NUMERO 268 in edizione telematica - PIERO GIACOMELLI · 2019. 5. 13. · SPIRIDON / 3 fuori tema...

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NUMERO 268 in edizione telematica 10 maggio 2019 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] Si dice che una rondine non fa primavera, eppure le rondini azzurre della nostra atletica questa volta una ventata di primavera ce l’hanno portata, e che ventata. Ce l’hanno portata da Yokohama dove hanno fatto un figurone del diavolo in quella sorta di campionato del mondo intitolato “IAAF World Relays”. Un bel bottino che nessuno, o pochi, oltre Antonio La Torre, si aspettavano. E’ stata una bella sorpresa. E sarebbe stata ancora più grande la gioia se il Cavalier Tortu ed il suo porteur Manenti non avessero pasticciato in quell’ultimo cambio. Ma, si sa son cose che capitano e non è il caso di rammaricarsi più di tanto; l’importante è sapere che qualcosa sta finalmente cambiando per la nostra atletica. In meglio. E’ bello scoprire che possiamo ancora contare. Quatto nostre staffette sono andate in finale con tempi di rilievo ma i nostri si sono tutti battuti alla pari con i migliori conquistando posti di classifica di tutto rispetto esaltati dallo smagliante bronzo nella 4 x 400 femminile. Senza tralasciare il posto che han saputo garantirsi nei prossimi Mondiali, la cosa più ragguardevole è che i nostri atleti han saputo esprimersi a livelli tecnici più che soddisfacenti dimostrando di saperlo fare ben coordinati, ben integrati con i compagni nel complesso della squadra senza cioè dover esser condizionati nei risultati dal fuori classe del momento. Ovvero tutti con la consapevolezza di poter battersi ad armi pari contro chiunque. E’ solo l’inizio ma l’importante è crederci. Insomma, finalmente c’é un’atletica che sta cambiando di sostanza e d’immagine e lo fa tanto grazie ai suoi giovani ed entusiasti nuovi elementi oltre che alle scelte spesso nuove ma sempre ben determinate di tecnici della caratura di Antonio La Torre. Un uomo, questi, che, senza tante ciance, ha saputo dimostrare le sua capacità umane e professionali e la sua determinazione anche con piccole scelte. Come, per esempio, quella d’aver orientato ,come poi è avvenuto, la Federazione a portare in Giappone le sole le staffette “olimpiche” non lasciandosi sedurre da tutte

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  • NUMERO 268 in edizione telematica 10 maggio 2019 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

    Si dice che una rondine non fa primavera, eppure le rondini azzurre della nostra atletica questa volta una ventata di primavera ce l’hanno portata, e che ventata. Ce l’hanno portata da Yokohama dove hanno fatto un figurone del diavolo in quella sorta di campionato del mondo intitolato “IAAF World Relays”. Un bel bottino che nessuno, o pochi, oltre Antonio La Torre, si aspettavano. E’ stata una bella sorpresa. E sarebbe stata ancora più grande la gioia se il Cavalier Tortu ed il suo porteur Manenti non avessero pasticciato in quell’ultimo cambio. Ma, si sa son cose che capitano e non è il caso di rammaricarsi più di tanto; l’importante è sapere che qualcosa sta finalmente cambiando per la nostra atletica. In meglio. E’ bello scoprire che possiamo ancora contare. Quatto nostre staffette sono andate in finale con tempi di rilievo ma i nostri si sono tutti battuti alla pari con i migliori conquistando posti di classifica di tutto rispetto esaltati dallo smagliante bronzo nella 4 x 400 femminile.

    Senza tralasciare il posto che han saputo garantirsi nei prossimi Mondiali, la cosa più ragguardevole è che i nostri atleti han saputo esprimersi a livelli tecnici più che soddisfacenti dimostrando di saperlo fare ben coordinati, ben integrati con i compagni nel complesso della squadra senza cioè dover esser condizionati nei risultati dal fuori classe del momento. Ovvero tutti con la consapevolezza di poter battersi ad armi

    pari contro chiunque. E’ solo l’inizio ma l’importante è crederci.

    Insomma, finalmente c’é un’atletica che sta cambiando di sostanza e d’immagine e lo fa tanto grazie ai suoi giovani ed entusiasti nuovi elementi

    oltre che alle scelte spesso nuove ma sempre ben determinate di tecnici della caratura di Antonio La Torre. Un uomo, questi, che, senza tante ciance, ha saputo dimostrare le sua capacità umane e professionali e la sua determinazione anche con piccole scelte. Come, per esempio, quella d’aver orientato ,come poi è avvenuto, la Federazione a portare in Giappone le sole le staffette “olimpiche” non lasciandosi sedurre da tutte

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    quelle strane staffette che la IAAF sta inventandosi e lanciando sul mercato e che abbiamo visto e mal tollerato a Yokohama (mancava solo la corsa nei sacchi o quella della “gamba prigioniera”…). A nostro avviso questa determinazione è la strada giusta, l’inizio della strada giusta per riportare l’atletica azzurra sulle posizioni che le spettano. C’è solo da sperare che la nostra Federazione questo non facile itinere voglia e sappia operare con coerenza e

    determinazione senza lasciarsi stravolgere da divergenze interne , come ahinoi, spesso accade.. Insomma i nostri azzurri impegnati a Yokohama ci hanno esaltati e ci hanno riempiti d’entusiasmato come da tanto, da troppo, tempo non capitava più. Ma soprattutto ci hanno spinti a guardare in avanti. Speriamo non sia un nuovo amaro sogno. Giors

