Numero 1/2006

52
Registrazione al Tribunale di Napoli n. 5112 del 24/02/2000. Spedizione in abbonamento postale 70% – Direzione Commerciale Imprese Regione Campania Periodico del Centro di Iniziativa Mezzogiorno Europa Gennaio/Febbraio 2006 Anno VII Numero 1 Direttore ANDREA GEREMICCA Art director LUCIANO PENNINO Andrea Pierucci 50 EURONOTES EUROPA: COME RIPARTIRE? Marco Plutino 46 RECENSIONI SOVRANITÀ NAZIONALE E DIRITTO UNIVERSALE Paolo Barbi 43 DIRITTI AUTONOMIE E POTERI LOCALI NEL SUD SI È GIUNTI AL LIMITE DI GUARDIA 150 Comuni sciolti in 15 anni per condizionamenti e infiltrazioni del- la criminalità organizzata, 69 in Campania, 39 nella provincia di Napoli. Negli ultimi due anni: 17 Comuni sciolti, 9 in Campania, 7 più 1 ASL nella provincia di Napoli. Allo stato attuale in questa provincia tutti i Comuni (tranne nove) sono in condizioni di sovranità democratica limitata a causa di scioglimenti, commissioni di accesso, monitoraggi mirati. Le ambiguità della normativa e lo schematismo di alcuni prefetti spiegano solo in parte la gravità del problema, dovuto in primo luogo ai limiti delle istituzioni locali sotto il profilo della sicurezza, della efficienza, della partecipazione e della formazione di nuove classi dirigenti. Unione Europea Prospettive finanziarie 2007-2013 LA RIPARTIZIONE DEI FONDI STRUTTURALI PER LE REGIONI ITALIANE Gianni Pittella Lunedì 23 gennaio si è svolto un primo trilogo tra Parlamento, Com- missione e Consiglio alla ricerca di un definitivo accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013. Entro marzo si potrebbe pervenire ad un’intesa definitiva con il Consiglio. In questo caso il Parlamento potreb- be approvare formalmente le nuove Prospettive Finanziarie nel corso della plenaria di maggio (aprile in commis- sione bilanci). Gli elementi che destano al contempo maggiore preoccupazione ed interesse in seno al Parlamento sono: Da pag. 31 a pag. 40 28 UNA GRANDE AREA URBANA TRA RISCHI E OPPORTUNITÀ NAPOLI SIAMO NOI? BOCCA LO DICE MA NON CI CREDE Andrea Geremicca UNA CITTÀ TRA MALESSERE E SPERANZA Ivano Russo L a reazione più diffusa è di fastidio e disagio: lascia an- dare, che ne parliamo a fare? Invece del libro di Giorgio Bocca su Na- poli se ne deve parlare. Perché contiene molte cose vere, raccontate magari con accenti estremi, ma vere… P robabilmente di questi tempi non vi è impresa più ardita che provare a dire qualcosa su Napoli. Tutto, o quasi, è già stato detto e scritto. E la nostra rivista ha partecipato, credo dignitosamente, al dibattito apertosi in città. … 3 6 RICOMPORRE REALTÀ URBANE E PERIFERIE Eirene Sbriziolo 9 OLTRE LA CINTA DAZIARIA Nando Morra Giovanni Squame 12 ACQUA: COME CONCILIARE EFFICIENZA ED EQUITÀ Alfonso Ruffo Direttore de Il Denaro Andrea Geremicca Direttore di Mezzogiorno Europa Ne discutono con Marco Di Lello Assessore Regione Campania Alberto Irace Presidente ATO 3 Giovanni Lettieri Presidente Unione Industriale di Napoli Alberto Lucarelli Ordinario di Diritto Pubblico Università Federico II Alfredo Mazzei Presidente Confservizi Giuseppe Palma Ordinario di Diritto Amministrativo Università Federico II Tavola rotonda da pag 17

description

Rivista Mezzogiorno Europa

Transcript of Numero 1/2006

Page 1: Numero 1/2006

Registrazione al Tribunale di Napoli n. 5112 del 24/02/2000. Spedizione in abbonamento postale 70% – Direzione Commerciale Imprese Regione Campania

Periodico del Centro di Iniziativa Mezzogiorno Europa • Gennaio/Febbraio 2006 • Anno VII • Numero 1 • Direttore ANDREA GEREMICCA – Art director LUCIANO PENNINO

Andrea Pierucci 50EURONOTES

EUROPA: COME RIPARTIRE?Marco Plutino 46

RECENSIONI

SOVRANITÀ NAZIONALE E DIRITTO UNIVERSALEPaolo Barbi 43

DIRITTI

AUTONOMIE E POTERI LOCALI NEL SUD SI È GIUNTI AL LIMITE DI GUARDIA

150 Comuni sciolti in 15 anni per condizionamenti e infiltrazioni del-la criminalità organizzata, 69 in Campania, 39 nella provincia di Napoli. Negli ultimi due anni: 17 Comuni sciolti, 9 in Campania, 7 più 1 ASL nella provincia di Napoli. Allo stato attuale in questa provincia tutti i Comuni (tranne nove) sono in condizioni di sovranità democratica limitata a causa di scioglimenti, commissioni di accesso, monitoraggi mirati. Le ambiguità della normativa e lo schematismo di alcuni prefetti spiegano solo in parte la gravità del problema, dovuto in primo luogo ai limiti delle istituzioni locali sotto il profilo della sicurezza, della efficienza, della partecipazione e della formazione di nuove classi dirigenti.

Unione EuropeaProspettive finanziarie

2007-2013

LA RIPARTIZIONEDEI FONDI

STRUTTURALIPER LE REGIONI

ITALIANEGianni Pittella

Lunedì 23 gennaio si è svolto un primo trilogo tra Parlamento, Com-missione e Consiglio alla ricerca di un definitivo accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013.

Entro marzo si potrebbe pervenire ad un’intesa definitiva con il Consiglio. In questo caso il Parlamento potreb-be approvare formalmente le nuove Prospettive Finanziarie nel corso della plenaria di maggio (aprile in commis-sione bilanci).

Gli elementi che destano al contempo maggiore preoccupazione ed interesse in seno al Parlamento sono:

Da pag. 31 a pag. 40

28

UNA GRANDE AREA URBANATRA RISCHI E OPPORTUNITÀ

NAPOLI SIAMO NOI?BOCCA LO DICE

MA NON CI CREDEAndrea Geremicca

UNA CITTÀTRA MALESSERE

E SPERANZAIvano Russo

La reazione più diffusa è di fastidio e disagio: lascia an-dare, che ne parliamo a fare?

Invece del libro di Giorgio Bocca su Na-poli se ne deve parlare. Perché contiene molte cose vere, raccontate magari con accenti estremi, ma vere…

Probabilmente di questi tempi non vi è impresa più ardita che provare a dire

qualcosa su Napoli. Tutto, o quasi, è già stato detto e scritto. E la nostra rivista ha partecipato, credo dignitosamente, al dibattito apertosi in città. … 3 6

RICOMPORRE REALTÀ URBANE

E PERIFERIEEirene Sbriziolo

9

OLTRELA CINTA DAZIARIA

Nando Morra Giovanni Squame

12

ACQUA:COME CONCILIARE

EFFICIENZAED EQUITÀ

Alfonso RuffoDirettore de Il Denaro

Andrea GeremiccaDirettore di Mezzogiorno Europa

Ne discutono conMarco Di Lello

Assessore Regione Campania

Alberto IracePresidente ATO 3

Giovanni LettieriPresidente Unione Industriale di Napoli

Alberto LucarelliOrdinario di Diritto Pubblico

Università Federico II

Alfredo MazzeiPresidente Confservizi

Giuseppe PalmaOrdinario di Diritto Amministrativo

Università Federico II

Tavola rotonda da pag 17

Page 2: Numero 1/2006
Page 3: Numero 1/2006

[3]OPPORTUNITÀ

…E perché esprime con bru-tale schiettezza quello che sembra stia diventando il senso comune del paese nei confronti di questa benedetta maledetta città. Se non di tutto il paese, di una larga parte, sempre più insofferente e allarma-ta. Sono passati si e no dieci anni da quando Napoli godeva di una buona, ottima stampa e faceva (fi-nalmente!) notizia in positivo. Ora appena attraversi il Garigliano trovi gli amici che ti salutano allargando le braccia preoccupati: facci capire che cosa sta succedendo dalle tue parti. Ecco: dalle tue parti. ‘Napoli addio’ titolava in copertina L’Espres-so qualche mese fa (“Napoli affonda. Sta morendo. Preda della violenza. È tornata ad un passato orribile che sembrava cancellato”). Il libro di Giorgio Bocca si muove lungo quel-la stessa linea di separatezza. Anche

se il titolo Napoli siamo noi sembra voler riconoscere il carattere nazio-nale della questione napoletana. Sembra. Ma quando poi si va a leg-gere quello che Bocca scrive, Napoli non emerge come ‘parte di un tutto’, diversa ma sostanzialmente ‘dentro’ la stessa storia e lo stesso destino: è ‘altra cosa’, distinta e distante. Che rischia di ‘contagiare’ il resto del paese. “Quando diciamo che Napoli siamo noi, vogliamo semplicemente dire – scrive Bocca – che il ‘modello Napoli’ con l’aumento della ric-chezza, delle comunicazioni, della tecnologia, può diventare fra non molto il modello vincente in Italia”. L’immagine che disegna della città è di desolante cupezza, senza un raggio di luce e un filo di speranza. “Napoli è una città terribile, uccide senza ragione. Siamo alla metastasi criminale. Napoli è diventata una

città postindustriale di narcotraf-ficanti dove non si sa da che parte stia la gente. Lo Stato è un nemico”. Queste cose, si sa, Bocca le ripete da tempo. Ma purtroppo non è l’unico ad andare sopra le righe, anche tra chi Napoli dovrebbe conoscerla un po’ più da vicino. Sostiene Amato Lamberti (e Bocca riporta pari pari nel suo libro le cose che dice, senza smentita): “Quando nell’Ammini-strazione comunale di Napoli dopo il ’93 ebbi l’Assessorato all’annona, ci vollero uno o due giorni per capi-re che era un covo di ladri. Lo chiusi, dissi che del palazzo era meglio fare una scuola. Quattro mesi dopo l’uf-ficio era riaperto con gli stessi ladri di prima. Gli impiegati si portavano a casa le licenze commerciali per venderle agli amici. Adesso insegno all’Università la sociologia della devianza”.

Tornando alla tesi dell’autore di Napoli siamo noi, il racconto che fa della città non mi convince. Lo stile è diretto e immediato, del grande giornalista che racconta quello che vede, senza nulla aggiungere e nulla togliere. Ma la sostanza è diversa. Il quadro che emerge sa di pregiudizio, di costruzione ideolo-gica, di luoghi comuni. La realtà di una città come Napoli, come tutte le grandi città oggi, è diversa, assai più complessa. Dura e aspra, ma in ogni caso più complessa e di ben altro spessore. Non può essere ‘pensata a blocchi’ come, con una felice espressione, lo accusa di fare Raffaele La Capria in una lettera fortemente polemica sulla quale tornerò.

NAPOLI È UNA CITTÀ IN CRISI MA VIVA, RICCA DI FERMENTI,

DI CULTURE, DI INTELLIGENZE, DI RISORSEAndrea Geremicca

Page 4: Numero 1/2006

[4]

Quando dico che la Na-poli di Bocca è ‘senza un raggio di luce’, non mi

riferisco alla mancanza, nel suo libro, di qualsiasi riferimento alle cose belle, grandi, importanti che pure in questa città esistono e accadono. No, il richiamo consolatorio ‘alle luci e alle ombre’ di Napoli, quando si raccontano i guai che l’affliggono, mi sembra scontato e tutto sommato banale, c’è sempre, del tutto legitti-mamente, una questione di accenti. Il problema che pongo è diverso. Napoli, nonostante tutto, è una città viva, ricca di culture, di intelligenze, di risorse, di fermenti, di contraddi-zioni anche laceranti, di speranze (perché no? Napoli non è una città disperata), di aspettative. Da questo punto di vista sono d’accordo con Paolo Macry quando, sul Corriere del Mezzogiorno, descrive il paradosso Napoli: “Malgrado gli antichi vizi autoreferenziali, la città sembra in grado di cogliere lo spirito dei tempi. In questi giorni appare effervescente, vivace, pluralista. Politica, cultura e società sembrano viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda. Si susse-guono iniziative atipiche, spregiu-dicate, innovative, che non sarebbe agevole ricondurre al paradigma di una città normalizzata. Ma che impe-discono, tuttavia, di accreditare – e qui Macry è impietoso – la cartolina sulfurea di Bocca”.

Questo, a mio avviso, è il punto: ‘nonostante tutto’ Napoli è una città in movimento. ‘Nonostante tutto’ aspira ad essere ‘normale’ e moderna. E cerca, tra mille diffi-coltà e contraddizioni, di divenirlo. Nonostante la crisi profonda che sta vivendo. Anzi, forse proprio in ragione di questo. Perché nelle crisi c’è sempre un doppio fattore: di rischio e di opportunità, di pos-sibilità di sviluppo e di pericolo di declino. E, insisto: c’è movimento, scontro, conflitto, elementi decisivi per la vita e la crescita delle mo-derne città del mondo, per la loro modernizzazione. Ma Bocca non ne

è convinto. Vede Napoli in modo diverso. La considera una ‘nazione’ spenta, immobile, prigioniera del suo passato e delle sue tradizioni. E – riaprendo una polemica ormai ‘datata’ – individua nella cultura della ‘napoletanità’ e nel carattere dei napoletani l’origine dei mali di questa città. “Per i napoletani il peggio rientra nella normalità, anzi previene un peggio ancor peggiore. Napoli è una città dove il problema vero è sempre un altro, che altri dovrebbero risolvere, dove le regole valgono solo per gli altri. Il napole-tano individualista è convinto che se un intrallazzo lo fa lui sarà a fin di bene. Un altro vizio napoletano è quello della tolleranza complice, per cui tutto viene concesso, tutto perdonato perché pur isso adda campà”. Insomma Napoli è Napoli e basta. “È stata fatta così com’è oggi dalla storia”. Cose già dette, che Bocca ridice fuori tempo. Ricordate Pasolini?: “I napoletani oggi sono una grande tribù, che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Boja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso, in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte, di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia, o altrimenti la modernità”. La con-clusione è lapidare: “I napoletani hanno deciso di estinguersi restan-do fino all’ultimo napoletani”. Se ricordo bene, l’ultima discussione sulla napoletanità (o napolitudine, come negritudine) è stata promossa e pubblicata da Antonio Ghirelli una trentina di anni fa, a cavallo tra due bei volumi nei quali tratta la questione (“Storia di Napoli” e “Napoli italiana”). Che senso ha ritornarci oggi, come fa Giorgio Bocca, con parole di fuoco (“questa napoletanità è repellente, indegna di una grande città civile”)?

Se si tratta di una provocazione, ha trovato pane per i suoi denti nella lettera di Raffaele La Capria,

alla quale facevo prima cenno, che Bocca molto correttamente riporta nel suo libro. Il tono è amichevole e scherzoso, ma non c’è nessuna voglia di scherzare: “Sono con-vinto, caro Bocca, che come alla napoletanità farebbe bene un po’ della tua severità e del tuo austero moralismo, così a te farebbe bene, molto bene, un po’ della nostra napoletanità. Ti aiuterebbe a non pensare a blocchi, come fai, a capi-re che se Pulcinella è un ambiguo furbastro, anche Arlecchino è un servil furbastro, e che ogni paese ha la sua maschera che ne rivela le condizioni e le costrizioni, ma anche la fantasia per liberarsene. Ti renderebbe un po’ più duttile, più aperto alla pienezza della vita, che non è fatta solo di schemi concettuali in cui racchiuderla, ti libererebbe da quella monotona se-riosità da giustiziere che ti possiede e ti rende poco persuasivo anche quando dici cose condivisibili.” E chiude la lettera con soave ferocia: ” Credimi, io sarò pure consolato-rio con le mie teorie su l’Armonia perduta, ma a te non viene talvolta il sospetto di essere troppo spro-fondato nella sufficiente mentalità piccolo settentrionale?”. La Capria esprime così, con grande efficacia, una visione laica della vita e dei problemi del paese, convinto dei tratti comuni della sua storia e delle comuni possibilità di un suo futuro migliore. Perché “ogni paese ha la sua maschera che ne rivela le con-dizioni e le costrizioni, ma anche la fantasia per liberarsene”.

Comunque, ci piacciano o no, le posizioni espres-se in Napoli siamo noi

meritano rispetto. Ci costringono a misurarci, a ‘guardarci dentro’ tutti, napoletani e non napoletani. Con rigore e pacatezza. Senza i ‘deliri’ (come li definisce, a ragione, Giorgio Bocca) di Ermanno Rea, che considera il libro “l’invenzione di una vecchia scarpa littoria carica

OPPORTUNITÀ

Page 5: Numero 1/2006

[5]

di nostalgia” (addirittura!), scritto “da un razzista senza se e senza ma, che quasi quasi tira in ballo la forma del nostro cranio per dimostrare che il difetto è nel manico”. E senza le battute sprezzanti del Cardina-le Giordano: “Giorgio Bocca conosce Napoli come io conosco Sid-ney”. Siamo seri. Non fingiamo di credere che a Napoli non stia acca-dendo nulla. La città sta vivendo una fase estremamente difficile, segnata da un preoccu-pante scollamento so-ciale, da un progressivo smarrimento del ‘senso di comunità’, della fi-ducia nelle istituzioni, della cultura della le-galità. Sino a qualche tempo fa il giovane senza lavoro e senza prospettive quando veniva ‘reclutato’ dalla camorra sapeva di fare una scelta che lo por-tava ‘dall’altra parte’, che lo separava dalla maggioranza dei suoi amici e coetanei. Oggi non è più cosi perché nella coscienza di molti sembra non avere più senso la distinzione tra “questa e l’altra parte”. Questo non contraddice il paradosso Napoli di cui parla Paolo Macry, l’effervescenza di questi ul-timi tempi, “che non sarebbe però agevole ricondurre al paradigma di una città normalizzata”. Al contra-rio, sottolinea l’ambiguità e la com-plessità di una situazione in bilico, che può precipitare o può evolvere positivamente: dipende da noi. In questo senso davvero Napoli siamo noi. Noi tutti, intra ed extra moenia. Cominciando, ovviamente, dai go-verni nazionali, che non hanno una politica seria, un progetto ‘mirato’ per il Mezzogiorno e per le grandi città, e questo è un handicap molto serio, perchè l’autogoverno delle

regioni del Sud non può essere con-fuso con un improbabile e perdente ‘meridionalismo fai da te’, e perché Napoli non è un’isola, non può essere lasciata da sola alle prese col proprio destino.

Il che non esonera da una ri-flessione autocritica i poteri e le autonomie locali, le istituzioni dirette in questi anni dalla coalizione di centro sinistra. Avendo innanzitut-to coscienza di un fatto: che, come sostiene Arvey Cox, “quando non si creano i mezzi istituzionali per faci-litare il dialogo e la partecipazione sociale, la vita delle città è destinata a degenerare nelle guerre fra bande”. A Napoli non siamo a questo punto. Ma comunque sta qui uno dei più rilevanti limiti della sinistra: nel non aver compreso in tempo che l’ap-proccio leaderistico ai problemi della città, la ‘democrazia referendaria’, il comando ‘in presa diretta’ con i cit-tadini – in qualche modo inevitabili nella prima fase della svolta, con la crisi della politica e l’implosione dei

partiti agli inizi degli anni Novanta – non potevano durare a lungo. Bisognava promuovere nuovi spazi e strumenti di partecipazione alla vita cittadina. Di esperienza vissuta e condivisa dal più ampio schiera-

mento di forze sociali e politiche nella elabora-zione e nel controllo del-le scelte. Di formazione e selezione delle nuove classi dirigenti. Già a partire dalla seconda Giunta Bassolino si do-veva prendere atto del fatto che l’iniziale spinta propulsiva del centro sinistra si stava esauren-do, e che occorrevano profonde innovazioni, di contenuti e di metodi. Questo purtroppo non è accaduto. Alla fatica della ideazione si è pre-ferita l’arte del governo, che in termini elettorali ha indubbiamente pro-dotto ottimi risultati. Ma a quale prezzo e fino a che punto? Mi torna alla mente una fraterna ma ostinata polemica fra me e Maurizio Valenzi più

di venti anni fa: un secolo e un gior-no. Stanco, inquieto e impaziente, raggiungevo il Sindaco nella grande stanza d’angolo al secondo piano di Palazzo S.Giacomo, e battevo sullo stesso chiodo, un vero tormentone: Maurizio, per governare bisogna decidere. No, Andrea, per governare bisogna durare. Ma se per durare non si decide, che si dura a fare? E si per decidere ti fanno cadere, che si decide a fare? Le Giunte di sinistra governarono la città per otto anni, eroicamente, senza maggioranza in Consiglio comunale, alle prese con problemi drammatici, dal terrorismo al terremoto. Durarono e decisero tutto quello che si poteva decidere in quelle terribili condizioni. Poi vennero gli opachi anni Ottanta. Ma questa è un’altra storia.

OPPORTUNITÀ

Page 6: Numero 1/2006

[6]

…Lo abbiamo fatto a partire da una lunga intervista – conversa-zione concessaci da Rosario Villari, ospitando poi numerosi contributi e significative riflessioni, dedicando all’argomento un interessante con-vegno, pubblicandone poi atti e do-cumenti sul precedente numero.

Prospettiva euromediterranea della città, urbanistica e sviluppo, Napoli nella nuova Questione Me-ridionale, l’economia e il tessuto produttivo della nostra metropoli dopo la deindustrializzazione, la formazione delle sue classi diri-genti: su tali nodi abbiamo voluto dire la nostra e ascoltare le opinioni degli altri.

Abbiamo provato a rileggere e rielaborare gli ultimi decenni di vita politica e amministrativa della città, cercando di sviluppare una ri-flessione serena ed equilibrata – ma non per questo non stringente e puntuale – su risultati conseguiti e ritardi, purtroppo, accumulatisi nell’esperienza di governo del centro sinistra.

E lo abbiamo fatto animati da una forte volontà di confronto con i protagonisti di questa lunga stagione, con i vertici istituzionali e politici, di Comune, Provincia e Regione.

Nel frattempo tante altre cose sono successe e molti altri temi sono

emersi al centro del dibattito.Forse è il caso di evidenziarne

alcuni, di stimolare nuove discus-sioni pubbliche, proseguendo così

un percorso di approfondimento e di analisi critica che reputiamo in-dispensabile per realizzare un’idea di partecipazione alla vita pubblica

che non sia viziata da demagogia o astratta dal merito delle questioni.

A partire dalla vicenda, che ha certamente risvolti economi-

LA SICUREZZA A NAPOLI E NELLA SUA AREA

METROPOLITANA RAPPRESENTA UNA EMERGENZA

Ivano Russo

OPPORTUNITÀ

Page 7: Numero 1/2006

[7]

ci, industriali, produttivi, della cosiddetta “privatizzazione” del-l’acqua.

A nostro avviso tale questione ha purtroppo visto il prevalere di un approccio al tema – da parte delle istituzioni locali interessate e delle forze politiche – ideologico e semplicistico, probabilmente ri-flesso incondizionato di forme mai appieno superate di subalternità

culturale e politica nei confronti di soggetti, forze e movimenti so-stanzialmente antagonisti e prote-

statari. L’acqua è un bene pubblico e al contempo il diritto all’acqua è un diritto universale in quanto diritto alla vita: un assunto del genere non può essere smentito, ed è giustamente tutelato dalle leggi dello stato. Il tema però non è come portare l’acqua dove non c’è (non siamo in Africa), ma come evitare sprechi, inefficienze, mancanza di manutenzione, disservizi vari che dilapidano questa preziosa risorsa a discapito di cittadini e utenza.

Se ne può discutere pacata-mente? Si possono valutare costi e benefici di un eventuale coinvol-gimento di capitale privato nella gestione – mai nel possesso – delle risorse idriche? In tal caso, si può aprire un confronto su quali re-gole il pubblico debba fissare per conciliare e tutelare i principi di equità, giustizia e solidarietà con una gestione del servizio moderna ed efficiente?

Volendo, come sempre, dire la nostra con assoluta chiarezza ma al contempo ascoltare le ragioni altrui, proprio sullagestione delle risorse idriche abbiamo promosso, insieme a Il Denaro, una tavola rotonda a più voci, i cui atti sono pubblicati su questo stesso numero.

Sul versante politico la novità principale del-l’ultimo periodo è senza

dubbio rappresentata dall’avanzare delle candidature a Sindaco di Fran-co Malvano e

Marco Rossi Doria. Queste due scelte stimolano

qualche riflessione.Il fatto che un ex Questore af-

fianchi un ex Ministro degli Interni nella sfida sostanzialmente bipolare per la conquista della poltrona di primo cittadino a Napoli la dice lunga su quale sia la assoluta priorità vissuta a Napoli tanto dai cittadini quanto, probabilmente, dalla stessa classe politica.

