NUMERO 1 - MAGGIO-GIUGNO 2013 Direttore: DENIS UGOLINI ... · Pag. 32 - La dura vita del laico...

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Direttore: DENIS UGOLINI NUMERO 1 - MAGGIO-GIUGNO 2013 Pag. 2 - Governo di larghe intese ... o per disperazione? Davide Giacalone Pag. 3 - Per la ripresa. Da imprese e territori, senza aspettare Mario Riciputi Pag. 4 - Per l'occupazione giovanile e la crescita economica Guido Piraccini Pag. 5 - Riformare la costituzione non è un tabù Pag. 6 - Fare il vero movimento di sinistra riformatrice Sandro Gozi Pag. 7 - Scarpe rotte e pur bisogna andar Enzo Lattuca Pag. 8-9 Il mio PD Federico Bracci Pag. 10 - La sinistra? Chi la rappresenta? Quali obiettivi? Ines Briganti Pag. 11 -Ci vuole un esame critico profondo Pag. 12 - “L'Italia dimenticata” Piero Pasini Pag. 13 - Salvati in extremis. Tornare alla politica come servizio Marco Casali Pag. 14 - Da atomi a molecola: riunire i liberaldemocratici Luigi Di Placido Pag. 15 - Maccanico: l'uomo delle larghe intese Luigi Tivelli Pag. 16 - Serve guardare la nostra comunità con occhi nuovi Paolo Lucchi Pag. 17 - Centrale la crescita economica. Buona l'idea del patto Davide Buratti Pag. 18 - Il patto sociale da attivare subito contro la crisi Denis Ugolini Pag. 19 - Un caso. Alla prova la volontà politica Pag. 20 - 21 - 22 Il bilancio federalista in cui mettere le mani Franco Pedrelli Pag. 22 - Tutto cambi perchè niente cambi Mario Guidazzi Pag. 23 - Il Welfare: freno o motore dello sviluppo? Giuliano Galassi Pag. 24 - L'urbanistica che verrà Giampiero Teodorani Pag. 25 - Politica scarsa. Burocrazia troppa Dante Del Vecchio Pag. 26 - 27 Specializzazioni ospedaliere. Più servizi sul territorio Denis Ugolini Pag. 28 - Non si può tornare indietro Giuliano Zignani Pag. 29 - Nuove sfide per l'IRST Mattia Altini Pag. 30 - Coinvolgere le strutture private Paolo Morelli Pag. 31 - Quale Romagna? Oliviero Widmer Valbonesi Pag. 32 - La dura vita del laico Alessandro Carli Pag. 33 - Dalla storia, sollecitazioni. Non solo un ricordo Denis Ugolini Pag. 34 - 35 Ci vorrebbe una forza, un movimento, un gruppo ... Pag. 36 - Confessioni di un ottuagenario o di un italiano di Romagna? Pietro Castagnoli Lotta non vaffa Più in fondo di così? Può essere. Cade nel vuoto ogni richiamo al senso di respon- sabilità. Anche se autorevole, come i tanti del Capo dello Stato. Nel suo discorso di reinvestitura, alle Camere riunite, ha sferzato gli astanti. Che hanno applaudito. Chissà a chi pensavano si rivolgessero i moniti di Napolitano? Per la seconda volta Presidente della Repubblica. Un caso senza precedenti. Risultato della più drammatica crisi della politica italiana. Anch’essa senza precedenti, negli anni della nostra Repubblica. Dalle ultime elezioni è uscito un sistema politico squassato. La sinistra pensava di vincere. Non ha cambiato la legge elettorale (il porcellum), perché voleva stravincere. È implosa. Berlusconi sembrava finito e invece ha recuperato. La destra pareva a brandelli, s’è rifatta. Avvinghiata al suo capo e dipen- dente dalle sue sorti e vicende. Il M5S (gril- lini) ha preso un sacco di voti. Ha molti parlamentari. Uniti sui “vaffa”. Sul resto c’è da vedere. È, però, un “fenomeno”. La cui evoluzione può fare involvere il sistema. Speriamo non quello democratico. I grillini hanno conquistato molta centralità. Bersani ha ultimato il suo naufragio con un tenace slinguacciamento ai pentastellati. Che l’hanno mandato a quel paese. Ma c’è una parte della sinistra che lo continua, ritenendo che il grillismo sia più di una sua costola. Con la sinistra allo sbando ha recuperato spazio anche Berlusconi. Con prove di re- sponsabilità; in parte sicuramente anche tattiche. Fondamentale il ruolo di Napo- litano, adesso c’è il Governo di Enrico Letta, con vice Alfano. Maggioranza: Pd, Pdl e montiani. Unica soluzione possibile. Fin da subito dopo le elezioni. E, invece, si è perso tempo per arrivare al governo presieduto dal vice invece che dal segretario del Pd. Il Pd ha un nuovo segretario, Guglielmo Epifani (ex Cgil), fino al congresso. Poi si vedrà. Di lato: le vicende processuali di Berlusconi. Nel pieno della drammatica crisi economica e sociale. Non priva di tensioni crescenti. Più in fondo di così? Ci vorrebbe che il governo durasse. Per farsi sentire in Europa. Per agire su crescita e occupazione. Per ridurre la pressione fiscale. Riordinare lo Stato (abolire le Provincie; rivoluzionare la burocrazia). Per riformare la Costituzione, la forma di governo. Magari! Ma, subito, deve cambiare la legge elettorale. Durerà il Governo? Farà alcune di queste cose? La classe politica è quella che è. Parecchia pochezza. Nel suo complesso essa, comunque, è specchio di noi tutti, il popolo. Negarlo è un alibi. Spocchioso. Molti ritengono il cambiamento sia quello dei “vaffa” e la delega in bianco a chi più li urla. L’assemblearismo della piazza (scar- sa, ma rumorosa),i follower, twitter, facebook. Suvvia! Lo ha capito anche Matteo Renzi che li ha eliminati dal cellulare “perché ne ero drogato”. Quel tempo, dice, lo dedica alla poesia. Meglio. Dopo “Fuori” e “Stil novo” leggeremo anche “Oltre la rottamazione”, il suo nuovo libro. Renzi è indubbiamente una risorsa cui guardare con attenzione. Da sostenere. Non è difficile per noi condividerne parecchio. Ci soffermiamo sui contenuti; altri cercano solo nomi nuovi. Ma i maggiori problemi li avrà ancora, in buona parte, dal suo Pd e dalla sinistra. Dopo certa rottama- zione non ne avrà meno. Di persone non da poco, come i D’Alema e i Veltroni, sarebbe meglio averne, invece della molta pochezza che li ha rimpiazzati. Continuiamo a fidare che sia la rottamazione culturale il crinale più impegnativo di Renzi. Verso una sinistra liberale e riformatrice.Quella sinistra democratica attesa da tempo. Ci si chiede perché dedichiamo maggiore attenzione alla sinistra. Siamo estranei a partigianerie ideologiche. La nostra idealità volge alle sorti della democrazia repub- blicana. Non alle sorti di un partito. Una sinistra democratica ed una destra demo- cratica, che si alternano in un sistema istitu- zionale rinnovato e condiviso. Una destra (ben oltre l’anomalia del berlusconismo); una sinistra (ben oltre la sua supposta superiorità morale). Deriviamo da cultura laica e democratica (molto ugolamalfiana), liberale (gobettiana, da cui mutua il nome stesso di questo nostro foglio). Inclinazione e sensibilità esplicative. Già una risposta. Lo sono pure le “politiche” che sollecitiamo e proponiamo. Nel dibattito più generale come in quello locale. Per risolvere problemi veri, con proposte concrete e realizzabili. Mentre intorno abbonda e trova spazio molto presentismo e chiacchiericcio. “E la cosiddetta società civile, incattivita da una crisi feroce che incrementa a dismisura non la lotta, ma il rancore sociale, protesta, sì, senza rappresentare però una risorsa (seppure critica, seppure polemica) di cambiamento”. Fin dall’inizio, qui, abbiamo indicato e percorso il solco di un impegno di “cittadinanza attiva”. Continuiamo. Fossero maggiori ed ancor più estesi questo impegno e la partecipazione sarebbe un bel reagire (la lotta che occorre) al vasto declino in corso. Anche a livello locale trarrebbe forza un miglioramento politico ed ammi- nistrativo di cui c’è bisogno.

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Direttore: DENIS UGOLINI

NUMERO 1 - MAGGIO-GIUGNO 2013

Pag. 2 - Governo di larghe intese ...o per disperazione?Davide GiacalonePag. 3 - Per la ripresa. Da impresee territori, senza aspettareMario RiciputiPag. 4 - Per l'occupazione giovanilee la crescita economicaGuido PiracciniPag. 5 - Riformare la costituzione nonè un tabùPag. 6 - Fare il vero movimento disinistra riformatriceSandro GoziPag. 7 - Scarpe rotte e pur bisognaandarEnzo LattucaPag. 8-9 Il mio PDFederico BracciPag. 10 - La sinistra? Chi larappresenta? Quali obiettivi?Ines BrigantiPag. 11 -Ci vuole un esame criticoprofondoPag. 12 - “L'Italia dimenticata”Piero PasiniPag. 13 - Salvati in extremis. Tornarealla politica come servizioMarco CasaliPag. 14 - Da atomi a molecola: riunirei liberaldemocraticiLuigi Di PlacidoPag. 15 - Maccanico: l'uomo dellelarghe inteseLuigi TivelliPag. 16 - Serve guardare la nostracomunità con occhi nuoviPaolo LucchiPag. 17 - Centrale la crescitaeconomica. Buona l'idea del pattoDavide BurattiPag. 18 - Il patto sociale da attivaresubito contro la crisiDenis UgoliniPag. 19 - Un caso. Alla prova la volontàpoliticaPag. 20 - 21 - 22 Il bilancio federalistain cui mettere le maniFranco PedrelliPag. 22 - Tutto cambi perchè nientecambiMario GuidazziPag. 23 - Il Welfare: freno o motoredello sviluppo?Giuliano GalassiPag. 24 - L'urbanistica che verràGiampiero TeodoraniPag. 25 - Politica scarsa.Burocrazia troppaDante Del VecchioPag. 26 - 27 Specializzazioniospedaliere. Più servizi sul territorioDenis UgoliniPag. 28 - Non si può tornare indietroGiuliano ZignaniPag. 29 - Nuove sfide per l'IRSTMattia AltiniPag. 30 - Coinvolgere le struttureprivatePaolo MorelliPag. 31 - Quale Romagna?Oliviero Widmer ValbonesiPag. 32 - La dura vita del laicoAlessandro CarliPag. 33 - Dalla storia, sollecitazioni.Non solo un ricordoDenis UgoliniPag. 34 - 35 Ci vorrebbe una forza,un movimento, un gruppo ...Pag. 36 - Confessioni di unottuagenario o di un italiano diRomagna?Pietro Castagnoli

Lotta non vaffaPiù in fondo di così? Può essere. Cade nelvuoto ogni richiamo al senso di respon-sabilità. Anche se autorevole, come i tantidel Capo dello Stato. Nel suo discorso direinvestitura, alle Camere riunite, ha sferzato gli astanti. Che hanno applaudito. Chissà achi pensavano si rivolgessero i moniti diNapolitano? Per la seconda volta Presidentedella Repubblica. Un caso senza precedenti.Risultato della più drammatica crisi dellapolitica italiana. Anch’essa senza precedenti,negli anni della nostra Repubblica. Dalleultime elezioni è uscito un sistema politicosquassato. La sinistra pensava di vincere.Non ha cambiato la legge elettorale (ilporcellum), perché voleva stravincere. Èimplosa. Berlusconi sembrava finito e inveceha recuperato. La destra pareva a brandelli,s’è rifatta. Avvinghiata al suo capo e dipen-dente dalle sue sorti e vicende. Il M5S (gril-lini) ha preso un sacco di voti. Ha moltiparlamentari. Uniti sui “vaffa”. Sul resto c’èda vedere. È, però, un “fenomeno”. La cuievoluzione può fare involvere il sistema.Speriamo non quello democratico. I grillinihanno conquistato molta centralità. Bersaniha ultimato il suo naufragio con un tenaceslinguacciamento ai pentastellati. Che l’hannomandato a quel paese. Ma c’è una parte dellasinistra che lo continua, ritenendo che ilgrillismo sia più di una sua costola. Con lasinistra allo sbando ha recuperato spazioanche Berlusconi. Con prove di re-sponsabilità; in parte sicuramente anchetattiche. Fondamentale il ruolo di Napo-litano, adesso c’è il Governo di Enrico Letta,con vice Alfano. Maggioranza: Pd, Pdl emontiani. Unica soluzione possibile. Fin dasubito dopo le elezioni. E, invece, si è persotempo per arrivare al governo presieduto dalvice invece che dal segretario del Pd. Il Pdha un nuovo segretario, Guglielmo Epifani(ex Cgil), fino al congresso. Poi si vedrà. Dilato: le vicende processuali di Berlusconi.Nel pieno della drammatica crisi economicae sociale. Non priva di tensioni crescenti. Piùin fondo di così? Ci vorrebbe che il governodurasse. Per farsi sentire in Europa. Peragire su crescita e occupazione. Per ridurrela pressione fiscale. Riordinare lo Stato(abolire le Provincie; rivoluzionare laburocrazia). Per riformare la Costituzione,la forma di governo. Magari!Ma, subito, deve cambiare la legge elettorale.Durerà il Governo? Farà alcune di questecose? La classe politica è quella che è.Parecchia pochezza. Nel suo complesso essa,comunque, è specchio di noi tutti, il popolo.Negarlo è un alibi. Spocchioso.

Molti ritengono il cambiamento sia quellodei “vaffa” e la delega in bianco a chi piùli urla. L’assemblearismo della piazza (scar-sa, ma rumorosa),i follower, twitter, facebook.Suvvia! Lo ha capito anche Matteo Renzi cheli ha eliminati dal cellulare “perché ne erodrogato”. Quel tempo, dice, lo dedica allapoesia. Meglio. Dopo “Fuori” e “Stil novo”leggeremo anche “Oltre la rottamazione”,il suo nuovo libro. Renzi è indubbiamenteuna risorsa cui guardare con attenzione. Dasostenere. Non è difficile per noi condividerneparecchio. Ci soffermiamo sui contenuti; altricercano solo nomi nuovi. Ma i maggioriproblemi li avrà ancora, in buona parte, dalsuo Pd e dalla sinistra. Dopo certa rottama-zione non ne avrà meno. Di persone non dapoco, come i D’Alema e i Veltroni, sarebbemeglio averne, invece della molta pochezzache li ha rimpiazzati. Continuiamo a fidareche sia la rottamazione culturale il crinalepiù impegnativo di Renzi. Verso una sinistraliberale e riformatrice.Quella sinistrademocratica attesa da tempo.Ci si chiede perché dedichiamo maggioreattenzione alla sinistra. Siamo estranei apartigianerie ideologiche. La nostra idealitàvolge alle sorti della democrazia repub-blicana. Non alle sorti di un partito. Unasinistra democratica ed una destra demo-cratica, che si alternano in un sistema istitu-zionale rinnovato e condiviso. Una destra(ben oltre l’anomalia del berlusconismo);una sinistra (ben oltre la sua suppostasuperiorità morale). Deriviamo da culturalaica e democratica (molto ugolamalfiana),liberale (gobettiana, da cui mutua il nomestesso di questo nostro foglio). Inclinazionee sensibilità esplicative. Già una risposta.Lo sono pure le “politiche” che sollecitiamoe proponiamo. Nel dibattito più generalecome in quello locale. Per risolvere problemiveri, con proposte concrete e realizzabili. Mentre intorno abbonda e trova spazio moltopresentismo e chiacchiericcio.“E la cosiddetta società civile, incattivita dauna crisi feroce che incrementa a dismisuranon la lotta, ma il rancore sociale, protesta,sì, senza rappresentare però una risorsa(seppure critica, seppure polemica) dicambiamento”. Fin dall’inizio, qui, abbiamoindicato e percorso il solco di un impegnodi “cittadinanza attiva”. Continuiamo.Fossero maggiori ed ancor più estesi questoimpegno e la partecipazione sarebbe un belreagire (la lotta che occorre) al vasto declinoin corso. Anche a livello locale trarrebbeforza un miglioramento politico ed ammi-nistrativo di cui c’è bisogno.

Con il che s’iniettano due veleni: 1. l’incertezza; 2.l’aspettativa di prelievi superiori nel mentre se ne promettonod’inferiori. L’opposto di quel che si dovrebbe fare.Tale è la maledizione dell’Italia, terra in cui si cerca dimentire sulla storia e d’imbrogliare sul presente: prima cisi rifiuta di fare quel che è ovvio (vale a dire un governoche veda convergere i voti di Pd e Pdl, l’unico possibiledopo il voto di febbraio); poi ci si rassegna a farlo, ma losi compone di soggetti il cui peso politico tende allo zero;infine lo si agita con questioni simboliche, dietro le qualimanca non solo il pensiero, ma anche la sostanza.Avete presente gli sbandieratori delle contrade senesi, quelliche lanciano le bandiere in alto e poi le riafferrano? Ecco,la scena è più o meno quella, ma anziché riacchiapparle chile lancia poi ci s’infilza.Con i diritti di cittadinanza e la regolazione dell’immi-grazione è la stessa scena. Surreale.Le larghe intese hanno un senso se servono, come sonoservite in Germania e come forse serviranno in Francia, per

fare quello che una sola parte non è in grado di fare. Danoi, invece, si realizzano per disperazione, ma alla condizioneche nessuno faccia nulla e che ciascuno possa dimostraredi avere piegato l’altro. Ciò ci conquista una destra, unasinistra e un governo che a ogni pie’ sospinto invocano ladiminuzione della pressione fiscale, ma, di fatto, non solonon sono in grado di perseguirla, bensì si dedicano, giornodopo giorno, al gioco assurdo di stabilire quale imposta otassa debba crescere in modo da farne diminuire un’altra.Il tutto maledicendo il “vincolo europeo” che, però, c’entracome i cavoli a merenda, dato che il vero vincolo inviolabileè quello della spesa pubblica. Che non si riesce a tagliareperché si è ignoranti, non si sa com’è composta e, pertanto,non si sa governarla.Nel frattempo si annuncia che sarà tagliato l’emolumentointegrativo di qualche ministro, aspettandosi un applausoche, invece, non arriva. Né si merita. Sia perché il taglio èannunciato in anticipo sul farlo, sia perché nell’ultimo barsport sanno far di conto meglio che attorno al tavolo tondodel Consiglio dei ministri, sicché sanno tutti che si tratta dicifre irrilevanti. In compenso s’avvalora l’idea che la causadei mali è la casta e i suoi costi. Poi non si meraviglino sel’entusiastico consenso delle masse non si manifesta.

di Davide Giacalone*

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Governo di larghe intese ... o per disperazione?La commedia dell'IMU. L'incertezza. L'attesa di nuovi prelievi

Il governo di Enrico Letta èpartito. La sua composizionepuò essere così riassunta: diministri ce n’è uno (Sacco-manni), tutti gli altri son nes-suno. La sua durata è inde-terminata, ma dovrà restare lìalmeno fino a ottobre, quandosaranno alle spalle le elezionitedesche. Molto poco? Ad ave-re le idee chiare si potrebbefare molto. Invece l’impres-sione è che si sia impantanato

alla partenza. Ne è dimostrazione la questione dell’Imu. Atratti imbarazzante. Non se ne sono accorti, ma sull’Imu ilPdl e il Pd convergono assai più di quel che credono odicono. Il guaio non è solo che non desiderano ammetterlo,altrimenti dovrebbero spiegarlo ai propri elettori, cuiraccontano il contrario, il guaio serio è che non sanno chefarsene, della loro convergenza. Il prodotto della danzaattorno al totem dell’Imu, alla fine, non è solo un irrilevanterinvio, ma la moltiplicazione dell’incertezza. Che in temafiscale genera paura. Che in termini economici generamiseria.Perché i due partiti convergono? Semplice. Il Pdl chiede lacancellazione dell’Imu sulla prima casa. Come, a suo tempo,cancellò l’Ici, sempre sulla prima casa. E’ vero che l’Imuè un’imposta ideata dal governo di centro destra, ma è anchevero che farla valere sull’immobile che si abita (normalmentela prima casa) è una trovata del governo successivo, a guidaMario Monti. La destra, dunque, reclama la cancellazionedi questo. Il Pd, dal canto suo, rifiuta la cancellazione sullaprima casa, essenzialmente perché la chiedono gli altri, chesarebbero gli avversari, ma sarebbero anche gli alleati algoverno. Però anche la sinistra vuole che qualche cosacambi e che dal pagamento, sempre sulla prima casa, sianoesentati i redditi più bassi. La patrimoniale sugli immobili,nella loro fantasia, è un’imposta che devono pagare i ricchi.Se dalla fantasia si scende ai numeri si scopre che il 94%del gettito Imu è dato da soggetti che hanno redditi annuiinferiori ai 55mila euro lordi. Siccome per considerare riccochi guadagna fino a quella cifra occorre una fantasia ailimiti dell’allucinazione, ne deriva che l’epica differenzafra le due posizioni si ridurrebbe al 6% del gettito. Con ilche credo che gli astanti meriterebbero, più che altro, unadefilippesca pernacchia. Nel mentre questa commedia vain scena, il governo conferma che per tutto il resto delpatrimonio immobiliare la scadenza di giugno non slittamanco per niente. Vale a dire due cose: a. sul totale di 24miliardi di gettito è confermata la scadenza per il 20, quindinulla cambia per l’84%; b. nel mentre si dice che la pressionefiscale deve diminuire sul sistema produttivo è esattamentequella che viene confermata. Ma non basta, perché per iforzati dell’acconto la rata potrebbe anche aumentare, vistoche (all’incirca) un quarto dei comuni hanno elevatol’addizionale. Qui interviene la commissione bilancio dellaCamera e vara la grande trovata: a giugno si paghi la metàdi quanto (complessivamente) si pagò l’anno passato, mentreper la differenza, superiore, ci rivediamo a fine 2013. *Editorialista per Libero, Il Tempo e RTL 102.5

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Il dibattito sulla necessità chela politica del rigore debbaessere integrata da misure disostegno della domanda e dellosviluppo, registra una crescenteconvergenza, man a mano checresce la consapevolezza chel’illiquidità delle imprese e lacontrazione dell’attività indu-striale rischia di sprofondare ilsistema economico in una reces-sione sempre più grave.Il Governo si appresta a varare

i primi provvedimenti di politica economica; alcuni interventi,in termini di pagamenti della pubblica amministrazione, perriequilibrare l’insostenibile ritardo, e di defiscalizzazione dellavoro sono condivisi, ormai in modo generalizzato.L’obiettivo dello sviluppo è ricorrente in ogni analisi e proposta;ma cosa effettivamente può generare una ripresa dellaproduzione industriale e dei consumi?Vanno individuati i meccanismi che effettivamente possonoavere un impatto diretto accelerando l’inversione di tendenza.Lo sviluppo è comunque una dinamica di crescita che richiedeun processo che parta dalle imprese e dai territori.Dal punto di vista del territorio lo sviluppo non va sempli-cemente atteso, sotto la forma di provvedimenti macro-economici, seppure sostanziali, che rivitalizzino dall’alto l’eco-nomia, ma va costruito attraverso una serie di azioni concrete,che, pur nei limiti dell’ambito territoriale, attivino una concretacrescita della liquidità, della domanda e dell’occupazione.E’ difficile pensare ad una ripresa ed a un recupero dellacompetitività delle imprese e del sistema produttivo senzainvestimenti.Operare fattivamente per invertire l’attuale situazione, partendodal territorio, senza attendere che “arrivi la ripresa “ è la prioritàche dovrebbe accomunare tutti gli attori delle imprese, delleassociazioni, delle istituzioni pubbliche e delle banche siaquelle locali, sia quelle che si dichiarano banche del territorio.Un contributo, non esaustivo, in tal senso con una logica diconcretezza può essere nel realizzare le seguenti attività:- inventariare con le imprese i progetti d’investimento, attivabilinei prossimi dodici mesi.Ottenere un impegno delle banche a finanziarli, nella libertàdi valutazione delle stesse, nell’ambito di un plafond d’impegnoprioritario, con tempi certi di valutazione e finanziamento.Garantirsi, con le istituzioni, un concreto cronoprogramma diiter autorizzativi che assicurino il rispetto dei tempi di progetto.Il coordinato svolgersi di queste azioni può portare ad un forteincremento di domande di beni e servizi e positivi effetti sul-l’occupazione, perlomeno in termini di maggior saturazionedelle capacità produttive (minor cassa integrazione) .- Promuovere, uno sforzo immediato di innovazione delleimprese nello sviluppo dell’ICT, attraverso un accordo delleimprese del settore e le istituzioni finanziarie, con la messa adisposizione di linee di credito a medio termine e condizionidi vantaggio per le imprese clienti, rafforzando la collaborazionefra imprese, università ed associazioni per progetti di infor-mazione, formazione ed innovazione.In particolare lo sforzo deve essere indirizzato allo sviluppodi piattaforme di e-commerce, web marketing, CRM (Customerrelationship management), social network per creare o rafforzarenuovi canali di vendita ed accelerare il processo di svilupposui mercati esteri.

Una specifica applicazione potrebbe essere realizzata per ilsettore turistico e dell’ospitalità attraverso una piattaforma cheintegri e valorizzi le diverse offerte del territorio nell’ottica dicreare una proposta con una valenza in grado di rispondere aduna domanda nazionale ed internazionale più ampia equalificata.- Facilitare il processo di “messa in rete” di specifici progettie competenze delle imprese per rafforzare la loro capacità diinternazionalizzazione ed innovazione.Questo può avvenire con un’azione coordinata fra imprese,assicurazioni, Camera di Commercio e banche con la messaa disposizione di linee di credito a medio termine, garantitedalle imprese partecipanti con capitale di scopo, e dalla garanziadi Consorzi, concesse prioritariamente.- Sostenere i processi di miglioramento organizzativo diprogrammazione e controllo gestionale e della comunicazionefinanziaria delle imprese per imprimere una svolta nei rapportibanca impresa, con un sostegno da parte della Camera diCommercio e migliori condizioni di finanziamento ed accessoal credito da parte delle banche.- Intervenire con tempestività per un sostegno ad una forteinnovazione nel settore immobiliare e delle costruzioni.Le azioni che in parallelo si dovrebbero attivare sono quelled’incrementare significativamente i plafond per nuovi mutuiper la casa a condizioni competitive, rinegoziare i mutuiesistenti con allungamento del periodo d’ammortamento eprevedere una possibilità d’incremento a fronte d’interventistraordinari di risparmio energetico ed automazione tecnologica.Oltre ad una ripresa della domanda le possibilità di ripresa delsettore sono strettamente connesse ad una riqualificazionedell’offerta.Una prospettiva concreta, perché basata su un ritorno economicoe su una logica di sostenibilità, è quella del risparmio energeticoe dell’innovazione tecnologica.I problemi del settore immobiliare non si possono risolverenel breve termine, ma questo dà tempo perché, sul territorio,ed in funzione del territorio, imprese, università e pubblicheistituzioni possano lavorare sull’innovazione delle città, esull’integrazione delle tecnologie.Quest’ultima considerazione ha spostato il focus degli interventipossibili per avviare un processo di sviluppo dal breve terminead un arco temporale più lungo anche se non lontano.- In questo quadro un obiettivo prioritario e non differibile,con effetti economici di medio termine, ma immediati nelladiffusione di spirito di innovazione e volontà di costruzioneè l’insieme delle azioni per attivare una nuova imprenditorialitàche nasca dalla centralità, per una società aperta e moderna,dei suoi valori.Le nuove iniziative per la creazione di un laboratorio per lacreazione di nuove imprese da attività universitarie vanno nellagiusta direzione, ma è solo il primo passo che deve poter con-tare sul sostegno delle imprese consolidate e su nuovi strumentidi investimenti innovativi.L’”agenda” potrebbe continuare, ma rischierebbe di ampliarsieccessivamente e diventare dispersiva.Riuscirà il territorio a dare una risposta concreta e fattiva,senza attendere che gli interventi di “politica economica delGoverno e l’andamento dei trends generali ci portino la ripresa,rispetto ai quali saremmo comunque in ritardo e all’inse-guimento?La domanda coinvolge tutti gli attori, e comporta una respon-sabilità dalla quale nessuno si dovrebbe esimere.