    la scelta di Kipchoge è quella di un’intera generazione di atleti

    I SOLDI CONTANO DI PIU’ DI UN TITOLO MONDIALE

    La spettacolarizzazione olimpica comprime le gare di marcia e“restringe” la 50 chilometri trasformando i fondisti in velocisti. D’altra parte invece il business esalta la maratona. Se nessuno si eccita per chi possa riuscire a scendere sotto le 3H40’ sulla moribonda 50 chilometri di marcia, l’obiettivo dello sfondamento del muro delle due ore nella maratona esalta il marketing. L’astro del momento è Kipchoge che con 34 anni sul groppone, ha una gran fretta di passare all’incasso e di monetizzare i sacrifici di carriera. Così si congettura, dopo un tentativo italiano, l’attacco al muro in una prova-tentativo a Londra, esibizione a misura di 250.000 persone. Dopo la prova di Monza, corsa in 2H00’25, il kenyano ci riproverà in Inghilterra in una prova asettica su un terreno da biliardo e con tutti i vantaggi del caso (nessuna sollecitazione e tensione agonistica, l’occhio teso solo verso il cronometro). I tentativi di record (o di migliore prestazioni) non sono mai vero sport. Ricordiamo quando Dennerlein stabilì un primato europeo dei 200 delfino nuotando in acqua di mare. Con un record regolarmente omologato. Ricordiamo primati mondiali di lancio del peso con pedane in discesa e con il benefit di un doping endogeno. Ma qui siamo vicini, con l’esperimento sulla maratona, alla fantatletica, a una soglia di futuro che non vorremmo mai oltrepassare. Se si tenta un primato non omologabile e che rischia di umiliare i tempi con cui si vinceranno le maratone di New York, Boston, Roma o Milano, le centinaia di gare corse sulla distanza ogni anno nel mondo, creando una forbice insuperabile, è perché dietro l’organizzazione c’è una grande corruttiva industria. Quella che muove i diritti televisivi, i titoli dei giornali, l’interventismo di Cairo sulla Gazzetta dello Sport, tanto per fare un esempio fondante. I soldi, il business fanno l’uomo. Il grande capitale sposa gli intenti del miglior interprete di maratona, l’unico che può osare di scendere sotto il muro delle 2 ore. Il calendario fa brutti scherzi però perché quelli saranno anche i giorni della maratona di Berlino a cui Kipchoge è legato perché gli ha fruttato la prestazione monstre ufficiale di 2H01’39. E cosa mettiamo al terzo posto per interesse e motivazione? Nientemeno che i mondiali di atletica che si svolgeranno nell’inconsueta sede di Doha a partire da fine settembre. Cosa conta ormai un titolo mondiale se promette di fruttare meno denaro rispetto a un ingaggio faraonico a tutt’altra latitudine? Interrogativo retorico. Queste scelte non sono patrimonio solo di Kipchoge ma di un’intera generazione di atleti. Legittimo parlare di atletica mercificata, asservita a interessi che non odorano più di sport. Sovrastrutture soffocanti minano l’etica e la trasparenza. Per analogia non siamo lontani dalla polemica che aveva portato alla iniziale discussa esclusione degli atleti africani dalla maratona di Trieste. Forse un salutare sasso nello stagno con retromarcia incorporata. Un’altra diversa storia ma anche un’occasione per riflettere su un tema che non deve essere solo virato su “razzismo e anti-razzismo” e sulla mera difesa dell’atleta italiano. Si sa che nella maratona (e non solo) l’adagio “prima gli italiani” è semplicemente ridicolo. Daniele Poto

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    fuori tema

    Vediamo. Per le sorti dello sport nazionale non sarebbe male se a ridosso delle elezioni europee di fine mese trovassero conferma i pettegolezzi degli ultimi giorni che danno il sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti in partenza per Bruxelles per occupare, su designazione governativa, e in concorrenza con il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, la poltrona spettante al commissario europeo. Scadeva l'anno 2018, quando la sensazione di dover rimpiangere, nella sua onnipotenza e nelle sue cadute, il Comitato olimpico nazionale, fu più d'una sensazione. Fu il momento in cui dal cilindro di palazzo Chigi prese vita un comitato di salute pubblica formato da sette saggi, un piccolo grande pantheon di nomi dai nobilissimi trascorsi agonistici, incaricato di promuovere gli eventi sportivi di massimo rilievo nazionale e internazionale. Fu una decisione che rasentò la comicità, conferma dell'atteggiamento superficiale, oltre che della demagogia, alla base dei piccoli e grandi passi di quella rivoluzione epocale che avrebbe trovato di lì a poco nella sigla programmatica e comunicativa di Sport e Salute la sua più disarmante cifra identificativa. Poiché il peggio trova implacabilmente porte aperte, conferma di quel peggio giungeva puntuale nello scorso metà aprile quando lo stesso Giorgetti, uscendo dal Foro Italico al termine della riunione di una Giunta del Coni sempre meno esecutiva, informava il prossimo come in passato, diversamente dalle grandi politiche che competono allo sport, i contributi alle Federazioni sportive fossero stati gestiti in modo incrementale e conservativo (!). L'illuminante concetto veniva completato dall'impegno di indirizzare in futuro i contributi a quelle

    Federazioni che con le loro politiche sarebbero state (saranno) capaci di realizzare progetti su temi come terza età, scuola, emarginazione e inclusione degli immigrati, quindi una politica sportiva attiva a trecentosessanta gradi contro l'obesità e per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. I contributi premieranno le federazioni più impegnate: abbiamo studiato a fondo, questa la firma del sottosegretario in calce all'esternazione, il modello inglese e quello australiano (!). Se esisteva, tra l'altro, un modo per accrescere la confusione di ruoli tra federazioni ed enti di promozione, tutti, in misure diverse, a libro cassa del Comitato olimpico, ecco, c'è riuscito, con i suoi consiglieri, un sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e tutto lascia prevedere trattarsi di un percorso disinibito appena iniziato. Detto di quanto accade ai piani alti della politica sportiva, un parere su due eventi che hanno segnato le cronache degli ultimi giorni. Considerati i tempi, e la caccia al razzista comunque e dovunque, non è stato per nulla sorprendente l'imbecille rituale del copia incolla firmato dai nove decimi dell'informazione nazionale sulla decisione degli organizzatori del Trieste Running Festival di fare a meno di ingaggiare, secondo un costume da anni diventato, in ogni senso, un malcostume, atleti africani. Non fosse che per aver messo il dito, denunciandola, sulla piccola cancrena legata al noioso rituale delle corse su strada, Trieste merita un premio. Il secondo caso, nella doppia valenza umana e tecnica, riguarda l'atleta sudafricana Caster Semenya. Riprendo con rispetto le riflessioni di Ilaria, allieva al 1° corso palermitano di Scienze motorie, anno 2001, cento allievi iscritti, tutti in piedi ad applaudire nell'aula di anatomia del Policlinico il professor Pino Clemente salito nella visibile precarietà delle proprie condizioni fisiche sulla cattedra: . Caso difficile da giudicare, e da cui difficile districarsi. Ma per le leggi dello sport, almeno in apparenza, il confronto esige uguali condizioni. E Caster, per sua sfortuna, su una pista di atletica, non è uguale alle altre. Chiudo con Yokohama e le World Relays, manifestazione compromessa da alcune prove da circo Orfei. Bene gli azzurri, nella globalità, corroborante inizio d'una stagione impegnativa. Ma attenti a scrivere e comunicare di evento straordinario, termine troppo assoluto per farne inflazione, salvo che l'enfasi dell'attribuzione non voglia riferirsi a nulla di diverso dalle lunghe stagioni vissute a bocca asciutta. La doccia fredda, incolpevole, a chiusura della 4x100 maschile, è stato un incidente e un richiamo. Sicuramente utile.

