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NUMERO/258 in edizione telematica 10 luglio 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]r La forzatura di una foto Mi meraviglio che vi meravigliate. È diventata un’ampia foto notizia l’immagine della 4 x 400 femminile azzurra vincente l’oro ai Giochi del Mediterraneo. Uscendo dai confini dell’evento, dal recinto dello sport e dell’atletica per entrare nel vivo dibattito polemico sui migranti, quasi uno schiaffo in faccia da affibbiare a Salvini. Nel regno del politicamente scorretto la forzatura è evidente e la strumentalizzazione delle ragazze la cui italianità è a prova di bomba per nascita, per matrimonio, per adozione sportiva (ogni caso è diverso dall’altro) suona stonata alla parrocchietta dell’atletica. Nei giorni delle magliette rosse non è il caso di evocare il black power per dimostrare che lo sport è avanti come società civile a un provvedimento legislativo. Chi parla più di ius soli nei programmi di Governo dopo che il Pd aveva visto traballare paurosamente la maggioranza per un argomento del genere, ancora maledettamente tabù? I prodromi del comune sentire si erano avuti in Parlamento prima che la Lega esplodesse nei sondaggi al 31% dalla piattaforma del 18%, elettoralmente conquistata il 4 marzo scorso. Cosa dimostra quella foto? Sommessamente e con basso profilo che lo sport è davanti come conquista a quanto le Leggi dello Stato prima o poi dovranno pattuire e cioè che l’agonismo si è auto-dettato uno ius soli molto più funzionale e all’altezza dei tempi rispetto alla vita di tutti i giorni e ai faticosi compromessi politici. Destrutturiamo quella foto da altri fardelli e complicazioni. Tre ragazze di colore delle quattro d’oro a Tarragona si erano già affermate in altre occasioni senza venir per questo sbattute in prima pagina e semmai la loro combinazione va a significare un’altra complessità e cioè che il prodotto interno lordo funziona poco. In soldoni che sempre meno ragazze nostrane praticano lo sport, l’atletica e nel caso specifico il faticosissimo giro di pista. La voglia di affermazione nasce da chi ha motivazioni maggiori per conquistare diritto di asilo, di piena cittadinanza, di sviluppo e id affermazione in un Paese che solo in parte è il proprio. Questo ci dimostra su un piano meno propagandistico questa foto e questo successo. Altre lezioni non vorremo ci fossero impartite. Ci prendiamo qualche riga fuori argomento per chiedere altrettanto sommessamente a Tamberi e alla Trost di spendere qualche minuto per riflettere sulle proprie prestazioni. Utile girare, quasi da unici italiani rappresentanti, prestigiosi meeting europei per saltare rispettivamente e mediocremente 2.12 o 1.90 raccogliendo brutte figure, impossibilitati a guardare, sia pure da lontano quei 2.40 e quei 2 metri che rappresentano logiche aspirazioni fino a due anni fa? In atletica non ci sono miracoli di San Gennaro che possano far ritrovare una condizione persa o dimenticata. Non sarebbe meglio tornare nell’hangar rinunciando a qualche euro e a qualche brutta figura, ritrovando orgogliosamente se stessi, se succederà, se sarà possibile, nella fatica dell’allenamento? E c’è qualcuno, al di là della loro sfera di indipendenza, che possa consigliare uno stop precauzionale quanto terapeutico? Forse un padre che, guarda un po’, è anche l’allenatore del campione. Daniele Poto

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NUMERO/258 in edizione telematica 10 luglio 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

La forzatura di una foto

Mi meraviglio che vi meravigliate. È diventata un’ampia foto notizia l’immagine della 4 x 400 femminile azzurra vincente l’oro ai Giochi del Mediterraneo. Uscendo dai confini dell’evento, dal recinto dello sport e dell’atletica per entrare nel vivo dibattito polemico sui migranti, quasi uno schiaffo in faccia da affibbiare a Salvini. Nel regno del politicamente scorretto la forzatura è evidente e la strumentalizzazione delle ragazze la cui italianità è a prova di bomba per nascita, per matrimonio, per adozione sportiva (ogni caso è diverso dall’altro) suona stonata alla parrocchietta dell’atletica. Nei giorni delle magliette rosse non è il caso di evocare il black power per dimostrare che lo sport è avanti come società civile a un provvedimento legislativo. Chi parla più di ius soli nei programmi di Governo dopo che il Pd aveva visto traballare paurosamente la maggioranza per un argomento del genere, ancora maledettamente tabù? I prodromi del comune sentire si erano avuti in Parlamento prima che la Lega esplodesse nei sondaggi al 31% dalla piattaforma del 18%, elettoralmente conquistata il 4 marzo scorso. Cosa dimostra quella foto? Sommessamente e con basso profilo che lo sport è davanti come conquista a quanto le Leggi dello Stato prima o poi dovranno pattuire e cioè che l’agonismo si è auto-dettato uno ius soli molto più funzionale e all’altezza dei tempi rispetto alla vita di tutti i giorni e ai faticosi compromessi politici. Destrutturiamo quella foto da altri fardelli e complicazioni. Tre ragazze di colore delle quattro d’oro

a Tarragona si erano già affermate in altre occasioni senza venir per questo sbattute in prima pagina e semmai la loro combinazione va a significare un’altra complessità e cioè che il prodotto interno lordo funziona poco. In soldoni che sempre meno ragazze nostrane praticano lo sport, l’atletica e nel caso specifico il faticosissimo giro di pista. La voglia di affermazione nasce da chi ha motivazioni maggiori per conquistare diritto di asilo, di piena cittadinanza, di sviluppo e id affermazione in un Paese che solo in parte è il proprio. Questo ci dimostra su un piano meno propagandistico questa foto e questo successo. Altre lezioni non vorremo ci fossero impartite.

Ci prendiamo qualche riga fuori argomento per chiedere altrettanto sommessamente a Tamberi e alla Trost di spendere qualche minuto per riflettere sulle proprie prestazioni. Utile girare, quasi da unici italiani rappresentanti, prestigiosi meeting europei per saltare rispettivamente e mediocremente 2.12 o 1.90 raccogliendo brutte figure, impossibilitati a guardare, sia pure da lontano quei 2.40 e quei 2 metri che rappresentano logiche aspirazioni fino a due anni fa? In atletica non ci sono miracoli di San Gennaro che possano far ritrovare una condizione

persa o dimenticata. Non sarebbe meglio tornare nell’hangar rinunciando a qualche euro e a qualche brutta figura, ritrovando orgogliosamente se stessi, se succederà, se sarà possibile, nella fatica dell’allenamento? E c’è qualcuno, al di là della loro sfera di indipendenza, che possa consigliare uno stop precauzionale quanto terapeutico? Forse un padre che, guarda un po’, è anche l’allenatore del campione.

Daniele Poto

SPIRIDON/2

A volte sembra di vivere in uno

zoo, dove gli animali sono dotati di parola e, pur di farsi notare, dicono la loro. Il che, se

detti animali fossero anche minimamente informati e le loro tesi suffragate almeno da un

brandello di veridicità, ci sarebbe nulla da dire: ci mancherebbe, è in gioco la libertà di

pensiero. E invece basta un pissi pissi, un qualcosa sentito camminando per strada o, peggio,

rovistando tra i siti della disinformazione per scatenare reazioni, emettere sentenze, insultare

il prossimo.

