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INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE
TECNOLOGICA
La misura della propensione agli investimenti in innovazione tecnologica
I M R
IFIIT MONTHLY REPORT Nr. 102
INDICE IFIIT DEL MESE
APRILE 2016
Numero di sintesi:
35,20
“L’impresa è per eccellenza il luogo dell’innovazione e dello sviluppo”
- Joseph A. Schumpeter-
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1) I DATI DEL MESE
Quadro di sintesi dei dati rilevati nel mese
L’Indice Ifiit si riporta ai 35,2 punti toccati nel mese di febbraio,
dopo essere salito a marzo a 35,7 punti. Il movimento della curva
si conferma laterale, con tendenza a oscillare nel corridoio
compreso fra i 34 e i 36 punti.
La propensione ad investire in innovazione tecnologica sembra
dunque aver raggiunto un livello di maturità ad un livello
strutturale: praticamente solo un’impresa su tre pianifica
progetti di miglioramento a medio e lungo termine.
Il resto delle attività imprenditoriali, soprattutto le piccole
imprese, cercano di agganciarsi a filiere virtuose, che permettano
di compiere il “trasferimento tecnologico” per linee discendenti o
parallele. E’ anche questo uno degli effetti della perdurante crisi
che ha portato molte aziende a utilizzare al massimo i vecchi
impianti in attesa di nuove e più promettenti indicazioni dal
mercato.
Difesa, avionica, elettromedicale e meccanica fine sono i
comparti che registrano il più alto grado di fiducia sugli
investimenti innovativi.
Allineati al valore medio dell’indice generale si ritrovano i settori
bancario-assicurativo, dell’energia e della moda.
Presentano invece valori più bassi dell’indice medio le
microimprese, il terziario legato al commercio e all’edilizia.
Dal punto di vista geografico il Nord del Paese si conferma ai
vertici della fiducia, in particolare la Lombardia si conferma al
primo posto della classifica per propensione e per investimenti,
seguita a ruota da Veneto e Lazio, Piemonte e Emilia-Romagna.
La maggior parte della base imprenditoriale (circa il 77% degli
intervistati) ritiene ancora alto il divario tra l’esperienza digitale
italiana e quella degli altri paesi più industrializzati con cui si è
chiamati a confrontarsi.
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Questo numero 102 di IMR contiene:
- Pagina 1 – Indice Ifiit mese di APRILE 2016.
- Pagina 2 – Commento all’Indice mensile.
- Pagina 3 – Sommario dell’Ifiit Monthly Report nr 102
- Pagina 4 – I territori italiani alla prova con la ripresa
- Pagina 4 – Come l’UNC interpreta i dati sulla produzione
- Pagina 6 – Il Certema, un modello vincente di innovazione
- Pagina 8 – Concorso Bioupper per l’innovazione
- Pagina 8 – Le competenze digitali richieste dalle imprese
- Pagina 9 – In Italia un’impresa su tre paga regolarmente
- Pagina 12 – Le auto elettriche restano un giocattolo per ricchi?
***
Ifiit è un marchio registrato a livello comunitario
IMR – IfiitMonthly Report è coperto da Copyright dal 2007
Ifiit è l’Indice di Fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica, accreditato presso il Ministero dello sviluppo economico e l’Agenzia
dell’Innovazione.
IfiitMonthly Report è una sintesi di un’attività di ricerca sulla fiducia in investimenti tecnologici che mensilmente viene effettuata su un campione
qualificato e rappresentativo dell’economia italiana.
Lo staff di Ifiit, un network di ricercatori volontari, si avvale di un Focus Group, costituito in prevalenza da operatori qualificati e da esperti
accademici, per l’interpretazione dei dati e delle tendenze. Per le sue caratteristiche di indice di fiducia, Ifiit si presta ad essere consultato anche come
strumento previsionale dei cicli economici.
Indice Ifiit Via Pisanello 8 20146 Milano Supervisor Paolo Gila
I territori italiani alla prova con la
ripresa
La crisi degli anni passati ha colpito in misura più grave le regioni del Sud, più esposte
alle conseguenze della caduta dell’immobiliare e ai tagli della spesa pubblica e meno
supportate dalla tenuta dell’export. I divari con il Centro-Nord si sono così ampliati.