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    Per immaginare l'ingresso a pieno titolo degli iperborei nell’altra

    “Walk of Fame”, quella di Viale dei Gladiatori, che accoglie gli esclusi

    dal Viale delle Olimpiadi, al Foro Italico, ( a proposito, varrebbe

    sempre la pena di fare una visita allo Stadio di Domiziano, il più

    antico stadio monumentale di atletica del mondo - 86 d.C.) dobbiamo

    usare senza parsimonia la straordinaria macchina del tempo, che è

    costituita dagli archivi della nostra memoria e quindi calarci nel

    contesto storico, nel clima, nelle suggestioni da sport, che

    catturarono tutti i più grandi poeti e narratori del XIX e XX secolo...

    Essi stessi erano uomini di sport e passando da De Amicis a Salgari,

    da D'Annunzio a Costamagna, da Colombo a Roghi, a De Martino, a

    Brera, a Ghirelli, passando per Arpino e Vergani, senza dimenticare Ferretti, attraverso

    immagini fisse e in movimento, cominciamo a farci una idea più giusta e comunque meno

    lontana dalla reale importanza, che tanti personaggi dello sport hanno avuto nella nostra storia

    collettiva.

    Ecco perché consideriamo bellissima

    l'idea di ridare ruolo a figure sbiadite, ma non

    cancellate dal tempo, a coloro che hanno

    fatto piangere e gioire, sognare e sentirsi

    orgogliosi della propria appartenenza i nostri

    nonni e genitori, indipendentemente da

    condizioni di censo, età, sesso, cultura. Molti di questi personaggi hanno dato moltissimo a tutti

    noi, senza aver ricevuto le giuste gratificazioni in vita o finendo nell'oblio e nella miseria, salvo

    tardive reminiscenze o "coccodrilli" di circostanza, dopo morti. Quindi, prenderne per mano

    alcuni, abbracciarne altri,

    applaudire ancora questi nostri eroi ormai senza tempo, ci può

    fare solo che bene. adesso, riprendiamo a salutare uno per uno

    i nostri protagonisti, che stanno riassumendo la loro fisicità, la

    loro bellezza di un tempo e cominciano a tornare tra noi, che li

    aspettiamo li tra la palazzina di Moretti, oggi intitolata al super

    plurimedagliato Mangiarotti e l'Olimpico, passando per il

    Pallacorda e il Bar del Tennis. Eccoli, dunque, arrivare dietro a

    Pietri e Braglia (prima esclusi o dimenticati nella Walk ufficiale)

    Strada, Airoldi, De Stefani, Lunghi, Spalla. Ecco spuntare lo

    scanzonato Arturo Maffei fenomeno del lungo, che tenne testa

    Jessie Owens a

    Berlino, Claudia

    Testoni, che fu la

    grandissima rivale di

    Ondina Valla e che con lei dominò lo scenario

    internazionale in nime delle italiane per un decennio, il

    grande Mario Lanzi e il suo degno successore Ottavio

    Missoni. Per ultimo, si fa per dire, fa il suo ingresso

    Giorgio Oberweger, atleta poliedrico, un alieno nel

    disco a Berlino 1936 e maestro dei maestri di sport,

    dopo aver confezionato tanti altri straordinari successi

    olimpici per l'italia, tra Londra 1948 e Roma 1960... A

    questo punto, possiamo volgere la testa a sinistra per immaginare sopraggiungere una folla di

    altri iperborei destinati alla loro “Walk”, quella dei gladiatori dello sport, gli esclusi a prescindere

    dal valore, con il loro antico motto: "Ave imperator, morituri te salutant!". Ruggero Alcanterini

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    Animula vagula, blandula... scelti da Frasca

    Diciassette anni fa partecipavo alla conferenza sulla letteratura cinese negli ultimi quarant'anni, organizzata a Taiwan dalla rivista Lianhebao, e in quell'occasione ho esposto la mia teoria di non avere -ismi, della necessità di sbarazzarsi delle ideologie, di trascendere la politica, di tornare alla capacità estetica e a quella conoscenza insita nella letteratura autentica. E solo oltrepassando la politica, sfuggendo al controllo dell'ideologia e occupandosi dei sentimenti umani e della natura umana la letteratura può lasciare una traccia della vita reale. Di fatto, di questo genere di letteratura esistono esempi antichi, sia in Oriente sia in Occidente. Basti pensare alla poesia classica del Libro delle Odi e dei Testi di Chu, alla poesia d'epoca Tang e Song, al teatro Yuan e alla maggior parte della narrativa Ming e Qing. fino al Sogno della camera rossa. E ancora, si pensi alla tragedia e alla commedia dell'antica Grecia, alla Divina Commedia, al teatro di Shakespeare e ai romanzi di Balzac e di Dostoevskij. La letteratura moderna occidentale vanta anche autori quali Kafka, Joyce, Beckett, che non sono entrati in politica, non si sono piegati all'ideologia e sono rimasti indipendenti nella loro attività di creazione. Opere e autori di questo tipo non assumono la critica sociale come premessa fondamentale, non tentano di cambiare il mondo né di costituire un'utopia, non propongono una ricetta per la salvezza universale e non elargiscono giudizi morali. Al contrario, donano una testimonianza dei drammi dell'esistenza e della

    complessità della natura umana. Da Per un nuovo rinascimento, di Gao Xingjian (Ganzhou 1940), Nobel della Letteratura nel 2000, La Nave di Teseo editore, Milano 2018.