Massimo Gramellini qualche giorno fa ha riportato nella sua rubrica sul Corriere della Sera

l’iniziativa di un buontempone che attraverso i social invitava, per favorire il processo

integrativo, a usare i numeri arabi. Bene, costui è stato ricoperto dei peggiori insulti con

minacce neppure velate quando, a cotanti pensatori che frequentano il web, sarebbe bastato

digitare sull’amata tastiera “numeri arabi” per scoprire che nell’attuale Europa sono diventati

di uso comune nel XV secolo, ossia qualche centinaio di anni fa.

Gli ignoranti ci sono sempre stati, chioserà qualcuno. Vero, così come il fatto che costoro, in

passato, limitavano alle mura di casa il loro analfabetismo mentre oggi si scatenano fieri di

poter dire la loro e di trovare anche chi li gratifica di “like”. Poco importa dunque la verità.

Ricordo che neppure tanti anni fa si scherzava con dei colleghi: perché non scriviamo la tal

cosa, supponendo un minimo di credibilità, specie quando si trovano interlocutori restii a

parlare? Se siano in tre o quattro a farlo diventa notizia… Era un gioco e alla fine non lo si è

mai fatto. Oggi sembra accadere esattamente il contrario, per buona pace di chi spiega solo

con l’avvento del web i paurosi cali di interesse per la carta stampata.

Ammetto di provare rabbia per quanto accade, ed anche maggiore quando insulti e minacce

vengono rivolti, per esempio, ad un pallavolista perché ha pubblicato una foto insieme alla

figlia di due anni, sottolineando l’importanza di averla fatta vaccinare. Non discuto che ci

possa essere qualcuno contrario, ma vorrei che per esserlo fosse documentato e comunque

non mettesse a rischio la salute di altri bambini con le sue scelte.

Dilungarmi su temi che mi paiono comunque importantissimi, mi ha allontanato da altri

argomenti, anche se una piccola chiosa ad alcuni telecronisti del Mondiale di calcio occorre

farla, vista lo loro italianissima visione – ripetuta alla noia – di possibili “biscotti” oppure

scelte di giocare a perdere nelle partite che avrebbero deciso il successivo tabellone

dell’eliminazione diretta. Cosa che era unicamente parto delle loro menti, perché chi è

andato in campo ha poi sempre giocato per vincere, mai per perdere.

E veniamo all’amata atletica. Prima di tutto unendomi al coro di chi ha reso omaggio alla

grandezza di Irena Szewinska che dopo aver avuto la fortuna di vederla in azione, ho potuto

anche apprezzare come dirigente. Sempre cortese e sorridente, mai con parole sopra le

righe. Un’autentica Signora, la cui scomparsa lascia un grandissimo vuoto e sulla cui figura

consigliamo ai giovani di buona volontà (purtroppo non sono molti…) di documentarsi per

meglio capire il significato della parola Campione.

Tra i giovani di buona volontà iscriviamo senz’altro Filippo Tortu, che non manca occasione

per dimostrare di conoscere che cosa abbia espresso la velocità italiana prima della sua

comparsa. Su questo ventenne si costruiscono le speranza per il futuro, in certi casi anche di

rivalsa dei vertici di un atletica azzurra che nell’ultimo decennio ha avuto ben pochi motivi

per gioire. Fortunatamente Filippo pare avere la testa sulle spalle ed altrettanto suo padre,

che ne è la guida naturale e non soltanto tecnica. Unica cosa a non convincere sono le troppe

“cumparsate” a cui il ragazzo è stato chiamato dopo i suoi ripetuti exploit. Esempi anche

recenti dovrebbero spingere alla prudenza, a fare in modo che la Fidal si preoccupi di

preservare perché il “gioiellino” possa continuare la sua crescita senza inutili pressioni o

eccessive distrazioni. Quanto scritto da Daniele Perboni su Trekkenfild ci trova perfettamente

d’accordo: bando ai facili entusiasmi, anche in previsione degli Europei di Berlino. Anche

perché un conto è l’atletica continentale, ben altro quella mondiale.

Giorgio Barberis

SPIRIDON/3

fuori tema di Augusto Frasca

Memoria e passato per tre grandi signore

dell'atletica. Di Irena, regina polacca, scomparsa in coincidenza del mezzo secolo di distanza dal tocco magico, primo di tanti, di Città del Messico, per la sua meravigliosa compostezza, per la dolcezza degli occhi, per le immense esibizioni offerte negli stadi del mondo in una carriera che ai più sembrò infinita. Di Paola Paternoster e Magalì Vettorazzo, per l'imbattuta poliedricità disegnata attraverso lunghe stagioni agonistiche, la prima, statuaria, ai vertici nell'Italia atletica vergine di patologie degli anni '50, ordinata e raccolta attorno alle provvidenze aperte tra i banchi di scuola dal magistero di Bruno Zauli, la seconda pronta ad accoglierne il patrimonio ereditario nel decennio successivo, entrambe inserite di diritto in quella simbolica strada della gloria allestita in via dei Gladiatori dalla visionaria generosità di Ruggero Alcanterini, entrambe tessere inattaccabili di un mosaico di emozioni su cui si fonda la tradizione, e dunque la forza, del nostro movimento atletico. Memoria e immanenza della Studentesca reatina titolata ad Andrea Milardi – raramente intestazione fu più perfetta – aggiudicatrice del campionato nazionale di società in entrambi i settori sulle milanesi Riccardi e Bracco, replica dei successi registrati nei palazzi dello sport invernali, esempio illuminante di come le linee di fragilità tipiche dell'associazionismo possano talora frantumarsi dinanzi alla convinzione di un impegno alimentato nell'eccezionale compagine familiare della terra sabina costruita attorno ad Andrea e a Cecilia Molinari. Gli esegeti hanno sottolineato che per rintracciare tale unicità di classifica, ultima nel tempo, quattro anni dopo analogo successo delle squadre del Centro sportivo Fiat guidate da Marcello Pagani, sia stato necessario richiamarsi all'affermazione delle truppe del Centro universitario sportivo romano, stagione 1966, con atleti del calibro di Frinolli, Gentile, Del Buono, Risi, Ferrucci, Mazzacurati.

Sottolineatura amara, caduta negli stessi giorni in cui veniva annunciata con lacrime di coccodrillo la chiusura ufficiale di un'attività irresponsabilmente cancellata, nella totale indifferenza, da decenni. Notizia amara, eppure, proprio dinanzi ad una realtà da tempo compromessa, paradossalmente buona notizia, alla luce della conferma che sia la stessa Sapienza a prendersi direttamente carico dell'attività in accordo con l'Università del Foro Italico, formalmente abilitata ad occuparsi, quale compito primario d'Istituto, del settore. Notizia d'inizio estate, quella del Cus Roma, abbinata al minaccioso conto alla rovescia delle Universiadi napoletane, irresponsabilmente proposte a suo tempo dal Centro Universitario Italiano nel compiacimento interessato dell'organismo internazionale, felice oltre ogni evidenza d'aver trovato, su un percorso avaro di candidature, un pollo da spennare – è realtà, non retorica – nella piena complicità, tutta sciaguratamente italiana, delle istituzioni nazionali, regionali e cittadine. Notizia d'inizio estate, nell'imprevista e felice esuberanza mediatica che ha visto protagoniste ai Giochi di Tarragona le quattro ragazze della staffetta del miglio, anche la conferma che nell'endemico alternarsi di negatività e di speranze l'atletica italiana abbia finalmente trovato, nella semplice spettacolarità del gesto di un ventenne d'origini isolane trapiantato in Brianza e condotto alle certezze del futuro da un padre capace di disimpegnarsi nella felice combinazione del ruolo di genitore e di allenatore, il seme di una nuova realtà e dell'atleta del futuro. Come nota di curiosità, si deve al primo meno dieci secondi realizzato a Madrid da Filippo Tortu che un quotidiano sportivo, il merito va a Tuttosport, per la firma di Andrea Schiavon, abbia riproposto, in spazi da anni sacrificati ad insignificanti balbettii giornalistici, una preziosa tabella cronologica del primato nazionale sui 100, dall'11.2 del 1909 firmato ufficialmente a Novara da Umberto Barozzi fino al 10.01 di Mennea a Città del Messico, risalendo e recuperando alla memoria, tra altri, i nomi leggendari di Franco Giongo, Ruggero Maregatti, Edgardo Toetti, Orazio Mariani.