Da questo punto di vista, il 2005

è stato davvero un anno horribilis. Tra livelli crescenti di micro crimi-nalità e atti vari di bullismo da un lato, e la faida di camorra a Scampia dall’altro, Napoli ha conosciuto tassi di reati violenti, aggressioni personali, denunce, estorsioni e morti ammazzati che non hanno pari in ogni altra città del mondo occidentale.

Alcuni specifici accadimenti hanno assunto un valore simbolico devastante: un pensionato ucciso a sprangate a ora di pranzo, per sottrargli la pensione, in una Piazza Dante gremita di cittadini, negozi aperti, turisti, ristoranti pieni; un giovane cameriere ucciso davanti ad una pizzeria a Capodichino dopo essersi rifiutato di servire da bere – all’esterno del locale – a due malviventi in auto incuranti di chi stesse in fila per ordinare la cena; lo stupro di una ragazza, da parte di quattro balordi, una qualsiasi domenica mattina in Corso Vittorio Emanuele.

Tutto questo mentre Gian Anto-nio Stella, nell’editoriale di prima pagina del Corriere della Sera, ci ricorda che il 70% dei comuni sciolti per infiltrazioni camor-ristiche negli ultimi anni sono concentrati nelle tre province di Napoli, Palermo e Reggio Calabria e che proprio nella provincia di Napoli, su 92 comuni, oltre 80 o sono o sciolti, o vi è presente e al lavoro una commissione d’accesso prefettizia o sono, quantomeno, “sotto osservazione” del Ministero degli Interni.

Se allora la sicurezza a Napoli e nella sua area metropolitana rap-presenta una emergenza, è giusto aprire un dibattito – come facciamo in questo stesso numero – su quali siano gli strumenti più adeguati da utilizzare per contrastarla. Anche superando timidezze culturali e sottili dispute terminologiche, perniciose agli occhi di comuni cittadini sempre più intimoriti e disorientati.

OPPORTUNITÀ

Page 8: Numero 1/2006

[8]

La candidatura di Rossi Do-ria induce a qualche osser-vazione più propriamente

politica. Si tratta di una candidatura che nasce “dentro” il centro sinistra. Intellettuali, figure di spicco del mondo imprenditoriale, settori importanti dell’associazionismo e della società civile e, soprattutto, tanti cittadini si stanno ritrovando attorno al progetto politico del “maestro di strada”. Allo stato è impossibile avanzare previsioni circa il reale consenso che tale candidatura riuscirà ad aggregare. Tuttavia c’è un dato politico innegabile: l’area di malessere e insoddisfazione dentro il mondo di riferimento e all’interno del bacino elettorale della coalizione che governa Napoli da tredici anni si va espandendo e comincia a deli-nearsi quale progetto alternativo.

Questo dato pone un problema ai governi locali (Comuni, Provincia e Regione) relativo al come evitare di apparire quale un fortino assediato, impegnato nella gestione del potere, incalzato da chi, animato da un sano spirito di riscossa civile, tenta di pro-durre idee, contenuti, proposte,

Sappiamo bene che la realtà è assai più complessa, ma in politica contano molto anche simboli e percezioni. Per dirne una: ha molto colpito, nei giorni scorsi l’iniziativa spontanea dei cittadini del Centro Storico riuniti nel movimento “De-coro e Dignità”. Le associazioni della zona hanno deciso di protestare contro il degrado e l’abbandono dei Decumani e del Centro Antico, chiedendo ai cittadini di esporre un semplice lenzuolo bianco da ogni balcone, quale simbolo di una resistenza civile e di un’azione di sensibilizzazione verso enti locali considerati distratti e colpevoli. In pochi giorni i drappi sono diventati oltre duecento.

Forse anche in questo caso si tratta solo di un simbolo. Ma troppi simboli compongono una sintomato-logia che ha comunque tratti preoc-cupanti. Molto di questo malessere

– e non solo di questo – è stato di recente descritto da Giorgio Bocca nel suo ultimo lavoro Napoli siamo noi. Ne parliamo in altra parte della rivista.

Tanto per essere chiari: di-scutere di queste cose non significa condividerle. Ma

sarebbe grave e insopportabile far finta di nulla.

Certo, si potrebbero elencare anche i risultati amministrativi conseguiti in questi anni, il tanto lavoro svolto e i progetti avviati, le realizzazioni, le numerose difficoltà che si incontrano nel governare una realtà tanto complessa e difficile come la nostra.

Tutto vero, ma qui non stiamo dando una valutazione sull’operato della Giunta Comunale arrivata al termine del suo mandato. Lo ha fatto con misura ed efficacia il Sindaco Jervolino nel Convegno che di recente abbiamo promosso (Napoli, problemi e prospettive), e i cui atti sono stati pubblicati nell’ultimo numero della rivista. In quanto a noi, non abbiamo pesi e contrappesi da mettere sui due piatti della bilancia. Vogliamo piuttosto capire perché Napoli – che si tratti di rifiuti o di

acqua, di camorra, degrado urbano o disoccupazione – sia diventata nell’ultimo periodo, per un’ampia fetta di opinione pubblica, una sorta di caso nazionale, prevalentemente al negativo. Come dire, allora, qual-cosa su Napoli senza ripetere il già detto, senza tornare su

Analisi e proposte da altri e da noi stessi già abbondantemente trattate?

Forse è più utile tenere aperto uno spazio, su questa rivista, dedi-cato alla città, ai suoi problemi, alle possibili soluzioni, alle sue speranze. Forse è più utile, almeno di qui alle elezioni amministrative, fare di Mezzogiorno Europa un’arena del confronto, un laboratorio di idee, un contenitore di iniziative che parlino a Napoli di se stessa e al paese del suo futuro.

Ovviamente senza tradire mai i due assi di riferimento nostri e della città: il Mezzogiorno e l’Unione Europea, o meglio il Mezzogiorno e Napoli dentro l’Unione Europea. Contribuendo così anche allo sforzo di innovare in dibattito sull’avvenire della città, che al di fuori della pro-spettiva meridionalista ed eurome-diterranea apparirebbe francamente assai improbabile.

OPPORTUNITÀ

Page 9: Numero 1/2006

[9]

Il precedente numero di questa Rivista (novembre/dicembre 2005) riporta gli

atti del Convegno promosso da MEZZOGIORNO EUROPA su “Napoli, problemi e prospettive”, che si è svolto nel novembre scorso.

Avevo – nella previsione del numero della Rivista dedicato al Convegno – scritto qualcosa che però per l’organicità del fascicolo non è stato pubblicato.

Non mi sono dispiaciuta. Ma mi piace riproporlo oggi, e senza modificarlo.

Perché? Non certo per testardaggine, ma

perché c’è del nuovo che lo riporta attuale: i forum di ascolto attivati dalla Sindaco di Napoli on. Rosa Iervolino.

Il mio contri-buto rifletteva la preoccupazione che- nonostante le analisi e i pun-tuali approfondi-menti su Napoli – nel Convegno fosse stato sbia-dito il fatto che è la sua stessa di-mensione urbana a costituire pro-blema. E che, di conseguenza, le ipotesi avanzate di nuove pro-spettive per la Città – avessero messo tra paren-tesi la questione metropolitana: una forma di prudente rispet-

to per le avvertibili difficoltà po-litiche a condividere l’esigenza di una nuova dimensione urbana, ma che, malgrado tutto, sta maturando nei fatti?

Con due appuntamenti Mez-zogiorno Europa aveva inteso dare centralità a questa fase critica che attraversa Napoli, e da parte mia avevo scritto:

Riflessione su Napoli e il suo futu-ro. ( Febbraio 2004) Napoli, problemi eprospettive. (Novembre 2005)

Sono i titoli dei due convegni che, a distanza di quasi due anni, ha promosso il Centro di Iniziativa Mezzogiorno Europa.

Il secondo titolo mi è sembrato quasi un invito a superare la fase

riflessiva sulla questione Napoli offrendo la traccia ( problemi, pro-spettive) per discutere a più voci orientamenti, intenzionalità, politi-che urbane per la Napoli futura.

Per l’incontro del 2004 non ave-vo posto particolari attese di novità: a due giorni dall’approvazione del PRG davo per scontata la convinta conferma di un ri-disegno /Napoli che in Napoli si sarebbe concluso. Non avevo, però, compreso le ragioni dell’attenzione tiepida alla periferia della Città.

Alla periferia urbana e extra urbana non basta qualche servizio primario in più, qualche attrazione itinerante…o qualche albero… mi sembrano terapie placebo. Forse c’è bisogno di un impegno, sia pure

inedito, per fare nuova geografia urbana, che possa aiutare a ritessere quei legami ma-teriali e immate-riali con la Città ( e con altri centri dell’area napole-tana) che si sono c o n s u n t i . P e r questo, ho fatto un breve accenno alla periferia ur-bana sul supple-mento della Rivi-sta Mezzogiorno Europa, edita a margine di quel Convegno.

In quanto al secondo incontro, invece, mi aspet-tavo un più di ra-gionamento sul-la Napoli fisica: i due anni trascorsi

OCCORRE UNA DIMENSIONE PIÚ VASTA DI NAPOLI

Eirene Sbriziolo

DOPO IL CONVEGNO SUI PROBLEMI E LE PROSPETTIVE DI NAPOLI

OPPORTUNITÀ

Page 10: Numero 1/2006

[10]

e l’aggravamento di disagi e la per-sistenza di nodi irrisolti chiamano in causa pesanti situazioni di fisicità. Non ci sono state, però, attenzioni specifiche ad una nuova dimensio-ne urbana per Napoli, e nemmeno qualche apertura per sperimentare realistiche opportunità per superare barriere municipalistiche e solo in termini territoriali, senza mettere, cioè, in discussione prerogative istituzionali locali : perché se queste ultime costituiscono preoccupazio-ni, oggi esistono leggi e consolidati istituti giuridico amministrativi che consentono di operare per sovraco-munalità.

E, quindi, si tratterebbe di pro-vare a condividere una diversa geo-grafia dell’urbanità, così rendendo esplicite le ragioni dell’esigenza di una dimensione più vasta di Napoli, e del perché occorra questa dimen-sione, e del come occorra che sia.

E quindi si potrebbe pas-sare ad approfondire, e meglio se anche a

sperimentare:• perseguibilità dentro la nuova

geografia di percorsi di urbanizza-zioni e di trasformazioni di contesti urbani che sia con Napoli che tra di essi ormai si includono ;

• possibilità di ricomporre realtà urbane e periferie che- interstiziali ormai fra luoghi e luoghi- stanno declinando la loro appartenenza originaria in indifferente gravita-zione;

• costruzione di sistemi di va-riabili spaziali e dimensionali di opzioni strategiche ai fini di attivare più efficaci e realistiche politiche operative urbane e territoriali.

E altro ancora.Ci sono state, a partire dagli anni

sessanta del secolo scorso, per lo meno sei elaborazioni ufficiali d’im-postazioni per l’area metropolitana di Napoli poi accantonate. Ne ri-chiamo soltanto due: quella redatta in base all’articolo VIII della legge 219, emanata in conseguenza del si-

sma dell’ottanta, e quella recente del 2004 proposta dal Piano territoriale della provincia di Napoli

In quanto alla proposta degli anni ottanta furono i pesanti eventi (e il rapimento Cirillo ) a consigliare una prudente discussione nelle sedi istituzionali locali… e poi fu defini-tiva rimozione…

Non capisco, invece, le ragioni della sordina messa al Piano pro-vinciale di Napoli: sarebbe stato comunque utile un confronto critico allargato, se non altro per capirci su cosa vogliamo per l’area metropoli-tana di Napoli.

In sintesi i punti principali del ptcp:

• articolazione del territorio metropolitano di Napoli secondo un sistema policentrico,

• costruzione di condizioni di relazionalità (materiali e immateriali) nuove e vitali tra i luoghi dell’area, capoluogo incluso,

• ricerca di dimensioni più rispondenti strategicamen-te ad una programmazione operativa per risultare effi-cace e garante di condizioni di compatibilità tra azioni e territorio.

Intanto, ormai è un rituale il riferimento a Barcellona e- siccome

in questo incontro non s’è fatta eccezione-ora ricordo io la posizione del catala-no Manuel Castells (2005) sociologo e pianificatore urbano.

Che scrive: “Il ruolo chiave della pianificazione nei centri urbani dell’età dell’informazione è quello di potenziare al massimo la connettività, sia intra-metro-politana che inter metropolitana, migliorando la capacità dell’area cittadina di operare nello spazio dei flussi …la pianificazione deve riuscire a collegare questi nodi con lo spazio fisico…Questo

significa che la pianificazione dovrebbe agire su scala cittadina potenziando il decentramento, evitando la segregazio-ne spaziale e opponendosi alla forma-zione di aree di esclusione, integrando gli apparati di istruzione, migliorando l’efficienza dei trasporti… e superando il tradizionale schema dello spazio verde …e andando oltre la specializzazione e segregazione funzionale della passata urbanistica… con la formazione di una costellazione di subcentri nell’area metropolitana…”.

E in conclusione per Castells “l’obiettivo è quello di strutturare gli spazi in maniera ottimale, per potenzia-re la connessione e la complementarietà tra potere economico del centro urbano e qualità della vita dei suoi abitanti”.

Già vent’anni or sono, in vista della riforma degli Enti Locali,

OPPORTUNITÀ

Page 11: Numero 1/2006

[11]

Massimo Saverio Giannini diceva che “ in Italia l’area metropolitana è un problema urbanistico, come pro-blema amministrativo non esiste” e Paolo Urbani, per esemplificare l’aspetto della configurazione isti-tuzionale dell’area metropolitana, proponeva quattro variabili: territo-rio – efficienza – democrazia/partecipa-zione – spesa. Poi, sottolineava quelli che a lui sembravano “i problemi di fondo che coinvolgono da sempre i poteri locali” ponendo binomi: territorio /efficienza e territorio /democrazia.

Non sono argomenti interessanti per ripar-lare di area metropo-

litana?E di area metropolitana nei forum

si è ri-parlato, eccome.

Nel primo (Napoli e la sua vocazio-ne mediterranea:dalla programmazione urbana alle politiche per lo sviluppo e l’occupazione ) Gennaro Biondi, ha iniziato la sua relazione impostando una derivata : “non c’è sviluppo ur-bano senza internazionalizzazione oggi, non c’è internazionalizzazione senza il riassetto delle funzioni urbane a Napoli. E suggerisce la ri-posizione della Città nello scac-chiere regionale e mediterraneo. E prioritariamente nella Regione, consapevole, come egli è, che le trasformazioni in atto nel retro-terra metropolitano individuano nella periferia urbana allargata di Napoli il ‘nuovo baricentro econo-mico e demografico della Regione’ …per intersecare la diversa logistica dell’area che si caratterizza con

l’interporto, il Tarì, il Cis, il polo della qualità, il terminale dell’alta velocità…”.

E, quindi, aggiunge anche il rafforzamento e la creazione di funzioni di eccellenza, capa-ci di intercettare “la domanda che viene dall’altra sponda del Mediterraneo”.

E in questi fatti legge “una sorta di delega all’area metro-politana”.

Gennaro Biondi e gli al-tri intervenuti, dato il tema del forum cui partecipavano, avevano di che spaziare in argomenti, e la questione area metropolitana non poteva non essere centrata.

Meno scontato era invece che la ri-proposizione avve-nisse nel Forum dedicato alla manutenzione e riqualificazione urbana, ambiente, periferie, qua-lità e decoro della città, dove con-tributi di merito a politiche più puntuali per la città avrebbero potuto prevalere sul progetto/Città di ampio respiro.

E invece…comincia Isaia Sales a richiamare l’esigenza di un progetto/Napoli che riguardi non soltanto il suo fu-

turo ma anche quello della regione Campania. E questo per Sales vuol dire dover “risolvere un problema politico e culturale …” per far sì che Napoli “si senta e si riconosca nella dimensione regionale”.

“…Napoli è stata una città- mon-do, una città-nazione…non riesce ad essere capitale di Regione”. Perciò non bastano risposte ai problemi di Napoli se queste non sono proietta-bili in una dimensione oltre la Città per costruire un sistema metro-poli- città minori (medie e piccole città ), capace di riconsiderare le stesse periferie degradate dentro la comune convivenza (e perché no?) “investendo sull’integrazione, la promiscuità, il meticciato …su-perando il dramma sociale della separazione”.

Anche ad Adriano Giannola il tema del forum della manutenzione e riqualificazione…sembra gli vada stretto e dice subito che l’intervento sulla realtà urbana di Napoli deve essere riguardato secondo un’ottica che inquadri strategie di sviluppo regionali, e più complessivamente meridionali per fare di Napoli una città metropolitana: un problema politico fondamentale per dare alla Città “la giusta dimensione istitu-zionale”.

Inoltre, coerente nel sottolineare che la stessa attenzione per la rea-lizzazione di interventi nel centro storico, di riqualificazione o manu-tenzione, rischierebbero l’insucces-so in assenza di politiche operative di riequilibrio sulla realtà esterna, “quella dei ghetti delle periferie”, da promuovere ad aree di urbanità e interrelabili secondo una nuova dimensione napoletana…

Altri interventi e differenti lessici culturali, disciplinari, sindacali… di cittadini direttamente provati non hanno tradito un filo conduttore: di domanda per una Napoli metro-politana.

E allora…ringrazio il Direttore Geremicca che oggi mi ospita, e in compagnia.

OPPORTUNITÀ

Page 12: Numero 1/2006

[12]

Sul finire del 2005, il Consiglio dei Ministri ha svolto l’esame pre-

liminare del decreto legislativo concernente “disposizioni cor-rettive ed integrative al testo unico delle leggi sull’ordina-mento delle autonomie locali relative all’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali”. In quel testo è riscritta tutta la parte concernente le “cit-tà metropolitane”, i cui albori risalgono alla prima legge siste-mica di riforma dell’ordinamen-to delle autonomie locali la 142 del 1990, e poi successivamente riproposta in tutte le successive leggi di riforma fino al decreto legislativo 267/2000 che, in quanto testo unico assorbe ed abroga tutte le precedenti nor-mative in materia (tranne quelle parti espressamente confermate in vigore).

Sulle “città metropolitane” occorre ricordare che il punto più alto è stata la legge di ri-forma costituzionale del titolo V della carta approvata dal parlamento sul finire delle pre-cedente legislatura. Le “città metropolitane” sono assurte a dignità costituzionale.

Questo richiamo storico-legi-slativo non è ininfluente ai fini del ragionamento che intendia-mo svolgere sulla necessità di affrontare i temi del governo metropolitano del territorio na-poletano, perché la realtà di cui vogliamo occuparci è cresciuta in termini edilizi ed urbanistici, in termini economici con una complessità ed un disordine scarsamente o malamente go-vernata dalle istituzioni pubbli-

che, avendo sempre esse sullo sfondo la necessità di operare scelte e proporre atti di governo che tenessero conto delle conse-guenze metropolitane dei loro atti, ma in assenza di riferimenti istituzionali di governo della vasta area che con il capoluogo rappresenta un’immensa realtà urbana.

Nel convegno che di recente la rivista “Mez-zogiorno Europa” ha

svolto su Napoli, esaminandone i problemi e misurandone le prospettive, il prof. Gravagnuolo in particolare si è soffermato sul tema, riscontrando i limiti del nuovo piano regolatore della città, finalmente varato dopo anni ed anni di dibattiti, proprio in funzione di quella che chiama la “metropoli diffusa”. Il nuovo testo predisposto dal governo propone nuove procedure per la istituzione della “città metro-politana” con un meccanismo, secondo quando ha assicurato il Ministro Pisanu nella conferenza stampa di illustrazione del prov-vedimento, che obbliga, una volta assunta la decisione, a chiudere il procedimento con l’istituzione del nuovo livello istituzionale.

Per la verità è d’obbligo ram-mentare che tutte le precedenti stesure del testo erano intese a questo fine. Tuttavia dal lontano 1990, nessuna “città metropo-litana” è stata istituita e in un recente convegno dell’Ance a Milano, il Ministro La Loggia è stato “onesto” nell’indicare che, allo stato, le vere “città metropo-litane” sono solo Napoli, Roma e Milano. Come è noto la legge

ne individua ben nove (Torino, Milano, Genova, Venezia, Bo-logna, Firenze, Roma, Napoli, Bari) a cui con propria legge, la Sicilia ne ha indicate altre tre, Palermo, Messina e Catania. Una valutazione un poco più approfondita suggerirebbe l’in-dividuazione di quattro grandi aree metropolitane nel nostro paese: l’asse Milano-Torino, per-corribile ormai in circa un’ora (in ogni grande città spostarsi da una capo all’altro comporta anche molto più tempo); l’asse Venezia-Padova; Roma capitale, città molto estesa; Napoli e il suo hinterland dove solo un cartello segnaletico ricorda all’ignaro viandante che si sono superati i confini amministrativi.

Napoli, quindi, il cui futuro non può essere più pensato solo guar-

dando alla vecchia cinta daziaria, poco ha lavorato e fatto per porsi capofila di una riorganizzazione istituzionale: solo nell’ultimo scorcio della prima esperienza Iervolino è riuscita a cambiare le circoscrizioni di decentramento in “municipalità”, dieci per la precisione, con poteri e funzioni nel settore, delicato e da sem-pre palla al piede del governo cittadino, della manutenzione urbana, dei servizi sociali, della scuola, cultura, sport e tempo libero, delle attività commerciali a scala locale.

Ed il rimprovero, ripreso da Gravagnuolo nel suo intervento al Convegno citato, è quello di avere sprecato la storica occasio-ne del piano regolatore per dise-gnarlo avendo come riferimento

OLTRE LA CINTA DAZIARIANando Morra – Giovanni Squame

DOPO IL CONVEGNO SUI PROBLEMI E LE PROSPETTIVE DI NAPOLI

OPPORTUNITÀ

Page 13: Numero 1/2006

[13]

la scala metropolitana della città. Ad onor del vero la relazione di accompagnamento del piano uno sforzo in questa direzione lo compie; probabilmente non è stato sufficiente, nel senso che vi si trova sottolineata la dinamica di “area vasta” soprattutto nel-l’esame della situazione edilizia e dei problemi della situazione abitativa della città. In ogni caso, proposte di trasformazione così profonde ed equilibrate come quelle approvate dal piano ur-banistico comunale non possono non costringere i comuni del-l’”area vasta” a tener conto delle modificazioni, delle destinazioni e dei cambiamenti che interver-ranno nell’assetto del territorio della città-capoluogo.

Misure e destinazioni che, comunque, nelle fasi di ela-borazione del piano, hanno impegnato il servizio di urba-

nistica in rapporti ed incontro con analoghi servizi delle città dell’hinterland. Non credo sia senza conseguenze apprezza-bili per i comuni confinanti con i quartieri collinari della città, l’aver istituito il “grande parco delle colline napoletane” e aver deciso l’istituzione di due grandi parchi urbani ad occidente ed ad oriente sull’esempio delle grandi capitali europee di cui si apprezza il livello di vita civile raggiunto o l’aver trasformato Bagnoli da città-industriale in luogo turistico e potenziale polo del tempo libero, o l’aver ricon-fermato per l’area est la desti-nazione produttiva. A sostegno della filosofia di fondo, è anche opportuno sottolineare l’impor-tanza come punto di partenza di un processo “in progress”, un altro atto politico del Consiglio comunale.

Il Consiglio Comunale ha anche prodotto, infatti, un testo di mozione che si accompagna al prg nel quale si affida alla Giunta la responsabilità di una forte iniziativa per sopperire al deficit di un piano a scala me-tropolitana, in fase di attuazione degli obiettivi della pianifica-zione. Intanto il Consiglio si è orientato a proporre gli attuali confini provinciali come i confini della futura città metropolitana. Occorre procedere, rispettando l’indirizzo politico dell’Assem-blea della sala dei Baroni, a pro-muovere assemblee dei comuni e delle altre istituzioni pubbliche dell’area metropolitana, con la Provincia e gli altri enti locali interessati al fine di definire ac-cordi tra amministrazioni diver-se per l’attuazione di programmi integrati di opere pubbliche, di insediamenti produttivi, abitati-

OPPORTUNITÀ

Page 14: Numero 1/2006

[14]

vi, di servizio e di qualificazione unitaria dei territori a cavallo di più comuni. Il Consiglio ha anche già indicato temi che in prima istanza potrebbero costi-tuire terreno per la promozione di accordi interistituzionali.