Gli spunti di ripresa che si sono osservati nel 2015 sembrano iniziare finalmente a
interessare anche il Mezzogiorno. La crescita dell’occupazione è apparsa al Sud più
robusta di quella registrata al Centro-Nord, grazie soprattutto all’influenza degli
incentivi contributivi sui risultati. Anche per quanto riguarda il commercio con l’estero
e il turismo i risultati sono incoraggianti: il Sud torna a esportare e a ricevere turisti,
seppur molto resti da fare per migliorare l’attrattività dei flussi internazionali. Le
famiglie meridionali si stanno mostrando più ottimiste, soprattutto per quanto riguarda
le prospettive a medio termine. D’altronde, dato il maggior peso delle classi di reddito
più basso, i benefici della disinflazione dei prezzi dei prodotti energetici e alimentari sul
potere d’acquisto delle famiglie si sono avvertiti in misura maggiore al Sud.
(sintesi del bollettino Ref Ricerche – aprile 2016)
INDUSTRIA: ISTAT, FATTURATO GENNAIO +1% SU MESE, ORDINATIVI + 0,7%
UNC: INDUSTRIA VIAGGIA CON IL FRENO A MANO TIRATO
DAL 2007 ORDINATIVI SCESI DEL 15,6%, FATTURATO DEL 10,8%
Secondo i dati resi noti dall'Istat, a gennaio il fatturato dell'industria aumenta dell'1% rispetto a dicembre e
diminuisce dello 0,3% su base annua (dati corretti per gli effetti di calendario; -3,3% il dato grezzo), mentre
gli ordinativi salgono dello 0,7% su base mensile ed aumentano dello 0,1% rispetto a gennaio 2015 (dati
grezzi).
"L'industria viaggia ancora con il freno a mano tirato. E non potrà che essere così finché i consumi delle
famiglie non decolleranno. Gli ordinativi ed il fatturato interni scendono ancora su base annua,
rispettivamente dello 0,3% e dello 0,6%. La ripresa su base mensile è positiva, ma insufficiente per poter
parlare di un'inversione di tendenza. Dati altalenanti che dimostrano che il Paese non è ancora uscito dal
tunnel della crisi" ha dichiarato Massimiliano Dona, Segretario dell'Unione Nazionale Consumatori.
Secondo lo studio dell'associazione di consumatori (cfr. tabella 1), se nel 2015, rispetto al 2014, gli
ordinativi (dati grezzi) spiccano un balzo deciso, sia quelli totali (+5,2%) che quelli interni (+8,6%), nel
confronto con il 2007 la strada da percorrere per tornare ai valori precrisi è ancora lunghissima. Dal 2007 al
2015 gli ordinativi totali sono calati del 15,6%, -24,4% quelli interni, +0,8% quelli esteri.
Per quanto riguarda il fatturato dell'industria (cfr. tabella 2), dati corretti per gli effetti di calendario, dal
2007 al 2015, il fatturato totale è crollato dell'10,8%, -19,3% quello interno. A sorreggere le industrie
italiane solo il mercato estero: +10,8%.
Tabella1: Indice dei nuovi ordinativi dei prodotti industriali (base 2010 = 100), dati grezzi
Anno
Ordinativi
2007
media
2008
media
2009
media
2010
media
2011
media
2012
media
2013
media
2014
media
2015
media
Differenza %
2015/2007
Differenza %
2015/2008
Differenza %
2015/2014
Totali 118,6 113,1 87,9 100 104,2 95,8 94,4 95,2 100,1 -15,6 -11,5 5,2
Interni 120,3 116,6 91,4 100 100,1 88,1 84,7 83,7 90,9 -24,4 -22,1 8,6
Esteri 115,7 107,2 82,0 100 111,8 109,8 111,9 116,0 116,7 0,8 8,9 0,7
Fonte: Unione Nazionale Consumatori su elaborazione dati Istat
Tabella2: Indice del fatturato, totale industrie escluse costruzioni (base 2010 = 100)
Dati corretti per gli effetti di calendario
Anno
Fatturato
2007
media
2008
media
2009
media
2010
media
2011
media
2012
media
2013
media
2014
media
2015
media
Differenza %
2015/2007
Differenza %
2015/2008
Differenza %
2015/2014
Totale 111,2 112,5 91,2 100 106,8 102,4 99,0 98,9 99,1 -10,8 -11,9 +0,3
Interno 112,2 113,1 93,3 100 104,9 97,6 92,2 90,8 90,6 -19,3 -19,8 -0,2
Estero 108,9 111,1 86,6 100 111,6 114,5 116 119,2 120,6 10,8 8,6 +1,2
Fonte: Unione Nazionale Consumatori su elaborazione dati Istat
(Comunicato Unione Nazionale consumatori, 2 aprile 2016)
*
Il Certema, un modello vincente di innovazione
Nel made in Italy tradizionale, una realtà che si pone sulla frontiera tecnologica più avanzata della
tecnologia multidisciplinare è sicuramente l’esempio del Certema, il laboratorio high-tech nato per
iniziativa di un consorzio formato da sei piccole e medie imprese (Tosti Srl di Castel del Piano, Roggi Srl di
Borgo Santa Rita, Opus Automazione SpA di Follonica, Kelly Snc di Grosseto, Femto Srl di San Casciano,
Datapos Srl di Firenze), ognuna delle quali non sarebbe riuscita, da sola, ad affrontare le spese per la
creazione di un centro di servizi per la ricerca. Situato in Toscana, nella provincia grossetana della
Maremma, il laboratorio tecnologico – che è costato cinque milioni di euro nella sua fase iniziale di
realizzazione - ha preso avvio grazie anche al sostegno della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e ai
contributi della Regione e della Provincia. Il Certema opera nel campo della sperimentazione di brevetti e
prototipi, persegue la ricerca applicata e la consulenza nei settori strategici della chimica, della meccanica,
della domotica e della robotica, delle energie rinnovabili, della nautica, dei materiali compositi,
dell’automazione e dell’elettromeccanica.
