NOZIONI BASE SULL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA …5 privato (vedi l’art. 19 della l. 241/90 come...

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1 1 NOZIONI BASE SULL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA Giorgia Boragini Agosto 2017

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NOZIONI BASE SULL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA

Giorgia Boragini

Agosto 2017

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1. CONSIDERAZIONI GENERALI SUGLI ATTI AMMINISTRATIVI Cos’è un atto amministrativo? La Pubblica Amministrazione (in seguito indicata come P.A.) svolge i compiti ad essa affidati dalla legge (consistenti nella cura concreta degli interessi pubblici) attraverso una serie di strumenti. Vediamoli. a) Atti giuridici : si tratta di dichiarazioni di volontà o di scienza cui la legge assegna un

determinato effetto giuridico. Quello che viene in considerazione è l’aspetto psichico (volontà o conoscenza) cui la legge fa conseguire un effetto giuridico. Per la P.A. gli atti giuridici sono distinti in:

1. atti di diritto pubblico (o atti amministrativi): sono tutti quegli atti nei quali la P.A. esercita un particolare potere ad essa conferito dalla legge (imperio). Questo potere pone la P.A. in una sorta di posizione di supremazia rispetto agli altri soggetti giuridici. Di fronte a questo potere la posizione giuridica del privato degrada a interesse legittimo (vedi nota di approfondimento n. 1) e può essere tutelata con il ricorso al giudice amministrativo entro un breve termine di decadenza (60 giorni) decorso il quale l’atto, anche se illegittimo, si consolida e diventa inoppugnabile. Sono atti amministrativi, ad esempio, l’autorizzazione, la concessione, il bando di concorso, il piano per il governo del territorio, il parere, il certificato ecc., cioè tutta quella serie di atti che come impiegati pubblici redigiamo quotidianamente e con i quali, come cittadini, ci confrontiamo; 2. atti di diritto privato : la P.A. agisce, oltre che per mezzo del potere di imperio di cui al punto precedente, anche avvalendosi delle facoltà che il codice civile assegna a tutti i soggetti giuridici privati. In questo modo la P.A. si configura come una persona giuridica che si avvale dei propri organi per porre in essere atti di diritto privato. Si tratta in particolare dei contratti (vedi nota di approfondimento n. 2) e degli atti di gestione del personale (vedi nota di approfondimento n. 3), ma anche dell’accettazione di un’eredità o di una donazione. Nel porre in essere questa attività la P.A. si presenta come un privato, si trova sullo stesso piano dei cittadini, in una dialettica di diritti e doveri, non decide unilateralmente cosa deve essere fatto, il contenuto delle facoltà e degli obblighi altrui, ma esprime una volontà che si incontra, in un’ottica di bilateralità, con la volontà di una controparte. Se la P.A. decide di acquistare una scrivania, cercherà di farlo alle migliori condizioni (effettuando solitamente una gara), ma non potrà stabilire unilateralmente il prezzo, né potrà obbligare nessuna ditta a concludere il contratto: è necessario che la volontà della P.A. di acquistare si incontri con la volontà di una ditta di vendere. In questo sta la sostanza del contratto e, in generale, dell’attività di diritto privato della P.A., non c’è più quel potere di supremazia cui si accennava prima, ma un rapporto di parità. La P.A. può in alcuni casi decidere se utilizzare il potere di imperio (cioè l’atto amministrativo) o la capacità di diritto privato. Il caso più classico si ha quando, per acquisire un bene immobile necessario per la realizzazione di un’opera pubblica, la P.A. procede tramite un contratto di compravendita invece che per mezzo dello strumento autoritativo dell’esproprio. L’esercizio delle capacità di diritto privato non è idonea a degradare la posizione del privato ad interesse legittimo, pertanto esso vanterà nei confronti della P.A. dei veri e propri diritti, azionabili davanti al giudice ordinario nei termini di prescrizione (cinque o dieci anni a seconda dei casi).

Il legislatore ha mostrato un particolare favore per un modo di amministrare più incentrato sul consenso che sull’unilateralità del provvedimento amministrativo. In tal senso si veda l’art. 1 c. 1 bis della legge 241/90, inserito con la legge di modifica n. 15/2005, che stabilisce che la P.A., “nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.

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b) Mere operazioni: si tratta di operazioni materiali svolte in esecuzione di atti amministrativi o nell’adempimento di compiti cui la P.A. è tenuta istituzionalmente senza necessità di specifiche manifestazioni di volontà, o nell’esercizio di un servizio pubblico (es. attività dell’educatore di un asilo nido o dell’insegnante della scuola materna, assistenza agli anziani, guida di autoveicoli pubblici ecc.). A differenza dell’atto amministrativo o privatistico, qui non entra in gioco la manifestazione della volontà come creatrice di effetti giuridici.

Alla base di tutto quello che si è detto ci sono i principi contenuti nell’art. 97 c. 1 della costituzione che è la norma cardine in materia di attività amministrativa. Leggiamola. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. I principi enucleabili che attengono in generale a tutta l’attività amministrativa e, in particolare, soprattutto, all’attività di diritto pubblico sono i seguenti: legalità: i compiti sono assegnati alla P.A. dalla legge, essa assegna ad una P.A. determinati poteri di imperio, determinati fini da perseguire. Ne consegue la tipicità e nominatività degli atti amministrativi; ogni amministrazione, cioè, potrà porre in essere solo gli atti amministrativi ad essa ricondotti dalla legge (ad esempio un dirigente scolastico non potrà adottare un decreto di esproprio, pena la radicale nullità, e quindi la totale inefficacia ed inesistenza dell’atto); buona amministrazione: ogni P.A. deve svolgere i compiti ad essa affidati dalla legge secondo le modalità più idonee al perseguimento del fine pubblico conformandosi ai doveri di efficacia, efficienza, economicità dell’azione amministrativa, nel minor sacrificio degli interessi dei singoli; imparzialità : necessità di comparare correttamente i diversi interessi in gioco, perseguendo il fine pubblico da una posizione di equidistanza. Possiamo così schematizzare

Attività della P.A. (principi di cui all’art. 97 cost.)

atti giuridici mere operazioni

(la volontà determina effetti giuridici) atti di diritto atti di diritto privato pubblico (amministrativi)

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Classificazione degli atti amministrativi Vi sono vari modi di classificare gli atti amministrativi. Vediamo i principali. Una prima classificazione attiene alla natura stessa dell’atto. All’interno della categoria “atto amministrativo” troviamo la sottocategoria “provvedimento amministrativo”; con questo termine sono indicati quegli atti che comportano una modifica della realtà giuridica dei destinatari attraverso una dichiarazione di volontà unilaterale dell’amministrazione. Si tratta di atti che hanno un’efficacia esterna alla P.A. Esempi: il decreto di espropriazione ha l’effetto di privare della proprietà di un bene un soggetto privato, indipendentemente dalla (e di solito contro) sua volontà, il permesso di costruire autorizza il privato a costruire, l’ordinanza fa insorgere l’obbligo giuridico nei destinatari di osservare quanto in essa disposto, la revoca di un altro atto amministrativo fa venire meno ogni suo effetto e così l’annullamento (per i concetti di revoca e di annullamento vedi nota di approfondimento n. 4). Vi sono poi gli atti amministrativi diversi dai provvedimenti. Essi pur essendo espressione di potestà pubblica, e quindi in senso lato di quel potere di supremazia di cui al paragrafo precedente, non hanno l’attitudine a modificare la realtà giuridica, o non hanno un’efficacia autoritativa. Sono atti amministrativi privi della natura provvedimentale i seguenti: a) le dichiarazioni di scienza dell’amministrazione (es. certificati, verbali); SI VEDA PER I

CERTIFICATI DI FATTO IL DIVIETO DI UTILIZZARLI NELL ’AMBITO DEI RAPPORTI CON LE P.A. ENUNCIATO DALL’ART. 40 DEL DPR 445/2000 MODIFICATO DALLA LEGGE DI STABILITA’ 2012.

b) atti paritetici : sono quegli atti con cui l’amministrazione determina unilateralmente l’ammontare di una prestazione patrimoniale a proprio carico (es. gli emolumenti spettanti ad un dipendente); nei confronti di questi atti che sono amministrativi quanto a forma ma non espressione di una vera e propria posizione di supremazia della P.A. il destinatario si trova in una posizione di diritto e non di interesse legittimo. Secondo alcuni autori rientra in questa categoria anche la determinazione dell’indennità di esproprio;

c) atti interni al procedimento amministrativo : sono quegli atti preparatori rispetto al provvedimento finale che assumono rilevanza rispetto alla correttezza della formazione della volontà espressa con il provvedimento, ma non hanno in sé stessi una rilevanza esterna; sono atti di questa categoria le richieste, le proposte, i pareri (es. i pareri di cui all’art. 49 T.U.E.L.).

Il nostro schema può così continuare.