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SPIRIDON/4

Pietro Mennea, che non aveva avuto di certo vita facile nella prima fase della sua carriera, ma poi aveva sostanzialmente vissuto da separato in casa per il resto del tempo, mai ammesso nel Palazzo, se non dopo la dipartita per Borea, amava dire che il colore della pelle non conta, quanto la latitudine, l’appartenenza al profondo sud del mondo, di cui lui si considerava esponente autorevole, tanto quanto Smith o Bolt… Dunque, la nazionalità o il colore della pelle, il censo, piuttosto che la cultura, la fame di riscatto sociale attraverso un’attività che ti possa liberare dai vincoli di natura formale, che l’umanità ha strutturato e sovrastrutturato nel corso dei millenni in cui ha affinato, con il concetto di civiltà, ogni forma di divisione, salvo inventare la formula olimpica, che supera molte delle barriere, ma non tutte, anzi esalta l’appartenenza per nazioni, con tanto di medagliere basato sulla meritocrazia aurea, gli inni nazionali, le bandiere, le sfilate, il mostrare i muscoli, il vincere di più negli sport omologhi alle nazioni più ricche, che godono a tutt’oggi di condizioni di privilegio, di vie facilitate al podio, come nel caso della scherma, dell’equitazione o dello stesso ciclismo, piuttosto che nel nuoto, nella ginnastica, nel tennis o magari nel golf, di prossimo ingresso nel programma. Diversamente, nell’atletica, anche i paesi più poveri e con più “fame” hanno possibilità di accesso, perché bastano savane e altipiani per correre… Paradossalmente, lo smottamento di intere collettività nei vari angoli del Pianeta ed in particolare nel continente africano, le antiche tratte degli schiavi, le guerre coloniali e le recenti “pelose” espropriazioni di territori con banali concause di guerra – operazioni di carattere palesemente economico mimetizzate con motivazioni etniche, religiose, ma in realtà pur sempre economiche – hanno determinato in tempi lontani e recenti condizioni impensabili e completamente diverse per i paesi a caccia di medaglie, come anche il nostro, ovvero quelle di ricevere nuova linfa attraverso le bibliche migrazioni in essere, con tutti i risvolti negativi e positivi del caso, ovvero quelli sociali, politici e magari sportivi. Questo è, per quel che mi riguarda, il ragionamento possibile sulla base del risultato esemplificativo ottenuto dalla staffetta 4x400 femminile “azzurra” ai Giochi del Mediterraneo, in Tarragona, occasione in cui l’italianità era formale, piuttosto che sostanziale, viste le origini delle famiglie ed i meccanismi di acquisizione all’anagrafe e visto infine anche il clamore mediatico suscitato, ovviamente strumentale. A questo punto, dovremmo però ragionare e convenire se abbia senso continuare a rincorrere le medaglie, piuttosto che perseguire l’obiettivo di una società civile più sana sotto il profilo educativo, mentale, fisico. I problemi dell’accoglienza esistono e non per nostra scelta, purtroppo, per una visione del tutto inadeguata dell’Europa comunitaria. Se prevale quella dei furbi e dei prepotenti, quella monetaria, quella nazionalista, sarà difficile arrivare alla condizione in cui non contino più le medaglie e non ci si meravigli più che a vincerle per Inghilterra, Francia, Olanda e magari l’Italia siano atleti di etnie e colori diversi, con storie e motivazioni diverse. Infine, il vero problema, di cui sembra non importi niente a nessuno, è che stanno andando in malora i Giochi del Mediterraneo, giunti al capolinea proprio quando avrebbero potuto avere un senso, un ruolo strategico rispetto alle disperate esigenze di riconciliazione, che si sono generate con gli eventi disastrosi degli ultimi anni. Amo pensare che la riconciliazione dell’area Euro-mediterranea possa ancora avvenire, anche grazie allo straordinario patrimonio di relazioni umane, che si sono generate tra i 23 paesi coinvolti nella settantenne storia dei Giochi e che potrebbe agevolare non poco la ripresa di sinergie salvifiche, davvero basate su valori e interessi condivisibili, che potrebbero andare ben oltre il “quantitative easing” delle medaglie. Ruggero Alcanterini

Nel libro "Training for Ultras", scritto da Andy Milroy, Donald, per noi Don Ritchie ebbe a spiegare: "Per correre una

ultra maratona, hai bisogno di un buon allenamento e di un adeguato atteggiamento mentale, cioè devi essere un po 'pazzo. Un certo tipo di mentalità sembra essere vantaggioso. Penso che tu abbia bisogno di essere una persona calma, determinata, paziente, con un'alta tolleranza per il disagio prolungato e un'alta capacità di gratificazione ritardata ". Ma pazzo Don non lo era affatto, anzi era una montagna di saggezza. In sintesi: poche parole ma tanti fatti. Ritchie ci ha lasciati alla sua maniera , senza fare chiasso una quindicina di giorni fa nella sua casa di Lossiemouth città in cui era nato settantaquattro anni fa in una famosa casa signorile, la Haddo House, in Iscozia. Ma non perché i suoi genitori fossero benestantI , anzi avevano origini operaie, ma più semplicemente suoi aristocratici proprietari

avevano permesso che la casa e la proprietà venissero utilizzate come ospedale per maternità per le madri evacuate dalle zone minacciate dai bombardamenti della Luftwaffe, per lo più nella grande città di Glasgow. Andò all'Università di Aberdeen, diplomandosi nel 1972 con una laurea in ingegneria elettrica. A 18 anni, aveva iniziato come corridore di 400 metri con l'Aberdeen Amateur Athletic Club. Fu solo nel 1977, a 33 anni, che si rese conto di avere più resistenza della maggior parte e decise di correre per il tempo più lungo o lontano che poteva. Quell'anno, ha pubblicato un record mondiale per 50 chilometri effettuando due ore, 51 minuti, 38 secondi a Epsom.. La nostra amicizia risaliva ad oltre cinquant’anni fa , più o meno quando lo feci invitare ad una delle prime “100 del Passatore” , quelle di Checco Calderoni e Anteo Dolcini, tanto per intenderci. La nostra è stata una bella

amicizia rimasta tale anche senza tante parole; e per questo su Don Ritchie ci vorrò tornare a breve. Giors