Ma di che cosa si tratta e a cosa serve questa esperienza? <<Questo laboratorio – sottolinea Fosco Tosti,
presidente di Certema – non è un modello di filiera ma un vero e proprio polo multidisciplinare. E’ una
struttura ad accesso aperto: significa che chiunque ne faccia domanda potrà usufruire delle attrezzature,
noleggiare i laboratori e avere l’assistenza del personale specializzato.>> I ricercatori giungono a rotazione
dalle aziende che partecipano all’iniziativa e dagli istituti universitari che sono stati coinvolti nel progetto, in
un’ottica organizzativa versatile e flessibile. <<Alcuni macchinari della dotazione – prosegue Tosti – sono
una nostra prerogativa, come il microscopio a scansione molecolare: il primo e unico oggi esistente in Italia.
Questo strumento consente di fare analisi di immagine e chimica fino a risoluzioni nell’ordine del
nanometro, su tutti i materiali solidi: dalle rocce ai metalli, ai prodotti alimentari fino alle analisi di tipo
ambientale.>>
L’idea ha suscitato l’interesse dell’università di Roma La Sapienza e del dipartimento di Scienze della Terra
di Pisa, che hanno chiesto di poter utilizzare il sofisticato microscopio per scoprire che tipo di minerali si
trovano all’interno di alcuni campioni di roccia che hanno subito un impatto da un meteorite circa 20 mila
anni fa. <<Un secondo macchinario su cui abbiamo avuto altre richieste – delucida con entusiasmo Tosti – è
rappresentato dal laser per la sinterizzazione del niobio, un materiale che diventa superconduttore vicino ai
due gradi kelvin, utilizzato per realizzare cavità di risonanza per la radiofrequenza. Sul perfezionamento di
questo sistema sta lavorando un team guidato dall’ingegner Bertinelli, che è il responsabile dell’officina
meccanica generale del Cern di Ginevra.>> Intorno a questa piccola ma vivacissima realtà, che diffonde la
cultura dell’innovazione tecnologica nel sistema produttivo, si è creata anche l’attenzione di gruppi
industriali forti, come Finmeccanica e Enel Green Power, per specifici progetti di ricerca verticale. <<Il
Certema – pone in evidenza invece Paolo Dario, direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa – è un brillante esempio di come si possano mettere a sistema competenze tecnologiche
e produttive insieme a quelle di ricerca, sia per creare soluzioni innovative e sia per applicare i risultati della
ricerca a contesti reali.>>
La Scuola Superiore di Sant’Anna è da sempre impegnata nella promozione della cultura scientifica, della
ricerca e dell’innovazione, in particolare sotto l’aspetto del trasferimento tecnologico agli aspetti produttivi,
ma grazie al Certema ha la possibilità di intervenire direttamente su un bacino territoriale locale,
seguendone le attività di sviluppo e monitorando l’efficacia delle procedure e degli scambi culturali e
disciplinari, dal momento che il laboratorio è costituito da cinque divisioni, ognuna dotata di specifiche
attrezzature, sistemi e macchinari: 1) analisi ambientale e di processo continuo; 2) thermal test,
prototipazione elettronica e human-machine interface; 3) meccanica applicata e costruzioni meccaniche; 4)
tecnologia meccanica avanzata; 5) microscopia elettronica a scansione e micro-analisi ad ultrarisoluzione.