Atti amministrativi

Provvedimenti Atti diversi dai provvedimenti Fra i provvedimenti assumono un particolare rilievo i provvedimenti ampliativi delle facoltà del privato. Parliamo, in particolare, delle autorizzazioni e delle concessioni. Le autorizzazioni fanno venir meno il limite legale all’esercizio di un diritto (si parla di diritto condizionato; condizionato appunto all’esercizio del potere autorizzatorio della P.A.); ad es. un'autorizzazione in ambito commerciale fa venir meno il limite legale al diritto di esercitare un’attività economica. Sono provvedimenti solitamente discrezionali (per il concetto di discrezionalità vedi oltre). Qualora la discrezionalità manchi, e la P.A. si debba limitare “all'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge” e “non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale”, detti provvedimenti sono ora generalmente sostituiti dalla Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) da parte del

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privato (vedi l’art. 19 della l. 241/90 come da ultimo modificato dal d.lgs. 126/2016). La previsione della SCIA determina di fatto la liberalizzazione dell’attività svolta dal privato, fatto salvo il potere di divieto da parte della P.A. entro 60 giorni quando l’attività stessa non risulti conforme a legge, fatta salva in seguito la facoltà di annullamento d'ufficio (art. 21 nonies della medesima legge 241). Altre autorizzazioni sono poi sostituite dal silenzio assenso della P.A. (vedi l’art. 20 della l. 241/90), silenzio che ha la stessa valenza di un vero e proprio atto amministrativo autorizzatorio. La valenza di detto istituto è stata notevolmente ampliata dal d.l. 35/2005 e dal d.lgs. 126/2016 che lo ha reso di carattere generale per tutti i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati di carattere discrezionale. Le concessioni, invece, fanno sorgere in capo al privato un diritto o una facoltà che prima questi non aveva. Si tratta di posizioni rispetto alle quali l’amministrazione ha una piena titolarità delle situazioni giuridiche, con la quale si confronta il privato richiedente, che non è titolare di alcun diritto; sono atti discrezionali. Si pensi alla concessione di sovvenzioni, alla concessione di un bene demaniale. A volte il legislatore utilizza dei termini ingannevoli. Si pensi alla concessione edilizia: la Corte Costituzionale ha chiarito che il proprietario del fondo ha un vero e proprio diritto di costruire, seppure condizionato al rilascio della concessione. Quindi la concessione edilizia (che dall’entrata in vigore del testo unico dell’edilizia ha assunto la denominazione di "permesso di costruire") ha in realtà la natura giuridica di un’ autorizzazione. Un’altra classificazione molto utilizzata fa riferimento alle tre tipologie di attività amministrativa. Essa distingue gli atti in: a) atti di amministrazione attiva: si tratta essenzialmente di provvedimenti mediante i quali

l’amministrazione cura i propri interessi. Sono atti che “fanno qualcosa”. Con questi atti l’amministrazione esprime la propria volontà e agisce (concede, autorizza, approva un progetto, decide di concludere un contratto, di indire un concorso ecc.)

b) atti di amministrazione consultiva: con essi si danno consigli agli organi di amministrazione attiva; gli atti consultivi per eccellenza sono i pareri. I pareri si distinguono in facoltativi (l’organo procedente può richiederli o agire senza necessità di richiedere il parere) e obbligatori (l’organo procedente deve obbligatoriamente richiedere il parere e non può agire senza di esso). I pareri obbligatori si distinguono in vincolanti (la P.A. si deve uniformare al parere reso), non vincolanti (una volta reso il parere la P.A. o l’organo procedente possono discostarsi da esso), conformi (la P.A. procedente può decidere se agire o meno, ma se decide di agire deve conformarsi al parere reso). I pareri di cui all’art. 49 del t.u. sono obbligatori (nessuna proposta può essere sottoposta alla giunta o al consiglio senza il parere) e non vincolanti (la giunta e il consiglio possono discostarsi dal parere espresso con idonea motivazione). Ad es. un consigliere comunale redige una proposta di deliberazione (si tratterà il più delle volte di una mozione), il responsabile del settore interessato rende un parere di regolarità tecnica negativo, il consiglio approva lo stesso la mozione, inserendo nell’atto la motivazione per cui non si ritiene di accogliere il parere negativo. Il parere come ogni atto amministrativo dovrebbe essere motivato. In merito al procedimento per l'acquisizione dei pareri si veda infra la parte della dispensa dedicata al procedimento. La L. 241/90 e le sue numerose modifiche ha mirato a semplificare e accelerare la resa dei pareri. In particolare si vedano gli artt. 14 e ss. sulla conferenza dei servizi (la conferenza decisoria serve per acquisire in modo semplificato pareri e atti di assenso in ogni modo denominati presso più amministrazioni coinvolte in un procedimento) e gli artt. 16 (amministrazione consultiva), art. 17 (valutazioni tecniche), art. 17 bis (generalizzazione del silenzio assenso.

c) atti di controllo : sono gli atti volti a sindacare la legittimità (= conformità alla legge) o il merito (= l’opportunità) di un atto amministrativo; si parla di controlli di legittimità e di controlli di

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merito; ancora, il controllo può intervenire prima che l’atto sia efficace (controllo preventivo) o dopo che l’atto sia diventato efficace (controllo successivo). Determinate deliberazioni del comune (bilancio e sue variazioni, statuto, regolamenti) erano, prima dell'abrogazione dell'art. 130 della costituzione da parte della riforma costituzionale del 2001, sottoposte a controllo: si trattava di un controllo preventivo (la deliberazione diventava efficace con l’esito favorevole del controllo o decorsi 30 giorni dall’invio al CO.RE.CO); poteva tuttavia trattarsi di un controllo successivo qualora la deliberazione fosse stata dichiarata immediatamente eseguibile (in questo caso, l’eventuale esito sfavorevole del controllo, che comportava l’annullamento della deliberazione, avrebbe travolto gli effetti della deliberazione). Il controllo del CO.RE.CO investiva solo la legittimità dell’atto. Ora, come sopra accennato, questo tipo di controllo non sussiste più, pertanto gli atti del comune non sono più soggetti ad alcun controllo obbligatorio. Si può ritenere che rimanga in essere il controllo eventuale, con l'intervento del difensore civico (ora sostituito dal difensore civico territoriale secondo quanto disposto dalla legge 191/2009), secondo le modalità meglio precisate nel capitolo secondo. Rimane altresì, per i comuni, il controllo sugli organi, secondo quanto disposto dall'art. 141 e ss. del t.u., controllo che non si esplica sugli atti condizionandone l'efficacia, ma sugli organi determinandone il venir meno (scioglimento del consiglio comunale). Occorre precisare, che il controllo sostitutivo in caso di mancata approvazione del bilancio è effettuato con le modalità definite dallo statuto, o, in mancanza, dal Prefetto che nomina il commissario ad acta, invece che dal CO.RE.CO. come avveniva in precedenza (si veda il d.l. n. 13/2002 convertito con l. 75/2002).

Schematizziamo questi concetti.

Atti amministrativi preventivo successivo

Amministrazione attiva Amministrazione di controllo legittimità

Amministrazione merito vincolanti Consultiva non vincolanti pareri obbligatori pareri facoltativi conformi Un’altra classificazione viene fatta a seconda dei destinatari dell’atto (= coloro rispetto ai quali l’atto è destinato ad avere effetto). Abbiamo così: 1. atti particolari (destinati ad un solo soggetto) 2. atti con pluralità di destinatari, a loro volta distinti in:

2. atti plurimi: la posizione di ciascun destinatario è scindibile da quella degli altri (es. provvedimento di nomina di più vincitori di concorso); l’atto è formalmente unico ma scindibile in più atti della stessa specie; l’eventuale annullamento di uno non travolge gli altri; 3. atti collettivi: la P.A. manifesta la propria volontà in maniera inscindibile rispetto a una molteplicità di individui (il piano regolatore disciplina l’assetto urbanistico della città ed ha efficacia rispetto a tutti i cittadini); un eventuale vizio investe l’intero atto;

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4. atti generali: sono atti che al momento dell’emanazione non hanno nessun destinatario determinato, tuttavia sono destinati ad avere destinatari determinati in un momento successivo (destinatari non determinati ma determinabili); si tratta dei bandi di concorso (quando il concorso viene bandito non si sa chi chiederà di esservi ammesso), dei bandi di gara (non si sa quali ditte parteciperanno alla gara).

