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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento scienze aziendali e sociali Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale www.supsi.ch/fisco N° 4 – Aprile 2014 Diritto tributario svizzero Le riserve da apporti di capitale 3 Diritto tributario italiano L’Imposta Unica Comunale ridisegna la tassazione sugli immobili 9 Diritto tributario internazionale e dell’UE I difficili rapporti fiscali tra Svizzera ed Italia: alcuni retroscena interessanti 12 IVA e imposte indirette La “web tax” italiana: tematiche IVA e di transfer pricing 16 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero La responsabilità fiscale degli amministratori di una società anonima 19 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano L’efficacia della produzione di documenti in lingua estera nel corso del giudizio tributario 22 Offerta formativa Tutto ciò che devi sapere sull’IVA svizzera e nell’UE 23 Seminari e corsi di diritto tributario 25

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento scienze aziendali e socialiCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.supsi.ch/fisco

N° 4 – Aprile 2014

Diritto tributario svizzeroLe riserve da apporti di capitale 3

Diritto tributario italianoL’Imposta Unica Comunale ridisegna la tassazione sugli immobili 9

Diritto tributario internazionale e dell’UEI difficili rapporti fiscali tra Svizzera ed Italia: alcuni retroscena interessanti 12

IVA e imposte indiretteLa “web tax” italiana: tematiche IVA e di transfer pricing 16

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroLa responsabilità fiscale degli amministratori di una società anonima 19

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italianoL’efficacia della produzione di documenti in lingua estera nel corso del giudizio tributario 22

Offerta formativaTutto ciò che devi sapere sull’IVA svizzera e nell’UE 23

Seminari e corsi di diritto tributario 25

In questo numero di aprile il contributo di Roberto Audino ci spiega compiutamente la ratio del cam-biamento legislativo riguardante l’introduzione del principio degli apporti di capitale in luogo del principio del valore nominale, l’approccio dell’AFC così come quello della dottrina, rispettivamente le cause che hanno comportato una notevole riduzione del gettito fiscale e gli atti parlamentari che chiedono o hanno chiesto una modifica della normativa sul principio degli apporti di capitale. Serena Bonfanti ci illustra poi come è stata riordi-nata la tassazione immobiliare comunale in Italia a partire dal 1. gennaio di quest’anno. Questo nuo-vo tributo rappresenta infatti, come indicato dalla stessa autrice, un “faticoso punto di compromesso raggiunto dal Governo tra l’esigenza politica di cancellare il tributo sulla prima casa e la ragione dei numeri e del-le disponibilità finanziarie limitate”. Patrick Schubiger ci svela in seguito alcuni interessanti retroscena in materia di scambio di informazioni fiscali tra Sviz-zera ed Italia. Qualcuno di voi era a conoscenza del fatto che nel lontano 2002 l’Italia aveva rifiutato una vantaggiosa proposta dell’autorità svizzera di ottenere lo scambio di informazioni come allora previsto con gli Stati Uniti (“tax fraud and the like”), quale contropartita per uscire dalle liste nere? Paolo F. Tripoli e Lorenzo Ferrari ci descrivono invece la cosiddetta “web tax”, ovvero una serie di disposizio-ni tributarie finalizzate a combattere le (presunte) strategie di pianificazione fiscale utilizzate dalle “internet companies”. Infine, Rocco Filippini e Roberto Franzè commentano delle sentenze interessan-ti; da un lato sugli aspetti legati alla responsabilità fiscale degli amministratori di una società anoni-ma, dall’altro invece sull’efficacia della produzione di documenti in lingua estera nel corso del giudizio tributario.

Samuele Vorpe

RedazioneSUPSICentro di competenzetributariePalazzo E6928 MannoT +41 58 666 61 75F +41 58 666 61 [email protected]/fisco

ISSN 2235-4565 (Print)ISSN 2235-4573 (Online)

Redattore responsabileSamuele Vorpe

Comitato redazionaleFlavio AmadòElisa AntoniniPaolo ArginelliRocco FilippiniRoberto FranzèGiordano MacchiGiovanni MoloAndrea PedroliSabina RigozziCurzio ToffoliSamuele Vorpe

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IntroduzioneNovità fiscali04/2014

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Tra passato, presente e prospettive future

1. IntroduzioneLa Legge federale del 23 marzo 2007 sul miglioramento del-le condizioni quadro fiscali per le attività e gli investimenti imprenditoriali ha ridisciplinato l’approccio al rimborso degli apporti, degli aggi e dei versamenti suppletivi forniti da tito-lari di diritti di partecipazione (di seguito Legge sulla Riforma II)[1]. Con l’introduzione di questi nuovi concetti a partire dal 1. gennaio 2011 il Legislatore ha voluto codificare il principio secondo cui il rimborso degli apporti di capitale, degli aggi e dei versamenti suppletivi sono, per la persona fisica che ha ef-fettuato l’apporto, parificati al rimborso del capitale (articoli 19 capoverso 3 della Legge tributaria del Canton Ticino [di seguito LT] e 20 capoverso 3 della Legge federale sull’imposta federale diretta [di seguito LIFD]) e dunque esente da imposta se sono rispettate alcune condizioni poste dal Legislatore stesso. In par-ticolare le nuove norme sanciscono che sono esentati i rimborsi di apporti di capitale effettuati dopo il 31 dicembre 1996.

Il principio del valore nominale, lascia dunque il posto al prin-cipio degli apporti di capitale. L’effetto retroattivo della norma è frutto di un compromesso politico tra la destra e la sinistra parlamentare. Compromesso che fa tuttora discutere a livello fiscale oltre che politico. La Legge sulla Riforma II definisce inol-tre i criteri che permettono di identificare aggi, apporti e ver-samenti suppletivi che possono venir rimborsati in esenzione d’imposta e dunque qualificati quale componente del capitale (articolo 5 capoverso 1bis della Legge federale sull’imposta pre-ventiva [di seguito LIP]).

Ai sensi della Legge sulla Riforma II, gli apporti, gli aggi e i ver-samenti suppletivi devono essere effettuati direttamente dai titolari dei diritti di partecipazione. Devono inoltre venir con-tabilizzati e dunque evidenziati su un conto separato del bilan-cio commerciale ed ogni modifica deve essere prontamente notificata all’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC). Quest’ultima, secondo i disposti di legge e la relativa circolare applicativa[2], mantiene un approccio mol-to formale nel considerare rimborsabili esentasse unicamente gli apporti di capitale provenienti da azionisti diretti. Questo

approccio dell’AFC è di fatto opposto a quanto sostiene la dot-trina commerciale. Questa infatti ritiene che la norma va inte-sa da un profilo più ampio ed economico e dunque che anche le persone vicine all’azionista, che hanno effettuato e/o effet-tuano apporti di capitale, possono beneficiare dell’esenzione al rimborso. In questo senso è interessante ricordare che il mes-saggio del Consiglio federale che accompagnava il disegno di legge prevedeva che unicamente gli apporti forniti diretta-mente dai titolari dei diritti di partecipazione potevano essere rimborsati in esenzione d’imposta[3]. L’avverbio direttamente non è stato ripreso nel testo di legge in votazione popolare, abbandonando i propositi iniziali ed abbracciando una nozione economica che, a detta di molti, dovrebbe contemplare anche gli apporti posti in essere da persone vicine all’azionista. L’ap-proccio formale AFC si scontra dunque con quello della dottri-na commerciale.