La riqualificazione am-bientale: a tal propo-sito si è già ricordato

il parco delle colline nell’area nord, ma c’è anche il parco del Sebeto nell’area est; il tema delle abitazioni, assumendo il fabbisogno di case una delle priorità programmatiche che si può risolvere solo con un “piano casa” a scala metropolitana; il piano della mobilità che oltre a concentrarsi sulla mobilità su ferro, comporta la necessità di verificare su scala interurbana l’utilità di alcuni assi stradali di collegamento tra la Circumval-lazione Nord, la Via Appia, la zona orientale e tra l’Appia e la zona flegrea, oltre naturalmente a verificare il posizionamento dei terminal autostradali. Così come, dopo Porto Fiorito e il pia-no regionale, è utile e necessario una verifica del piano della por-tualità sull’intera fascia costiera provinciale; indispensabile per la riqualificazione dell’area est è la disponibilità dell’area dei petroli. Non è quindi sbagliato, anzi è necessario ed urgente un tavolo istituzionale tra Comune, Ente provincia, con il coinvolgi-mento della stessa Regione e dei petrolieri al fine di individuare direttrici per la delocalizzazione (il Consiglio ha indicato l’area costiera a nord di Napoli) ed un complesso organico di iniziative per la riqualificazione produttiva dell’area interessata. È del tutto evidente che un ruolo più attivo della politica avrebbe contribuito a rendere più chiaro il respiro metropolitano delle scelte urba-nistiche operate a Napoli.

Come, però, lo stesso Gravagnuolo ha l’op-portunità di notare

è il “piano di coordinamento della provincia” che può svol-gere la funzione di raccordo metropolitano tra le scelte ur-banistiche del capoluogo e le realtà territoriali metropolitane. Piano che fu approvato in prima lettura dall’aula di Santa Maria La Nova e che oggi è sottoposto a revisione sulla base dei rilievi politici avanzati (e che, come ben si ricorderà, portarono alle dimissioni dell’Assessore che ne portava la paternità) e dell’approvazione della legge urbanistica regionale con nuove competenze assegnate all’Ente Provincia. La complessità dei problemi dell’infinita conurba-zione napoletana, strettamente intrecciati con i problemi della città capoluogo e le stesse scelte di politica infrastrutturale (si pensi al settore trasportistico e in particolare alla costruenda me-tropolitana regionale, alla TAV ed alle politiche tariffarie nel set-tore) della Regione Campania, esigono quantomeno l’avvio di un processo di coordinamento dei comuni dell’area vasta, recuperando quanto previsto dalla precedente normativa sulla costruzione della città me-tropolitana che, per l’appunto, affidava questo compito all’isti-tuto regionale.

La Regione Campania dovrà innescare tale processo, certamente

complesso, non facile, risolven-do molteplici contraddizioni e localismi con procedure lungo un sentiero condiviso delle scelte che esigono una scala più ampia rispetto agli stretti confini cittadini: si pensi alle politiche ambientali, allo smaltimento dei rifiuti, ai trasporti, già ricordati, e più in generale alle politiche

della mobilità, alle politiche della salute con gli insediamen-ti di presidi ospedalieri, allo stesso necessario monitorag-gio sul consumo del territorio, condizione essenziale per una politica pubblica di governo del territorio, alle politiche di incentivazione della ricerca e degli insediamenti produttivi, alla necessità di un più ordina-to quadro degli insediamenti della grande distribuzione, alle stesse politiche del tempo libe-ro e quelle della sicurezza che comportano la necessità anche di scelte sovracomunali.

Si avverte palpabile sul fronte del governo ordinato e traspa-rente del territorio, soprattutto nel settore urbanistico, la neces-sità di affrontare i grandi temi del nostro tempo con un’ottica che tracimi il singolo spazio amministrativo. Napoli e la sua area metropolitana sono stretta-mente interconnessi. Pochi dati per un quadro di sintesi utile per comprendere le specificità regio-nali e la “particolarità” dell’area metropolitana di Napoli. Il “na-policentrismo” di ieri e di oggi nasce dalla realtà e, dunque, dalla storia politica, economica e sociale della Campania e del Mezzogiorno.

La prima rilevante contrad-dizione è data dal rapporto tra l’area metropolitana di Napoli e la regione. Nella Provincia di Napoli, che insiste su circa l8,5 del territorio regionale, vive circa il 60% della popolazione campana. La città di Napoli ha più abitanti di tutta la Provincia di Salerno. Alcuni Comuni della Provincia di Napoli per numero di abitanti sono omologabili a numerosi capoluoghi di Pro-vincia.

La conurbazione napoletana, da Est ad Ovest (Pozzuoli – Ca-stellammare di Stabia) e dal fronte mare verso le direttrici

OPPORTUNITÀ

Page 15: Numero 1/2006

[15]

Napoli-Caserta e Napoli-Avel-lino, è caratterizzata dalla forte espansione urbanistica e abita-tiva che negli ultimi decenni ha investito numerosi Comuni che, ormai, sono vere e proprie “Cit-tà medie”. Senza, però, risorse fondamentali: territorio, strut-ture, servizi adeguati (trasporti, scuola, sanità, centri sociali e sportivi, parchi, ecc.). In ogni caso, il “fai da te” conseguenza del localismo esasperato non da risposte equilibrate e moderne ai bisogni dei cittadini, dalla “sicurezza” alla mobilità, ai servizi sociali, alla fruibilità di strutture adeguate dalla cultura, allo sport, al tempo libero.

Questo sistema di “città me-die” costituisce, ormai, senza soluzioni di continuità sull’in-tiero territorio provinciale, un “unicum” urbanistico, sociale, economico. La città di Napo-li ingloba e, al tempo stesso, proietta nell’esiguo territorio provinciale tutte le problemati-che di una “area” metropolitana “senza governo metropolitano”. In sostanza, da Napoli a Caserta da un lato e, dall’altro, fino a Salerno, non c’è discontinuità nel tessuto urbano.

La esplosione urbanistica d’assalto, senza regole e, spesso in molte ed individuate aree “pilotata” dalla camorra, l’ad-densamento abitativo, la caren-za strutturale di opportunità di lavoro, la deindustrializzazione totale senza alternative, con uno sviluppo soltanto del ter-ziario precario e della grande distribuzione, la arretratezza socio-economica-culturale, la assoluta mancanza di politiche e strategie di attacco in rapporto allo sviluppo, all’occupazione, al livello di servizi civili e sociali, alla formazione, alla scuola ed alla cultura, determinano uno scenario ed una condizione che favorisce ed alimenta condizio-

ni ottimali per la pervasività della criminalità organizzata e l’insorgere e la diffusione di un “malessere ambientale” che fre-quentemente si traduce in con-nivenze e pratiche illegittime ed illegali di amministratori e grup-pi interessati. Il “gonfiamento” di tante città ha fatto saltare le sia pure limitate funzioni di aggregazione, di orientamento e partecipazione dei cittadini proprie dei partiti politici.

Nel corso degli ultimi anni, sotto la spinta di pressanti cam-pagne politiche in ogni sede (Parlamento, Commissione Antimafia – stampa, dibattiti, ecc.) da parte di alcuni senatori e deputati di AN, sono state inviate “Commissioni d’acces-so” in importanti Comuni della Provincia di Napoli governati dal centro-sinistra e con Sindaci di alto profilo professionale, cul-turale e politico. In alcuni casi c’è stato lo scioglimento dei Consi-gli Comunali. In particolare, si tratta di città-medie dell’area metropolitana con Sindaci di sinistra, dove il centro-sinistra aveva riconquistato o conqui-stato la maggioranza.

Esempi: PORTICI

abitanti nr. 58.494Sindaco:

Avv. Leopoldo Spedaliere, DS

MARANO DI NAPOLIabitanti nr. 58.645

Sindaco:Dott. Mauro Bestini – Prc

In questi come in altri casi, sia il TAR che il Consiglio di Stato, hanno annullato i prov-vedimenti amministrativi rein-tegrando i Sindaci interessati. Anche questa problematica, testimoniata da circa 80 Co-muni indagati e molti anche “sciolti”, sollecita una rifles-

sione sulla assoluta esigenza di una complessiva “governance” del territorio metropolitano. Sono queste le connotazioni del quadro su Napoli e l’area me-tropolitana. Napoli, da sempre riferimento centrale e motore economico-sociale-culturale per la provincia e la stessa Cam-pania, sta attraversando una delicata fase di transizione che richiede strategie innovative in ordine allo sviluppo ed al governo non solo delle singole città-unità ma dell’insieme del territorio metropolitano.

Qualsiasi sforzo perché Napoli sia una città ”normale” e perché

le popolose comunità che la circondano possano aspirare ad uno sviluppo razionale esige un raccordo delle politiche e delle scelte: la responsabilità appartie-ne non alle generazioni future, ma all’attuale classe dirigente. Ritardare ancora l’avvio di un processo di governo unitario del vasto territorio metropoli-tano non può che condannare le nuove generazioni ad un destino di anonimato in una grande e tumultuosa periferia nella quale i destini della parte meno protetta della popolazione possono in maniera irreversibile essere segnati dal degrado e dall’emarginazione. Con quali conseguenze sulla civiltà del-la vita quotidiana si può solo amaramente ipotizzare. È qui la genesi della questione primaria che investe il futuro della com-plessa comunità sociale che ha radici nell’area metropolitana e che declina due scenari possibili e purtroppo alternativi destinati ad incidere sulla stessa regione: potenzialità di sviluppo e decli-no. È la sfida dei tempi nuovi per la politica, per le istituzioni e per l’intiero sistema delle Au-tonomie in Campania.

OPPORTUNITÀ

Page 16: Numero 1/2006
Page 17: Numero 1/2006

Andrea GeremiccaNel promuovere questa discussione sulla importante

e complessa questione della gestione dell’acqua, la nostra principale preoccupazione è stata, avendo un’opinione precisa e definita, quella di assicurare la presenza a questo tavolo di altri punti di vista, di chi ‘la pensa di-versamente’, convinti come siamo della necessità di un confronto serio, libero, aperto. Perché mi pare che sino ad oggi sul problema siano emersi molti, troppi elementi di irrazionalità e di emotività, troppi ‘fondamentalismi’, che non si spiegano a fronte di una materia che invece va affrontata con serenità e criterio.

E’ facile prevedere che la riflessione di stasera si soffermerà soprattutto sulla gestione del servizio idrico. Tuttavia io credo che questo non sia il punto fonda-mentale. Premesso che personalmente propendo per una soluzione mista pubblico-privata, che garantisca efficienza ed equità, credo che assieme agli strumenti, ai ‘contenitori’, dobbiamo sforzarci di capire quale sia la maniera migliore di gestire questo servizio. Quello che occorre, a mio avviso, è una seria ‘politica industriale locale’ che garantisca competenze, managerialità, pro-grammi, e un uso equo e ottimale delle risorse. Tutto ciò a partire da un controllo rigoroso e programmato della mano pubblica, e sulla base dell’indiscutibile assunto che le fonti rimangono pubbliche e che il servizio ha un preminente carattere sociale.

Indiscussione non è l’alternativa tra pubblico e privato, ma la grande questione di quale futuro vogliamo per la città. Vogliamo fare di Napoli una città moderna e

normale? Si? Allora, per fare un solo esempio, guardiamo al servizio di raccolta dei rifiuti, e domandiamoci se deve rimanere quello che è oggi, o se deve essere trasformato in una grande intrapresa produttiva e industriale, capace di procedere non solo alla raccolta, ma anche alla trasfor-mazione dei rifiuti.

Vorrei rivolgere un ringraziamento ad Alberto Luca-relli ed a Sergio Marotta per il rigore con il quale portano avanti una tesi che può essere più o meno condivisa, ma che da altre parti non è stata affermata con altrettanto metodo. Lo stesso ringraziamento, con tutta franchezza, non posso rivolgerlo a chi, come il Presidente dell’Ac-quedotto pugliese, ha salutato la repentina decisione della Campania di affidare l’acqua ad una gestione inte-gralmente pubblica, con espressioni del tipo “I mercanti hanno perso”. Ho trascorso quindici anni alla Camera dei deputati, prima in Commissione lavori pubblici e poi in Commissione bilancio, e ricordo che l’Acquedotto pugliese tornava ogni anno in Parlamento, insieme ai forestali della Calabria ed ai disoccupati napoletani, per bussare alle casse dello Stato come un grande dramma sociale, economico e finanziario. Vogliamo risolvere sul serio problemi come questi, o preferiamo dire, in un ec-cesso di retorica, che “Napoli passerà alla storia” per la sua opzione pubblica, e intanto non muoviamo un dito per sanare enormi carrozzoni, vere e proprie idrovore senza fondo di risorse pub?

Sulle cose scritte da Lucarelli e Marotta nel citato opuscolo, due osservazioni. La prima: nelle proposte avanzate ho trovato più auspici che esperienze testate e documentabili. Il quadro, per molti versi interessante,

In quanto bene essenziale ed indispensa-

bile l’acqua deve rimanere di proprietà pubblica es-

sere gestita in maniera responsabile, attraver-so sistemi che otti-mizzino la qualità e l’efficienza e, al tem-po stesso, assicurino l’equità. Meglio la gestione pubblica, che rassicura le co-scienze dai timori di

possibili “usurpazio-ni”; o quella privata, che

allo stato sembra essere quella maggiormente rispondente ai criteri di qualità ed efficienza che il servizio richiede? Questo il quesito di fondo che ha animato il dibattito, nell’ambito dell’incontro “Gestione delle risorse idriche: come conciliare efficienza ed equità”, promosso dal Centro di Iniziativa Mezzogiorno Europa con

la collaborazione de Il Denaro, svoltosi nella sala - conferenze del quotidiano napoletano lo scorso 13 febbraio. Moderato da Alfonso Ruffo, direttore de Il Denaro, e coordinato da Andrea Geremicca, direttore di Mezzogiorno Europa, l’in-contro ha potuto avvalersi di un ricco e qualificato parterre di relatori, che includeva i professori Alberto Lucarelli e Giuseppe Di Palma, rispettivamente docente ordinario di Diritto Pubblico e docente ordinario di Diritto Amministra-tivo dell’Università Federico II, l’assessore all’Urbanistica della Regione Campania Marco Di Lello, il presidente di Confservizi Alfredo Mazzei, il presidente dell’ATO3 vesu-viano-sarnese Alberto Irace, e il presidente degli industriali napoletani Giovanni Lettieri.

Il confronto, nella diversità delle posizioni espresse, è stato pacato nei toni e ricco nelle argomentazioni, benché non siano mancati tentativi di contestazione da parte di alcuni rappresentanti dei “comitati per l’acqua”, che si erano dati appuntamento via internet per “presidiare” il convegno.

Interessanti spunti di riflessione, sono venuti anche da parte del pubblico, con l’intervento, tra gli altri, di Paolo Colonna del “Polo delle Solidarietà”, e del mondo dell’im-presa, col contributo, tra gli altri, di Salvatore Toriello dell’ ACEA Electrabel.

Tavola Rotonda

[17]

Page 18: Numero 1/2006

[18]

mi è parso essenzialmente ‘in divenire’, rimandato a riforme da varare (riforme di leggi vigenti e persino di qualche articolo della Costituzione), a futuri appunta-menti, a scelte sperabili. Molte speranze, appunto, ma poche certezze. Questo può andare bene se serve a definire una politica, a individuare battaglie da condur-re, scelte da fare. Invece non va bene, caro Lucarelli, se serve per polemizzare con scelte fatte, sostenendo che si poteva fare di meglio: qui e ora. La seconda osserva-zione: noto una imperdonabile distrazione nell’Appello “contro la privatizzazione del servizio idrico integrato” di cui tu sei uno dei primi firmatari, assieme ad Alex Zanotelli, Daniele Mitterrand (addirittura!) e tanti altri. Nelle primissime righe della “Premessa” si dà fuoco alla miccia con la ‘informazione’ inquietante di un ‘fatto’ assai grave: ai sensi della Delibera del 23 Novembre 2004 dell’ATO 2 di Napoli Volturno, i soci privati della società mista di gestione a capitale pubblico/privato nel giro di due anni possono passare dalla quota iniziale del 40 % a quella del 49 % al 100 %, previo l’acquisizione dell’intero capitale sociale. Peccato che, nel frattempo, l’articolo che prevede questa inquietante ‘scalata’ dei privati sia stato revocato: la maggioranza pubblica rimarrà tale, nel primo, nel secondo e in tutti gli anni successivi. Peccato, perché questo bagna la miccia della rivolta civile e morale contro “i ladri dell’acqua”. Ma certe ‘dimenticanze’ non sono consentite, specie quando si interviene su una materia tanto delicata e già di per se stessa tanto esplosiva.

Infine. Sono convinto che non otterremo nulla se non

riusciremo a coordinare l’intervento pubblico con quello privato, se cioè non faremo in modo che l’iniziativa privata abbia un ruolo proprio, specifico, propulsivo, importante nel quadro di una chiara cornice concordata col primato della mano pubblica, dalle istituzioni, in definitiva dalla politica. Lo dico al mio stesso partito: non è possibile che un giorno ci si affanni a spiegare che la gestione mista delle risorse idriche e la migliore delle soluzioni possibili, e il giorno dopo si scopra che no, che la migliore soluzione è quella tutta pubblica. Poco male se si trattasse di un confronto di idee interno, ‘a bocce ferme’. Quando invece un mutamento così radicale interviene ‘in corso d’opera’, su atti pubblici da tempo vigenti, in presenza di iniziative economiche e finanziarie da tempo avviate, allora no, così si perde credibilità e affidabilità, si appanna il profilo riformista e di governo di forze che amministrano tanta parte della regione e del paese. , e il giorno dopo si abbraccino le ragioni della gestione pubblica. Che poi questo ripensamento sia dovuto all’influenza di varie cultura fondamentaliste ed estreme, ed al timore di ‘perdere voti a sinistra’, è ancora più preoccupante, perché vuol dire che si è perso il gusto della ‘battaglia delle idee’, del confronto aperto e chiaro sui programmi, i valori, gli interessi di fondo del paese, conquistando voti e consensi veri, negli interessi dello sviluppo e della modernizzazione di un paese che non può perdere i collegamenti con l’Europa e col mondo che cambia e cammina. E questo non vuol essere un discorso ‘di destra’ o ‘di sinistra’. Vuol essere solo un invito alla riflessione.

Alberto LucarelliSono costretto per motivi di tempo a procedere con

argomentazioni tendenzialmente apodittiche, e mi scuso in anticipo per questo.

Vado diritto dunque alle problematiche inerenti la gestione di quel servizio unitario e complesso che, dalla entrata in vigore della l. Galli, ha preso il nome di servizio idrico integrato, nel quale è inserita anche la somministrazione dell’acqua.

Il quadro legislativo esistente, in coerenza con il diritto comunitario e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, consente al consorzio tra comuni la possi-bilità di scegliere un modello di gestione. Il modello di gestione può essere: 1) formalmente privato, ma sostan-zialmente pubblico; 2) formalmente e sostanzialmente pubblico; 3) misto; 4) privato.

Modello formalmente privato, ma sostanzialmente pubblico. É il acaso della s.p.a. a capitale totalmente pubblico, subordinata alle regole del diritto societario, per quanto riguarda gli obiettivi, gli organi di governo, i controlli. Si tratta di strutture societarie che comunque intendono l’efficienza più sotto l’aspetto dei profitti che della coesione territoriale ed economico-sociale.

Questa è la forma giuridica che ha visto, ma soltanto

al Nord, le vecchie aziende municipalizzate nel 2005 sa-lire alla ribalta. Si tratta, in sostanza, di aziende speciali con una aggregazione territoriale di risorse più ampia rispetto alle vecchie municipalizzate.

Il Sud, per assenza di una politica di programma-zione regionale delle acque, continua ad essere in netto ritardo rispetto al resto del Paese, e di più, paga lo scotto della gestione lottizzata delle ex municipalizzate, che prima di dar luogo a virtuosi processi aggregativi, dovranno, attraverso una sana ed efficiente gestione pubblica, attivare un radicale processo di “bonifica aziendale” ispirato ai principi della economicità, tra-sparenza, efficienza ed efficacia.

Le aggregazioni totalmente pubbliche, pur con i dubbi di una mission finalizzata più ai profitti che alla dimensione sociale, interessata più al mercato finanzia-rio, piuttosto che a valorizzare il patrimonio pubblico, rappresenterebbero la via maestra per realizzare econo-mie di scala e creare gruppi che abbiano la sufficiente massa critica per sostenere gli investimenti necessari allo sviluppo.

Di recente, la Corte dei Conti ha ritenuto che le s.p.a., a capitale totalmente pubblico, siano da ritenersi organismi ausiliari dell’ente pubblico. Tuttavia, occorre ricordare che una volta intervenuta l’omologa della

Tavola Rotonda

Page 19: Numero 1/2006

holding, riesce difficile immaginare che la società possa sfuggire alle regole del codice civile.

Modello formalmente e sostanzialmente pubbli-co. È l’ipotesi dell’affidamento in house providing ad un soggetto formalmente e sostanzialmente pubblico, con i limiti del c.d. controllo analogo come indicati dalla sentenza Teckal della CGCE.

Il modello pubblico si realizzerebbe attraverso pro-cessi di aggregazione di risorse pubbliche, con l’obiet-tivo di ridurre il numero degli operatori e sfruttare le economie di scala. La forma è quella pubblica, che trova quindi i propri poteri ed i propri limiti nell’atto costi-tutivo, che si concretizza in un atto amministrativo, e soltanto a valle nel contratto di servizio. Si affiderebbe la gestione ad una municipalizzata “in scala ATO” dal punto di vista territoriale e funzionale.

In questo senso, auspico un intervento politico di pianificazione e programmazione della Regione che, sulla base della Galli (o sulla base dell’emanando decreto-delegato, che sul punto comunque si riporta alla l. Galli) dovrebbe rivedere la definizione degli ambiti ottimali, avendo quale obiettivo l’unicità della gestione e comunque il superamento e la frammentazione verticale delle gestioni (art. 94, comma 2, lett. b dello schema di decreto-delegato approvato dal Governo ed in fase di emanazione).

Il modello misto. In merito al modello misto, previ-sto dalla legislazione vigente, permangono le perplessità espresse dalla recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, che ha ribadito per l’affidamento del servizio la necessità di una duplice gara: scelta del partner privato e gara per l’affidamento del servizio alla società mista, con evidenti ripercussioni negative sull’efficienza della procedura.

Come ben evidenziato in dottrina, il modello misto rappresenta la tentazione di conservare ad ogni costo rendite di monopolio, attraverso un rapporto diabolico tra proprietà pubblica e management privato, quando il rapporto fiduciario è con un’azionista politico. Il mana-gement privato, che gestisce ed eroga il servizio, difficil-mente è in grado di anteporre gli interessi dell’impresa all’indirizzo politico del socio di maggioranza.

C’è il rischio che gli stessi politici, che trasferiscono risorse pubbliche a particolari gruppi di interesse, in cambio di sostegno elettorale, tendano ad ottenere finan-ziamenti dal manager dell’impresa a beneficio proprio o del loro gruppo politico. La strada della società mista tenderebbe a difendere rendite politiche collocandosi nell’ambito di una superata logica della frammentazione, determinando una fisiologica e preoccupante dicotomia tra interessi pubblici e interessi privati all’interno di servizi pubblici essenziali.

Il modello totalmente privato. É il modello previsto dalla legislazione vigente, e contemplato dal punto 5 della delibera del 23 novembre 2004 dell’ATO 2. Sia il modello misto, che privato si basano sulla vulgata che la sostituzione del mercato allo Stato è condizione in-dispensabile per diffondere tutti i vantaggi della libera

concorrenza, che permette di mantenere i prezzi al livello più basso possibile ed è di incentivo ai produttori ad operare nel modo più efficiente.

Considerazioni sul modello della società mista.Le società miste operano secondo la logica del contrac-ting out, che è rivolta all’ottenimento di una migliore efficienza gestionale, e non ad una valorizzazione del patrimonio pubblico.

Tuttavia, come evidenziato in dottrina, tale stru-mento può essere impiegato per alcuni servizi come la pulizia delle strade, ma non per quanto riguarda le situazioni di monopolio naturale che si sviluppano su di una unica rete. Pensiamo a tutte le municipalità che operano negli Stati Uniti nel settore delle local utilities.

Consideriamo che nelle società miste il socio privato ha quale obiettivo primario la produzione del profitto e tende naturalmente a comprimere i costi di esercizio, senza tener conto degli effetti negativi sulla qualità dei servizi.

Consideriamo che mentre le imprese private mirano a massimizzare il rendimento dei loro investimenti, le imprese pubbliche possono anche praticare politiche dei prezzi e degli investimenti tali da perseguire obiettivi socio-economici, come la preservazione dell’occupazio-ne, il contenimento dell’inflazione, la promozione dello sviluppo regionale.

Consideriamo che i profitti più bassi delle imprese pubbliche non sono sempre indice di costi più elevati o di inefficienza allocativa, specie in contesti in cui sono presenti cause di fallimento del mercato.

Consideriamo che i più recenti studi sulle local utilities, in particolare di matrice anglosassone, hanno dimostrato come una loro efficiente gestione richieda processi di aggregazione ampi, dal punto di vista ter-ritoriale e funzionale, in grado di ammortizzare i costi. L’efficienza economica richiede che una sola impresa soddisfi interamente la domanda di mercato, contrad-dicendo il paradigma della concorrenza.