In questo modello organizzativo del Certema si intrecciano e si armonizzano diverse esperienze e
specificità, che insieme concorrono a presentare una serie di competenze utili a più protagonisti: il pubblico
e il privato convivono in un’ottica di sviluppo dell’economia e dell’innovazione, con l’aiuto della ricerca
universitaria e della versatilità delle imprese che si applicano ogni giorno su problemi emergenti. Se si
pensa che le sei aziende promotrici del progetto danno lavoro – prese tutte insieme – a poco più di 250
persone, si comprende quale sia la natura dello sforzo in gioco e della sfida da affrontare. Senza questa rete
di conoscenze e di risorse, non sarebbe stato possibile avviare alcunché. <<Chi ha performato meglio nel
corso degli ultimi anni, anche durante la crisi, - sostiene con una vena di ottimismo l’economista Marco
Fortis, vice-presidente di Fondazione Edison – è proprio il settore della meccanica. Un settore molto vasto,
che va dalle valvole, ai rubinetti, alle pompe, alle macchine utensili per l’imballaggio. Questo è il settore
che, con i suoi 100 miliardi di euro di vendite all’estero, riesce a fare la metà dell’export italiano e ben il
60% del nostro surplus commerciale con l’estero. Nel campo della farmaceutica stiamo assistendo a un
ritorno degli investimenti nel nostro Paese, grazie all’apprezzamento di multinazionali e di investitori che
hanno compreso quanto sia di buona qualità la preparazione dei nostri ricercatori. Il settore della ricerca
chimico-farmaceutica non richiede energia e presenta un costo del lavoro più basso che in altre nazioni.
Negli ultimi 4 anni l’export di farmaci prodotti in Italia è cresciuto di oltre 8 miliardi di euro.>>
C’è qualche ripartenza in atto? Ma quali sono i settori dove il Made in Italy gioca un ruolo di prestigio e si
colloca sulle punte più avanzate della frontiera tecnologica? Per Fortis, <<è vero che abbiamo patito molto
nei settori di massa con alti costi di manodopera. Si pensi alle fasce basse del tessile-abbigliamento e ai
casalinghi e agli elettrodomestici di primo livello: qui la concorrenza estera e in particolare quella cinese, si
fa sentire. Ma c’è un settore, poco conosciuto al grande pubblico, dove la nostra eccellenza è da primato
mondiale. Nel campo delle macchine per l’imballaggio le 4 maggiori aziende italiane sono tutte molto più
grandi delle concorrenti tedesche. In questo segmento abbiamo acquisito nel tempo una posizione di
leadership a livello mondiale.>> Non è l’unico caso, ma è certamente quello più rappresentativo, perché
per sua natura la ricerca di miglioramenti nella produzione di macchine per confezionare e imballare
prodotti di varia natura non suscita emozioni e sentimenti come altre lavorazioni, magari più artistiche.
<<Anche nel campo delle macchine utensili e in particolare quelle ad alta precisione – sottolinea ancora
Fortis – abbiamo riconoscimenti internazionali. Lavoriamo i metalli con macchine a deformazione, siamo
inseriti nella robotica su più livelli. Non è un caso se alcune nostre aziende sono partner e fornitrici di gruppi
molto esigenti come Boeing e Caterpillar.>>
(articolo di Marco Semprini, analista e collaboratore Ifiit)
*
Concorso BioUpper per l’innovazione
Nonostante i ricercatori italiani siano ben piazzati in fatto di citazioni sulle pubblicazioni scientifiche
internazionali, lo stesso non si può dire della loro capacità di trasformare le intuizioni in imprese. Per
questo la multinazionale del farmaco Novartis ha lanciato insieme a Fondazione Cariplo il concorso
BioUpper. Una selezione di giovani talenti nell'ambito delle scienze della vita che ha avuto tra i giurati
Guido Guidi, capo della divisione Farma di Novartis in Europa. "Lo scopo principale era quello di sondare, in
un campo interessante come quello della salute, quanto fosse possibile avvicinare il mondo della ricerca al
mondo imprenditoriale. Noi in Italia abbiamo un'ottima ricerca, infatti se andiamo a vedere il 'quotation
indez', cioè quanto i nostri scienziati vengono citati per le loro pubblicazioni, l'Italia è uno dei Paesi migliori
al mondo, ma quando andiamo a vedere quanto questo si traduce in impatto economico, quindi nella
capacità di creare impresa, purtroppo soffriamo molto". Un punto debole dell'Italia che per Guidi ha
motivazioni anche di natura culturale. "Da noi i due mondi sono spesso visti come distanti. C'è spesso un
dibattito che li vuole tenere distanti come se trasformare una buona idea di ricerca in un volano economico
per il nostro Paese possa essere negativo. Altri Paesi hanno un approccio molto più pragmatico e capiscono
che, se in futuro vogliamo essere un'economia vincente, dobbiamo anche basarla su un'economia avanzata
e solo la ricerca ce la può garantire". Di certo la domanda di salute è in continua crescita in tutto il mondo e
l'Italia ha le carte in regola per fare la sua parte.