L’introduzione delle nuove norme ha portato con sè un’impor-tante ed inattesa riduzione del gettito fiscale, sia dal profilo dell’imposta preventiva che da quello delle imposte sui redditi. La controversia politica è aperta. La riduzione di gettito fu evi-denziata all’epoca dal Consiglio federale, ma non nelle propor-zioni in cui la defezione si sta attualmente manifestando. Alcuni sostengono che il Governo abbia taciuto sulla reale portata del-la riduzione del gettito fiscale, nell’intento di non influenzare in modo determinante le intenzioni del Popolo chiamato al voto nel febbraio del 2008.

2. La ratio del cambiamento legislativoA detta del Governo, le condizioni quadro fiscali nazionali non erano più ritenute adatte alla concorrenza internazionale. Le misure che il Governo intendeva introdurre perseguivano più obiettivi. In generale la volontà fu quella di incentivare gli inve-

Diritto tributario svizzeroLe riserve da apporti di capitale

Roberto AudinoMaster of Advanced Studies SUPSI in Tax LawEsperto diplomato in finanza e controllingPartner e responsabile area contabile MDR Advisory Group SA, Lugano

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stimenti in Svizzera e rendere la nostra piazza economica più competitiva per permetterle di essere a pari livello degli altri Paesi europei concorrenti e dei nostri vicini di casa. L’intento del Consiglio federale fu quello di rafforzare il settore delle im-prese e del commercio, creare nuovi posti di lavoro nelle pic-cole-medie imprese (di seguito PMI) ed aumentare l’attrattiva della piazza finanziaria svizzera, tutto ciò con l’intenzione di rispondere alle preoccupazioni espresse dagli ambienti politici ed economici che furono in parte ignorate in occasione delle revisioni precedenti dell’ordinamento tributario.

A detta del Legislatore, la piazza finanziaria svizzera non po-teva più sopportare gli svantaggi dati dal principio del valore nominale che impone ogni rimborso di aggio o versamento suppletivo superiore al valore nominale del capitale azionario o sociale liberato. Il Governo, in sede di progetto, sottolineò anche che, in alcuni casi, il principio del valore nominale, viola il principio dell’imposizione secondo la capacità contributiva sancito dall’articolo 127 capoverso 2 della Costituzione fe-derale (di seguito Cost.). Il progetto previsto giungeva dopo innumerevoli atti parlamentari che, in un modo o nell’altro, perseguivano l’obiettivo generale di migliorare le condizioni quadro fiscali per le attività imprenditoriali e gli investimenti.

3. I principi del sistema d’imposizione delle riserve da apporti di capitale nel diritto interno svizzeroA partire dal 1. gennaio 2011 e con l’introduzione della Legge sulla Riforma II, sono stati modificati alcuni articoli di legge atti a determinare i principi per cui aggi, apporti e versamenti suppletivi possono venir esentati all’atto della loro restituzio-ne e dunque definiti come parte del capitale. Ecco come si presentano oggi gli articoli di legge modificati ed attualmen-te in vigore:

◆ l’articolo 20 capoverso 3 LIFD sancisce che il rimborso degli apporti, dell’aggio e dei pagamenti suppletivi forniti dai ti-tolari dei diritti di partecipazione dopo il 31 dicembre 1996 è trattato in modo identico al rimborso del capitale aziona-rio o sociale;

◆ l’articolo 19 capoverso 3 LT riprende la formulazione dell’articolo 7b della Legge federale sull’armonizzazione delle impose dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID) che è identica a quella della LIFD, ovvero che il rim-borso degli apporti, dell’aggio e dei pagamenti suppletivi forniti dai titolari dei diritti di partecipazione dopo il 31 di-cembre 1996 è trattato in modo identico al rimborso del capitale azionario o sociale;

◆ l’articolo 5 capoverso 1bis LIP indica che il rimborso degli apporti, dell’aggio e dei pagamenti suppletivi forniti dai ti-tolari dei diritti di partecipazione dopo il 31 dicembre 1996 è trattato in modo identico a quello del capitale azionario o sociale se la società di capitali o la società cooperativa li allibra su un conto separato del bilancio commerciale e co-munica ogni modifica di questo conto all’AFC.

La società deve effettuare questa comunicazione entro 30 giorni dalla data dell’assemblea generale degli azionisti. Do-vrà essere dunque notificato ogni mutamento in relazione al conto degli apporti di capitale in applicazione delle direttive

previste dalla Circolare n. 29 dell’AFC e dai disposti dell’arti-colo 125 capoverso 3 LIFD[4]. La Circolare definisce in effetti in modo esplicito quali sono tempi e modi relativi alle comu-nicazioni da effettuare in relazione all’imposta preventiva e la relativa procedura da seguire. Dopo le comunicazioni del caso, l’AFC informa la società interessata o il suo rappresentante, in merito all’ammontare delle riserve da apporti di capitale fi-scalmente ammesse.

Per avere la qualifica di riserva di capitale, determinante è l’imputazione dell’apporto di capitale nel bilancio commercia-le. L’eventuale compensazione delle perdite riportate preclude la possibilità di rimborso dell’apporto in esenzione d’imposta.

La sistematica fiscale comporta dunque che eventuali conse-guenze fiscali devono essere esaminate al momento dell’ap-porto ed al momento della restituzione di quest’ultimo. La ve-rifica deve essere svolta sia dal profilo societario che da quello dell’azionista persona fisica, in quanto all’atto del trasferimen-to dell’apporto cambia di fatto la proprietà dello stesso. Con-tabilmente l’apporto deve essere accreditato[5]:

◆ al conto capitale azionario o sociale al momento della co-stituzione della società;

◆ ai conti delle riserve di capitale, per esempio denominati apporto o aggio, nel caso si tratti di aggio d’emissione nel caso di costituzione della società o aumento di capitale qualora le azioni vengano liberate al di sopra del loro valore nominale;

◆ ai conti delle riserve aperte.

Qualora gli apporti provengono da sostanza commerciale, di regola, è imponibile la differenza tra il valore venale dell’appor-to ed il suo valore contabile. Nel caso invece di apporto sot-tovalutato le conseguenze fiscali si ripercuotono sull’azionista che effettua l’apporto dalla sua sostanza commerciale. In bre-ve si assiste ad una distribuzione gratuita di azioni se il prezzo pagato è inferiore al valore nominale, ed ad una donazione, vantaggio, qualora l’importo versato quale prezzo è superiore al valore nominale, ma comunque inferiore al valore venale[6].