Un atto che si rivolge alla generalità dei cittadini è il regolamento e, per il comune, anche lo statuto. Questi atti, pur essendo nella forma atti amministrativi, hanno un contenuto normativo, come la legge; contengono cioè norme generali ed astratte e non disposizioni concrete e puntuali come la generalità dei provvedimenti amministrativi, che incidono in modo diretto sulle posizioni giuridiche. I Comuni hanno potestà statutaria e regolamentare sulle materie di propria competenza in quanto la legge stessa attribuisce loro detto potere (artt. 6 e 7 d.lgs. 267/2000). Altre distinzioni sono state evidenziate all’inizio del nostro discorso (dichiarazioni di volontà e dichiarazioni di scienza). Ora bisogna che ci soffermiamo su di una distinzione importantissima, quella fra atti vincolati e atti discrezionali. Sono atti vincolati quegli atti per i quali la legge predetermina tutto: i casi in cui devono essere emanati, il contenuto ecc. Sono atti per l’emanazione dei quali la P.A. non ha alcuna possibilità di scegliere quale sia l’opzione più opportuna; si verificano i presupposti, dunque deve essere emanato quell’atto. Per esempio, il cittadino chiede un certificato di residenza, l’ufficio è tenuto a produrre il certificato. Sono atti discrezionali quegli atti per l’emanazione dei quali la P.A. ha una facoltà più o meno accentuata di scegliere fra più comportamenti leciti quale sia quello migliore per il soddisfacimento dell’interesse pubblico. Questa facoltà di scelta non è sindacabile dal giudice amministrativo, se non qualora la scelta operata non risulti essere del tutto illogica e contraria al principio di ragionevolezza; in questo caso il giudice amministrativo potrà annullare l’atto per eccesso di potere (per i casi di nullità/annullabilità, vedi la nota di approfondimento n. 4). Un esempio di atto discrezionale è la decisione di contrattare (nel nostro caso determinazione a contrattare): innanzi tutto potrà essere discrezionale la scelta di addivenire ad un certo contratto (ad es. di acquistare un immobile da destinare ad uffici piuttosto che prenderlo in locazione), l’opzione per una modalità di scelta del contraente piuttosto che per un’altra (se pubblico incanto, licitazione privata o, qualora la normativa lo consenta, trattativa privata), la scelta delle clausole da inserire nel contratto (ad es. le condizioni relative ed un incarico professionale) ecc. Vediamo dunque quali sono le parole chiave: atto vincolato predeterminazione dei limiti dell’attività amministrativa atto discrezionale limiti elastici facoltà di scelta fra più opzioni legittime Il concetto di discrezionalità è importante perché ci introduce all’argomento del prossimo paragrafo: la motivazione. Infatti, proprio rispetto agli atti discrezionali gli uffici devono porre una particolare attenzione alla redazione della motivazione, proprio perché risulta necessario rendere ricostruibile l’ iter logico che ha portato alla decisione finale. La motivazione La legge 241/90 ha reso obbligatoria la motivazione degli atti amministrativi. Leggiamo l’art. 3 della predetta legge: 1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione

amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato,

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salvo che nelle ipotesi di cui al comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.

2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. 3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla

decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama.

4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere.

Ci soffermiamo soprattutto sui primi 3 commi. Ogni provvedimento amministrativo (ma si può dire ogni atto amministrativo) deve essere motivato, pena la sua illegittimità per violazione di legge. Gli unici atti che possono non essere motivati sono gli atti a contenuto normativo (es. un regolamento), o gli atti a contenuto generale. La motivazione può essere resa anche per relazione, rendendo disponibile al destinatario (= colui nei cui confronti l’atto è destinato ad avere effetto) l’atto richiamato da cui discende la motivazione (es. la relazione richiamata in una deliberazione a sostegno della decisione assunta). La motivazione acquisisce una particolare rilevanza nell’atto discrezionale. Infatti nell’atto vincolato la motivazione si limiterà a dare conto del verificarsi dei presupposti per l’emanazione dell’atto stesso e nell’indicazione delle norme applicate. Nell’atto discrezionale invece la motivazione dovrà investire proprio quella scelta fra più opzioni legittime, di cui si parlava alla fine del paragrafo precedente. L’illogicità e la contraddittorietà della motivazione in un atto discrezionale rendono l’atto illegittimo per eccesso di potere. Una bella responsabilità per chi redige atti amministrativi. Dunque: Mancanza della motivazione atto illegittimo per violazione di legge Illogicità della motivazione atto illegittimo per eccesso di potere Eccoci dunque giunti alla redazione di un atto amministrativo. Com’è fatto un atto amministrativo? Come si forma? Cenni sul procedimento

amministrativo Vi sono alcuni elementi che, a prescindere dall’amministrazione, (Stato, Comune ecc.) e dall’organo competente (ministro, consiglio comunale, sindaco, dirigente ecc) sono presenti generalmente negli atti amministrativi e ne costituiscono la struttura formale. Vediamoli. Intestazione = organo che emana l’atto Preambolo = indicazione delle norme applicate e degli atti preparatori ( indicazione degli atti del procedimento, come richieste, pareri, relazioni ecc.) Motivazione = presupposti di fatto e ragioni giuridiche; si compone di una parte descrittiva (presupposti, indicazione degli interessi coinvolti) e di una parte valutativa che dà conto della scelta operata fra più opzioni legittime o dell’interesse cui si è data prevalenza rispetto alla molteplicità degli interessi coinvolti

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Dispositivo = è la parte in cui la P.A. manifesta la propria volontà e/o dichiara di essere a conoscenza di un dato fatto Luogo e data Firma = dato di immediata percezione per l’organo monocratico (sindaco, dirigente), più sfumato per l’organo collegiale, dove le uniche firme sono riportate nella verbalizzazione (presidente del collegio e segretario), mentre la volontà si esprime di fatto oralmente con il voto. Occorre fare qualche cenno anche al come viene formandosi l’atto amministrativo e dunque al procedimento amministrativo = atti e operazioni che sfociano nel provvedimento. L’atto, infatti, ma soprattutto il provvedimento finale, destinato ad avere una vera e propria efficacia esterna, cristallizzato in quelle forme che si sono viste poc'anzi, è in realtà il risultato di un procedimento, di un concatenarsi, cioè, di vari atti ed operazioni, che hanno inizio d’ufficio o su istanza del cittadino. Da questa fase, detta di iniziativa , si potrà avere direttamente l’atto finale (il cittadino chiede il certificato, indi il certificato viene rilasciato; il procedimento è molto semplice e non si sviluppa in nessun passaggio particolare), ma si potrà anche avere un vero e proprio iter, detto istruttoria (acquisizione di documenti, pareri ecc.), che condurrà all’adozione del provvedimento finale (fase costitutiva). Una legge si è preoccupata, al di là delle regole specifiche stabilite dalle varie leggi speciali (es. sull’esproprio, sull’approvazione di progetti di opere pubbliche, ma gli esempi investono la totalità delle leggi in materia amministrativa), di stabilire le regole generali, fra l’altro, sul procedimento amministrativo. E’ la legge 241/90. Non è qui possibile un esame approfondito di questa normativa, peraltro più volte modificata con l. 15/2005, d.l. 35/2005 (conv. con l. 80/2005), l. 69/2009, l. 190/2012, d.lgs. 216/2016; una lettura però è utile, per acquisire consapevolezza di cosa dovrebbe esserci dietro ai nostri atti amministrativi e per cercare di calare quei principi nell’azione amministrativa. Quali norme riguardano più direttamente l’atto e il procedimento amministrativo? Abbiamo già visto l’art. 3 sulla motivazione; consideriamo anche l’indicazione che ci viene dal comma 4 relativa all’inserimento, in ogni atto che deve essere notificato (o comunicato) al destinatario, dell’autorità cui ricorrere e del termine. In genere l’autorità è il T.A.R. e il termine è di 60 giorni. L’art. 2 si occupa del dovere della P.A. di concludere il procedimento con un provvedimento espresso. Il silenzio dell’amministrazione serbato oltre il termine per provvedere (definito dai regolamenti entro un massimo di 90 gg., o, in mancanza fissato in 30 gg), fuori dai casi in cui il silenzio ha un significato (accoglimento dell’istanza o rigetto) è un vero e proprio inadempimento di un dovere. In caso di ricorso, il giudice amministrativo può pronunciarsi non solo sull’illegittimità del silenzio, ma anche sulla fondatezza dell’istanza. Dette disposizione deve tuttavia essere considerata parallelamente all’art. 20 che generalizza, nella sua nuova formulazione, il silenzio assenso per gli atti autorizzatori di natura discrezionale. Che conseguenze ha questa violazione? La possibilità, decorso il termine (il concetto di provvedimento espresso e di termine sono strettamente connessi), di ricorrere al giudice amministrativo per ottenere il provvedimento ed eventualmente il risarcimento del danno. Da che momento parte il decorrere del tempo per il conteggio del termine?

I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. Possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in

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possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

Recentemente il legislatore è intervenuto ancora una volta (da ultimo con d.l. 83/2012) per stabilire che l’amministrazione deve individuare al proprio interno per i diversi procedimenti il soggetto cui è attribuito il potere sostitutivo in caso di inerzia (ad esempio, il direttore generale che può agire in caso di inerzia del dirigente di struttura). Il soggetto con potere sostitutivo deve essere reso noto per ogni procedimento mediante il sito internet istituzionale. Chiaramente, per i Comuni, dove vige il principio di separazione fra indirizzo politico e gestione, la disposizione vale essenzialmente per i provvedimenti di competenza dirigenziale. Gli artt. 4 – 6 si occupano del responsabile del procedimento che deve essere individuato e reso noto ai cittadini. Il responsabile del procedimento cura l’istruttoria (verifica i presupposti per l’adozione del provvedimento, cura tutto il suo iter, chiede pareri, effettua comunicazioni ecc.)e fa sì che essa si concluda con il provvedimento. In mancanza di diversa determinazione, il responsabile del procedimento è il dirigente dell’unità organizzativa. Il suo compito si conclude con l’adozione del provvedimento finale se il responsabile è competente secondo i diversi ordinamenti o con l’invio della proposta / esito dell’istruttoria all’organo competente per l’adozione (es. il dirigente al termine dell’istruttoria redige la proposta da sottoporre alla Giunta comunale). Termine e responsabile sono concetti molto importanti. Il Comune di Brescia ha disciplinato questi aspetti, ed ha, in generale, disciplinato il procedimento amministrativo con il regolamento approvato con deliberazione C.C 106/2011. In estrema sintesi i punti essenziali del regolamento sono costituiti:

1) rinvio al regolamento di organizzazione per l’individuazione del responsabile del procedimento (art. 2)

2) fissazione come termine generale 60 giorni (art. 6) 3) precisazione di quali atti di particolare complessità possano richiedere un termine di

120 giorni (art. 6) 4) distinzione fra responsabile del procedimento e responsabile del provvedimento

quando la competenza del provvedimento finale spetta ad un organo politico (art. 4 e 5).