    Il giorno 8 gennaio a Parigi, assistito dalla figlia contessa De Mois de Sons, rapito da crudele morbo, dopo breve malattia spirava munito dei conforti della santa religione il Conte Eugenio Brunetta d'Usseaux, Uff. Sovrano Ordine di Malta, Uff. Corona d'Italia, Cav. Legion d'Onore. Le esequie avranno luogo mercoledì 15 corrente a Parigi, chiesa di San Ferdinando, per permettere ai figli ed al genero mobilitati di trovarsi presenti. La Salma, appena concessi i regolari permessi pel trasporto, verrà accompagnata dai figli a Pinerolo nella tomba di famiglia. Questo annuncio tiene luogo di invito. Per espresso desiderio del defunto pregasi non inviare fiori, né corone. Parigi, rue Faraday 14, 9 gennaio 1919. Dalla Lanterna di Pinerolo, 18 gennaio 1919.

    Ero sul campo della Forza e Coraggio. Gli ostacoli vennero messi in mezzo al prato. Adolfo Contoli, che l'indomani doveva fare i 110, ne staccò uno dal mucchio e cominciò a volarci sopra. Pareva lo dovesse buttar giù ogni volta, e invece lo sfiorava appena. Contoli era allora il campionissimo dell'atletica italiana. Ad ogni campionato portava a casa cinque o sei titoli e un paio di primati. Era anche un bravo ragazzo. Ma questo io, provincialotto a cui girava la testa in mezzo a tanti campioni non potevo saperlo. Perciò lo avvicinai con un certo batticuore e gli chiesi qualche spiegazione. Fu molto gentile, e mi disse sommariamente cosa bisognava fare. Più tardi, quando la gente sfollava e la riunione era finita, potei mettere mano su un ostacolo e provai. Vi passai sopra e l'indomani tornai ad Acqui con gli ostacoli in testa. Dovevo rivederli l'anno dopo a Bologna, per i campionati. Allora le corse a ostacoli erano rare. Avevo provato qualche volta con un ostacolo che m'ero fatto alla meglio. Peccato che ci fossimo dimenticati, durante l'annata, quanti fossero gli ostacoli nei 400, incerto se fossero 8 o 12. Conclusi, montando in treno, che avrei saltato quelli che mi si fossero parati prima del traguardo. A Bologna seppi che erano 10, ma quando fui alla partenza me l'ero già scordato. Dall'autobiografia di Luigi Facelli, pubblicata sul Littoriale della Domenica il 17 maggio 1942, ripresa nel volume numero 5 del 1997 dell'ASAI, Archivio Storico dell'Atletica Italiana Bruno Bonomelli.

    Amore mio, non ho parole per scrivere questa lettera. Forse al tuo ritorno non mi troverai. Allora questa lettera sarà per te il mio unico ricordo… La vita può davvero essere lunga. Com'è duro e lento per noi questo destino di morire soli… Tu hai meritato questo, angelo mio?... Parlo con te, sola con te. Tu mi sei sempre accanto, e io che sono stata sempre così dura e irascibile, e non ho mai saputo piangere semplici lacrime, ora io piango e piango e piango ancora. Sono io, Nadia. Dove sei tu? Nadezda Mandel'štam a Osip Mandel'štam (Varsavia 1891-Gulag Vtoraja reĭka 1938), lettera datata 22 ottobre 1938 e mai spedita.

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    Sergio Zavoli un “ragazzo”... tra i Salesiani

    Sulle nostre strade è in corso la 102a edizione del Giro d’Italia, la competizione ciclistica che affascina sempre molti

    appassionati. In suo onore ci piace tratteggiare la figura del giornalista che, nel 1958, ha ideato uno dei programmi

    più seguiti: il “Processo alla tappa”. Intendiamo parlare di

    Sergio Zavoli, che diresse la prima trasmissione televisiva il

    20 maggio 1962. Il “Processo alla tappa” ebbe subito un

    grande successo perché, accanto ai grandi campioni del

    ciclismo, mostrava il dietro le quinte di questo mondo.

    Sergio Zavoli, una delle firme più autorevoli del giornalismo

    italiano, volto della TV e famosa voce della radio, a soli 18

    anni inizia nel periodico “Testa di Ponte” e nel 1947

    (24enne) debutta in Rai come giornalista radiofonico. Mai come nel suo caso la personalità, che si costruisce negli

    anni della giovinezza, diventa sintesi eloquente e convincente. Zavoli ama raccontare e scrivere dei suoi trascorsi

    nell’ambiente salesiano. Numerosi gli spunti che regala nel libro “Il ragazzo che io fui”.

    «La domenica si andava al ritiro “delle cinque” nella chiesa dei Salesiani. Non era solo un’abitudine, né sempre un

    empito spirituale, a portarci dentro il fiato caldo un po’ stordente di quella stipatissima funzione pomeridiana. Forse,

    più di tutto, ci attirava la “marchina” che dava diritto ad assistere, di lì a poco, gratuitamente, al film proiettato

    nella sala parrocchiale. Un piccolo ricatto fin d’allora perdonato a

    don Rossi, ricattato da noi mille volte. Che prete! Alto come una

    pertica, abile nel far prendere alla veste il giro giusto quando si

    voltava, e fasciato in vita così da lasciare immaginare un corpo di

    atleta, mi chiedevo quale disastro lo avesse castigato dentro quel

    nerume!».

    «[..] Quanto a noi, i ragazzi dell’Oratorio, eravamo già in vena di

    domande, sebbene capissimo che le risposte sarebbero arrivate con

    qualche prudenza, e solo ogni tanto un fuggevole azzardo per non

    scoraggiare le nostre attese più temerarie. Perché Dio

    sceglie di nascere sulla Terra, attraverso Gesù, dopo

    millenni dal cosiddetto big-bang? E proprio in quell’anno,

    in quella notte, e in un luogo per giunta con poca acqua,

    pressoché privo d’ombra, il telefono e la radio? Secondo

    una scuola luterana, ci spiegava il salesiano don Rossi, la

    ragione per cui il Verbo, la parola, si fece carne (Giovanni

    1, 14) e “venne ad abitare in mezzo a noi”, duemila anni fa,

    apparteneva al tempo in cui il Logos, il pensiero, si

    distendeva lungo le coste del Mare nostrum grazie

    all’avvento della scrittura».

    «[..] Rammento che da fanciullo, nella chiesa dei Salesiani a Rimini, domandai a don Rossi se avesse mai pensato

    alla nascita di Gesù come a una sorta di favola sacra, con cui lasciar dolcemente dondolare l’idea di Dio nella

    mente di noi bambini.