Teniamo presente che, a differenza dell’impresa pubblica, l’azionista privato è interessato alla gestione ed alla erogazione del servizio idrico, soltanto se può ottenere anche egli un guadagno; in caso contrario non svolge tale attività.

Teniamo presente che la contraddizione tra l’azioni-sta che vuole massimizzare il suo profitto e l’impresa pubblica che invece vuole assicurare la fornitura del bene alle migliori condizioni per gli utenti, comporta conseguenze del tutto contrarie alla opinione corrente: l’impresa privata è meno efficiente dell’impresa pubblica e genera un minor benessere per i consumatori.

Teniamo presente che proprio l’obiettivo del profitto fa sì che l’impresa privata non tenga conto degli effetti negativi che l’attività di minimizzazione dei costi può avere sulla qualità dei servizi, né avrà incentivo a realizzare quegli investimenti costosi, ma socialmente desiderabili, come attività di manutenzione e impianti di depurazione delle acque reflue, che comportano benefici sociali in termini di qualità nell’offerta del servizio.

Tavola Rotonda

Page 20: Numero 1/2006

[20]

Teniamo presente che la maggiore giustificazione apportata da coloro che propongono forme virtuali di privatizzazione, come il partenariato pubblico-privato, non va applicata ai settori di pubblica utilità dove gli obiettivi di qualità e continuità del servizio sono la priorità e dove il concetto di efficienza non può essere misurato dalla capacità di generare profitto nel breve periodo, ma dalla capacità di assicurare nel lungo periodo l’erogazione del servizio a costi contenuti e senza perdite dovute a mancati investimenti nella manutenzione degli impianti.

Ricordiamoci che in settori delicati (local utilities) l’esistenza di perdite non è di per sé sintomo di inefficienza, così come la presenza di profitto non è espressione di efficienza.

Ricordiamoci che si è in presenza di settori la cui erogazione è socialmente rilevante al punto che deve essere comunque assicurata.

Ricordiamoci che, se a causa di eventi imprevisti l’impresa privata rischia la bancarotta, lo Stato deve comunque intervenire con finanziamenti che non solo ripianino le perdite, come nel caso dell’impresa pubblica, ma assicurino anche agli azionisti privati un profitto che renda non conveniente la chiusura dell’impresa.

Ruolo dello Stato. Il soddisfacimento di diritti fondamentali della persona impone, anche per i ser-vizi pubblici locali, un ruolo attivo dello Stato, non soltanto dal punto di vista della programmazione, ma soprattutto dal punto di vista dell’impegno delle risorse finanziarie.

In sostanza, la tutela dei diritti fondamentali non può essere abbandonata ad acrobazie creative e ad alchimie societarie dei singoli ATO, ovvero alle capa-

cità gestionali-aziendali dei consorzi tra comuni. Ciò determinerebbe una inaccettabile frammentazione su base nazionale del diritto all’acqua.

La problematica, quindi, inevitabilmente, va ri-condotta nell’alveo delle responsabilità politiche dello Stato, anche in osservanza dei principi di eguaglianza e solidarietà.

In questo senso, sembrano andare le ultime scelte di politica pubblica dello Stato, con la previsione di in-genti trasferimenti di risorse finanziarie in favore degli ATO, ponendo la problematica delle risorse idriche tra le priorità assolute dell’agenda politica.

Faccio in particolare riferimento a tre linee di fi-nanziamento per i lavori: 1 – Legge obiettivo n. 443 del 2001 (c.d Lunardi); 2 – Fondi strutturali. Si tratta di fondi dell’agenda 2007-2013; 3 – Fondo premiale di 300 milioni di euro stabilito dalla Finanziaria 2006. Comma 415-416.

Le risorse, dunque, non mancheranno, anzi, è pre-vista una “pioggia” di denaro pubblico, si tratta adesso di creare un modello pubblico efficiente e trasparente, “armato” di senso dello Stato, e di quella cultura e professionalità, condizioni indispensabili per evitare l’insorgere di futuri “carrozzoni”, occupati da politicanti e pseudo manager, fonti di sperpero di danaro pubblico, il tutto a danno dei cittadini.

L’auspicio è che si attivi un processo che si inserisca in un quadro europeo che, dopo Amsterdam, sembra divenire sempre meno liberista e più cauto nella in-terpretazione del principio di sussidiarietà. Gli organi centrali, in temi decisivi della vita pubblica, sospinti e “diffidati” dalla società civile, si stanno giustamente riproponendo quali soggetti attivi e politicamente responsabili.

Alfredo MazzeiHo ascoltato con attenzione l’intervento del prof. Lu-

carelli e ho seguito il dibattito che sulla questione dell’ac-qua si è svolto in città negli ultimi mesi. A tale proposito, mi pare che finora la discussione sia stata tutta incentrata sui contenitori piuttosto che sui contenuti, assecondando un vizio tutto italiano e sfuggendo completamente il tema che abbiamo di fronte.

Le stesse obiezioni poco fa enunciate da Alberto Lu-carelli sul fronte degli strumenti legislativi, a mio avviso perdono di vista il cuore del problema, che non è certo il contenitore, il quale può essere al massimo oggetto di una dotta disquisizione giuridica, che però non aiuta gli operatori del settore a capire cosa devono fare per por-tare ai cittadini una risorsa, l’acqua, che è pubblica, e che nessuno ha mai pensato di poter privatizzare.

Non c’è dubbio che gli slogan utilizzati in questi giorni, riguardando un bene fondamentale, siano di facile presa. Tuttavia essi finiscono col mettere in difficoltà coloro che pure hanno argomenti tali da aiutare Napoli e il Mezzogiorno ad uscire dalla situazione difficile nella quale molto evidentemente si trovano.

In Italia sono nove le società quotate in borsa nel settore dei servizi pubblici, e rappresentano una quota consistente del listino. Il discorso sull’acqua, sotto que-sto profilo, investe allora anche un altro bene prezioso, costituito dal risparmio degli italiani. Occorre usare grande cautela nel rilasciare dichiarazioni che possono influenzare il corso dei titoli ed il risparmio investito di tanti cittadini ed investitori

Secondo quanto risulta dai dati dell’Osservatorio sul Sistema Idrico Integrato nel paese, e dai documenti della Confservizi e della Federutility, non vi è dubbio che la for-ma migliore di gestione delle risorse idriche sia costituita dalle società miste. Ma dagli studi compiuti emerge anche un altro dato, e cioè che il vero rischio, in particolare nel Mezzogiorno, non è la tanto temuta e demonizzata con-correnza, quanto piuttosto il profilarsi di una situazione di monopolio, sia esso pubblico o privato, per l’inevitabile caduta della qualità del servizio di cui esso, da sempre è stato portatore. I documenti di Confservizi e Federutility saranno nei prossimi giorni sottoposti ad entrambe le coalizioni che si candidano alla guida del paese, e ad entrambe verrà segnalata l’opportunità di procedere sulla strada delle liberalizzazioni, perché la vera battaglia per

Tavola Rotonda

Page 21: Numero 1/2006

[21]

la modernizzazione del paese va compiuta sul terreno della concorrenza e della contendibilità delle imprese. È del tutto evidente che ciascuno di noi vorrebbe poter usufruire di un certo bene alle migliori condizioni qua-litative, e gratis; ma le cose non sempre possono essere come le vorremmo. Noi scontiamo purtroppo un ritardo delle politiche meridionali sull’acqua. Più in generale, è l’intero sistema delle public utility a registrare un ritardo serio, e a questo proposito credo sia opportuno fare un salto di qualità nel dibattito relativo alle forme di gestione, e non solo.

Anzitutto, credo che sarebbe utile abbassare i toni. Le barricate ideologiche hanno la tendenza a condirsi tatticamente di furbizie, e questo non serve a nessu-no. Occorre evitare di gettarsi addosso degli anatemi, perché nessuno mai ha pensato di privatizzare l’acqua. È necessario altresì decidere che i soggetti industriali degni di questo nome, per poter gestire in maniera efficiente il settore dei servizi idrici e delle public utility, hanno bisogno di alcune caratteristiche che allo stato della finanza pubblica, delle tecnologie e del know how, non abbiamo. Di fronte a questa situazione dovremmo cercare di parlare delle cose per come stanno, e non per come le vorremmo. Poco fa Alberto Lucarelli accennava agli interventi a favore dell’integrazione e della crescita dimensionale delle aziende, ma non c’è dubbio che la legge Galli sia stata concepita proprio con quello scopo. Prima di quella legge in Italia vi erano 7000 gestioni in economia, ma credo che nessuno possa affermare che quei 7000 fontanili fossero più efficienti dell’attuale gestione delle risorse idriche. La legge Galli nacque per ridurre la frammentazione della gestione, e per sottrarla alla logica localistica delle risorse. Il tema di fondo, pertanto, non è quello della proprietà dell’acqua, ma riguarda piuttosto il come questa risorsa possa essere gestita nella maniera più efficiente possibile, e come possa essere portata nella casa di ciascuno, nelle imprese e nell’agricoltura, con i costi più bassi e alle condizioni qualitative più elevate possibili. Per ottenere questo risultato, certamente c’è bisogno di aziende di dimensioni più grandi rispetto a quelle attuali. Personalmente ritengo che finanche le dimensioni delle aziende italiane più grandi e quotate in borsa, come l’ACEA o l’ASM Brescia, siano insufficienti a competere sul mercato globale, e auspico una politica industriale che imponga misure di incentivazione, volte a far nascere soggetti industriali di dimensione maggiore in questo settore, perché i player internazionali che di tanto in tanto cercano di entrare nel nostro paese, sono decine di volte più grandi di noi. Questo vale non solo nel campo delle risorse idriche, ma anche e soprattutto in quello dell’energia elettrica e del gas.

Probabilmente il tema delle risorse idriche ha bisogno di una sorta di “ricomposizione” a livello nazionale. Noi, come sistema delle imprese del settore dei servizi, pro-poniamo la costituzione di una authority nazionale sul modello di quella del gas, e che pertanto sia competente non solo per il controllo e la programmazione, ma anche per vere e proprie normative antitrust, volte a debellare il

pericolo, sempre incombente nel nostro paese, del tenden-ziale avvicinamento a fenomeni di tipo monopolistico, sia pubblici che privati.

Il tema di fondo, dunque, non riguarda ciò che fa il privato nel candidare un’impresa ad una partnership pubblico-privata, quanto piuttosto il ruolo dello Stato. Noi sosteniamo, ad esempio, che nell’ipotesi di incentiva-zioni di processi di liberalizzazione non ci sia bisogno di meno Stato, ma esattamente del contrario. C’è bisogno di uno stato più forte, realmente in grado di programmare e dettare le regole del gioco. Il modello che perseguiamo è quello di un mercato regolato nel settore delle public utility, nel quale lo Stato e le amministrazioni locali ab-biano una funzione di programmazione e di controllo più cogente di quella attuale, e questo per evitare l’eventualità che la politica energetica venga decisa, ad esempio, dalla GAZPROM, tanto per farci un’idea! Dico questo per sot-tolineare quanto sia avvertita la necessità del controllo dello Stato. Ma siamo sicuri che questo controllo possa essere più efficace se esercitato direttamente, invece che attraverso un sistema di indirizzo e programmazione più efficiente e razionale e trasparente? Non c’è dubbio che la gestione non possa essere affidata solo sulla base del criterio della massima economicità. Proprio perché siamo convinti che lo Stato debba tutelare i diritti fondamentali della persona, riteniamo che esso debba usare strumenti adeguati a garantire questo fine. Per questo motivo ri-teniamo che sia opportuno mettere a gara la qualità dei servizi. Questo è uno dei punti sui quali la discussione e il confronto può avvenire in maniera serena e proficua.

Al netto della questione su cui, oggi, Il Denaro e Mezzogiorno Europa ci hanno chiamato a discutere, credo possa risultare utile provare ad allargare un po’ lo sguar-do al tema più complessivo dei servizi, e in particolare di quelli di competenza comunale.

Si tratta di uno dei fattori piu’ importanti di valuta-zione della qualità ed efficienza dei governi locali.

Non a caso, sempre più frequentemente negli ultimi anni, si succedono studi e ricerche e si individuano veri e propri indici di vivibilità e di consenso che misurano il grado di soddisfazione percepita dalle famigli e dalle imprese nella erogazione cittadina dei servizi comuni.

Periodicamente la stampa specializzata e prestigiosi centri di ricerca pubblicano vere e proprie graduatorie sugli indici di vivibilità.

Non c’e’ dubbio che i risultati conseguiti dalla nostra città e area metropolitana non sono esaltanti.

Questo ha, come ovvio, un immediato riflesso sui comportamenti elettorali e non sempre ciò è percepito ed assunto dalle amministrazione locali come il tema fondamentale della ricerca e del consolidamento del consenso.

D’altronde non potrebbe essere altrimenti. La nostra vita quotidiana e scandita dal contatto e dall’utilizzo di servizi pubblici.

L’acqua che usiamo al risveglio, il gas che alimenta il riscaldamento, l’energia che regge le nostre case e imprese sempre piu’ tecnologiche e che illumina la città, i trasporti

Tavola Rotonda

Page 22: Numero 1/2006

[22]

che ci portano all’ufficio o a scuola, lo spezzamento ed il prelievo dei rifiuti, sono l’insieme dei servizi che tutti utilizzano e dove immediatamente si avverte e si misura la capacità di un governo locale.

I metri di misura sono semplici. La qualità e continuità della prestazione del servizio la sua fornitura a prezzi ragionevoli.

Il dibattito politico e le concrete azioni di governo sui servizi pubblici locali nella nostra città hanno sempre di piu’ riguardato i contenitori che i contenuti.

Anche la recente discussione sulle risorse idriche, compreso il confronto che abbiamo stasera provato ad ali-mentare ed arricchire, ha visto una appassionato dibattito sul contenitore, in house, società pubblico/privata, società privata, infiammando un confronto tutto ideologico senza uno straccio di approccio di” politica industriale locale” che puntasse ad affrontare il tema concreto della qualità dell’erogazione, i suoi costi, gli investimenti e il possibile volano di sviluppo che ne potrebbe derivare.

È universalmente riconosciuto che uno dei fattori di competitività territoriale nell’attrazione degli investimenti e la qualità, continuità e costo della erogazione dei servizi pubblici.

Questa à la svolta da compiere considerare, come hanno fatto e fanno le grandi città italiane ed europee, l’insieme dei servizi pubblici locali come uno dei fattori determinanti dell’attrazione degli investimenti e della qualità della vita dei cittadini e dei turisti.

Il rating della città può e deve essere innalzato da po-litiche innovative e coraggiose che la rendano appetibile ai cittadini agli investitori e ai turisti.

Credo che si dovrebbe dare vita ad un vero e proprio master plan delle public utility della città di Napoli

Uno strumento concreto di governo che detti le re-gole su indirizzi strategici, assetti proprietari e regole di corporate governance

L’assunto è che i capitali investiti in queste imprese de-rivano, per la loro quota patrimoniale, dai prelievi fiscali sui cittadini e sono questi ultimi pertanto gli azionisti indiretti di queste società’.

Da tale assunto ne discende che gli attuali asset comu-nali vanno tutelati e valorizzati essendo beni costituiti nel tempo con i prelievi fiscali sui cittadini e quindi di loro proprietà.

Il Master plan determina le scelte strategiche e indu-striali dei settori delle public utilità.

Il comune possiede inoltre in settore non immediata-mente definibili come public utility numerose partecipa-zioni, Napoli Servizi, Napoli solidale, Mostra d’oltremare, Terme di Agnano, Gesac etc. etc. anch’esse strategiche per la competitività territoriale e lo sviluppo. Nella adozione del Master Plan anche ad esse và affidata una mission e indicati indirizzi strategici di assetti proprietari e di Govenance.

Il principio generale al quale sottoporre la “ politica industriale locale” dovrebbe essere il seguente:

i cittadini sono fondamentalmente interessati a fruire i servizi di qualità adeguata ai loro bisogni, prestati mini-

mizzando i costi della loro produzione e quindi i prezzi per la loro fornitura, tenuto conto di una adeguata attività di ricerca e sviluppo e avendo un particolare riguardo all’autofinanziamento finalizzato alla copertura degli esborsi per nuovi investimenti.

Non possono in definitiva affidarsi alle aziende e partecipazioni locali fini impropri diversi dalla mission industriale. La tentazione, sempre presente, di risol-vere tensioni sociali attraverso le utility locali ne mina l’efficienza e la ecomicità impedendone la creazione di valore la crescita e quindi la possibilità di fornire buona occupazione.

Le finalità da perseguire per l’insieme delle parteci-pazioni utilità o non:

• Prestazione di servizi pubblici secondo parametri qua-litativi e quantitativi predefiniti, stabiliti dai contratti di servizio con il Comune.

• Perseguimento coerente da parte del managment degli indizi strategici stabiliti dalla proprietà in modo da te-ner conto degli interessi dei cittadini nella loro qualità di soci di riferimento. Gli indirizzi strategici vanno esplicitati nel Master Plan e poi resi vincolanti in un piano strategico di medio lungo periodo sottoposto all’approvazione della assemblea degli azionisti della società controllata.

• Prestazione dei servizi pubblici in modo efficiente, minimizzando i costi subordinatamente agli obbiettivi di qualità e quantità

• Mantenimento di una struttura patrimoniale adeguata sia con riferimento al capitale complessivamente investito sia con riferimento alle esigenze di stabilità finanziaria.

Gli indirizzi di corporate governance debbono conside-rare le eventuali costrizioni esterne che limitano i poteri dei gestione del managment ( politiche tariffarie e di qualità stabilite da autorità sovracomunali) e riguardano 3 livelli:

• Controlli interni, debbono riguardare l’amministra-zione, l’esercizio, dei diritti di proprietà da parte degli azionisti e l’internal auditing.

• Controlli esterni, mercato, authorities ed enti assimilati, associazioni dei cittadini e consumatori

• Trasparenza e pubblicità, principi contabili, revisori indipendenti, informazioni aggiuntive che consentono di valutare il rispetto degli standard di qualità fissati nei contratti di servizio e l’efficienza della gestione.

Allora, indispensabile io considererei la creazione, presso il Comune, di un ufficio di controllo delle par-tecipazioni che funzioni, attraverso risorse economiche e umane adeguate, con reporting periodici al Sindaco, alla Giunta Comunale, e al Consiglio Comunale. La vera funzione del controllo pubblico sulle partecipazioni co-munali non è tanto la gestione diretta o meno del servizi ma la capacità dell’ente si effettuare controlli e reporting

Tavola Rotonda

Page 23: Numero 1/2006

[23]

di qualità e tempestivi. Non è utile nascondere la testa sotto la sabbia all’avanzare dei processi di apertura al mercato. Rinchiudersi dentro gli angusti confini munici-pali, in un mondo sempre piu’ globale, porta alla sconfitta. Tali processi vanno affrontati e regolati non ignorati per paura o pigrizia. Il confronto competitivo nel mercato aiuta l’efficienza e l’innovazione. La competizione e la partnership con gli altri player, privati o pubblici è indi-spensabile. Aumentare le dimensioni delle nostre imprese è l’unica possibilità che si ha per competere nel mercato globale. Per fare ciò sarebbe utile, anche in coerenza con la legislazione nazionale e comunitaria, favorire processi di merger su scala metropolitana o regionale e predisporsi a cedere quote di capitale di rischio ad investitori tecno-logici o finanziari.

La consistenza delle partecipazioni comunali e la loro rilevanza strategica impone di guardare alle stesse come un insieme di asset di consistente valore al fine di ottimizzarne la gestione anche al fine di reperire risorse dal mercato per effettuare gli investimenti necessari ad aumentare al qualità ed efficienza della erogazione dei servizi alla città e aumentarne il proprio rating di vivibilità.

A tal fine considerare l’ipotesi di dar vita ad una so-cietà di patrimonio ( holding o altro) dove conferire asset mobiliari e immobiliari per reperire, attraverso tecnicalità finanziarie innovative, stok consistenti di risorse per in-vestire nello sviluppo potrebbe aiutare la città ad avere un polmone finanziario aggiuntivo e rapido.

Marco Di LelloTengo anzitutto a ringraziare gli organizzatori di

questo incontro, per avermi invitato ad una discussione alla quale partecipo con grande interesse, ma a titolo per-sonale e non come rappresentante della Giunta Regionale della Campania.

Nelle scorse settimane ho seguito con grande atten-zione il dibattito sull’acqua, essenzialmente da lettore, ma naturalmente con l’interesse particolare che può avere un amministratore pubblico di fronte ad una questione così rilevante.

La vicenda ha suscitato in me tre ordini di riflessioni. Il primo riguarda il rapporto tra plebiscitarismo, co-

munismo e democrazia rappresentativa: chi decide cosa, e qual’è il compito degli amministratori e dei politici? È evidente che riguardo all’acqua sia stata fatta una specie di “piroetta” da parte da chi era preposto ad amministrare le decisioni inerenti alla vicenda dell’ATO2, e che nei fatti l’autorità che rappresenta i cittadini, rispetto ad una spinta della piazza, ha cambiato idea ed indirizzo.

L’altro tema di riflessione è quello del rapporto tra demagogia e riformismo, e della capacità di governare i processi piuttosto che di seguirli. Ho sempre ritenuto che la caratteristica principale del riformismo dovesse essere quella di cambiare le cose seguendo un’idea, in-dipendentemente dal fatto che questo potesse accrescere o diminuire il consenso. È un dato di fatto difficilmente discutibile che sulla vicenda delle acque la gestione pubblica si sia rivelata un fallimento clamoroso, e credo che nessun cittadino della Campania, e meno che mai di Napoli, possa dirsi soddisfatto della qualità dell’acqua che sgorga dai rubinetti, del sistema di abduzione e di quello di depurazione.

Il terzo elemento di riflessione rispetto ad una te-matica come questa, è cosa sia veramente di sinistra e cosa no. Premesso che l’acqua è senza ombra di dubbio un bene pubblico, da uomo di sinistra mi domando se il soggetto debole, e che va difeso sia il signor Ferrarelle, che da un sistema di gestione pubblica ma scadente lucra affari miliardari, oppure il privato cittadino, che

ha diritto ad un servizio di qualità. La risposta evidente a questa domanda è che il soggetto debole è il cittadino napoletano, il quale paga un servizio scadente. Ma allora, rispetto ad un dato di fatto di questo genere che possiamo assumere come condiviso, è immaginabile considerare il privato come un nemico?

A mio vedere, il privato è uno strumento utile al raggiungimento di un fine pubblico. Intanto, il privato ha maggiori risorse da investire, e questo è un aspetto fondamentale in una situazione nella quale citare la legge-obiettivo è come parlare del libro dei sogni. Un altro aspetto che a me pare evidente, e del quale occorrerebbe prendere coscienza, è che la situazione attuale ci ha fatto perdere l’opportunità di accedere ad importanti risorse europee. L’attuale amministrazione pubblica dell’acqua, tranne che nel caso dell’ATO sarnese-vesuviano, non ha potuto accedere alle risorse europee perché non era in condizioni tali da poterle spendere. Se la gestione pubbli-ca non è in grado di spendere le esigue risorse disponibili, è evidente che c’è bisogno di operatori capaci di investire, orientati alla razionalizzazione e alla migliore gestione della risorsa acqua. Questo a mio avviso non implica necessariamente un aumento delle tariffe. La questione vera, sul fronte delle tariffe, non riguarda l’opportunità o meno dell’intervento del privato, quanto la necessità della presenza di più privati, a correggere la realtà di un siste-ma che, ad oggi, è quantomeno di oligopolio, e potrebbe avere come risultato una finta liberalizzazione della gestione dell’acqua. E però margini di recupero ci sono senza dover dare per scontata l’equazione tra gestione privata e aumento delle tariffe. Questo perché anzitutto abbiamo una grande quantità di risorse idriche sprecate (i dati oscillano tra il 38 e il 50%) per l’inadeguatezza del nostro sistema di abduzione, pertanto investimenti in quel settore implicherebbero una riduzione degli sprechi. Se lì si investe, si consuma meno acqua, e questo è un elemento che dovrebbe stare a cuore a tutti. Allo stessa stregua, io considero scandaloso il sistema di depurazio-ne che oggi vige nella nostra regione. Su questo punto auspicherei una levata di voce forte, anche dalla sinistra, perché non si può perpetuare un regime di proroga che

Tavola Rotonda

Page 24: Numero 1/2006

[24]

dura ormai da dodici anni. La Regione Campania spende 90 milioni di euro l’anno, e il risultato è che il nostro mare è pieno di porcherie! Sfido chiunque a dire che il sistema di depurazione della Regione Campania sia un modello, eppure è tutto in mano pubblica, benché in concessione a privati, e questo è solo un esempio delle tante situazioni in cui il pubblico paga, senza avere nessuna reale possi-bilità di controllo.