Torniamo alla L. 241/90. Gli artt. 7 e 8 si occupano della comunicazione di avvio del procedimento. E’ un momento molto importante nel procedimento stesso. Ogni procedimento (tranne, i procedimenti preordinati all’emanazione di atti vincolati, ai sensi dell’art. 21 octies della l. 241) deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio. Si può omettere, con motivazione, la comunicazione in caso di urgenza; in alternativa, è possibile adottare un atto provvisorio a titolo cautelare in attesa della comunicazione di avvio. A chi deve essere mandata la comunicazione? - Agli interessati, cioè ai beneficiari degli effetti diretti del provvedimento; - ad eventuali altri soggetti autorizzati dalla legge ad intervenire nel procedimento (es.:art.9

portatori d’interessi diffusi) - ai controinteressati (coloro che riceverebbero indirettamente un pregiudizio dal

provvedimento),se facilmente individuabili

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Contenuti della comunicazione. La comunicazione deve contenere l’indicazione dell’amministrazione procedente, l’oggetto del procedimento, l’ufficio competente e il responsabile del procedimento, la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia della P.A., nei procedimenti ad iniziativa di parte la data di presentazione dell’istanza l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Ci si potrebbe allora chiedere se la comunicazione deve essere effettuata anche nei casi di procedimento ad istanza di parte. La risposta deve essere affermativa poiché la comunicazione contiene tutta una serie di informazioni, come si è visto, che non sono in possesso del cittadino, automaticamente per il fatto di avere fatto istanza. Inoltre la comunicazione è necessaria a maggior ragione in caso di presenza di controinteressati. Ad esempio la richiesta di occupazione suolo pubblico con tavolini da parte di un bar dovrà correttamente essere comunicata ai condomini dello stabile che si affaccia sulla strada in quanto essi sono portatori di un interesse alla tranquillità potenzialmente contrastante con la richiesta del bar. In questo senso è da leggersi anche il comma 2 lett. c ter dell’art. 8 laddove si precisa che la comunicazione nei procedimenti a iniziativa di parte deve contenere la data di presentazione della relativa istanza. E’ dunque chiaro che la comunicazione deve essere inviata anche nei procedimenti a istanza di parte. Qual è dunque la funzione della comunicazione? Mettere gli interessati ed eventuali controinteressati nella condizione di partecipare al procedimento, prendendo visione degli atti e presentando documenti e memorie da valutare nel momento della decisione finale. La comunicazione chiarisce modalità e tempi che consentono agli interessati di potersi tutelare. L'art. 8 sulla comunicazione di avvio deve essere letto parallelamente all'art. 18 bis (introdotto dal d.lgs. 126/2016), sulla presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazione che prescrive il rilascio, da parte della P.A., in via immediata, di una ricevuta. Se la ricevuta contiene gli elementi di cui all'art. 8, vale come comunicazione di avvio del procedimento. Gli articoli che seguono si occupano dell’intervento del privato interessato nel procedimento con l’eventuale produzione di documenti e memorie, della possibilità di concludere accordi con il privato per la definizione della parte discrezionale del provvedimento, o, accordi che sostituiscono il provvedimento stesso. In ogni caso, a tutela dell’imparzialità e del buon andamento della P.A., ogni accordo deve essere preceduto dalla determinazione dell’organo che sarebbe competente all’adozione del provvedimento (art. 11). L’art. 11 delinea un modo di amministrare per accordi, piuttosto che per atti unilaterali della P.A. La legge 15/2005 ha aggiunto un art. 10 bis rubricato come “comunicazione dei motivi ostativi dell’accoglimento dell’istanza”: nei procedimenti ad istanza di parte, la P.A., prima di adottare un provvedimento negativo, comunica all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda, in modo da poter valutare eventuali osservazioni dell’interessato stesso. Se le osservazioni non vengono accolte deve essere fornita specifica motivazione. Queste regole che disciplinano in maniera generale l’istruttoria forniscono il materiale, gli elementi che vanno a delineare parte del contenuto dell’atto, dove nel preambolo e nella motivazione si trovano i presupposti, la ricostruzione dell’iter e la valutazione degli interessi in gioco, effettuata anche alla luce dell’intervento del privato nel procedimento stesso. In generale sono esclusi dall’applicazione della legge sul procedimento: a) gestione negozi giuridici (attengono al diritto privato = non sono atti amministrativi) b) gestione rapporto di lavoro (idem) c) generali, normativi,di programmazione e pianificazione (per la motivazione e la partecipazione al proc)

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d) di natura tributaria (per la partecipazione al proc.). Particolari forme di istruttoria che riguardano procedimenti che vedono il coinvolgimento di più Pubbliche Amministrazioni sono descritte negli artt. 14 e ss. sulla conferenza di servizi, norme che hanno il fine di fare sì che in presenza di procedimenti dove più amministrazioni devono esprimere pareri, nulla osta, atti di assenso e simili, si proceda con tempi certi, anche per mezzo del sistema del silenzio assenso (conferenza semplificata di cui all'art. 14 bis). Inoltre si vedano gli artt. 16 (amministrazione consultiva), 17 (valutazioni tecniche) e 17 bis (silenzio assenso). Inoltre, al di fuori delle ipotesi dell'art. 14, le Pubbliche amministrazioni possono sempre concludere accordi fra di loro (art.15) per disciplinare attività di interesse comune. Di particolare rilievo anche l'art. 18 sull'autocertificazione (per una disamina esaustiva sul tema si fa riferimento al D.P.R. 445/2000), e sull'acquisizione d'ufficio di tutti i documenti necessari per l'istruttoria del procedimento quando in possesso della P.A. procedente o di altra P.A. La norma prevede l'acquisizione d'ufficio da parte del responsabile del procedimento dei fatti, degli stati e delle qualità che la P.A. procedente o altra P.A. è tenuta a certificare. La disposizione può essere letta in parallelo: - all'art. 40 del D.P.R. 445/2000 così come modificato dalla L. 183/2011:

Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono

sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 . (….) (ossia le dichiarazioni

sostitutive di certificazione o di atto di notorietà) all'Articolo 43 - Accertamenti d'ufficio del D.P.R. 445/2000 1. Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d'ufficio

le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 , nonché tutti i dati

e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato. 2. Fermo restando il divieto di accesso a dati diversi da quelli di cui è necessario acquisire la certezza o verificare l'esattezza, si considera operata per finalità di rilevante interesse

pubblico, ai fini di quanto previsto dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135 , la consultazione

diretta, da parte di una pubblica amministrazione o di un gestore di pubblico servizio, degli archivi dell'amministrazione certificante, finalizzata all'accertamento d'ufficio di stati, qualità e fatti ovvero al controllo sulle dichiarazioni sostitutive presentate dai cittadini. Per l'accesso diretto ai propri archivi l'amministrazione certificante rilascia all'amministrazione procedente apposita autorizzazione in cui vengono indicati i limiti e le condizioni di accesso volti ad assicurare la riservatezza dei dati personali ai sensi della normativa vigente. 3. L'amministrazione procedente opera l'acquisizione d'ufficio, ai sensi del precedente comma, esclusivamente per via telematica. (….) La violazione delle norme sul procedimento rende illegittimo l’atto (violazione di legge), tuttavia l’articolo 21 octies introduce un nuovo principio: le violazioni di norme sul procedimento o sulla forma di atti amministrativi non danno luogo ad annullabilità qualora, per la natura vincolata del provvedimento del provvedimento sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato. Terminata l'istruttoria, e giunti alla fase costitutiva, in cui il provvedimento viene completamente formato e, in virtù dell'istruttoria compiuta, contiene tutti gli elementi, dalla verifica dei presupposti alla motivazione, che, come abbiamo visto sopra, sono contenuti nel preambolo, e può dar conto

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della decisione assunta nel caso concreto con la parte dispositiva, il procedimento può dirsi solitamente concluso e il provvedimento efficace. Tuttavia vi sono casi in cui alla fase costitutiva, segue un fase integrativa dell’efficacia: il provvedimento è perfetto, completo, ma non efficace. La legge, per l’efficacia potrà prescrivere la comunicazione al destinatario (atto recettizio), oppure la pubblicazione per un certo periodo (si veda la pubblicazione all’albo delle deliberazioni), oppure il controllo da parte degli organi a ciò preposti (si veda il controllo che il CO.RE.CO effettuava prima della riforma del titolo V della Costituzione sui bilanci e sugli statuti e regolamenti comunali). Rispetto alla fase integrativa dell’efficacia è opportuno anche ricordare l’art. 21 bis della legge: Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista

efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima. Consideriamo anche l’indicazione che ci viene dall’art. 3 comma 4 relativa all’inserimento, in ogni atto che deve essere notificato (o comunicato) al destinatario, dell’autorità cui ricorrere e del termine. In genere l’autorità è il T.A.R. e il termine è di 60 giorni. Sintetizziamo. Fasi del procedimento amministrativo Iniziativa (istanza del privato o d’ufficio) istruttoria (comunicazione di avvio del procedimento, acquisizione di pareri, di documenti, acquisizione di eventuali apporti da parte del privato, valutazione degli interessi coinvolti nel procedimento ecc., elaborazione di una proposta) adozione del provvedimento eventuale fase integrativa dell’efficacia.