Per la ripresa. Da imprese e territori, senza aspettareLe priorità comuni per istituzioni, forze sociali, banche locali

di Mario Riciputi*

*Imprenditore

negli altri Paesi si è accumulata una cospicua esperienzaprofessionale. E quel che è ancora più drammatico è che,nonostante la loro relativa assenza dal mercato del lavoro, igiovani italiani sono molto indietro nei livelli di apprendimentogià a 15 anni, e hanno maggiori difficoltà a conseguire una laurea,per quanto a lungo ci provino. E infatti la gioventù italiana unprimato ce l’ha: è quello del numero di giovani perfettamenteinattivi, in quanto non lavorano, né studiano, né stannoapprendendo un mestiere. Nel contesto Europeo il Comitatodelle Regioni dell’Unione Economica Europea sta predisponendoun progetto-pacchetto per l’occupazione giovanile. Il FondoSociale Europeo ha già predisposto finanziamenti per progettifinalizzati ad aumentare l’occupazione dei giovani. Le comunitàlocali, compreso il Comune di Cesena si stanno impegnando inprogetti relativi a politiche del lavoro per i giovani. Io spero econfido che il nuovo Governo abbia la determinazione di metterein campo politiche sul lavoro concrete per esempio:Studio e lavoro: in Italia vi sono scarse opportunità di acquisireesperienza di lavoro durante il periodo formativo; persiste, infatti,una cultura – unica in Europa – che ancora separa nettamenteil momento formativo da quello lavorativo (solamente il 10 percento dei ragazzi coniuga il percorso di studi ad una qualcheesperienza lavorativa).Istruzione: occorre contrastare l’abbandono scolastico edaumentare il livello complessivo di istruzione (molti giovanilasciano la scuola troppo presto): 6 milioni di giovani tra 18 e24 anni hanno terminato solo gli studi obbligatori; l’80% deigiovani tra 25 e 29 anni ha completato il ciclo di studi secondariosuperiore. Inoltre, il sistema educativo dovrebbe essere pertinenteed in funzione del mercato del lavoro; da qui l’importanza delrapporto stretto tra le istituzioni educative e il mondo del lavoro.Politiche dal lato dell’offerta: i servizi pubblici per l’impiegonon svolgono a pieno l’essenziale ruolo di mediazione/formazione;un ruolo importante da rafforzare dovrebbe essere quello diraccogliere, analizzare e diffondere regolarmente informazioniattendibili e tempestive sul mercato del lavoro giovanile che puòfacilitare e favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.Barriere dal lato della domanda e regolamentazione: il contrattodi apprendistato dovrebbe assumere un ruolo centrale nell’attualecontesto occupazionale. In altri termini l’obiettivo principale daconseguire è quello di far diventare l’apprendistato il modo tipicodi ingresso nel mercato del lavoro dei giovani con l’integrazionetra apprendimento ed esperienza, limitando l’utilizzo fraudolentodi fattispecie di lavoro “autonomo” o para-subordinato e superandola segmentazione del mercato del lavoro. Anche se tutto questonon basta. Sono convinto, infatti, che nessuna riforma cambieràdavvero le cose se anche noi, tutti noi, giovani e adulti, non cirenderemo conto che un intero modo di pensare, un’interamentalità tipica del nostro paese è giunta al capolinea. Continuarecome in passato non è più possibile. Far credere ai giovani chepotranno godere degli stessi privilegi della nostra generazionesignifica solo prolungare l’inganno che ci ha condotto allasituazione attuale.Una situazione retta da un patto scellerato fra due generazioni:la generazione dei padri e delle madri, iperprotettiva e per nullaesigente, e la generazione dei figli, spensierata finché l’età e lerisorse familiari glielo consentono, e disperata quando devecominciare a marciare sulle proprie gambe. Abbiamo il doveredi cominciare a fare un vero bilancio e ad affrontare a viso apertoi nostri figli. I quali hanno tutto il diritto ad entrare in un mercatodel lavoro più dinamico e più equo, in cui ci siano più opportunitàe l’inamovibilità dei padri non sia pagata dalla precarietà deifigli. Ma hanno anche il diritto di sapere quel che finora gliabbiamo nascosto: che studiare sotto casa, poco, male, eirragionevolmente a lungo conforta le loro mamme ma nonspiana loro alcuna strada.

Per l'occupazione giovanile e la crescita economica

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Come può crescere un paese incui quasi la metà dei giovaniultratrentenni è del tutto privadi un mestiere?La generazione dei giovani dioggi vive una condizione parti-colare, per non dire unica.Nessuna generazione precedenteha mai avuto un tenore di vitacosì alto, tanta libertà personale,tanta protezione da parte deigenitori, tanta indulgenza daparte degli insegnanti, tantaattenzione da parte dei media.Ma nessuna generazione è mai

stata così drammaticamente dipendente dalla famiglia: ilbenessere dei giovani è in gran parte frutto del lavoro dei genitori,perché loro, i giovani, di lavoro ne trovano ben poco e quandolo trovano spesso è precario, quasi sempre sottopagato. Maperché siamo arrivati a questo punto?Sicuramente una parte di responsabilità sta nel fatto che l’apparatoproduttivo non è stato capace di riconvertirsi, abbandonando leproduzioni tradizionali a favore di quelle ad alto valore aggiunto:di qui sia un rallentamento della crescita, frenata dalla concorrenzadei paesi emergenti accompagnata da una scarsa domanda dilavoro ad alta qualificazione (ingegneri, biologi, fisici, ricercatori,scienziati…). Ma l’altra parte consistente di responsabilità ènostra che, attraverso i partiti e sindacati, abbiamo edificato unsistema per garantire il lavoro, l’inamovibilità, la pensione aipiù organizzati fra noi. Siamo noi che, nella scuola e nellauniversità, abbiamo permesso che si abbassasse drammaticamentel’asticella del livello degli studi, trasformando le istituzioni untempo funzionanti in vere e proprie fabbriche di ignoranza. Esiamo sempre noi che, nella famiglia, invece di fare i genitorici siamo trasformati a poco a poco nei sindacalisti della nostraprole, sempre pronti a batterci perché venga loro spianata lastrada verso il nulla. Questo nostro comportamento hadeterminato, ovviamente, ulteriori drammatiche conseguenze.L’offerta del lavoro, il capitale umano dei giovani, ossia il lorosapere e saper fare, in Italia è bassissimo. L’analisi del problemaci pone di fronte a una dura realtà. Su 100 giovani ultratrentennisolo 40 hanno un mestiere in senso proprio, ossia un diplomatecnico-professionale (29 per cento) o un’istruzione universitariacompleta (11). Gli altri si dividono in due gruppi principali. Ilprimo (16 per cento) è quello dei giovani «semistruiti», chedopo l’obbligo hanno frequentato corsi più o menoprofessionalizzanti ma corti: scuole professionali di 2-4 anni,senza accesso all’università, corsi di laurea triennali. Il secondogruppo (44 per cento) è quello dei giovani del tutto privi di unmestiere: giovani che si sono fermati alla licenza media oaddirittura a quella elementare (34), giovani che hanno fatto unliceo e si sono perduti nell’università, senza conseguire nemmenouna laurea triennale (10). Un dramma di cui nessuno parla eche pone una seria ipoteca sul futuro dell’Italia: come puòcrescere un paese in cui quasi la metà dei giovani ultratrentenniè del tutto priva di un mestiere?Inoltre, è bene conoscere che nel confronto internazionale inostri giovani si distaccano da quelli della maggior parte deiPaesi avanzati non certo perché più colpiti dalla tragedia delladisoccupazione, ma più precisamente per la ragione opposta:perché ritardano enormemente il loro ingresso nel mercato dellavoro. Nei Paesi normali ci si laurea intorno ai 22-23 anni, esi comincia a lavorare relativamente presto, spesso contribuendoal bilancio familiare e alle spese dell'istruzione, che non sonobasse come da noi. In Italia ci si laurea tardi, spesso in prossimitàdei 30 anni, e si comincia la ricerca di un lavoro a un’età in cui

di Guido Piraccini

Continuare come in passato non è possibile. Cambiare anche mentalità

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Molti lo criticano. Taluni perfino lo disprezzano. Più nelsuo stesso partito che altrove. Non è certo un caratteresemplice, ha un piglio talvolta indisponente ed irritante. Manel panorama della politica italiana è ancora uno deipochissimi leader. Stiamo parlando di Massimo D’Alema.Spesso non lo condividiamo, ma non in questo caso. “ Sonopreoccupato – intervista al Corriere della Sera del 1/5/2013– dall’idea secondo cui la riforma della legge elettoralepuò avvenire solo dopo aver sciolto il nodo costituzionaledella forma di governo. La mia proposta è quella di abolireimmediatamente e preliminarmente il Porcellum. Dopo sipotrà discutere con serenità di tutto, ma intanto daremmoai cittadini la certezza che potranno comunque votare conun sistema diverso, scegliendo i propri parlamentari. Se c’èun’intesa, il governo puòanche varare un decretoal riguardo. In questomodo, anche se la legi-slatura non dura il temponecessario per fare tuttele riforme, si può andarelo stesso alle elezionisenza problemi.” Pure noivediamo tutta l’incertezzae la particolarità dellasituazione che si è venutaa creare dopo il voto delloscorso febbraio, la riele-zione di Napolitano allapresidenza della Repub-blica, la formazione delgoverno di Enrico Letta.Una scommessa sulla du-rata del governo e sullarealizzazione dei suoi propositi, così come dichiarati alleCamere, compresa la riforma costituzionale, è difficile daazzardare. Dopo il ritiro in convento di Letta e dei suoiministri pare che la sollecitazione dalemiana abbia trovatoriscontro. Da questo governo, l’unico possibile (da nondimenticare) ci aspettiamo poche, ma importanti, cose perfronteggiare la drammatica condizione economica e sociale.Una azione incisiva in Europa. E che muova, finalmente,seriamente, efficacemente, verso la riforma costituzionale.È essenziale, indispensabile, non più procrastinabile ( noilo diciamo e scriviamo da moltissimo tempo). Senza diquesta alcun governo sarà in grado di realizzare e gestirecon la dovuta efficacia, determinazione e speditezza leriforme necessarie finanziarie, economiche e sociali cheabbisognano al Paese. Superamento dell’attuale bica-meralismo; riduzione (almeno dimezzamento) dei par-lamentari; nuova forma di governo; coerente sistemaelettorale (ma intanto, e subito, va accolta la sollecitazionedalemiana, non si sa mai); riforma della giustizia (a voltece ne vuole a chiamarla così, l’attuale); profonda riformadel Titolo V della Costituzione; abolizione delle province;riassetto dello Stato a livello periferico. Ridefinizione delfinanziamento ai partiti (che devono assumere vestegiuridica). La riduzione dei costi della politica che occorre,se depurata di certo travestimento populistico, si comprendeche è da questo complesso che può essere fatta e con forterilievo, di quantità e di qualità. Da qui anche talune condizionidi fondo per arrivare, nel contesto di una più generale

riforma del regime di tassazione, ad una diminuzione dellapressione fiscale.Impossibile se non si riorganizza e se non si riduce la spesapubblica. La crisi economica e sociale così drammatica e lacrisi altrettanto (se non più) drammatica, politica edistituzionale, sono un intreccio di assoluta pericolosità peril nostro stesso sistema democratico. È oltremodo chiaro,ovvio, evidente, il bisogno, l’urgenza di questa riformacostituzionale.Il tanto tempo trascorso da che se ne parla è motivo dipessimismo, reso ancor più acuto in presenza della moltamediocrità dell’attuale classe politica. La responsabilità cherichiama il nostro Presidente della Repubblica deve trovareun coerente rigurgito di buona volontà e di impegno dalle

parti migliori delle forzepolitiche. Dalla soprav-venuta intelligenza che leporti a comprendere cheoccorre ovviare alle con-trapposizioni muscolari,allo scontro fra nemici.Che non sono ancoramolte altre le spiagge,prima dell’ultima, per ilconfronto fra avversari chehanno in comune il pre-sente ed il futuro di questademocrazia repubblicana.Intelligenza che mettamano a incrostazioni dipseudo cultura politicaquale quella inesistente,ma supposta, “superioritàmorale”, che è in primis

la causa che confonde gli avversari con i nemici. Che inducaalla comprensione che è giusto un tabù decisamenteanacronistico quello della intangibilità della Costituzione.È vero il contrario: nella assoluta salvaguardia dei suoiprincipi fondamentali, la riforma modernizzatrice dellaCostituzione consente migliore salvaguardia e sviluppo dellanostra democrazia repubblicana. Ribadiamo di condividerela sollecitazione dalemiana di cui sopra.Ma non possiamo trascurare di soffermarci sul fatto che nelcorso degli anni si è modificato soltanto il sistema elettoralefino ad arrivare all’obbrobrio del porcellum. Improntandoun bipolarismo politico sempre più bastardo e peraltroscardinato dalle stesse ultime elezioni, incoerente quandonon addirittura conflittuale con l’attuale architetturacostituzionale.Basterebbe guardarsi intorno, in Europa, quali sono le altreesperienze costituzionali e democratiche che ci sono e chefunzionano, e trarne indicazione e giovamento. Il volerritenere che si debba per forza ricercare una soluzioneoriginale italiana è solo un modo di tergiversare e di provarea modellare, su interessi parziali, un’architettura istituzionaleche deve ricondursi agli interessi democratici generali ditutti. Si guardi al sistema semipresidenziale francese, con leelezioni parlamentari su base di collegi uninominali e didoppio turno; al sistema tedesco del cancellierato con sistemaelettorale proporzionale con forte sbarramento per poterentrare in Parlamento. Se ne scelga uno. La nostra preferenzaè per quello francese. Ma si faccia una riforma.

Riformare la Costituzione non è un tabu'Ma subito cambiare la legge elettorale

di Sandro Gozi*

Fare il vero movimento di sinistra riformatrice

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Il PD nato nel 2007 “è stato sui-cidato” il 19 aprile 2013.Centouno congiurati gli hannoinferto colpi mortali in occasionedella mancata elezione di RomanoProdi alla Presidenza della Repub-blica. Ora dobbiamo fare il nuovoPD o forse il vero movimento disinistra riformatrice del XXI secolo,che avevamo promesso e non ab-biamo mai del tutto realizzato; e cheha vissuto il suo momento migliorecon la prima esperienza dell'Ulivo.Almeno nella prima fase, gli stru-menti saranno quelli del PD: con-

gresso, primarie, circoli ... Ma solo per spirito pratico, perché dobbiamoora avviare un processo di costituente. Un processo che parte dalpunto più difficile, dal voto di fiducia al Governo di larghe inteseguidato da Enrico Letta. Ma che richiede soprattutto una ricostruzionedella fiducia tra i parlamentari del PD. I 101 voti mancati dopol'unanimità votata nell'assemblea dei grandi elettori sono una feritagrave e aperta, perché è venuto totalmente a mancare il senso di lealtà,di trasparenza e di franchezza, elementi imprescindibili in una comunitàdi donne e uomini che si battono per valori comuni. Ma è soprattuttola fiducia con i nostri elettori che dobbiamo ricostruire oggi. Unafiducia da ricostruire proprio in questa fase di emergenza democratica,economica, sociale ed europea e nonostante il contesto politico eparlamentare in cui dovremo agire, molto complesso. Ne abbiamo ildovere, perché c'è un terribile senso di abbandono in giro per il Paesee dobbiamo farcene carico innanzitutto noi. La fiducia che i nostrielettori ci avevano accordato era per una maggioranza diversa daquella che sostiene il Governo Letta. E questo dovrà sempre essereil nostro punto di riferimento, il nostro più forte vincolo politico. Perquesto, dovremo dare ampio spazio alla nostra azione parlamentaree mantenere un dialogo costante e una cooperazione stretta con SEL.E dovremo anche dimostrare apertura e disponibilità rispetto alleistanze di cambiamento espresse da M5S. Lavoro difficile, complessoma realizzabile soprattutto su temi come i diritti civili, i costi dellapolitica e della burocrazia, o la lotta contro le corporazioni. Lodovremo fare soprattutto perché il nostro comportamento dentro alPalazzo avrà un'influenza forse decisiva sulla nostra capacità fuoridal Palazzo di riannodare quel filo di fiducia e di speranza con i nostrielettori che ora si è spezzato. Il nuovo Partito Democratico, o comesi chiamerà..., dovrà diventare veramente quello che avevamo promessoe che aveva ridato speranza ed entusiasmo a milioni di italiani. Unentusiasmo venuto meno da tempo, una speranza negata da troppierrori che non possiamo più ripetere. Ciò richiede una nuova visionepolitica, palesemente mancata negli ultimi anni a tutto il centrosinistra,e una classe dirigente totalmente rinnovata non sulla base dell'anagrafeo delle tessere ma delle idee e del coraggio di difenderle. E soprattutto,evitiamo di ripetere in eterno sempre gli stessi errori. Stiamo morendosotto i colpi di correnti organizzate non per difendere valori politicie sociali come accadeva in un passato ormai lontano, ma valori moltomateriali: posti, prebende, poltrone. Il pluralismo politico e' vitale,l'autoreferenzialità di potere e' mortale. E abbiamo già fatto troppierrori a causa della logica degli EX, del minicompromesso storicotra EX di una parte e dell'altra. Alcuni di noi hanno addiritturascomodato Enrico Berlinguer per giustificare il governo delle largheintese, come se dall'altra parte, a destra, avessimo un Aldo Moro. No,a destra c'era e c'è sempre Silvio Berlusconi e Silvio come ci habrutalmente ricordato sulla questione IMU pensa sempre e solo alsuo tornaconto personale. Allora noi evitiamo di impantanarci nellalogica degli EX di cui non importa proprio nulla ai nostri elettori dioggi e di domani. non mi interessa se qualcuno e’ stato iscritto al PCIe ha conosciuto Berlinguer e qualcun altro Moro. Li rispetto,moltissimo, perché queste grandi esperienze vanno rispettate. Mavoglio una politica che capisca il presente e pensi il futuro. Io sonomolto stanco dell’uso strumentale del passato, e i nostri elettori anche.Perché al terzo sondaggio positivo magari a Silvio viene in mente

che gli conviene tornare alle elezioni, e non è citando frasi di Moroe Berlinguer che lo fermeremo. Lo fermeremo se ci faremo trovarefinalmente pronti con un vero, un nuovo Partito Democratico. Alloraevitiamo di dare l'impressione – che diventa sostanza nel mondomultimediale di oggi – che vogliamo compensare un governo DC 2.0con un partito che deve ora essere affidato a gente più “di sinistra”,perché vuol dire perseverare in una logica perdente e perché nonfaremmo un buon servizio né a noi, né a Enrico Letta, né ai nostrielettori. Meglio che siano di sinistra le nostre idee sul lavoro, i dirittie l’Europa piuttosto che il nostro posizionamento tattico rispetto allacomposizione del governo o alle logiche correntizie. I nostri elettorivogliono sapere cosa vogliamo fare per un fisco più giusto, per renderepiù equa una società sempre più diseguale, per dare loro i nuovi dirittiche la modernità impone. Sino ad oggi ci siamo sbranati tra noi solosu nomi e organigrammi: facciamo un bello scontro su cosa vogliamofare riformare la giustizia più ingiusta d'Europa, su quale politicaindustriale vogliamo per l'Italia, sulle nuove alleanze da creare inEuropa in vista delle elezioni 2014. E soprattutto, riformiamo subitola legge elettorale; subito! Evitiamo il balletto della scorsa legislaturain cui tutti volevano cambiarla e nessuno l'ha fatto. Ne' il dibattitosulle istituzioni può essere l'alibi per rimandare la riforma elettorale.Ad ogni buon fine torniamo subito al mattarellum basta interveniresu un articolo. Poi se con le riforme istituzionali riusciremo a farneuna nuova ben venga. Per questo la transizione da oggi al congressodeve permetterci di ricostruire o di costruire finalmente questo partito.Chi gestisce questa transizione deve essere imparziale, deve offriregaranzie a tutti, non deve lavorare per sé stesso o per una parte. Perchése non ricostruiamo la fiducia tra di noi, non avremo mai la fiduciadegli italiani. E perché abbiamo bisogno di un congresso vero: concandidature e tesi vere e contrapposte. Perché di questo unanimismofalso e ipocrita non ne possiamo veramente più. Un congresso sulleidee e non sui nomi. Siamo all'ultima chiamata. Abbiamo bisognoche i nostri elettori, i nostri iscritti ritornino ad avere fiducia in noi.E potranno avere fiducia in noi solo se da oggi taglieremo netto conle nostalgie lontane e gli errori recenti e costruiremo il vero PartitoDemocratico. Dobbiamo proporre una nuova alleanza del merito edel bisogno, che metta al centro della sua azione la parola “libertà”.Nell’ultimo decennio, infatti, destra e sinistra hanno combattuto unabattaglia sul terreno della libertà, attorno alla sua ridefinizioneconcettuale e pratica, che ne ha totalmente modificato i ruoli. Ladestra ha giocato all’attacco: la libertà è diventata il suo dominio ela sua bandiera; interpretandola come libertà da valori e regole. Lasinistra, invece, si è rinchiusa in dialettiche di retroguardia, ripiegatasu se stessa, tra tabù ed equilibrismi. Non è stata in grado di interpretarele istanze di libertà provenienti dalla società. In questo modo ilconcetto di libertà ne è uscito stravolto, caratterizzato soprattutto nellasua declinazione antipolitica della destra. La sinistra ha abbandonatoil terreno, lasciando così agli avversari un tema che ha costituito unadelle ragioni più profonde della sua esistenza. È arrivato il momentodi riappropriarci e recuperare la parola libertà: occorre un movimentodinamico, un nuovo cantiere del centrosinistra, aperto a tutti coloroche vogliano costruire una vera alternativa per il paese. Aperto a tuttele forze laiche di sinistra e a tutti coloro che credono che una sinistraveramente moderna debba essere innanzitutto transnazionale edeuropea. Ciò significa riaffermare il primato della politica, la lottacontro le crescenti disparità di reddito e le derive finanziariedell’economia; e significa globalizzare la politica. I mercati globali,la mobilità dei capitali, le evoluzioni tecnologiche hanno fortementeindebolito il potere di intervento dello Stato. Pressata dai nuovipopulismi e nazionalismi, l’Europa si sta frantumando in tante piccolepatrie chiuse e impotenti. Per non finire schiacciati dal populismo,il federalismo democratico e sociale è l’unica via percorribile, ancheper recuperare capacità di azione nazionale. Ecco perché la nostranuova proposta politica dovrà venire concepita sin dall'inizio in unadimensione eminentemente europea. Dovremo accompagnare l’Italiae l’Europa fuori da questo momento grigio e incolore: se c’è una cosaveramente “di sinistra” che possiamo fare, infatti, è ridare colore esperanza alle nostre vite.

*Deputato Partito Democratico

La crisi della sinistra. Il dibattito

di Enzo Lattuca*

Scarpe rotte e pur bisogna andar

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principe? Può esistere un soggetto politico collettivo pensante(“intellettuale collettivo” avrebbe detto Gramsci) che nonsia solo una comunità di follower? Può esistere senzaun’identità e senza nemmeno una discussione sull’identità,secondo la formula di Wittgenstein “ciò di cui non si puòparlare si deve tacere”?È ricostruibile il concetto di rappresentanza democratica intutti gli ambiti della società o la soluzione è quella neoplebiscitaria che alcuni raccontano come democrazia diretta?E, infine, può resistere una Politica prigioniera della di-mensione nazionale quando le decisioni si sono spostate inparte in Europa e in parte fuori da istituzioni propriamentedemocratiche?Queste domande ovviamente riguardano tutti e dalle rispostedipende il futuro di una repubblica e non di una sola parte.Ma l’impressione è che per la sinistra italiana e solo per essa,il tentativo di dare risposte a queste domande sia ormai unpassaggio obbligato e imprescindibile.La seconda via da percorrere riguarda le scelte. Negli ultimidecenni la sinistra ha scontato un deficit enorme in terminidi chiarezza e nettezza delle proprie posizioni politiche.

Invece di coniugarerealismo e imma-ginazione, come pervocazione dovrebbefare, si è schiacciatasul primo dei duepoli arrivando allefinali sempre con ilfiato corto.Da abbandonare ilmassimalismo di unacerta sinistra cosìcome il moderatismodi chi non decide maida che parte stare,non resta che ripro-vare lo stretto passag-gio del riformismo.La realtà è amara e

complessa e chi ragiona prima di rispondere perde già terrenocompetitivo.Il Paese è quello di sempre, tendenzialmente restio ad uncambiamento che non sia apparente e gattopardesco, per viadi quell’attrazione fatale tra il potere dei detentori di interessieconomicamente forti e l’assenza di senso civico delle masse.Solo con la radicalità della proposta di cambiamento si puòrompere questo blocco. Servono immaginazione e coraggio.Non si difenda l’esistente ma nemmeno le logiche surrettizieai rapporti di forza di sempre.Davanti agli occhi si aprono delle praterie, dai diritti socialie civili, alla costruzione di un’altra Europa, dalle prospettiveda offrire alle nuove generazioni al welfare da garantire aquelle che passano, dalla competitività del sistema produttivoalla rivalutazione del lavoro.Ma la prima scelta riguarda inesorabilmente la via d’uscitada questa crisi.Le politiche d’austerità imposte dalle destre europee hannomiseramente fallito. La prima nuova occasione per la sinistrapotrebbe non essere poi così lontana. Scarpe rotte e purbisogna andar.

La sinistra è oggi molto piùsmarrita per la fallimentarevittoria alle ultime elezioni, diquanto non fosse accadutodopo le tante vittoriose scon-fitte nella storia repubblicana.La sinistra paga il prezzo dichi ha cercato di aggrapparsialla Politica, quella che glianglosassoni chiamo politics,senza accorgersi che il divorziodi questa dalle politiche,policies, ha frustrato a tal punto

la democrazia europea da riportare in auge il binomiopopulismo-tecnocrazia che, come è noto, contro la Politicainsieme si tengono per mano.Per ritrovarsi non può allora che tornare a percorrere allostesso tempo le due strade della politica, quella dell’arte,della forma, dell’identità e della strategia insieme a quelladelle decisioni, della sostanza, dei provvedimenti, dellescelte. La traversata è epica come quella di un funambolodimezzato, l’esitoincerto, il contestosfavorevole. Di fron-te al Governo gui-dato con autorevo-lezza e padronanzadella cassetta degliattrezzi da EnricoLetta, il sentimentodella sinistra e delsuo popolo è duplice,conflittuale e persinoun po’ contradditto-rio. Quello non è illoro governo, quelloda sempre sognato,quello in cui hannocreduto o sperato enon è nemmenoquell’ipotetico Governo di cambiamento che Bersani hapensato potesse nascere dopo il 25 febbraio. Non è nulla ditutto ciò. Eppure è larga la consapevolezza che non esisteuna vera alternativa a un sostegno leale che indirizzi ilgoverno senza ricattarlo e che, di fronte alla macerie di unPaese e di una comunità, la responsabilità è la propria croce.Una croce pesante perché in pochi la portano e in tantiinveiscono, una croce sotto cui il peso si rischia disoccombere soprattutto se si è così deboli. Nonostante ciòha ragione Michele Prospero quando scrive “Ci sono ideeche non possono tramontare, quale sia il governo in carica”.Ricostruire la Politica e riappropriarsi dell’elaborazione edella determinazione delle politiche sono le due stradestrette da percorrere.La prima pone di fronte ostacoli e domande epocali. Sonoancora i partiti gli strumenti giusti per organizzare lademocrazia? (la fine impietosa di chi ci ha provato a costruireun partito vero regala una risposta troppo facile e un po’pericolosa a questa domanda). Può esistere una comunitàpolitica in grado di tenersi insieme finite le grandi ideologieche non abbia come unico collante l’infatuazione verso unprincipe carismatico, magari eletto dalle primarie, ma sempre

La crisi della sinistra. Il dibattito

*Deputato Partito Democratico

di Federico Bracci*

Il mio PD

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avrebbe riempito le piazze gridando al golpe vistal’occupazione totale delle cariche da parte della sinistra,recuperando consensi tra i suoi. E lo stesso discorso valeper Rodotà, sui cui libri ho studiato la tutela dei diritti.Perciò sinceramente se fossi stato un dirigente del PartitoDemocratico, vista la poca forza a disposizione in unmomento del genere, avrei proposto sin dall’inizio il nomedi Anna Maria Cancellieri e spiego perché: grande servitricedello Stato, miglior sindaco di Bologna degli ultimi anni(pur essendo un prefetto), ha svolto bene il ruolo di Ministrodell’Interno. Sarebbe stato un nome sotto tutti i punti divista super partes che nessuno avrebbe potuto tirare per lagiacchetta; un nome di fronte al quale nessuno avrebbeavuto alcuna valida motivazione per dire no. Un nome chesarebbe potuto divenire il primo Presidente donna dellenostra storia. Penso che se avessimo avuto una simileintuizione sin dall’inizio, a quest’ora saremmo stati ripagatiin termini di sondaggi (senza contare che non ci sarebbestato bisogno di sei votazioni e di tutto il tempo che si èperso). Archiviato il discorso Presidente della Repubblica,ora l’attenzione si sposta sul PD. Ormai non si trova piùnessuno che non sia convinto che una buona e sana

rottamazione sia la cosa piùurgente, e questa è una cosapositiva. Ma il disastro a cuisiamo arrivati parte dalontano, non è frutto delleultime ore. E’ figlio di unaclasse dirigente che non hamai convintamente credutonel Partito Democratico, chelo ha vissuto come un’“americanata” iniziale. Unaclasse dirigente che ha traditolo spirito originario delprogetto perché non ha maicreduto veramente nei suoiprincipi fondanti. Il PD è nato(già tardi forse) per allargare

l’orizzonte della sinistra italiana con l’ambizione diconquistare anche elettori un tempo distanti ma che ora nonhanno più motivo per esserlo. E’ nato per rivolgersi aiventenni come me, che vivono la realtà di oggi con losguardo proiettato verso il futuro e che non guardano connostalgia ad un idilliaco passato morto e sepolto. E’ natoper tutta quella gente che si rende conto che il mondo ècambiato e cambia alla velocità della luce, e che quindi nonha senso spolverare quelle “gustose ricette d’altri tempi”(cit. Enrico Sola ). Un partito sfacciatamente riformista. Edessere riformisti vuol dire accettare la realtà per quella cheè, ovviamente cercando di cambiarla in meglio, ma senzapensare di vivere su Marte. Per fare ciò è essenziale filtraree liberare i nostri valori da una gabbia di tradizioni e dogmisuperati: non si tratta di cambiarli, anzi, bisogna impedireche sprofondino sotto il peso di questi ultimi. Come dicevaTony Blair “separare concettualmente l’impegno a mantenerei nostri valori (eterno) dalla loro applicabilità (legata almomento)”. Il centrosinistra ha perso proprio per questo,perché ha avuto paura ed ha rifiutato il confronto con la