Al dunque, è più ambientalista e di sinistra fare una battaglia che ci porta a risparmiare l’acqua e ad avere scarichi depurati, oppure è meglio lasciare le cose come stanno e conservare un sistema palesemente inefficiente? C’è un punto sul quale sono completamente d’accordo con Lucarelli, ed è che davvero non abbiamo bisogno di un ennesimo carrozzone pubblico “Campania Acque”, che andrebbe in senso assolutamente contrario rispetto

alla battaglia per il decentramento delle funzioni sui ter-ritori, che stiamo portando avanti da anni. A mio avviso la Regione deve limitarsi ad un’attività di tipo legislativo, e lasciare la gestione a quelle realtà del territorio che sono più vicine ai cittadini. Oggi gli strumenti di diritto privato e societario ci consentono ampiamente, ed indipendente-mente dalla proprietà azionaria della società di gestione, di immaginare l’esistenza di un soggetto che gestisce ed un altro che controlla. Sul fatto che il controllo debba essere interamente e saldamente pubblico, non c’è alcun dubbio, ma questo secondo me è il nodo della questione: la divisione di funzioni tra chi gestisce, e chi esercita il controllo con la facoltà di intervenire ogni volta che la gestione non risulti essere rispondente all’interesse pub-blico. Tutto questo nell’interesse assoluto del cittadino, che deve poter bere l’acqua dal rubinetto, e magari anche

Giovanni LettieriCredo che sulla questione dell’acqua ci sia sostanzial-

mente un equivoco di fondo. Nel processo di gestione che era stato messo in atto prima che la Regione Campania decidesse di tornare sui suoi passi, era ovviamente pre-vista la possibilità di controllare prezzi, servizi, risorse, modalità di erogazione, criteri di definizione delle tariffe. Inoltre il privato era in ogni caso in una percentuale di minoranza. Io credo che questo particolare vada precisato. Allo stesso modo va precisato il fatto che l’acqua è una risorsa preziosa per tutti, e che trascurare oggi il problema del miglioramento del servizio idrico significa che questa preziosa risorsa prima o poi non sarà più disponibile così come l’abbiamo oggi. È come se uno pensasse di tenere un’automobile, oppure una motocicletta o una bicicletta, senza pensare alla sua manutenzione: il minimo che deve aspettarsi è di rimanere a piedi, presto o tardi! Il migliora-mento e la manutenzione del servizio sono cose necessarie, per fare in modo che questa risorsa possa perpetuarsi.

Prima qualcuno ha azzardato qualche cifra. Le cifre che ho io dicono che per ristrutturare la rete idrico-fogna-ria d’Italia, isole comprese, occorrono 22 miliardi di euro nei prossimi vent’anni. L’ATO2 è l’ambito territoriale in cui sono previsti i maggiori investimenti, oltre 272 milioni di euro solo per l’acqua potabile, senza la depurazione. Queste risorse, purtroppo, dallo Stato non arrivano più. Non c’è più quell’avanzo primario che fino a 15 o 20 anni fa era nel bilancio dello Stato, e consentiva di fare inve-stimenti. Oggi le risorse bisogna trovarle sul territorio. È pertanto essenziale e necessario che si facciano fruttare al meglio le risorse disponibili. Questo non vuol dire che bisogna assetare la gente o pretendere che paghi l’acqua anche se non può, ma più semplicemente che bisogna adottare una politica giusta e seria delle risorse disponi-bili. Bisogna evitare gli sprechi e far pagare la risorsa a chi, pur potendo, non la paga. Così si può pensare magari di istituire una fascia di cittadini cui destinare la risorsa idrica a costo zero. Sono opzioni di cui si può discutere, perché poi il punto vero è un altro e cioè rendere un servizio efficiente e che possa durare nel tempo.

Precisato ciò, vorrei aggiungere che è sbagliato pensare al privato come a qualcuno che tende solo a massimizzare i profitti senza pensare al servizio. Al contrario, il privato sa bene che se non rende un servizio adeguato perde il bu-siness. Nel caso dell’acqua parliamo di un bene pubblico che viene solo gestito dal privato. In questo caso, mentre il privato sa bene che se non rende un servizio come si deve alla cittadinanza la pubblica amministrazione può togliergli la gestione, al contrario la parte pubblica può essere meno tesa a dare il miglior servizio possibile, dal momento che nessuno può sottrarle la gestione o controllare le tariffe che impone. Nella recente polemica sull’acqua, gli imprenditori sono stati dipinti come dei feroci speculatori, pronti a mettere i loro artigli su una preziosa risorsa, allo scopo di elevarne iniquamente il prezzo a discapito del pubblico. Ripeto il concetto: esi-stono sistemi di controllo da parte del pubblico prima di affidare il servizio ai privati, che si possono discutere. Un dato di fatto è che vi è un elevato bisogno di investimenti nel settore delle risorse idriche. L’ ASM di Brescia, che è a prevalenza pubblica, è una società che genera risorse, le quali vengono proficuamente reinvestite nel territorio. Naturalmente Brescia è una realtà paragonabile ad appena un quartiere della grande area metropolitana di Napoli. Pensiamo allora per un attimo alle risorse e al mercato che potremmo avere qui a Napoli. La potenzialità che abbiamo è almeno 10 volte quella di Brescia, e le risorse andrebbero reinvestite sul territorio, migliorando il servizio e creando occupazione. Io credo che sia essenziale comunicare alle persone che questo è un bene prezioso e rispetto ad esso vale la pena pagare un minimo, mentre invece mi sembra che si faccia un cammino a ritroso. Si poteva discutere sulle modalità attraverso le quali attuare un processo di miglioramento per il servizio e per la collettività, e invece si sono fatte le manifestazioni, il populismo, la demagogia. È chiaro che l’atteggiamento della Regione ha “pagato” la strategia della protesta, e che questa si senta autorizzata a procedere sulla strada intrapresa. Io credo invece che occorra sforzarsi per seguire l’esempio delle grandi città europee, che stanno modernizzando le utilities. Il Comune di Napoli, tra le varie municipalizzate, perde qualcosa

Tavola Rotonda

Page 25: Numero 1/2006

[25]

come 80 milioni di euro l’anno. È una situazione che va corretta, non nell’interesse delle imprese private, perché non c’è da arricchirsi da questa operazione, ma nell’inte-

resse della comunità. La città deve modernizzarsi, come le altre città d’Europa. Quello che occorre in questa città è fare passi in avanti.

Alberto IraceVorrei partire dalla considerazione del fatto che

la tematica dell’acqua intreccia pericolosamente una paura primordiale e che, rispetto ad essa, sul terreno politico si è aperta una corsa a chi maggiormente riesce ad intercettarla.

C’è un dato di fatto che non viene sottolineato a suf-ficienza da chi, pur occupandosi con serietà e rigore di questo tema, poi si è smarrito nel confronto: l’acqua che riguarda il ciclo integrato, quella cioè che viene distribuita dagli acquedotti, costituisce a livello nazionale all’incirca il 15-20% della risorsa. Il restante 80% viene emunto dalle falde attraverso il meccanismo dei pozzi, a concessione temporale variabile (trentennale, novantennale, ecc) per usi diversi. Quella di cui parliamo è dunque una quota largamente minoritaria dell’uso della risorsa, e dovrebbe costituire pertanto l’ultimo tassello su cui puntare, da parte di chi avesse a cuore la salvaguardia della stessa. Molta dell’acqua della quota maggioritaria serve a fi-nanziare produzioni agricole, spesso assistite dall’UE e spesso non utili.

Questo dato di fatto allarga lo scenario delle riforme possibili. Andiamo invece ad esaminare il servizio idrico integrato, e cerchiamo di capire, come stanno le cose, invece di concentrarci su un dibattito teorico che rischia poi di diventare una distinzione ideologica.

La riforma del ’94 introduce un nuovo servizio, che mette insieme la gestione della captazione, dell’ab-duzione, della fognatura e della distribuzione. È una scelta che la legge opera sulla base della consapevolezza che in Italia, se da un lato è stata grosso modo assicurata la gestione della distribuzione da parte degli acquedotti, dall’altro c’è un grave deficit riguardo alle fognature e alla depurazione. Questo deficit insiste anche nella nostra regione, con una penuria e una piattezza di risorse pubbli-che per realizzare gli investimenti necessari, e direi anche con una incapacità, da parte dell’investitore pubblico, a risolvere con serietà queste difficoltà e questi problemi.

Questo dunque il primo punto: il nuovo servizio, introdotto dalla legge del 94, mette insieme tutti i seg-menti del ciclo.

Il secondo punto essenziale è il superamento delle gestioni su scala comunale. Questi segmenti, ognuno indipendentemente dall’altro, spesso erano e sono gestiti dai Comuni. Nel caso della Campania, qualcuno di questi è gestito dalla Regione in maniera piuttosto singolare, non essendovi nel nostro paese una tradizione di gestioni regionali. Superamento della gestione su scala comuna-le, dunque, sia per assicurare una gestione economica sufficiente, ma soprattutto per assicurare che la gestione coincida con la possibilità di salvaguardare la risorsa, in quanto l’ambito territoriale, come la stessa legge afferma, deve coincidere con il bacino idrografico. La riforma in-

troduce quindi un nuovo livello istituzionale, l’Autorità d’Ambito, con delle regole proprie di partecipazione, tra l’altro autodeterminate, perché i Consigli comunali hanno votato gli statuti dopo un lunghissimo e faticoso processo decisionale che è durato anni. Una nuova re-sponsabilità istituzionale, dunque, che ha delle funzioni chiare e determinate, stabilite dalla legge, che in prima fase sono quelle di ricognire la situazione, verificare qual è lo stato dell’arte (condizioni in cui versano le opere, qualità dei servizi erogati ecc.) e quindi definire quali sono gli investimenti che servono e le la tariffe minime che li rendono possibili.

Sono processi complessi, e di non semplice realizza-zione. Tanto per rimanere all’ATO3, che naturalmente è quello che conosco meglio (ma ci sono dati analoghi anche per gli altri ATO della regione Campania): circa la metà dell’acqua che viene immessa in rete non arriva al contatore, il che non significa necessariamente che sia dispersa nella rete, ma che per una buona parte, stimata intorno al 30%, sia frutto di abusivismo, cioè di gente che è allacciata alla rete, ma non è contabilizzata e non paga. Circa il 40% degli utenti del nostro terri-torio non è allacciato ad un sistema depurativo degno di questo nome, e oltre il 30% non è allacciato ad una rete fognaria. Questa è la radiografia di una situazione rispetto alla quale dobbiamo domandarci come porre rimedio, considerato il fatto che gli investimenti neces-sari vanno molto al di là degli stanziamenti pubblici della Finanziaria e della Legge obiettivo. Badate che solo nell’ATO3, per recuperare questo gap sono necessari all’incirca 800 milioni di euro di investimenti. Queste risorse possono essere rese disponibili ad un’operazione di questo genere solo se il servizio saprà industrializ-zarsi, saprà rendersi efficiente al punto tale da riuscire ad indebitarsi col sistema bancario e a realizzare oggi questi investimenti, la cui realizzazione deve potersi commisurare all’arco di un’esistenza umana media, e non procrastinarsi a tempo indeterminato. Bisognerà dunque realizzarli tutti molto presto, diciamo nell’arco di 5 – 10 anni, e attendere poi che possano essere ripagati in un periodo più lungo.

Sono problemi che vanno risolti oggi, in un arco temporale credibile, e l’unica modalità che noi abbiamo, per quanto io possa trovare suggestivo il discorso di Lu-carelli, è l’industrializzazione del servizio. C’è bisogno di un soggetto industriale che si assuma la responsabi-lità della scelta dell’investimento in ragione del rientro che da esso si può ottenere, per poter coprire quante più utenze è possibile di fognatura e per raggiungere quanti più utenti è possibile di acquedotto. Vi è neces-sità di una struttura capace di fatturare e contabilizzare l’acqua, e di verificare dov’è. Questo tipo di industria in Italia è quasi inesistente, e quel poco che c’è è frutto di esperienze delle grandi aziende ex pubbliche (ACEA,

Tavola Rotonda

Page 26: Numero 1/2006

[26]

Giuseppe PalmaOccorre muovere da una semplice osservazione, che

secondo la nostra Carta Costituzionale, art. 42, I comma, la proprietà pubblica vuole significare proprietà collettiva, o, se si vuole, proprietà oggettivamente pubblica, come ebbi a precisare ed a dimostrare molti anni or sono.

Purtroppo, però, lo Stato ha assoggettato tale proprietà ad un processo –a dir così- di individualizzazione della proprietà pubblica, nel senso preciso che l’ha resa analoga alla proprietà individuale privata, anzi a volte lo ha reso addirittura come una merce per cui di frequente assistia-mo alla vendita di beni demaniali, indisponibili, ecc..

Se si pone poi l’attenzione sulla struttura gestionale migliore per amministrare la proprietà pubblica (collet-tiva) occorre subito rilevare che questa struttura non può non fare riferimento ai Comuni, che potremmo chiamare minima unità gestionale.

Come ho avuto modo di dimostrare di recente in una conversazione, stante la globalizzazione, e stante la predominante Europa liberista, l’unico ente democratico che conserva un’azione sociale nell’attuale nostro Stato è appunto, il Comune. Ormai la progressiva deflazione delle funzioni statali, il liberismo proveniente dalle correnti continentali, azioni penetranti nel sociale le potremmo ottenere soltanto ad opera, appunto, delle collettività locali. Il che farebbe propendere per le forme di strutture gestionali pubbliche, d’altronde mi si deve ancora dimostrare perché le forme gestionali pubbliche siano inferiori, per efficacia ed efficienza a quelle di stampo privatistico.

Ci sono, però, due circostanze che addensano ombre una siffatta struttura. La prima è il repentino abbandono delle forme gestionali pubbliche dovuta a una diffusa cor-ruzione e ad una non irrilevante concreta inefficienza.

L’altra circostanza è che –come si è detto- l’Europa milita a favore della privatizzazione, e su questo c’è da farsi poche illusioni. In conseguenza avviene che, come si è diffusa l’opinione per effetto dell’ordinamento europeo

si sarebbe verificata l’implicita abrogazione dell’art. 43 della Cost., che prevede, appunto, forme pubblicistiche di gestione di servizi essenziali o di natura monopolistica.

Prescindendo dall’approfondire la questione ultima, si può affermare, però, che innegabilmente l’ordinamento comunitario milita contro il monopolio e favorisce in ogni modo la più piena concorrenza: unica condizione, secondo me, per poter ritornare alle regole di mercato. D’altro canto, la concorrenza non è detto che debba rea-lizzarsi soltanto tra imprese private, potendosi verificare anche tra strutture gestionali pubbliche, l’importante è che non siano monopolistiche ed operi sul mercato una pluralità di soggetti.

La legge e la giurisprudenza comunitarie richiedo-no che su queste strutture vi sia un controllo analogo a quello intercorrente tra la comunità locale e le proprie aziende.

È bene chiarire subito che il controllo analogo non si-gnifica, o per lo meno non significa soltanto garanzia di legittimità dell’azione, rappresentando altresì un veicolo di trasferimento dell’indirizzo politico gestionale di detta comunità; in altri termini, sotto le mentite spoglie di una garanzia di legalità dell’azione, stante la molteplicità dell’interpretazione delle norme giuridiche, si nasconde l’imprimatur dell’indirizzo politico gestionale dell’ente gestore del bene.

È da tener presente, altresì, che l’ordinamento giuridi-co vigente ed un determinato indirizzo giurisprudenziale europeo, fanno propendere la bilancia in favore delle società miste: pubblico e privato. La soluzione non è del tutto da scartare, ove si pensi che anche sull’elemento privatistico (impresa privata) deve poter agire l’influen-za della nostra carta costituzionale, per fortuna ancora vigente.

Invero, la nostra Carta Costituzionale, che promana ancora il profumo di un fior di campo, è stata per lo più negletta e soggetta ad interpretazioni di modulo pendolare: chi l’ha ritenuta di stampo conservatrice ne prescindeva per prospettare soluzioni più avanzate; per

ASM Brescia). Nel Mezzogiorno la situazione è ancora più peculiare, perché c’è una debolezza strutturale gravissima anche nel tessuto dell’industria pubblica di questi servizi. Non abbiamo infatti esperienze di livello, in grado di realizzare processi di questo genere. Questo il cuore della difficoltà che spinge oggettivamente verso la ricerca di alleanze, o comunque di percorsi che aiu-tino il tessuto complessivo della Campania a compiere questo processo di industrializzazione. Io valuto con preoccupazione il fatto che in Italia si sia recentemente registrata una tendenza alla pubblicizzazione, perché quello che poi si verifica concretamente nella realtà economica è una tendenza ad accorpamenti intorno alle aziende ex pubbliche ed oggi quotate, che in questa polemica vengono anch’esse in qualche modo consi-derate cattive assetatrici e via di questo passo. Il cuore del tema è come la Campania dà soluzione a questi problemi, come a Napoli si realizzano quelle fognature,

quegli impianti, quegli ammodernamenti della rete che sono necessari e di cui nessuno parla. Stiamo correndo il rischio di dividerci in un astratto dibattito su priva-tizzazione e pubblicizzazione dell’acqua, mentre a mio avviso la pubblica amministrazione, qui da noi, non appare assolutamente in grado di compiere un processo di industrializzazione all’altezza delle necessità dettate dalla situazione. D’altra parte la dimostrazione di ciò è nella stessa gestione dei servizi idrici: dove è il pubblico a gestire, sono tutti affidati a soggetti esterni, che spesso sfuggono ad un controllo di qualunque genere. Lo dimo-stra inoltre la storia e la qualità della gestione pubblica in altri servizi. Noi abbiamo una debolezza strutturale che dobbiamo superare, e credo che per questo scopo sia indispensabile il contributo di chi queste gestioni le ha già realizzate, senza procedere a demonizzazioni di nessun tipo, altrimenti si fanno scelte velleitarie che non portano da nessuna parte.

Tavola Rotonda

Page 27: Numero 1/2006

[27]

converso, chi la riteneva eccessivamente più avanzata sul piano sociale, ne prescindeva parimenti.

La verità è che la nostra Costituzione è stata scritta da uomini, ma è stata frequentemente applicata da omuncoli.

Superato questo periodo di frastornamento occorre, come ebbi a dire venti anni or sono, ritornare alla Costitu-zione, e ricordare che l’articolo 41 impone che l’iniziativa economica privata debba svolgersi non in contrasto con l’utilità sociale, ovvero in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. In proposito, ricorderei, altresì, che l’art. 4, II comma, Cost. impone che l’individuo diventi un vero e proprio socio delle istituzio-ni, svolgendo un’attività nel segno del progresso sociale, culturale e civile della collettività nazionale; combinando i due disposti, si ricava che anche il privato possa agire nell’interesse generale, e non soltanto all’insegna del-l’egoismo di profitto, maggiormente quando il privato viene coinvolto in una gestione assieme al pubblico, dove, a parte gli indirizzi gestionali provenienti dalla maggio-ranza dei componenti del Consiglio di Amministrazione, si aggiunge, altresì, il controllo analogo che, per quello che si è detto, è veicolo di indirizzo politico gestionale.

Potrebbe così, per questa via, raggiungere quell’utilità sociale che è implicita nella conclamata appartenenza collettiva del bene in gestione.

Non è da sottovalutare neppure un’altra osservazio-ne, che queste gestioni avvengono nell’ambito delle linee programmatorie della Regione. Anzi, sono rimasto molto contento che l’Assessore Regionale abbia ricordato che la Regione programma, dal momento che essa, in passato,

ha facilmente dimenticato che si governa programmando e si programma governando.

Un’ultima osservazione. Sento frequentemente serpeg-giare l’opinione, in verità mai dichiarata esplicitamente, che la struttura pubblica di gestione possa praticare prezzi politici del servizio. Va subito osservato, per converso, che il vigente Testo Unico degli Enti Locali come la più antica Legge sui Servizi Locali del 1903, non consentono di prestare servizi sottocosto, imponendo il pareggio di bilancio; in altri termini, se si chiede il pareggio di bilancio significa che quanto meno le entrate devono coprire tutti i costi, ivi compresi gli investimenti necessari.

Discorso diverso, invece, è osservare, poi, che in molti Comuni i corrispettivi del servizio non siano esatti o siano esatti in modo confusionario. Non è la sede per fare la fisiologia della patologia.

Cosicché in conclusione, o ci si orienti per la forma di gestione esclusivamente pubblica, o per quella mista, col conseguente trasferimento dell’indirizzo politico ge-stionale attraverso il controllo analogo, di cui si è discusso, e con la maggioranza dei componenti del Consiglio di Amministrazione nell’ambito della programmazione generale regionale, gli effetti potrebbero non essere differenti; cosicché anche la struttura mista, come quella pubblica, come si è detto, potrebbe raggiungere lo scopo di cooperare ad una corretta azione sociale; per i dubbi persistenti su quest’ultima formula, si potrebbe ricordare che essa è come il calabrone, il quale non ha la dimensione aerodinamica per volare, però esso non lo sa e continua a volare.

A cura di CETTI CAPUANO

Tavola Rotonda

Page 28: Numero 1/2006

[28]E U R O PA

…garantire un livello di risorse commisurate agli obiettivi, rendere più efficace la struttura del bilancio attra-verso una maggiore flessibilità.

Quanto alle forti divergenze tra Parlamento e Consiglio è forse il caso di approfondire l’incidenza sui diffe-renti programmi dei tagli operati dal Consiglio nella proposta formalizzata il 16 dicembre scorso.

È noto che, rispetto alla proposta del Parlamento europeo, a pagare maggiormente le conseguenze della riduzione complessiva del bilancio comunitario operata dal Consiglio, saranno le rubriche che finanziano i programmi per la competitività la cre-scita e l’occupazione (-53,36%), quelli per cittadinanza, sicurezza e giustizia (-56,32%) e quelli per le azioni esterne (-27,94).

Meno noto, invece, è l’impatto che tale riduzione avrà sui singoli programmi. A titolo di esempio, sulla base di simulazioni più che attendibili elaborate dai servizi del Parlamento, va rilevato come il Programma sulla ricerca perderà ben 19 miliardi (da 68 a 48), quello per le TEN ben 10 miliardi (da 18 a 8), l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita di oltre 6 miliardi (da 11,9 a 5,6), i già esigui fondi per la cul-tura ed i giovani si ridurranno di quasi la metà (rispettivamente da 360 a 205 milioni di euro e da 811 a 461), anche il programma MEDIA subirà una decur-

tazione di 350 milioni (da 811 a 461) mentre le azioni in favore della salute pubblica e dei consumatori subiranno un taglio di 770 milioni (da 1.794 a 1020 milioni). La Nuova Politica di vicinato pagherà un prezzo di 3 miliardi circa, mentre le azioni in favore dello sviluppo e la cooperazione ne perderanno circa 4, la preadesione 2,5.

Quanto ai Fondi strutturali, sulla

base dell’accordo raggiunto dal Con-siglio è già possibile effettuare una di-stribuzione indicativa delle risorse per i programmi della politica di coesione per l’Italia per il prossimo periodo di programmazione 2007-2013. Si tratta, ovviamente di cifre provvisorie che diverranno definitive solo una volta che il nuovo quadro finanziario sarà definitivamente approvato.

I dati indicati di seguito, sono pre-

Fondi strutturaliLe regioni obiettivo 1

hanno rettoal colpoGianni Pittella

sentati in raffronto con quelli della pre-cedente programmazione e con quelli della proposta della Commissione.

La ripartizione delle risorse per l’obiettivo Convergenza è effettuata mantenendo fermi i criteri utilizzati nel 2000-2006 (che potrebbero comunque essere modificati sulla base di un nego-ziato interno al nostro Paese), nonché trascurando la variazione relativa dei parametri (PIL regionale e disoccupa-zione) e riservando la stessa percentuale di allora (circa il 30% del totale) ai Pro-grammi Operativi Nazionali (PON).

I dati relativi alle regioni che usci-ranno dall’obeittivo 1 per effetto stati-stico o per meriti propri, rispettivamen-te in phasing-out e phasing-in, sono, invece, definitivi e non potranno subire alcuna modifica da parte dell’Autorità nazionale, mentre la suddivisione dei fondi tra regioni operata per l’obiettivo Competitività, crescita ed occupazione è, come per la Convergenza, solo indi-cativa e potrà, a seguito di valutazioni di carattere politico, essere modificata dalle Autorità italiane.