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NOTE DI APPROFONDIMENTO 1. Diritto ed interesse legittimo Il diritto soggettivo è un interesse tutelato in modo pieno e immediato dalla legge: si tratta di una posizione di vantaggio di un soggetto, correlata ad un reciproco obbligo di un’altra parte. Ad es. Io compro una cosa e ho diritto che questa mi sia consegnata, il venditore ha il dovere di consegnarmela, mentre ha diritto a che io gli paghi il prezzo e io ho l’obbligo di pagarlo; ancora, se io sono proprietario di una cosa ho pieno diritto di utilizzarla a mio piacimento, mentre tutti gli altri avranno l’obbligo di non sottrarmela e di non turbare l’esercizio del mio diritto. Il diritto soggettivo (in breve, diritto) è tutelato in modo diretto, potrò rivolgermi al giudice ordinario (giudice di pace, tribunale, in primo grado, corte d’appello, in secondo grado) se qualcuno lede il mio diritto, entro un termine piuttosto lungo (solitamente cinque o dieci anni) di prescrizione (= venir meno del diritto per il suo mancato esercizio). I soggetti giuridici privati vantano diritti nei confronti di altri soggetti privati, ma anche nei confronti di pubbliche amministrazioni e vice versa. Ad es. nella fase di esecuzione di un contratto, una volta eseguita la prestazione, l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo e la P.A., ha l’obbligo di pagare. Se non lo fa, l’appaltatore potrà rivolgersi al giudice ordinario per ottenere il pagamento e il risarcimento del danno. Cos’è invece l’interesse legittimo? La legge, in particolare la costituzione e la legge istitutiva della sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, afferma che gli interessi legittimi sono tutelati, ma non definisce cosa sia un interesse legittimo. In qualche modo possiamo dire che l’interesse legittimo è la posizione del privato che viene in contatto con la P.A. quando questa esercita un potere pubblico, quando, cioè, si trova in quella posizione di supremazia cui si accennava all’inizio del capitolo; è la posizione del privato che si trova di fronte al provvedimento amministrativo. Il privato che si ritiene leso da un provvedimento amministrativo (provvedimento che deve incidere sulla sua situazione, non un qualsiasi provvedimento riferito ad altri) ha la possibilità di tutelarsi impugnando l’atto davanti al giudice amministrativo (T.A.R. in primo grado, Consiglio di Stato in secondo grado). Cosa dovrà dimostrare il privato? Che l’atto impugnato è illegittimo. Dunque l’interesse del privato è tutelato in quanto coincidente con l’interesse pubblico a che la P.A. agisca legittimamente, in questo l’interesse del privato è tutelato indirettamente. Non chiunque può ricorrere, ma solo chi ha interesse, chi è leso dal provvedimento, non è tutelato un generico interesse alla legittimità dell’azione amministrativa, tanto più che, per quanto illegittimo, un atto amministrativo diventa inoppugnabile e si consolida definitivamente, se non impugnato nel breve termine di decadenza di 60 giorni dalla notifica o dal momento in cui il privato ne è venuto a conoscenza. Vi sono diritti (diritti condizionati ) che coesistono con interessi legittimi. Es. il diritto di costruire o di esercitare il commercio è condizionato all’emanazione della prescritta autorizzazione. Quello che è un mio diritto necessita della rimozione di un limite legale al suo esercizio (diritti sospensivamente condizionati, o, dal punto di vista dell’interesse, interessi pretensivi = volti ad un ampliamento della sfera giuridica). Altro esempio: il mio diritto di proprietà è pieno ed ha valore anche nei confronti del Comune, quando però quest’ultimo decide di far passare una strada per il terreno di mia proprietà e quindi di espropriarmi, il mio diritto degrada a interesse legittimo e potrò oppormi alla P.A. solo in quanto io dimostri che i suoi atti sono illegittimi. In quest’ultimo caso, in cui il diritto degrada a interesse legittimo, si parla di diritti risolutivamente condizionati o di interessi oppositivi. I modi attraverso i quali diritti e interessi legittimi nei confronti della P.A. sono tutelati sono radicalmente diversi. Il giudice ordinario, che è il giudice dei diritti, non può mai annullare una atto della P.A., può solo disapplicare l’atto illegittimo durante un giudizio che investe diritti; il giudice amministrativo, che è il giudice degli interessi legittimi, annulla gli atti amministrativi illegittimi. Alcune differenze nella tutela sono tuttavia venute meno con un’importante sentenza della Corte di Cassazione (n. 500 del 1999) che ha ammesso (si tratta di un fatto storico) la possibilità di ottenere

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il risarcimento del danno per la lesione di un interesse legittimo, interesse che fino ad allora era tutelabile solo attraverso l’annullamento dell’atto. 2. I contratti della P.A. Tipica attività di diritto privato della P.A. è quella contrattuale. La P.A. si avvale degli strumenti del codice civile per acquisire beni e servizi, per costruire opere. Teoricamente essa potrebbe costruire strade con propri operai, oppure fabbricare direttamente ciò di cui ha bisogno; tuttavia, ciò non è ovviamente possibile, pertanto, come ciascuno di noi, si rivolge al mercato per soddisfare le proprie necessità, concludendo contratti, cioè comprando, affidando in appalto, prendendo in locazione ecc. Due sono sempre le fasi dell’attività contrattuale della P.A., nella prima, quella della formazione della volontà e della scelta del contraente, si esplica una capacità di diritto pubblico e cioè si ha un procedimento amministrativo, atti e provvedimenti amministrativi, nella seconda, quella dell’esecuzione del contratto, P.A. e privato si trovano su di un piano paritario, fatto di diritti e di obblighi reciproci. Nella prima fase troviamo la determinazione a contrattare, con cui la P.A. decide di addivenire ad un contratto, le procedure di scelta del contraente (pubblico incanto, licitazione privata, trattativa privata e appalto concorso), con i relativi atti: bandi, capitolati, verbali di gara. Una volta che il contraente è stato scelto e che il contratto è stato stipulato, o che, nel caso delle procedure di gara, si è avuta l’aggiudicazione, valgono per l’esecuzione del contratto stesso le norme civilistiche. 3. Gli atti di gestione del personale Il d.lgs. 29/93, recepito poi nel T.U. approvato con d.lgs. 165/2001, ha determinato la privatizzazione della quasi totalità dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Il rapporto di lavoro è disciplinato dai contratti collettivi e dal contratto individuale di lavoro, nonché dalle norme del codice civile relative al lavoro nell’impresa. Un’importante conseguenza consiste nel fatto che la P.A. – datore di lavoro agisce come un privato datore di lavoro, con atti, quindi, che, a dispetto della forma, spesso del tutto assimilabile a quella degli atti amministrativi, sono sostanzialmente di diritto privato, nei confronti dei quali sussiste la giurisdizione del giudice ordinario e rispetto ai quali la posizione dell’interessato è di diritto. Attenzione, stiamo parlando degli atti relativi alla gestione del rapporto di lavoro (es. concessione di un’aspettativa, trasformazione del rapporto in part time, trasferimento da un ufficio ad un altro ecc.), non stiamo parlando degli atti relativi alla costituzione del rapporto di lavoro (= procedure di concorso: indizione, bando, espletamento, costituzione della commissione, verbali ecc.): qui ci troviamo di fronte a veri e propri atti amministrativi, impugnabili, quando lesivi, dinanzi al giudice amministrativo entro il termine di decadenza. Dunque ci troviamo di fronte all’esercizio di un potere pubblico e la situazione per l’interessato sarà di interesse legittimo. 4. I vizi degli atti amministrativi, l’annullamento e la revoca Un atto amministrativo invalido può essere nullo o annullabile. L’atto nullo manca dei propri elementi essenziali (es. la firma o la forma scritta), oppure è emanato in una situazione di carenza di potere, poiché la legge non assegna a quella amministrazione il potere di porre in essere quel provvedimento. Un esempio è quello dell’incompetenza assoluta, per cui l’organo di una P.A. pone in essere un atto di competenza di un’altra P.A. L’atto nullo è radicalmente inefficace e non è necessaria l’impugnazione per farlo venire meno, essendo sostanzialmente inesistente. L’atto annullabile è l’atto illegittimo, efficace finché non interviene l’annullamento ad opera del giudice amministrativo, a seguito dell’impugnazione, o ad opera della P.A. stessa che può autonomamente annullare un proprio atto illegittimo o i cui presupposti sono venuti meno, anche oltre il termine per l’impugnazione. L’esercizio di questo potere da parte della P.A. procedente è