SPIRIDON/5

Doppio scudetto della Studentesca Rieti nel giorno in cui Andrea Milardi, il fondatore, avrebbe compiuto 73 anni: "il passaggio della Lampada della vita". Disciplina individuale per antonomasia, nel Campionato di Società l'atletica diventa sport di squadra. Uno per tutti e tutti per uno. E c'è una specialità che più di tutte riassume il concetto: la staffetta. La fusione del quartetto è nella rapidità del passaggio del testimone che, a rifletterci, è il vero protagonista della gara, rallentando il meno possibile nel passaggio da una mano all'altra. Sono frequenti i casi in cui un atleta, quale che sia il livello agonistico, riesce ad esprimere il massimo delle proprie possibilità esaltandosi nella prova di squadra. Nell'evoluzione dell'atletica italiana un episodio, tra i più rilevanti nella sua storia ultra centenaria, resta legato alla mente, protagonista il quartetto Malinverni-Di Guida-Ribaud-Zuliani, primo al traguardo di Zagabria, 1981, finale di Coppa Europa, 3:01.42, dinanzi ai 'mostri' dell'Unione Sovietica, guidati dall'olimpionico Markin, della Gran Bretagna e delle due Germanie. A Modena, a fine giugno, nello stadio di antichi e nobili trascorsi, s'è verificata una sfida all'ultima staffetta: già vincitrice della classifica generale di società nella stagione indoor, la Studentesca Milardi, già Cariri Rieti, ha messo a segno il doppio successo per 'incollature' di punti nella conclusiva quattro per quattrocento, prevalendo su Bracco Milano e Atletica Brescia 1950 nel settore femminile e su Riccardi e Athletic Club 96 Alperia in quello maschile: bisogna risalire di 52 anni, al Cus Roma, per incrociare un sodalizio prevalente in entrambe le classifiche. La specialità della cosiddetta staffetta del miglio ha matrice classica, ed è Lucrezio Caro a darne conto, "i mortali, come i corridori, si passano la Lampada della vita". Era la gara preferita di Andrea, nostro amico dai tempi del magico meeting animato da Sandro Giovannelli, altro Sabino che fu negli alti ranghi tecnici della Nazionale, preceduto di appena qualche stagione dai ruoli tecnici, oltre che artistici, disimpegnati da un'altra figura nata nella fucina reatina, Bernardino Morsani, entrambi sull'esempio indimenticato di Raul Guidobaldi, al cui nome è intitolato lo splendido teatro atletico reatino. Per vie diverse, ma con risultati comunque sorprendenti per l'uno e per l'altro, Sandro Giovannelli e Andrea Milardi furono i propulsori che trasformarono la salubre Rieti, con criteri d'avanguardia, in uno dei poli fulgenti dell'Atletica. In una intervista a CorriSicilia Milardi demolì una formula caotica dei Campionati Studenteschi, in totale disaccordo con presunte 'svolte epocali' sbandierate dai burocrati del Ministero della Pubblica Istruzione e del Comitato olimpico. Con le sue idee di rinnovamento della promozione atletica di base e degli strumenti didattici da impiegare la sua fu una presenza non raramente stridente sia nei rapporti con il Comitato Laziale sia nei confronti della stessa Federazione. Nel 'Modello Andrea Milardi' la strategia è chiara, come il nome della figlia, allenatrice dei migliori specialisti nazionali impegnati sul giro di pista, e in un quadro di un'armonia familiare alimentato da Chiara, Alberto e Vittoria sull'esempio costante di Cecilia Molinari, moglie adorata di Andrea, che vogliamo evocare saettante dai blocchi, conquistando titoli italiani, maglie azzurre e la vittoria forse più bella sui 100 metri nei Giochi del Mediterraneo di Smirne: era il 1971, tra i ricordi più belli della nostra lunga milizia atletica. Oltre le congiunture astrali, e il 'mistero di Lassù', una corona di ulivo vada alla memoria di Andrea, la stessa corona che cingeva gli eroi dei Giochi di Olimpia, voluti da Zeus in segno di pace.

Pino Clemente

SPIRIDON/6

“ Sembra quand’ero all’oratorio, con tanto sole, tanti anni fa ..”

non ha mai dimenticato l’oratorio salesiano L’oratorio non è un luogo qualsiasi, ma « una palestra di vita dove la preghiera, l’istruzione religiosa, il gioco, l’amicizia, il senso della disciplina e del bene comune fanno del giovane un cristiano forte e cosciente, un cittadino solido e leale, un uomo buono e moderno ». Queste parole del Santo Padre Giovanni Paolo II rendono bene quello che l’oratorio è stato, praticamente per tutti noi, è ancora oggi per i nostri figli e sicuramente sarà nel futuro: un elemento fondamentale nella nostra crescita, di cristiani si, ma anche di uomini e cittadini. “ Sembra quand’ero all’oratorio, con tanto sole, tanti anni fa. Quelle domeniche da solo in un cortile, a passeggiar... ”, cantava un nostalgico Adriano Celentano in un pomeriggio troppo azzurro e lungo, senza neppure un prete a cui confidare i suoi piccoli dolori giovanili. Ma soprattutto senza un amico con il quale tirare quattro calci ad un pallone lì, nel campetto polveroso dell’oratorio di via Copernico, a Milano. Di umili origini, i genitori pugliesi emigrarono nel capoluogo meneghino andando ad abitare nell’estrema periferia della città, in quella via Gluck diventata poi famosa canzone autobiografica ( Il ragazzo della via Gluck , anno 1966). Lo scorso 6 gennaio Celentano ha compiuto 80 anni, con una vita ancora brillantemente permeata di musica e impegno sociale. Irriverente, geniale e mai uguale a sé stesso: riesce ancora a stregare generazioni di persone. Al suo fianco la moglie, Claudia Mori, conosciuta nel 1963 sul set di Uno strano tipo e sposata l’anno successivo, nel cuore della notte, nella chiesa di San Francesco a Grosseto. Complici nella vita e artisticamente. Tre figli: Rosita (1965), Giacomo (1966) e Rosalinda (1968). Nell’arco della carriera Celentano ha venduto circa 200 milioni di dischi, ma il successo più grande del “molleggiato” rimane Azzurro (1968, con il testo di Paolo Conte). “ Neanche un prete per chiacchierar... ”. Quel prete sarebbe don Gianni Sangalli, salesiano, amico di Adriano e Rettore per alcuni anni a Valdocco. Ma ci sono numerose altre gustose testimonianze, una dello stesso Celentano che così ricorda gli anni scolastici: « Nelle ore in cui si faceva catechismo cercavo di restarmene buono sulla sedia. Mi costava uno sforzo enorme, ma mi piaceva l’atmosfera. Capivo che era un modo per preparami a un mondo migliore. Qualche scherzo però, finivo sempre per farlo al mio compagno di banco ». Piacevole anche il ricordo del cardinale Tarcisio Bertone. Il 27 ottobre 2006 l’allora Segretario di Stato, nella Basilica Vaticana, presiede la Celebrazione Eucaristica con gli Ordinari Militari a conclusione del V Convegno Internazionale degli Ordinariati Militari, promosso dalla Congregazione per i Vescovi a venti anni dalla Costituzione apostolica Spirituali militum curae. Nell’omelia il cardinale tra l’altro afferma: « Ricordo con simpatia il mio anno di Cappellano militare supplente a Torino, con la responsabilità di ben quattro caserme, il primo anno della mia vita sacerdotale, e successivamente la mia collaborazione alla stesura della Costituzione apostolica che regola il vostro speciale compito pastorale ». In un secondo tempo, in un ambiente più confidenziale: « Durante l’anno di

servizio come Cappellano militare facevo base alla Crocetta (Torino), dove nelle vicinanze c’erano varie caserme. Ricordo con simpatia che fra i soldati chiamati alla leva militare c’era anche un giovane cantante “ye ye” che aveva avuto un grande successo con la sua “24.000 baci”. Era Adriano Celentano ». Al riguardo, chi avrebbe mai pensato di esibirsi dando le spalle al pubblico al Festival di Sanremo? È il 1961, la canzone è proprio 24.000 baci .