In termini generali possiamo affer-mare che le regioni obiettivo 1 hanno retto il colpo portando a casa un buon risultato, lo stesso non si può dire per le regioni dell’obiettivo 2 che registrano riduzioni sostanziose sia rispetto al precedente periodo di programmazione che rispetto alla proposta della Com-missione europea.

a cu

ra d

el G

rupp

o So

cial

ista

al P

arla

men

to E

urop

eo. D

eleg

azio

ne it

alia

na

Page 29: Numero 1/2006

[29]E U R O PA

OBIETTIVO CONVERGENZA 2007-2013 2000-2006 Proposta

Commissione

Calabria 1.910 1.714 1.854

Campania 3.944 3.539 3.828

Puglia 2.650 2.378 2.778

Sicilia 3.833 3.440 4.038

PON 6.482 7.167 6.565

TOTALE obiettivo 18.819 18.238 19.063

REGIMI TRANSITORI

Basilicata 386 669 454

Sardegna 876 1.709 582

Molise 145 192 252

TOTALE 1407 2.570 1.288

OBIETTIVO COMPETITIVITÀ CRESCITA e OCCUPAZIONE

Toscana 457 667 780

Abruzzo 261 380 387

Pr. Trento 84 125 49

Pr. Bolzano 88 132 74

Veneto 482 702 651

Liguria 258 377 369

Piemonte 690 1.000 995

Valle d’Aosta 41 62 43

Lazio 553 806 922

Umbria 183 267 289

Marche 183 267 295

Emilia-Romagna 502 731 307

Friuli-Venezia Giulia 186 271 227

Lombardia 638 926 504

Min. Lavoro 0 201 0

TOTALE Obiettivo 4.751 6.914 6.144

OBIETTIVO Cooperazione territoriale

TOTALE Obiettivo 727 1.294 1.700

TOTALE GENERALE 25.559 28.824 27.943

SFOP 400 411 460

FEOGA 3.100 3.335 3.330

Politica di coesioneDotazioni finanziarie per le regioni italiane

per il periodo 2007-2013

Confronti con il precedente periodo di programmazione e con la proposta iniziale della Commissione (a prezzi 2004).

a cura del Gruppo Socialista al Parlam

ento Europeo. D

elegazione italiana

Page 30: Numero 1/2006

[30]

Page 31: Numero 1/2006

[31]

Quando un Comune viene sciolto per infiltrazioni o condizionamenti della criminalità organizzata,

la reazione è quasi sempre di accusa nei confronti della normativa vigente, che presterebbe il fianco alle manovre dei Prefetti e del Governo. Si tratta di un atteggiamento tutto sommato compren-sibile, date le circostanze, ma se dovesse essere generalizzato, non c’è alternativa: bisognerebbe chiedere l’abrogazione della legge. Però così si farebbe un regalo alla camorra. La legge invece va resa più incisiva, certa e trasparente attraverso opportune integrazioni e modificazioni. In questo senso si sono mossi i Gruppi parlamentari di centro sinistra, al Senato col Disegno di Legge Villone, Mancino e altri (che riportiamo in questo stesso numero) e alla Camera col Disegno di Legge Sinisi, Bova, Diana e altri . Dopo il voto di Aprile il nuovo Parlamento dovrà decidere. Con il contributo, speriamo, di tutte le parti politiche, perché la lotta alla criminalità organizzata esige il massimo possibile di concordia e d’intesa.

Va tuttavia detto che qualsiasi Legge, anche la migliore, da sola non basta a risolvere il problema. Occorrono due condizioni politiche. Primo: l’assoluta correttezza e imparzialità istituzionale del Governo nella gestione della normativa. Secondo: l’impegno delle forze politiche per la formazione e la selezione di nuove classi dirigenti a livello locale.

Sul primo punto. Come altre misure prese in situazioni di emergenza – si pensi agli anni della lotta al terrorismo, e in quanto a emergenza nazionale, oggi mafia e camorra non sono da meno - la normativa in questione è ‘a maglie larghe’, ha ampi spazi di ‘discrezionalità’, si muo-ve lungo una sottile linea di confine tra il fumus, il fattore ambientale e la prova dei fatti. Invocando responsabilità ‘oggettive’, ‘collettive’ e ‘ambientali’ si possono colpire indistintamente interi organismi elettivi, mentre di norma in uno Stato di diritto le contestazioni e le pene devono essere dirette e personali, suffragate da prove concrete. Ovviamente sappiamo bene che la definizione di ‘reati associativi’ ha con-sentito negli ultimi tempi una maggiore efficacia nella lotta alla mafia e alla ca-morra, per sua natura sfuggente, coperta e

‘col-le t t i -va’. Tut-to questo ci è presente. Ma proprio per questo occorre il massimo del rigore e della indipendenza nella applicazione della legge. “E’ essenziale – si legge nella relazione del Progetto di Legge Villone Mancino – che l’istituto dello scioglimento dei Consigli comunali sia sottratto ad ogni dubbio circa un uso strumentale, volto all’utile politico delle forze vicine alla maggioranza di Governo. Se tale dubbio persistesse, è chiaro che l’istituto in sé diventerebbe radicalmente inaccettabile”.

Sul secondo punto. A partire dai primi anni Novanta l’elezione diretta dei Sindaci, la nomina degli Assessori senza la legittimazione del voto da parte dei cittadini o dei Consigli comunali, e la dra-stica riduzione delle funzioni dei Consigli hanno fortemente ridotto la base demo-cratica dei poteri locali. Essendo solita-mente i partiti e le coalizioni al potere a decidere candidature, liste, assetti ammi-nistrativi, incarichi, nomine, consulenze, concorsi, ecc. Il tutto viene poi ‘ratificato’, o poco più, in sede istituzionale. Si tratta di una inquietante anomalia, tanto più grave in quanto i partiti - sempre più autoreferenti e chiusi in se stessi - stanno via via perdendo radicamento sociale e le-gittimazione democratica, per cui, a conti fatti, sono ormai ridottissime oligarchie a decidere della vita amministrativa di piccole, medie e grandi città. In questa situazione la soglia della resistenza a pressioni speculative e infiltrazioni ma-fiose e camorristiche è ovviamente bassa. Pericolosamente bassa. Allora: si migliori la legge e si vigili sulla indipendenza dei Prefetti e del Governo. Ma questo non

può esse-

re un alibi per non porre

mano, con rigore e urgenza, al rilancio dell’autonomia e dei poteri locali attraverso la riforma democratica della politica e dei partiti, la formazione di nuove classi dirigenti, l’elaborazione di programmi e progetti condivisi, la ideazione di adeguate forme e strumenti di partecipazione popolare alla vita am-ministrativa.

Detto questo, non v’è dubbio che si debba rivedere la normativa “con l’obiet-tivo - come si legge nella relazione al Disegno di Legge Villone Mancino - non già di spuntare le armi da usare contro la criminalità organizzata, ma di conferire ad essa nuova efficacia”. Riducendo gli spazi di ‘discrezionalità’ dei prefetti, della Commissioni di accesso e del Governo. Colpendo, assieme agli amministratori (Consigli, Giunta e Sindaci) i funzionari che si rendessero responsabili (quanto e più degli stessi amministratori, data la rilevante crescita dei loro poteri decisio-nali) di condizionamenti e infiltrazioni mafiose e camorristiche. Rescindendo ogni rapporto con ditte e imprese che risultassero coinvolte in attività illecite e illegali. Attualmente infatti la normativa vigente esclude da qualsiasi intervento repressivo gli apparati burocratici e il sistema degli appalti, ed è francamente difficile immaginare che la criminalità organizzata possa infiltrarsi nelle istitu-zioni pubbliche senza servirsi di questo duplice, fondamentale canale.

Ma questi e altri aspetti vengono adeguatamente affrontati, ci sembra, nel Disegno di Legge all’ordine del giorno del nuovo Parlamento.

SOLO MIGLIORARELA LEGGE NON BASTA

Page 32: Numero 1/2006

COMUNILISTA CIVICA

COMUNI DI CENTRODESTRA

COMUNIDI CENTROSINISTRA

10 Comuni ed Enti sciolti per infiltrazione e/o condizionamento camorristico (10)

POZZUOLI – MELITO – AFRAGOLA – TORRE DEL GRECO – CRISPANO – CASORIA – TUFINO

SAN PAOLO BEL SITO – VOLLA – ASL NAPOLI 4

7 Comuni ed Enti in cui è stata presente la Commissione d’accesso (7)

ACERRA – BOSCOREALE – MARIGLIANO – POMIGLIANO D’ARCO – POMPEI

BRUSCIANO – ASL NAPOLI 5

25 Comuni ed Enti oggetto di monitoraggio con finalità di prevenzione antimafia (25)

ASL NAPOLI 1 – CIRCOSCRIZIONE METROPOLITANA DI NAPOLI/MIANO – ARZANO – BACOLI

CAIVANO – CALVIZZANO – CASANDRINO – CASAVATORE – CASOLA DI NAPOLI

CASTELLAMMARE DI STABIA – ERCOLANO – FRATTAMINORE – FRATTAMAGGIORE

GRUMO NEVANO – QUALIANO – QUARTO – ROCCARAINOLA – SAN GENNARO VESUVIANO

SAN GIUSEPPE VESUVIANO – SANTA MARIA LA CARITÀ – SANT’ANTIMO

SANT’ANTONIO ABATE – SOMMA VESUVIANA – TORRE ANNUNZIATA – VILLARICCA

35 Comuni oggetto di una mirata attività di monitoraggio ai fini dell’accertamentodi irregolarità, illegittimità e abusi da parte di organi politici e/o gestionali

AGEROLA – BARANO D’ISCHIA – BOSCOTRECASE – CAMPOSANO – CARDITO – CASALNUOVO

CASAMARCIANO – CASAMICCIOLA – CERCOLA – CICCIANO – FORIO D’ISCHIA

GIUGLIANO – ISCHIA – LACCO AMENO – LETTERE – MARIGLIANELLA – MASSA DI SOMMA

MASSA LUBRENSE – MONTE DI PROCIDA – NAPOLI – OTTAVIANO – PALMA CAMPANIA

PIANO DI SORRENTO – PIMONTE – POGGIOMARINO – PROCIDA – SAN GIORGIO A CREMANO

SANT’ANASTASIA – SAN VITALIANO – SAVIANO – SORRENTO – STRIANO – TERZIGNO

TRECASE – VICO EQUENSE

10 Comuni che non hanno sottoscritto o non rispettano il protocollosulla legalità per gli appalti pubblici

CAPRI – CARBONARA DI NOLA – COMIZIANO – GRAGNANO – MUGNANO DI NAPOLI

MARANO DI NAPOLI – META – SANT’AGNELLO – SCISCIANO – SERRARA FONTANA

GLI ENTI LOCALI INDAGATINELLA PROVINCIA DI NAPOLI

Page 33: Numero 1/2006

[33]

Alla vigilia delle elezioni poli-tiche e del rinnovo di numerosi ed importanti Consigli Comunali, lo scenario del sistema degli Enti Locali nella provincia di Napoli si presenta particolarmente preoc-cupante. Su 92 Comuni, infatti, 83 risultano “sotto inchiesta”per sospetti condizionamentj della criminalità organizzata. Oltre settanta Comuni sono “sorve-gliati speciali” che si vanno ad aggiungere ai dieci già sciolti ed ai sei in cui si è insediata una “Com-missione d’accesso” per valutare tutti gli atti amministrativi.

Nella stessa condizione si ritrovano anche l’ASL Napoli1 e la 13° Circoscrizione di Miano (presidenza Cristiano Democra-tici) che rischiano l’insediamento di una “Commissione d’accesso”. I due Enti, infatti, sono in un elenco di 23 Comuni “oggetto di monitoraggio con finalità di prevenzione antimafia”. In so-stanza, come già verificatosi per l’ASL Napoli 4 e 5, l’anticamera di una Commissione nominata dal Prefetto.

È in atto, inoltre, l’istruttoria su altri 35 Comuni in cui è stata prevista “una mirata attività di monitoraggio ai fini dell’accerta-mento di irregolarità, illegittimità e abusi da parte di organi politici e/o gestionali”.

I Comuni interessati sono così ripartiti: n. 35 con Sindaci centro-sinistra; n. 15 con Sin-daci centro-destra. Altre trenta Amministrazioni, elette su base “lista civica” sono attribuibili, in maggioranza, al centro-destra.

Gli atti “inquisitori” e “istrut-

tori” sono elaborati in base ai “rapporti” ed ai “dossier” prodotti dal nucleo “interforze” (Polizia, Carabinieri, Guardia Finanza, DIA). Sui “Rapporti” viene fatta una prima verifica (senza che gli Amministratori degli Enti abbiano notizia) per identificare eventuali atti amministrativi che possano favorire la criminalità organizzata o gruppi imprendi-toriali contigui.

Ovviamente non è preventiva-mente verificabile se in tutti gli Enti inquisiti venga insediata, su decisione del Prefetto, una Com-missione d’accesso. Il quadro complessivo è, comunque, grave. Delinea, in ogni caso, una vera e propria “questione democratica”, una straordinaria “emergenza politica” che riconduce a nodi strutturali che investono il con-testo sociale – politico – istitu-zionale del sistema dei governo territoriale.

È da sottolineare che a fronte di una situazione oggettivamente straordinaria e pericolosa, non ci siano state e non ci sono ini-ziative specifiche. Legautonomie Campania è la sola associazione che ha assunto posizioni pubbli-che (comunicati, articoli, ecc.) in occasione dello scioglimento di alcuni Comuni di notevole rilievo (Portici, Marano di Napoli, Erco-lano, Casoria, ecc.) coinvolgendo Sindaci, Amministratori, forze politiche, ecc.

È evidente che si tratta di una situazione che impone riflessioni politiche “ad hoc” ed una strate-gia di interventi commisurata allo spessore del problema ed artico-

lata sul piano nazionale, regiona-le e locale, investendo tutte le sedi politiche ed istituzionali.

RIFLESSIONI E PUNTI POLITICI

Si tratta di una “congiura” contro i Comuni dell’area na-poletana? Improbabile. Di si-curo, il sistema di governo del centro-sinistra in Campania, a tutti i livelli, è al centro di una “strategia d’assalto”, soprattutto da AN, continua e pressante. Ma difficile ritenere si tratti di “con-giura”.Di contro: è una situazione non reale, non vera? Si tratta di una “sensibilizzazione” del gover-no e delle Prefetture “eccessiva” e, dunque, di un quadro estre-mizzato, “gonfiato”? Non si può affermarlo con certezza.

In entrambi i casi è sconcer-tante ed incomprensibile che tutto scivoli nella indifferenza politico-istituzionale.

Intanto i Comuni sono “stret-ti” da una serie di fattori:a) innegabile “condiziona-

mento camorristico” che permea settori della Pubblica Amministrazione con “infiltra-zioni” soprattutto negli appalti per “servizi” e “manutenzioni”. La “esternalizzazione” di tanti servizi favorisce l’insorgenza di rapporti “clientelari” e “partico-lari” se non di subalternità alle imposizioni interessate di grup-pi organizzati o malavitosi;

b) efficienza inadeguata dei Comuni accentuata dalle ri-sorse insufficienti. Non va sot-tovalutato che molti Comuni si dibattano tra mille problemi e sono sul filo del “dissesto”;

Legautonomie CampaniaUNA ALLARMANTE

“QUESTIONE DEMOCRATICA”

POTERI LOCALI

Page 34: Numero 1/2006

[34]

c) limitata partecipazione alla attività delle ammi-nistrazioni locali. Il deficit di rapporto e di ruolo tra Sindaci e Consigli si traduce negativamente sulla Ammi-nistrazione. Quando il Consi-glio “doveva” rispondere alla città, il “controllo” politico sulla Amministrazione era in qualche misura nei fatti e co-stituiva, comunque, un fattore di garanzia importante. Urge rilanciare il ruolo delle Assem-blee elettive. Oggi i “Consigli” sono scatole vuote e ondiva-ghe; i Partiti boccheggiano; si delinea con forza, la filosofia e la pratica dell’uomo solo al comando”. Sono nodi politici ed istituzionali da affrontare;

d) insoddisfacente selezione del personale politico. È un autentico “punto di caduta” politico. Da un lato, il super-potere dei Sindaci designati, peraltro, da ristrettissimi ver-tici dei partiti politici. Dall’al-tro, il mercato degli assessori, delle presidenze di “società miste”, consorzi, ecc. La “non selezione qualitativa” ma la selettività autoreferenziale mediata tra gruppi politici spesso contrapposti non da strategie e programmi ma sulla base della acquisizione di “posizioni di potere” nei partiti e nelle Istituzioni, co-stituisce un punto critico di grossa valenza politica.

In generale e con poche ecce-zioni, il “controllo” politico dentro e fuori le Amministrazioni ed i partiti è inesistente in quanto sono “inesistenti” gli attuali partiti ri-spetto alle reali funzioni istitutive e mancano sedi di confronto cul-turale, programmatico e politico. I “Partiti” sono rientrati in scena sul versante e su obiettivi distorti e distorcenti. Da un lato esprimono un “gregariato subalterno” rispet-to ai “poteri forti” ( Presidenti Re-gioni, Province, qualche “Sinda-

co”, particolarmente autorevole). Dall’altro, “catturano” i Comuni e gli stessi Sindaci imponendo, per posizioni di governo o di respon-sabilità amministrative, persona-le, politico selezionato sulla base di criteri “particolari”.

A questo si aggiunge la “crisi” di funzioni e di ruolo delle As-semblee elettive. La derespon-sabilizzazione è diffusa ed apre varchi rilevanti sia alle possibili “infiltrazioni” sia all’innesco di re-lazioni illecite nello svolgimento della vita amministrativa. Inoltre alla deresponsabilizzazione delle assemblee si contrappone il ruolo crescente e determinante dei fun-zionari nella gestione della mac-china amministrativa (appalti, fornitura, beni e servizi, manuten-zioni, ecc.) Si è di fronte, frequen-temente, ad una sostituzione o surrogazione delle responsabilità. Inoltre, non va oscurato il dato che mentre si incide e si liquidano con provvedimenti amministrati-vi e con lo “scioglimento”, Sindaco e Consigli, Dirigenti, funzionari e “imprese” restano al loro posto. Il paradosso è che funzionari e imprese “possono colludere”, al-l’ombra del governo locale mentre a “pagare” sono sempre e solo gli amministratori. In ogni caso, van-no delineati principi e regole che colpiscano le singole responsabi-lità degli illeciti senza travolgere “tout-court” le assemblee elettive e la comunità locale. Non bisogna confondere il tema della illegalità amministrativa con la “questione camorra”. Solo in questo caso, in-fatti, i Prefetti hanno competenza. Sull’altro, la riflessione va fatta sui controlli e sulla qualità, tra-sparenza e incisività della azione del governo locale.

Alcuni punti “conclusivi”

La Legge in materia ed in vigore è “datata”. Consente una interpretazione ed applicazione unilaterale, centralistica, elastica;

determina la condizione per cui lo Stato si erge ad accusatore dei Sindaci assolvendo un ruolo di supplenza e di sostituzione nella “gestione politica” delle ammi-nistrazioni. In molte situazioni, come confermano le sentenze TAR e Consiglio di Stato, si rileva che non ci sono “prove” docu-mentali o “sentenze” che abbiano condannato “camorristi”.

Occorre mettere al centro della attenzione del Parlamento e della iniziativa politica la pro-posta di “legge Mancino – Vil-lone – Formisano, per rendere più rigorosa la normativa per lo scioglimento dei Comuni esposti a condizionamenti mafiosi”.

Contestualmente va avviata una riflessione critica su alcune “modifiche” ed “innovazioni”; es: la preferenza unica; la riforma del Titolo V; la eccessiva limitazione o soppressione delle responsabi-lità giuridiche e dei controlli.

Fonte: Lagautonomie Campania

POTERI LOCALI

Page 35: Numero 1/2006

[35]

In provincia di Napoli

[…]I dati forniti dal Prefetto di

Napoli riferiscono che la gran parte dei 92 Comuni di cui è composta la provincia di Napoli è stata interessata da accertamenti relativi all’esistenza di tale tipo di infiltrazioni.

Al gennaio 2005, i comuni sciolti da infiltrazioni e condizio-namento mafioso erano tre: Volla, S. Paolo Belsito e Frattamaggiore, ai quali si sono aggiunti a fine anno altri sette: Afragola, Calo-ria, Crispano, Melito, Pozzuoli, Torre del Greco e Tufino, più l’A.S.L. NA4.

In altri enti locali e A.S.L. sono state inviate sette Commissioni

d’accesso (Acerra, Boscoreale, Brusciano, Marigliano, Po-

migliano d’Arco, Pompei e l’A.S.L. NA5).

Sempre a gen-naio 2005 risulta-va, inoltre, in corso di accertamenti per verificare la consistenza ed il collegamento con la crimina-lità organizzata su 37 comuni. Infine, erano in

corso monitorag-gi disposti dal Pre-

fetto su 24 comuni, 2 A.S.L. ed una circo-

scrizione del Comune di Napoli.In definitiva, a gen-

naio 2005 solo il 20% circa del totale dei comuni non era

interessato da una delle attività disposte dal Prefetto (monito-raggi, accertamenti, accessi). Ad oggi in provincia di Napoli sono stati emessi 40 decreti di sciogli-mento per 49 consigli comunali, di cui 7 sciolti per due volte, e per una A.S.L.

Riteniamo che vadano fatte una serie di attente verifiche sull’uso della legge sullo sciogli-mento degli enti locali. Rimane comunque il dato chiaro e certo: la camorra è tale perché è in grado di esercitare un alto livello di collusione con la politica e l’economia.

Quando il governo nazionale non fa della lotta alla mafia una questione centrale, quando la camorra non viene colpita alla sua radice è chiaro che a valle si riscontrano infiltrazioni mafiose nelle istituzioni, sia in comuni guidati dal centro destra sia in comuni guidati dal centro sini-stra. Vanno pertanto respinte tutte le letture strumentali che settori del centro destra fanno di questo grave fenomeno. Non serve contestarsi reciprocamete a seconda del colore politico che governa un ente locale.

È più importante e decisivo colpire- con tensione unitaria- la camorra in modo sistematico e attraverso un’azione integra-ta sul piano repressivo e della prevenzione nel campo sociale, economico e politico. Il governo nazionale non ha cercato l’unità e la cooperazione tra le istituzioni locali e quelle centrali. Come pure non ha incoraggiato lo sforzo quotidiano di amministratori

locali e della Regione nella pro-mozione di percorsi concreti di legalità e di sviluppo.

Al dato rappresentato dai decreti di scioglimento occorre aggiungere l’esito della commis-sione di accesso presso il Comune di Mugnano che, pur evidenzian-do l’esistenza di condizionamenti di tipo mafioso, non ha dato luogo allo scioglimento del consiglio co-munale, bensì alla segnalazione da parte del Ministro dell’Interno di alcune prescrizioni ed indica-zioni per il sindaco.

Ancora con riferimento al-l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’amministrazione pubblica delle realtà territoriali, è stato fatto riferimento al caso che ha interessato il territorio di Pozzuoli, ed in particolare la realizzazione del nuovo merca-to ittico a quella sede, uno dei mercati più importanti d’Euro-pa. Dalle indagini sono emerse circostanze di una gravità tale che da sole riferiscono quanto penetrante sia il condizionamen-to delle organizzazioni criminali sul libero svolgimento dell’azione amministrativa pubblica. È stato accertato, infatti, che alle riunioni della commissione comunale per la ristrutturazione del mercato ittico di Pozzuoli (è superfluo rammentare che si tratta di organo tecnico-politico) presen-ziava Longobardi Gennaro, capo dell’omonimo clan, che di fatto controllava il mercato ittico; nel corso di una riunione, pur non avendo il Longobardi alcun titolo a parteciparvi, non solo vi prese parte, ma impose a tutti gli opera-tori una precisa scelta di ristrut-

Dalla relazione di minoranza della Commissione Parlamentare antimafia

APPLICAZIONE DELLA NORMATIVAIN MATERIA DI SCIOGLIMENTO

DEGLI ENTI LOCALI

POTERI LOCALI

Page 36: Numero 1/2006

[36]

turazione, ottenendo peraltro il plauso degli astanti.

L’azione di controllo della camorra, che impediva che le irregolarità venissero sanate, ha fatto sì che per lungo tempo il mercato è rimasto completa-mente fuorilegge, con l’assurdo paradosso che alla tassa di in-gresso al mercato, imposta dal Comune, corrispondeva un ‘ticket di uscita’ dal mercato, imposto dalla camorra (pari a lire 10.000 per ogni automezzo).

Con tutte le cautele del caso, è opportuno ricordare che nei gior-ni scorsi Pozzuoli è stata teatro di provvedimenti giudiziari che hanno riguardato appartenenti alle forze dell’ordine che prestano servizio, o lo hanno fatto in pas-sato, a Pozzuoli.

Altro aspetto sensibile emerso nel corso delle visite in Campania è rappresentato dall’infiltrazione della camorra nel settore dei pub-blici appalti.