4. L’approccio dell’AFCL’AFC approccia le problematiche legate agli apporti di capi-tale attenendosi ad una visione prettamente societaria nel definire in modo sistematico cosa ha ricevuto la società e da chi. Dunque l’autorità fiscale qualifica le riserve da apporti di capitale dal punto di vista giuridico stretto e meno economico

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della fattispecie, senza dimenticare la contabilizzazione nel bilancio commerciale della società, anch’essa menzionata nei testi di legge. La prestazione deve essere fornita direttamen-te dal titolare dei diritti di partecipazione. L’AFC non ricono-sce dunque quali apporti le prestazioni tra società sorelle, che non sono notoriamente allibrati nel bilancio commerciale ed i versamenti provenienti da persone vicine all’azionista, la co-siddetta “teoria del triangolo”. Nella sostanza, per quel che ci concerne, con questo tipo di operazione si crea una riserva, che ai sensi della legge non è considerata riserva da apporti di capitale. Detta teoria si applica a tutte le prestazioni valuta-bili in denaro ed ai vantaggi vari che intervengono tra società sorelle controllate dallo stesso azionista. Secondo la sistema-tica fiscale l’azionista beneficia di una distribuzione masche-rata di utile dalla società che eroga la prestazione e procede in equivalenza ad un apporto mascherato di capitale nella so-cietà figlia beneficiaria della prestazione. Serie di eventi che causano conseguenze fiscali in capo alla società che eroga la prestazione ed in capo all’azionista. Nella società figlia que-sta prestazione non ha di fatto conseguenze fiscali, tuttavia trattandosi di un apporto mascherato di capitale, questo deve venir accreditato alle altre riserve e non può essere considera-to apporto di capitale ai sensi LIFD. Sarà quindi imponibile al momento del rimborso. Questo trattamento è dato dal fat-to che l’apporto non è effettuato dal detentore dei diritti di partecipazione bensì dalla società sorella. Quindi le condizioni poste dagli articoli della LIFD, LT e LIP non sono soddisfatte. In questo ultimo specifico caso si parla però della cosiddetta “teoria del beneficiario diretto”. Secondo quest’ultima teoria, una prestazione valutabile in denaro non passa dal titolare dei di-ritti di partecipazione, bensì è attribuita direttamente al bene-ficiario della prestazione stessa.

Esistono inoltre ulteriori considerazioni aperte. L’articolo 20 capoverso 3 LIFD ingloba anche le prestazioni effettuate da persone vicine al detentore dei diritti di partecipazione ai sensi delle teorie appena esposte?

Questa situazione si riscontra spesso nell’ambito di un gruppo di società tra sorelle oppure tra una società nonna della so-cietà beneficiaria finale della prestazione. In questo contesto la Circolare n. 29 dell’AFC specifica che “In caso di concessione di vantaggi tra società consorelle, i titolari dei diritti di partecipazione ricevono, da un punto di vista economico, delle prestazioni valutabili in denaro da parte della società che le fornisce, le quali essi a loro volta apportano quali vantaggi nella società beneficiaria. In base al principio dell’apporto di capitale, la concessione di vantaggi tra socie-tà consorelle non è tuttavia qualificata come apporto nelle riserve da apporti di capitale, in quanto essi non sono forniti direttamente dai titolari dei diritti di partecipazione e poiché i plusvalori trasferiti nella società di capitali o nella società cooperativa beneficiaria possono essere contabilizzati in modo palese solo come rivalutazione”[7].

Si tratta dunque, ai fini fiscali, di un reddito da partecipazione in capo all’azionista e di un conseguente apporto di capitale nella società beneficiaria. Da ricordare che se le azioni sono detenute dalla persona fisica nella sostanza commerciale, l’AFC applica la teoria del triangolo in modo diverso, ovvero la cosiddetta “teoria del triangolo modificata”. Nello specifico la pre-stazione erogata causa all’azionista un ammortamento della

partecipazione nella società. Questo ammortamento viene compensato con una rivalutazione corrispondente relativa alla partecipazione della società che si è arricchita. L’AFC è dell’av-viso che la teoria del triangolo non è applicabile nell’ambito del principio degli apporti di capitale in quanto la concessione di vantaggi tra società consorelle non si qualifica come appor-to di capitale. In altre parole l’analisi economica fondata sulla teoria del triangolo viene accantonata concentrandosi unica-mente sull’aspetto civile dei fatti. Inoltre l’autorità specifica che l’esigenza di contabilizzazione di una simile prestazione nel bilancio commerciale non è soddisfatta trattandosi di una prestazione qualificata come apporto dissimulato nella socie-tà beneficiaria.

Si può dunque affermare che in generale l’autorità fiscale ap-plica il concetto in modo formale, nel senso che non vi è red-dito da partecipazioni in capo all’azionista nella misura in cui quest’ultimo non registra nulla contabilmente a seguito della prestazione erogata ad una società vicina, concetto legato al principio del valore nominale.

Ulteriore particolarità da sottolineare è riferita agli aggi ver-sati prima del 1. gennaio 1997. Questi rimangono infatti nor-malmente imponibili. Secondo la prassi adottata dall’AFC, a bilancio commerciale bisognerà quindi procedere ad una sud-divisione della riserva legale generale che dovrà indicare: (i) le riserve da apporti di capitale ai sensi dell’articolo 5 capoverso 1bis LIP e (ii) gli altri apporti.

5. L’approccio della dottrinaLa dottrina è molto critica relativamente all’approccio scelto dall’AFC. Parte di essa infatti ammette il principio dell’aggio d’apporto anche in virtù della teoria del triangolo[8], conte-stando l’attuale visione dell’AFC, sostenendola incoerente con l’applicazione generalmente ammessa in materia di imposte sull’utile relativamente alla stessa teoria.

Da notare che nel suo messaggio del 22 giugno 2005, il Con-siglio federale specifica che “in tutti i casi di applicazione degli articoli 60 lettera a LIFD e 24 capoverso 2 lettera a LAID in cui non viene liberato un capitale nominale può quindi essere ammesso un apporto di capitale. Un apporto di capitale per il tramite di un conferimento in natura superiore al valore nominale del capitale o al credito può essere preso temporaneamente in considerazione nel solo bilancio fiscale”[9].

La dottrina sostiene in modo evidente come dal testo di legge adottato, il Legislatore intenda ignorare le conseguenze risul-tanti dall’applicazione della teoria del triangolo in materia di imposte sull’utile. Anzi, al contrario, l’esigenza che gli apporti siano effettuati direttamente dai detentori dei diritti di parte-cipazione è stata eliminata in sede di dibattimento parlamen-tare dal testo di legge poi approvato. L’interpretazione della norma da parte dell’autorità fiscale, in particolare dell’articolo 20 capoverso 3 LIFD, segue quel che è accaduto in relazione al diritto legato alla tassa di bollo d’emissione ed in particolare in merito alla nozione di azionista ai sensi dell’articolo 5 ca-poverso 2 lettera a della Legge federale sulle tasse di bollo (di seguito LTB).

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In una recente sentenza del Tribunale amministrativo federale relativa ad una fattispecie di versamenti suppletivi tra società vicine, i giudici hanno sancito che può essere definito azionista ai sensi della LTB unicamente l’azionista diretto[10].