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manifestazione del potere di autotutela, che consente alla P.A., tra l’altro, discrezionalmente, di annullare i propri atti illegittimi. L’annullamento da parte della P.A. costituisce un provvedimento di secondo grado, in quanto agisce su di un altro atto. Mentre nell’atto nullo si ha l’inesistenza del potere, nell’atto illegittimo si ha un cattivo uso di un potere esistente. I vizi di legittimità sono l’incompetenza (relativa), la violazione di legge, l’eccesso di potere. Questi vizi, in origine desumibili dalla giurisprudenza amministrativa e dalla dottrina, ora sono codificati dall'art. 21 octies della L. 241/90. Vediamoli. La violazione di legge è un vizio di legittimità di immediata comprensione: quando la P.A. nel porre in essere un atto amministrativo viola la legge, l’atto risulta viziato per violazione di legge. Costituisce violazione di legge anche la violazione delle norme sul procedimento amministrativo; tuttavia “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (art. 21 octies l. 241). L’incompetenza relativa rende illegittimo l’atto emanato dall’organo incompetente. Attenzione: l’atto è emanato dalla P.A. competente (es. dal Comune), ma dall’organo all’interno di essa incompetente (es. il consiglio invece della giunta); qui sta la differenza con l’incompetenza assoluta che genera la nullità dell’atto. L’eccesso di potere è il vizio dell’atto discrezionale; la scelta discrezionale (= l’opportunità) attiene al merito e non alla legittimità e pertanto non è sindacabile dal giudice amministrativo, tuttavia, quando si verificano certe circostanze (dette figure sintomatiche), si può arrivare alla conclusione che la P.A. abbia operato un cattivo uso del potere, a causa dell’irragionevolezza dell’atto, e che quindi l’atto sia illegittimo; queste figure sintomatiche possono consistere nella contraddittorietà della motivazione, nella disparità di trattamento di casi simili, nel travisamento dei fatti risultanti dall’istruttoria, nella contraddizione fra più atti del procedimento. L’atto illegittimo, giova ripeterlo, è pienamente efficace e si consolida se non viene impugnato nei termini o se l’amministrazione non decide autonomamente di annullarlo. Un altro importante provvedimento di secondo grado espressione di autotutela (= attitudine della P.A. a risolvere i propri conflitti attuali o potenziali attraverso propri strumenti senza ricorrere ad autorità terze) è la revoca. Con essa la P.A. fa venire meno un proprio atto discrezionale, di efficacia durevole, mediante una nuova valutazione dell’interesse pubblico che fa ritenere inopportuno l’atto revocato (più precisamente ora la legge, l’art. 21 quinquies della l. 241, fa riferimento a sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto o nuova valutazione dell’interesse pubblico originario). La revoca non ha effetto retroattivo, non fa venire meno gli effetti già prodotti dall’atto, mentre l’annullamento per ragioni di legittimità retroagisce al momento di emanazione dell’atto e ne travolge gli effetti con efficacia retroattiva. Per i concetti di revoca, di annullabilità e di annullamento d'ufficio, si vedano ora anche gli artt. 21 quinquies, octies e nonies della l. 241/90.

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2. GLI ATTI DEL COMUNE: ORGANI E COMPETENZA. LA DISCIP LINA “LEGALE” DELLE DELIBERAZIONI E DELLE DETERMINAZIONI

Una piccola premessa Abbiamo parlato di cos’è l’atto amministrativo e delle sue diverse tipologie e ci si poterebbe chiedere che attinenza abbia tutto questo con la nostra attività di tutti i giorni. Dove sono le deliberazioni e le determinazioni dirigenziali? Possiamo vedere le deliberazioni e le determinazioni come un contenitore, come il modo mediante il quale il Comune manifesta la propria volontà. In realtà il vero e proprio atto amministrativo è il contenuto della deliberazione o della determinazione, come si manifesta nell’oggetto e nella sua parte dispositiva, anche se noi, semplificando, affermiamo che queste sono atti amministrativi. Una dimostrazione di questa circostanza è data dal fatto che vi sono determinazioni che contengono atti sostanzialmente privatistici (es. atti di gestione del personale); altri atti che qualche anno fa trovavano la loro espressione in deliberazioni, ora trovano la propria espressione in determinazioni dirigenziali, poiché è cambiata la competenza (si veda il caso delle deliberazioni a contrattare divenute determinazioni a contrattare): l’atto non è cambiato (si tratta sempre, ad esempio, della decisione di contrattare, o dell’approvazione di un progetto esecutivo, ecc.), è cambiata la competenza. Dobbiamo quindi fare un po’ di chiarezza fra alcuni concetti molto importanti. Utilizziamo questo schema.

Legge

atto competenza

organo

modi di manifestazione della volontà: deliberazione (organi collegiali) determinazione decreto disposizione Abbiamo visto come l’attività amministrativa discenda dalla legge che conferisce la potestà pubblica alle P.A.; in tal modo, la legge disciplina l’atto amministrativo, che sarà emanato dall’organo competente della P.A. Detta competenza è assegnata dalla legge. Dunque si verifica una stretta concatenazione e una reciproca interdipendenza dei concetti di atto, organo e competenza. Ogni organo poi ha i propri modi di manifestare la volontà che costituiscono altrettante

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forme dell’atto amministrativo. Se è un organo collegiale, agirà per mezzo di deliberazioni, se è un organo monocratico, gli atti avranno altre forme (decreto, determinazione ecc.). Nella prosecuzione di questa trattazione, aderendo a quella che è la normale pratica degli uffici, parleremo di delibere e determinazioni come se si trattasse di atti amministrativi, con la consapevolezza che si tratta di una semplificazione che fa prevalere il dato formale sulla sostanza: la deliberazione è la forma, l’atto vero e proprio è l’approvazione del progetto, l’assunzione del personale, l’indizione del concorso, il regolamento approvato con la deliberazione, il bilancio, il piano regolatore ecc. La deliberazione La deliberazione è il tipico atto degli organi collegiali. Come si manifesta la volontà negli organi collegiali ( = consiglio e giunta)? Con il voto: la deliberazione viene approvata (e quindi viene ad esistere giuridicamente) con il voto della maggioranza dei presenti (la metà più uno, o altra maggioranza prevista dalla legge: es. la maggioranza dei consiglieri assegnati, i due terzi ecc.). Si afferma pertanto che la deliberazione è un atto che si forma oralmente. Cosa vuol dire? Possiamo immaginare che il proponente legga all’assemblea il testo di una proposta, si apra un dibattito, che, alle volte porta a modifiche del testo originario (emendamenti), e che poi il collegio voti approvando o respingendo la proposta. Il presidente del collegio proclama il risultato della votazione, e la proposta, se approvata, viene cristallizzata nella sua forma definitiva di deliberazione. La deliberazione esiste, si è formata attraverso queste operazioni, oralmente, tuttavia, per esistere su di un piano pratico necessiterà di essere verbalizzata, ossia riportata per iscritto. Nella sua stesura finale, la deliberazione è composta: a) da un corpo centrale costituito dalla proposta approvata, che rimanda allo schema di atto

amministrativo descritto nel capitolo precedente:

oggetto = breve descrizione del contenuto della deliberazione, per consentire una veloce disamina di quanto l’organo ha deciso intestazione = IL CONSIGLIO COMUNALE/LA GIUNTA COMU NALE preambolo = indicazione di fatti, situazioni cui si riferisce l’atto adottato, degli accertamenti effettuati e, in generale, dell’istruttoria seguita (PREMESSO CHE, PRESO ATTO CHE, DATO ATTO CHE e simili), indicazione delle norme giuridiche applicate (VISTO/RICHIAMATO L’ART. …) motivazione (CONSIDERATO/RITENUTO) “formule ricorrenti” = riportano l’esito dei parer i di cui all’art. 49 del T.U. DELIBERA dispositivo = decisione o decisioni assunte (di approvare ….., di dar corso …….., di disporre ……, di imputare la spesa/di introitare la somma …..) eventuale formula di immediata eseguibilità per le deliberazioni di giunta, formula di comunicazione ai capigruppo consiliari e messa a disposizione dei consiglieri eventuale formula per la comunicazione al prefetto (nei rari casi in cui la deliberazione ha per oggetto contratti) eventuale (per gli atti che vengono notificati) formula relativa all’organo presso il quale presentare ricorso e al termine (art. 3 l. 241/90)

b) da una serie di elementi che derivano dalla verbalizzazione, elementi che sono, da un lato, volti

a consentire l’identificazione della deliberazione (numero e data,) e dall’altro a dare conto di quella formazione orale di cui si parlava prima: indicazione dei presenti, della presidenza della

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seduta (sindaco o vicesindaco, per la giunta, presidente del consiglio o consigliere anziano, per il consiglio), dell’esito della votazione. In relazione alla formula di immediata eseguibilità occorre fare presente che essa è oggetto di una votazione separata, poiché per legge deve ottenere la maggioranza dei membri assegnati, al contrario della generalità delle deliberazioni per cui è necessaria la maggioranza dei presenti.

c) da ulteriori elementi che attengono all’efficacia della deliberazione e alle connesse operazioni successive relative all’affissione all’albo pretorio (elementi di solito riportati sul retro del provvedimento, a firma del segretario).