    Si sedette su una panca tenendomi in piedi davanti a sé, per avere i suoi occhi nei miei, e la risposta venne quasi la

    dovesse a sé stesso, raccontando con quali parole, in seminario, se l’era cavata di fronte a un’impertinenza pari alla

  • SPIRIDON / 7 mia! Ma poi, procedendo nei suoi dubbi, e rimettendo il prodigio nei poteri di Dio, tutto via via diventava

    mirabilmente credibile! Gesù stesso, d’altronde, aveva raccontato che il Padre celeste si era rivolto a una creatura

    giovane e serena, capace di stupore e mitezza, e ogni cosa era accaduta secondo la volontà di Dio.[..] Il mio babbo,

    che con i preti andava così così, mi disse che aveva ragione don Rossi e io fui contento. Il mio babbo diceva che i

    Salesiani vanno rispettati. Don Bosco infatti non

    era mica un vagabondo».

    «[..] Don Rossi giocava a pallone con noi nel

    campo dei Salesiani. Le squadre si chiamavano

    “Ausa”, che era un canale puzzolente, “Topi grigi”

    e “Zona infetta”. Si capisce dai nomi che eravamo

    in un posto mica tanto pulito ma non ci è mai

    venuta nessuna malattia, neanche nella melma del

    canale e mio padre diceva che tutto quello che non

    affoga ingrassa. Lo diceva per modo di dire. Io ero

    dell’ “Ausa” e giocavo in porta. Mia mamma mi

    aveva fatto le mutandine nere con l’imbottitura di fianco, così se mi buttavo sentivo meno male».

    A detta dell’autore, Sergio Zavoli, “Il ragazzo che io fui” «è in fondo il tentativo di capire ciò che la memoria, dalla

    più lontana alla più incombente, può lasciare a un bambino che pare avviato, come fu per me alla sua età, a diventare

    scriventista, una parola salvata a lungo, in silenzio, dall’immaginazione innocente di mia madre».

    Così narra Zavoli, con l’abituale frase: «Come sempre, lasciamo parlare i fatti».

    Pierluigi Lazzarini Ex Allievo e Storico di Don Bosco

    “Sport e guerra fredda in Venezia Giulia 1945-1954” , del nostro amico Alberto Zanetti Lorenzetti, dimostra quanto l’attività agonistica nel decennio oggetto del lavoro fu legata a doppio filo con le vicende politiche locali e internazionali dell’Istria e della Venezia Giulia. La ripresa dello sport fu alquanto complessa. A una prima fase che va dall’istituzione della Linea Morgan all’entrata in vigore del Trattato di pace del 1947, contrassegnata da una “normalizzazione” dell’attività sportiva nel territorio amministrato dall’autorità jugoslava e da una situazione di ricerca del consenso da parte delle forze politiche presenti nella zona controllata dagli anglo-americani (Zona A e Pola), seguì il periodo che si concluse nel 1954, cioè fino al momento in cui il Territorio Libero di Trieste cessò di esistere, con l’attività gestita dal CONI ormai predominante nella Zona A del TLT. Contemporaneamente alla rapida scomparsa del Comitato Olimpico italiano e al progressivo inquadramento dello sport secondo il modello jugoslavo nella Zona B pre-1947, nei territori ad ovest della Linea Morgan all’attività CONI fu contrapposta l’Unione dei Circoli di Educazione Fisica (UCEF), organizzazione

    sostenuta dagli organismi di orientamento comunista, impegnata nello sviluppo dello sport di massa e con intense relazioni con i paesi socialisti dell’Europa orientale.Nell’ambito delle vicissitudini che contrapposero l’UCEF al CONI vi fu anche la richiesta di ammissione al Comitato Olimpico Internazionale (domanda poi riproposta dal Comitato promotore del Comitato Olimpico Triestino), tentativo che non andò a buon fine e che portò l’ente ginevrino a stabilire che gli atleti giuliani avrebbero potuto prendere parte ai Giochi Olimpici con la maglia azzurra o con i colori della Jugoslavia. E alle Olimpiadi di Londra, oltre ai notissimi campioni triestini militanti nello sport italiano, si registrò anche la partecipazione con i colori jugoslavi del lanciatore Danilo Cereali/Zerial e del ciclista Antonio Strain La pubblicazione è completata dai profili degli atleti giuliani che nel periodo del secondo dopoguerra vinsero il titolo nazionale e gareggiarono nelle rappresentative di Italia e Jugoslavia, dall’elenco delle società che presero parte ai Campionati di Serie A e delle principali manifestazioni sportive allestite in Venezia Giulia.

    Campionato italiano di staffetta di corsa in montagna.

    Assegnati i tricolori assoluti a Saluzzo (Cuneo) nella seconda giornata del Trionfo al femminile delle atlete di casa Alessia Scaini e Lorenza Beccaria, portacolori dell’Atletica Saluzzo organizzatrice dell’evento. Entrambe già azzurrine, sono il nuovo volto giovane della specialità: nata nel ’99 una, classe ’97 l’altra. Al secondo posto il team bresciano della Freezone con Barbara Bani e Gloria Giudici, terza piazza per le sorelle della Podistica Valle Varaita, Erica e Francesca Ghelfi. Passaggio di consegne nella prova maschile con la Corrintime dei gemelli Martin e Bernard Dematteis e Henri Aymonod, secondi, a cedere il titolo all’Atletica Valle Brembana di Nadir Cavagna, Pietro Sonzogni e Francesco Puppi. Medaglia di bronzo per l’Atletica Valli Bergamasche Leffe con Luca Cagnati, Alessandro Rambaldini e Xavier Chevrier. Tra gli juniores successi della Polisportiva Albosaggia di Gaia Bertolini e Katia Nana e per la Freezone con Massimo Zucchi e Simone Gobbi.

  • SPIRIDON / 8

    Uno dei soliti mattini di sfida alla diabolica sofferenza, e di brutta ora arriva la telefonata di Carlo Santi, regista degli Almanacchi federali, la voce incrinata: è morto dopo lunghi tormenti Bruno Cacchi, 88 anni,

    accanto a lui Paola, con i figli Chiara e Claudio. Era sempre viva l'eco della sua voce nella telefonata ricevuta dopo

    che i suoi ex allievi, capitanati da Ignazio Russo, gli avevano regalato copia della Storia dell'Atletica siciliana. Fu

    inevitabile nell'occasione ricordare

    il Convegno di Budapest, gennaio

    del 1975, quando orchestrammo,

    unici tra diffuse contestazioni, la

    proposta dell'inserimento della

    maratona nelle prove femminili.

