’autoritratto di Carmine è il séstesso velato proprio nell’atto delsuo manifestarsi. E la luce di cuiparlavo all’inizio? E’ essa un velo?O forse è solo la stoffa di cui èfatto il velo? Vedete. Lo scrivevogià prima. Non si possono trovarerisposte a queste domande. La luceesiste solo nello sguardo autentico.Nella conoscenza da “cuore acuore” come direbbero i buddisti,nell’attesa senza attese. Lì la luceci raggiunge e ci accorgiamo di es-sere - spero ora di non ferire alcunisensibili lettori - ci accorgiamo di-cevo, d’essere felici. In quel mo-mento scopriamo di aver compresoqualcosa d’essenziale. Guardandoancora una volta l’autoritratto diCarmine notiamo come il suo voltoaccenni un “fugace” sorriso. Unaluce. O forse solo il rumore di unvelo che cade ai nostri piedi. Pensoal sermone del fiore. Buddha mo-stra all’assemblea dei monaci riu-niti per ascoltarlo un fiore e rimanein silenzio. Solo Mahakashyapasorride. E’ l’unico ad aver capito.Grazie Carmine.

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Carmine Zizzari - Autoritratto

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Dati Arpa PugliaCampagna di monitoraggio qualità dell’aria nel comune di Soleto

Dall’ 11/04/2008 per 42 giorni l’ARPAPuglia ha condotto, su richiesta dell’Amministrazione comunale di Soleto, una campagna dimonitoraggio sulla qualità dell’aria. Nel mese di settembre l’ARPAPuglia ha pubblicato il rapporto finale. Ne diamo una breve sin-tesi circa i punti salienti.Su valutazioni dei tecnici ARPA il laboratorio mobile è stato posizionato in via Napoli poiché presentava ‘caratteristiche analoghea quelle di una stazione di monitoraggio suburbana’e, recita il rapporto, ‘nel Comune di Soleto non sono presenti insediamenti pro-duttivi tali da generare pressioni rilevanti sull’atmosfera. Allo stesso modo, per le limitate dimensioni del comune, l’impatto delleattività civili o del trasporto è da considerarsi limitato. Nel limitrofo comune di Galatina, al contrario, è presente un impianto perla produzione di cemento della ditta COLACEM S.p.A. Questa tipologia di impianti utilizza nel processo svariate tipologie di com-bustibili e può dar luogo a rilevanti emissioni inquinanti le cui ricadute al suolo, in funzione delle condizioni meteorologiche, pos-sono interessare aree più o meno distanti dal punto di emissione.’

Inquinanti monitorati

Il laboratorio mobile è dotato di analizzatori automatici per il campionamento e la misura in continuo degli inquinanti chimici indi-viduati dalla normativa vigente in materia, ovvero: monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx), biossido di zolfo (SO2), ozono(O3), benzene, toluene, o-xilene (BTX), PM10.

Parametri meteorologici rilevati

Il laboratorio mobile permette inoltre la misurazione dei seguenti parametri meteorologici: temperatura (°C), Direzione Vento Pre-valente (DVP), Velocità Vento prevalente (VV, m/s), Umidità relativa (%), Pressione atmosferica (mbar), Radiazione solare globale(W/m2), Pioggia (mm).

Riferimenti normativi

Si fa riferimento al D. M. 60/02 per PM10, CO, NO2 e Benzene e al D. Lgs. 183/04 per l’ozono.

CONCLUSIONI

Gli unici superamenti misurati durante la campagna di monitoraggio sono quelli relativi all’ozono e al PM10.Per l’ozono è stato superato 9 volte il valore limite per la protezione della salute umana, fissato dal D. Lgs. 183/04. È da sottolineareche valori di ozono elevati sono frequenti nei territori caratterizzati da forte irraggiamento solare, quale è la nostra regione. L’ozononella parte bassa dell’atmosfera si forma infatti per reazioni tra altre sostanze, dette precursori. Queste reazioni sono catalizzate dallaradiazione solare e, pertanto, nelle regioni geografiche caratterizzate da forte irraggiamento solare valori alti di ozono, soprattuttonella stagione estiva, sono attesi.I 5 superamenti di PM10, invece, si sono avuti nei giorni 11, 12, 19, 20 e 21 aprile 2008, giornate caratterizzate da fenomeni di tra-sporto di masse dal Sahara (Saharan dust) su tutto il territorio regionale.ARPA ha infatti registrato superamenti in tutte le stazioni fisse che gestisce (cfr. www.arpa.puglia.it), per cui il fenomeno rilevato èin linea con quanto è accaduto nelle altre stazioni collocate nel Salento e non risulta localizzato. A tal proposito è utile ricordare chel’andamento delle concentrazioni di PM10 in atmosfera è regolata da variabili di carattere meteorologico, tanto che in siti di moni-toraggio distanti tra loro ma appartenenti alla stessa regione geografica si riscontrano valori di concentrazione paragonabili. A par-tire dal 22 aprile, infine, i valori registrati sono sempre stati bassi.In conclusione è possibile asserire che, limitatamente alla durata della campagna di monitoraggio, non sono state rilevate situazionidi criticità.

NOTA DI REDAZIONE

I rilevamenti effettuati dall’ARPA PUGLIA non prevedono monito-raggi su inquinanti costituiti da nanoparticelle, difatti la legge in vi-gore non prevede nessun controllo e nessun limite alla produzione ealla concentrazione in atmosfera del particolato ultrafine. Il PM10,rispetto alle nanoparticelle, è cento/mille volte più grande. Le na-noparticelle sono polveri ultrasottili (milionesima/miliardesimaparte di metro) prodotte da ogni tipo di combustione fatta ad altatemperatura (dai 1000°C in su) e praticata da inceneritori, centrali acarbone, centrali a olio combustibile, cementifici, acciaierie, motoria scoppio delle automobili. Svariate ricerche a livello internazionale(vedi http://www.ncbi.nlm.nih.gov/) effettuate negli ultimi anni hannoevidenziato la stretta relazione tra tali sostanze e l’insorgenza di neo-plasie. Mappa sito rilevamento