La nozione di azionista ai sensi della LTB è dunque estrema-mente formale e si rifà storicamente al diritto civile insito nelle norme della LTB. Sempre secondo il Tribunale amministrativo federale questo approccio non può essere lo stesso per le im-poste sull’utile in quanto queste hanno un carattere econo-mico vista anche l’applicazione della teoria del triangolo. Nel messaggio del Consiglio federale riguardante la Legge sulla Riforma II, si specifica però che “Anche nel caso delle cosiddette relazioni triangolari non è dato di massima apporto di capitale, per esempio quando il medesimo azionista (società madre o azionista) predispone uno spostamento degli utili tra le sue società sorelle e la società da beneficiare ottiene una compensazione, mentre la socie-tà beneficiata fruisce di un adeguamento esente d’imposta delle sue riserve aperte (se del caso solo a livello di bilancio fiscale). È quindi importante che unicamente gli apporti, gli aggi e i supplementi (ai sensi degli art. 60 lett. a LIFD e 2 lett. a LAID) versati direttamente dal titolare della partecipazione vengano equiparati al rimborso del capitale azionario o del capitale sociale”[11].

Ai fini dell’imposta preventiva, la dottrina ribadisce quanto fi-nora descritto, anche in considerazione della teoria del bene-ficiario diretto. Tuttavia questa teoria non riguarda eventuali rimborsi di apporti di capitale, bensì ha l’intento di definire e salvaguardare il diritto al rimborso dell’imposta preventiva se-condo gli articoli 21 e seguenti LIP.

La Circolare n. 29 dell’AFC indica che “Gli apporti di capitale ef-fettuati nel quadro di un risanamento (utile di risanamento improprio) devono essere compensati con le perdite esistenti per beneficiare della franchigia secondo l’articolo 6 capoverso 1 lettera k della legge fede-rale sulle tasse di bollo (LTB). Gli apporti in capitale che eccedono la franchigia dell’articolo 6 capoverso 1 lettera k LTB possono beneficia-re del condono dalla tassa di emissione secondo l’articolo 12 LTB. Nel-la misura in cui tali apporti non sono utilizzati per compensare riporti di perdite commerciali, questi sono considerati fiscalmente come riser-ve derivanti da apporti di capitale ai sensi dell’articolo 20 capoverso 3 LIFD e l’articolo 5 capoverso 1bis LIP”[12].

Su quest’ultimo aspetto la dottrina è molto critica. La stessa so-stiene infatti che da una parte la Circolare n. 29 dell’AFC vieta di compensare gli apporti di capitale con le perdite riportate, mentre dall’altra impone tale compensazione in caso di apporti di capitale nel contesto di un risanamento, pena il non bene-ficio dell’esenzione fiscale dalla tassa di bollo. Inoltre l’articolo 5 capoverso 1bis LIP impone che gli apporti di capitale siano rimborsabili in esenzione d’imposta se vengono contabilizzati separatamente nel bilancio commerciale. Dunque il Legislatore pone come condizione legale la contabilizzazione separata degli apporti di capitale a conto annuale. Da qui la domanda se la no-zione di “eliminate” (in tedesco “beseitigt”), ai sensi dell’articolo 6 capoverso 1 lettera k LTB, corrisponde alla nozione di “compensa-te” (in tedesco “verrechnet”), ai sensi della Circolare n. 29 dell’AFC.

La dottrina anche in questo senso indica come la nozione “eli-minate”, ai sensi della LTB, abbia un approccio economico legato

alla volontà del Legislatore di sostenere le imprese in un mo-mento di grave difficoltà. Ci si chiede dunque quale nesso lega gli articoli della LTB con quelli della LIP e della LIFD, introdotti il 1. gennaio 2011, e che specificano unicamente il meccani-smo nonché i criteri di riconoscimento degli apporti di capitale secondo il nuovo ordinamento; per contro nulla hanno a che vedere con l’intenzione di fornire ad aziende in difficoltà una misura che potrebbe salvarle. Dunque tra il principio dell’ap-porto di capitali e il risanamento non dovrebbe esserci alcuna relazione, in quanto, sostiene sempre la dottrina, si tratta di due istituzioni giuridiche distinte che hanno obiettivi ben diversi e regolati da leggi separate e specifiche. Essa sostiene inoltre che è inaccettabile l’approccio dell’AFC secondo cui viene posto in opposizione l’esonero fiscale per i rimborsi degli apporti di capitale, da una parte, e l’esonero dalla tassa di bollo federale in caso di risanamento, dall’altra. Da ricordare che nell’ambito della futura Riforma III dell’imposizione delle imprese, l’Orga-no di coordinamento avrebbe proposto di eliminare la tassa di emissione sul capitale proprio e migliorare il sistema di dedu-zione per le partecipazioni delle persone giuridiche[13].

6. Gli atti parlamentariInnumerevoli sono gli atti parlamentari introdotti relativa-mente alle problematiche in oggetto. Nel contenuto, tutti questi atti parlamentari hanno alcuni denominatori comuni. Molti chiedono al Consiglio federale spiegazioni in merito alle perdite fiscali derivanti dall’introduzione della Legge sulla Ri-forma II, rispettivamente relative al passaggio dal principio del valore nominale a quello del principio degli apporti di ca-pitale. Altri chiedono che il Legislatore intervenga urgente-mente per arginare tali perdite prima che queste diventino di proporzioni incontrollabili o che tali interventi vengano effet-tuati nell’ambito della futura Riforma III dell’imposizione delle imprese. In questo senso il coro unanime è quello di accusare il Governo di aver taciuto ai parlamentari, alle commissioni, durante i dibattiti alle Camere, eccetera, non informando cor-rettamente delle enormi perdite fiscali che questo passaggio avrebbe portato con sè.

In modo ancor più accentuato viene sottolineato lo stesso ap-proccio del Consiglio federale nei confronti del Popolo, che si ritiene non abbia avuto le corrette informazioni prima della vo-tazione nel febbraio 2008, ledendo il principio della buona fede nei rapporti fra Stato e cittadino. In questo contesto, anche il Tribunale federale con la sentenza del 20 dicembre 2011, con

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cui ha respinto il ricorso per violazione dei diritti politici sulla Riforma II dell’imposizione delle imprese, ha criticato aspra-mente le omissioni, gli errori e le lacune delle informazioni co-municate dal Consiglio federale prima della votazione in quan-to “non adeguata per una formazione d’opinione coscienziosa”[14].

Per tutta risposta il Governo sostiene che all’epoca della vo-tazione non era possibile stimare le perdite di gettito relative all’introduzione del principio degli apporti di capitale. La man-cata informazione ha fatto intendere che le minori entrate sa-rebbero state esigue e per questo il Governo se ne rammarica, ma difende il principio degli apporti di capitale in quanto cor-retto dal profilo della sistematica fiscale[15]. Nel messaggio concernente la Legge sulla Riforma II si specifica inoltre che “Non sono praticamente quantificabili le minori entrate che derivano alla Confederazione e ai Cantoni dalle misure a favore delle imprese di persone e in seguito all’introduzione del principio degli apporti di capitale, […]”[16].

Gli atti parlamentari accusano inoltre del fatto che la Legge sulla Riforma II, secondo il progetto, avrebbe dovuto agevo-lare le PMI ed invece ha favorito le grandi società con azio-ni quotate in borsa che hanno potuto distribuire dividendi in esenzione d’imposta. Il Governo afferma, a più riprese nelle risposte agli atti parlamentari, che è disposto ad esaminare soluzioni nell’ambito del diritto commerciale o del diritto fisca-le che vincolino i versamenti di riserve da apporti di capitale a determinate condizioni da definire. Tuttavia sostiene con forza che la Riforma II dell’imposizione delle imprese non si tocca e non intende porla in discussione.