Alla generale preoccupazione manifestata dagli organi giudi-ziari (rappresentante della DNA e Procuratore Distrettuale anti-mafia di Napoli) sui temi delle SOA e del ‘general contractor’, fanno riscontro esiti investigativi che inducono preoccupazione per la presenza in Campania di progetti finanziati da cospicui investimenti di denaro pubblico (il tratto della TAV dalla pro-vincia di Caserta ad Afragola, la ricostruzione del sito di Bagnoli -che ha ottenuto lo stanziamento di 75 milioni di euro-, il colle-gamento della stazione TAV di Afragola con la stazione centrale di Napoli, la realizzazione della terza corsia dell’autostrada A3 Napoli-Pompei-Salerno). L’ac-certata riconducibilità di alcune SOA ad elementi della criminalità organizzata, come avvenuto nel casertano, e la presenza sui can-tieri di ditte legate a clan camorri-stici -accertata dalla DIA- devono indurre a riflettere sulla necessità che alle norme astratte che re-

golano la specifica materia del ‘general contractor’ e delle SOA si affianchi un’attività di preven-zione accurata e capillare che non può esaurirsi nelle, pur lodevoli, iniziative di protocolli di legalità che proliferano sul territorio e vengono spesso sbandierate come panacea dei mali causati dall’assenza di un’azione centrale che si distingua per efficacia.

A ciò si aggiunga la necessità di una revisione delle norme che regolano la materia delle certifi-cazioni antimafia, al fine di argi-nare efficacemente il fenomeno delle ‘migrazioni’, da parte delle imprese collegate alla criminalità organizzata, nella circoscrizione di Prefetture lontane al fine di ottenere la certificazione anti-mafia e partecipare liberamente alle gare sul proprio territorio di riferimento.

In provincia di Caserta

Preoccupante è il fenomeno del condizionamento della vita amministrativa di numerosi Comuni nel casertano. Una si-tuazione documentata dagli esiti delle Commissioni di Preoccupante è il fenomeno del condizionamento della vita am-ministrativa di numerosi Comuni nel casertano. Una situazione commissioni di accesso disposte dalla Prefettura e dal numero di consigli comunali sciolti. Dall’en-trata in vigore della legge, sono 16 le amministrazioni comunali commissariate, alcune delle quali per due volte nell’arco di pochi anni

14. Tutti i comuni insistono

nel raggio di quindici chilometri, a riprova di un più forte controllo e condizionamento sul territorio dell’Agro aversano, dei Mazzoni e del litorale. L’ultima, in ordine di tempo, è quella di San Tam-maro: oltre al coinvolgimento del sindaco attuale e del suo predecessore in indagini della Direzione Distrettuale antima-fia, gli stessi vertici della buro-

crazia comunale sono risultati

pesantemente compromessi con elementi di spicco della crimina-lità organizzata. Dalle indagini è risultato, infatti, che il marito di una dirigente della segreteria del sindaco, Rosa Maione, è socio del fratello in affari del fratello di Carlo De Vecchio, capozona del clan dei Casalesi per l’area Santa Maria Capua Vetere-San Tammaro-Capua.

Nel corso della missione a Caserta era emersa la necessità di intervenire sulla normativa in materia di scioglimento degli organi rappresentativi degli enti locali per infiltrazioni e condi-zionamenti di tipo mafioso e dei connessi poteri di accertamento del Prefetto.

Nel corso delle audizioni si è appreso, infatti, che l’accesso del Prefetto presso gli enti locali sovente ha come epilogo non lo scioglimento dell’organo rap-presentativo dell’ente, bensì le dimissioni del singolo consigliere dalla carica ricoperta. L’interpre-tazione sembrerebbe nascere dal convincimento che, per giungere allo scioglimento dell’organo rappresentativo dell’ente, sia-no necessarie previe pronunce giudiziali atte a suffragare l’in-filtrazione, il collegamento con la criminalità organizzata e, dunque, il condizionamento degli amministratori e il pericolo che risultino compromessi la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento del-le amministrazioni comunali in misura tale da recare pregiudizio alla sicurezza pubblica.

Ora, pur non dimenticando che le disposizioni normative in argomento rappresentano certamente strumenti eccezio-nali di interferenza dello Stato nell’autonomia degli enti locali, si deve parimenti ricordare che le stesse norme attengono alla sfera di controllo degli organi e rappresentano un potere pri-mario ed esclusivo dello Stato,

POTERI LOCALI

Page 37: Numero 1/2006

[37]

volto a preservare l’integrità degli organi elettivi degli enti locali. Potere che –in situazioni, come quella prospettata a Caserta alla Commissione, di accertata e no-toria diffusione della criminalità organizzata sul territorio di alcu-ni Comuni, unita alla presenza di indici sintomatici di disfunzioni dell’organo di rappresentanza (che, in qualche caso non sono andate disgiunte dalla presenza all’interno dei consigli comunali di persone legate da rapporti di parentela, affinità o coniugio con esponenti di primo piano della criminalità organizzata) – lo Stato può esercitare mediante il libero apprezzamento degli ele-menti di collegamento, diretto o indiretto, e delle forme di con-dizionamento dell’ente locale e che deve intendersi esteso fino a comprendere gli “effetti derivanti dai collegamenti o dalle forme di condizionamento in termini di compromissione della libera determinazione degli organi elet-tivi, del buon andamento delle amministrazioni e del regolare funzionamento dei servizi”.

In tale ottica devono, perciò, ritenersi idonee alla complessi-va valutazione dei casi di specie anche “quelle situazioni che non rivelino, né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata; poiché la scelta del legislatore è stata quella di non subordinare lo scioglimen-to dei consigli comunali al compi-mento di specifiche illegittimità” (conf. Consiglio di Stato, sez. V, 23.6.1999).

Dunque, per la permanenza in carica di un consiglio comunale non è sufficiente che i suoi com-ponenti non versino in condizioni di decadenza dalla carica, ovvero che non siano imputabili di spe-cifici reati, essendo anche neces-sario che gli stessi non abbiano collegamenti anche indiretti con la criminalità organizzata e che non subiscano alcuna forma di

condizionamento; per lo scio-glimento dell’organo elettivo, pertanto, possono assumere ri-levanza anche circostanze che sarebbero di per sé inidonee a legittimare l’adozione di misure restrittive di posizioni soggettive, ma che acquistano significatività nel loro insieme, in un quadro in cui l’asse portante è costituito, da un lato, dall’accertata o notoria diffusione nel territorio della criminalità organizzata, dall’al-tro dalle precarie condizioni di funzionalità dell’ente (conf. TAR Campania, sez. 1^, n. 1834 del 6/6/2000). In altre parole, il margine di apprezzamento può conseguentemente compren-dere situazioni che, seppur non traducibili in addebiti personali, rendano plausibile nella lettura della realtà locale l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, come avviene in presenza di vincoli di parentela o di affinità, rapporti di amicizia e di frequentazioni.

La potestà discrezionale di cui dispone l’Amministrazione risulta quindi assai ampia e l’at-to nel quale essa trova concreta espressione può essere sindacato nel giudizio di legittimità, come è regola generale, solo sotto il profilo della manifesta illogicità e di assoluta mancanza di moti-vazione e, dunque, in presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istitu-zionale (conf. Consiglio di Stato, sez. V, del 23.2.1999 ; sez. V, del 23.6.1999).

Note14

Carinola, nel 1993; Casal di Principe nel 1991 e nel 1996; Casapesenna, nel 1991 e nel 1996; Castelvolturno nel 1998; Cesa nel 1992; Frignano nel 1993; Grazzanise nel 1992 e nel 1998; Lusciano nel 1992; Mondragone nel 1991; Pignataro Maggiore nel 2000; Recale nel 1992; San Cipriano d’Aversa nel 1992; Santa Maria la Fossa nel 1992 e nel 1996; Teverola nel 1993; Villa di Briano nel 1992 e nel 1998; San Tammaro nel 2005.

POTERI LOCALI

Page 38: Numero 1/2006

[38]

Art. 1.(Modifiche all’articolo

143 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cuial decreto legislativo

18 agosto 2000, n. 267)

1. All’articolo 143 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modi-ficazioni:a) i commi 1, 2 e 3 sono sostituiti

dai seguenti:«1. Fuori dei casi previsti dall’ar-

ticolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono ele-menti su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata dei consiglieri, assessori, sindaci o presidenti di provincia o su forme di con-dizionamento degli stessi, che concretamente compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon anda-mento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchè il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovve-ro che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Lo scioglimento del consiglio comunale o provincia-le comporta la cessazione dalla

carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente delle rispettive giunte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti, nonché di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte.

2. Il procedimento di scioglimen-to è avviato dal prefetto della provincia con una relazione che riferisce le risultanze de-gli accertamenti svolti, che tiene anche conto di elementi eventualmente acquisiti con i poteri delegati dal Ministro dell’interno ai sensi dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e successive modificazioni. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al comma 1 o per eventi connessi sia pendente procedimento pe-nale, il prefetto può richiedere

preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all’articolo 329 del codice di pro-cedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento. La relazione del prefetto è pub-blicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana entro sessanta giorni dal completa-mento degli accertamenti di cui al presente comma, salvo che sia diversamente disposto dal Ministro dell’interno per gravi motivi di sicurezza pubblica. Se il divieto di pubblicazione è par-ziale, la relazione del prefetto è pubblicata per le parti che non sono oggetto del divieto.

3. Lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. Il provvedimento di scioglimento deliberato dal Con-siglio dei ministri è trasmesso al Presidente della Repubblica per l’emanazione del decreto ed è contestualmente trasmesso alle Camere. Il decreto di sciogli-mento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle Commis-sioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il buon an-

DISEGNO DI LEGGEd’iniziativa dei senatori

VILLONE, MANCINO, FLAMMIA,FORMISANO, MANZIONE,

MARINO, PAGANO, PASCARELLA,SCALERA, SODANO, TOMMASO E TESSITORE

Comunicato alla Presidenza il 21 ottobre 2004

Modifiche agli articoli 143, 144 e 145 del testo uni-co delle leggi sull’ordina-mento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso o camorristico

POTERI LOCALI

Page 39: Numero 1/2006

[39]

damento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati. Il decre-to di scioglimento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Con il de-creto sono pubblicate in allegato la relazione del Ministro dell’in-terno e, qualora non sia stata già pubblicata ai sensi del comma 2, la relazione del prefetto di cui al medesimo comma 2, salvo che il Ministro dell’interno non di-sponga diversamente per gravi motivi di sicurezza pubblica. Se il divieto di pubblicazione è par-ziale, la relazione del prefetto è pubblicata per le parti che non sono oggetto di divieto.»;

b) dopo il comma 6 è aggiunto, in fine, il seguente:

«6-bis. Quando, a seguito del procedimento di cui al comma 2, i collegamenti diretti o in-diretti o i condizionamenti di cui al comma 1 e i conseguenti pregiudizievoli effetti sulla vita amministrativa dell’ente o sullo stato della sicurezza pubblica siano rilevati con riferimento a dirigenti, funzionari o di-pendenti a qualunque titolo dell’ente, il prefetto assume in rapporto ai dirigenti, funzio-nari e dipendenti medesimi ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricon-durre alla normalità la vita amministrativa dell’ente, ivi inclusa la sospensione ovvero la destinazione ad altra ammi-nistrazione, o ad altro ufficio o mansione nella medesima am-ministrazione. I provvedimenti conservano i loro effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, ovvero, nel caso in cui venga adottato anche il decreto di scioglimento del consiglio, per lo stesso periodo di tempo del decreto medesimo.

I provvedimenti vengono pub-blicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana».

Art. 2.(Modifiche all’articolo

144 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cual decreto legislativo

18 agosto 2000, n. 267) 1. All’articolo 144 del testo

unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modi-ficazioni:a) il comma 1 è sostituito dal se-

guente: «1. Con il decreto di sciogli-

mento di cui all’articolo 143 è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, la quale esercita le attribuzioni che le sono con-ferite con il decreto stesso. La commissione è composta di due membri per i comuni fino a diecimila abitanti, e di tre membri per i comuni oltre diecimila abitanti e le province. I membri sono scelti tra funzio-nari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza. La commissione rimane in ca-rica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile.»;

b) dopo il comma 3 è aggiunto, in fine, il seguente:

«3-bis. Nel caso che il prefetto adotti i provvedimenti di cui all’articolo 143, comma 6-bis, e non venga anche disciolto il consiglio comunale o provin-ciale, la commissione viene istituita al solo fine di eseguire le verifiche di cui all’articolo 145, comma 4, e di adottare le determinazioni eventualmente conseguenti».

Art. 3.(Modifiche all’articolo

145 del testo unico delle leggi sull’ordinamento

degli enti locali, di cui al decreto legislativo

18 agosto 2000, n. 267)

1. All’articolo 145 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modi-ficazioni:a) al comma 1, dopo le parole:

«indicate nel comma 1» sono inserite le seguenti: «e nel com-ma 6-bis»;

b) il comma 4 è sostituito dal se-guente:

«4. Nei casi in cui lo scioglimento, ovvero i provvedimenti del prefetto in ordine a funzio-nari, dirigenti o dipendenti dell’ente, sono disposti anche con riferimento a situazioni di infiltrazione o di condiziona-mento di tipo mafioso, connesse all’aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche forniture, ovvero l’affidamento in concessione di servizi pubblici locali, la commissione straordinaria di cui al comma 1 dell’articolo 144 procede alle necessarie ve-rifiche con i poteri del collegio degli ispettori di cui all’articolo 14 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con mo-dificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. A conclusione delle verifiche, qualora infiltrazioni e condizionamenti risultino confermati, la commissione straordinaria adotta tutti i provvedimenti ritenuti necessa-ri e dispone d’autorità la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, o la rescissione del contratto già concluso. Qualora infiltrazioni e condizionamenti risultino

POTERI LOCALI

Page 40: Numero 1/2006

[40]

insussistenti, la commissio-ne straordinaria conferma le deliberazioni già adottate e i contratti già conclusi. Le deli-berazioni di revoca, conferma o rescissione sono rese pubbliche con le stesse modalità utilizzate per gli atti originariamente as-sunti dall’amministrazione».

Art. 4.(Norme transitorie e finali)

1. La presente legge si appli-ca agli scioglimenti dei consigli comunali e provinciali il cui pro-cedimento è già iniziato ai sensi

dell’articolo 143 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, come modifica-to dall’articolo 1 della presente legge e per i quali il decreto di scioglimento non è stato ancora adottato.

2. Qualora il decreto di sciogli-mento sia stato adottato e abbia prodotto i suoi effetti, ma il termi-ne in esso previsto non sia ancora interamente trascorso, il prefetto invia al Ministro dell’interno una relazione integrativa di quella pre-sentata ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del

2000, come modificato dall’artico-lo 1 della presente legge. Qualora non sussistano i presupposti per lo scioglimento del consiglio ai sensi della presente legge, il Ministro dell’interno revoca lo scioglimento con effetto immediato. Il prefetto e la commissione straordinaria adottano altresì i provvedimenti e le determinazioni previsti dagli articoli 143, comma 6-bis, e 145, comma 4, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, rispettivamente introdotto dall’articolo 1, comma 1, lettera b), e modificato dall’articolo 3 della presente legge.

POTERI LOCALI

Page 41: Numero 1/2006
Page 42: Numero 1/2006
Page 43: Numero 1/2006

[43]

La globalizzazione, prodotta dal grandioso sviluppo della tecnologia delle comunicazioni, ha avuto molti effetti positivi ma anche molti negativi. Tra questi ultimi il più allarmante è l’esten-sione planetaria del terrorismo. Infatti il terrorismo, in sé, – ossia l’intenzione di piegare il nemico non solo con la forza militare ma anche con la paura e la demora-lizzazione di intere popolazioni – non è una novità. Hitler tentò di piegare gli inglesi con la “co-

ventrizzazione” (a cui Mussolini chiese l’”onore” di poter parte-cipare almeno simbolicamente con qualche aereo). Gli inglesi fecero altrettanto a Dresda poche settimane prima della cessazione delle ostilità. E gli americani a Hiroshima qualche mese dopo. Indipendentisti baschi, irlandesi e palestinesi non hanno ancora cessato di ricorrervi. Ma sono stati tutti fenomeni localizzati. Invece dopo l’”11 settembre” il fenomeno si è globalizzato. Non

solo perché il fondamentalismo islamico se ne serve per la guerra santa contro tutti gli “infedeli” dovunque si trovino (e anche contro gli “apostati” degli Stati arabi moderati), ma perché il fatto che – con la globalizzazione tecnologica – può essere attuato in tutte le parti del mondo, sen-za fermarsi dinanzi a qualsiasi frontiera.

Questo terrorismo universa-lizzato è un male. Un gravissimo male. Ma, come tutte le realtà

La lotta al terrorismo dopo l’11 settembre

SOVRANITÀ NAZIONALE E DIRITTO UNIVERSALE

Paolo Barbi

D I R I T T I

Page 44: Numero 1/2006

[44]

di questo mondo, non è il male assoluto. Contiene – e può pro-durre – anche qualche bene.

Dal mio punto di vista, di possibili beni ne scorgo due: il contributo a demolire l’idolo della sovranità assoluta dei moderni Stati nazionali (fonte, a sua volta, di gravissimi mali) e la dimostrazione della neces-sità di coordinare e innestare le legislazioni dei singoli Stati in una legislazione universale. Cioè il terrorismo globale può contribuire a “globalizzare” anche il diritto. Assai più per-suasivamente delle già emerse sfide economiche e sociali glo-bali, ma anche assai più efficace-mente di qualsiasi teorizzazione politico-filosofica. O, anzi, a verificare con i fatti la validità delle teorie.

•••••

Per quanto riguarda la so-

vranità assoluta dello Stato moderno si può riconoscere che storicamente è nata da quelle che convenzionalmente ma assai impropriamente si chiamano “le guerre di religione”. Ma in realtà questa forma di sovrani-tà è nata da quelle guerre del 1600 solo in quanto esse hanno determinato la fine del sistema imperiale (iniziato ottocento anni prima, nel Medioevo, col Sacro Romano Impero di Carlo Magno). Nel quale le norme giuridiche e il potere politico degli Stati europei – prima feu-dali e poi dinastico-patrimoniali – erano inquadrati e più o meno efficacemente condizionati da norme e poteri politici e religiosi “universali”. Lo Stato moderno, dunque, nasce dopo Westfalia perché si scioglie dai vincoli im-periali, diventa ab-solutus. As-soluto, appunto: e quindi unica fonte di leggi, unico produttore di diritti.

E le teorizzazioni che ne hanno fatto prima Hobbes e poi Locke – benchè diverse perchè rispondenti a due fasi diverse dell’evoluzione dello Stato mo-narchico inglese (il “leviatano” che garantisce la sicurezza a scapito della libertà e lo “Stato liberale” che la sicurezza la af-fida all’esercizio responsabile della libertà) – ambedue quelle teorizzazioni erano ispirate di quella concezione filosofica em-piristica (che si era sviluppata in Gran Bretagna nella scia del nominalismo okkamiano) che avrebbe contribuito tanto inci-sivamente alla formazione della mentalità e del costume di quel popolo. Tra l’altro teorizzando quell’ ”individualismo” – in con-trapposizione al “personalismo” classico-cristiano – che ancora oggi imperversa nella cultura e nella prassi socio-politica inglese (e americana).

Ma se l’unica fonte del diritto sta nello Stato nazionale, se non c’è alcun diritto sovra-nazionale che sia capace di regolare i rap-porti fra gli uomini non solo in quanto individui, ma anche in quanto “naturalmente” soci, perché persone razionali e perciò “animali politici”, la conseguen-za non solo teorica, ma pratica, di fatto, è che anche i rapporti fra questi “Stati sovrani assoluti” possono essere regolati solo da rapporti di forza: demografica, economica, militare. Sono sorte così, tra il Sei e l’Ottocento, le “potenze”. Con gli effetti che si sono verificati e che abbiamo drammaticamente sperimentato in tutta la loro disumanità nel secolo appena trascorso.

E sono proprio queste espe-rienze che hanno indotto ad organizzare i rapporti fra gli Stati nazionali europei (pochi prima, quasi tutti ora) con regole co-muni, sovrastatali (benché pro-gettate, negoziate e concordate

dagli Stati stessi) che limitano e subordinano, almeno parzial-mente e in alcuni precisi campi, la sovranità dei singoli Stati. È stato creato così un diritto che non promana solo dal potere as-soluto dello Stato nazionale, ma è fondato su un potere non ben definito – perché non ancora “co-stituzionalizzato”, purtroppo! – che, benchè nato storicamente da accordi (i trattati di Parigi, Roma, Maastricht) fra gli Stati, è diventato sovrastatale.

Ed oggi questo diritto euro-peo sovrastatale, sviluppatosi sostanzialmente solo in campo economico, viene richiesto anche in campo politico: in particolare su quel tema della sicurezza che De Giovanni indica come l’obiettivo fondante dello Stato moderno, ma che nella realtà storica attuale non può essere più garantita dai singoli Stati e che perciò l’Unione Europea intende affrontare con le “poli-tiche comuni” della GAI (della giustizia e gli affari interni), della PESC (da politica estera e di si-curezza comune) e della PESD (la politica europea di difesa), sospinte e accelerate negli ultimi anni proprio dall’incombente minaccia del terrorismo.

Dunque se l’Europa politica – e con essa il diritto europeo comune – riuscirà a superare la grave crisi della mancata ratifica francese ed olandese della Co-stituzione e ritroverà sollecita-mente la strada dell’integrazione sovranazionale aggiungendo alla co-gestione della sovranità sulla moneta anche quella sulla spada, lo si dovrà anche e forse anzitutto al male gravissimo del terrorismo globalizzato.

•••••

Ma questo terrorismo non

minaccia soltanto gli europei. È globalizzato, appunto. Può

D I R I T T I

Page 45: Numero 1/2006

[45]

essere affrontato vittoriosamente solo con accordi politici che pos-sano regolare azioni comuni, a li-vello mondiale. Accordi che non possono non dare origine a un diritto sovrastatale, globalizzato, sostanzialmente universale.

In verità già prima del terro-rismo, ma sotto la spinta degli effetti catastrofici delle due guer-re mondiali della prima metà del 1900, ci si è avviati verso la de-finizione di tale “diritto univer-sale” su cui fondare un potere politico internazionale. Come non vedere che le due guerre mondiali sono state l’estrema, tragica, inumana, ma logica conseguenza precisamente del-la concezione antropologica e socio-politica dell’individuali-smo empiristico, che dall’”homo homini lupus” hobbesiano porta al “bellum omnium contra om-nes”?! Se le relazioni fra gli uo-mini-individui sono dettate solo dall’istinto (e non anche dalla ragione) e si concretano neces-sariamente nella competizione ad oltranza, la conseguenza non è solo il deprecato “darwinismo sociale” (la selezione vincente degli individui più forti e l’elimi-nazione impietosa dei più debo-li), ma anche la lotta senza esclu-sione di colpi fra le “potenze” in cui gli individui si organizzano. Se non si istituzionalizza la forza della legge (dettata dalla ragio-ne) si diventa vittime della legge della forza (dettata dall’istinto irrazionale).

Certo: c’è l’istinto vitale, l’au-toconservazione di ogni essere vivente. Ma perché diventi il “diritto alla vita” – e gli si ri-conosca il “primato”, come giustamente vuole De Giovanni – per tutti e non solo per i più forti materialmente, occorre che la ragione – capace di universa-lità – elabori un sistema di leggi positive che riconoscano e si fondino sulla legge naturale: che

non è un’astrazione cerebrale di giusnaturalisti secenteschi bensì il frutto della corretta concezione della natura umana come per-sona razionale e non solo come individuo sensibile, materiale. “Individua substantia rationalis naturae”, l’aveva definita Boezio alla fine dell’epoca classica.

È su questa concezione antro-pologica che si fonda ed è resa possibile, realizzabile, non uto-pistica una legislazione univer-sale. Se non è stata attuata finora gli è perchè i rapporti di forza fra le “potenze” – espressione ed applicazione del principio hobbesiano-darwiniano – ne hanno impedito l’elaborazione e l’adozione. I più forti non hanno interesse a concordare leggi che ne impediscano o anche solo ne limitino l’esercizio della forza di cui dispongono. È avvenuto così per lungo tempo fra gli individui e le classi sociali. Il passaggio dal-l’anarchia tribale alla “polis” (la legge di Socrate) e, in tempi più recenti, dai regimi assolutistici ai costituzionali (le rivoluzioni inglese, americana e francese e le varie “Grundgestzungen”) è stato lento e faticoso, come lenta e faticosa è l’affermazione della ragione sull’istinto. Ma ora possiamo vantarci della nostra “civiltà del diritto”. Che, però, è tale non solo perché sottopone tutti e ciascuno ad un sistema di leggi comuni, ma perché tali leggi sono ispirate e orientate da quei valori condivisi, dalla quella morale naturale che, se non si vuol chiamare “diritto naturale”, si deve però ricono-scere che costituisce il “diritto fondamentale”, il diritto che sgorga dalla natura razionale stessa dell’uomo. Infatti non c’è dubbio che la “civiltà del diritto” non possa fondarsi su un diritto positivo concepito e adottato come pura e semplice legalizzazione dei fenomeni

– neanche se è compiuta da va-ste maggioranze parlamentari (o referendarie) – perché così si rischia di “legalizzare” tortura e pena di morte, schiavitù e sfruttamento del lavoro infantile, aborto ed eutanasia, razzismo e pulizie etniche.