(askanews del 4.4.2016)
*
Le competenze digitali richieste dalle imprese
Le competenze digitali sono un fattore strategico per la competitività e la qualità
della vita, ma in Italia si fa ancora troppo poco per svilupparle nelle imprese, nelle
Pubbliche Amministrazioni, nella società. La loro diffusione è a macchia di leopardo,
dal 37% negli Enti Locali al 73% nelle aziende tecnologiche (ICT); non mancano buoni
laureati, ma il panorama della formazione digitale nelle aziende e nelle
Amministrazioni è preoccupante: in media 6,2 giornate l’anno nelle imprese ICT, 4
nel Settore Pubblico e 3 nel grosso delle aziende. Sono i dati dell’Osservatorio delle
Competenze Digitali - realizzato dalle principali associazioni ICT (Aica, Assinform,
Assintel e Assinter), promosso dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) e realizzato da
NetConsulting cube - secondo il quale il nostro Paese rischia di non tenere il passo
con la trasformazione digitale e di non soddisfare occasioni di lavoro qualificato e di
impresa proprio per la scarsa cura posta nella costruzione delle competenze digitali,
specialistiche e non.
Aziende e PA sono consapevoli (80-90% dei rispondenti) dell’impatto della “digital
transformation” e della necessità di adeguare le competenze digitali soprattutto alla
luce dei nuovi trend (mobile, digitalizzazione di flussi e processi, business analytics,
iot, cloud computing, evoluzioni Web, pagamenti elettronici)
I profili più ricercati nelle aziende ICT sono il Security Specialist, l’Enterprise
Architect, il Business Analyst. Nelle aziende utenti e nella PA sono il CIO, il Security
Manager, il Database Administrator e il Digital Media Specialist, l’Enterprise
Architect, il Business Information Manager, l’ICT Consultant e il Business Analyst. Le
lauree più accreditate sono Informatica/Scienza dell’Informazione, unitamente ad
altri indirizzi di Ingegneria, sia presso le aziende del settore ICT che presso quelle
della domanda. L’apprezzamento si attesta intorno all’80% degli intervistati. Per
l’80% delle aziende informatiche risulta inoltre fondamentale un sistema di
certificazione delle competenze tecniche.
La Trasformazione Digitale, che investe ormai tutti i paesi, impone ai singoli mercati
e alle società di adeguarsi, innescando processi virtuosi di innovazione. Ma per farlo
occorrono le giuste competenze, che nel nostro Paese in parte ancora mancano, sia
per l’assenza di una strategia di lungo periodo che coinvolga aziende e sistema
formativo, sia per un digital divide ancora diffuso
È importante reagire con una strategia ambiziosa, che guardi al dialogo tra
Istruzione e mondo produttivo, alle reali opportunità di lavoro e di impresa, al
superamento dei divari fra territori, generazioni professioni.
(a cura di AICA, 7 aprile 2016)
*
Un’impresa su tre fa innovazione (Indice Ifiit) e un’impresa su tre paga
regolarmente (secondo Cribis D&B). Che ci sia qualche nesso?
Lo scenario a marzo 2016 dei pagamenti delle imprese italiane: calano del 12% in
un solo anno i ritardi gravi ma non si prevede un ritorno ai livelli pre-crisi.
Continuano le gravi difficoltà del commercio al dettaglio. Imprese lombarde più
virtuose d’Italia, in coda quelle della Sicilia. Sondrio la provincia best performer.
Il rapporto sarà presentato il prossimo 19 aprile a Milano
Diminuiscono i ritardi gravi nei pagamenti delle imprese italiane. Rispetto ad un anno
fa, i pagamenti oltre i 30 giorni di ritardo, uno dei principali indicatori dello stato di
salute delle imprese, sono infatti calati del 12,1%. Un buon segnale per il nostro
sistema imprenditoriale italiano, che evidenzia una minor difficoltà delle imprese nel
saldare le fatture ai fornitori. Il 35,1% delle imprese, dati aggiornati a marzo 2016,
invece paga alla scadenza, il 51,1% entro il mese di ritardo, il 13,8% la percentuale
dei ritardi gravi. Una percentuale, quest’ultima, che ha raggiunto il suo minimo
storico dal 2010 ad oggi, anche se rispetto proprio a 6 anni fa, è cresciuta del 150,9%.