È comunque importante ricordare che le distribuzioni di divi-dendi in esenzione d’imposta non sono certo una novità tra le grandi aziende quotate in borsa. Queste infatti, già prima dell’introduzione delle nuove norme, potevano, e possono tut-tora, procedere ad una riduzione del capitale sociale mediante acquisto di azioni proprie sul mercato borsistico, utilizzando una seconda linea particolare della borsa e procedendo all’an-nullamento delle stesse azioni. Gli atti chiedono di rettificare il concetto alla base del principio degli apporti di capitale nel senso di introdurre una regola di priorità che garantisca che le riserve da apporti di capitale possano venir rimborsate esen-tasse soltanto quando tutte le riserve da utili distribuibili siano state ripartite. L’operazione di rimborso dovrebbe avvenire per il tramite di una procedura di riduzione del capitale. Questo di certo non rappresenta un problema per le grandi aziende che non hanno difficoltà a trovare le risorse per sostenere finanzia-riamente il costo della procedura. È invece prevedibile che possa dimostrarsi pesante per le PMI che quasi certamente avranno complicazioni a reperire le risorse finanziarie necessarie per tale procedura. Risorse, che come spesso accade per le PMI, sono quasi tutte investite nell’attività produttiva.

In alcuni casi gli atti chiedono anche di sopprimere la retroatti-vità della norma che il Popolo, in sede di votazione, non poteva prevedere. Questa cancellazione ridurrebbe le perdite fiscali e tutelerebbe la buona fede. Questa soluzione finale è frutto di un compromesso politico. Una parte del Parlamento proponeva che il principio degli apporti di capitale venisse applicato soltan-to agli apporti versati dopo l’introduzione della Legge sulla Ri-

forma II, mentre gli ambienti dell’economia privata sollevarono l’esigenza di includere tutti gli apporti di capitale sinora versati. Alla fine si giunse a questo compromesso sostenibile economi-camente e che non è stato oggetto di dibattito delle Camere federali. In sede di progetto in consultazione, il Consiglio fede-rale aveva proposto di rinunciare alla retroattività. Tuttavia sulla base dei risultati della consultazione, nel messaggio la proposta è stata modificata e dunque è stato introdotto questo principio. Il Governo sottolinea inoltre che l’unico argomento di dibattito politico fu l’eliminazione dell’avverbio direttamente relativo agli articoli della LIFD e della LIP, sostenendo in modo convinto la retroattività della norma e specificandone la ratio. In effetti la retroattività colma una lacuna, seppur parziale, del nostro ordi-namento che, ricordo, è stato, a livello europeo, uno degli ultimi ad adeguarsi attenuando il principio del valore nominale.

L’importante numero di atti parlamentari non lascia dubbi sul fatto che a livello politico le tematiche che stiamo affrontando sono d’attualità ed in continua evoluzione, suscitando dibattiti che dividono la destra e la sinistra parlamentare.

7. Le perdite fiscaliFin dall’inizio dell’anno 2011 l’AFC si è dovuta confrontare con un importante volume di comunicazioni di apporti di capita-le da parte di aziende svizzere, distribuibili ai sensi delle nuove norme e secondo le comunicazioni da effettuarsi ai sensi della Circolare n. 29 dell’AFC. Secondo il DFF il principio degli apporti di capitale “ha provocato minori entrate fiscali, la cui portata non era prevedibile prima dell’entrata in vigore della riforma II dell’impo-sizione delle imprese. In ambito di imposta preventiva, per il 2011 le minori entrate sono ammontate a 1.2 miliardi di franchi”[17].

8. Le possibili prospettive future e conclusioniIl 6 aprile 2011, il Consiglio federale rispondendo a due mozio-ni[18], che chiedevano fra l’altro l’abolizione dell’effetto retro-attivo della norma, ha affermato che intende esaminare delle soluzioni dell’ambito del diritto commerciale o fiscale che vin-colino i versamenti di riserve da apporti di capitale a condizioni che dovranno comunque essere definite. Nello specifico a quel momento il Consiglio federale ipotizzava le seguenti soluzioni:

◆ nell’ambito della revisione del diritto societario e del dirit-to contabile, il rimborso degli apporti di capitale è trattato quale rimborso di capitale proprio agli azionisti. Ne deriva che non sarebbe sufficiente una semplice delibera dell’as-semblea generale degli azionisti per avallarla. Le riserve legali, e dunque anche gli aggi, potrebbero venir restitu-iti agli azionisti attraverso la procedura di riduzione del capitale. Tale procedura è ancorata agli articoli 732 e se-guenti del Codice delle obbligazioni (di seguito CO) e per essere attuata sono necessari una serie di adempimenti dai quali non si può prescindere e che rendono la riduzione del capitale piuttosto complessa ed onerosa. Ne consegue dunque che se si decidesse di perseguire questa soluzione, l’attuale, relativamente semplice procedura di rimborso degli apporti, potrebbe essere resa più formale ed onerosa e dovrà rispettare dettami ben precisi e imprescindibili an-corati nel CO;

8 Novità fiscali / n.4 / aprile 2014

◆ in questo senso è in discussione l’ipotesi secondo la qua-le le riduzioni di capitale sarebbero possibili unicamente nel caso in cui non vi siano utili riportati e riserve libera-mente disponibili da poter distribuire, la cosiddetta “regola di priorità”. Nella visione del Consiglio federale questa mi-sura potrebbe migliorare la tutela dei creditori e dall’altro impedirebbe che le distribuzioni imponibili di utili venga-no sostituite da rimborsi di apporti di capitale in esenzio-ne d’imposta. Questo porterebbe a differire nel tempo le perdite fiscali nel momento in cui la società verrà posta in liquidazione. La probabilità che le perdite future vengano compensate da riserve da apporti di capitale è dunque più marcata. Queste soluzioni potrebbero, sostiene sempre il Consiglio federale, essere applicate anche alla LIFD e alla LIP, e regolerebbero anche altri aspetti, tra i quali gli apporti dissimulati di capitale che non danno diritto al rimborso in esenzione d’imposta.

Il 7 giugno 2012, il Consiglio degli Stati ha liquidato due mozio-ni[19]. Entrambe chiedevano che il rimborso esentasse gli ap-porti solo se nel momento in cui le società avessero distribuito tutte le riserve di utile distribuibili, compreso l’utile d’esercizio, rispettivamente che l’attribuzione degli aggi potesse avvenire a credito delle riserve legali di capitale per vincolarne il rimborso attraverso la procedura di riduzione di capitale. In tale contesto, la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf affermò che in tempi brevi sarebbe stato elaborato un progetto basato sul diritto tributario.

A tutt’oggi questo progetto non è ancora stato presentato. Considerata l’affermazione della ministra delle finanze per cui la modifica si baserebbe sul diritto tributario, si potrebbe leggere fra le righe che il diritto commerciale potrebbe venir

risparmiato. Verrebbero dunque a modificarsi i disposti degli articoli 20 capoverso 3 LIFD, 19 capoverso 3 LT, 7b LAID e 5 capoverso 1bis LIP.