Ed invece è proprio questa morale naturale universale, sono proprio questi valori umani co-muni a tutti i popoli, a tutte le religioni, a tutte le culture, che costituiscono i “diritti fonda-mentali” su cui si può costruire anche un diritto positivo inter-nazionale.

Ci si arriverà? E auspicabile, ma è assai difficile. Perché biso-gna superare l’enorme ostacolo degli interessi dei “forti”, che pure sono non solo egoistici ma anche miopi perché, a lungo an-dare, autolesionisti, suicidi. Può darsi che la tremenda sfida del terrorismo globalizzato costrin-ga tutti a considerare non più solo l’opportunità tattica o anche strategica, ma la necessità vitale di intraprendere con maggiore determinazione e speditezza il cammino verso quel “diritto uni-versale” che deve stare a fonda-mento del potenziamento demo-cratico e dell’efficienza operativa degli organismi internazionali, a cominciare dall’Onu.

E sarà, verosimilmente, l’uni-co bene ricavabile dal male su-premo del terrorismo.

D I R I T T I

Page 46: Numero 1/2006

[46]

Nel prezioso libretto che qui si recensisce, si fatica a non la-sciarsi sorprendere dalla capaci-tà dell’autore, europeista senza aggettivazioni, di ricostruire in maniera sintetica ma esauriente una vicenda assai complessa quale quella della elaborazione della (fu?) Costituzione euro-pea. Nelle sue cento pagine viene sapientemente omessa buona parte di quella mole im-mensa di documenti, interventi, polemiche che la vicenda ha prodotto negli ultimi anni. Da quel mare magnum, dominato dall’autore, ne vengono estratti e colti i momenti salienti, i fili rossi, le linee di divisione, so-prattutto ne vengono messe in luce le ipocrisie e le (grandi e piccole) furbizie.

Non che ci sfuggisse fino ad oggi la puntualità e la lucidità delle analisi del Presidente Barbi, di cui abbiamo una cono-scenza consolidata dalle assidue sue frequentazioni sulle pagine di Mezzogiornoeuropa. È, piutto-sto, che nella raccolta di articoli qui presentata, elaborati conte-stualmente allo svolgersi degli avvenimenti, colpisce la capaci-tà di anticipare considerazioni e motivi destinati poi a rivelarsi, per il comune osservatore, solo in seguito degni di attenzione; basta un aggettivo, una presa di distanza (non è quel generi di libri imparziali, questo, ne doveva o poteva esserlo), e sembra emergere appieno la

distinzione europeo vero e falso o di maniera.

Intendiamoci: salvo eccezio-ni marginali, a nessuno che sia investito di responsabilità di governo oggi verrebbe in mente di non dichiararsi europeista. E forse, in effetti, europeisti lo sono quasi tutti, ma ciascu-no a modo proprio. Nessuno Stato-Nazione, neanche la Gran Bretagna, può pensare di far da sé, ed anzi di puntare delibera-tamente sullo stallo del processo di integrazione con conseguente accrescimento della margi-nalizzazione dell’Unione dai ribollenti processi mondiali che trasformano equilibri, potere, risorse. Né senza Europa, ma neanche con l’Europa. Ecco l’oscuramento dell’interesse europeo: ognuno immagina l’Europa quale estensione della propria immagine, senza che emerga alcun portatore di un progetto complessivo che vada oltre una traslazione dell’este-nuante metodo iper-compro-missorio anche sul piano del futuro dell’Unione.

Perciò mi piace ricordare,

nel lungo e prestigioso cursus honorum di Paolo Barbi almeno la Presidenza del gruppo par-lamentare del Partito Popolare europeo (PPE), quando ancora poteva fregiarsi del titolo di partito per eccellenza della in-tegrazione. Perciò mi pare im-portante sottolineare i passi del libro che parlano di quella crisi e trasfigurazione di quel partito nell’altro che, quasi abusivamen-te, ne porta il nome. È questo, tra i fili rossi di cui si diceva, forse quello dal quale traspare il maggiore tormento, la maggiore partecipazione emotiva.

Crisi dell’interesse europeo tout court, dunque. Presun-ti dilemmi riflettono, invece, praticissime convenienze, pur nella consapevolezza che il processo di integrazione deve andare avanti. Occorre, insom-ma “più Europa” (altro che il dilemma ipocrita e mal posto di più Europa/meno Europa!), ma ciò determina divisioni sulle interpretazioni del fine (dove più Europa?) e di mezzi (come più Europa?). “Più Europa” quale condizione necessaria, e neanche sufficiente per arrestare il declino sul piano globale e per conservare il modello sociale europeo che rende l’Europa an-cora lo spazio politico ove viene assicurata la migliore qualità della vita e il più alto livello di tutela dei diritti fondamentali (e lasciamo stare le profezie di Ri-fkin sul “secolo europeo”). Del

EUROPA:COME RIPARTIRE?

Marco Plutino

L’elaborazionedella Costituzione

europea.PAOLO BARBI,

Editoriale Scientifica(Napoli)

RECENSIONI

Page 47: Numero 1/2006

[47]

resto è stato detto molto volte che il mondo va così veloce e, peraltro, l’Europa è giunta ad un punto tale dell’integrazione politica che non è possibile im-maginare un equilibrio statico, ammesso che fosse desiderabile. Questo dato Paolo Barbi lo sot-tolinea in ogni dove e ne sono espressione le infinite compro-missioni nominalistiche e del negoziato: il “compromesso dinamico” auspicato da Delors, l’ancipite “Trattato-Costituzio-ne” frutto di una mediazione tra schemi diversi concettuali, lo sforzo degli europeisti più convinti – da Giuliano Amato, ai molti rappresentanti del Par-lamento europeo, ad alcuni dei

rappresentanti degli Stati fon-datori e così via – a consentire quantomeno ulteriori momenti di integrazione. Mediazioni spesso solo apparenti, attraversate da riserve mentali, accordi pura-mente nominalistici, elusioni dei problemi di fondo.

Osservo però che ogni volta che si provato a introdurre una dimensione volontarista e con-sapevolmente orientata (quale insomma quelle che produssero le Costituzioni moderne) sem-brano aprirsi nuove contraddi-zioni e prodursi nuove fratture nel disegno (se disegno può chiamarsi) che sembra tollerare poco confronti con modelli: ciò vale, forse, soprattutto per le

riproposizioni, all’occorrenza rivenute, dei disegni spinelliani. L’Europa è politica, ma la sua soggettività politica non correrà facilmente lungo gli schemi di una nuova statualità. E tale fina-lità è oggettivamente perseguita da quanti intendano produrre una qualunque (e ne sono pos-sibili molte varianti) “parla-mentarizzazione” dell’Unione, perché essa l’anticamera di una statualità declinata in senso “democratico”. Il sistema però, e si badi non solo gli antieuro-pei (si pensi alle posizioni della Commissione Prodi manifestate in Convenzione, su cui Barbi si sofferma) rigetta tali imposta-zioni sia per presupposti suoi

RECENSIONI

Page 48: Numero 1/2006

[48]

impliciti (il principio dell’equi-librio interistituzionale, che rifiuta ogni monismo) che per fondamentali ragioni di funzio-nalità (il processo decisionale è sovraccarico di istanze).

La ricostruzione di Barbi for-nisce una conferma ulteriore di come il processo di elaborazione della Costituzione europea, per altri versi databile, del resto, molto più indietro nel tempo, lungi dall’essere una presa di (auto)coscienza politica – “la forma e la specie dell’unità politica”, secondo Schmitt, per il quale l’unità politica è il presupposto e non l’esito di un processo – lasci troppo spazio all’ingegneria istituzionali. Ne risulta una ricetta con troppi ingredienti per essere digeribi-le: le variegate radici culturali, la difficoltà a lasciarsi indietro l’equilibrio inter-istituzionale (che è equilibrio tra legittima-zioni diverse!), la permanente consistenza degli Stati nazione, lo iato, come dice Biagio de Gio-vanni, tra legalità e legittimità, i diversi assetti del decentramen-to politico nei vari Stati e così via. Poi c’è dell’autolesionismo: occorreva davvero infilarsi, in una congiuntura così sfavore-vole, in una corsa ad ostacoli come quella che ha prodotto le bocciature referendarie al testo del Trattato costituzionale? Pure se si vuole concordare che una tale funzione di legittima-zione ex post fosse richiesta da un certo modo di interpretare l’Unione (quale entità politica sempre più democratica), non sarebbe stato altro immaginata una consultazione su scala eu-ropea? E non è stato frutto di una scorciatoia, per certi versi ingenua, l’idea di surrogare un (impossibile) potere costituente europeo ma anche, è il punto, un vero dibattito sul futuro dell’Unio-ne, con l’apertura del modello

“convenzionale” alle più svaria-te istanze? Per quanto sia vero che gli stessi miti “nazionali” siano in parte basati su processi di costruzione, evidentemente la dimensione “simbolica” e retorica non è bastata e non poteva bastare.

Manca nel presente momen-to una idea su come ripartire. Eppure avverrà, ne possiamo essere ragionevolmente certi alla luce della storia del pro-cesso che, non vorrei introdurre argomenti storicistici, sembra ri-velare quasi una mano invisibile che trascende le individualità. Non è così: agiscono gli uomini, solo che i semi gettati dai più illuminati producono frutti in tempi inaspettati. L’Europa po-litica potrebbe ancora una volta rafforzarsi secondo sentieri, carsici ma potenti, funzionali-stici. Ad ogni modo non siamo davanti (e, forse, per fortuna!) a quella cesura tra il prima e il dopo dal quale sono nate le Costituzioni nazionali. Forse addirittura occorre abbassare il “tenore costituzionale” della discussione sul futuro dell’Eu-ropa. Ma ciò non implica che non stia accrescendosi gradual-mente la dimensione costituzio-ne dell’Unione.

Alcuni nodi però vanno af-frontati e su tutti uno. Andrebbe rotta quella perversa e irrespon-sabile spirale che si deve ad un certo modo di ricostruire, da parte delle classi politiche na-zionali, i compiti tra Unione e Stati nazionali: la prima impone i sacrifici, i secondi riparano i cittadini dai venti della glo-balizzazione (di cui l’Unione, nell’ottica sarebbe autorevole agente) conservandone tutele e garanzie. Una divisione del la-voro che, frutto della crisi fiscale dello Stato nazione, accresce la disaffezione dei cittadini ed erode il consenso attorno al processo di integrazione.

Ho la sensazione che l’analisi di Barbi punti molto, e giusta-mente, sul ruolo dei partiti politici. Su una nuova cultura politica, sul loro dimensiona-mento su base continentale e transnazionale. Per quanti sforzi si siano fatti, non si sono prodot-ti grandi risultati.

La ragione, forse, è da ricon-nettere al fatto che le politiche redistributive, come si diceva, riposano ancora in gran parte negli Stati nazionali, e su di esse si modellano le linee di frattura culturali e sociali che danno cor-po e sostanza (se danno sostan-za …) alle divisioni politiche.

Sarebbe certo auspicabile che il centro – sinistra italiano possa non solo emendare la posizione dell’attuale governo italiano sull’Europa (sulla cui pochezza e discutibilità Barbi dice parole chiare e inequivocabili) ma anche farsi promotore di un nuovo ciclo politico europeo, dentro e fuori il PSE. Ma la ripresa dell’iniziativa europea probabilmente avverrà per al-tre, imperscrutabili, vie. E così riprenderanno i soliti motivi, le solite furbizie, i soliti motivi di speranza. Finchè l’integrazione procede, forse va bene così.

RECENSIONI

Page 49: Numero 1/2006

[49]

MEZZOGIORNO EUROPAPeriodico del Centro

di Iniziativa Mezzogiorno EuropaN. 1 – Anno VII – Gennaio/Febbraio 2006

Registrazione al Tribunale di Napolin. 5112 del 24/02/2000

Via S. Lucia, 76 – Napolifax 081.2471196 – tel. 338.4386584

mail-box: [email protected]

Direttore responsabile:ANDREA GEREMICCA

Redazione:OSVALDO CAMMAROTA,

CLAUDIO D’AROMA, MARCO PLUTINO,

CLAUDIO POMELLA, IVANO RUSSO,

EIRENE SBRIZIOLO

Consulenti scientifici:SERGIO BERTOLISSI, WANDA D’ALES-SIO, MARIANO D’ANTONIO, VITTORIO DE CESARE, BIAGIO DE GIOVANNI, ENZO GIUSTINO, GILBERTO A. MAR-SELLI, GUSTAVO MINERVINI, MASSIMO ROSI, ADRIANO ROSSI, FULVIO TESSI-TORE, SERGIO VELLANTE

AbbonamentiOrdinario Euro 51,65

Sostenitore Euro 129,111 copia (p. vend.) Euro 5,16

Grafica e videoimpaginazioneLuciano Pennino (Na)

(www.lucianopennino.com) tel. 348.2687179

StampaLe.g.ma. (Na) – Tel. 081.7411201

MEZZOGIORNO EUROPA del Centro di iniziativa Mezzogiorno EuropaLA RIVISTA SI PUÒ TROVARE PRESSO:

Le librerie:

Feltrinelli Via S. Tommaso D’Aquino, 70 NAPOLI – Tf.0815521436 Piazza dei Martiri – Via S. Caterina a Chiaia, 33 NAPOLI – Tf.0812405411 Piazzetta Barracano, 3/5 SALERNO – Tf.089253631 Largo Argentina, 5a/6a ROMA – Tf.0668803248 Via Dante, 91/95 BARI – Tf.0805219677 Via Maqueda, 395/399 PALERMO – Tf.091587785Librerie Guida Via Port’Alba, 20 – 23 NAPOLI – Tf. 081446377 Via Merliani, 118 – NAPOLI – Tf. 0815560170 Via Caduti sul Lavoro, 41-43 CASERTA – Tf. 0823351288 Corso Vittorio Emanuele, Galleria “La Magnolia” AVELLINO – Tf. 082526274 Corso Garibaldi, 142 b/c SALERNO – Tf. 089254218 Via F. Flora, 13/15 BENEVENTO – Tf. 0824315764Loffredo Via Kerbaker, 18 – 21 NAPOLI – Tf. 0815783534; 0815781521Marotta Via dei Mille, 78 – 82 NAPOLI – Tf.081418881Tullio Pironti Piazza Dante, 30 NAPOLI – Tf. 0815499748; 0815499693Pisanti Corso Umberto I, 34 – 40 NAPOLI – Tf. 0815527105Alfabeta Corso Vittorio Emanuele, 331 TORRE DEL GRECO – Tf. 0818821488Petrozziello Corso Vittorio Emanuele, 214 AVELLINO – Tf.082536027Diffusione Editoriale Ermes Via Angilla Vecchia, 141 POTENZA – Tf. 0971443012Masone Viale dei Rettori, 73 BENEVENTO – Tf.0824317109Centro librario Molisano Viale Manzoni, 81 – 83 CAMPOBASSO – Tf. 087498787 Isola del Tesoro Via Crispi, 7 – 11 CATANZARO – Tf. 0961725118Tavella Corso G. Nicotera, 150 LAMETIA TERMEDomus Luce Corso Italia, 74 COSENZAGodel Via Poli, 45 ROMA – Tf. 066798716; 066790331Libreria Rinascita Via delle Botteghe Oscure, 1-2 ROMA – Tf. 066797460Edicola c/o Parlamento Europeo Rue Wiertz – Bruxelles

Le Associazioni e gli Istituti:Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Via Monte di Dio, 14 NAPOLI – Tf. 0817642652Associazione N:EA Via M. Schipa, 105 – 115 NAPOLI – Tf. 081660606Intra Moenia Piazza Bellini, 70 NAPOLI – Tf. 081290720Centro Mezzogiorno Europa Via S. Lucia, 76 NAPOLI – Tf. 0812471196

LA RIVISTA

Le opere che illustrano questo numero sono di GAETANO DI RISO.Dal 1970 l’artista è presente in numerose rassegne e personali in vari Paesi europei.

Page 50: Numero 1/2006

[50]I N F O

Crisi dell’Europa: segnali di fumo (finalmente)

EURONOTES di Andrea Pierucci

Il panorama europeo non è certo entusiasmante in questi ultimi mesi, ma non si può dire che non sia agitato. Si conferma cioè, l’analisi già fatta secondo la quale l’Unione continua a funzionare anche in situazione di grave crisi costituzionale. Peraltro, quest’ultima sembra registrare dei progressi, tant’è vero che è ripreso il processo di ratifica del progetto di costituzione (bloccato, come si ricorderà in seguito ai referendum che avevano avuto un risultato nega-tivo in Francia e Olanda); almeno tre Stati, Belgio, Estonia e Finlandia hanno ripreso le procedure di ratifica o le hanno annunciate a breve termine. D’al-tronde, sembra che tutti siano coscienti del fatto che il mondo non si ferma per aspettare i ”capricci” degli europei e, purtroppo, scatena senz’alcun rispetto crisi d’ogni genere, da ultimo, e solo per citare i casi più mediatici, quelle relative alle vignette satiriche, al gas russo, alla nuova situazione palestinese, per non parlare del Congo ove sono attese truppe europee per tentare di riportare un po’ di pace. Nel frattempo, la Commissione europea ha lanciato il ben noto piano D, come dialogo, democrazia e dibattito, per tentare di ridare uno slancio al dibattito cittadino sul ruolo dell’Europa, sulle sue iniziative politiche e sulle sue prospettive, a partire dalle preoccupazioni dei cittadini; è presto per valutarne gli effetti.

D’altra parte, la comunicazione è una delle priorità della Commissione: Margot Wallström, la vicepresidente svedese, responsabile, appunto, della comunicazione, ha lanciato un Libro bianco per affrontare proprio i temi della comunicazione. Staremo a vedere quali saranno le reazioni e quali le ricette che nasceranno dalle risposte che arrive-ranno alle questioni poste dal libro bianco. Si tratta d’iniziative lodevoli e necessarie, ma mi sembra che il problema centrale resti insoluto sulla tavola: la capacità e l’impegno delle forze politiche dei diversi Stati membri di vedere un po’ più in là del prossimo sondaggio di opinione e di avanzare proposte euro-pee di prospettiva. Visti, invece, i comportamenti di un gran numero di responsabili politici, sembra che non resti che sperare che a un certo punto l’Europa torni di moda e faccia punti di gradimento! Ma non lasciamo cadere l’ottimismo: la realtà sta imponendo

in un numero sempre più grande di settori un’azione comune; soprattutto, mi sembra, lo impongono i nostri partners che, sempre di più, vedono l’Europa e sempre di meno i diversi Stati membri.

Direttiva Bolkenstein, la saggezza del Parlamento europeo

Come appunto si diceva, l’Europa nonostante tutto non è certo ferma. La direttiva Bolkenstein sulla libera circolazione dei servizi sembra in dirittura d’arrivo, almeno al Parlamento europeo. Socialisti e PPE sono finalmente riusciti a trovare un compro-messo, grazie alla relatrice Evelyne Gebhardt, una socialista tedesca. Restano, ovviamente, le ostilità estreme. Alcuni liberali vorrebbero una liberalizza-zione pura e dura, magari senza regole; comunisti e verdi insistono sul no di principio, senza pensare che in questo modo si rischia di arrivare ad una soluzione analoga a quella ultraliberale con una sorta di far west dei servizi, che non si fermano certo davanti alle frontiere, senza regole né prospettive. L’accordo maggioritario, che sarà ratificati il 15 o il 16 febbraio, prevede tre cose: la soppressione del rigido riferimento della direttiva al fatto che le prestazioni dovevano essere regolate, quanto al per-sonale, unicamente dalle regole del paese di origine del prestatario dei servizi, lasciando così spazio ad una regolamentazione appropriata per le diverse situazioni, la salvaguardia delle direttive di settore (spesso importanti per il ruolo dei servizi pubblici) e una prospettiva di armonizzazione di alcune regole. Personalmente, continuo a ritenere che la bufera scatenata dal progetto della Commissione non fosse giustificata e fosse piuttosto strumentale al no alla costituzione. Questo non toglie meriti alla relatrice che – come Guido Sacconi nella direttiva REACH sulla chimica – è riuscita a proporre una decisione più consensuale e certamente migliore dell’originale. Questi due casi meritano una brevissima riflessione sul ruolo del Parlamento europeo, che si dimostra politicamente più forte delle altre istituzioni, grazie proprio al suo funzionamento democratico, alla “magia” del voto e del relativo compromesso. Né

Page 51: Numero 1/2006

[51]I N F O

REACH, né la direttiva Bolkenstein avrebbero mai potuto fare l’oggetto di un compromesso in seno al Consiglio senza la presenza del voto parlamentare. Ora vi sono buone speranze che una buona direttiva sia approvata.

Senza soldi non si fa l’Europa!L’ottimismo è di rigore, ma non sempre. Le pro-

spettive finanziarie sono di nuovo nella tormenta. Dopo l’accordo-miracolo sponsorizzato in dicembre dalla cancelliera tedesca Merkel al Consiglio europeo (e la presidenza britannica dov’era?), il Parlamento europeo, chiamato sulla base del Trattato a parte-cipare alla decisione, ha fatto sapere in gennaio di non essere affatto d’accordo (e a grandissima mag-gioranza) con le conclusioni del Consiglio europeo. La posizione del Parlamento europeo è allo stesso tempo forte (contesta una radicale riduzione degli stanziamenti per il settennio 2007/13 rispetto al settennio precedente – l’Agenda 2000, il documento relativo, appunto, al settennio che si conclude, pre-vedeva 200 miliardi in più) e debole (più si aspetta e meno sarà facile, specie per le regioni più deboli, programmare l’utilizzazione dei fondi strutturali a partire dal prossimo primo gennaio – ciò che, ov-viamente crea una forte pressione sul Parlamento stesso.

La ricerca, motore dell’Europa?Viceversa, dobbiamo registrare positivamente

lo sviluppo della strategia di Lisbona, almeno nelle proposte della Commissione. Come previsto nella scorsa primavera, ogni Stato nazionale ha redatto un proprio piano di applicazione della strategia di Lisbona; non si tratta di veri e propri impegni, ma di un progetto la cui attuazione diventa misurabile. L’unica questione irrisolta è che, nonostante il co-mune impegno, i governi hanno poco tenuto conto dell’opinione delle autorità locali e regionali, in molti casi vere protagoniste di una strategia di rilancio. Un’inchiesta del Comitato delle Regioni mostra un tasso di soddisfazione delle autorità locali e regionali quanto alla loro consultazione da parte dei governi sui piani nazionali intorno al 17%. La Commissione ha proposto di meglio orientare per il 2006/2007 la strategia su due assi: ricerca e formazione, nella

logica dell’economia “fondata sulla conoscenza” annunciata fin dal duemila come fine della strategia di Lisbona. C’era comunque da aspettarselo, perché la Commissione Barroso batte fin dall’inizio sul tasto della ricerca, insistendo sull’idea, già avanzata dalla Commissione presieduta da Prodi, di puntare ad una spesa globale per la ricerca del 3% del PIL, in Europa ed in ciascuno Stato membro: proposta ambiziosa, se si pensa cha alcuni Stati membri, come, per esempio l’Italia, non arrivano o arrivano appena all1%.

Il rinnovo del Comitatodelle Regioni

Giunto al quarto anno di vita, l’attuale Comitato delle Regioni è scaduto il 26 gennaio. I governi hanno nominato i nuovi membri e il 15 febbraio il Comitato terrà la sua seduta costitutiva. I 317 membri nomineranno il nuovo Presidente e le altre cariche del Comitato. Secondo le previsioni, Michel DELEBARRE, socialista francese, già mini-stro di Mitterrand e attuale sindaco di Dunkerque sarà presidente per la prima metà della legislatura, mentre il PPE fiammingo Luc VAN DEN BRANDE sarà vicepresidente e, a partire dal 2008, presidente. I socialisti hanno eletto loro presidente Mercedes BRESSO, presidente della Regione Piemonte, i PPE hanno eletto il friulano Isidoro GOTTARDO, i liberali hanno eletto il sindaco di Rotterdam, Ivo OPSTELTEN e il gruppo dell’Unione europea delle Nazioni ha scelto l’irlandese Maria CORRIGAN. Nella seduta costitutiva saranno anche nominati i presidenti delle sei commissioni di lavoro e gli altri membri dell’ufficio di presidenza. Vale la pena di notare un certo incremento del peso politico dei nuovi responsabili, a riprova del ruolo accre-sciuto del Comitato. Un’importante novità è data dall’orientamento del nuovo presidente rispetto al suo predecessore, il PPE STRAUB. Quest’ultimo puntava in modo molto insistente su un ruolo del Comitato come guardiano del rispetto del principio di sussidiarietà, mentre DELEBARRE insiste molto sulla presenza politica del Comitato nel momento formativo delle proposte di legge; in altri termini, le autorità locali e regionali dovrebbero essere prese in considerazione fin dal momento nel quale le leggi vengono pensate.

Page 52: Numero 1/2006