Il sistema dei pagamenti commerciali delle imprese italiane è mutato radicalmente
con il perdurare della crisi. E ad accusare maggiormente il colpo continuano ad essere
le imprese che operano nel settore del commercio al dettaglio, punto finale di tutte le
filiere industriali: solo un una impresa su quattro (24,9%) virtuosa, il 22% salda le
fatture con oltre il mese di ritardo.
A diffondere i dati è lo Studio Pagamenti, aggiornato a fine marzo 2016, realizzato da
CRIBIS D&B, la società del Gruppo CRIF specializzata nelle business information,
che ha studiato i comportamenti di pagamento delle imprese italiane. Giunto alla
13esima edizione, lo Studio Pagamenti (www.studiopagamenti.com) rappresenta
l’appuntamento annuale organizzato da CRIBIS D&B, in cui i decision maker
dell’area finanziaria e delle vendite condividono esperienze e si confrontano sui temi
dei pagamenti commerciali, del working capital e del cash management.
“In Italia molti ritengono che nel 2015 si sia assistito a un cambiamento del clima di
fiducia delle imprese. In effetti, dal nostro osservatorio ‘Pagamenti: che cosa dicono
le imprese’, emerge che per ben il 50,9% degli intervistati la situazione economica
della propria azienda migliorerà nel 2016 – afferma Marco Preti, Ad di Cribis D&B -.
Se invece si sposta l’attenzione alla situazione economica mondiale e nazionale, la
percentuale scende al 25,4%. Le aziende italiane, dopo anni di ristrutturazioni e
ridefinizione di mercati, prodotti e obiettivi, sembrano quindi avere oggi più fiducia
nelle proprie capacità, anche se non ancora nel contesto economico più generale”.
“Le aziende hanno infatti affrontato la crisi concentrandosi soprattutto sulla ricerca di
nuovi mercati e sulla ridefinizione delle strategie di gestione della clientela. Come
CRIBIS D&B, possediamo un osservatorio privilegiato per valutare entrambi gli
aspetti. In particolare – continua Preti - le aziende che hanno ottenuto le migliori
performance sono quelle che hanno utilizzato la gestione del credito come uno dei
parametri di segmentazione della clientela, in sinergia con le esigenze e gli obiettivi
commerciali. La puntualità dei pagamenti è quindi diventata uno degli elementi
chiave per ottimizzare i flussi di cassa e individuare i clienti da fidelizzare e su cui
investire. Non stupisce che nella gestione del credito la priorità sia divenuto il
monitoraggio costante della clientela, l’adozione di strategie per la riduzione degli
insoluti e l’efficientamento delle procedure. Adesso, in questo clima di maggiore
fiducia, le aziende devono continuare a investire nella gestione del credito per non
disperdere il patrimonio di competenze e di risultati ottenuto. Oltre il 50% degli
insoluti gravi continua a essere causato dai clienti storici e ben il 28% delle aziende
ha visto le perdite sui crediti in aumento negli ultimi 12 mesi”.
“I segnali di miglioramento non devono quindi fare abbassare la guardia. A ciò si
aggiunge, l’esigenza di continuare a considerare la capacità di generare cassa come
uno degli obiettivi finanziari più importanti in quanto sarà sempre più complesso per
le aziende finanziarsi a breve termine”, conclude Marco Preti.
L’analisi delle zone geografiche
Le imprese del nord est sono le più puntuali d’Italia nei pagamenti. Il 43,5% paga
regolare, mentre i ritardi gravi sono solo l’8,1%. Situazione opposta per il sud e le
isole, dove il 22,1% è virtuoso e ben il 23,2% ancora in forte difficoltà nel saldare i
debiti con i fornitori. Bene anche il nord ovest (41,5% di pagamenti alla scadenza,
9% oltre il mese di ritardo), situazione intermedia per il centro Italia (31,1% di
imprese puntuali, 16,4% i cattivi pagatori). Entrando nel dettaglio delle singole
Regioni invece è la Lombardia, per la prima volta dopo anni, ad aggiudicarsi il primo
posto in fatto di puntualità con il 45,2% di imprese virtuose. Perde invece il suo
primato l’Emilia Romagna, con il 44,9%. A seguire per completare le prime cinque
posizioni il Veneto (44,3%), il Friuli Venezia Giulia (43,8%) e la Valle D’Aosta
(39,1%). In fondo alla classifica troviamo la Sicilia con solo il 18,7% di pagamenti
regolari contro un 25,1% di gravi ritardi. Male anche Calabria (20,6%) e Campania
(20,8%) e Sardegna (22,2%).