Celentano, che all’epoca fa il servizio militare, partecipa grazie ad una dispensa firmata dall’allora Ministro della Difesa Giulio Andreotti. Nella memoria di molti fra i meno giovani probabilmente risuona ancora qualche nota di Azzurro , ambientata nell’oratorio salesiano S. Ambrogio di Milano, “ in una domenica d’estate ”. Pierluigi Lazzarini Exallievo e Storico di Don Bosco

SPIRIDON/7

Animula vagula, blandula... scelti da Frasca Ho cercato di esaminarmi a fondo. Non sono migliore di altri, ma devo comunque dire qual è stato il mio istinto. Due cose, l'amore per il mio paese e il mio popolo, che è un elemento affettivo e viscerale, e il sentimento di avere un compito da svolgere – rimediare all'ingiustizia. Solamente qui si combatte per l'anima tedesca. Fuori non si fa che protestare. Cosa che è alla portata di tutti. Conosco il nazionalsocialismo realmente, e non dall'esterno come la maggior parte della gente che vive in Svizzera. L'ho vissuto per dodici anni. So che molte persone hanno dovuto iscriversi al partito per potere esistere. So ciò di cui questo sistema di violenza e di terrore era capace. E so come il popolo tedesco fosse in realtà lontano da questo fenomeno orribile. Altrimenti non sarei rimasto in Germania. Il fatto che io sia restato è la prova migliore dell'esistenza di un'altra Germania. I giudizi di valore ufficiali dei nazisti erano determinati in parte dalla megalomania di Hitler, in parte da considerazioni politiche molto primitive. Non vale neanche la pena confutarle. La sola cosa significativa è il terrore con cui le imponevano… Solo chi ha vissuto in Germania a quell'epoca può giudicare i fatti realmente, poiché la propaganda hitleriana ha progressivamente imbavagliato la vera Germania. Il terrore era il suo segno… Il Trattato di Versailles, con il principio del disonore della Germania, è stato il trampolino di lancio di Hitler. Ciò che succede oggi è peggio. Rendere un popolo intero responsabile dei crimini commessi vuol

dire applicare lo schema di pensiero dei nazisti. Privare un popolo del suo onore non solo è pericoloso, è terribile… Numerosi artisti americani hanno protestato contro il mio arrivo negli Stati Uniti. In prima fila vedo Arturo Toscanini. Nel 1937, quando dirigevo accanto a lui a Salisburgo scoprì improvvisamente che non si poteva suonare Beethoven contemporaneamente in un paese libero e in un paese asservito. Gli risposi che Beethoven rende 'liberi' i suoi ascoltatori, ovunque venga suonato. Oggi, quattro anni dopo la guerra, perché rifiuta che io diriga in un'America libera e democratica? Qual è la ragione di questa macchinazione? Da Quaderni 1924-1954 di Wilhelm Furtwängler (Schöneberg 1886-Ebersteinburg 1954), Campanotto editore 1998. Circa il doppio di quanti con la stessa mansione sono in carico al Quirinale e alla Camera. Per l'esattezza, con Virginia Raggi al Campidoglio, risultano in organico 39 giornalisti a contratto pieno, 15 archivisti e 15 giornalisti a tempo determinato. Si aggiunge un bando per l'assunzione di tre giornalisti ai quali si chiedono, tra l'altro, competenze "in tecniche di fotoritocco". Dalla Redazione di Blitz, quotidiano online diretto da Marco Benedetto, 20 novembre 2017. Anche l'avvocato Puccio Pucci, ex presidente del Coni e aiutante di campo di Alessandro Pavolini, dopo aver ammesso che a Salò correva voce di alcuni falsi utilizzati da Buffarini e altri per motivi di propaganda politica, ha tuttavia escluso che esistesse uno speciale ufficio-falsi come da taluni era stato insinuato. Per quanto riguarda la famosa borsa che Mussolini portava con sé a Dongo, ha dichiarato: "Tutti noi sapevamo che conteneva materiale supersegreto e che il Duce non se ne divideva mai, tenendola personalmente in custodia. Ritengo dunque che essa abbia seguito il Duce nel tragico viaggio verso Dongo e sia stata presa da coloro che per primi lo catturarono". Da Dear Benito, caro Winston, verità e misteri del carteggio Churchill-Mussolini, di Arrigo Petacco (Castelnovo Magra 1929 – Porto Venere 2018), Mondadori editore, Milano 1985. Le trattative cominciarono subito, prima che essi passassero nello studio del legale del capitano, un certo Giulio Ponti. Lo studio si trovava in una delle viuzze trasversali che intersecano in alto e in basso la rumorosa e tumultuosa via Gramsci. Per essere giusti, era per lo meno situato all'estremità meno popolaresca di via Gramsci e le prostitute nei bar dinanzi ai quali passarono divennero più presentabili e costose, man mano che andavano avvicinandosi alla meta. Nulla di tutto ciò che ha a che vedere con la legge si muove più in fretta di una lumaca, in Italia, e di solito si tratta di una lumaca artritica. Quando l'avvocato Ponti ebbe finalmente stilato i documenti necessari, Shannon spedì una serie di lettere dall'albergo di Genova. Da I mastini della guerra, di Frederick Forsyth (Ashford 1938), Oscar Mondadori, Milano 1986. Abitavo nel 1909 a Roma nella villa di Pietro Mascagni. Un giorno, il mio illustre padrone di casa mi telefonò dicendomi ch'era stato incaricato dalla regina Elena d'organizzare un concerto al castello di Racconigi in onore dello czar Nicola II di Russia che si trovava in Italia in visita ufficiale, e mi domandò se avrei partecipato volentieri. Accettai senz'altro e ci mettemmo d'accordo per incontrarci a Torino. Qualche giorno prima del concerto s'era là tutt'e due ospiti dell'albergo Europa… Alla chiusa del concerto, i nostri Sovrani, lo czar di Russia, il duca d'Aosta, la principessa Letizia, il conte di Torino e infine tutti i membri della Corte vennero a complimentarsi e stringer la mano a tutti gli artisti. Da La mia parabola, di Titta Ruffo, pseudonimo di Ruffo Cafiero Titta (Pisa 1877 – Firenze 1953), Fratelli Treves Editori, Milano 1937.