    Dormivamo nella stessa camera,

    per distrarsi Bruno leggeva La

    canarina assassinata di Van Dine

    e, nei momenti liberi dal

    Convegno, lunghe passeggiate al

    centro di una città oppressa da un

    regime brutale. Fu anche

    l'occasione per sottolineare nuovamente la valenza storica che aveva avuto nel Congresso di Duisburg del 1964 la

    relazione di Arthur Lydiard circa la modifica delle impostazioni metodologiche sulle distanze di fondo e mezzofondo.

    La nostra prima proposta nell'ambito delle corse di durata fu guidata dall'allora C.T. Lauro Bononcini, bolognese di

    buona pasta, che si avvalse della collaborazione del grande mezzofondista veloce Mario Lanzi, di Mario Di

    Gregorio, di Michele Autore, con il supporto 'formiano' di Nicola Placanica, mentre a Milano operavano il 'loico'

    Ezio Bresciani, il trascinatore Carlo Venini e il siciliano La Rosa. Gli allenatori maturi, come logica volle,

    chiamarono a collaborare un gruppo di giovani, tra i quali il dottorino Enrico Arcelli e Bruno Cacchi, occhio di

    lince malgrado le spesse lenti, nato a Forlimpopoli e sceso

    a tre anni a Catania al seguito della famiglia – il papà

    Ernesto e la mamma Virginia – cresciuto quindi in Sicilia

    nella corte della Libertas Catania di Marco Mannisi e poi

    emigrato a Milano dove troverà la donna della sua vita e

    un compare d'anello d'eccezione, il prof. Rodolfo

    Margaria. Il Mannisi di Milano sarà Beppe Mastropasqua

    nella Pro Patria, mentore Alfredo Berra, vale a dire i piani

    alti della Gazzetta. Cacchi, che già a Catania aveva

    sperimentato con successo metodi di allenamento con

    parametri cardiocircolatori con Elio Sicari, Francesco

    Amante e soprattutto con Pippo Ardizzone, elegante

    corridore, sesto nel 1969 sui 10.000 agli Europei di Atene, dopo Duisburg verificherà le sue rinnovate teorie

    prendendo a cuore le sorti di Paola Pigni, una ragazza milanese capofila regionale sui 200 metri, affidatagli da

    Enrico Arcelli: il tecnico varesino aveva compreso come l'allenatore catanese fosse l'uomo adatto a risolvere i

    problemi connessi alla tecnica di corsa e alla scarsa potenza aerobica dell'atleta, agganciando il gruppo alla scienza

    presieduta all'epoca da Margaria. La corsa di Paola divenne meno dispendiosa, l'elasticità fu stimolata con mezzi al

    tempo scarsamente condivisi, e i risultati furono quelli che sappiamo: l'atleta si appassionò talmente al lavoro sul

    fondo da correre i 5000 attorno ai 16 minuti e la maratona attorno alle 3 ore, respirando il profumo dei primati

    mondiali su pista, del podio di Monaco '72 e delle strepitose affermazioni al Cross delle Nazioni. Dopo la notizia

    della scomparsa, tante le testimonianze attorno alla figura di Bruno, su tutte quelle di Michelangelo Granata, di

    Ignazio e di Pina Marino Russo, con cui stima e rispetto erano reciproci. Granata: >. Russo:

  • SPIRIDON / 9

    Da Atletica, mensile della FIDAL Rivista fondata da Bruno Zauli .Gennaio 1971 Direttore Primo Nebiolo -Vice Direttore Augusto Frasca - Direttore Responsabile Ruggero Alcanterini - Redattore Capo Gianfranco Colasante.

    Nei giorni 12 e 13 dicembre il ConsiglioFederale, presieduto dal dott. Primo Nebiolo, ha tenuto la sua ultima riunione del 1970. Fra le decisioni di maggior rilievo da

    sottolineare quelle che riguardano la Segrateria Federale ed il Settore Tecnico. Luciano Barra, concluso con la fine del 1970 il periodo di reggenza, è stato nominato Segretario Generale. Marcello Pagani è stato confermato alla carica di Direttore Tecnico. Per quanto riguarda gli altri principali ruoli del Settore Tecnico si sono avute le seguenti nomine: i Fiduciariati faranno capo ad Enzo Rossi per le Regioni, i Centri Coni e i Centri di specializzazione, a Sandro Giovannelli per il settore femminile, a Piero Massai per il settore juniores, a Fernando Ponzoni per l'attività giovanile e a Mario Di Gregorio per i corsi di specializzazione e di aggiornamento. Per i singoli settori la responsabilità è stata assegnata a Ettore Milone per i 110 ostacoli e per la Scuola di Formia, a Salvatore Morale per i 400, i 400 ostacoli e per la staffetta 4x400, a Bruno Cacchi per il mezzofondo e la maratona, a Renato Carnevali per i lanci, a Pino Dordoni per la marcia, a Franco Radman per decathlon e pentathlon e a Carlo Vittori per velocità e salti. Alle ore 16 del 26 dicembre, lontano dalla sua abitazione situata a Ealing, nei dintorni di Londra, Lillian Barbara Board smetteva di soffrire. L'incurabile male, che circa a metà dell'anno aveva iniziato a manifestarsi con progressiva ed inesorabile gravità, vinceva così impietosamente la sua ultima battaglia. La sua medaglia d'argento sui 400 a Città del Messico, il duplice titolo europeo nel 1969 ad Atene negli 800 e nella 4x400, rappresentavano i primi passi verso nuove e ancor più solide consacrazioni. Era amata dagli inglesi. Lillian Board era giovane, era bella, era estroversa, era giustamente orgogliosa e umile allo stesso tempo, era battagliera, era capace di soffrire e di vincere, era inglese. Ora, a 22 anni, riposa in pace con tutti nel piccolo cimitero di Putney alla periferia di Londra.