Dal punto di vista pratico, quando si richiede la stesura di una deliberazione, si richiede solitamente la stesura del solo “corpo centrale”. Quali norme regolano le deliberazioni dei comuni? Vediamole. Si tratta innanzi tutto delle nome che riguardano la competenza degli organi: quali atti deve fare il consiglio e quali la giunta? Le competenze del consiglio sono elencate nell’art. 42 del T.U. solo gli atti lì elencati (statuto, regolamenti, escluso il regolamento di organizzazione che è di competenza della giunta, piani urbanistici, bilanci, alienazione o acquisto di immobili ecc.) devono essere approvati dal consiglio, tutti gli altri sono di competenza degli altri organi. Le competenze della giunta sono disciplinate dall’art. 48 T.U.. I dati fondamentali sono i seguenti: la giunta ha una competenza generale che investe tutti gli atti rientranti nelle funzioni di governo (competenza generale che si contrappone quindi alla competenza generale dei dirigenti in materia di gestione amministrativa; su questo concetto vedi il prossimo paragrafo), tranne quelli riservati dalla legge ad altri organi; la giunta opera per mezzo di deliberazioni collegiali (il singolo assessore non può porre in essere atti amministrativi, salvo le ordinanze su delega del sindaco), l’atto della giunta, dunque ha la forma della deliberazione; la giunta adotta altresì i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio. Si tratta di una deroga alla competenza sui regolamenti stabilita in via generale in capo al consiglio. Norme specifiche indicano poi determinati atti come di competenza di giunta: due casi molto importanti riguardano l’adozione del P.E.G. e, appunto, l’approvazione del regolamento di organizzazione. Vi sono poi le norme che riguardano la procedura. Art. 49 T.U. – pareri dei responsabili dei servizi Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia un mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione. Il T.U. ha recepito il testo del vecchio art. 53 della l. 142/90, così come era venuto modificandosi negli anni, in particolare a seguito dell’eliminazione del parere di legittimità del segretario avvenuto a seguito della l. 127/97. Sulla natura di questi pareri, si richiama quanto espresso nel primo capitolo. L’acquisizione dei pareri, che, per quanto riguarda la regolarità tecnica, riguardano la totalità in pratica delle deliberazioni (se si fa eccezione per il rarissimo caso del puro atto di indirizzo), è obbligatoria e consiste in un passaggio importantissimo nel procedimento di formazione delle deliberazioni e un elemento obbligatorio nella redazione dell’atto. La legge non richiede più come faceva il “vecchio” art. 55 della l. 142, prima delle modifiche della l. 127, l’attestazione di copertura finanziaria per le deliberazioni, attualmente richiesta dall’art. 151 del T.U. solo per le determinazioni dirigenziali, in quanto la legge vede l’impegno di spesa unicamente come atto del dirigente, in quanto atto di gestione; tuttavia, quando il provvedimento

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comporta una spesa o una minore entrata esso deve essere corredato dal parere di regolarità contabile espresso dal responsabile della ragioneria. Le indicazioni della legge circa il procedimento continuano poi con le norme relative alla pubblicità, ai controlli e, in definitiva, all’efficacia delle deliberazioni. Si tratta della fase successiva all’adozione. Art. 124 T.U. – Pubblicazione delle deliberazioni Tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante affissione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge. (….) ORA QUESTO ADEMPIMENTO VIENE ESPLETATO MEDIANTE LA PUBBLICAZIONE SULL’ALBO ON LINE. INFATTI L’ART. 32 DELLA L. 69/2009 RECITA: A FAR DATA DAL 1 GENNAIO 2010 GLI OBBLIGHI DI PUBBLICAZIONE DI ATTI E PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI AVENTI EFFETTI DI PUBBLICITA’ LEGALE SI INTENDONO ASSOLTI CON LA PUBBLICAZIONE NE I PROPRI SITI INFORMATICI DALLE AMMINISTRAZIONI E DAGLI ENTI PUBB LICI OBBLIGATI. (…) A DECORRERE DAL 1 GENNAIO 2011 LE PUBBLICAZIONI EFFETTUATE IN FORMA CARTACEA NON HANNO EFFETTO DI PUBBLICITA’ LEG ALE (…) Art. 125 T.U.– Comunicazione delle deliberazioni ai capigruppo Contestualmente all’affissione all’albo le deliberazioni adottate dalla giunta sono trasmesse in elenco ai capigruppo consiliari; i relativi testi sono messi a disposizione dei consiglieri nelle forme stabilite dallo statuto o dal regolamento. (Art. 126 T.U.– Deliberazioni soggette in via necessaria al controllo preventivo di legittimità Il controllo preventivo di legittimità di cui all’art. 130 della costituzione sugli atti degli enti locali si esercita esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di competenza del consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia organizzativa e contabile dello stesso consiglio, sui bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, adottate o ratificate dal consiglio, sul rendiconto di gestione, secondo le disposizioni del presente testo unico. (…)) Questo controllo è venuto meno a seguito dell'abrogazione dell'art. 130 della costituzione. Art. 127 T.U. – Controllo eventuale

1. Le deliberazioni della giunta e del consiglio sono sottoposte al controllo, nei limiti delle illegittimità denunziate, (…) quando un quarto dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti (…..) ne facciano richiesta scritta e motivata con l’indicazione delle norme violate, entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio, quando le deliberazioni stesse riguardino:

a. appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilevo comunitario (= circa 200.000 Euro)

b. dotazioni organiche e relative variazioni; c. assunzioni del personale. 2. Nei casi previsti dal comma 1, il controllo è esercitato dal comitato regionale di controllo

ovvero, se istituito, dal difensore civico comunale (…). L’organo che procede al controllo, se ritiene che la deliberazione sia illegittima, ne da comunicazione all’ente, entro 15 giorni dalla richiesta e lo invita ad eliminare i vizi riscontrati. In tal caso, se l’ente non ritiene di modificare la delibera, essa acquista efficacia se viene confermata con la maggioranza assoluta dei membri del consiglio.

3. La giunta può altresì sottoporre al controllo preventivo di legittimità dell’organo regionale di controllo ogni altra deliberazione dell’ente secondo le modalità di cui all’art. 133.

L'impianto dei controlli appare avere contorni molto dubbi a seguito della riforma costituzionale, tuttavia si può ritenere che il controllo eventuale su richiesta dei consiglieri, ove effettuato dal difensore civico, permanga. I COMUNI NON HANNO PIU' UN LORO DIFENSORE CIVICO (finanziaria 2010).

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Art. 133 T.U. – Modalità del controllo preventivo di legittimità Il controllo preventivo di legittimità comporta la verifica della conformità dell’atto alle norme vigenti ed alle norme statutarie (…) per quanto riguarda la competenza, la forma e la procedura e rimanendo esclusa ogni diversa valutazione dell’interesse pubblico perseguito. (….) Art. 134 T.U. – Esecutività delle deliberazioni 1. La deliberazione soggetta al controllo necessario (casi di cui all’art. 126) di legittimità deve

essere trasmessa (al CO.RE.CO.) a pena di decadenza entro il quinto giorno successivo all’adozione. Essa diventa esecutiva se entro 30 giorni dalla trasmissione della stessa il comitato regionale di controllo non trasmetta all’ente interessato un provvedimento motivato di annullamento. Le deliberazioni diventano comunque esecutive qualora prima del decorso dello stesso termine il comitato regionale di controllo dia comunicazione di non aver riscontrato vizi di legittimità.

2. Nel caso delle deliberazioni soggette a controllo eventuale (v. art. 127) la richiesta di controllo sospende l’esecutività delle stesse fino all’avvenuto esito del controllo.

3. Le deliberazioni non soggette a controllo necessario o non sottoposte a controllo eventuale diventano esecutive dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione.

4. Nel caso di urgenza le deliberazioni del consiglio o della giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti.

Vale quanto detto in precedenza sui controlli e sul venire meno degli organi regionali di controllo. Art. 135 T.U. T.U. – Comunicazione deliberazioni al prefetto (…..) 2. (….) il prefetto può chiedere che siano sottoposte al controllo preventivo di legittimità le

deliberazioni degli enti locali relative ad acquisti, alienazioni, appalti e in generale a tutti i contratti, con le modalità e i termini previsti dall’art. 133 c. 1. Le predette deliberazioni sono comunicate al prefetto contestualmente all’affissione all’albo.

Le disposizioni sopra riportate attengono alla fase integrativa dell’efficacia del provvedimento, nonché a varie forme di pubblicità: pubblicità che consente il controllo politico (comunicazione delle deliberazioni di giunta ai capigruppo), pubblicità che consente il controllo dei cittadini su tutte le deliberazioni (di giunta e di consiglio) mediante l’affissione all’albo per 15 giorni (ora pubblicazione sull’albo on line), pubblicità necessaria per consentire l’esecutività (fase integrativa dell’efficacia) della deliberazione non dichiarata immediatamente eseguibile (le deliberazioni divengono esecutive dopo 10 giorni di affissione all’albo). In merito dunque all’esecutività della deliberazione abbiamo le seguenti possibilità: 1. per la generalità delle deliberazioni = 10 giorni dall’affissione all’albo; 2. esito del controllo eventuale (= sottoposizione al difensore civico su iniziativa di un quarto dei

consiglieri delle deliberazioni relative a contratti sopra soglia, dotazioni organiche e assunzioni), qualora lo si ritenga ancora sussistente;

3. per le deliberazioni riconosciute urgenti con il voto della maggioranza dei membri assegnati, l’esecutività è immediata.