SPIRIDON/8

di Pino Clemente

Gianni Romeo (La Stampa), firma fra le più autorevoli del giornalismo italiano, è attento lettore di Spiridon. Ci ha inviato un messaggio lieve quanto una piuma, che è diventato pesante, come nel giorno dell'addio terreno ad Antonio Madaro, fondatore della Scuola Reale Maratona di Torino. Nella scorsa puntata non era stato citato Antonio De Palmas, uno dei più titolati allievi di Madaro, affranto nell'addio al Maestro. La Scuola di Maratona del Piemonte, con epicentro a Torino, è assurta ai valori mondiali soprattutto con Renato Canova, studioso e allenatore detto anche l'Africano. Nel marzo del 1969 s'era a Celle Ligure per il Campionato di Corsa Campestre Juniores, e il giovane diplomato dell'Istituto Superiore di Educazione Fisica si presentò in giacca e cravatta a fianco della sua allieva, Zina Boniolo. Il circuito, di circa millecento metri, era ubicato in una collina con sali e scendi e curve. Al via, nel rettilineo, subito la fuga di Paola Bolognesi, classe 1952, Cus Genova la società, con il passo della quattrocentista e l'inseguimento di Ebe Venturelli, di due anni meno giovane, che raggiunse la genovese stremata e con ampie ed eleganti falcate conquistò il titolo di categoria per i tre anni d'età. Ai posti d'onore, la torinese Boniolo e la bagherese Margherita Gargano, classe 1952. Ebe Venturelli è rimasta talento inespresso, Boniolo e Gargano rivali in mezzofondo ma amiche fuori dal campo agonistico. Con Canova prese avvio una sincera amicizia, e con essa lunghi dialoghi sulle metodologie di allenamento. Alle scuole medie Canova sperimentava la corsa di durata, anche più di cinquanta minuti. Di lui posso ricordare tra l'altro uno splendido prodotto commissionatogli da Augusto Frasca nelle tappe promozionali di avvicinamento ai Campionati mondiali del 1987 decise in ambito federale, con distribuzione in migliaia di copie ai Comitati regionali, un elegante libretto in cui fu condensato, con grande perizia, l'essenziale dell'atletica: la storia, la tecnica di base, i primati, i grandi Azzurri, con un magnifico repertorio iconografico. Negli anni 60-70 iniziò in Italia la ricerca di una metodologia razionale, e si contestualizzarono i quattro tempi della preparazione. Ovviamente, trattasi di 'archeoallenamento'. 1- Il Condizionamento Il periodo di transizione da una stagione all'altra, breve o lungo in relazione ai carichi agonistici e ad eventuali infortuni, era seguito da 8 settimane di allenamenti aerobici, parametro pulsatorio 120-130 battiti. Si mirava alla capillarizzazione: l'aumento del numero dei capillari pervi che alimentano con l'ossigeno i muscoli. Erano sconsigliati i ritmi più intensi, si ipotizzava che il lattato avrebbe inibito la capillarizzazione. Le campestri rappresentavano il diversivo agonistico, e un mezzo di muscolazione determinata dall'adattamento delle falcate alle ondulazioni del circuito. La corsa attraverso i campi, dalla Morris Dance, Bampton, Oxfordshire (Inghilterra), rito di fertilità, forgiava il mezzofondista che spesso s'imbatte nel freddo, nel fango e nella fatica. (continua).

C’è sempre una prima volta Data a suo modo “storica”: la prima volta che dei

migranti minacciano di morte chi li ha “salvati” per

farsi portare dove vogliono. Un dirottamento, quasi un

atto di pirateria. Erano in 66 sul gommone in acque

libiche, l’altro ieri. Solito Sos coi cellulari, e le

motovedette libiche partono. Più vicino, però, c’è il

rimorchiatore italiano Vos Thalassa, che va a vedere. Il

mare è un olio, non corrono rischi: «Tranquilli, stanno

arrivando le navi libiche». Ma loro non le vogliono,

quelle: li riporterebbero in Libia. Allora bucano il

gommone, costringendo il Vos a “salvarli”. Nel

frattempo arrivano i libici, ma loro rifiutano il

trasbordo, minacciando di ammazzare l’equipaggio della Vos. In 66 contro 12, a mani nude, c’è da aver paura. Brevi,

febbrili comunicazioni con l’Italia, poi arriva la nave militare Diciotti e li carica, destinazione Italia. Hanno vinto

loro. Ma soprattutto hanno dato l’esempio. D’ora in poi si sentiranno più forti, ci sarà da aspettarsi arrembaggi e

dirottamenti in mare, ribellioni e aggressioni. E gli scafisti? Non molleranno certamente l’osso perché Salvini chiude

i porti. Guadagneranno meno, ma sempre tanto. Useranno navi più piccole, li sbarcheranno sulle spiagge,a 30, a 20, a

10 per volta, avantindré. Senza contare quelli che arrivano alla spicciolata su barche da diporto compiacenti, oppure

via terra lungo la via balcanica. Non li fermeremo mai. Avevamo un po’ di tempo per organizzarci, ma lo stiamo

sprecando. Le ribellioni e le fughe nei centri di raccolta-colabrodo sono sempre più frequenti: quando si sentiranno

abbastanza forti si organizzeranno, e si prenderanno quel che vogliono. Gli accoglioni rossi diranno che è il giusto

risarcimento per secoli di colonialismo. Amen.

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SPIRIDON/ 9

Fra i documenti contenuti nel dossier che l’allora capitano del Reggimento Guardie, Alessandro La Marmora, presentò al re Carlo Alberto di Savoia a corredo della Proposizione per la formazione di truppe leggere della terza specie sotto la denominazione di Bersaglieri c’era anche un decalogo che scandiva le caratteristiche che avrebbero dovuto distinguere il fante che la fervida mente del nobile piemontese andava delineando. Il punto quinto del decalogo recitava: Ginnastica di ogni genere sino alla frenesia. Era questa la caratteristica principale che Alessandro La Marmora aveva ipotizzato dovesse costituire la personalità del corpo da lui ideato, che si basava sull’addestramento degli uomini alla corsa e al tiro con il moderno fucile a retrocarica da lui stesso studiato e ideato. I bersaglieri avrebbero dovuto essere pronti ad agire, anche isolatamente, per impegnare di sorpresa l’avversario con azioni di disturbo al fine di sconvolgerne i piani. Erano le tipiche funzioni della fanteria leggera che prevedevano anche la esplorazione, il primo contatto con il nemico e il fiancheggiamento della fanteria di linea. Il tutto doveva però avvenire con una inedita velocità di esecuzione e quindi l’esercizio fisico era basilare per questo soldato che avrebbe operato appiedato. Con la preparazione addestrativa fisica il Bersagliere avrebbe dovuto raggiungere anche la massima efficienza psicofisica, in modo che l’uomo fosse in grado di superare le difficoltà, a carattere fisico e psicofisico, che poteva presentarsi durante il combattimento. La preparazione ginnica dei soldati, prima dell’arrivo a Torino dello svizzero Rudolf Obermann nel 1833, rivestiva un ruolo secondario, come pure non esistevano scuole per la preparazione degli istruttori. Alessandro La Marmora, nel frattempo divenuto generale, aveva ricercato a lungo i nuovi metodi di difesa dei confini della Patria e a tal fine aveva viaggiato a lungo in Europa visitando Francia, Inghilterra, Baviera, Sassonia e Svizzera, al fine di studiare armi, ma soprattutto ordinamenti e istituzioni dei vari eserciti. Aveva quindi cominciato a lavorare al suo progetto nel 1831 insieme ad un suo luogotenente, Giuseppe Vayra che vestì per primo la divisa del nuovo corpo e verrà ricordato come il primo Bersagliere della storia. Il progetto venne presentato al Ministero della Guerra e il 18 giugno 1836 con Regio Decreto il re Carlo Alberto accolse le istanze dell’ufficiale e istituì la prima compagnia di Bersaglieri. In quello stesso anno venticinque sottufficiali dei Bersaglieri si specializzarono presso la Scuola di ginnastica militare del Valentino, frequentando i corsi dell’ Obermann. Rudolf Obermann era nato a Zurigo il 3 luglio 1812. Unico maschio di otto figli fu indirizzato agli studi di teologia,

ai quali si dedicò con impegno, superando nel 1830 gli esami di filologia e filosofia all’Accademia (poi Università) della sua città. Mentre si dedicava agli studi fisiologici, Rudolf praticava la ginnastica presso la Società ginnastica zurighese e la insegnava presso un istituto privato.Questo suo interesse lo portò a partecipare nel 1833 alla seconda festa federale di ginnastica svoltasi a Zurigo, dove si classificò secondo, guadagnandosi la corona di lauro. Nello stesso anno, il Ministro della guerra di Carlo Alberto lo chiamò a Torino, forse proprio grazie alla celebrità raggiunta con questa vittoria e al fatto che egli era seguace del sistema di addestramento del tedesco Spiess, cosa che lasciava sperare al governo piemontese di acquisire un ottimo istruttore per le truppe, in un momento storico caratterizzato da insurrezioni, moti, presenze straniere in Italia: tutti pericoli che minacciavano il Regno Sabaudo all’interno e all’esterno. La marcia e la corsa rappresentavano la parte principale dell’educazione fisica del soldato: la prima e vera ginnastica di applicazione dal punto di vista militare.