    Marzo 1971. Nella sua riunione del 15 marzo, tenutasi a Milano, il Consiglio di Presidenza della Federazione, su mandato del Consiglio direttivo, in relazione alla situazione tecnica nazionale ed in vista di una ristrutturazione del Settore tecnico, ha deciso di dispensare il professor Marcello Pagani dalla carica di Direttore Tecnico generale. Riconfermata l'esigenza di un lavoro collegiale e di una maggiore autonomia dei vari settori e fiduciariati che compongono la Commissione tecnica, ha proceduto a nominare il professor Bruno Cacchi Coordinatore della Commissione stessa. Sotto la sua guida tecnica l'atletica italiana inizia un lungo periodo rovente che culminerà, dopo gli Europei di Helsinki, con l'Olimpiade di Monaco. Ma gli obbiettivi si pongono molto più avanti. Come è giusto. L'augurio di buon lavoro è di tutto l'ambiente.

    Un italiano da 46.0? Marcello Fiasconaro, lasciato il rugby per i 400 metri, è il nuovo esplosivo talento della isolata atletica sudafricana, di Luigi Mengoni.

  • SPIRIDON / 10

    al Lido di Locarno erano quasi 200 i ragazzi a caccia delle prime medaglie in palio nella stagione 2019. I

    Campionati Ticinesi giovanili di staffette hanno offerto un bello spettacolo, permettendo ai ragazzi di assaporare il piacere di gareggiare in squadra. A emergere ancora una volta sono state GAB e SAB, che hanno riportato a Bellinzona 4 titoli. I padroni di casa della Virtus hanno vinto un titolo, mentre 3 ori sono arrivati nel Sottoceneri grazie a SA Lugano, SA Massagno e VIGOR

    Ligornetto. La SA Bellinzona ha dominato le 4X100 m U18 ottenendo i due ori in palio. Nella gara maschile Nathan Codiroli, Giona Pasteris, Christian Reboldi e Gioele Pasteris hanno corso un notevole 44″52, tenendo conto che i primi due frazionisti sono ancora U16. La SA Massagno (Nicita, Galante, Ammirati, Barta) chiude seconda in 46″45 davanti al GAB (47″24). Tra le ragazze Bernadette Gervasoni, Maëva Tahou – detentrici del primato ticinese junior – assieme a Ulla Rossi ed Emilie Steiner regalano la vittoria alla SAB in 50″93 . Nella loro scia un’ottima FG Malcantone (Patriarca, Lorenzetti, Poggi, Regazzoni) in 51″64 e ancora le ragazze del GAB in 52″22. Nella staffetta Olimpionica U18, titolo per le padrone di casa della

    VIRTUS Locarno in 4’08″91 con Zoe Ranzoni che ha lanciato Cecilia Ferrazzini, Selina Barandun e Lisa Patocchi. Completano il podio, più distanti, due squadre del GAB. Decisamente più avvincente la gara maschile, con il GAB (Luca Innocenti, Filippo Balestra, Nicola Fumagalli, Siro Gentilini) che in 3’36″52, regola in volata la SAM (Kick, Barta, Galante, Nicita – 3’37″12), lontana invece la Virtus. Ben 10 squadre al via nella 5×80 m U16: la SA Massagno (Bottini, Fratoni, Mazzuchelli, Pozzi, Broggini) vince in 52″81 davanti a AS Monteceneri (Wolgemuth, Baggi, Andreoli, Venzi, Crescini – 53″38) e SAB (54″61). Un errore all’ultimo cambio ha tolto dalla gara una lanciata USC Capriaschese, già vincitrice della seconda semifinale. Al maschile domina la SA Lugano (Melchiorri, Di Tommaso, Cei, Borri, Salvadé) in 48″44, mentre per il secondo posto l’ASM (Bettosini,Müller, Crescini, Fattorini, Ventura) brucia la Virtus sul filo di lana. Bella la 3×1000 m U16 al maschile, con il GAB che regola due squadre dell’AS Monteceneri: Teodoro Meyer, Numa Cariboni e Giulian Guidon vincono in 9’33″50; sul filo di lana Fattorini, Müller, Bettosini in 9’35″42 sono un decimo davanti a Weibel, Müller, De Marco. Sara Salvadé, Margherita Croci Torti, Giulia Salvadè in 10’05″41 regalano il secondo oro consecutivo alla VIGOR Ligornetto. Nella lotta per il secondo posto, il GAB (Felice, Schmid, Berini) in 10’41″50 piega le ragazze dell’ASM.

    FOTO D’EPOCA

    Le partecipanti al 1° campionato francese di corsa campestre femminile disputatosi il 28 aprile 1918 al Bois de Chaville, fra Parigi e Versailles ed organizzato dalla Fédération des Sociétés Féminines Sportives de France

  • SPIRIDON / 11

    La targa che indica la nuova collocazione del patrimonio archivistico e librario del nostro Centro Studi è stata scoperta dall’Assessore allo Sport del Comune di Firenze, Andrea Vannucci. Il Presidente Marcello Marchioni ha introdotto la sostanza e il significato dell’evento che segna la

    positiva conclusione di una criticità emersa fin dal 2005 quando il fondo dovette essere trasferito provvisoriamente in un locale al grezzo dello Stadio Ridolfi. Una provvisorietà che si è tuttavia prolungata nel tempo finché l’Amministrazione della Città ha saputo sciogliere l’annoso nodo e trovare al fondo del Centro Studi – notificato come di interesse storico dalla Soprintendenza ai Beni Archivistici e Librari e quindi sottoposto alle tutele di legge – una degna sistemazione. Successivamente è intervenuto il Presidente del Centro Studi, il prof. Giuseppe Ocello, sottolineando la sua grande