Probabilmente neanche il piùpessimista dei militanti delcentrosinistra si sarebbeaspettato un epilogo cosìcatastrofico. Il “Romanzo Qui-rinale”, ultimo capolavoro diuna collana ventennale diavventure politiche dallo scar-sissimo successo firmatonomenklatura PD, si chiude e-sattamente come era co-minciato, cioè con gli storiciprotagonisti che si dedicano

per l’ultima volta alla pratica del loro sport preferito: dopoaver perso le elezioni come da consuetudine, decidono difar cadere di nuovo il buon vecchio Prodi. Solo che il povero(e)lettore del centrosinistra probabilmente si aspettava unfinale un po’ diverso. Probabilmente, non ancora ripresosidall’ennesima sconfitta elettorale, prima di alzare bandierabianca, si aspettava che almeno di fronte alla presentazionedel “padre nobile” dell’Ulivo vi fosse unanime consensoall’interno delle fila dei democratici. Ma non sia mai chevada tutto come deve andare, omeglio, come gli elettori vorreb-bero che andasse; e allora ecco lementi sopraffine, i cosiddetti e-sperti di cui il partito non può farea meno, mettere in scena il megliodel loro repertorio. A fare da con-torno a questo spettacolo straziantele grida dei grillini e le risate diBerlusconi, che dalle tribune guar-davano il PD tirare fuori l’ultimocalcio di rigore della partita, chepoteva significare il gol dellabandiera e dell’onore e che inveceè l’errore che getta al vento leultime speranze. Le scene delletessere strappate e bruciate e dellesedi occupate sono un’immagine che si farà fatica adimenticare, e passerà alla storia come la fine di un’era.Questi dirigenti hanno ucciso il PD. Gli stessi che quandoparlavamo di rottamazione si erano scandalizzati, e che nonsi erano resi conto che fuori dal palazzo la gente utilizzaespressioni un po’ più colorite. Talmente lontani dalla mentedelle persone comuni da mostrare quasi sfrontatezzanell’inanellare una serie di decisioni una più impopolaredell’altra, accompagnate da commenti a dir pocoimbarazzanti (Finocchiaro: ”chi sono questi signori?”). Homaturato una mia personale idea su questa elezione delPresidente della Repubblica. Sono fermamente convintoFranco Marini fosse un nome da non prendere assolutamentein considerazione, non solo per la sua lontananza dal sentorepopolare; basta il fatto che, come lui stesso ha ammesso,prese parte all’inciucio che fece cadere il primo governoProdi e che portò D’Alema alla Presidenza del Consiglio(paghiamo ancora i danni di quello scellerato evento ).Inutile invece ribadire tutta la mia stima per un uomo comeRomano Prodi. Da elettore del centrosinistra dico chesarebbe stato il nome migliore. Temo però che Berlusconi

La crisi della sinistra. Il dibattito

Il mio PD

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realtà, preferendo chiudersi a guscio nelle proprie liturgieripetendo quei vecchi e stanchi ritornelli che vanno avantiormai solo per inerzia.Bisogna definitivamente liberarsi dai cliché, per cui a voltesembra che una certa sinistra si scandalizzi di più se unpolitico va ad “Amici” piuttosto che per ciò che è avvenutocol Monte dei Paschi di Siena.Che tristezza vedere finti intellettuali a cui piace parlaresolo al proprio ombelico, criticare un sindaco che partecipacome ospite ad un talent-show per raccontare la bellezzadel fare politica davanti ad un pubblico di milioni di giovaniche seguono il programma; ragazzi a cui probabilmentenon è mai interessato nulla di politica (non tanto per col-pa loro dico io) eche sentendoloparlare hanno ap-prezzato l’au-tenticità e la pas-sione di chi le co-se le fa col cuore,e magari da quel-la sera hanno co-minciato a guar-dare l’impegnopolitico con altriocchi.Il risultato diquesta lontanan-za dal mondo dioggi è stato chenon solo non si èallargato il baci-no di voti, ma sene sono addirit-tura persi a ca-mionate anchetra gli storici elet-tori.Oltre al danno labeffa. E non sonogli italiani chenon ci hanno ca-pito, sono i di-scorsi che abbia-mo fatto che nonsono accordati nella tonalità in cui vive e si esprime la genteoggi: non ci si può presentare alle elezioni e su un temacentrale come il lavoro dire semplicemente “daremo un po’più di diritti”… Chi veramente oggi soffre più di altri lacrisi, i più deboli, coloro che sono messi all’angolo, i giovaniprecari, i disoccupati, il piccolo imprenditore che ha dovutochiudere la sua azienda ed è rimasto per strada con tutta lafamiglia a carico, il lavoratore subordinato e l’operaiomediamente non hanno votato i partiti tradizionali dellasinistra. Questo è certificato da studi. Cosa vuol dire tuttociò se non che la sinistra in Italia ha fallito il suo compitostorico di tutela dei più bisognosi? La delusione più grandepenso che sia proprio questa, il fatto di realizzare che ilcambiamento non è avvenuto proprio perché a sinistra c’eraun intoppo gigante. Però un paese come il nostro ha

tremendamente bisogno della svolta.L’Italia deve liberarsi di tutti quei funzionari e burocratiche, mentre lei risparmiava e creava una delle ricchezzeprivate più alte, hanno speso e sprecato anche ciò che nonavevano.Per fare questo, per tornare a respirare a pieni polmoni, c’èassolutamente bisogno del PD. Quello vero.Il PD deve diventare finalmente sé stesso, e deve farloimpadronendosi oggi più che mai anche di parole come“ambizione” e “merito” che sono nelle sue corde e nonpossono essere lasciate passivamente agli avversari.La realizzazione piena del potenziale dell’individuo nellacomunità odierna passa anche da questo. Il concetto di

meritocrazia vaapplicato comin-ciando propriodalla politica,dove invece oggisi tende a premia-re più la fedeltà el ’ o b b e d i e n z apiuttosto che leidee, le compe-tenze e l’entusia-smo, avvantag-giando magarichi ha il solo me-rito di aver distri-buito migliaia divolantini in piaz-za rispetto a chila realtà la sainterpretare dav-vero. Per chiu-dere dico ancheche un grandepartito se è serio,non può non af-frontare il temadella leadership.Tutti i grandi par-titi mondiali san-no che è un temache non può esseraccantonato, e se

oggi siamo deva-stati da correnti e correntine è perché si èvoluto mettere in un angolo il problema, come ha detto direcente Dario Nardella.Ma non ho perso di certo la speranza quando guardo avanti.Oggi il centrosinistra ha un grande tesoro, che ha un nomeed un cognome e delle idee che trovano un consensolarghissimo nel paese.Aldo Cazzullo di recente ha scritto: “se gli italiani voglionoRenzi prima o poi lo avranno”.Intanto l’università americana “John Hopkins” di Bolognaha chiamato a tenere il discorso di chiusura dell’annoaccademico il prossimo 25 maggio proprio Matteo Renzi.Anche gli americani hanno capito chi rappresenta il futurodel nostro paese.

*PD - Coordinatore "Cesena per Matteo Renzi"

La crisi della sinistra. Il dibattito

di Ines Briganti

La sinistra? Chi la rappresenta? Quali obiettivi?

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parlare con chiarezza, di programmare, di realizzare nullaper il bene dei cittadini e del Paese; buona parte dei dirigentie degli organismi burocratici di potere hanno scimmiottatoconsapevolmente il berlusconismo, determinando in questomodo la fuga di parte del proprio elettorato prima verso laLega poi verso l’astensionismo e infine verso il M5S. Sonostate uccise le cose più importanti per un elettore di sinistra:la speranza e la fiducia nella partecipazione politica - vedilo straordinario afflusso a tutte le primarie! Ci hanno fattocredere che era inevitabile, necessario un governo dipacificazione nazionale quando in realtà fortunatamentenon c’è stata alcuna guerra. Ed ora vengo all’ultima, anzialla prima domanda: dove va questa sinistra? Mentre scrivoil primo ministro Letta (ex vice-segretario del PD!)intervistato da Fazio ha detto due cose importanti: “Si faràun congresso, le migliaia di militanti, iscritti, i circoli,decideranno quale progetto dare al partito; ai nostri iscrittidaremo la possibilità di guardare lungo, il disegno del PDsarà quello di mettere insieme tutte le diversità.” E haaggiunto, a domanda precisa, “io mi dimetto se dobbiamofare tagli alla cultura, alla scuola e all’università”.Mentre ascoltavo queste parole non potevo non pensare aquello che avevo sentito poco prima:”Mai al governo colPDL”. Pertanto io non so più, a questo punto, dove andràla sinistra–partito PD; so bene invece, e ho la presunzionedi interpretare il pensiero di molta sinistra-cittadini, dovevorrei che andasse. Deve diventare, finalmente, quellasinistra delle riforme a cui in molti avevamo creduto,riappropriandosi di quei valori che la storia le ha affidato,da realizzare ovviamente in un contesto nuovo, quindiaperta al confronto con tutte le forze laiche progressiste disinistra, pronte a misurarsi in uno scenario europeo suitemi del lavoro, della cultura, della libertà di pensiero, diparola, dell’antifascismo. Il che vuol dire, concretamente,saper mantenere un dialogo costruttivo e leale col partitodi Vendola e saper rispondere positivamente ai cittadinidelusi, che chiedono giustizia, rettitudine e moralità.Ma per fare questo serve una rivoluzione copernicanaall’interno della classe dirigente della sinistra e del PD:vanno valorizzati i meriti, la passione politica, le competenze,l’onestà, la lealtà - sempre - mai la fedeltà ossequiosa,spesso opportunistica; infine va rispettato il necessarioricambio generazionale.Se il Partito Democratico tradisce questi fondamenti lasinistra non può che snaturarsi e sfilacciarsi in tante correnti,che rispondono solo ad opportunismi personali o a lobbydi potere. E questo sarebbe a mio avviso devastante nonsolo per il Paese-Italia ma anche per il nostro più grandePaese-Europa, ove purtroppo si avvertono sinistriscricchiolii. Il PSE, che rappresenta la sinistra europea,non può non essere attento alle conseguenze che la politicafinora perseguita dall’Unione ha prodotto all’interno dialcuni Paesi come la Bulgaria e l’Ungheria. Nel cuoredell’Unione Europea, in Bulgaria, padri di famigliaesasperati si ribellano al risanamento; in Ungheria avanzail fascismo, è stata modificata la costituzione e già diverselibertà - di espressione, di tipo di famiglia, di religione -sono state limitate o soppresse. Soprattutto per questeragioni la sinistra deve chiedere al Parlamento Europeo diparlare con un linguaggio diverso da quello dello spread,delle tasse e dell’austerità.

Chiedevo ad un amico: devoscrivere una mia riflessione sudove va questa sinistra, tucome risponderesti?“Io mi farei qualche altradomanda” mi ribatteva: “c’èancora una sinistra? E se c’è,chi la rappresenta? E qualiobiettivi si pone?Bisognerebbe anche chiedersi:in mezzo a questo disfaci-mento del partito che perantonomasia (forse) e per

numeri (sicuramente) ha incarnato la sinistra, qualerappresentanza politica esso può avere ora?” Ebbene,proprio in questi giorni, dopo un mese denso di iniziativeinerenti i temi legati alla Liberazione e agli anni delterrorismo, con il coinvolgimento di scuole, istituzioni, edi tantissima gente, devo dire che nel nostro Paese c’è -eccome! - una sinistra.E’ costituita da tutte quelle persone che ho visto parteciparealle iniziative, che incontro in occasione di eventi culturalie anche nelle assemblee di partito, ultimamente moltopartecipate. Si tratta di donne e uomini di età diverse, anchedi giovani - fortunatamente - di cultura e professioni diverseche si riconoscono però in alcuni principi fondamentali einderogabili: il rispetto delle istituzioni, delle norme e delleregole di convivenza civile espresse nella Costituzione,quali la laicità dello Stato, l’uguaglianza dei cittadini davantialla legge, il rispetto dei diritti all’istruzione, alla salute,al lavoro, l’eliminazione dei privilegi, la lotta alla corruzione,al malaffare, ai soprusi, all’arroganza dei poteri e deipotenti.Qualcuno potrebbe eccepire che ogni persona, senzadistinzione di destra e di sinistra, può riconoscersi in questiprincipi: può essere, anche se quello che è successo nelnostro paese negli ultimi vent’anni mi convince delcontrario, ma la differenza comunque si presenta quandosi tratta di stabilire con quali strumenti si devono realizzarequesti obiettivi, e come mantenerli e salvaguardarli unavolta acquisiti. In un paese “normale”, in una qualsiasidemocrazia occidentale intendo, destra e sinistra si alternanoal governo in un esercizio di sana competizione. Da noino. Da vent’anni a questa parte tutto questo è mancato:ancora una volta bisogna riconoscere che una causa gravedei mali del Paese Italia è stata ed è la mancata nascita diuna destra, ovviamente conservatrice ma laica, liberale,così come avviene per molti paesi nel mondo. Tale non èstata la vecchia DC, men che meno il partito non-partitodi Silvio Berlusconi.Per tornare al filo del nostro ragionamento, in questi ventianni i partiti che per cultura e per loro storia avrebberodovuto mantenere saldi quei principi che la gente di sinistraha continuato -nonostante tutto - a mantenere vivi nellapropria mente e nel proprio cuore, hanno lentamente maprogressivamente tradito i propri elettori, fino al disastrodei nostri giorni, in cui si è arrivati ad una sconfitta storica- e non per colpa degli elettori !Per questo ho voluto distinguere la sinistra come baseelettorale e la sinistra come partito. E’ stato il partito cheha tradito il proprio elettorato: non è stato in grado di

La crisi della sinistra. Il dibattito

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Ci vuole un esame critico profondo

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“Quanto ancora deve durare un siffatto PD?” (EnergieNuove Febbraio-Marzo 2012). Uno dei nostri interventisulla sinistra e sul Pd in particolare, anche tenendo contodel dibattito che su questi temi sollecitiamo e continuiamoda tempo. Ne dibattiamo più noi, qui, di quanto succedealtrove. Sottolineavamo, anche con Massimo Salvadori,che “il Pd sta offrendo scarsa prova di essere in condizionedi presentare (e avere) una leadership incisiva per quel checoncerne vuoi il programma vuoi le caratteristiche del suogruppo dirigente, diviso nelle varie correnti. Il Pd èrecentemente cresciuto più per i vizi e i difetti delberlusconismo che per virtù propria…ogni volta che il Pddeve pronunciare dei sì in tema di alleanze di governo,candidatura alla premiership, politiche economiche e sociali,diritti civili, questioni etiche, laicità, ecco emergere ledifficoltà legate alla sua origine. L’essere nato da unamalgama di componenti che provoca contrasti non risolti,veti e controveti, la mancanza di strategie condivise, alimentaminacce di nuovi scollamenti.” Verità nel 2012, più chevero nel 2013. In quel citato articolo rendevamo ancor piùesplicitamente il “siffatto” Pd. Non solo con sguardo evalutazioni sul piano nazionale, ma anche locale e regionale.A cementare, in una inevitabilmente ipocrita unità, ledifferenze, le diversità ed i contrasti interni era ed è ancoroggi soprattutto l’antiberlusconismo (e un moralismo, assaiprivo di etica, di una inesistente superiorità morale). Sentireparlare di “identità” culturale e politica quindi, fa quasitenerezza. Peraltro ci chiedevamo come facevano e comefanno a stare insieme spezzoni politici e culturali (provenientidal Pci e dalla Dc, la corrente di sinistra, la più ideologizzata)che sono stati fra loro furibondamente alternativi quasi sututto. Salvo sulle politiche che hanno promosso ed alimentatoil disastroso “consociativismo”, generatore del gigantescodebito pubblico con il quale si deve fare i conti ancor oggi.Di quegli spezzoni si possono richiamare nomi emblematicidel Pd nazionale. Ma anche tanti dirigenti dell’attuale Pda livello locale. Dirigenti democristiani, ad esempio, chetacciavano le formazioni politiche che talvolta erano inalleanza con il Pci su determinate scelte amministrative diessere andati in “innaturali” alleanze con la forza che sempredoveva considerarsi, secondo loro, alternativa. Quei dirigentioggi li ritrovi nella dirigenza del Pd, e ai vertici di Istituzionied Enti in nome e per conto di quel partito. Considerazioneche vale anche per quei dirigenti comunisti per i quali quellaDc e quei medesimi dirigenti democristiani (oggi Pd) eranola destra (spesso aggettivata con epiteti ancor più forzati).Per non dire di quei “personaggi” di partiti minori che sonoattualmente nel Pd e che erano i più acerrimi critici del lorostesso partito quando questo aveva motivo di fare talvoltaalleanza (per loro “innaturale”) con il Pci su temiamministrativi. Taluni di questi, da cotanto assurto podiomorale e politico, hanno perfino pontificato su altre persone.Ovviamente beneficiando del fatto che hanno incrociatopersone di un livello di educazione e di statura morale,politica e culturale, che li ha risparmiati nel metterne inluce la pochezza. Giacchè non si può pensare a stupidità,dall’opportunismo al resto, invece, ci sta quasi tutto. Unaltro cementificatore di quella posticcia unità è stato ed èil potere. L’accresciuto e rinnovato ,nella forgia, sistemadi potere locale. Molto pervasivo e condizionante (ancheclientelare), nella nostra regione e nel nostro territorio. Oggi

il Pd è in piena e deflagrante implosione. Con tantameraviglia da parte di molti, al suo interno. Semmai c’è dameravigliarsi che così tardi sia arrivata l’implosione e chemolti dei dirigenti del Pd non ne abbiano colto, da tempo,i prodromi evidenti. Non in questo spazio vogliamoaddentrarci in esami che pure meritano di essere approfonditi:circa la leadership di Bersani, le primarie fra lui e Renzi,anch’esse un poco farlocche insieme a quelle totalmentefarlocche per la scelta dei candidati alla “nomina”parlamentare; circa l’aver voluto a tutti i costi mantenereil Porcellum perché i sondaggi davano il Pd stravincente,così da fare colossale ingurgitata del premio di maggioranzaprevisto da quella porcata di legge elettorale; circa i motividel pessimo risultato elettorale che si sono guardati benedall’analizzare come si doveva; circa la inqualificabilegestione del dopo voto, tale da esaltare una irresponsabilitànei confronti dell’intero paese che ha pochissimi, forsenessun, precedente; circa il gioco al massacro sullecandidature alla presidenza della Repubblica (va ringraziataad ogni modo la dabbenaggine di questo Pd e di questasinistra, perché impedendo dei mali ha consentito il megliopossibile: la rielezione di Napolitano); circa la formazionedi un governo, l’unico possibile, che poteva essere presiedutoda Bersani ed invece lo presiede il suo vice, Enrico Letta;circa le spaturnie (gli inseguimenti della demagogia grillesca)e la continuazione di continue irresponsabilità che possonoportare ad altri naufragi, sia del governo in carica che dellastessa legislatura appena avviata senza che si sia arrivati aminime riforme indispensabili, compresa quella del sistemaelettorale.Qui vorremmo solo fare un appello. C’è bisogno, a sinistra,sul piano generale e locale, di un profondo, ampio, serioesame. Che faccia i conti con la propria storia passata erecente, che non è mai stato fatto. Deve essere fatto, perarrivare a capire cosa si è, cosa si vuole essere, cosa sivuole, dove si vuole andare. Un esame serio, profondo. Lofaccia almeno quella che si definisce classe dirigente.Dubito lo si possa chiedere a certo ambito di base e disupporters sinistresi. A quelli dei cinguettii settari, e assaimiseri. O a chi – come è successo di constatare anche direcente - se ne viene fuori con l’affermazione che Bersaniè un genio della politica. Al che non sai più cosa pensare,neppure del significato di “genio”. Per non dire di un altroancor più preoccupante target di sinistri: quelli che hannosempre ragione, che hanno avuto sempre ragione. Come èpossibile, per chi è passato fra mille “svolte”, più o menostoriche - e ad ogni singola svolta, ne seguiva un’altra checontraddiceva la precedente - affermare comunque di averee di avere avuto sempre ragione? È ovvio che si è volutoinsegnare questo a tutti costi e che tanta massa, in buonafede, ha beccato e assimilato. Ma i dirigenti, la così dettaclasse politica dirigente, che insegnava e faceva quei“racconti” sulle svolte; quelli, che fanno? Continuano amenarla e a menarsela? Non c’è dubbio: c’è bisogno diesami profondi, di autocritica vera. Da presupposti di seriacoscienza critica può derivare, dagli ambiti più responsabilie intellettualmente attrezzati della sinistra, una rivoluzionevera di carattere culturale. Una rivoluzione culturale che,a sinistra, non si è ancora, avviata. Speriamo si faccia. C'è’bisogno assoluto di una forte sinistra democratica. Per ilnostro Paese, per la nostra democrazia.

La crisi della sinistra. Il dibattito

di Piero Pasini

"L'Italia dimenticata"

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Il libro

Presentato, lunedì 23 aprilepresso l'Hotel Casali di Cesena,dall'autore Luigi Tivelli il libro“L'Italia dimenticata”. Dallabrutte epoque al governoMonti” edito da Rubbettino.L'incontro è stato promossodall'associazione culturale“Energie Nuove” nell'ambitodelle proposte e della ricercadi vie politiche anche alterna-tive in grado di definire nuovipercorsi nella difficile situa-

zione italiana. Luigi Tivelli, già consigliere parlamentaredella Camera dei Deputati consigliere giuridico e capo diGabinetto negli ultimi governi, ha pubblicato oltre ventilibri in materia politologica e di amministrazione pubblica.Il libro presenta una disanima a tutto campo della situazionepolitica italiana come si è venuta a realizzare nell'ultimoventennio, 1994-2013, con l'alternanza di governi dicentrodestra, centrosinistra e tecnici.Alternanze che hanno avuto come risul-tato la situazione attuale dove prevaleil dilagare dell'antipolitica e del neo-populismo di cui il movimento “grillino”può essere un prodotto grazie allosfruttamento della rete internet. Tuttoquesto ha generato una crisi economicache non ha eguali che per l'Italia, haradici lontane, ben prima dell'anno 2008che ha rappresentato l'inizio di una fasedi recessione mondiale. Infatti è da moltidecenni che il prodotto lordo italianocresce con numeri da prefisso telefonicoper arrivare ai dati totalmente negativiattuali, nelle altre nazioni europee inumeri sono stati sempre molto più altie anche adesso sono molto differenti daquelli nazionali. Oggi l'Italia presentaun debito pubblico di 2 mila miliardi dieuro, una disoccupazione giovanile aimassimi storici, un'etica pubblica, unsenso dello Stato e un senso civico aiminimi storici, un Mezzogiorno abban-donato al suo destino, un'enorme eva-sione fiscale. Un ventennio con la crescitamedia del PIL vicina allo zero. Attualmente il livello deiconsumi è fermo al 1997. L'autore senza preamboli tracciaun quadro molto significativo dello stato attuale dell'impassepolitico attuale. Le recenti vicissitudini come il rinnovodella carica di presidente della repubblica italiana ad unriluttante Giorgio Napolitano hanno come unico filoconduttore una classe politica pretenziosa, autoreferente eorientata a coprire solo i suoi interessi. In quest'ottica”L’Italia dimenticata” diventa un aspetto secondario, quindidimenticato, di una classe politica che non vede la realtàvissuta da sessanta milioni di cittadini per proporre eriproporre semplici mene da cortile accentuando semprepiù il distacco con la realtà. L'esplosione di incapacità attualeche ha prodotto il j'accuse di Giorgio Napolitano: “Voipartiti siete sterili ed inconcludenti”, pronunciato duranteil discorso di insediamento del secondo settennato, sono la

prova che qualcosa di fondo debba essere modificato inItalia. I tempi sono finiti, sembra dire l'autore, è luogo dicambiare pena la disintegrazione. La situazione politico-economica della penisola, sostiene Luigi Tivelli ha radicilontane che fa risalire addirittura alla fine degli anni settanta.E fuori luogo, quindi, parlare dell'anno 2008 come l'iniziodi questa profonda regressione che attanaglia l'Italia. Igoverni che si sono succeduti dal 1994 al 2011 hanno sempreiniziato con le migliori intenzioni, tuttavia si sono poi persinei meandri del personalismo e degli interessi di parte. La"rivoluzione liberale" promessa da Silvio Berlusconi, entratoin politica attiva dopo le vicende di tangentopoli, si è invecerivelata una pericolosa miscela esplosiva di vacua demagogia,deteriore populismo, negazione della realtà dei problemi,e rigido corporativismo. Se tante sono le responsabilitàdella destra, e su questo Luigi Tivelli non fa sconti, pure lasinistra spesso è stata obnubilata anche da un antiber-lusconismo di comodo che, accanto a una certa dispersionedi forze e demagogia, ne ha offuscato la capacità di governareo di essere una seria opposizione arroccandosi sempre più

in un isolamento culturale-sociale dovesolo l'astio e la supponenza di esserenella verità la faceva da padrona. Lecritiche sono a tutto campo anche se nonsono mancati, secondo Luigi Tivelli,momenti positivi dove è stato possibilefare buona politica o almeno ridurre idanni. Questo è avvenuto nei due governi“tecnici” retti da Lamberto Dini e MarioMonti. In ambedue i casi ministri tecnicie maggioranze variabili hanno prodottorisultati concreti. Come dire “meno poli-tici di professione e più tecnici, più qua-lità amministrativa”. Con Lamberto Dinifu avviata la riforma del sistema pen-sionistico, mentre il governo di MarioMonti ha tentato con tutte le sue forzedi rimettere in carreggiata l'Italia offrendoanche un miglior quadro del “complessopaese” all'estero. Come si può uscire daquesta situazione? Come ridare fiduciaagli italiani e creare finalmente uno statomoderno in linea con le più moderne edaccreditate democrazie?. La ricetta cheLuigi Tivelli presenta è semplice macomplessa da applicare. Meno stato, una

migliore etica pubblica. In Italia, complici svariati fattistorici, la presenza dello Stato è massima in ogni momentodella vita sociale. Lo Stato attraverso i suoi sistemiamministrativi debitamente “lottizzati” è presente ovunquecreando nello stesso tempo clientelismo e incapacità. Ci sideve liberare da queste catene che frenano qualsiasi iniziativae rendono oltremodo costosa qualunque opera intrapresa.Ma oltre a questo c'è la “Questione Morale”. Il populismoe, se vogliamo, la nascita di nuovi partiti che fanno dell'antipolitica il loro vessillo hanno ragione di essere nelmomento in cui i partiti hanno smarrito la via che portasolo ed unicamente all'interesse comune. In questa logicasi può ben spiegare il fenomeno “grillino” e la fuga dalleurne degli elettori. Luigi Tivelli ha ricordato il deputato re-pubblicano Oddo Biasini quando questi gli diceva di metteresempre in ogni scritto la frase “nell'interesse del popolo”.

di Marco Casali*

Salvati in extremis. Tornare alla politica come servizio

*Consigliere comunale

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Una spolverata alla sediapotrebbe non bastare per salvareil centro destra. Fare la disaminadella situazione del centrodestranon spetta certo a me, immaturopraticante (o praticone) dellapolitica, anche se qualche ri-flessione mi sento di fornirlapur nella consapevolezza cheil quadro d’insieme appaianebuloso e a dir poco compli-cato. Ci sono e si notano, nono-stante tutto, alcuni elementiindiscutibili; gli italiani non

amano il centro-sinistra soprattutto quando questo é declinatoe inclinato in modo così levogiro. L’esempio d’attualità è iltravaglio del povero Bersani, il primo leader ad essere arrivatoprimo ma a non aver vinto, il primo leader che forse aveval’oro colato in casa ma che se lo è lasciato sfuggire nellesabbie mobili delle segreterie di partito. Tutto da rifare, dicevaquel noto ciclista e allora via con il rompicapo matematicofra alleanze, in-trecci, appoggi ditutti i tipi,interni,esterni, diretti,indiretti, insom-ma la solita Ca-poretto della po-litica che non ri-sulta peraltro es-sere una novità.E’ un po’ di anniche ce lo diciamoin tutte le salse diritornare neces-sariamente allapolitica comeservizio, che lapolitica deve a-vere una inter-pretazione so-bria, che alla po-litica si deve ac-cedere attraverso un percorso che ognuno di noi può deciderevolontariamente di fare ma che nel contempo devenecessariamente praticare. Il “grillismo” all’attualità rap-presenta la scorciatoia che talvolta si cerca di prenderepensando di farla franca. L’immobilismo al cambiamentodegli altri schieramenti tradizionali è l’altra faccia dellapovera medaglia. Insomma, in questo momento chi è senzapeccato scagli la prima pietra. Se questo è il contesto, ènecessario che qualcuno batta un colpo e il centro-destraitaliano ha il diritto e il dovere di farlo. Ci siamo salvati inextremis, grazie all’intuito e alle capacità elettorali del nostroleader che manifesta lo spunto del fuoriclasse nel momentocogente della campagna; poi, all’acuto, segue spesso unaspecie di oblio nel fare politica che allarma gli animi di chicrede nel centro destra. Lo capisco, è molto difficile radunaretutte le forme presenti nella nostra area; genesi, culture,approcci diversi, stabiliscono delle rotture, delle fram-mentazioni che nessuno è fino ad ora riuscito a ricucire inmodo definitivo e stabile. Qui sta il problema e qui sta il

futuro. Oggi i nuovi movimenti politici si radunano spessosotto un’unica icona luminosa, come i cartelloni dellapubblicità; chi fa dell’ambientalismo l’unico approccio, chiconduce battaglie iper-giustizialiste, chi affronta solo edesclusivamente i temi dell’economia, chi tutela un territorioin una visione pseudo-autarchica; tutti temi, per carità, spessogiusti e consistenti ma sui quali però si assiste ad un ar-roccamento delle posizioni, con conseguente decadimentodel fare politica. Manca la matrice, mancano i fondamentalisui quali poi interpretare le diverse tematiche che ogni attualitàimpone, o meglio, si finge di non vederli! Si spera, in altreparole, di poterne fare a meno badando al sodo del momentoelettorale di turno. Il percorso invece deve essere ine-vitabilmente più lungo, più importante. Il PDL nasce da unafusione a freddo, e questo può anche starci, ma qualcuno mispieghi perché dopo oltre un lustro di esistenza nessuno haprovato a riscaldarlo con i grandi temi comuni del centro-destra. Non voglio speculare sull’improvvisazione di certimovimenti o sull’ottusità di certi partiti, voglio guardaredentro la mia casa e cercare di capire dove stiamo sbagliando.Il nostro Presidente, lo ripeto per franchezza, si è immolato

nel tentativo dinon farci inabis-sare; ci è riusci-to ed ora la barcagalleggia; adessoè necessario in-dicare la rotta,rinvigorire, rin-giovanire.Circolarità delleidee, partecipa-zione e tangenzaalla società civilesono i punti ne-vralgici sui qualilavorare, sullebasi di una ma-trice cattolica chenon manca dicerto nel nostrogenotipo d’area.Il leader è stato

da sempre importante e alcuni sociologhi ci dicono che losarà ancora di più nel futuro; ma ad ogni leader deve peròcorrispondere una squadra, dotata di strategia e non di tattica,capace di interpretare, sulla base di quella matrice, i granditemi che si assalgono. Etica, sussidiarietà, famiglia, impresalibera ma responsabile, economia reale, governo della finanza,il pubblico al servizio della società, sono solo una parte deitemi che ci appartengono. Dobbiamo solo organizzarli,dobbiamo organizzarci. La politica ha fallito, non è fallita.Il germe, di questa arte un tempo nobilissima, è ancora lì,pronto per rinascere. Poco ci importa di chi pubblicizzavaun tempo, in modo quasi paranormale, lo yogurt, poco ciinteressa di chi è ancora avvezzo a schemi e prototipi ideologicidel secolo scorso. Quel gesto che il nostro Presidente ha fattoalla sedia del travagliato Travaglio, è stato un colpo di genio,una di quelle cose che non ti aspetti; come dire … stabiliamole differenze.E’ questo il momento di farlo!