SPIRIDON/10 Questi due elementi erano alla base dell’addestramento dei Bersaglieri, allenati alla bisogna e quindi capaci di compiere lunghi percorsi con il minor dispendio di energie. Nel frattempo il Corpo dei Bersaglieri, raggiunti i cinque battaglioni, ricevette il battesimo del fuoco l’8 aprile 1848 nella battaglia di Goito, nel mantovano, durante la prima guerra di indipendenza, nel corso della quale La Marmora fu gravemente ferito al viso. Poi nel 1855, quando i battaglioni erano divenuti dieci, i Bersaglieri furono impegnati nella guerra di Crimea, prima missione di truppe italiane all’estero, durante la quale il 7 giugno, a Kodykoi, trovò la morte, colpito dal colera, Alessandro La Marmora. Aveva solo 56 anni essendo nato a Torino il 27 marzo 1799. L’attività di Obermann in breve tempo dette i suoi frutti. La coscrizione, resa nel frattempo obbligatoria, aveva portato nelle file dell’esercito una moltitudine di uomini assolutamente incapaci dal punto di vista militare. La ginnastica gradualmente impiegata nell’esercito attraverso gli istruttori cresciuti alla scuola di Obermann, con metodo meccanicistico e militaresco cominciò a dare buoni risultati. Il fenomeno coincise con la nascita in Italia dei primi movimenti sportivi: il tiro a segno nazionale fra i primi, che passò addirittura alle dipendenze del Ministero alla Guerra. La Federazione Ginnastica Nazionale offrì a coloro che desideravano fare sport una gamma variegata di specialità che comprendevano anche alcune che poi sarebbero passate nelle competenze dell’atletica leggera.

Nel 1911 il Ministero alla Guerra emanò le Istruzioni di Ginnastica Militare e, d’accordo con la Federazione Ginnastica Nazionale decise che tutti i reggimenti che prendevano parte ai suoi concorsi federali fossero considerate come Società sportive temporanee. Il primo conflitto mondiale costituì uno straordinario banco di prova per l’attività ginnico-sportiva applicata all’arte della guerra. Nella primavera del 1898 presso la Scuola Centrale di Tiro di Roma era stata istituita la prima compagnia dei Bersaglieri Ciclisti. Fautori dell’iniziativa furono il capitano Luigi Camillo Natali, coadiuvato dal maggiore Giuseppe Cantù e dal tenente Carlo Monticelli, ufficiali che poi aderiranno con slancio al movimento futurista

promulgato nel 1913 dal Manifesto tecnico della letteratura futurista redatto da Filippo Tommaso Marinetti. A cavallo di quella che in seguito verrà ricordata come la Grande Guerra, un ruolo importante per la diffusione dello sport fra i militari lo ebbe la Y.M.C.A. (Young Men’s Christian Association), organismo nato nel 1844 a Londra. Infatti a insegnanti della YMCA si deve negli Stati Uniti la ideazione di due sport che ben presto varcheranno l’oceano e si diffonderanno in tutto il mondo. Furono proprio le truppe americane, sbarcate in Europa a sostegno dell’Intesa, a praticare per prime il basketball di James Naismith e il volley di William Morgan. Alla fine del 1917 una commissione della YMCA venne in Italia per stabilire una forma di collaborazione con il Comando Militare Italiano attraverso la realizzazione di una serie di interventi atti ad alleviare le sofferenze dei combattenti e ad organizzare il tempo libero dei combattenti. Fra l’altro l’YMCA rifornì le Case del Soldato di attrezzature sportive, che furono utilizzate dai nostri militari per i nuovi giochi americani in alternativa al football e alla palla vibrata. Il Corpo dei Bersaglieri fu in prima linea per abbracciare le iniziative dello Stato maggiore dell’Esercito, inserendo lo sport nei programmi di addestramento ginnico. Sorsero così a livello reggimentale squadre di pallavolo che parteciparono con successo ai Campionati Militari Nazionali di Educazione Fisica. Nel 1920 i Bersaglieri del 3° Rgt di Roma, dopo aver superato gli artiglieri del 1° Gruppo Autonomo di Trieste, incontrarono nella finale gli omologhi che gareggiavano sotto le insegne del 5° Rgt del Corpo d’Armata di Firenze. I Bersaglieri fiorentini, in una gara disputata sotto la pioggia, sconfissero i colleghi romani al termine di una partita bella e combattuta.

SPIRIDON/11 I Bersaglieri della città del Giglio ripeterono il successo anche nel 1921 battendo in finale la squadra del Corpo d’Armata di Palermo. Ma l’attività precipua dei Bersaglieri era la corsa ed infatti troviamo molti Bersaglieri negli ordini di arrivo delle numerose corse, su strada e campestri, o marce lunghe che si disputarono numerosissime, molte sponsorizzate da La Gazzetta dello Sport, a partire dai primi del 1900. Il 2 marzo del 1919 a Monza Lazzaro Parisio, Bersagliere del 7° Rgt di Brescia, si laureò campione italiano assoluto di cross, mentre l’anno prima a Parma, Giovanni Di Pasquale. Bersagliere lanciafiamme del 106° Rgt Arditi, vinse la corsa campestre organizzata dalla Divisione Piacenza. La istituzione delle compagnie dei Bersaglieri ciclisti spinsero molti dei fanti piumati verso la pratica di un ciclismo agonistico, oltre quello squisitamente bellico. Da questa attività nacquero in seguito alcuni campionissimi, quali Ottavio Bottecchia, decorato di medaglia di bronzo, bersagliere di leva vincitore del Tour de France del 1924 e 1925, che militò nel 6° Bersaglieri di Bologna. Fu Bersagliere ciclista anche Costante Girardengo, vincitore di due Giri d’Italia. In campo podistico il Bersagliere che più si fece onore fa il Caporalmaggiore Romeo Bertini del 9° Reggimento che giunse secondo nella maratona olimpica di Parigi ’24, conclusa nel tempo di 2 ore 27’19”6, nonostante fosse tornato ferito dal fronte della Grande Guerra. Bertini partecipò anche alla maratona di Amsterdam di quattro anni dopo, ma fu costretto al ritiro.