    soddisfazione per il raggiungimento di un obiettivo così a lungo desiderato, ringraziando tutti coloro che si sono adoperati nel tempo perché la vicenda andasse a buon fine, dagli amministratori ai funzionari e poi ai volontari che hanno saputo gestire al meglio il lungo periodo di emergenza e successivamente il non semplice trasloco. La parola è poi passata al Presidente del Quartiere 3, Alfredo Esposito, che non ha certo nascosto la sua grande soddisfazione nell’avere fortemente voluto che il fondo del Centro Studi permanesse all’interno del Q3, dove è allocata la società madre, dove c’è il Museo del Ciclismo Gino Bartali, dove c’è la sede del CONI Regionale, dove c’è un Liceo Scientifico Sportivo ed un’altro analogo è davvero prossimo, appena oltre i confini comunali ma ben dentro la Città Metropolitana, con la possibilità quindi di sviluppare le potenzialità di una rete che guardi alla trasmissione circolare della cultura sportiva. Successivamente è stato Andrea Vannucci ad intervenire per esprimere sollievo e grande contentezza per aver affrontato e risolto un problema che si trascinava davvero da troppo tempo e di aver felicemente individuato nella vicinissima Biblioteca Comunale di Villa Bandini uno spazio che sarà disponibile – in un prossimo futuro – per ospitare l’intero fondo del Centro Studi, mantenendone l’integrità e l’identità. Eugenio Giani, nelle vesti di Presidente del CONI Provinciale, si è complimentato con gli amministratori per aver trovato le modalità giuste per restituire alla Città, allo sport e alla cultura, un patrimonio unico e immenso, creato dal nulla e divenuto realtà di grandissimo spessore grazie soprattutto alla smisurata passione e grande competenza del compianto Aldo Capanni – prematuramente scomparso nel 2007 – e dei suoi capaci e motivatissimi collaboratori. Ultimo brevissimo intervento è stato quello del Direttore del Centro Studi, Franco Cervellati che ha spiegato ai presenti come l’allestimento attuale sia del tutto in corso d’opera e con una quantità enorme di materiale ancora da ricollocare. Il Direttore ha poi invitato gli intervenuti per un brindisi all’interno del locale ma non prima di aver sollecitando un doveroso e sentito applauso in memoria di Aldo Capanni che del Centro Studi, dalla costituzione nel 1971 e fino alla sua scomparsa, è stato il principale ispiratore e animatore.

    Cassioli, pittore e scultore, nato a Firenze nel 1865 è l'autore, tra le altre opere, della porta bronzea laterale destra del Duomo di Firenze, e come pittore, della decorazione della cupola di San Luca a Bologna. Ma è anche ben conosciuto come medaglista tant’ è che questo elegante libro opera di Franco Cervellati e Gherardo Bonini lo racconta e lo documenta quale il vincitore del concorso indetto dal comitato olimpico; dai giochi olimpici di Amsterdam del 1928 a quelli di Mexico City del 1968 le medaglie dei vincitori sono quelle disegnate dall'eclettico artistico toscano. Un volume elegante, come s’è detto ma anche affascinante e di piacevole lettura. G.Bonini – F.Cervellati - “Cassioli l’artista delle medaglie olimpiche” Ed. CESEFAS Fi

  • SPIRIDON / 12

    A Firenze, nella sede dell’A.S.S.I. Giglio Rosso ha

    avuto luogo l’annuale Assemblea dei soci

    dell’Archivio Storico dell’Atletica Italiana Bruno

    Bonomelli con la partecipazione d’un gran numero di

    soci.

    In apertura il Presidente Ottavio Castellini ha rivolto

    un vivo ringraziamento alla società A.S.S.I. Giglio

    Rosso per l’ospitalità, lasciando la parola al

    presidente del sodalizio Marcello Marchioni, il quale

    ha sottolineato il legame della società fiorentina con

    l’A.S.A.I. Dopo questi interventi sono stati ricordati

    due eventi importanti nella storia dell'atletica italiana.

    Il 14 aprile 1922 si formò a Firenze il primo nucleo

    societario che diede poi vita alla A.S.S.I. Giglio Rosso. Lo stesso giorno del 1946 Adolfo Consolini stabilì per la

    seconda volta il primato mondiale del lancio del disco.

    Dopo l’approvazione del bilancio e la presentazioni di diverse iniziative hanno fra preso la parola Augusto Frasca che

    fa presente che il 19 maggio Livio Berruti compirà 80 anni e sollecita un messaggio dell’A.S.A.I. Castellini informa

    che è ormai in fase di completamento il decimo volume della collana sulla storia dei Campionati italiani, il cui

    contenuto riguarda l’anno 1946. La

    pubblicazione potrà avvalersi del contributo

    del socio Fabio Monti, che intende così

    ricordare la figura del padre Carlo, uno dei

    grandi protagonisti azzurri in quell’anno.

    Verrà organizzata la presentazione del libro a

    Milano.

    Al termine del pranzo sociale Castellini,

    Zanetti Lorenzetti e Marco Peiano si sono poi

    recati da Roberto L. Quercetani,

    impossibilitato a presenziare all’Assemblea,

    per la consegna del Premio Bruno Bonomelli.

    Lutto fra gli alpini di tutta Italia. L’altra notte a Vittorio Veneto è “andato avanti” l’ultimo mulo alpino. Si chiamava Iroso, detto “Generale Iroso” da tutti. Quando l’esercito nel 1993 decise di eliminare i reparti salmerie, tutti i muli vennero messi all’asta. Iroso, il più vecchio di tutti, fu acquistato per il reparto salmerie della sezione Ana di Vittorio Veneto (una sorta di museo vivente nato per ricordare ciò che furono i muli nell’esercito) e lì è morto. Quando parte un “ultimo” di qualcosa, è sempre una data da ricordare. L’ultimo garibaldino dei Mille fu il genovese Giobatta Sivelli che morì nel 1934, a 91 anni. L’ultimo Cavaliere di Vittorio Veneto (ordine cavalleresco assegnato a tutti i soldati italiani partecipanti alla prima guerra mondiale), fu il bersagliere Delfino Borroni, che morì nel 2008 alla bella età di 110 anni. La gara adesso è fra i partigiani. Fra non molto partirà anche l’ultimo bellaciao, vero o presunto. Ma Iroso era vero, ostia se era vero, un vero mulo alpino con la matricola 212 stampigliata sullo zoccolo. Quello zoccolo che ora sarà conservato in bacheca come una reliquia. Aveva 40 anni (che per un mulo è come 120 per l’uomo) e veniva esibito alle adunate come un faraone vivente. Per tutti gli alpini era un vanto che solo le penne nere possono capire. Mio padre era alpino mulattiere nel battaglione Susa. Una volta, negli anni ’20, il suo reparto fu colto in alta montagna da una terribile tormenta in cui morirono due soldati. Mio padre, accecato dalla neve, per tornare al campo si aggrappò alla coda di Laio, il suo mulo, e si salvò la vita. Senza Laio non sarei mai nato. E non dite che sarebbe stato meglio. [email protected]