Centro destra

di Luigi Di Placido*

Da atomi a molecola: riunire i liberaldemocratici

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C'è un minimo comune denominatore di questi mondi, di questeesperienze?C'è un sentimento di orgogliosa manifestazione delle proprieidee?C'è la volontà di ricominciare a dire con chiarezza che a questomondo si devono tante delle grandi scelte che hanno attraversatola storia repubblicana?Ebbene, se qualcuno ne ha l'intenzione, il momento di risponderea questi quesiti è oggi.E rispondere che esiste un mondo culturale e politico che hauna visione chiara del futuro dell'Italia, che passa inevitabilmentedall'affrontare senza demagogia e populismo alcuni "contenuti"di lamalfiana memoria, quelli che Pietro Ichino chiama "agendaliberal-democratica":• mettere mano ad una riforma istituzionale che sorpassi leattuali farraginosità e consegni un impianto statuale più snelloe funzionale, e che abbia la riforma elettorale come punto diarrivo, e non come unico argomento;• riformare profondamente la spesa pubblica e le pubblicheamministrazioni all’insegna della trasparenza totale, dellavalutazione indipendente e del benchmarking;• creare un mercato del lavoro con servizi più efficienti e regolepiù semplici e meno rigide;• rilanciare l’università e la scuola media dando autonomia agliistituti e responsabilizzando direttamente professori e studenti;• valorizzare il proprio patrimonio culturale unico al mondo;• aprirsi agli investimenti stranieri eliminando uno per uno gliostacoli che oggi tengono lontani gli operatori esteri dal nostroPaese.Questo programma è una vera e propria tappa obbligata perl'Italia, e oggi ci sono le condizioni per realizzarlo, come hadichiarato anche la Corte dei Conti, ammettendo l'esistenza dispazio per misure di crescita, pur senza indiscriminati aumentidi spesa.Ci sarà il coraggio di cedere quote di sovranità a favore di unnuovo progetto che unisca movimenti, associazioni, gruppi,verso il raggiungimento dell'obiettivo di un Paese più modernoe più ricco?O prevarranno gli orticelli le miserie, i piccoli cabotaggi,decretando il definitivo de profundis per una cultura e le sueespressioni politiche che non meritano tale sorte?Occorre impegnarsi in tal senso, lavorando per l'adesione ditutti, ma ben sapendo che l'importante è partire in manieracredibile, e dire agli italiani che un diverso modo di intenderee vivere la politica può esserci.Da laico, non posso e non voglio pensare di dover continuarea scegliere tra il meno peggio, spesso riconoscendomi poco oper nulla in quello che ascolto e leggo, colpito da questacontinua e lacerante sensazione di totale impotenza.Da qui, il titolo di questo mio intervento: gli atomi sonoparticelle elementari singole, ma è unendosi e dando vita allemolecole che pongono le basi per qualcosa di più grande,composto da diversità che trovano una sintesi.Da ultimo, una considerazione più "vicina".Quello che vale per Roma vale anche per i nostri territori:occorre senza più indugi uscire dai vecchi schemi, dando vitaad una nuova proposta politica che ragioni di temi e non dischieramenti, e che, proprio per questa sua caratteristica, siain grado di attrarre l'interesse ed il consenso dei cittadini.Anche a livello locale lo spazio c'è, eccome se c'è.Basta saperlo riempire con convinzione e nella maniera giusta,guarendo da quella "sindrome da torcicollo" che ci fa ragionaredel futuro guardando al passato, come se le formule di allorapotessero valere anche per l'oggi.Non è così, non è più così.La vera differenza, domani, sarà tra chi lo ha capito e chicontinua a nutrirsi di ricordi e speranze.

C'è una cultura politica che, nelcorso degli anni, è riuscitanell'impresa di essere tanto piùlitigiosa ed inconcludente quantopiù divisa e marginale: la culturalaica e liberal-democratica.Di essa si è detto più volte cheè riuscita nell'ardua impresa di"scindere l'atomo", con ciò asignificare una irriducibiletendenza al suicidio, oltretuttopolemico.Ebbene, forse è arrivato il tempoper i laici di una grande assun-zione di responsabilità: cambiare

i connotati del proprio recente agire politico, in nome del-l'interesse generale.Il momento, dal mio punta di vista, è assolutamente propizio.Il dato dal quale occorre partire è il fallimento del sistemabipolare, incapace negli ultimi venti anni di affrontare e risolverei grandi problemi che attanagliano il Paese.Anche le recenti elezioni di Febbraio hanno dimostrato che gliitaliani stanno sempre più stretti in uno schema del tipo "o diqua o di là", e che sono pronti a concedere fiducia financhealla protesta pur di contestare lo schema di cui sopra: solo il50% dei votanti ha dato il proprio voto ai due maggiorischieramenti.D'altra parte, come dar loro torto? Abbiamo ben presente iltriste spettacolo di coalizioni posticce ed esageratamenteeterogenee che si sono succedute nel corso delle legislature,ed i loro evidenti limiti; lo scadimento del confronto politicoe la continua rissa verbale; il venir meno della capacità diselezione di una vera classe dirigente.In questo quadro di disaffezione, o peggio di rifiuto, unaproposta politica innovativa nei contenuti e nelle modalità dicomunicazione ed espressione può trovare spazio, ed è la partepiù responsabile del Paese che deve farsene carico.Il mondo liberal-democratico, inteso nella sua accezione piùinclusiva, deve abbandonare le vecchie gelosie, le vecchieritrosie, le vecchie diffidenze, le vecchie appartenenze, e buttarsianima e corpo in questo progetto.Deve dare forza la persuasione che una aggregazione di questotipo esiste in pressoché tutti i paesi occidentali, anche dove ilsistema elettorale è marcatamente bipolare, e che spessodetermina le vittorie o le sconfitte.Il recente insediamento del Governo Letta, lungi dal confutarequesto ragionamento, ne conferma la validità: è talmente incrisi il modello pseudo-bipolare italiano, che i principaliprotagonisti, non avendo la forza di reggere l'urto dei graviproblemi esistenti, non possono fare altro che trovare un accordoche li corresponsabilizzi nel governo del Paese.Questo meritorio senso di responsabilità, tuttavia, èparadossalmente la più lampante dimostrazione che un periodoè finito.Sta a vedere se e come il mondo laico deciderà di impattaresul nuovo che arriverà.Il tempo delle vecchie sigle è finito. So che questa affermazioneprovoca reazioni forti, ma è così.E il rimanere abbarbicati a quelle vecchie sigle significa nonavere capito nulla di quello che è successo negli ultimi ventianni, e ancora peggio non voler capire nulla di come poterriacquistare un minimo di protagonismo.Repubblicani, liberali, radicali, socialisti, socialdemocratici,si sarebbe detto una volta, nella tanto vituperata PrimaRepubblica,Futuro e Libertà, Scelta Civica, Fare, per citare esempi piùattuali, ma che non bastano e che spesso hanno gli stessi limitidelle esperienze di cui sopra. *Consigliere comunale

di Luigi Tivelli*

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Maccanico: l'uomo delle larghe intese

Governo, e si inaugurò così la fase del Maccanico politico,con la successiva elezione a Senatore nel Pri nel collegiodi Milano, e la forte ripresa del sodalizio che da Ugo LaMalfa si allargò ai Repubblicani di Spadolini e di GiorgioLa Malfa. Da uomo di Governo l’ho potuto vedere all’operada vicino, anche come suo Consigliere giuridico e portavoce:rifuggiva le luci della ribalta e dalla facile pubblicità, eraun “politico-formica” che lavorava a costruire man manosoluzioni e non un “politico-cicala” che spreca parole alvento come tanti di quelli che oggi conosciamo. Era perògiustamente orgoglioso dei suoi successi. Da Ministro dellePoste e Telecomunicazioni nel Governo Prodi aveva condottoin porto non solo il risanamento delle Poste, ma soprattuttoaveva varato la Legge di liberalizzazione delle tele-comunicazioni, giudicata dalla Commissione dell’Unioneeuropea la più avanzata in Europa.Ma il massimo contributo al bene della RepubblicaMaccanico lo diede nella primavera del ’96, quando fuincaricato, al termine dell’esperienza del Governo tecnico

Dini, di formare ungoverno con la mis-sione principale dellariforma istituzionale,della costruzione diuna vera secondaRepubblica, accom-pagnata appunto daun’appropriata ri-forma della Parte IIdella Costituzione. LoStatista irpino mise incampo tutte le sue artidi persuasione e dimediazione, riuscen-do a ottenere il con-senso della Sinistra edi Berlusconi, su unoschema di riforme

istituzionali e elettorali fondamentalmente vicine al modellofrancese. Furono gli alleati di questi, Fini e Casini, a nonaccettare la sfida riformatrice.Sembra che entrambi, in momenti diversi, si siano dichiaratiin parte pentiti. Maccanico, sia come uomo delle Istituzioni,sia come politico non pativa miopie ed aveva la vistapresbite.Forse se quel tentativo fosse andato in porto ci saremmorisparmiati altri quindici anni di inefficiente e improduttivobipolarismo muscolare.Negli ultimi tempi osservava con stupore e rammarico ildegrado della vita politica e la decadenza delle classidirigenti, e congiuntamente sentiva forte la nostalgia per laqualità e il livello della classe politica da Lui conosciuta efrequentata negli anni della costituente, pur confidando,alla luce di una consolidata amicizia sessantennale, nelleprofonde risorse del suo amico Giorgio Napolitano.

Con Antonio Maccanicoscompare un grande prota-gonista della vita istituzionaledella Repubblica (per lui comeper il suo amico De Caprariis,“le istituzioni sono passioni”),e la sua scomparsa maturaparadossalmente proprio men-tre il suo grande amico GiorgioNapolitano si erge di fatto aquasi salvatore della Repub-blica.L’immagine più plastica

dell’arte della mediazione intelligente propria del Maccanico,che ha sempre mantenuto le doti e le attitudini originarieda funzionario parlamentare, l’ha data Enrico Cuccia,dicendo che “era l’unico uomo in grado di mettere d’accordotra loro anche due sedie vuote”.Maccanico superò a ventitré anni il rigoroso concorso perfunzionario parla-mentare negli annidell’Assemblea Costi-tuente e da lì intrecciòfrequentazioni cheandavano dai grandiuomini della Sinistrasino a Ugo La Malfa,col quale cominciò unlungo e fruttuososodalizio, specie dopoche fu chiamato dalleader Repubblicanoall’Ufficio legislativodi quel Ministero delbilancio, agli inizi deglianni Sessanta, in cuiMaccanico, insieme aduna serie di mentiilluminate, lavorò alla Nota aggiuntiva.Divenuto nel 1976, a seguito di una grave crisi del verticedell’Amministrazione Segretario generale della Camera,cominciò per Maccanico un altro sodalizio fondamentale,quello con Sandro Pertini, prima in quanto Presidente dellaCamera, poi in quanto Presidente della Repubblica. E inquel settennato si esprime al meglio l’arte, propria delMaccanico Segretario generale, della persuasione, delladissuasione, della mediazione, insieme al contributo allacostruzione della figura del Presidente “più amato dagliitaliani”.Dopo i primi passi della successiva Presidenza Cossiga, perMaccanico si apre una nuova sfida, quella dellaprivatizzazione di Mediobanca, che da Presidente condurràin porto in poco più di un anno, muovendosi con fermezzae con stile tra pesanti interessi in gioco. Fu poi De Mita,amico e concittadino irpino di Maccanico, a chiamarlo, inqualità di Ministro delle Riforme istituzionali, nel suo *Consigliere parlamentare e scrittore

di Paolo Lucchi*

Serve guardare la nostra comunità con occhi nuovi

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risorse più preziose, la prima delle quali è il nostro territorio.Non possiamo continuare ad usare il nostro suolo comeabbiamo fatto nell’ultimo decennio. Il suolo è il bene piùprezioso di una comunità, è quello che ci permette di vivereproducendo l’aria, conservando l’acqua, formando il cibo,ospitando la nostra vita. Il suolo non si riproduce. Una voltaconsumato è perso per sempre. Cesena è quella che è diventatagrazie in primo luogo al suolo su cui è cresciuta ed al rispettoper lo stesso. E dobbiamo partire da questo, orgogliosamente,per invitare il resto del territorio ad un cambiamento che nonpuò coinvolgere solo una comunità pure importante come lanostra, ma che deve essere almeno sposato su scala romagnola.La Romagna è ricca di risorse economiche, sociali, culturalie paesaggistiche, ma soffre per una storica debolezza: lamancanza di un polo urbano di riferimento forte (mixata conun campanilismo continuamente alimentato da tutti) che ciha impedito di pensarci come un unico sistema urbano, alservizio di oltre un milione di abitanti. Questa debolezza puòtrasformarsi in un punto di forza, senza che nessuno rinuncialla propria identità. Su alcuni temi di area vasta (università,gestione dell’acqua, trasporti, sanità) sono state già avviatecon successo molte attività comuni. Ora occorre una visione

più ambiziosa, piani-ficando insieme i servizidi livello superiore chehanno bisogno di quelleeconomie di scala, che solouna grande città puòoffrire: quelli sanitari,quelli universitari e di ri-cerca, le infrastrutture perla grande mobilità elogistiche, fiere, poli con-gressuali, servizi finanziarievoluti.Mettere insieme le risorsee avere una visione co-mune di governo deiterritori, significa inserirsiin una nuova dimensioneeuropea. Le distanze con-tenute consentono a tutti

i cittadini di raggiungere facilmente questi servizi, se siorganizza un sistema di trasporto efficiente.La loro localizzazione dovrà tenere conto delle diversevocazioni territoriali, in una trasparente attività dipianificazione condivisa, senza penalizzare nessuno ma alcontrario arricchendo tutti di nuove opportunità: la “CittàRomagna” diventerebbe una realtà italiana in grado dicompetere e di attrarre risorse a livello europeo, giocandosulla sua posizione di cerniera, sulle grandi direttrici adriatica,padana e della E/45. In questa prospettiva, il P.S.C. di Cesena(sul quale proprio in queste settimane si è avviato il confrontodiretto con i cittadini) può offrire un importante contributodi idee.In uno spirito di leale cooperazione, Cesena può portare indote la sua posizione centrale in Romagna, la presenza delnodo di interesse nazionale E/45 – A/14, la sua vocazioneagroindustriale, le sue eccellenze sanitarie, culturali e sportive,il suo riconosciuto equilibrio sociale.Con lo stesso spirito, mi auguro che “Energie nuove” potràessere uno dei luoghi del pensiero strategico cesenate eromagnolo.

Stiamo attraversando un periodostorico terribile, inutile negarlo.I nostri sono anni difficili, cheimpongono un cambiamento chedeve toccare tutti nella quo-tidianità, riarticolando anche lanostra speranza di futuro. Inquesti momenti una comunitàdeve saper ritrovare la forza delpensiero lungo, strategico, co-struendo una visione di futuroche non tema il confronto conil passato né tantomeno quellocon il presente. In sostanza, dob-

biamo “guardare la nostra comunità con occhi nuovi”, senzasperare che la coesione sociale della quale siamo orgogliosi,il sistema imprenditoriale di qualità che ci contraddistingue,la rete di servizi (sanitari, culturali, del volontariato) che tantiammirano, possano autoprorogarsi “a prescindere”. Nonaccadrà, purtroppo, e quindi ognuno di noi oggi deve mettersiin discussione, rendendosi disponibile – con modestia, conla sincera ricerca di un nuovo necessario, ma ancorato ainostri valori territoriali –ad una competizione diidee vera. Tra donne eduomini sinceramente ani-mati da spirito civico e traPartiti che da troppo tem-po, quando va bene, affi-dano la propria elabora-zione strategica alle 2.000battute di un comunicatostampa.D’altra parte stiamo vi-vendo un dopoguerra fattonon di macerie visibili (perfortuna), ma di maceriemorali che hanno distruttole certezze di tanti ed inparticolare quella degli8.500 disoccupati delcesenate, delle loro fami-glie. In sintesi, di una generazione – non più solo fatta diunder 30, ammettiamolo – che corre il rischio di essereschiacciata ai margini di qualunque processo produttivo eche, priva di un lavoro oggi e, forse, anche domani, potrebbedivenire il memento tangibile di una marginalità morale chespaventa chiunque viva con paura qualunque riduzione deivalori fondanti del nostro Paese e della sua Costituzione.Per questo, per esempio, servirà dirci con assoluta chiarezzache, d’ora in poi e rapidamente, la sfida alla semplificazioneburocratica andrà giocata con una chiave di lettura nuova:quella che ci veda creare canali formali ed ufficiali acceleratidedicati alle imprese che abbiano progetti di sviluppo certi,che siano in grado di finanziarli e che, soprattutto, esplicitinoil proprio ruolo sociale, impegnandosi in concreti piani diassunzione rivolti ai nostri concittadini.Ma non basta, naturalmente, una scelta pure chiara comequesta. Questo è il momento di ripartire per rifondare unmodello di comunità nuovo.La nostra società non è più la stessa da almeno 10 anni: siamodiversi ed abbiamo difficoltà diverse.E’ arrivato quindi il momento di tornare ad avere una visionestrategica per il nostro futuro. Partendo proprio dalle nostre * Sindaco di Cesena

Cesena

Centrale la crescita economica. Buona l'idea del pattodi Davide Buratti*

*Caporedazione di Cesena del Corriere Romagna

Il momento è difficile, moltodifficile. Il mondo produttivoè allo stremo. Dall'inizio dellacrisi il fatturato degli artigianiè diminuito del 25 per cento.Il dato è deinflazionato. Secalcoliamo anche l'inflazioneil calo scende al 40 per centocirca. Nell'ultimo anno le im-prese provinciali iscritte alleCna hanno perso mille posti dilavoro, circa l'otto per cento.Il 2012 è stato l'anno più dif-

ficile e nei primi mesi del 2013 non c'è stata quell'inversionedi tendenza attesa. Eppure ci sono degli elementi che possonofar pensare che il bicchiere potrebbe ancora essere mezzopieno.Nelle banche provinciali c'è un piccolo tesoro. A finenovembre 2012 la somma depositata era di 7 miliardi e 888milioni di euro. Il 10,1 per cento in più rispetto all'annoprecedente. Il dato è contenuto nel rapporto sull'economiadella Camera di commercio. Le famiglie “consumatrici”hanno depositato circa il 72 percento del totale facendo segnareun incremento del 13,8 percento.Dare una spiegazione non èfacile soprattutto in considera-zione del fatto che questa cre-scita è maturata in un periodocaratterizzato dalla riduzionedel potere d'acquisto e dellarelativa spesa destinata aiconsumi. Secondo gli analistidell'ente camerale un contributopotrebbe essere venuto dall'ob-bligo di aprire un conto correnteper consentire l'accredito dellepensioni superiori ai mille euro.Un'ulteriore spinta potrebbeessere venuta dalle politicheadottate dalle banche che hannocercato di diffondere forme piùappetibili come remunerazione barattandole con vincolitemporali alla riscossione. Non a caso le famiglie hannoridotto i conti correnti del 5,5 per cento aumentando del42,2 per cento le somme investite in buoni fruttiferi ecertificati di deposito e del 541,1 per cento quelle di depositicon durata prestabilita.Dalle rilevazioni della Camera di commercio, inoltre, emergeche le società non finanziarie (in gran parte imprese private)hanno coperto circa il 17 per cento delle somme depositatefacendo registrare una crescita del due per cento. In ambitoregionale solo Ravenna ha fatto peggio.Perché? Lo scarso tono dei depositi delle imprese privatepotrebbe essere derivato dalla minore liquidità dovuta allarecessione, che secondo Prometeia – Unioncamere, hacolpito più pesantemente che altrove. Ma non è nemmenoda escludere un travaso verso altre forme di risparmio comesembrerebbe apparire dal forte aumento della raccoltaindiretta di imprese e famiglie produttrici (+22,9 per centoa settembre).

Comunque, sono elementi che fanno capire che non siamoall'anno zero e che c'è un substrato dal quale ripartire. Ilproblema è come.Per riuscire a determinare quell'inversione di tendenzanecessaria alla nostra economia è fondamentale uncombinato disposto nel quale anche le amministrazionicomunali diano un contributo concreto.E' chiaro, l'onere della mossa spetta allo Stato. Ma l'entelocale non può far finta che non sia successo niente.Su cosa fare ognuno ha le sue ricette.Buona è l'idea di redigere un nuovo patto sociale partendodal presupposto che è centrale la questione della crescitaeconomica che, inevitabilmente, deve passare dal lavoro.Bisogna partire dal presupposto che questa crisi ha abbattutoschematismi che forse erano anche ideologici. Ci riferiamoal rapporto interno nelle aziende.Adesso gli interessi sono concomitanti: la difesa del postodi lavoro è tutt'uno con la difesa dell'azienda e le suepossibilità di sviluppo.Quindi aziende, sindacati e amministrazione comunaledevono cercare la condivisione all'interno di un patto(sociale). Nel tavolo però dovrebbero entrare anche gli

istituti di credito che hanno unavoce determinante per suggerirele forme e gli strumenti per fa-vorire un credito più abbor-dabile ed agevolato anche peri giovani che vogliono intra-prendere una attività.Ma il credito è una voce impor-tante, se non fondamentale,anche per il tema legato allacasa, altro argomento chedovrebbe entrare di prepotenzanel nuovo patto sociale.L'obiettivo dovrà essere quellodi facilitare l'acquisto a quel 20per cento circa di famiglie (apartire dalle giovani coppie) chenon hanno la casa di proprietà.E' chiaro che l'insicurezzadeterminata dalla crisi è unulteriore freno.

Però anche chi ha una situazione lavorativa più tranquillafatica ad avvicinarsi all'acquisto.Per uscire dallo stallo serve contenere i prezzi e ridurre itassi dei mutui. Insomma, in questo modo si creerebberole condizioni che porterebbero all'accensione di mutuiaffrontabili. Rate che sostituirebbero un affitto. Per renderel'operazione fattibile si dovrebbe fare in modo che unappartamento fra i 70 e gli 80 metri quadrati possa essereacquistato accendendo un mutuo trentennale con rate da650 euro al mese.Altro grosso problema è la mancanza di liquidità delleaziende. Prima del 2008 quasi il 70 per cento degliimprenditori faceva ricorso al credito bancario per finanziaregli investimenti. Adesso questa quota è scesa al 25/26 percento. Il restante 75 lo fa per garantire liquidità alla propriaazienda che, in molti casi, ha dei grossi problemi perchénon riesce ad incassare. Problema che non è da addebitaresolo al pubblico.

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Cesena

di Denis Ugolini

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Siamo nel pieno di unadrammatica situazione econo-mica e sociale. È centrale laquestione del lavoro e la ricercadi un avvio di crescita eco-nomica. Per tutti. Anche a li-vello locale. Un interessantearticolo del Sindaco Lucchiriafferma l’esigenza di “Con-centrare ogni risorsa sullavoro”. “I dati relativi alla no-stra Provincia e quelli di Cese-na ci parlano di migliaia di

disoccupati. Fra loro ci sono tanti giovani che cercanoinutilmente di entrare nel mondo del lavoro…e anche unaquota altissima, mai registrata prima, di persone che illavoro l’hanno perso negli ultimi 12 mesi”. Lucchi riafferma“l’obiettivo di mantenerequella coesione socia-le…che passa, in mododeterminante, anchedalla possibilità di so-pravvivenza delle nostrepiccole e medie imprese.Tuttavia oggi questo nonbasta più.” “Anche aCesena ci troviamo difronte ad una crisi econo-mica senza precedenti eche nessuno può incol-parsi di esserne rimastovittima”.Si “impone una rifles-sione anche ai sindacatied a tutte le formeassociative”.Spero di non sbagliarmi,ma il Sindaco mi par-rebbe abbastanza insintonia con quel “pattosociale” che proponiamo. Perché non rimanga una propostaaleatoria occorrono subito iniziative adeguate in tal senso.Concreti, fattibili e specifici impegni.La condizione economica e sociale attuale induce a rifletterein modo profondamente rinnovato i rapporti stessi internialle aziende, fra lavoratori ed imprenditori e fra le lororappresentanze sindacali. Una rinnovata dialettica di rapporto. Fuori ed oltre certi passati schematismi (anche ideologici).Nella situazione data, gli interessi sono di fortissimacomunanza: la difesa del posto di lavoro è tutt’uno con ladifesa dell’azienda e le sue possibilità di sviluppo. Il “pattosociale” deve essere fondato su un rinnovato attivo rapportosociale interno alle imprese e fra imprese e sindacato. Fraquesti e l’Amministrazione locale. Per azioni ed obiettivimirati.Per dare senso, concretezza e fattibilità ad un concorsoeffettivo (quello possibile ai nostri livelli di attività) afronteggiare l’attuale grave crisi.Riduciamo per quanto è nelle possibilità locali i tempi dellaburocrazia e della politica amministrativa che impattano leesigenze delle imprese e del loro sviluppo. Si può faremolto, basta volerlo. Pratiche relative ad insediamenti ed

investimenti aziendali, ad adeguamenti, connessi almiglioramento delle attività di impresa, devono trovare unaforte volontà di accelerazione. Parliamo di soluzionicondivise dall’Amministrazione comunale, che stannodentro le normative vigenti.A livello locale non possono modificarsi le storture di certenormative, che pure ci sono, si può, però, agire sul pianoorganizzativo. Forzando l’efficienza e i tempi dell’or-ganizzazione. È questione di volontà politica.Di coerente funzionamento, allo scopo, della macchinaoperativa interna. I sindacati, essenziali per il patto sociale,non rappresentano solo i lavoratori dell’azienda che necessitadi risposte amministrative veloci, ma anche i lavoratoridell’amministrazione che quelle risposte deve dare. Lavolontà politica in tal senso dell’Amministrazione comunale,dovrebbe trovare da essi condivisione e disponibilità. Cisono casi ed esigenze che devono trovare una positiva

forzatura dei tempi dirisposta così da favorireimprese e occupazione.Questo ( dei tempi e del-l’organizzazione dellaburocrazia) è sicura-mente un terreno ed unobiettivo per quel pattosociale che continuiamoa proporre. Ve ne sonoalmeno altri due: la sus-sidiarietà possibile incampo sociale alla qualeguardare per far fronteanche alla esigua dispo-nibilità finanziaria degliEnti locali; le forme egli strumenti per favo-rire un credito più ab-bordabile ed agevolatoper i giovani che voglio-no intraprendere unaattività.

Quest’ultima è una proposta che facciamo da molto tempo.Su questa come sulle altre specifiche proposte, perdettagliarle adeguatamente, siamo pronti a discuterne e adare il nostro possibile contributo.È una sollecitazione che rivolgiamo alle forze economichee sociali, ai sindacati, ed in modo diretto all’Amministrazionecomunale, al Sindaco che con il suo articolo ci pare su unalunghezza d’onda condivisibile.Consapevoli che si deve costruire qualcosa; che si devefare. Non ribadire un già fatto. È tempo di un vero salto diqualità sia nei contenuti che nell’impegno dell’azione digoverno a livello locale.Queste nostre proposte sono di assoluta utilità e validità.Non basta riscontrarle con qualche benevola dichiarazione.Occorrono iniziative, atti precisi e concreti. Veri momenti,veramente ben partecipati, di riflessione, di rimessa a puntodegli obiettivi e delle impostazioni amministrative. Diriorganizzazione operativa. Se la volontà è vera lo si vedesubito, perché ci sono risultati che si possono subitodeterminare. Altrimenti sarà diniego o ipocrisia.Constatazioni e valutazioni non irrilevanti, per il presentee per l’immediato futuro.