In anni successivi (1932) arriverà anche il primo oro olimpico di un italiano in una gara di corsa. L’onore, e il merito, fu di Luigi Beccali, vincitore dei 1500 metri ai Giochi di Los Angeles, che nel 1927 e 1928 prestò il servizio di leva nel 12° Reggimento Bersaglieri. Un reggimento famoso e fortunato nel quale avevano militato anche Emilio Lunghi e Ugo Frigerio, argento a Londra 1908 il primo e oro nel 1920 e 1924 nella marcia il secondo. Nel 1936 i battaglioni dei Bersaglieri ciclisti si sciolsero lasciando il posto alle compagnie motocicliste che cominciarono a sostituire quelle sulle due ruote e così i reggimenti Bersaglieri si avviarono verso la motorizzazione. Nonostante queste trasformazioni operative la prerogativa che voleva il Bersagliere forte, scattante e al tempo stesso agile rimase immutata e caratterizzò sempre la selezione naturale che portava tanti giovani ad aspirare di entrare a far parte di questo corpo altamente specializzato. In epoche recenti molti sportivi praticanti venivano, quasi automaticamente, inquadrati nel corpo dei Bersaglieri al momento di rispondere alla chiamata di leva. Gustavo Pallicca

Viene il nervoso, in questo periodo, sentire alla radio o leggere i soliti “pezzi di colore” dei compagni sugli strafalcioni degli studenti alla maturità. La lista, come sempre, è clamorosa: Dante è nato a Milano, Hitler ha sterminato la razza ariana, D’annunzio era un estetista, Giotto ha dipinto la Gioconda, l’India si trova in Africa, il Giappone confina con la Polonia, l’Umbria è una città vicina ad Assisi, Kim-Jong-Un è un dittatore giapponese, i partigiani hanno combattuto a fianco di Mussolini, eccetera. Vengono i brividi a leggere ‘ste perle, se si pensa che sono state dette agli orali dell’esame di maturità da gente di quasi vent’anni, ma poi finirà come l’anno scorso: 96,2% di allievi ammessi all’esame, dei quali il 99,5% promosso. Todos caballeros. La scuola italiana è ormai diventata un diplomificio per gli studenti e uno stipendificio per i docenti. Ma, come dicevo all’inizio, viene il nervoso leggendo il commento dei soliti intellettuali radical chic a questi

strafalcioni: «L’analfabetismo funzionale dilaga e lo si vede, altrimenti non si capirebbe il successo elettorale di Lega e 5Stelle». Ma, brutti ipocriti che fate il facile teatrino dell’indignazione, ditemi un po’: chi ha dominato la scuola dal ’68 in qua? Se siamo all’analfabetismo di ritorno è proprio grazie alla sinistra, che ha sempre cercato voti fra i giovani predicando il facilismo e combattendo la meritocrazia. Esami di gruppo e sei politico sono tutte invenzioni vostre. Poi quegli asini sono saliti in cattedra e hanno creato asini più asini di loro, che a loro volta… eccetera. Per pudore, almeno, evitate di fare dell’ironia, compagni, sul disastro che avete causato.

SPIRIDON/12

Il 22 luglio 1968 moriva Giovannino Guareschi. La RAI e la stampa quasi ignorarono l’evento. Astioso il commento dell’Unità: “Malinconico tramonto dello scrittore che non era mai sorto”. Insultanti i commenti di alcuni giornali cattolici “ufficiali”: Il Nostro Tempo, della curia di Torino, titolò: “Guareschi diede voce all’italiano mediocre”. L’articolo così iniziava: “Era un uomo finito” e così terminava: “Fu in definitiva un corruttore”. Su L’Avvenire d’Italia, si sentenziò: “Peppone e Don Camillo sono premorti al loro autore”. Profezia smentita: i libri di don Camillo e Peppone continuano a essere ristampati e i film riproposti in TV. Guareschi è stato uno degli scrittori italiani più pubblicati nel mondo e il più tradotto in assoluto.

Giornalista alla Gazzetta di Parma e a Il Bertoldo, dopo la guerra fondò il settimanale Candido che rimane il suo capolavoro giornalistico: qui nacquero, nel 1946, i personaggi di don Camillo e Peppone. Molte furono le battaglie combattute da Guareschi con Candido: in particolare due sue vignette, riprodotte in migliaia di manifesti, spostarono milioni di voti in senso anticomunista nelle elezioni del 1948: quella famosa “Nel segreto dell’urna, Dio ti vede, Stalin no” e quella dello scheletro di un soldato italiano dietro un reticolato sovietico che dice: “100.000 prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia. Mamma, votagli contro anche per me”. Poi ci fu l’affaire De Gasperi. Guareschi pubblicò due lettere in cui De Gasperi chiedeva agli alleati di bombardare Roma. De Gasperi querelò e dopo un processo farsa (non fu consentito a Guareschi di difendersi) venne condannato: scontò 409 giorni di prigione durissima. Gli ultimi anni non furono facili per Guareschi. La sua salute risentiva ancora della detenzione. Nel 1961 Rizzoli decise la chiusura di Candido, che ostacolava la politica di “apertura a sinistra”. Tuttavia, le offerte di collaborazione non

mancarono: il quotidiano La Notte, poi Oggi e ancora Il Borghese. A contribuire ad amareggiare gli ultimi anni della sua vita fu il Concilio Vaticano II (che lui chiamò “conciliabolo”), la distruzione degli arredi e delle immagini nelle chiese sulla spinta delle riforme conciliari, l’abolizione della Messa in latino. Nelle chiese altari sostituiti da tavolacci, balaustre distrutte, tolte immagini sacre. Guareschi si batté fino alla morte contro questo scempio, affidandosi alla tagliente ironia dei suoi personaggi. La bibliografia su Guareschi è vastissima. Raccomando solo due libri recenti: Alessandro Gnocchi, Lettere ai posteri di Giovannino Guareschi, Marsilio e Paolo Gulisano, Quel cristiano di Guareschi, Ancora.

Antonio de Felip

take your time Serim outdoor

Il circuito di skyrunning organizzato dal Team Valetudo – Serim si è aperto con una mezza maratona che si è sviluppata sulle creste delle orobie bresciane e che, partendo da Corteno e arrivando a Santicolo, ha portato gli skyrunners ad affrontare un dislivello in ascesa di 1.600 metri. Un vero e proprio spettacolo sportivo che ha visto Alex Cavallar e di Elisa Compagnoni, del team Atletica Alta Valtellina, trionfare davanti a tutti. Una gara, la Mezza 4 Luglio, che è stata spettacolare fin dai suoi primi chilometri grazie allo splendido lavoro degli organizzatori e, soprattutto, del direttore di gara Tom Bernardi e del direttore di percorso, la guida alpina Adriano Greco. Da Corteno a Santicolo, 23 chilometri, che il caldo ha contribuito a rendere ancora più massacranti, e con le ascese al Passo Salina (2.433 metri) e al Piz Tri (2.308 metri): la Mezza ha regalato emozioni ed entusiasmo, specialmente nella gara maschile che si è

rivelata corsa molto serrata, con i primi tre atleti che, sul traguardo finale, sono racchiusi in meno d’u minuto. Ad imporsi è stato Alex Cavallar del team ATL. Valli di Non e di Sole che ha concluso la sua fatica con il tempo di 02:05’:32’’ precedendo l’azzurro Erik Gianola, per soli 14 secondi. A completare il podio un altro italiano, Stefano Pelamatti che ha terminato la gara in 02:06’:30’’. Nella La gara femminile la lotta al podio è stata accesa: splendida vittoria di Elisa Compagnoni che ha fatto la differenza su tutto il percorso ed è arrivata sul traguardo di Santicolo con il tempo di 02:28’:34’’ e un distacco sulle prime inseguitrici di oltre 10 minuti. A guadagnarsi il secondo posto finale è stata Lorenza Combi che, con un tempo di 02:38’:50’’, ha preceduto Nadia Franzini, di soli 26 secondi.