In relazione al controllo eventuale effettuato su iniziativa di un quarto dei consiglieri, bisogna osservare che esso investirebbe atti che ora sono nella gran parte dei casi di competenza dei dirigenti, pertanto esso può essere esercitato nei rari casi in cui la competenza su detti atti appartenga ancora al consiglio o alla giunta. La particolarità di detto controllo consiste nel coinvolgimento del difensore civico e nelle modalità con cui la deliberazione, per quanto ritenuta da quest’ultimo illegittima, può continuare ad avere il proprio corso (nuova deliberazione a maggioranza dei consiglieri assegnati, anche quando la deliberazione oggetto del controllo è di competenza della giunta).

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Un ultimo cenno deve essere dedicato alla particolare procedura di adozione dello statuto. Lo statuto viene approvato con deliberazione del consiglio secondo il procedimento indicato nell’art. 6 del T.U. ai commi 4 e 5: Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro 30 giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie. Dopo l’espletamento del controllo da parte del competente organo regionale (= CO.RE.CO), lo statuto è pubblicato sul bollettino ufficiale della regione, affisso all’albo pretorio dell’ente per trenta giorni consecutivi ed inviato al ministero dell’interno per essere inserito nella raccolta ufficiale degli statuti. Lo statuto entra in vigore decorsi trenta giorni dalla sua affissione all’albo pretorio dell’ente. Posto che il controllo del CO.RE.CO non c'è più, si nota la particolare procedura costitutiva e di integrazione dell’efficacia del procedimento. Infatti oltre alle particolari modalità di approvazione, occorre evidenziare il fatto che lo statuto per entrare in vigore necessita di una pubblicazione per 30 giorni. La determinazione dirigenziale Ormai da diversi anni la legislazione sviluppa il concetto di distinzione fra indirizzo politico – amministrativo (che spetta all’organo politico: consiglio e giunta) e gestione (che spetta al dirigente). Questo discorso investe profondamente la problematica delle competenze, soprattutto per quanto attiene all’attività degli uffici che devono quotidianamente decidere, dovendo predisporre un atto amministrativo, se la competenza spetti alla giunta o al dirigente (abbiamo visto che per quanto riguarda il consiglio c’è un’elencazione precisa delle competenze nell’art. 42 del T.U.). Di qui l’assillante dubbio: sarà delibera o determinazione? Il principio generale che rinveniamo nella legge (si veda l’art. 3 del d.lgs. 29/93, come trasposto poi nell’art. 4 del testo unico in materia di pubblico impiego approvato con d.lgs. 165/2001) è che in generale l’adozione degli atti amministrativi spetti ai dirigenti (tutti gli atti amministrativi, compresi quelli che hanno efficace verso l’esterno = provvedimenti), mentre agli organi politici spetta l’adozione degli atti di indirizzo politico amministrativo, di interpretazione normativa, di attribuzione agli uffici delle risorse finanziarie. Per quanto riguarda gli enti locali, la norma fondamentale in materia di competenza dei dirigenti è l’art. 107 T.U., vediamone i primi due commi: spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra e funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale. Gli atti del dirigente si manifestano, generalmente mediante determinazione, ma possono trovare altre manifestazioni desumibili dal prosieguo dell’art. 107 (permessi di costruire, provvedimenti di sospensione lavori, di abbattimento di fabbricati abusivi, verbali di gara, altri verbali, certificazioni ecc.). Una volta dettati i principi generali in materia di competenza, la legge rimanda agli statuti degli enti locali cui è affidato il compito di precisare meglio la distinzione fra indirizzo e gestione; la

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legge poi lascia all’ente locale la determinazione della procedura di adozione e dei contenuti delle determinazioni, fornendo alcune scarne indicazioni contenutistiche e procedurali. Vediamole. Art. 151 – c. 4 T.U. I provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria. Art. 183 – c. 9 T.U. Il regolamento di contabilità disciplina le modalità con le quali i responsabili dei servizi assumono atti di impegno. A tali atti, da definire “determinazioni” e da classificarsi con sistemi di raccolta che individuano la cronologia degli atti e l’ufficio di provenienza, si applicano, in via preventiva, le procedure di cui all’art. 151 c. 4. Art. 192 – determinazioni a contrattare e relative procedure La stipulazione dei contratti deve essere preceduta da apposita determinazione del responsabile del procedimento di spesa indicante: • il fine che con il contratto si intende perseguire; • l’oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali; • le modalità di scelta del contraente ammesse dalle disposizioni vigenti in materia di contratti

delle pubbliche amministrazioni e le ragioni che ne sono alla base.(….) Quello che la legge dice sulle determinazioni dirigenziali è praticamente tutto qui. Da qui ogni comune è partito per costruire la “propria” determinazione. L’indicazione forte che ci viene dalla legge riguarda le determinazioni che contengono impegni di spesa, per la cui esecutività è necessario il visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria. Il procedimento, appena abbozzato dal legislatore sembra prevedere una fase integrativa dell’efficacia con l’apposizione del visto. La determinazione che comporta spesa, infatti, per essere esecutiva necessita del visto. La legge non prescrive i pareri previsti per le deliberazioni né la pubblicazione all’albo, non vi è alcuna forma di controllo da parte di organi esterni, neppure su iniziativa del consiglio o della giunta. Dopo il visto, sempre per le determinazioni che comportano un impegno, la legge prescrive la raccolta con relativa numerazione progressiva. La legge invece entra nel contenuto della determinazione con la descrizione della determinazione a contrattare. Che dire rispetto alla stesura di una determinazione dirigenziale? La sua forma non differisce molto da quella del corpo centrale della deliberazione, posto che qui non si deve dare conto di tutti quegli elementi propri delle decisioni degli organi collegiali (presenti, voto ecc.). Proviamo a buttare giù uno schema. oggetto = breve descrizione del contenuto della deliberazione, per consentire una veloce disamina di quanto l’organo ha deciso intestazione = il dirigente responsabile del settore …… preambolo = indicazione di fatti, situazioni cui si riferisce l’atto adottato, degli accertamenti effettuati e, in generale, dell’istruttoria seguita (PREMESSO CHE, PRESO ATTO CHE, DATO ATTO CHE e simili), indicazione delle norme giuridiche applicate (VISTO/RICHIAMATO L’ART. …) motivazione (CONSIDERATO/RITENUTO)

DETERMINA dispositivo = decisione o decisioni assunte (di approvare ….., di dar corso …….., di disporre ……, di imputare la spesa/di introitare la somma …..)

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data firma visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria (per gli atti che comportano spesa) Giova ricordare che questo schema deriva dalle sole disposizioni di legge, a prescindere dalle eventuali disposizioni statutarie, regolamentari e di prassi organizzativa che il comune può darsi rispetto a questi atti. Di cosa parliamo quando parliamo di atti del Comune L’attività del Comune è veramente molteplice ed è impossibile esaminare uno ad uno tutti i suoi atti. Quello che si è esaminato finora riguarda gli atti a carattere più generale, mentre vi sono moltissimi atti retti da normative particolari di settore. Il contenuto stesso delle deliberazioni e delle determinazioni dirigenziali, che è, come precisato all’inizio di questo capitolo, il vero e proprio provvedimento amministrativo, è retto da norme specifiche che disciplinano quello specifico atto (es. il d.lgs. 50/2016 per quanto riguarda i lavori pubblici ed in generale gli appalti, la normativa in materia urbanistica per l’approvazione dei provvedimenti in quella materia ecc.) Dal punto di vista della struttura materiale tuttavia le differenze non sono molte e possiamo ricordare lo schema generale di atto amministrativo descritto nel primo capitolo. Occorre ricordare che la generalità degli atti del Comune è di competenza dei dirigenti, anche se non tutti gli atti dirigenziali assumono la forma delle determinazioni dirigenziali: si vedano ad esempio le autorizzazioni, i certificati, i verbali ecc. Come considerazione conclusiva, bisogna osservare che ogni Comune per mezzo delle proprie norme statutarie e regolamentari precisa le competenze degli organi e detta disposizioni per la definizione dei procedimenti amministrativi che completano e adattano alle peculiarità di ogni ente le disposizioni previste dalla legge. In conclusione occorre ora combinare le diverse conoscenze che abbiamo in tema di procedimento amministrativo, competenze degli organi, redazione degli atti. Abbiamo visto nel primo capitolo come l'attività più tipica della P.A. sia quella che si concretizza in atti amministrativi e come questi atti si combinino in procedimenti finalizzati ad un determinato obiettivo (conclusione di un contratto, assunzione di personale, rilascio di autorizzazioni, approvazione del bilancio ecc.). Ovviamente la risoluzione di un caso presuppone la conoscenza, in termini almeno generali, della normativa di riferimento (legge sui lavori pubblici, regolamento sulle assunzioni, normativa in materia di espropri ecc.). Questa normativa ci darà indicazioni rispetto a quali atti fare, e, in definitiva, ci consentirà di dare contenuto all'attività amministrativa. Un altro punto molto importante riguarda la competenza; individuato il procedimento e gli atti da predisporre, occorrerà stabilire quale sia l'organo competente ad adottare gli atti del procedimento. Dunque il nostro discorso sull’attività amministrativa ha toccato questi punti: - concetto di atto e provvedimento amministrativo - procedimento amministrativo (come si arriva al provvedimento, e poi alla sua esecuzione) - competenze - redazione di atti amministrativi

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- procedimento di adozione di deliberazioni e determinazioni del Comune.

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