Il patto sociale da attivare subito contro la crisiCesena

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Un’azienda, che continua la propria attività e che potrebbesvilupparla, nella situazione in cui ci troviamo, è già unanotizia positiva. Il panorama, infatti, è piuttosto cupo. La crisiè drammatica. Disoccupazione e disagi sociali sono crescenti.Di fronte a tutto questo una simile attività aziendale meritaattenzione. Di certo non andrebbe ostacolata. Nel numeroscorso di Energie Nuove ci siamo soffermati su una esperienzaaziendale ed imprenditoriale del territorio cesenate (“JollyService” ne è il logo, al momento, più conosciuto), colloquiandocon il giovane imprenditore (Gianluca Salcini) che l’ha avviatae sviluppata. Ci torniamo sopra perché rappresenta, per alcuniversi, un caso emblematico. Pur fra le innumerevoli difficoltàdovute alla attuale prolungata condizione economica efinanziaria, questa azienda continua, seppur con onerositàcrescente, a mantenere un trend positivo di attività. Impiegadecine di lavoratori. Sono salvaguardati gli attuali livellioccupazionali e talvolta riesce anche ad aggiungere qualcheulteriore unità lavorativa. Da alcunianni questa impresa deve affrontare,però, problemi logistici ed organiz-zativi non indifferenti per salva-guardare e difendere lo stadioraggiunto della propria attività.Ancor maggiori se vuole deter-minarsi in un impegno di crescitae sviluppo. Attualmente, infatti, lasua attività è costretta a svolgersi intre luoghi e stabilimenti diversi, fraloro separati e distanti. Con onerisul piano della organizzazione a-ziendale, della logistica, e dei costieconomici e finanziari, dagli affittia tutto il resto, che sono notevoli.Onerosità e limiti che possonopregiudicare il trend attuale e ancor più frenarne ed impedirnel’eventuale sviluppo. L’imprenditore, già alcuni mesi orsono,ha dovuto fare un nuovo insediamento in un’area di unaprovincia lombarda per far fronte alla domanda di clienti chenecessitano di adeguato, qualificato e personalizzato riscontroper i servizi richiesti. La concorrenza è forte di per se stessa,ed è fortissima in tempi di difficoltà come gli attuali.Quell’investimento-insediamento (ulteriore rilevante onerefinanziario ed organizzativo) non è stato una semplice aggiuntaall’esistente, ma la condizione e l’esigenza necessarie permantenere l’impresa salda nel proprio mercato, sviluppandosiulteriormente. Senza quello ne avrebbe risentito anche l’attualeattività negli attuali stabilimenti cesenati, il fatturato aziendalee i livelli occupazionali. Senza sviluppo, il risultato non è chesi può restare fermi allo stadio raggiunto: semplicemente siregredisce e si entra in crisi. Questa soluzione in altra località,in altra Regione, si è resa necessaria ed obbligata di frontealla impossibilità di dare ad essa adeguato sbocco e realizzazionenel nostro ambito territoriale. Dove già l’insediamento, comedetto, è, per forza, frazionato con le difficoltà organizzativeche comporta e con l’onerosità maggiore che consegue. Unamancanza di spazio adeguato e di possibilità operativa chenon da oggi, ma da anni, sono la motivata preoccupazionedell’impresa. Logica e migliore organizzazione aziendalevorrebbero che, già da tempo, fosse stato possibile unire inun unico insediamento produttivo le attività dell’azienda.Questa preoccupazione e l’impegno volto a questo obiettivo,come ribadito, sono in campo da alcuni anni. Su un terrenodi propria proprietà, l’impresa ha riflettuto e riposto la possibilitàdi dare finalmente corso alla migliore soluzione impiantisticaed organizzativa della propria attività. Innumerevoli e fortissimeragioni – comprensibili per chiunque abbia anche solo un

minimo di buon senso – hanno portato l’impresa a rifletterein questa direzione e in questi termini, la propria soluzione,anziché volgersi a un investimento impossibile ed insostenibile di acquisizione di un’area a destinazione polifunzionale diquelle previste in PRG. Costi rilevanti ed impraticabili,soprattutto a fronte di certi dimensionamenti ed in situazionidi tipo economico e finanziario micidiali (non ci addentriamosulle difficoltà del credito) come quelle che da alcuni annistiamo attraversando. Peraltro qui sarebbe bene affrontare iltema del costo delle aree, vera palla al piede per gli investimentie gli insediamenti produttivi. Spesso, quasi sempre, quel costoè la ragione che li frena e li blocca. Così che la nostra economialocale si viene a privare di opportunità imprenditoriali e sociali;di lavoro indotto, di reddito e di occupazione. Problematicaampia che metteremo a fuoco nel suo più mirato contesto dipolitica urbanistica ed amministrativa. Ma torniamo al terrenodi proprietà dell’impresa in discussione. Quel terreno è ubicato

in stretta, immediata adiacenza econtiguità con altre aree produttive,in una delle quali è già statoeffettuato un insediamento e inun’altra è già previsto. Sono areeche hanno trovato soluzione nell’ul-timo piano regolatore (Piano opera-tivo). Un comparto che già prevedenecessariamente infrastrutturazionicomuni. In quell’area, pertanto, èstato richiesto di fare l’insediamento di cui c’è bisogno. Non è statochiesto una semplice trasformazioned’uso del terreno, da agricola apolifunzionale. È stato chiesto direalizzare un preciso, specifico,progetto insediativo corrispondente

alle esigenze dell’impresa e del suo sviluppo.L’Amministrazione comunale ha convenuto sulla validità delprogetto aziendale e sulla necessità ed urgenza che necostituiscono la motivazione. Riunioni tecniche e non solo,rapporti istituzionali (Comune-Provincia), messa a punto dirapporti fra imprese dell’intera area- comparto per le soluzioniinfrastrutturali comuni. Un grande lavoro. Fra questioni diPrg, di variante, di ipotesi di accordo di programma, di Pua,di Vas e avanti con tutti gli innumerevoli passaggi dellecomplicate, e spesso tortuose normative. Sono trascorsi deglianni, ma ancora non si è a ridosso del tempo in cui potercominciare i lavori per l’insediamento. Era da pochi giornioperativa l’attuale Amministrazione comunale quando ilproblema è stato posto e si è deciso di risolverlo. Il prossimoanno sono passati i cinque anni di questa attuale Ammini-strazione comunale. Un tempo lungo, troppo. I tempi delleesigenze aziendali, specialmente in contesti e situazioni tracicicome quelle che viviamo da alcuni anni - anche particolarmentenella nostra realtà locale - non stanno e non possono stare insintonia con le lungaggini e le anche eccessive tortuosità disimili decisioni amministrative. In altra parte anche di questoperiodico parliamo della proposta di un “ patto sociale “ ( fraforze economiche, sociali ed Istituzioni locali) di cui unobiettivo fondamentale è lo snellimento dei tempi burocraticie amministrativi per favorire le imprese e l’occupazione.Occorre ci sia una vera volontà politica. Che si veda in concreto.Questo, nel nostro territorio, è uno dei casi che ci sono e chedevono essere risolti con veloce determinazione. Altrimentinon si capisce bene di cosa si parla quando si fa riferimentoagli interessi economici, sociali, occupazionali, che tuttidichiarano essere gli obiettivi principali e prioritari dell’azionepolitica ed amministrativa.

Un caso. Alla prova la volontà politicaCesena

di Franco Pedrelli

Il bilancio federalista in cui mettere le mani

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la società, quello finanziario appunto, che specialmente dal2008 non gode di grande stima. E l’analisi delle performancedei servizi? Purtroppo, è stato risposto proprio così “purtroppo”,in Italia non esistono ad oggi dati di comparazione, per cui nonè possibile sapere quale sia il minor costo chilometrico delservizio pubblico, quello per la singola prestazione assistenziale,o il tempo di gestione della tal pratica. Certo, potremmo sempreconfrontarci con l’Europa, ma si sa, è tanto grande e diversa,i dati non servirebbero. Così come non sono serviti i dati raccoltiuna decina di anni fa col progetto “100 indicatori per 100province”, queste tutte italiane, addirittura nell’ambito dellaregione Emilia-Romagna, dove queste comparazioni sui servizivenivano puntualmente svolte. Molto meglio non dare troppeinformazioni ai cittadini, perché magari poi vogliono anche …governare! E Cesena, come abbiamo affermato sopra, è uncomune definito virtuoso, di cui dobbiamo rallegrarci, meglio,dobbiamo rallegrarci di non essere in un comune non virtuoso,che si può solo ipotizzare come venga gestito, se è vero chel’obiettivo pluridecennale del governo centrale è quello diriportare all’etica sociale la spesa degli enti locali. Tra l’altrol’andazzo lassista, una volta emblema del sud, è dilagato,sovvertendo la storica suddivisione Nord-Sud: Parma eAlessandria ne sono gli esempi, ma anche Cesena con Saproha acquisito una non invidiabile nomea.L’importante è tassareOramai vi è la rincorsa tra governo centrale e locale su chiriesce a tassare di più e meglio, cercando di addossare la colpaall’altro. La colpa, appunto, che non toglie gli effetti di entrambi,di una tassazione che sta uccidendo, anche nel senso letteraledel termine, sia i cittadini che le imprese. Sembra di esserecome la rana bollita in acqua fresca. Ogni possibilità di tassarenon va lasciata cadere nel vuoto, per esempio la tassa sulturismo. “Il caro-turismo – La tassa di soggiorno” questo iltitolo dell’articolo del Dicembre 1927 (siamo poco distanti dalsecolo, ma ben attuali!) pubblicato sulla rivista del TouringClub Italiano sul tema. “La tassa di soggiorno è nata bene maè finita male; diciamolo con animo di turisti contribuenti, chel’hanno pagata volentieri a Montecatini e a Sanremo e che nonla pagheranno mai di buon animo a Torino o a Milano. Introdottain Italia nel 1910, sull’esempio della Germania e dell’Austria,doveva impinguare la cassa di quei comuni che – perl’eccezionale affluenza di forestieri – debbono far fronte acontinue spese straordinarie intese al miglioramento delleproprie condizioni di viabilità, di edilizia e di igiene. Questaera la frase del legislatore e infatti quei pochi comuni che sene valsero nei primi anni, erano centri di larga fama e d’altovalore turistico”. Quanto lontano è lo spirito originario, siamonel 1910!, dall’uso odierno. Cesena, città non proprio avocazione turistica, la introduce per fare pura cassa, 400.000€annui previsti, senza però infierire sui propri cittadini, matosando quelli degli altri comuni. Gli amministratori dovrebberorileggersi i commenti dei “turisti degli anni ‘20”, tanto attualicome non mai, per capire che queste sono tasse che nonagevolano il tanto decantato decollo turistico di Cesena, a cuivengono dedicati ricorrenti fondi di sviluppo, nonché studi eanalisi di fattibilità. Tra tasse da un lato, investimenti dall’altroe ricavi reali, nessuno ha mai svolto un effettivo bilancio sugliinvestimenti turistici, nessuno ha mai detto al cittadino se isuoi soldi rendono o perdono effettivamente. Perché non lasciarealla rete di imprese del settore turistico del territorio il compitodi analizzare il mercato, individuarne le potenzialità, formularneipotesi di marketing, coinvolgere gli altri operatori collaterali,in un disegno a cui il Comune partecipa semmai come parigrado,non come dominus? Sicuramente il Comune potrebbe non

Il bilancio 2012 è il primobilancio federalista, marcatodall’introduzione dell’IMU, lap r i m a t a s s a c o m u n a l eimportante. Con un totalecertificato di oltre 32 milioni dieuro, l’IMU contribuisce conoltre il 59% alle entratetributarie, la prima rilevantevoce tributaria, da cui il sensofederalista. Venendo a mancarei trasferimenti sia statali cheregionali, l’IMU rimane la levaprimaria con cui i comuni

possono finanziarsi, per conseguire gli obiettivi di gestione,sia in termini di servizi che di infrastrutture: più la spesarimane invariata, peggio, si dilata, più occorre ricorrere allaleva impositiva, perché indebitarsi rimane sempre e comunquel’ultima ratio. Tuttavia, occorre essere coscienti che ognicausa ha il suo effetto, così se l’IMU è stata pagata nel 2012per il 21% dalle prime abitazioni, per il 5% dai terreni agricoli,per il 7,27% dalle aree edificabili, ma per ben il 65,72% daglialtri fabbricati, leggi seconde case e imprese, questo haconseguenze non solo dirette. In soldoni, mattoni e attivitàrimangono l’obiettivo d’elezione su cui viene posta l’attenzionetributaria locale, seguendo una logica immodificata da diversidecenni, quella di individuare in questi settori il concentratodi interessi speculativi e di puro profitto, che ci sono, figurarsi,ma sono semmai accettati e non combattuti. Ciò facendo,dimenticandosi che il benessere di cui il territorio ha beneficiatosinora è stato frutto di quelle due stesse aree, del lorodinamismo e sviluppo, che sarebbero da pianificare assiemeal privato in ottica di ricaduta più generale sul territorio. Laconferma di questa importanza ci viene in parte dal progettodel nascente quartiere Novello, dove il Comune promuoveun piano di circa 1.000 appartamenti, volutamentedimenticandosi degli oltre 3.500 appartamenti liberi esistentia Cesena. L’importante sembra essere fare e tassare, poi serimane qualcuno che possa ancora comprare gli immobili epagare i tributi ancora meglio.Servizi e infrastruttureNel 2012 il bilancio comunale è stato di oltre 118 milioni dieuro, circa 1.200 euro per ognuno dei 97.000 abitanti diCesena, quasi 5.000 euro che una famiglia media delega alComune per avere servizi e infrastrutture. Capire poi qualisiano i servizi essenziali e quali non è diventato oramaiquestione di lana caprina, tanto lontani sono i tempi in cuil’ente comunale aveva una chiara e ridotta missione di servizio,vedi ospedale, nettezza urbana, gas, acqua e la famosa ECA.Oggi siamo di fronte all’ente creativo, che spazia sul mercatocome attore primario, facendo concorrenza a quelle impresedi cui dovrebbe agevolare lo sviluppo, fonte di maggioriintroiti per le casse comunali. Siamo giunti a ben 21 societàdi capitale, possedute o partecipate, società su cui i cittadinistanno investendo i propri soldi, per lo più in modo ignaro,perché magari pensano di dover pagare per i soli servizi.Magari! Se poi andiamo a verificare la qualità della gestionedell’ente, ecco che Cesena è paragonata dal punto di vistafinanziario, per fortuna, quasi allo stupur mundi. Difatti, ilbilancio certificato la colloca nel gruppo di testa dei comuniitaliani, quel 5% con la migliore performance. Sulle partecipateil rating si abbassa un po’ è vero, collocandosi nel gruppo trail 25-35% dei comuni. Ma siamo sicuri che anche qui avremopiacevoli sorprese in futuro. Peccato che l’analisi delleperformance si fermi al solo dato finanziario, termine chemette in associazione al modo molto attuale di interpretare

Cesena

della cosa pubblica.I punti di attenzione del bilancio 2013Il bilancio è la somma di tante voci, piccole e grandi, di seguitovengono indicate quelle che maggiormente saltano all’occhio,come la diminuzione di oltre 2 milioni di euro del serviziafferenti a “Assistenza, beneficenza pubblica e servizi diversialla persona”, di cui si prende atto.Il piano investimenti viene sostenuto principalmentedall’accensione di nuovi mutui, tra cui spicca quello relativoalla riqualificazione di Piazza della Libertà, che con i suoi 1,6milioni a carico del Comune è pari al 37% del totale, ma chenulla toglie alla decisione di rimandare agli anni futuri lariduzione del rischio sismico sia delle scuole materne chedell’istruzione primaria. Strano mondo questo, quello dominatodalla finanza e dalle voci di spesa, dove non si riesce a capirecome mai, in una situazione di crisi nera come quella chestiamo attraversando, si debbano investire 3,1 milioni di euro(1,5 dalla Regione, il resto a carico del Comune) per abbellireuna piazza. Esiste il vincolo delle voci di spesa, per cui nonpuoi destinare a spesa corrente una destinata in investimenti?Ai più potrà sembrare strano, ma almeno si rifiuti per unminimo di questione etica, per tutti quelli che soffrono davvero,e non solo per non poter realizzare uno dei propri punti diprogramma. Si procede con nuovi investimenti sulla GrandeMalatestiana per 350 mila euro, ma anche con 200 mila perl’allestimento del museo Nori, a fronte di una coperturacomplessiva del settore musei e gallerie sotto al 20%, il cheequivale ad affermare che i costi di struttura sono a carico perl’80% della collettività: i biglietti di ingresso rendono poco,il sistema museale non è messo opportunamente a frutto,razionalizzare l’insieme parrebbe un obbligo. Di che stiamoparlando? Di oltre 239 mila euro di spesa, di cui oltre 93 miladi costo del personale. Dobbiamo interpellare il FAI per qualcheproposta o ci basta la sua opera un giorno all’anno? Se l’analisisi sofferma su entrate e spese, ecco allora il Teatro Bonci, conentrate che si mantengono sui 75 mila euro, ma con uscite chequest’anno dovrebbero sì ridursi a 750 mila, ma a cui dovremoaggiungere gli usuali oneri finanziari di 170 mila euro. Tradottoin termini semplici significa che la cultura di una rosa dicittadini, tra cui chi scrive, viene finanziata al 90% dallacollettività, magari anche da quelle 1.300 famiglie indicatedalla Caritas locale come soggette a povertà. Il centro culturaleSan Biagio, le cui entrate di circa 32 mila euro coprono il 10%dei costi complessivi pari a 312 mila euro. Siamo nell’ambitodel puro welfare, dove andrebbe eventualmente verificatal’ampiezza da concedere a queste attività e servizi. Sullamobilità, se da un lato si continua a far leva sui parcheggi, conentrate in aumento del 20% pari a 101 mila euro, dall’altro iltrasporto pubblico costituisce un grande onere, con spese chegiungono a 2,80 milioni di euro, a fronte di entrate calanti del10% e che si attestano sui 407 mila euro. Infine la Tares, lanuova imposizione di igiene ambientale, che i comuniriscuoteranno direttamente per poi pagare il fornitore deiservizi, nel caso Hera. Sono previste entrate per 17,44 milionidi euro e spese per 14,44 ovvero 3 milioni di saldo attivo peril Comune. L’ASP - Azienda Pubblica dei Servizi alla Persona- diviene sempre più strategica nell’azione del Comune, tantoda affidarle compiti e missioni a volte improprie, quali lagestione dell’Istituto Musicale Corelli, che nulla ha che farecol welfare, a meno di voler allietarne gli utenti. Difatti, chec’entra un istituto musicale con gli obiettivi dichiarati di “servizie delle attività promozionali svolte da ASP a beneficio dianziani fragili, famiglie, giovani e cittadini immigrati, orientataad una maggiore razionalizzazione dei costi e ad un

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spendere soldi per lo sviluppo turistico, che per il 2013 sonoindicati in 150 mila euro, magari potrebbe avere maggioriintroiti per l’aumento delle attività sul territorio e smetterebbedi fare l’unica cosa che sa fare veramente bene: tassare. Conle ventate di federalismo, la tassazione viene delegata al governolocale, con lo scopo di responsabilizzare gli enti stessi, più astretto contatto con la cittadinanza, quegli stessi enti principalecausa di un disavanzo statale alla deriva. Stabiliti alcuni vincolidi bilancio, per dare un minimo di sicurezza ai più generaliconti nazionali, lo Stato lascia quindi agli enti locali la facoltàdi lanciarsi anche nelle imprese più creative, purché sia lacittadinanza a contribuire direttamente. In questo modo siriducono drasticamente i trasferimenti statali, ma siccome è“guerra” per tutti, anche quelli regionali non sono da meno,anzi. Il risultato è un combinato di riduzioni di entrate perl’ente locale, il quale è costretto a scelte dicotomiche: mantenereil suo attuale tipo di governo e obbiettivi connessi aumentandola tassazione sulla cittadinanza; oppure tagliare i costi, adiniziare da quelli relativi a servizi non primari, razionalizzarela sua struttura, coinvolgendo il mercato privato. Moltoprobabilmente le scuole materne saranno l’oggetto concretodella prima razionalizzazione dei costi. Le loro entrate sonopreviste in leggero calo, da 1,108 a 1,050 milioni di euro, comepure le spese, che passano da 4,60 a 4,49 milioni di euro; questeultime grazie a minori trasferimenti e oneri finanziari, pur inpresenza di un aumento delle spese per il personale. L’oneregenerale risulta significativo, in presenza di entrate in calo,nonostante l’adeguamento in aumento delle rette, il che portaad ipotizzare che l’offerta, in tempi di crisi, non è più allettante,per cui il confronto col servizio privato si impone necessario.Il 2013Il bilancio 2013 è stato anticipato da numerosi incontri dellasola Giunta con gli stakeholder, vedi le associazioni di categoria,il terzo settore, i sindacati, il mondo finanziario. Al termine,e solo al termine, del giro di consultazioni si sono incontratele parti politiche, in pratica quelle non facenti parte dellamaggioranza. In questo modo si è voluto attribuire, se mai cene fosse stato il bisogno, alle componenti politichedell’opposizione un ruolo marcatamente subalterno al resto,quasi una funzione di corollario al funzionamento e governodella città, affinché esse a loro volta potessero trasmettere ilmessaggio ai loro elettori. Il confronto con l’insieme deglistakeholder sarebbe stato più utile e costruttivo se fosse statosvolto assieme a tutte le forze politiche, si sarebbero evitateinterpretazioni di seconda mano, l’analisi della realtà da piùpunti di vista avrebbe sicuramente arricchito la costruzione delgoverno della città, le cui proposte rimangono e rimarrebberocomunque di competenza della Giunta. L’intera città ne avrebbesicuramente beneficiato: ma cosa si può fare nei confronti diun modo di far politica che scimmiotta in sedicesimi quellonazionale, con quella gran voglia di superiorità e sicumera chegenera solo stallo politico o peggio ancora rivalsa? Il marketingsociale che ne è seguito riporta, con sorriso, la memoria aitempi della grande propaganda, delle veline. Come interpretarediversamente il profluvio di comunicazioni sugli ottimi risultatiraggiunti da ogni assessore nell’area di competenza, dei nuoviprogetti futuri messi in campo, degli investimenti in nuovesocietà tecnologiche? Iperattivismo comunicativo che stordiscei più, annebbia la capacità di pensare razionalmente, sposta ilfocus dell’attenzione dalle dolorose scelte che saranno inevitabili,tranne poi, improvvisamente, convocare la solita riunioneplebiscitaria con tutti gli stakeholder, e questa volta anche leforze politiche dell’opposizione, in cui annunciare l’inderogabilee obbligata politica “lacrime e sangue”. Della serie “avremmovoluto, ma ci hanno obbligato”, ovvero l’antitesi del governo

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Stato? Nel frattempo forse che Regioni, Province, Comunirimodulavano le loro politiche di spesa per ovviare aquesto tragico problema? Non mi sembra proprio, anzi,costituivano società per occultare debiti fuori bilancio,per mantenere il livello di spesa che ha creato la voragine.Il patto di stabilità è dunque eccessivamente rigido?Probabilmente sì, ma una domanda si pone: quale èl’alternativa? Cito un esempio: la sanità è certamente ilsettore che assorbe gran parte delle disponibilità di spesa,allora perché tardare tanto per dare avvio ad un Asl unicaromagnola che riduca gli sprechi? Altro esempio: a cosaservono tanti piccoli comuni che moltiplicano i centri dispesa senza garantire ai cittadini migliore qualità deiservizi? Un ultimo esempio: perché non liberalizzare iservizi pubblici locali, riducendo i costi per la collettivitàeliminando nel contempo tutte le società pubbliche chehanno come unico scopo quello di foraggiare politicibolliti? Se il problema è quello di ridurre la spesa pubblicasi deve essere in grado di dimostrare che si vuoleraggiungere l’obbiettivo. Il Presidente Bulbi invece dilamentarsi dovrebbe “chiudere” la Provincia, dimostrandodi essere coerente con ciò che ha affermato lo stessoPresidente del Consiglio On. Enrico Letta.

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Tutto cambi perchè niente cambidi Mario Guidazzi

Il gattopardo in Italia faancora scuola, è indubbioinfatti che la crisi gravissimache il Paese attraversa non hacambiato alcunché nel mododi agire delle amministrazionicomunali. Nessuno si è postoi l p roblema d i comepartecipare alla risoluzionedei problemi italiani facendoquel poco che si può fare,anche a livello locale, perpartecipare allo sforzo di

risanamento. L’unica cosa che si fa è trovare il colpevolenegli altri livelli, ne è prova quanto hanno scritto nell’ormaifamoso cartello affisso nella rotonda incompiuta, multatodalla PM, firmato dal Presidente della Provincia Bulbi edal Sindaco di Cesena Paolo Lucchi. Il colpevole dunqueè il patto di stabilità. Altri responsabili non se ne trovano,ma il patto di stabilità perché è nato? Per opera di unamente diabolica o perché era necessario porre un frenoall’indebitamento galoppante degli enti locali ed alconseguente ampliamento del debito complessivo dello

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efficientamento complessivo del sistema”? È chiaro che ilCorelli dentro l’ASP è un ospite, con lui i suoi insegnanti eallievi, nonché la sua storia e cultura. Una ASP quindi utilizzatacome quel tappeto sotto cui nascondere la polvere, nel casodipendenti e costi che potrebbero recare fastidio nella costruzionedel bilancio comunale. Che l’ASP sia strategica vienesottolineato dalla somma di 19, tra progetti e servizi, esclusoil Corelli, che vengono gestiti nell’ambito del welfare, il cuicontorno va espandendosi sempre più, grazie alla continuaricerca condotta dalla stessa ASP su nuovi disagi e necessitàdel territorio. Avete letto bene, è l’ente erogatore di servizi cheva a caccia di opportunità di business. Per un privato sarebbel’eden, ma forse non solo per il privato. Nel frattempo i costiaumentano e l’aumento delle rette diventa indispensabile. Adesempio, tra le diverse e varie forme di servizio, le nuove rettedel Roverella sono aumentate di 3 euro al giorno, pari a 17.820euro annui per una retta convenzionata, sino a 28.080 per quellanon. Sarà anche per questo forse, per aumentare la massa criticae l’“efficientamento”, che l’ASP ha deliberato l’assunzione dinuovi 38 operatori socio assistenziali, al fine di permetterel’accreditamento definitivo ai servizi residenziali esemiresidenziali per anziani presso il “Nuovo Roverella”.Tradotto in numeri, a fronte di introiti che si prevedono stabilisu circa 8 milioni di euro annui, aumenta il costo del personale,che viene bilanciato dalla pari diminuzione di acquisto di serviziesterni. Che riflessi si avranno sulle altre realtà localiassistenziali, dall’associazionismo al privato? Siamo nel solcodi un operatore pubblico, l’ASP appunto, che continua la suaespansione sul mercato. Oltre al rilascio degli accreditamenti,esiste un benchmark economico qualitativo tra le struttureoperanti sul territorio? Quali sono i parametri di scelta nellasottoscrizione delle convenzioni tra l’ente locale, l’ASL e le

strutture di servizio, tra cui l’ASP? Di ASP sentiremo ancoraparlare, eccome, se è vero che dal Piano Programmatico 2013-2015 spunta fuori che “L’attuale Pianta organica risultainadeguata alle esigenze gestionali dell’Azienda e va aggiornatatenuto conto anche dell’assetto organizzativo approvato con ilregolamento di organizzazione e funzionamento dei servizi edegli uffici.Tali modifiche dovranno essere preliminari alla definizione diun apposito piano delle assunzioni funzionale a dotare l’aziendadi tutte le professionalità utili al suo efficiente ed efficacefunzionamento”. Musica non nuova, specie se si parte da “figureamministrative di applicato di concetto”: quanto saràl’espansione? Quanto sarà “efficiente” ed “efficace”, qualitàin cui il pubblico difficilmente brilla? Però occorre dare attoche lo stesso Piano Programmatico cerca di dare risposta inparte alle domande di cui sopra, stilando l’elenco degli indicatorie i parametri per la verifica economica e qualitativa, che ingergo vengono indicati come Key Performance Indicators,peccato che siano solo … enunciati! Difatti non è stato per essirilevato alcun valore. Ogni anno il bilancio diventa sempre piùcorposo e articolato, non solo in termini economici, ma ancheper documenti, analisi, studi, comparazioni, collegamenti allesocietà partecipate, ai collegati provinciali e regionali. Difficileseguirne le evoluzioni, ancor più comprenderne sempre i dettaglie gli obiettivi, per una gestione che assomiglia più ad unozaibatsu giapponese che ad un semplice comune di meno di100.000 abitanti. Ma siamo coscienti della complessità dellamacchina burocratica, se è vero che al suo vertice la ContabilitàGenerale dello Stato non è in grado di conoscere l’entità deisuoi debiti. Complessità è l’antitesi di semplicità, questa utileper risolvere tanti problemi. Iniziamo allora a semplificare lamacchina comunale, la sua gestione, ridefinendo la sua missione.