Più recentemente, il 21 novembre 2012, il Consiglio federa-le ha proposto di accogliere una mozione della Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati[20], nella quale il principio degli apporti di capitale non viene messo in discussione, ma viene richiesta una compensazione delle per-dite fiscali nel quadro di una legge autonoma o nel quadro del-la Riforma III dell’imposizione delle imprese. Il Parlamento si è però pronunciato anche contro questa mozione e non esiste dunque più alcun mandato parlamentare per la revisione del principio degli apporti di capitale.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.kpmg.com/CH/de/PublishingImages/Images%20Tax%20480x154px/Corporate_Tax_480x154.jpg [22.04.2014]

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http://www.economiesuisse.ch/de/SiteCollectionImages/Inhaltsbilder/WebNews/steuernschweiz_565.jpg [22.04.2014]

[1] Raccolta ufficiale 2005 2893, in: http://www.admin.ch/opc/it/official-compilation/2008/2893.pdf [22.04.2014].[2] Si veda la Circolare AFC n. 29, Principio dell’ap-porto di capitale, del 9 dicembre 2010, in: http://www.estv.admin.ch/verrechnungssteuer/doku-mentation/00207/00773/index.html?lang=it [22.04.2014].[3] Foglio federale 2005 4241, pagina 4309, in: http://www.admin.ch/opc/it/federal-gazet-te/2005/4241.pdf [22.04.2014].[4] Ai fini della tassazione sull’utile, le società di capitali e le società cooperative indicano inoltre il loro capitale proprio al termine del periodo fi-scale o dell’assoggettamento. Il capitale proprio comprende il capitale azionario o sociale liberato, gli apporti, l’aggio e i pagamenti suppletivi ai sensi dell’articolo 20 capoverso 3 LIFD, esposti nel bilan-cio commerciale, le riserve palesi e le riserve latenti costituite per il tramite di utili imposti, nonché la parte del capitale di terzi economicamente equi-parabile al capitale proprio.[5] Bernardoni Norberto/Bortolotto Pietro, La fi-scalità dell’azienda nel nuovo diritto federale e cantonale ticinese, Mendrisio 2010, pagina 293 e seguenti.[6] Bernardoni Norberto/Bortolotto Pietro, op. cit., pagina 301.

[7] Circolare AFC n. 29, pagina 4.[8] Richner Felix/Frei Walter/Kaufmann Stefan/Meuter Hans Ulrich, Handkommentar zum DBG, II° edizione, Berna 2009, N 111 ad art. 20 LIFD.[9] Foglio federale 2005 4241, pagina 4308 e se-guente.[10] Sentenza del Tribunale amministrativo fede-rale, n. A 1592/2006, consid. 4.2.2, del 15 aprile 2009.[11] Foglio federale 2005 4241, pagina 4309.[12] Circolare AFC n. 29, pagina 4.[13] Si veda il sito del Dipartimento federale del- le finanze (di seguito DFF), Riforma dell’imposi-zione delle imprese, in: http://www.efd.admin.ch/ themen/steuern/02720/index.html?lang=it [22.04.2014].[14] Sentenza del Tribunale federale n. 1C_176/ 2011, del 20 dicembre 2011.[15] DFF, Il Consiglio federale prende posizione in merito al principio degli apporti di capitale, Comu-nicato stampa, Berna 14 marzo 2011, in: http://www.efd.admin.ch/dokumentation/medienin-formationen/00467/index.html?lang=it&msg-id=38106 [22.04.2014].[16] Foglio federale 2005 4241, pagina 4359.[17] DFF, Il principio degli apporti di capitale, Sche-da informativa, Berna, stato luglio 2013.[18] Mozione n. 11.3189 depositata da Christian

Levrat, dal titolo “Principio degli apporti di capitale. Sopprimere la retroattività” (in: http://www.parla-ment.ch/i/suche/pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20113189 [22.04.2014]) e Mozione n. 11.3199 depositata da Susanne Leutenegger Oberholzer, dal titolo “Rispettare la buona fede dei votanti e cor-reggere il principio degli apporti di capitale” (in: http://www.parlament.ch/i/suche/pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20113199 [22.04.2014]).[19] Mozione n. 12.3315 depositata da Anita Fetz, dal titolo “Riforma dell’imposizione delle imprese II, principio degli apporti di capitale. Diminuire sensibil-mente la perdita di entrate” (in: http://www.parla-ment.ch/i/suche/pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20123315 [22.04.2014]) e Mozione n. 12.3316, depositata da Pirmin Bischof, dal titolo: “Riforma dell’imposizione delle imprese II. Adeguamento del prin-cipio degli apporti di capitale” (in: http://www.parla-ment.ch/i/suche/pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20123316 [22.04.2014]).[20] Mozione n. 12.3972, depositata dalla Commis-sione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati, dal titolo ”Principio degli apporti di capitale” (in: http://www.parlament.ch/i/suche/pagine/ge-schaefte.aspx?gesch_id=20123972 [22.04.2014]).

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Ecco come cambia la fiscalità municipale dal 2014

1. IntroduzioneLa Legge (di seguito L.) n. 147/2013 (di seguito Legge di stabi-lità 2014) ha disposto un complessivo riordino della tassazio-ne immobiliare comunale, introducendo dal 1. gennaio 2014 l’Imposta Unica Comunale (di seguito IUC) che rappresenta il faticoso punto di compromesso raggiunto dal Governo tra l’esigenza politica di cancellare il tributo sulla prima casa e la ragione dei numeri e delle disponibilità finanziarie limitate[1].

La nuova imposta si basa su due presupposti impositivi: uno costituito dal possesso di immobili, parametrato alla loro na-tura e valore, l’altro collegato all’erogazione e alla fruizione di servizi comunali.

Nel concreto, la IUC richiama platee contributive diverse e non è affatto unica, ma si compone di tre tributi:

◆ l’imposta municipale propria (di seguito IMU), di natura patrimoniale, dovuta dai proprietari di immobili, escluse le abitazioni principali;

◆ la tassa sui rifiuti (di seguito TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a cari-co dell’utilizzatore dell’immobile; e

◆ la tassa sui servizi indivisibili (di seguito TASI), a carico sia del proprietario che dell’utilizzatore dell’immobile.

2. L’IMULa IUC preserva la disciplina che regola l’IMU, la quale, con la Legge di stabilità 2014, esce definitivamente di scena per le abitazioni principali e le pertinenze qualificate non di lusso, mentre continua ad applicarsi sulle abitazioni principali classi-ficate di lusso e appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8, A/9 (vale a dire le abitazioni signorili, i villini, i castelli e i palazzi storici)[2]. In queste ipotesi sarà tuttavia applicabile l’aliquota ridotta e la detrazione di 200 euro[3].

Non mancano casi di esclusione che possono essere disposti dal Comune (come per i proprietari o gli usufruttuari anziani o

disabili che trasferiscono la residenza in istituti di ricovero, per i cittadini italiani non residenti, per la casa concessa in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado e da questi utilizzata come abitazione principale) e di esenzioni ex lege (case delle co-operative edilizie assegnate ai soci che le utilizzano come abita-zione principale, alloggi sociali, casa assegnata al coniuge sepa-rato, unico immobile posseduto da personale delle forze armate o dalle forze di polizia, fabbricati rurali a uso strumentale).