Sondrio si conferma ancora una volta la Provincia più puntuale d’Italia. Seguono
Bergamo, Lecco, Belluno, Brescia, Trento, Como, Cremona, Mantova, Vicenza. Le
imprese di Caserta sono invece le meno puntuali del Paese, seguite da quelle di
Reggio Calabria, Palermo e Napoli.
L’analisi dei settori merceologici
Il comparto dei servizi finanziari è quello che gode di miglior salute con una quota
del 45% di performance virtuose, a fronte di un 9,8% di ritardi gravi. Bene anche i
l’edilizia (39,4% di imprese puntuali, 11,6% di ritardi gravi).
Lo studio di Cribis D&B anche nel 2016 mette in evidenza le grandi difficoltà del
commercio al dettaglio, che rischiano di condizionare l’andamento di tutte le filiere
produttive a monte. Appena il 24,9% delle imprese appartenenti al comparto risulta
puntuale, a fronte di un 22% di ritardatari gravi. Un dato su tutti fa riflettere sulla
crescita dei ritardi gravi, aumentati addirittura del 197,3% rispetto al 2010. Nel corso
di questi ultimi 6 anni il settore che ha reagito meglio alla congiuntura economica è
quello dei trasporti e della distribuzione, che ha visto crescere solo del 46,9% la
percentuale dei cattivi pagatori.
L’analisi dei pagamenti per dimensione aziendale sottolinea la puntualità nei
pagamenti delle micro realtà, puntuali nel 36,2% dei casi. Puntuali si, ma spesso
anche in difficoltà nell’onorare gli impegni concordati con i fornitori. Il 15,1% infatti
paga con ritardo, allungando i tempi oltre il mese. Inoltre le micro imprese dal 2010
ad oggi hanno visto crescere la quota dei pagamenti oltre i trenta giorni del 160,3%.
Situazione opposta per le grandi realtà. Virtuose solo nel 14,4% dei casi, ma
raramente saldano i debiti con grande ritardo, solo nel 7,2% dei casi. Per questa
categoria di imprese negli ultimi 6 anni la voce ritardi gravi nei pagamenti è
addirittura diminuita del 10%. Situazione intermedia infine per le Pmi, che registrano
percentuali di ritardi gravi pari all’8,6%, mentre i pagamenti regolari si attestano al
34,4%.
*
Perché le auto elettriche resteranno un giocattolo per ricchi,
almeno ancora per un po’
Adoro le auto elettriche, ho provato una Tesla Model s P85D con l’idea di acquistarla
e ho rinunciato. Al di la degli Hype esagerati sulla perfezione delle automobili Tesla
in effetti avere a disposizione la coppia e l’enorme potenza che un motore elettrico ti
mette a disposizione una esperienza di guida imparagonabile a quella dei motori
endotermici. L’altro fattore interessante è il rumore, al netto del fatto che la Tesla
Model S in autostrada è rumorosa a causa di una meno che mediocre cura
nell’insonorizzazione dai fruscii aerodinamici e del rotolamento delle ruote, in città e
a bassa velocità è un viaggiare ovattato, quasi magico, un win-win sia per chi guida
che per chi sta fuori e non deve sempre subire il “rombo” degli automobilisti. Detto
questo, scordatevelo: a tecnologie attuali e a tecnologie che sappiamo essere
realisticamente in uscita non è possibile che una quota che non sia del tutto irrilevante
dell’attuale parco circolante di automobili possa essere convertita al full electric.
Volete un esempio? Prendiamo il migliore scenario possibile. Facciamo finta che:
1. ci sia una tecnologia che raddoppi l’attuale capacità delle migliori batterie
disponibili (polimeri di litio), e che sia affidabile e non dia problemi di
“consumo” delle batterie per almeno 500.000km
2. ci sia una tecnologia per “fare il pieno” in 6 minuti, ovvero quando ci vuole
oggi in media per farlo con un auto a benzina, dal benzinaio. Ti fermi, ti fai
fare il pieno, paghi e riparti. Un pit stop da 6 minuti.
3. Che il tutto costi pochissimo tanto da potere fare auto dal costo analogo di un
auto “tradizionale”.