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di Giuliano Galassi*

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Il Welfare: freno o motore dello sviluppo?

mondo migliore", per riconoscere nell'esperienza della cooperazioneun modello di impresa che mette le persone al centro, prima delprofitto, e che è in grado di incidere positivamente sullo sviluppoeconomico e sociale di tutte le persone e di contribuire allosradicamento della povertà e dell'emarginazione. Il Direttore Generaledell'ILO (International Labour Organization) Juan Somavia haaffermato: " Le cooperative rappresentano un importante canale percollegare i valori di mercato con i valori umani. Pur non essendostate immuni dai suoi effetti, le cooperative stanno rispondendomeglio alla crisi rispetto alle imprese profit, grazie alla loro capacitàdi coniugare efficienza ed equità. Infatti dal punto di vistaimprenditoriale le cooperative contribuiscono allo sviluppo economico,alla creazione di posti di lavoro, mentre dal punto di vista socialeesse rispondono al bene comune." La lunga storia e l'attività diimpresa della cooperativa CILS è una conferma che la coesionesociale, la fiducia, la solidarietà e la redistribuzione della ricchezzacontrastano l'assistenzialismo di stato ed aiutano l'economia. Senzaalcun onere economico per la collettività, la CILS attualmente occupain un lavoro stabile, definitivo e remunerato 430 lavoratori, dei quali80 persone con disabilità complessa e 85 invalidi civili. Senza l'attivitàdella CILS molte di queste persone rientrerebbero nei circuitiassistenziali degli Enti Pubblici, con una aggravio economico rilevantee con un ancor più grave costo sociale. Infatti una persona disabileinserita in un centro diurno costa mediamente ventimila euro all'anno,mentre una persona che lavora non comporta oneri per la collettività,produce reddito, paga le tasse e dà un contributo determinante allacoesione sociale ed alla qualità della vita della sua città. I drastici tagli dei trasferimenti agli Enti Locali, associati ai ritardidei pagamenti, rischiano di mettere in crisi questo modello di impresae di far ritornare un welfare assistenzialistico, i cui costi economicie sociali non possiamo permetterci.Verso una sussidiarieta’ circolare.Per contrastare questa cultura dominante che il Welfare è un costoe non è in grado di produrre sviluppo, è prioritario che la politicariconosca il peso economico, occupazionale, relazionale e inclusivodelle politiche sociali, il reddito prodotto dall’economia civile e irilevanti dati occupazionali del Non Profit. In un recente convegnoil prof. Zamagni ha denunciato “il rischio di un ritorno ad un Welfareassistenzialistico, che umilia e non valorizza le persone. Si deveandare nella direzione di un “Welfare society”: cioè è l’intera società(Enti Pubblici, Imprese, Terzo Settore) che deve farsi carico deibisogni dei cittadini. Si deve andare nella direzione di un Welfare“valicante” in grado di recuperare tutte le risorse umane e sociali perlo sviluppo economico. Superando i concetti di sussidiarietà orizzontalee verticale, si deve tendere ad una sussidiarietà circolare, che vedacoinvolti gli enti pubblici, il mondo produttivo e la società civile inun comune progetto per costruire la coesione sociale, vero motoredello sviluppo.” In quest’ottica, che condivido, è urgente superarela responsabilità sociale d’impresa, che ha prodotto risultatisignificativi, per attuare politiche di responsabilità sociale territoriale.Gli attori politici, economici e sociali devono cominciare a ragionaresu un nuovo patto sociale, una nuova idea di responsabilità collettiva,che tenga insieme libertà, uguaglianza, sviluppo economico, svilupposociale e giustizia redistributiva. Al riguardo sarebbe opportuno riprendere ed approfondire leconclusioni di un convegno organizzato qualche anno fadall’Amministrazione Comunale di Cesena, avente per tema “VersoTerritori Socialmente Responsabili”, per mettere al primo postodell’agenda del governo locale la collaborazione fra Enti Pubblici,Imprese e Non Profit per attuare un Welfare valicante e per dimostrareche la coesione sociale e la qualità della vita non sono costi sociali,possono essere motori di sviluppo e sono elementi indispensabili perla costruzione del bene comune di un territorio. A proposito diresponsabilità sociale territoriale è significativa la collaborazioneche la CILS ha instaurato da anni con diverse aziende locali, che,grazie alla possibilità di assolvere all’obbligo di assunzione di invalididella L. 68 attraverso l’esternalizzazione di servizi da parte di impreseprofit a cooperative sociali, prevista dalla L.R. 17/2005(LeggeBastico), ha prodotto l’assunzione in cooperativa di molte personecon disabilità.

La crisi economica e finanziariaha assunto caratteri di emergenzasociale ed anche nella nostraProvincia si sono accentuatediffuse situazioni di povertà inconseguenza della perdita delposto di lavoro, della drasticariduzione delle ore lavorate e dellaprecarietà sempre più diffusa deicontratti. Le scelte del GovernoMonti, tese al risanamento eco-nomico del paese ed alla ridu-zione del debito pubblico, ri-schiano di penalizzare la fascepiù deboli e di azzerare conquistesociali ormai date per acquisite:

quali il diritto al lavoro, alla tutela sanitaria, alla casa e ai servizisociali. Inoltre, si sta diffondendo nell'opinione pubblica la convinzioneche la tutela delle fasce deboli sia un lusso che non possiamo piùpermetterci e che il sistema del welfare sia un freno allo sviluppo edalla crescita economica. Questo allarme è stato rilanciato in unamanifestazione a Roma il 31 Ottobre, da una rete di cinquantaassociazioni “Cresce il Welfare, cresce l’Italia” costituitasi nel marzodel 2012. "Non è più sostenibile una prospettiva che veda nel welfareun mero costo ed un freno alla crescita economica. Gli attori politici,economici e sociali devono cominciare a ragionare su un nuovo pattosociale, una nuova idea di responsabilità collettiva, che tenga insiemelibertà, uguaglianza, sviluppo economico, sviluppo sociale e giustiziaredistributiva. Ridurre il welfare a spesa sociale è sbagliato. Il welfareè un potente antidoto al debito pubblico perché risponde meglio edin modo più mirato ai bisogni delle persone ed è economicamentepiù vantaggioso." In questo anno, di fronte a numerosi e indiscriminatitagli lineari della spesa sociale e sanitaria, il Presidente del Governoha ripetutamente dichiarato: “Ce lo chiede l’Europa”; “Ce lo chiedonoi mercati” Ma cosa chiedono gli italiani? Cosa chiedono le fasce piùdeboli dei lavoratori? Cosa chiedono gli anziani, le persone nonautosufficienti, le persone disabili e i loro famigliari, le famiglie che,sempre più numerose, varcano la soglia della povertà? Dal GovernoMonti un segnale chiaro: il terzo settore e' un centro di costo datagliare! Mai negli ultimi anni si era registrata una tensione così altafra Terzo Settore e Governo. Le scelte di Monti sono state animateprevalentemente da logiche contabili e non hanno cercato di valorizzarein alcun modo il patrimonio di idee, di iniziative e di personerappresentato dal Non Profit, che, invece può essere la base su cuiinvestire per la ripresa dello sviluppo economico. Mi sembraparadossale che di fronte alla crisi economica da un lato crescal’imposizione fiscale, si riducano i servizi, aumentino i costi per lepersone più disagiate, diminuiscano le protezioni sociali e dall’altrolato non si riesca ad eliminare gli sprechi della spesa pubblica ed acontrastare l’evasione fiscale. Il Non Profit è un potenziale interlocutorein grado di rispondere ai bisogni che restano inevasi fra il mercatoe lo stato. Nel nostro paese si sta diffondendo una profondacontraddizione: il Non Profit, l'unico soggetto in grado di sviluppareun welfare produttivo e non più assistenzialistico, è continuamentebersagliato da misure punitive, quali ad esempio: l'aumento del 400%delle tariffe postali per il non profit; l'aggravio di imposta del 3%per la cooperazione; il ritardo ormai strutturale di tre anni nel saldodel 5 per mille; la riduzione dei fondi per la cooperazioneinternazionale; gli oltre 40 miliardi di euro di debiti della pubblicaamministrazione verso il non profit; il taglio nei trasferimenti dalloStato agli Enti Locali; il taglio del 63% dei fondi nazionali per lepolitiche sociali; il taglio di oltre il 400% di risorse per il serviziocivile nazionale; la chiusura avvenuta all'inizio del 2012 dell'Agenziaper il terzo settore, presieduta dal prof. Zamagni; il tentativo, poirientrato, di aumento dell'IVA dal 4% all'11% per le cooperativesociali di tipo a).Rischio di un ritorno ad un welfare assistenzialistico.In questa situazione di grave crisi economica, che ha messo indiscussione le reti di protezione e di tutela sociale per le fasce debolidella popolazione, c'è il rischio di un ritorno ad un Welfareassistenzialistico, proprio nell'Anno Internazionale della Cooperazionedichiarato dall'ONU con lo slogan "Le cooperative costruiscono un *Presidente coop. sociale CILS

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di Giampiero Teodorani

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L'urbanistica che verrà

Forse molto di quello che è stato messo anche in tempo recenteva rimosso, così come l’ambiente e il terreno agricolo nondovranno essere la risultante di quello che abbiamo resoedificabile.Dovremo pure, in occasione della discussione del pianostrutturale, porci seriamente la domanda del perché,nonostante le molte aree inserite nel piano del 2000 e i tantialloggi costruiti in ogni luogo, gran parte degli appartamentisono invenduti o sfitti.Qualcuno pensa che la colpa sia dei cittadini che non hannoi soldi? Nessuno ha pensato che forse la causa va ricercatanel modo assurdo con cui produciamo edilizia? Nel costoabnorme dei terreni?Più ne abbiamo inseriti nel PRG e più costano. Sono staticompresi in alcuni piani particolareggiati edifici e capannoniproduttivi oramai obsoleti e fuori mercato, che oggi nelleconvenzioni per costruire nuovi condomini vengono valutatidiversi milioni di euro (questa si chiama speculazioneedilizia). Il riferimento ai quartieri Novello e Europa è fintroppo evidente.Leggo questa mattina sui giornali locali la notizia,probabilmente fornita da una “velina” del Comune epubblicata senza commenti, forse perché non capita, che èstata firmata una convenzione fra Comune, Provincia e ottoimprese locali grazie alla quale il Comune acquisiràgratuitamente 44 alloggi da destinare al famoso socialhousing.Ma qualcuno si è chiesto: chi paga? O crede di trovarsi difronte a una gigantesca operazione filantropica da 7 milionidi euro?La verità è che sarà un ulteriore costo o tassa, oltre l’Imu,la Bucalossi e gli oneri vari che graverà sui costi diproduzione dell’edilizia.In parole povere, il Comune invece di favorire la costruzionedi alcuni, ma necessari, alloggi a prezzi contenuti, cheabbiano fin dall’inizio possibili acquirenti (con possibili esostenibili mutui) o affittuari (con stipendi di un operaio odi un impiegato, che deve fare i conti anche con le normaliesigenze del vivere quotidiano) si prepara “a celebrare nozzecoi fichi secchi”.Esiste solo una possibilità per rilanciare l’attività edilizia:creare condizioni per realizzare costruzioni a basso costo,con soluzioni di elevato valore architettonico e tecnologico,che incontri una nuova domanda.Col piano strutturale si dovrà anche discutere di questo!Quella che io continuo a chiamare edilizia sociale va fatta,anzi rifatta, ma con modalità diverse; non facendo leva sullarendita fondiaria e con il pizzo da imporre alla rimanenteattività edilizia.A forza di dire, a parole, che si è contro la speculazioneedilizia abbiamo creato “una moneta urbanistica” che è unaspecie di derivato, fatto di convenzioni, accordi, proposte,concessioni che cambiano di volta in volta.Quando non c’è certezza del diritto non può esistere laprogrammazione.Se si vuole fare della strumentazione urbanistica un abitosu misura per il cittadino cesenate, allora si cominci adazzerare tanto di quello che è stato proposto negli ultimivent’anni; e si faccia in fretta mi verrebbe da dire, primache se ne accorgano e lo facciano, a modo loro, i “ varigrillini”.

A più economia e meno finanzadovrà corrispondere più ambientee meno cementoQualche amico che legge i mieicontributi in materia urbanisticasu questo periodico, mi ha chiestodi parlare in modo ancora piùsemplice, di quanto non abbiafatto nel numero scorso, su“Come dovrà essere il nuovopiano regolatore” (che non sichiamerà più così). Lo capisco.La materia è molto autore-

ferenziale, roba per addetti ai lavori; “tecno-legulei” conlinguaggio a volte incomprensibile. Viene anche il dubbio chelo usino proprio per non farsi capire.Basta entrare nel sito del Comune e consultare gli attiamministrativi relativi all’urbanistica per rendersi conto che larichiesta di semplicità e chiarezza è più che giustificata.Molto dipende dalla legislazione regionale, sempre più obesae farraginosa. Dipende anche dalle normative locali fatte dacentinaia di articoli, che pretendono di regolare tutto e spessofiniscono per contraddirsi e quindi di dover essere “interpretati”.Non parliamo poi degli accordi di programma che anche il piùfurbo dei mediatori fatica a capire o del social housing chedovrebbe dare risposte a chi chiede case popolari o alloggi abasso canone.Nei prossimi mesi si dovrà discutere il cosiddetto Piano Strutturale,che è l’inizio del processo della pianificazione comunale e credodovrà essere occasione di verifica delle precedenti previsioni edel loro stato di attuazione nel tempo.Vorrei ricordare che il corrispondente dei nostri piani regolatoriper le città di New York, Boston e altre città medio-grandi degliStati Uniti non è “firmato” dagli architetti ed ingegneri, cheinvece “firmano” i progetti degli edifici, ma è predisposto daeconomisti, sociologi e da commissioni di esperti di ambiente,geologia e paesaggio.Si tratta di un paragone che vuole invitare a una riflessioneovviamente ed esclusivamente solo sul metodo.Più in generale, nei paesi di origine anglosassone i piani sonomeno disegnati dei nostri, meno scenografici e meno prescrittivi,più programmatici e puntuali. I nostri sono avulsi dal tempo ocon tempi geologici e molto attenti alla proprietà catastale. Seuna impresa vuole ristrutturarsi o accorparsi, intercettare laripresa e fare proposte di localizzazione, i tempi dell’urbanisticasono incompatibili con quelli dell’economia. Obiettivi minimalinon vengono presi in considerazione.Per essere intesi da tutti si dovrebbe provare a spiegare qualesarà la città e il territorio che s’intende consegnare ai nostrinipoti dopo avere soddisfatto il fabbisogno contemporaneo.Andrebbe anche criticamente esaminato ciò che abbiamo fattonegli ultimi venti anni se non vogliamo perpetrare errori chesono sotto gli occhi di tutti e meritano una seria riflessione.Se vogliamo vivere meglio, favorire l’occupazione e il lavorodobbiamo creare ricchezza e, ci dicono gli esperti, sviluppandol’economia è più probabile che si ottenga un risultato positivo,anziché creare i derivati o quei “pezzi di carta” che passano dimano in mano fino a quando qualcuno rimane fregato, perchéè solo carta e non filigrana garantita.Analogamente se vogliamo crescere in un ambiente miglioree più bello non dobbiamo solo pensare al cemento e all’asfalto.

Cesena

di Dante Del Vecchio*

e abbiamo inventato una uscita che si chiama Valle delRubicone. Ma dov’è? Ma dove porta?Sembra essere una uscita di una località montana. Incredibilema vero! Tutte le associazioni di categoria hanno fattopresente la necessità di cambiare questa segnaleticafuorviante, che confonde le idee ai turisti, ma a livellopolitico non hanno neanche risposto.Ci domandiamo perché? La politica regionale ragiona sullabase degli arrivi e delle presenze, mai sui fatturati, mentreinvece bisognerebbe creare per le aziende turistiche lecondizioni di avere reddito, che si tradurrebbe in conse-guenti investimenti. La burocrazia blocca quasi tutte le ini-ziative imprenditoriali, scoraggiando praticamente gli in-vestimenti.Nel comune di Cesenatico negli ultimi venticinque anninon e’ stato costruito nessun nuovo albergo e le ristrut-turazioni di un certo rilievo si possono contare sotto ladecina. E’ una situazione ormai insostenibile. Per far fareun salto di qualità alla nostra offerta turistica bisognacambiare molte cose. Non è un caso che l’ultimo convegnonazionale di Federalberghi, svoltosi a Rimini il 23 febbraioscorso, abbia avuto per titolo: “L’insostenibile pesantezzadella burocrazia”. Il Convegno evidenziava che bisognaridurre il peso degli adempimenti e delle normative a caricodegli alberghi e delle altre attività turistiche; che gliadempimenti richiesti alle imprese alberghiere in tutte lefasi della vita aziendale, dall’autorizzazione per l’aperturastagionale, alla sicurezza alimentare, dalla messa a normadegli impianti alle comunicazioni per la PS ecc., costituisconoun carico di lavoro e di costi per gli imprenditori chedovrebbero essere alleggeriti. Ma su questo fronte, nonostantele nuove tecnologie, ci sono pochissime novità.Ci do-mandiamo perché? Perché ogni ufficio competente agisceper proprio conto, a compartimenti stagni, perchè non esisteil necessario coordinamento che potrebbe invece farrisparmiare tempo e denaro a tutti, uffici compresi.Ci sono normative, regolamenti che trovano diverse inter-pretazioni da comune a comune. Tassa di soggiorno applicataa Rimini e non a Cervia o a Cesenatico. Situazioni veramentedifficili da capire per tutti gli imprenditori del settore. Anchele associazioni di categoria non sono immuni da errori.Faccio parte da sempre dell’associazione albergatori diCesenatico, di cui sono stato in passato anche il presidentee, riguardo il ruolo importantissimo delle associazioni,esprimo un parere personalissimo che probabilmente nonsarà condiviso da molti colleghi. Per me le associazioni dicategoria sono troppe e anche se qualche volta su grandiproblemi di fondo sono abbastanza compatte (vedi perl’inquinamento, la balneazione, le mucillagini, la bolkenstein)spesso sui problemi prettamente locali (come rumori, trafficoe altre problematiche) sono spesso divise creando per leamministrazioni l’alibi per non fare niente. Io non ho maicapito bene perché in Italia ci devono essere (per combatteregli stessi problemi) tante associazioni con tanto diabbondanza di apparati? Perché un’associazione può avereun colore o aderenza politica diversa dall’altra? I problemidel turismo sono spesso gli stessi e le organizzazioni sindacalidovrebbero, tutte insieme, agire sempre e comunque a tuteladel turista. Spesso non lo fanno.

Politica scarsa. Burocrazia troppa

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*Albergatore

E’ cosa vecchia, risaputa,riconfermata anno dopo annoda 40 anni, che fra la politicae il turismo non c’è mai statofeeling. Anzi si può propriodire che alla politica non gli èmai fregato niente del turismo.Dalla prima repubblica ai gio-rni nostri, i governi di centrosinistra o di centro destra, nonfa nessuna differenza, hannosempre relegato il turismo al-l’ultimo posto per importanza,

eppure non ci vorrebbe molto a capire che il turismo è unadelle prime risorse del nostro paese. Perché l’Italia è il paeseturistico per eccellenza, ha tutto: la storia, l’arte, i monti, imari, la gastronomia. Nessun altro paese al mondo puòcompetere con l’Italia su questi specifici settori. Negli annisettanta/ottanta eravamo primissimi per numero di visitatoristranieri verso la nostra bella penisola, ora siamo al sestoposto, ci ha superato persino la Cina. Manca, è sempremancata, a tutti i livelli, una vera cultura del turismo.Dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni ilturismo viene considerato, a torto, un’economia di serie B.Nella formazione di un governo, di una maggioranza regio-nale o provinciale quando bisognava dare un contentino aun politico di secondo piano, gli si rifilava il Ministero delTurismo, gli assessorati al turismo.Esistono in Italia da decenni problemi irrisolti sullenormative, sulle risorse per gli investimenti, sulla promozioneverso l’estero. Nelle altre nazioni concorrenti molti di questiproblemi sono stati risolti mentre da noi le cose sonopeggiorate. Negli anni settanta/ottanta avevamo un effi-cientissimo ufficio stampa della nostra regione in Germania,che ci aiutò non poco quando fummo colpiti dal fenomenodelle mucillagini. Stranamente, alcuni anni dopo la nostraregione ha smantellato tutto, eppure non ci voleva molto acapire che nonostante la crisi il nostro bacino di utenza piùimportante era ed è ancora il mercato di lingua tedesca.Oltre alla cultura del turismo in pratica manca da sempreuna sostanziale volontà politica di aiutare il turismo e lesue strutture a crescere, cosa che, con tutte le risorse naturaliche l’Italia paese può offrire, è abbastanza incomprensibile.Un esempio: i trasporti. Da Londra a Bologna 1 ora e 20,da Bologna a Cesenatico in estate minimo due ore, daCattolica a Ravenna in macchina, in stagione, nelle giornatedi pioggia, si può impiegare anche mezza giornata.E’ possibile? Già negli anni settanta/ottanta la metropolitanadi costa era un progetto, dove è andato a finire?Pochi mesi fa è stato aperto il nuovo casello autostradale,(fra Cesena e Rimini nord). Fra l’uscita di Cesena e l’uscitadi questo nuovo casello ci sono circa 10 km e prima ci sonodiverse segnalazioni indicative: Valle del Rubicone a km… ecc, … ma non c’è nessuna segnalazione che indichidove si può andare uscendo a questo casello.Solo dopo aver pagato il pedaggio ci sono le segnaleticheper Gatteo Mare, Cesenatico ecc.. Questo si chiama“antiturismo”. Stiamo parlando di una casello di uscitaautostradale situato sulla costa turistica più importanted’Italia, su uno dei mari più frequentati da italiani ed europei

Turismo

di Denis Ugolini

Verso la AUSL unica della Romagna

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Quando nel 2009, in relazionealla nostra sanità, abbiamoproposto “un nuovo assetto digovernance”, per Area VastaRomagna, è cominciato undibattito che è proceduto conuna certa lentezza e a fatica. Ilprimo riscontro, peraltro con-vergente con la proposta, è statoquello di una organizzazionesindacale cesenate, la Uil.Tutt’intorno, un evidente “starlontani e a distanza”, sia da

parte delle Istituzioni locali, sia da parte delle forze politichee sociali. La Regione si teneva lontanissima. Così pure ivertici delle Asl, tranne qualche lodevole eccezione. Abbiamoinsistito a sollecitare il confronto e il dibattito. Che hannotrovato spazio soprattutto attraverso queste pagine di EnergieNuove. Abbiamo promosso incontri e convegni. Adesso iltema, seppur in modo controverso, è frequente anche sullastampa quotidiana. Istituzioni, Sindaci, Conferenzeterritoriali, forze politiche e sociali, sono in campoattivamente. Non possiamo non rilevare, però, un aspettocritico circa la politica regionale e locale: il ritardo e ilmodo con cui affronta questioni così rilevanti come questa,della sanità e dei servizi alla salute dei cittadini, nella nostrarealtà. Con visione corta e limitata, con il tempismo di chisi accorge dei problemi solo in prossimità del loro scoppioe non prima. La Regione – finalmente - ha avviato il processodi messa a punto, anche sul piano legislativo, del decollo,il prossimo anno (2014), dell’unica Ausl di Area VastaRomagna. Confidiamo abbia maturato una forte convinzione.L’attuale Assessore regionale alla sanità, fin dal suo esordio,non ci è parso molto diretto e lineare in questa direzione.Quando poi dichiarò che questa soluzione poteva essercisolo se tutti, nessuno escluso, erano d’accordo, c’era damettersi le mani nei capelli e da preoccuparsi. Le capacitàdi governo di questioni complesse ed importanti hanno pocoa che fare con simili impostazioni. Questo non significache non debbano esserci confronto e dibattito ampi e serrati,anzi! Questi vanno sollecitati e favoriti, perché possa poitrarsi, anche sulla base di quelli, la decisione migliore e piùappropriata. Pensare, però, che una decisione di governo(peraltro su una questione come questa) sia possibile (oltreche doverosa) solo se supportata dall’unanimità, è comeaffermare che si è ben lontani dall’intendere cosa significhigovernare. Tant’è. C’è stato un cambiamento positivo. Bene.Il dibattito in corso sta delineando non solo una eterogeneità(positiva) di posizioni nel merito della nostra sanità regionalee romagnola, ma anche una sorta di contrapposizione dischieramenti che non disdegna di riecheggiare le provemuscolari che da troppo tempo immiseriscono la politicaitaliana. A favore o contro l’Ausl unica romagnola. Con ilrischio che si piegano – anche un po’ maldestramente,magari – le analisi, le valutazioni, le argomentazioni dimerito all’una, o all’altra, delle posizioni assunte pre-giudizialmente e partigianamente. C’è il rischio di ridurrel’obiettivo dell’ AUSL unica della Romagna a una vicendadi carattere politico con riflessi in fondo poco significativinei confronti della qualità dei servizi sociali e sanitari perla popolazione della Romagna. O al più si può pensare chetutto questo nasca (esclusivamente) da quella carenza di

risorse che ormai la sanità lamenta con sempre maggioreurgenza. Non è così per chi, come noi, ha promosso esostiene la AUSL unica. Essa risponde a specifiche esigenzedi tipo sociale e sanitario. Nel contesto già chiaro ed evidente– per chi dei problemi non si accorge solo quando gli cascanoaddosso – delle crescenti difficoltà finanziarie per un settorecome la sanità in cui crescono i bisogni e in cui sono notevolii progressi scientifici e tecnologici. Risparmio, oculatezzadella spesa, si impongono comunque, in un settore in cuisi spende e si spenderà molto. Nel quale, però, ed è a questoriguardo che si deve intervenire, si è speso e si spende anchemale. Con le risorse finanziarie, che non sono infinite, sideve fare seriamente i conti. Con questa consapevolezza,la nostra proposta mira ad un quadro programmatorio chedia più qualità ed efficacia alla cura della salute dei cittadini.Che renda la spesa più produttiva ed efficiente. Non si trattasolo di risparmiare. Si tratta di fare una buona sanitàspendendo bene le risorse di cui si può disporre. Spendingreview ed emergenza finanziaria stringente sono scattate esi sono imposte alla generale attenzione fra il 2011 e il2012. Siamo ancora in piena emergenza. Taluni pensanopertanto che sia solo questo fatto che muove e motiva lariforma sanitaria di cui parliamo e sulla quale, invece,insistiamo dal 2009. Per molti questo è argomento percircoscrivere, ridurre e limitare la questione e quindi peravversarla. È una politica sbagliata e miope. Lo dicemmoallora: alla riforma dell’Ausl unica si deve arrivare permigliorare la nostra sanità, non solo e non tanto perchécostretti a fare di necessità virtù di fronte all’esigenza delcontenimento delle spese.Per comprendere quali sono le aspettative in termini diqualità dei servizi legate alla creazione della AUSL dellaRomagna occorre fare alcune premesse. Il futuro dellaqualità dei servizi sociali e sanitari si gioca combattendosu due fronti. Il primo è quello della risposta ai problemidi carattere clinico acuti e complessi, quelli che richiedonoun ospedale in grado di dare una risposta efficace sia allegrandi urgenze che alla attività programmata complessa adesempio di tipo chirurgico. Il secondo è quello di una rispostasanitaria e sociale alla cronicità e alla non autosufficienza.Questo fronte è destinato a diventare sempre più importantecon il progressivo invecchiamento della popolazione ed ilconseguente aumento delle persone a rischio di fragilitàsociale e sanitaria.I due fronti vanno presidiati contemporaneamente in quantouna aumentata efficienza, oltre che efficacia, del primo (ilfronte della assistenza ospedaliera complessa), libera risorseper il secondo (la risposta territoriale ai pazienti fragili, chenon sono solo gli anziani ma anche chi ha bisogno di unatutela nell’area della disabilità, della salute mentale e delledipendenze patologiche). Il modo più efficiente di gestirecontemporaneamente i due fronti è quello di concentrare ilprimo in un numero ridotto di sedi ospedaliere ad altaefficienza con forte dotazione di risorse anche tecnologichee di distribuire il secondo in modo da dare una rispostacapillare vicino alla realtà sociale del paziente (meglioancora cittadino) e dei suoi familiari.Come centri tutto questo con l’AUSL unica è semplice dacomprendere. Ridurre le Aziende da quattro ad una vuoldire concentrare le sedi decisionali e favorire in primo luogouna costruzione delle reti cliniche ospedaliere che favorisca

Specializzazioni ospedaliere. Più servizi sul territorio

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la massima concentrazione delle competenze e delle risorse.Per comprendere questo passaggio va tenuto presente che,soprattutto in area chirurgica, la qualità della assistenza èfortemente influenzata dai volumi di attività e dalle risorsetecnologiche disponibili. Vi sono molte attività chirurgicheche possono essere garantite in sicurezza solo se erogatecon elevati volumi di attività ed effettuate da operatori conuna propria esperienza professionale significativa. E’ ovvioche tutto questo lo si ottiene molto meglio concentrando leattività in un numero ridotto di sedi sfruttando semmai delleequipes mobili per lo svolgimento delle attività di minorecomplessità. La costruzione di queste reti cliniche deveavvenire con il coinvolgimento dei professionisti e con lacondivisione con cittadini ed amministratori che vannoaccompagnati a comprendere le motivazioni profonde, noncontingenti, di queste scelte.La gestione di queste reti richiede un mandato istituzionaleforte (qualcuno deve dire chi fa che cosa, dove e come) eforme di verifica e coordinamento tali da consentire che larete funzioni come tale conun rispetto da parte di tuttidelle scelte fatte. Questedebbono fare in modo che“tutti vincano”: i cittadinidevono avere un serviziomigliore, i professionistidebbono mantenere unruolo e prospettive di car-riera e gli amministratoridebbono ricavare recuperidi risorse in modo darispettare la program-mazione economica el’investimento sulla non-autosufficienza e sullacronicità.Proprio a proposito della cronicità si fa presente che anchein questo caso il potere programmare e gestire a livello diAUSL unica comporta altri vantaggi oltre a quello dellerisorse liberate da una più razionale rete ospedaliera.La risposta alla cronicità ha spesso bisogno di presidiare iterritori di confine tra le attuali Aziende ed ha bisogno dicreare alcune forme di residenzialità specializzata che malsi presterebbero ad una programmazione e gestione piùlocale.Questi principi molto semplici e di buon senso devono poiessere declinati operativamente innanzitutto attraverso unalettura della attuale offerta.Si sa ad esempio che sei strutture complesse di oculisticasono per una disciplina a prevalente operatività diurnaassolutamente troppe; così come le troppe unità chirurgichecon denominazioni fantasiose cui corrisponde poi unasignificativa mobilità passiva per alcune tipologie di interventicome quelli della area onco-ginecologica. Si possonoaggiungere le otto Unità Operative Complesse di ortopediae traumatologia che in assenza di una politica di rete rischianola non caratterizzazione e la dispersione delle competenze(si sa che nelle discipline chirurgiche non tutti sanno faretutto, anche se magari ci provano). Sempre in Romagnacontiamo almeno 4 strutture complesse di Nefrologia eDialisi, costituendo così un modello non rintracciabile innessun paese della comunità Europea. Anche i servizi sono

interessati da questa frammentazione che ammette grossimargini di razionalizzazione come nel caso della anatomiapatologica cui corrispondono cinque Unità OperativeComplesse.Queste problematiche vanno affrontate in modo trasparentee con criteri scientifici ovviamente nel rispetto dellasensibilità di cittadini ed amministratori che vanno coinvoltiin un processo che non vi è alcun motivo per far “subire”loro. Al termine del percorso, che certamente prevederàdecisioni non gradite a tutti, il servizio ai cittadini saràmigliore e di conseguenza ne beneficeranno sia gliamministratori che i professionisti.Le partigianerie pro o contro l’Ausl unica che al momentosi scontrano e polemizzano sulla stampa, dovrebberoentrambe fare un salto di qualità riflessiva e assumere unapiù profonda responsabilità. Più consona alla importanzadella questione che si affronta, la salute dei cittadini, e delruolo e delle funzioni (specie quelle istituzionali) che siricoprono. Ci vuole confronto, approfondimento, dibattito,

coinvolgimento,ampi e serrati.Questo, sì, è essen-ziale. Chi si attestasulle speciose que-stioni se le soluzionidevono muovere dalbasso invece chedall’alto traveste so-lo la sua volontà dinon voler approdarea nulla. Si solleci-tano così tutte lemaggiori arretratez-ze, culturali, sinda-cali, campanilisti-che. Si sollecitano i

conservatorismi peggiori; i carrierismi più immotivati; glielettoralismi più deleteri; i populismi più facili.Si pone invece una questione serissima quando si teme chetutto possa ridursi ad una legge mirata solo all’individua-zione del Direttore Generale della nuova Ausl, “con lafunzione di dominus della situazione, investito direttamentedal Presidente della Regione”. Non può essere un tema perostacolare la riforma che deve decollare il prossimo anno.Deve essere un tema che la riforma svolge in modo positivoed appropriato, così da evitare i timori, fondati, di cui sopra.Qualcuno ha anche parlato di “controllo democratico”.Conveniamo pienamente.Questo è terreno di confronto e di ricerca di soluzioni acui dedicarsi con molto impegno. Il Direttore Generale(una volta si parlava di manager) non deve essere un“Quisling”, un “Remirro De Orco”(figure, in parte anchepoco positivamente già sperimentate). Occorre un assettodi governance efficace, forte, ma anche democratico. Nonun semplice “dominus”. Qui occorre lavoro attivo, diconfronto e di ricerca di soluzioni appropriate, da parte ditutti, dalla Regione (di cui sarebbe interessante conoscereuna proposta innovativa).Il dibattito deve essere ulteriormente sviluppato e apertosu tutte queste problematiche, non per fermare ed impedireil processo di riforma che si è avviato, ma per farlo riccoe più spedito.