Con la Legge di stabilità 2014 ritorna la tassazione ai fini dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (di seguito IR-PEF), sia pure parziale (al 50%), degli immobili abitativi non lo-cati, soggetti ad IMU, ed ubicati nello stesso Comune in cui il contribuente possiede l’immobile adibito ad abitazione princi-pale[4]. Tale disposizione tuttavia intacca uno dei capisaldi del-la disciplina IMU (impostata sul federalismo fiscale) e, in parti-colare, l’articolo 8, comma 1 del Decreto Legislativo (di seguito D.Lgs.) n. 23/2011, in cui si sanciva che l’IMU sostituiva, per la componente immobiliare, l’IRPEF e le relative addizionali do-vute in relazione ai redditi fondiari degli immobili non locati.

Restano assoggettati ad IMU gli immobili diversi dall’abita-zione principale per i quali i Comuni, nell’ambito della propria potestà regolamentare, dovranno attenersi al rispetto dell’ali-quota massima del 10.6‰.

Quanto all’ambito soggettivo, l’IMU grava sui proprietari o sui titolari di diritti reali di godimento sull’immobile, ad esempio l’usufrutto, mentre non colpisce l’inquilino.

Diritto tributario italianoL’Imposta Unica Comunale ridisegna la tassazione sugli immobili

Serena BonfantiMaster of Advanced Studies SUPSI in Tax LawFidinam & Partners SA, Lugano

10 Novità fiscali / n.4 / aprile 2014

La Legge di stabilità 2014 apporta inoltre rilevanti novità per i fabbricati rurali strumentali[5] prevedendone, con decorrenza dal 2014, l’esenzione dall’IMU. Inoltre, i terreni agricoli, anche se non coltivati, posseduti da coltivatori diretti e da impren-ditori agricoli professionali pagano l’IMU su una base ridotta, poiché dal 2014 il moltiplicatore si riduce da 110 a 75, mentre per tutti gli altri terreni il moltiplicatore è di 130[6].

La medesima Legge di stabilità 2014 ha inoltre disposto la de-ducibilità del 20% dell’IMU, relativa ai fabbricati strumentali, dal reddito d’impresa e di lavoro autonomo a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013. Per il periodo d’imposta 2013 tale misura è elevata al 30%[7].

3. La tassa sui rifiutiLa TARI sostituisce il vecchio TARES, che cambia nome, ma resta finalizzata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani. Essa è dovuta dai soggetti che possiedono, occupano, detengono a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualunque uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti.

Sono esonerati dal pagamento della TARI sia le persone fisi-che che possiedono aree scoperte accessorie o pertinenziali a civili abitazioni e le aree comuni condominiali non detenute o occupate in via esclusiva, sia le imprese che producono rifiuti speciali e che provvedono già allo smaltimento diretto, in con-formità alle leggi vigenti, di quella tipologia di rifiuti[8].

La TARI è corrisposta sulla base di una tariffa[9] commisura-ta alla quantità e alla qualità dei rifiuti prodotti e rapportata all’anno solare[10]. La tariffa è composta da una quota fina-lizzata alla copertura dei costi fissi del servizio di gestione dei rifiuti e da una quota variabile rapportata alle quantità dei ri-fiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione.

La Legge di stabilità 2014 consente poi ai Comuni di prevedere delle riduzioni tariffarie e delle fattispecie di esonero nei casi di

abitazioni con un unico occupante, abitazioni tenute a disposi-zione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo, abi-tazioni occupate da soggetti che risiedono all’estero, fabbricati rurali ad uso abitativo. Inoltre, il Comune può deliberare, con regolamento di cui all’articolo 52 D.Lgs. n. 446/1997, ulteriori riduzioni ed esenzioni rispetto a quelle citate. La relativa coper-tura può essere disposta attraverso apposite autorizzazioni di spesa che non possono eccedere il limite del 7% del costo com-plessivo del servizio, la cui copertura deve essere assicurata tra-mite risorse derivanti dalla fiscalità generale del Comune stesso.

Si ricorda che, nonostante l’introduzione della TARI, si conti-nuerà comunque a pagare il tributo provinciale per l’eserci-zio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell’ambiente (regolato all’articolo 19 D.Lgs. n. 504/1992), tramite l’applica-zione di una percentuale alla tassa sui rifiuti deliberata dalla Provincia (cui spetta il gettito).

4. La tassa sui servizi indivisibiliLa parte innovativa della IUC è costituita dalla TASI, finalizzata a finanziare i costi per la produzione dei servizi indivisibili pre-stati dai Comuni, come l’illuminazione pubblica, la manuten-zione delle aree verdi e la sicurezza. La TASI sarà a carico sia del possessore, che dell’utilizzatore dell’immobile.

Nell’ipotesi di contratto di locazione, la TASI grava sul locatario per una quota compresa tra il 10 e il 30% e sul proprietario per la parte restante. Il presupposto impositivo della TASI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati, ivi compresa l’abitazione principale come definita ai fini dell’IMU, ad eccezione, in ogni caso, dei terreni agricoli[11].

La base imponibile della TASI coincide con quella dell’IMU, più precisamente è data dalla rendita catastale, rivalutata del 5% e moltiplicata per specifici coefficienti[12]. L’aliquota base della TASI è pari all’1‰, ma è consentito ai Comuni di aumentarla o ridurla fino all’azzeramento, tenendo presente che la somma delle aliquote IMU e TASI non può essere superiore allo 10.6‰. I Comuni potranno inoltre inserire tramite regolamento le medesime agevolazioni già previste per la TARI.

Per effetto del D.L. n. 16/2014 (cosiddetto “Decreto salva Roma”), i Comuni, relativamente al 2014, potranno innalzare l’aliquo-ta TASI, superando i limiti stabiliti dall'articolo 1, comma 677, Legge di stabilità 2014, fino a un importo non eccedente lo 0.8‰, a condizione che il maggior gettito sia utilizzato per fi-nanziare detrazioni o altre misure riferite alle abitazioni prin-cipali e alle relative pertinenze[13].

Con specifica indicazione del medesimo D.L. non sono sog-getti alla TASI gli immobili posseduti dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni, dagli Enti del servizio sanitario na-zionale, che siano destinati esclusivamente ai compiti istitu-zionali. Inoltre la TASI non si applica agli immobili classificati nelle categorie catastali da E1 a E9, ai fabbricati destinati ad uso culturale, per l’esercizio del culto, ai fabbricati di proprietà della Santa Sede specificamente previsti dal Trattato latera-nense, ai fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle orga-nizzazioni internazionali[14].

11Novità fiscali / n.4 / aprile 2014

5. Le scadenzeLa IUC dovrà essere pagata secondo le scadenze e il numero delle rate fissate dai Comuni. In particolare, per la parte della TASI e della TARI i Comuni dovrebbero dare la possibilità al contribuente di pagare in due rate con scadenza semestrale e in momenti differenti, mentre per la parte IMU il versamento è previsto alle scadenze ordinarie del 16 giugno e del 16 dicem-bre. In ogni caso è consentito il pagamento in unica soluzione entro il 16 giugno di ciascun anno.

Quanto alle modalità di pagamento della TASI e TARI è previ-sto il modello F24 o un bollettino precompilato che dovrà es-sere inviato dai Comuni, al fine di semplificare gli adempimenti dei contribuenti[15].