(diciamo che le 3 ipotesi qui sopra potrebbero vedere la luce entro 5 anni, se tutto, ma
proprio tutto quello che l’industria promette andasse a buon fine) Tutto risolto direte
voi? No. Ora immaginate una tipica giornata di Luglio all’Autogrill, gli Italiani
vanno in vacanza sulla loro scintillante auto elettrica nuova di pacca, un auto
fantastica, ecologica, silenziosa, costa 18-20.000€ tasse incluse, e ha una autonomia
di 6-800km con un pieno perché monta su un pacco batterie innovativo (magari super
capacitori?) da 120-180 kWh che si ricarica in 3 minuti ( gli altri 3 servono per
fermarsi pagare e ripartire). In un normalissimo Autogrill se fate caso in un ora nelle
giornate di punta (e senza esagerare) con 8-10 pompe vengono servite 80 automobili
per il pieno, e mi tengo basso. Ora immaginate che invece di un pieno di benzina o
gasolio, in quell’autogrill debbano venire servite in un ora 80 auto elettriche. E
facciamo finta che in media ciascuna di queste auto elettriche abbia bisogno di
riempire il serbatoio con 60 kWh. Sapete cosa significa? Significa che in un’ora
questo autogrill dovrà servire 4800 kWh. Ehm….. Diciamo che è “leggermente”
fuori questione. A meno che l’Autogrill in questione non sia:
1. vicino ad una linea elettrica ad altissima capacità
2. abbia una sua centrale per gestire l’energia da distribuire
3. abbia un sistema di cavi specifici per trasportare tutta questa energia
Il che non è oggi, e non sarà nei prossimi decenni a meno di una mole enorme di
investimenti necessariamente pubblici e che comunque necessiteranno di almeno un
paio di decenni, in Italia in particolare dove le utenze domestiche utilizzano il gas e il
petrolio per riscaldarsi e per cucinare e quindi le case sono collegate a linee elettriche
a bassa capacità. E cambiare l’ultimo miglio delle linee elettriche non è diverso da
posare giù fibra ottica, anzi è molto peggio. Tralascio il problema della enorme
aumento della capacità produttiva di energia elettrica necessario per sostenere la
mobilità elettrica, al massimo la si importa dalle centrali nucleari francesi. Giusto?
(no farla con le rinnovabili, per la mole che ne serve è impossibile anche con le
migliori tecnologie). E dunque? Beh e dunque a meno che E-cat di Andrea Rossi o
altri sistemi di fusione nucleare fredda, Lenr, oppure altra fantascienza non diventino
prima scienza poi prodotto commerciale. Di auto elettrica di massa non se ne parla.
Di auto elettrica per benestanti e ricchi invece si. Eccome, tanto le poche colonnine
per loro le pagherà lo stato e il popolino sarà felice di vederli girare senza inquinare.
Oh che carini e civili…. loro. (e nel caso pure io, se mi fanno le colonnine aggratis
perché no). Quindi la mobilità individuale elettrica è una chimera? No, affatto, solo
che non è come ce la immaginiamo ne sostituirà e neppure scalfirà le quote di
mercato benzina e diesel nei prossimi 3-4 decenni.
La mobilità elettrica si esprimerà secondo le sue possibilità di contesto:
1. Nei paesi che hanno reti elettriche e sistemi di produzione adeguati insieme o
possono permettersi di costruirle velocemente e hanno una bassa densità della
popolazione la mobilità elettrica si svilupperà.
2. Su mezzi leggeri che non necessitano di enormi potenze ovvero biciclette e
motorini, la mobilità elettrica si svilupperà.
3. Sulle auto si svilupperà l’unico compromesso intelligente possibile, ovvero i
sistemi ibridi-plug-in.
Ma scordatevi la Tesla. La Leaf. O quel che vi pare full electric. Saranno solo
giocattolini per pochi. Soprattutto in un paese denso di popolazione e con struttura
della rete elettrica italiana. Un cambio radicale di scenario potrebbero fornirlo
automobili completamente automatiche in abbonamento. Ovvero auto fornite da un
servizio (vedrei bene le attuali compagnie telefoniche) le chiami, o le prendi nella
piazzola con le colonnine, ti fai portare a destinazione, scendi e poi loro vanno a
ricaricarsi in un luogo adatto. Quindi comunque 10-20 anni da oggi ma come
minimo.
P.S. invece non sono ancora convinto che l’idrogeno non sia la soluzione, se Toyota
ci ha investito pesante un motivo deve esserci.
(articolo di Paolo Rebuffo, tratto dal sito www.rischiocalcolato.it)
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