Verso la AUSL unica della Romagna

Specializzazioni ospedaliere. Più servizi sul territorio

di Giuliano Zignani*

Non si può tornare indietro

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o chiunque altro, tornasse indietro rispetto a questo percorso(che peraltro ha visto a diverso titolo e in diverse occasionil’approvazione di tutti siano essi amministratori e/o politici)dovrebbe ammettere che l’unico scopo e l’unico obbiettivoche lo guida è non il benessere della propria collettività maquello di ritagliarsi un posto da protagonista nel panoramapolitico/amministrativo locale, lo fa contro l’interesse dellacollettività e col solo fine di un tornaconto individuale ascapito dei cittadini della Romagna stessa. Venendo infattia tematiche ben più interessanti che il protagonismo di pochicredo sia giunto il momento di comprendere come potrebbeevolversi la discussione nelle prossime settimane e mesi.Sicuramente la esigenza prima per la concretizzazione delpercorso intrapreso sarà quello della emanazione di unaLegge Regionale che di fatto istituisca l’Azienda Unica diRomagna. Affinché il percorso possa essere “vissuto” econdiviso come dovuto, e affinché si possa avere un'unicaAzienda dal primo di Gennaio 2014, questa Legge dovrebbetrovare applicazione almeno entro le prime settimane diLuglio. La Legge che, naturalmente dovrà essere discussacon le Organizzazioni Sindacali e con tutti gli interlocutoridella nostra Regione dovrebbe affrontare la creazione della“Macro Struttura della nuova Azienda”, ovvero dare quelledirettive per creare le fondamenta dell’AUSL di Romagna.Fatto ciò, entro autunno, si dovrebbe entrare concretamentenel vivo della fase costituente l’Azienda, ovvero la definizione

dei Modelli organizzativi edel “Piano industriale” chedarà vita e forma in concretoal nuovo soggetto. La UIL econ essa Energie Nuove sindall’inizio hanno creduto inquesto progetto, progetto chepare ancor più indispensabileoggi, in presenza cioè di uncontesto Nazionale, in cui lerisorse scarseggiano ognigiorno sempre più e in cuitanto i cittadini quanto i la-voratori necessitano di cer-tezza sia per la propria occu-pazione sia, ancor più, per lagaranzia di continuità di quelWelfare che ha reso grandeil nostro Paese e, ancor più,la nostra Regione.

Non possiamo quindi in alcun modo lasciarci scapparel’occasione di salvare la Sanità Emiliano Romagnola dallatagliola in cui sempre più drammaticamente sono costrettii nostri servizi.Dobbiamo avere il coraggio, non solo di pensare in grande,ma di credere e lavorare in grande. Dobbiamo avere ilcoraggio di amministrare e concretizzare quella “Politica”,di cui ho parlato all’inizio, nell’interesse e per il bene di tuttinoi, ricordandosi sempre di non cadere nel tranello del-l’egoismo e del proprio tornaconto come un grande pensatorequale fu Spinoza seppe ottimamente rappresentare: “Gli uo-mini sono ben lungi dal poter essere facilmente guidati dallaragione; ciascuno è sospinto dai suoi personali impulsi alpiacere e gli animi spessissimo sono a tal punto dominatidall'invidia, dalla collera che nessun posto resta per la capacitàdi riflettere e giudicare”.

Se dovessimo oggi definire conun aggettivo il momento storicoe culturale che sta affrontandoil nostro Paese potremmo usaresolo un termine: decisivo.Quello che sta accadendo e cheè accaduto a livello politico inquesti ultimi mesi è l’evidentesegno di un ineluttabile cam-biamento che il cittadino hamaturato nel modo di pensare,di vedere e soprattutto pensarela Politica. Politica intesa comeun pensiero, un’idea che, se

concretizzata porta a un cambiamento positivo per unacollettività. Politica intesa come capacità di una classedirigente di riappropriarsi della propria visione di un Progetto“positivo” per la propria collettività attraverso una transizioneche porti a un “nuovo benessere” o, quantomeno, a unmaggiore benessere. E proprio il nostro Paese sta attraversandouna fase di transizione che coinvolge tutti i sottosistemi che lo compongono e che compongono il nostro agire comune.E’ innegabile come il nostro sistema produttivo si stiadrasticamente evolvendo, stia mutando dando vita anche astorture inaccettabili. Stessa cosa vale per il nostro sistemadi rappresentanza e per il modo in cui i cittadini intendonola “rappresentanza” e lapartecipazione democraticaalla vita pubblica. E’ evidenteche con le ultime elezioni ilPaese, nel suo insieme havoluto dare alla classedirigente un segnale, unultimatum: “… è tempo dipassare dalle parole ai fatti …”Non possiamo sottovalutare ilrisultato ottenuto dal Movi-mento 5 Stelle nelle ultimeelezioni e, per comprenderecosa stia a monte di quelsuccesso, dobbiamo com-prendere non tanto i singolimessaggi che il suo Guru halanciato, ma piuttosto qualesia la radice della proposta“Grillina” ovvero: “basta pa-role è tempo di fatti, basta proposte vogliamo azioni”, questoil messaggio ricevuto, condiviso e sostenuto da tante persone.Da questa premessa potrebbe apparire azzardato saltare allequestioni locali e parlare di sanità e azienda sanitaria unicaromagnola, ma se ci riflettiamo bene di fronte alla nostracomunità locale si pone il medesimo schema che tantodisturba i cittadini. Dobbiamo comprendere, prima di entrarenel merito dei temi di oggi, che non esisterebbe nulla di piùdisastroso in tutta la discussione sull’Azienda Sanitaria Unicadi Romagna, se non dopo tante parole e dopo tante promesse,quello di rivolgerci ai cittadini sostenendo che si è giocato,che tutta la discussione era in realtà figlia della solita politicaurlata e propagandata. Dobbiamo cioè essere tutti consapevoliche la via è tracciata e che il percorso che porterà all’AziendaSanitaria Unica di Romagna ha quale unico obbiettivo quellodel miglioramento del benessere e dei servizi rivolti alcittadino. Se oggi qualche amministratore, qualche politico *Segretario generale UIL Cesena

Verso la AUSL unica della Romagna

di Mattia Altini*

di confronto e operosa cooperazione messe in atto conquesto nuovo soggetto, la nascente Ausl Unica dellaRomagna.A plasmare queste modalità sarà, anzitutto, la missionfondativa dell’IRST, l'essere riferimento per nuove linee dicura, autonomo motore della ricerca oncologica avanzata;binari imprescindibili lungo cui muoversi saranno ancheprincipi e indicazioni definite dallo status di IRCCS. La“scientificità” riconosciuta al nostro Istituto con decretodell’8 marzo 2012 a firma del Ministro Renato Balduzzinella disciplina di “terapie avanzate nell'ambito dell'oncologiamedica” ci impone e sprona di perseguire quella che è lanostra natura di cura e ricerca, offrendo differenti canali direperimento fondi da quelli messi a disposizione per lafinalizzata ai bandi per giovani ricercatori. L’oncologia èancora, in ampia misura, un branca in cui l’assistenza clinicae lo studio non possono procedere disgiuntamente ancheperché le malattie oncologiche vedono sempre maggiorerilevanza epidemiologica.Restando nell'alveo IRST, gli oltre 14.400 pazienti presi incarico nel 2012 nelle tre sedi operative dell'Istituto Tumoridella Romagna (Meldola, Forlì e Cesena) dalle varie unitàe servizi, sono un dato purtroppo destinato a crescere, cherichiede di predisporre risposte nuove, assecondare altresfide. Per affrontarle crediamo sia necessario immaginareun nuovo modello, slegato da rapporti semplicisticamenteunivoci improntati sullo schema richiesta-servizio erogato,invece in grado di offrire una lettura totale delle esigenze

di un territorio uniforme com'è quello della Romagna, unmodello “popolazionale”.Le enormi potenzialità in parte già espresse dall'IRSTIRCCS sia dal punto di vista della ricerca sia da quello delreperimento fondi, unite all'adesione a tutto tondo alledinamiche delle popolazioni, è evidente come possanoportare a una proficua ricaduta, un’ulteriore crescitaqualitativa e innalzamento delle risposte a tutto beneficiodella cittadinanza.

*Direttore Sanitario IRST di Meldola

Nuove sfide per l'IRST

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Se la vera “sfida” è continua-mente superare se stessi, farloimmersi in un contesto in fortecambiamento assume eviden-temente ancora più valore.L'Istituto Scientifico Roma-gnolo per lo Studio e la Curadei Tumori IRST – qui intesocome una totalità che al suointerno ha già saputo ricono-scere e insieme esaltare il ruolodi guida del pubblico così comequello di propositiva par-

tecipazione proprio del privato sociale – nel corso dell’ultimoanno, ha intrapreso un cammino di duplice crescita.Parallelamente al complesso percorso avviato con l'ot-

tenimento dello status di Istituto di Ricovero e Cura a Ca-rattere Scientifico (IRCCS) – percorso iniziato nel dicembre2009 con l'inoltro alla Regione Emilia-Romagna dellarichiesta di avvio del procedimento e concluso l'anno scorsodopo lunghi e articolati passaggi volti a definire l'intrinsecovalore assistenziale ricoperto per i nostri territori e il ruoloassunto nel sistema della ricerca nazionale – l’IRST operaall’interno di un panorama che sta cambiando volto, ri-modellato dalle forze centripete della contrazione neitrasferimenti statali e delle revisioni di spesa. Un contestoche coinvolge direttamente l’IRST come tutti i suoi piùimportanti interlocutori, in primis la Regione e le AziendeSanitarie Locali romagnole.La strada intrapresa dalla Regione e dalle aziende di Cesena,Forlì, Ravenna e Rimini a fronte di questi processi edell'ineludibile necessità di rivedere ogni prospettiva inottica più ampia, è quella della razionalizzazione, puntandoa concentrare competenze, disponibilità e politiche in unarticolato progetto di unificazione.E, indubbiamente, tanta parte dei temi che in futuro sarannoal centro delle decisioni del nostro Istituto, testerà le modalità

Verso la AUSL unica della Romagna

ai cittadini. E' necessario un sistema di controllo dellaqualità delle prestazioni erogate da entrambi gli attori(pubblico e privato) e della congruità dei pagamenti effettuaticol sistema dei Drg (Diagnosis Related Group) cheattribuisce a ogni prestazione sanitaria un valore standard.Il controllo deve essere garantito da un'autorità terza rispettoai due attori; ora, invece, sul fronte della sanità pubblicail controllore coincide sostanzialmente col controllato,mentre sul fronte privato il controllore è in competizionecon il controllato. Va da sé che il contenimento dei costi,indispensabile, auspicabile e certamente realizzabile, nonpuò essere attuato a scapito della sicurezza e dell'adeguatezzadelle prestazioni, pericolo a cui sono esposti sia i soggettipubblici che privati: vanno rispettati gli standard dei paesisocialmente ed economicamente più evoluti.Attualmente l'attività di ricovero delle case di cura privateaccreditate è regolamentato da un accordo quadro regionalestipulato dalla Regione Emilia-Romagna con l'associazioneAiop che raggruppa gli ospedali privati accreditati. I budgetnon sono adeguati alle capacità produttive delle strutture

e alla richiesta di prestazioni daparte dei cittadini, ma si rifannoa un dato storico di fatturato risa-lente a 15 anni fa, senza tenereconto dell'evoluzione qualitativa,tecnologica e professionale dellestrutture. Le case di cura utiliz-zano la loro restante capacità pro-duttiva accogliendo pazienti daaltre regioni, creando così unindotto a beneficio del territorioin cui sono ubicate.La costituzione di un'Ausl unicaromagnola potrebbe essere l'occa-sione per superare la parceliz-

zazione delle contrattazioni che ogni struttura privata ècostretta a fare con le ausl dalle quali provengono i propripazienti; non solo ci sarebbe un interlocutore unico sulpiano negoziale, ma anche uniformità di regole sul controllorelativo all'appropriatezza dell'attività.Sarebbe così favorita la mobilità dei cittadini all'internodell'area vasta, consentendo di usufruire dei vari punti dieccellenza presenti in Romagna. Le strutture private,investendo in professionisti, tecnologie, innovazioniorganizzative, collaborazioni con università, hanno infattisviluppato negli anni diverse eccellenze grazie alle qualiattraggono anche molti pazienti da altre regioni.In sostanza la nascita dell'Ausl unica romagnola, previstaper il 1° gennaio 2014, potrebbe essere l'occasione pervarare una politica sanitaria che tenga conto della capacitàdi offerta degli ospedali privati, e in un momento in cui lerisorse scarseggiano e forse il numero delle prestazionierogate dalla rete ospedaliera pubblica dovrà ridursi, sarànecessario considerare che le strutture private accreditatehanno una capacità produttiva largamente superiore a quellaattualmente utilizzata dal sistema sanitario regionale.Insomma, è il momento di passare dalla penalizzazione delprivato a una vera sussidiarietà, dove il pubblico non devefare concorrenza al privato, ma utilizzarne appieno lepotenzialità e verificare che la qualità delle prestazionierogate sia sempre al massimo livello.

Coinvolgere le strutture privatedi Paolo Morelli*

I l 16 apri le scorso hopartecipato alla cerimonia disaluto alla direttrice generaledell'Azienda Usl Maria Ba-senghi, che ha dato le dimis-sioni dopo 11 anni trascorsi aCesena, e all'insediamento alsuo posto di Franco Falcini,promosso da direttore ammi-nistrativo in attesa della nascitadell'Ausl unica romagnola.Avvolti da un'atmosfera sur-reale che ha cancellato con-trasti e aspre polemiche anche

recenti, c'erano diversi sindaci del comprensorio cesenatecon tanto di fascia tricolore, rappresentanti delle forzedell'ordine, dei sindacati, dirigenti dell'Ausl e semplicicittadini. Mi ha colpito l'assenza di qualsiasi esponente dellestrutture sanitarie private, che pure sono convenzionate conl'Ausl e quindi parte rilevante dell'offerta sanitaria eassistenziale del Cesenate.Ho pensato a una forma di pro-testa contro i tagli che proprio inquei giorni la Regione Emilia-Romagna, per tramite dell'Ausl,stava imponendo alle prestazionidei privati in regime di con-venzione, ma mi è bastato chie-dere qualche informazione perscoprire che non erano statiinvitati.Non me lo sarei mai aspettato,soprattutto a Cesena dove l'offertaospedaliera privata, con le casedi cura San Lorenzino e MalatestaNovello, che i cesenati chiamano ancora familiarmente'Monopoli' ricordando il medico che la fondò, è semprestata un complemento fondamentale della sanità pubblica.Anzi, sono molti i cesenati che preferiscono ricorrere allecase di cura private ritenendole strutture più vivibili dalpunto di vista dell'ospitalità e del rapporto umano colpersonale, ma anche affidabili dal punto di vista sanitario.In realtà ci sono prestazioni sanitarie che solo il serviziosanitario pubblico può correttamente e coerentementeerogare, ma ce ne sono altre che, per le loro peculiarità,possono e devono essere erogate esclusivamente dal serviziosanitario privato accreditato, senza inutili duplicazioni emaleinterpretate competizioni che portano solo a incrementidi costi che non sono giustificati da incrementi di quantitào qualità delle prestazioni. In un sistema che vede le strutturepubbliche in crescenti difficoltà a soddisfare la domandadi prestazioni sanitarie, anche a causa della riduzione dellerisorse disponibili, è sempre più necessaria un'integrazionefra servizio pubblico e privato, che è in grado di fornire aicittadini prestazioni di qualità analoga a costi inferiori.Che i cittadini avvertano questa esigenza, e che ci siaqualcuno pronto a soddisfarla, è evidenziato dalla nascitanegli ultimi anni di numerosi poliambulatori e strutturesanitarie private diffuse sul territorio. E' evidente che unapolitica sanitaria moderna e spogliata dall'ideologizzazioneche fino a ora l'ha caratterizzata, deve farsi carico di questoproblema e risolverlo mettendo in primo piano l'assistenza *Giornalista Resto del Carlino e Teleromagna

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Quale Romagna?

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di Oliviero Widmer Valbonesi*

attraverso l'on. Servadei, ha tentato l'idea secessionista dellaRomagna cercando di impossessarsi di una tradizionerepubblicana che alla Costituente, con il sen. Spallicci, avevasostenuto l'idea della regione Romagna ma non come secessione,bensì nell'ottica di uno Stato Federale.Questa battaglia fu, poi, abbandonata quando fu chiaro che loStato non sarebbe stato federalista, accettando l'emendamentoMortati che aveva previsto un iter preciso per la costituzionedi nuove regioni. In due dibattiti, uno alla sala Zambelli dellaCamera di Commercio e l'altro nella trasmissione televisivaPing Pong presso l'emittente Teleromagna quando avevocontrobattuto le ragioni di Servadei argomentando le ragioniper cui in tempi di globalizzazione la battaglia per l'introduzionedi nuove regioni era sbagliata. Portai in televisione anche undocumento recuperato in emeroteca da cui emergeva che,quando Spallicci faceva la battaglia autonomistica per laRomagna, l'on. Servadei, segretario del PSI di Forlì, partecipòad un convegno regionale a Castrocaro e probabilmente votaun documento dove si sosteneva che la regione Romagna nonsi doveva fare e che la regione doveva chiamarsi Emilia e basta,togliendo quella pari dignità che il trattino assegnava allaRomagna e che solo il prestigio del repubblicano Ciro Macrelliimpose alla Costituente.Quella che segue e un po' la mia storia nelle istituzioni enell'ambito professionale, attraverso le prese di posizione chein quarant’anni ho assunto per discutere i problemidell'integrazione della Romagna e dell'intero territorio romagnolo.Comincerò dagli anni Ottanta, quando la condizione economicae sociale di assoluta crisi portò i repubblicani di Forlì ad entrarein Giunta col PCI e il PSI ponendo precisi punti programmaticid'integrazione d'area, già elaborati nel convegno programmatico"Forlì anni '80". Ricorderò quel periodo attraverso una polemicache ebbi molti anni dopo con Alessandro Guidi, socialista, ex-presidente della Provincia di Forlì, il quale cercò di spacciarequello che un vero evento storico,vista l'avversione reciprocafra comunisti e repubblicani in Romagna, come un atto disottopotere e non come una necessità dovuta alla grave crisidel territorio forlivese. Fui io stesso a leggere il programma anome della maggioranza. In quel programma c'erano chiaririferimenti al ruolo di programmazione che doveva svolgere laregione e alla politica di riequilibrio verso la Romagna cheoccorreva fare attraverso un'infrastrutturazione di areametropolitana romagnola. Riporto la parte infrastrutturale e,nelle note, il programma integrate. A dieci anni dall'insediamentodelle regioni esaminai, con una relazione all'hotel della Cittàdi Forlì, il quadro di riferimento regionale proposto dalla Giuntadi Lanfranco Turci, alcuni convegni sugli statuti per, poi, passarea quel prima dibattito con Servadei. Pubblico anche alcunerelazioni che svolsi professionalmente come coordinatore delleLeghe provinciali delle cooperative della Romagna e comecoordinatore del Comitato Romagnolo dei Trasporti ,checomprendeva tutte le organizzazioni della Romagna del settoretrasporti, per arrivare ai giorni nostri dove sta, nascendo laProvincia di Romagna sulle ceneri delle tre province Ravenna,Forlì-Cesena e Rimini, che io considero un errore, individuandoin alternativa un percorso che dia funzioni forti, strumenti diintegrazione, risorse e dignità costituzionale alla Romagnaproponendo la Città Metropolitana Romagna. Nelle note riportoanche documentazione di un convegno fatto dieci anni fa suidistretti culturali, dove già individuavamo la Romagna comepossibile distretto culturale capace di portare cultura e sviluppoin tutto il territorio, tenendo legate le proposte in un unicoprogetto culturale e turistico. Oggi la candidatura di Ravennacapitale europea della cultura avrebbe sicuramente un altroappeal e buone chances di riuscita.

Sarà perché le vicissitudini dellavita mi hanno portato a nascere,vivere e studiare a Ravenna, spo-sarmi a Cesena, lavorare e farepolitica nelle istituzioni di Forlì.Sarà perché in gioventù ho fre-quentato le estati riminesi eprofessionalmente ho seguito an-che alcune categorie di impren-ditori privati di quella provinciaconsorziati in cooperative, saràperché la cultura repubblicanami ha insegnato fin da piccolo iprincipi della libertà e dell'indi-

pendenza inseriti nel contesto europeo e che il cosmopolitismoavrebbe portato conoscenza, pace,e fratellanza fra i popoli. Saràperché sono nato a San Zaccaria, esattamente a quindicichilometri da Ravenna, da Cesena e da Forlì e mio compaesanoè stato il Prof Icilio Missiroli, che fu Sindaco repubblicano diForlì e padre dell'idea di integrare i servizi idrici della Romagnacon la diga di Ridracoli, poi realizzata dal sindaco Zanniboni.Sarà per tutti questi motivi che non mi sono mai appassionatoal campanilismo sfrenato che è il tratto fondamentale degliabitanti della Romagna e che ha impedito una vera integrazionein reti di servizi territoriali. A San Zaccaria non si era di SanZaccaria, ma si abitava in "su o in giù" a seconda che si abitassea sud o a nord della via Palavese, il cui confine era la mezzeriadella strada. Si era di borghetto 1° o borghetto 2°, e ci si sfidavain gare di calcio e di atletica. Quando mi sposai andai a viverea Diegaro e anche lì c'era Diegaro 1° e Diegaro 2°. Ricordo chei castiglionesi si sposavano tra di loro, e che il matrimonio fracastiglionesi di Ravenna e di Cervia, divisi solo dal fiume Savio,era una rarità. Ricordo che dovendo ristrutturare i circolirepubblicani, presenti in tutte le .frazioni romagnole, e fare ilcircolo nuovo a Carpinello, lungo la via Cervese, la propostadi fondere le due sezioni e cooperative di Carpinello e VillaRotta distanti non più di un mezzo km trovò, non ostacoli, maun muro: Villa Rotta non sarebbe mai finita sotto quei “braghir”presuntuosi di Carpinello, per cui rimasero due sezioni e duecircoli.Lo hanno fatto poi in questi giorni, mantenendo i due circolie fondendo le cooperative. Ricordo che non è mai corso buonsangue tra Riccione e Rimini, tra Milano Marittima e Cervia,tra Bertinoro e Forlimpopoli. Potrei proseguire con mille esempianche professionali per dimostrare che questa vena campanilistaè stato il tratto distintivo dei romagnoli, e che l'immagine dellaRomagna compatta era più una protesta contro il predominiodi Bologna che una cultura acquisita dell'integrazione. Dasempre ho creduto che prima bisognasse fare i romagnoli e poila Romagna, ma questo non mi ha mai impedito nella miaattività politica e professionale di portare avanti la cultura diun'area integrata che può essere un grande momento di sviluppoper le future generazioni. Ho deciso di raccontare attraverso idibattiti, gli scritti, i documenti, gli studi e la conoscenza direttadell'economia dovuta alla mia attività professionale - che miha portato a dirigere e coordinare due strutture politico-sindacalidi livello romagnolo: il coordinamento delle Leghe provincialidelle cooperative romagnole, e il coordinamento di tutte le sigleimprenditoriali dell'autotrasporto romagnolo - ciò che vadoripetendo da circa quarant'anni, per mettere in evidenza comeuna classe politica egemone abbia scialacquato quest'idea innome del campanilismo o del puro calcolo politico contingente,come ha fatto il PCI_PDS_DS_PD che, in condizione diomogeneità politica e di partito di maggioranza relativa, èsempre stato succube della politica regionale senza mai veramenteperseguire l'unità sistemica della Romagna; o come il Mar che, *Autore del libro

Il libro

La dura vita del laicodi Alessandro Carli

La realtà è una variabile in movimento dinamico, per costruirela propria opinione, che non è mai assoluta, il laico mette indubbio prima di tutto le passate convinzioni, cercando,attraverso una continua analisi, la migliore sintesi per renderlepiù rispondenti al mutare dei tempi. Il laico fa i conti con leproprie scelte, con le rinunce implicite che ogni sceltacomporta, non confonde il pensiero con le convinzionefanatiche, il sentimento autentico con le reazioni viscerali,rispetta le convinzioni altrui, tollera per gli altri quello cheper lui non si concede, non è fazioso, non è influenzabile dapersonalità forti. Per questo il laico sa aderire ad un'ideaconservando l'indipendenza critica, sa seguire un ideale senzarestarne succube, può impegnarsi politicamente mantenendola propria capacità di sintesi, può essere credente senza esseredogmatico, può seguire un Capo senza essere servile nonavendo il culto della personalità. “So di non sapere” (Socrate).L'insicurezza sulla validità delle proprie opinioni ecomportamenti spinge il laico ad una continua ricerca dellaverità che possa essere confermata dalla realtà. Ma è unaricerca che non trova fine. L'insegnamento filosofico diSocrate può essere ricordato come un chiaro esempio dilaicità: pur essendo stato individuato come il greco piùsapiente di tutti, fu condannato a morte perché accusato dinon riconoscere gli Dei tradizionali e di corrompere, con lesue opinioni, la gioventù ateniese. La sua convinzione chela maggior sapienza sta nel “sapere di non sapere” o nel “noncredere di sapere anche se si sa”, fa emergere l'elementoessenziale nella formazione culturale del laico: il Dubbio.Proprio il “dubbio” rappresenta il filtro iniziale dell'analisiinteriore del laico, la messa in discussione dei precedenticonvincimenti e l'analisi della loro reale efficacia. A questopunto potrebbe sorgere una legittima domanda: in che cosacrede un laico? “Il cielo stellato sopra di me, la legge moraledentro di me” (Immanuel Kant) Etica e Morale sono allabase delle opinioni e dei comportamenti laici: etica comedefinizione di comportamenti dei singoli nei confronti deipropri simili e il rispetto delle rispettive libertà, e moralecome rispetto delle norme che una società si è data per ilbene comune. Il laico rispetta questi valori, etici e morali,si muove affiancato dal dubbio e con la certezza che solo ladedizione, l'impegno costante all'analisi, allo studio e alriscontro pratico delle proprie opinioni o delle proprie ideepossa soddisfare la propria personale ricerca di verità, anchese temporanea perché gli eventi richiederanno nuovi processianalitici.Queste caratteristiche fanno sì che il laico sia difficilmentecatalogabile in strutture rigide (dogmi religiosi, ideali politici,dottrine economiche, ecc...) ed è per questo che è destinatoad essere in posizioni di minoranza.La maggior parte delle persone, infatti, è più portata adassumere opinioni “di massa” e a seguire comportamenti“gregari”, più facili e tranquillizzanti, piuttosto che metterein discussione le proprie convenzioni culturali. Ma nonsempre la “massa” ragiona nel modo corretto.“Non bisognadimenticare che tutto quello che Hitler fece in Germania eralegale” (M.L. King). La scelta laica è quindi la più difficileda seguire in quanto presuppone un impegno responsabilealla formazione di una propria opinione, partendo dal“dubbio”, dalla tolleranza e rispetto delle opinioni altrui,dalla messa in discussione dei propri principi nellaconsapevolezza che il mutare dei tempi può modificarne laportata. Ecco perché il laico ha una vita più dura.

“Dio è morto, Marx è morto edio non mi sento troppo bene”(Woody Allen)Recentemente mi sono trovatoa scambiare alcune valutazionesulle risultanze delle elezionipolitiche del febbraio scorsocon un amico.Lui, ex comunista, ed ora suposizioni democratiche, io dasempre su posizioni minoritarieliberali con rappresentanzaparlamentare storicamente

esigua. Nel nostro scambio di opinioni mi sono più voltetrovato a disquisire sulla differente forma di laicità dellenostre rispettive posizioni. A mio parere io partivo daconvincimenti laici “puri”, lui, al contrario, con opinionimediate da filtri culturali di riferimento che non lo mettevanoin condizione di elaborare compiutamente idee personali.Provenendo dalla cultura ex-comunista e, attualmente, legatoad una logica politica alla quale conformarsi, non potevaanalizzare con distacco la situazione politica che si era creatagiungendo quindi a formulare ipotesi che poi si sono scontratecon l'evoluzione politica. In ogni caso, quella discussione,mi ha portato a riprendere in esame il diverso concetto dilaicità che legava le nostre rispettive posizioni ma che, allostesso tempo, ci divideva ispirando una riflessione personalesul concetto di “laicità”. Da queste riflessioni è nata questapersonalissima elaborazione che non può, proprio per laprovenienza ideale, cercare di spostare convincimenti altruima può essere di supporto a coloro che, non avendo a fuocoil concetto di “laicità”, possono trovare spunti di meditazione.Innanzi tutto è bene, a mio avviso, mettere subito da parteil preconcetto superficiale che vuole il “laico” contrappostoal “cattolico”. Vero è che nell'antichità la Chiesa individuavacol temine “laico” il “popolo”, coloro i quali, semplici fedeli,rimanevano separati dagli officianti la funzione religiosa.Nel gergo moderno, o nelle convinzioni più comuni, coltermine “laico” viene identificato colui che non è legato aqualsivoglia autorità ecclesiastica o religiosa, oppure vieneaccostato ai concetti di “ateismo” e “agnosticismo”, o, infine,nell'accezione politica viene individuato come “anticlericale”.In realtà la “laicità”, non identificandosi aprioristicamentein alcun “credo” preciso, non essendo condizionata da nessunafede, non seguendo alcun “dogma” ideale (quindi anchepolitico, economico, sociale e non solo religioso), non avendoil culto della persona, potrebbe essere più simile al“pragmatismo”: la tendenza a dare più importanza all'attivitàche produce effetti pratici sulla realtà ovvero ad avvalorarela validità delle teorie dopo la loro verifica pratica seguendoun concetto socratico che vuole che “le parole troverannocredito quando i fatti daranno certezze”. Per questi motivila “laicità” proprio perché non circoscrivibile dentro i contornidi una dottrina, non può essere contrapposta ad altre dottrine,religioni, teorie o ideali rigidi. “Agisci solo in base a quellaregola che tu desidereresti diventasse legge universale”(Immanuel Kant). A mio parere il laico, nel modo di affrontarei problemi, si avvicina molto ai canoni illuministici: unapersona che, essendo priva di pregiudizi e preconcetti,sintetizza le proprie convinzioni attraverso l'analisi, lo studio,l'articolazione di un ragionamento logico che possa avereuno sbocco reale e non una semplice speculazione dialettica.

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Culture a confronto

Dalla storia, sollecitazioni. Non solo un ricordo

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di Denis Ugolini

Il prossimo 5 giugno ricorrono trent’anni dalla scomparsa di ungrande della nostra storia cesenate e non solo. Antonio Manuzzi.Un grande Sindaco di Cesena. Fu anche Presidente del Comitatonazionale di liberazione. Dal ’56 condusse una Giunta monocolorerepubblicana con appoggio del Pci. Un’alleanza difficile, che ilsenso di responsabilità delle parti rese possibile nell’interessegenerale dei propri concittadini. Seguirono le giunte di centrosinistrafino al ’70. Manuzzi e Cesena furono apripista di quell’esperienzapolitica che superava il centrismo ed ampliava la base democraticadei governi del Paese, in presenza di un grande Pci che si collocavasu posizioni filosovietiche ed antioccidentali. Una sintoniafortissima con Ugo La Malfa che all’occidentalizzazione dell’interasocietà italiana volgeva la sua azione politica, la sua polemica eil suo confronto a sinistra con il Pci. La coincidenza del 5 giugnorichiama automaticamente il ricordo di uno dei maggioriinterlocutori di Ugo La Malfa e del suo incalzare la sinistracomunista sul modello di sviluppo e sui problemi di una societàmoderna europea e dell’occidente. Giorgio Amendola. Scomparvein quella data del 1980. Proveniva da una educazione familiareintrisa di cultura liberale e democratica. Il padre, GiovanniAmendola; nella cui Unione democratica, fra i giovani, cominciòla sua battaglia politica Ugo La Malfa.La coincidenza della data richiama la memoria di questi duegrandi senza che in noi vi sia velleità di forzare parallelismi, o diincedere in domande insensate del tipo “ cosa avrebbero fatto, odetto, questi personaggi, oggi, di fronte alla situazione in cui citroviamo?”. Riandiamo al valore della loro esperienza storica eculturale, per trarre motivi di riflessione. E a questo propositoessi di sicuro sono di grande stimolo e impulso. Tonino Manuzziè quello che ho conosciuto meglio e di più. Una frequentazioneassidua, non priva di un sincero affetto da parte sua che ancorami commuove. Una straordinaria scuola morale, culturale epolitica. Di Giorgio Amendola ho seguito molto i suoi scritti,quelli su Rinascita, i suoi libri. Riletto e da rileggere, èstraordinariamente bello, “Una scelta di vita”. Rende bene unospaccato della riflessione amendoliana – essa stessa motivo, fraaltri, dell’assidua interlocuzione culturale e politica con Ugo LaMalfa – il giornalista Paolo Franchi, nel suo bel libro “la traversatada botteghe oscure al quirinale” su Giorgio Napolitano, che diGiorgio Amendola fu massimo prosecutore. “Amendola chiamain causa con estrema durezza le debolezze politiche e culturalidel Pci e dei sindacati nella lotta contro l’estremismo e la violenzapolitica, contesta miopie, massimalismi, cedimenti, opportunismie silenzi. Ma lo fa mettendo sotto accusa l’intera linea di politicaeconomica e sociale della sinistra negli anni settanta, a dir pocosubalterna, a suo giudizio, a un modello fondato sul circuitoperverso inflazione-svalutazione-scala mobile. Attacca molto lacritica del carattere alienato del lavoro in fabbrica sviluppata dalPci e dalla sinistra sindacale: << Non c’è solo il lavoro ripetitivoin fabbrica che non dà soddisfazione al legittimo bisognoindividuale di vedere riconosciute le proprie qualità personali,non credo che tale soddisfazione sia data dal lavoro dei commessinei grandi negozi, o da quello dei netturbini. Ma allora chi faràtali lavori? I lavoratori immigrati, turchi, o tunisini, come li fannogli emigrati italiani in altri paesi?>> e mette sotto accusa anche<<l’accettazione acritica della politica degli incentivi>>, la difesadel posto di lavoro ad ogni costo e in qualsiasi condizione, l’ideasbagliata che ci si è fatti della disoccupazione, dimenticando chequesta è <<concentrata in alcune zone del sud>> e riguardasoprattutto giovani laureati e diplomati le cui aspirazioni sono<<in prevalenza quelle di un impiego pubblico stabile e conprospettive di carriera e di pensione già in partenza assicurate>>.”“Napolitano riconosce che molte delle critiche di Amendola eranofondate…Molte di queste conquiste (sociali) – è Napolitano cheparla – come l’aggancio delle pensioni ai salari, ma anche il puntounico di contingenza del 1975, e la stessa riforma sanitaria del1978, Amendola le considerava insostenibili… Ma con l’eccezionedi Amendola, la drammaticità del problema non la vedemmo. In

una certa misura fummo corrivi con la Dc nell’idea che bisognasseallargare i cordoni della borsa senza una forte redistribuzionedella ricchezza: questo era considerato, nei fatti, l’unico modoperché i ceti dominanti le accettassero e le assorbissero”. Dicevo:stimoli e impulsi alla riflessione. Utili ancor oggi.Di Antonio Manuzzi ho riletto in questi giorni alcuni suoi interventiin Consiglio comunale, quando era Sindaco; sono riandato conla memoria e a rileggere di un congresso comunale dei repubblicanicesenati in cui volli che a Tonino fosse dato un riconoscimentoaffettuoso che voleva sottolineare il grande apporto da lui datoa Cesena, alla cultura amministrativa, alla politica. Il suo mododi amministrare da “Sindaco di tutti”, senza neppure l’ombradelle autoreferenzialità che immiseriscono vasti panorami odierni;il rigore finanziario; l’anticipatrice visione programmatoria delterritorio, del decentramento partecipativo della sua Giunta;l’attenzione alla crescita ed allo sviluppo. Tonino era anche uomodi impresa, di cultura imprenditoriale moderna. Iniziatore epromotore di cooperazione. Un leader politico. Avrebbe potutoassurgere a scranni parlamentari e gli veniva sollecitato. Ma ilparlamentare repubblicano era il suo amico Cino Macrelli (unaltro grande della nostra storia locale e nazionale). Nel ’70 potevatranquillamente andare nel primo Consiglio regionale. Lasciòcampo libero ad altri. Terminò l’impegno politico attivo in primapersona. Non terminò la sua passione, il suo apporto costante, lasua attiva vicinanza ed influenza. La sua sincera ed affettuosaamicizia. Serbo ancora una profonda immutata gratitudine. Unsentimento che anche altri, sono sicuro, condividono. AntonioManuzzi è stato una personalità di rilievo. Figlio e parte, per unverso, e, per altro, straordinario, autorevole e originale soggettoattivo della gande tradizione laica, democratica e repubblicanache è tanta parte, in particolare, della storia cesenate e romagnola.Anni addietro volli che di quella tradizione e cultura di originerisorgimentale ne approfondissimo la conoscenza e necomprendessimo il suo dispiegarsi. Promossi l’edizione di unlibro, straordinariamente curato e confezionato dal Prof. MaurizioRidolfi: “Dalla setta al Partito”. Ha avuto fortuna negli ambientiaccademici ed universitari, nelle facoltà di storia contemporanea.Più di quanta ne ebbe fra quanti avrebbero potuto arricchire dimaggiore conoscenza la tradizione di cui son parte e chepartecipano con passione anche se preminentemente soffermandosie stringendosi ai riti e a certi stereotipi formali di quella. Adessostiamo preparando un bel poderoso progetto, storiografico, suquesta nostra tradizione e su questa cultura, così significative pere nella nostra realtà.Da dove arrivò quel libro, fine ottocento, agli anni attuali, vigiliadi quelli di cui è ancora la cronaca che si occupa. Anche la figuradi Antonio Manuzzi, insieme ad altre, risalterà indubbiamenteper ruolo ed importanza. Non a caso l’idea è maturata riflettendosulla prossimità di questo trentennale. Ogni volta ne ricaviamomoniti, stimoli. Anche adesso, anche se siamo in situazioniprofondamente cambiate. Non ne cambia il peso il fatto che oggi quello che fu lo strumento politico che più incarnò e innervòquella tradizione, il Pri, non abbia più i numeri e la fattezza cheebbe ed ha avuto. La figura di Antonio Manuzzi come la culturapolitica che fu anche sua, non si esauriscono e non si restringonoin specifiche vicende elettorali. Ecco il crinale di una riflessioneimpegnativa ed esaltante: su una tradizione ed una cultura, nonriducibili a vicende episodiche che non ne possono alterare eneppure ridurre – per una impossibile e insensata equazioneproporzionale – l’importanza, la profonda e vasta pervasivitàsociale che lungo la storia si è andata a radicare, espandere erinnovare. Semmai è utile pensare a come, in tempi e situazionicosì mutati ed in rapida evoluzione, si può e si deve assecondare,innovare e favorire ulteriormente il processo evolutivo e dirinnovamento di quella tradizione e di quella grande cultura laicae democratica. Anche a queste riflessioni induce il monito cheorigina dal ricordo affettuoso di Tonino Manuzzi. A trent’annidalla sua scomparsa.

5 giugno. Antonio Manuzzi. Giorgio Amendola.

Ci vorrebbe una forza, un movimento, un gruppo...

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Verso il 2014. Anno di elezioni amministrative, anche aCesena. Per eleggere Sindaco e Consiglio comunale. Dopole elezioni politiche del febbraio scorso, quella scadenza siè fatta di grande attualità. Si è messo in moto un granfermento politico. Molto estemporaneo, per il vero. Nellanostra realtà è assente, da tempo, infatti, un vero dibattitopolitico. C’è molto chiacchiericcio su intenzioni di listeelettorali, su alleanze. Molto fumo, per il momento. Moltareazione d’impeto al risultato delle politiche di febbraio. Ilbuon risultato dei pentastellati ha squassato, anchelocalmente, i rapporti di forza. I locali grillini sentono unforte vento a favore. Pensano un ballottaggio per il sindaco(nel 2014). Il Sindaco attuale è subito corso a dichiarareche le cose proposte dai grillini alle precedenti amministrative(quattro anni fa) le ha già realizzate (è vero?). Come direche gli elettori di quel movimento possono benissimoritrovarsi nel sostegno al Sindaco, il prossimo anno. Qualcunopensa che siano quelle le ragioni del buon risultato allepolitiche del M5S?Ancora il Sindaco hapoi proposto che per ilnuovo candidato sin-daco, l’anno prossimo,il suo partito (Pd) facciale primarie. Lui stessoconcorrerà, avendo fattoun solo mandato.Populismo? I ragazzipentastellati intanto han-no cominciato a divi-dersi fra loro. Forse pen-sando a chi dovrà essereil candidato sindaco delM5S. Già si parla di unalista civica di sostegnoall’attuale Sindaco (sen-za attendere il risultatodelle primarie?). Voci diun rassemblement alter-nativo all’attuale maggioranza sono insistenti. Molta marettac’è un po’ ovunque, dentro le singole sigle partitico-politichee fra di loro. Insomma pare si stia delineando un primoabbozzo estetico dello scenario futuro dei vari posizionamentipreelettorali.Le coordinate su cui spendere un qualche ragionamento cisembrano queste. L’attuale Sindaco (con o senza primarie)guiderà Pd, Sel e qualche altra lista ad hoc, per continuarequesta amministrazione comunale.Riferimento: un ancor consistente elettorato di sinistra doc;l’apporto di un sistemico collateralismo assai organizzato;l’effetto elettorale non trascurabile della gestione e dellaspesa di questo pluridecennale sistema amministrativo e dipotere; il dispiego comunicativo e propagandistico (assaiagevolato), di sicuro effetto-immagine. Sarà in campo ilM5S con molti “vaffa” e forse anche qualche proposta.Avrà molti elettori, magari meno che alle politiche. Divarietà notevole, ma accomunati da forte arrabbiatura. Cisarà il Pdl, da solo o con altri, per marcare l’alternativapolitica (come a livello nazionale) alla sinistra e, quindi, a

questa amministrazione. Si avvarrà del trascinamentoelettorale di molti che votano, alle politiche, per Berlusconie in chiave di anti-sinistra (comunista). Le loro posizioniprogrammatiche locali saranno, in gran parte, obbligatedalla necessità della distinzione. Dicevamo di altre listeciviche, magari connesse a specifiche battaglie di questianni ( dal manto stradale di Via Cesare Battisti, alla querelledel Savio beach, e via così). Ci sarà altro ancora. A partiredalle marette che dicevamo sopra. Che faranno sicuramentedelle ipotesi sullo spazio elettorale avuto da Monti e daaltre minori formazioni, alle politiche.Il fatto più interessante che merita considerazione guardandoal 2014, a partire dai risultati di febbraio scorso (sempretenendo in conto, però, che elezioni politiche ed elezioniamministrative non sono quasi mai le stessa identica cosa),è la sopravvenuta maggiore varietà elettorale che ha stravoltola rigidità bipolare del più recente passato. Anche a livellolocale. Allo stato non è sicura una vittoria al primo turno.

È più probabile che sianecessario il ricorso alballottaggio. La varietàelettorale è anche specchio di una maggiore“liquidità” sociale. È unfenomeno in atto datempo che sta mettendoin discussione moltischematismi interpre-tativi. Anche a Cesenaè così. Qui, però, in luo-go dei troppi che ancorasi attardano nello sche-matismo di ieri, nonsono molti quelli checercano di mettere afuoco il mutamento, so-ciale ed economico, chesta dispiegandosi. Nonlo sta facendo la sinistra,

ancor meno lo stanno facendo altre forze politiche. Questacarenza di tutta la politica nell’ affrontare questi mutamenti,nella nostra realtà locale – nel quadro del bipolarismo diquesti anni – ha avvantaggiato la sinistra, la sua rendita diposizione. Qui non c’è ancora stato uno tsunami, ma soloun’onda grossa premonitrice. Bisognerebbe che la politicalocale riflettesse. E invece, purtroppo, la politica continuaad essere presentismi, apparizioni, narcisismi, annunci,dichiarazioni. E i nostri grandi problemi? Perché di problemied anche grandi ne abbiamo, eccome! Non basta prendereatto della drammatica situazione economica e sociale locale.Nel nostro territorio sono dati straordinariamente preoc-cupanti quelli della disoccupazione e delle aziende chechiudono e che devono ridurre la loro attività. La crisi ègenerale. Tuttavia ciò non può costituire un alibi, perchénon si faccia qui, localmente, quello che è possibile fareper fronteggiarla. Né può essere un alibi ritenere che soloaltri, il Governo in primis, se ne debbano fare carico comeè doveroso. Noi, ad esempio, su questioni rilevanti per la

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nostra realtà, abbiamo fatto proposte concrete, realizzabili.Indicandole come terreno e obiettivi di un rinnovato “pattosociale”, di impegno congiunto e attivo delle forzeeconomiche, sociali e sindacali, e soprattutto delle Istituzioni,del Comune. Risultato? Comunicati stampa.Qualche consenso. Ma nulla più. Iniziative concrete nessuna.Anche da parte dell’Amministrazione comunale. Se solo sidedicasse a questo un poco del tempo – come quello dedicato,ad esempio, ai problemi della squadra di calcio – si verrebbea capo di qualcosa.È vero che noi proponiamo un lavoro che non è di immediatarisulta di immagine sulla stampa. Ma è altrettanto vero chenon si hanno soluzioni in quanto si finisce con le fotografiesulla stampa, ma se si lavora a costruire scelte edorganizzazione diverse.Come quelle che riguardano i tempi amministrativi eburocratici, troppo lunghi e di cui soffrono aziende e quindianche l’occupazione. Siamo nella più grande ed acuta crisiche vive il nostro paese ed il nostro territorio.Bisogna che al centro della responsabilità e dell’impegnodi tutti ci siano le questioni ed i problemi veri della nostrasocietà e dei cittadini.In particolar modo intempi come questi dovele risorse sono scarse elimitate e i bisogni sonoinvece crescenti e sem-pre più acuti e dram-matici. Si devono com-piere scelte forti, indivi-duare precise priorità.Insomma occorre ungoverno vero. Non ba-stano annunci ed appari-zioni. Occorre Politicacon la “P” maiuscola,non con la “p” di popu-lismo. È fondato il timo-re che si vada verso il2014 avendo, da partedei più, non questaprincipale preoccupa-zione, bensì quella preminente, elettoralistica e propa-gandistica.La nostra opinione è che a Cesena ci vorrebbe, anche invista del 2014, una forza, un movimento, un gruppo, cheaffermasse le impegnative scelte che si possono e si devonoperseguire da adesso e nei prossimi cinque anni peramministrare, bene, meglio, la nostra realtà.Per fronteggiare con efficacia – come è nelle nostre possibilitàlocali di fare – la gravissima crisi della nostra economia edella nostra società. Riaffermando e riattivando, con forza,impostazioni e modalità di governo locale, che pure sonostate nella migliore tradizione politica ed amministrativa diCesena. Di cui si è potuto avvalere il nostro sviluppo. Cheè stato, in passato, il concorso, politico e culturale, di piùforze, con uno spiccato senso delle istituzioni e diresponsabilità. Ci vorrebbe una forza, un movimento, ungruppo, espressione di una moderna cultura di governo,

riformista e liberale. Magari capace di sollecitare e motivareuna rinnovata attiva partecipazione di quella classe dirigente,imprenditoriale, professionistica, del lavoro, del volontariato,di cui la nostra città è ricca. Che attualmente, però, si tieneai margini della vita pubblica ed istituzionale, rimanendoancorata al proprio individualismo, nel proprio circoscrittoambito di attività.Che è anche quella borghesia (nell’accezione del saggio diDe Rita) la cui “eclissi” è foriera di impoverimento culturale,politico e di classe dirigente: “Un paese senza (quella)borghesia finisce per considerare superflui i corpi intermedidella rappresentanza, in primo luogo i partiti. Il rapportodiretto tra la moltitudine del ceto medio e la sua classedirigente senza ethos si radicalizza in un populismo dimassa. Viene meno la necessità delle mediazioni che sonoalla base del buon funzionamento della democraziarappresentativa…Diventano irrilevanti i luoghi istituzionali,a partire dai consigli comunali,.. dove la politica dovrebbetrovare la propria sede naturale di dibattito e di decisioni.Le Istituzioni appaiono autoreferenziali, burocratiche,distanti. E sul campo arido… resta solo una personalizzazione

della leadership…Il resto scompare.”Parliamo di quella “bor-ghesia moderna - nonpiù classificabile attra-verso categorie squisi-tamente ottocentesche -che è un’avanguardiache produce movimen-to, mobilità sociale, svi-luppo… che sente unaresponsabilità collettiva,se ne fa carico, sullabase di interessi generalie non solo di pulsioniparticolari, l’interosistema”.Ci vorrebbe una forza,un movimento, un grup-po, che affermasse, inuna coerente visione di

prospettiva di sviluppo economico e sociale della nostrarealtà, le scelte gli impegni, le iniziative concrete cheoccorrono, da adesso e nei prossimi cinque anni.Per fare un welfare e una sanità di maggiore qualità edefficacia; per dare soluzione agli obiettivi del “patto sociale”che abbiamo richiamato; per aiutare l’impresa el’occupazione; per attivare un credito agevolato ai giovaniche vogliono fare impresa; per riorganizzare il territorio,l’urbanistica, e rimuovere il settore di costruzione, edile edinfrastrutturale. È lo spaccato di proposta e di azione politicache ci piacerebbe ci fosse. Da subito. E verso il 2014. Cosìche ne venisse un miglioramento vero, rispetto allo stalloe alla condizione attuali. “La voce dei principali soggettidella nostra economia e perfino della società civile è rimastatroppo a lungo prigioniera di un assordante silenzio”. Sipuò dire anche per Cesena?Ecco perché ci vorrebbe…

Ci vorrebbe una forza, un movimento, un gruppo ...Verso le elezioni amministrative del 2014

Bimestrale - Direttore: Denis Ugolini - Direttore Responsabile: Ubaldo MarraRedazione: Emanuela Venturi, Piero Pasini, Franco Pedrelli, Giampiero Teodorani, Natali Randolfo, Maurizio Ravegnani

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Confessioni di un ottuagenario o di un italiano di Romagna?

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di Pietro Castagnoli

Denis Ugolini mi chiede di fareun esame di coscienza per gliamici diversificati che leggonoEnergie Nuove. Dopo gli ottantabisognerebbe poter dire comeIppolito Nievo, ma egli ne avevaappena trenta alla morte comegaribaldino nel 1861 e le sueConfessioni sono del 1857-58,pubblicate per la censurasoltanto nel 1867 dalla splendidaveneta Erminia Fuà Fusinato:“Contento di aver vissuto econtento di morire”. In realtà

l’incipit è un abbandono ai misteri della storia: “Io nacquiveneziano al 18 ottobre 1775, giorno dell’Evangelista SanLuca e morrò per la grazia di Dio italiano quando lo vorràquella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo”…Ed ecco una prima domanda oggi: sono romagnolo, italiano,europeo, cittadino del mondo? Negli insegnamenti al LiceoMonti, nei ritagli dei corsi di storia e filosofia, contrapponevoalla Lucia manzoniana la Pisana del Nievo, la veneta irrequietae dolcissima alla mite e claustrale laghista, figlie di due modidi vivere: “Sperammo ed amammo insieme, insieme dovremmotrovarci là dove si raccolgono gli amori dell’umanità passata,e le speranze della futura”: questo l’addio alla persona amata.Dobbiamo al Manzoni il tentativo di unire il cattolicesimo alliberalismo, surclassando il giacobinismo e il terrore, impresastorica ereditata da pochi solitari, come oggi avviene per PapaFrancesco e il pauperismo di fronte alla democrazia politicae religiosa, ma a Ippolito Nievo restava una domanda irrisolta:si può credere in Napoleone come liberatore? Nel Trattato diCampoformio del 1797, dopo la campagna d’Italia, vendetteVenezia, l’Istria e la Dalmazia all’Austria. Nievo si trovòcome una generazione di patrioti a non essere né veneziano,né italiano. Destino sofferto da una accolita in altre regionidal Mazzini al Foscolo, grandi maestri e sognatori di vitalibera ed integra. Anche a Cesena furono innalzati gli alberidella libertà e il cronista riferisce di Napoleone che a PalazzoGuidi gettava le basi di un nuovo spirito che infiammerà neltempo il passaggio dei poteri dalle legazioni pontificie altravagliato e rischioso nuovo stato monarchico costituzionaleitaliano nello scontro tra repubblicanesimo e monarchismo,un travaglio che si annida ancora sotto le ceneri di un’Italiadisunita. A Cesena sono due le figure di questo scontro, ilTrovanelli che difende il cittadino, la conquista costituzionale

per cui non dobbiamo essere sudditi, è un ammiratore dellospirito anglosassone, e Renato Serra che di fronte a coloroche partono in guerra precettati e a morire, scrive in laconicheparole dall’accento mazziniano: “Parto per un doverenecessario”. Il suo esame di coscienza di un letterato è quantodi più sofferto abbia manifestato uno spirito libero davantiall’interventismo di una guerra che era un massacro, ma perla libertà di una patria da costruire. Dall’altra parte unWittgenstein viennese, il fondatore del pensiero analitico conil Tractatus. Mentre il suo maestro ed amico Bertrand Russellfaceva l’obiettore di coscienza in carcere a Londra scrive ilTractatus con la conclusione che non ci sono parole per definireil senso della vita davanti alla morte, che non si ricava dallascienza, ma solo da una testimonianza diretta, con laconclusione che: “Di ciò di cui non si può parlare si devetacere”, però stando insieme a chi sa sacrificarsi. Ed era ilfiglio del più importante industriale viennese dopo i massacriin Galizia e la prigionia a Montecassino. Noi siamo gli infaustifigli di Yalta dopo il 1945, una guerra perduta, un cordonesanitario tra le rovine di tre totalitarismi dopo uno scontro diimperi industriali. Non si può credere che con tagli geopoliticimaturino le coscienze e poi ci sono molte forme serpeggiantidi totalitarismo fino a quello del denaro gestito ai vertici piùoscuri.L’American dream ci aveva aperto agli ideali del self mademan, all’individualismo e alla tecnica della concorrenza piùspietata, che però non impediva l’assassinio da Lincoln, aiKennedy, a Martin Luther King, alle Twin Towers, per leragioni più diverse, ma tuttora presenti in una società inconflitto perenne. E’ caduto il muro di Berlino nel 1989, main nessuno tra gli eredi delle diverse forme di potere si è fattauna valutazione di fondo ed ora paghiamo per quella che siè ritenuta superiore con un codazzo di seguaci che si ritengonouomini liberi nel corso sfrenato della storia della globa-lizzazione e dei nuovi sistemi mediatici che ti portano il mondoin casa, ma con manipolazioni interessate che ti svisano.Soltanto una nuova scuola rigorosamente critica che parta daifondamenti del mestiere di vivere può aprire gli occhi a ciòche conta, un dialogo aperto senza presupposti sotto banco,ma con i tanti insegnamenti che vengono dai classici e daitesti religiosi studiati con lo spirito dei classici: che l’umanitàè una e che le aspirazioni a un mondo migliore debbonopassare nell’incontro tra le esperienze degli anziani e glientusiasmi dei giovani. La migliore filosofia di vita è il dialogonel reciproco rispetto. Questa è la Politica.