Elenco delle fonti fotografiche:http://airows.com/wp-content/uploads/2013/03/casa-bauza-4.jpg [22.04.2014]

http://www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2013/10/MONDO-RI-FIUTI-Copia.jpg [22.04.2014]

[1] L’articolo 1, comma 639, Legge di stabilità 2014 ha introdotto la IUC con decorrenza al 1. gennaio 2014.[2] Le prime case definite non di lusso non saranno più soggette al pagamento dell’IMU e del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (di seguito TARES) (definitivamente abrogata all’articolo 1, comma 704, Legge di stabilità 2014), ma solo al pagamen-to della TARI e della TASI. Diversamente, le prime case definite di lusso (ossia appartenenti alle ca-tegorie catastali A/1, A/8 e A/9) e le seconde case sconteranno IMU, TARI e TASI.[3] L’articolo 1, comma 707, Legge di stabilità 2014 ha modificato l’articolo 13 del Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 201/2011.[4] La disposizione deve essere posta in relazione con quanto previsto dall’articolo 41 del Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 917/1986 (di seguito TUIR), in cui si prevede che se le unità immobiliari, non adibite ad abitazione principale o all’esercizio di impresa, arti e profes-sioni, sono a disposizione del possessore o dei suoi familiari, il reddito imponibile (rendita catastale rivalutata) è aumentato di 1/3. Combinando la novella normativa con l’articolo 41 TUIR emerge che, per gli immobili interessati dalla novità, la tassazione ai fini IRPEF avviene sulla rendita ca-tastale dell’unità immobiliare rivalutata del 5%, aumentata di 1/3 (in quanto l’immobile è tenuto a disposizione) e ridotta al 50% per effetto di quanto previsto dalla Legge di stabilità 2014.[5] Di cui all’articolo 13, comma 18 D.L. n. 201/2011.[6] Pertanto, la base imponibile sarà pari al reddito dominicale rivalutato del 25% e moltiplicato per 75

nel caso di terreni agricoli, non coltivati, posseduti e condotti da imprenditori agricoli professionisti iscritti all’INPS e da coltivatori diretti, o moltiplica-to per 130 nel caso dei terreni agricoli diversi.[7] Resta ferma la totale indeducibilità del tribu-to in questione ai fini dell'Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP). In merito alla portata applicativa delle disposizioni in questione, l’Agen-zia delle Entrate ha fornito recentemente alcuni chiarimenti importanti in relazione all’ambito og-gettivo, precisando il requisito della strumentalità quale condizione per ottenere la deduzione par-ziale dell’IMU.[8] Tuttavia se tali rifiuti speciali sono assimilati a quelli urbani, nel determinare la TARI, il Comune può prevedere delle riduzioni facoltative della par-te variabile della tariffa in misura proporzionale alla quantità che i produttori stessi dimostrano di aver avviato al recupero.[9] Per la determinazione della tariffa sono tenuti in considerazione sia la dimensione dell’immobi-le sia la quantità dei rifiuti prodotti per ciascuna unità di superficie, in relazione agli usi e alle tipo-logie di attività svolte, secondo i criteri fissati da un apposito regolamento ministeriale. Inoltre, con riferimento agli immobili a destinazione ordinaria (vale a dire quelli appartenenti alle categorie A, B e C), fino a quando non vi sarà l’aggiornamento dei dati catastali, viene considerata come base impo-nibile ai fini della TARI la superficie calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti ur-bani; pertanto sono considerate valide le superfici già dichiarate o accertate ai fini dei precedenti pre-lievi sui rifiuti. Il Comune può anche considerare

come superficie assoggettabile alla TARI l’80% della superficie catastale, determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al D.P.R. n. 138/1998. Nel caso invece di immobili a destina-zione speciale (appartenenti alle categorie D ed E), nonché di aree scoperte, la base imponibile sog-getta al tributo è data dalla superficie calpestabile, determinata dalla sommatoria dei singoli vani.[10] Nella commisurazione della tariffa, il Comune applica i criteri previsti dal D.P.R. n. 158/1999 o, in alternativa, quelli basati sulla qualità e quantità media dei rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svol-te nonché al costo del servizio sui rifiuti.[11] Il D.L. n. 16/2014 ha modificato il presupposto impositivo del tributo per i servizi indivisibili ri-spetto alla precedente definizione contenuta nella legge di stabilità 2014.[12] I moltiplicatori sono definiti all’articolo 13 D.L. n. 201/2011.[13] Per compensare il mancato introito pari alla differenza tra l’aliquota TASI sulla prima casa e l’aliquota IMU, sempre sulla prima casa, è conces-so a favore degli enti locali un contributo di 625 milioni di euro.[14] Tuttavia, la TASI si applica a questi fabbricati per la parte dell’immobile in cui viene svolta atti-vità commerciale.[15] Il versamento della TARI può anche essere effettuato tramite le altre modalità di pagamento offerte dai servizi elettronici di incasso e di paga-mento interbancari e postali.

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Il caso 2002: l’Italia rifiuta la proposta svizzera di otte-nere lo scambio di informazioni allargato come per gli Stati Uniti quale contropartita per uscire dalle black-list

1. IntroduzioneI rapporti commerciali fra la Svizzera e l’Italia sono notevoli. In riferimento all’anno statistico 2012, l’Italia costituiva per la Svizzera il terzo partner commerciale più importante. Le im-portazioni svizzere dall’Italia ammontavano a 18.8 miliardi di franchi, le esportazioni a 15 miliardi di franchi[1], mentre il 15.6% della popolazione estera stabilmente residente in Sviz-zera era costituita da italiani, al primo posto seguiti di poco dai tedeschi con il 15.2%[2]. Secondo una notizia apparsa su IlSole24Ore, a fine 2009 la Svizzera costituiva il secondo inve-stitore estero in Italia con una presenza che generava 78’000 posti di lavoro[3]. Giornalmente, circa 60’000 frontalieri var-cano le dogane a Sud della Svizzera per lavorare nel Canton Ticino[4].

Nonostante questi numeri impressionanti, da un punto di vista fiscale numerosi commentatori rapportano una situazione da “rien ne va plus”[5]. E la madre di tutti i problemi fiscali fra l’Italia e la Svizzera sarebbe da identificare nella cosiddetta “piccola clausola” sullo scambio di informazioni[6], ex articolo 27 della Convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimo-nio (di seguito CDI-ITA). Questo punto di vista è stato ancora recentemente confermato negli incontri del gennaio 2014 a Berna nell’ambito del Forum di dialogo fra i due Paesi dall’ormai ex Ministro dell’Economia italiano Fabrizio Saccomanni, così come fatto in passato da suoi predecessori, primo fra tutti il Ministro Giulio Tremonti.

Identificando allora, da parte italiana, la causa dei problemi fi-scali esistenti fra l’Italia e la Svizzera nello scambio di informa-zioni limitato, vale la pena chiedersi, dopo attenta analisi, se la realtà dei fatti viene confermata da questi proclami. Come vedremo, infatti, la risposta lascia un retrogusto amaro diffici-le da digerire e pone serie questioni sull’affidabilità del partner convenzionale.

2. La genesi e lo scopo delle CDILe convenzioni per evitare le doppie imposizioni (di seguito CDI) costituiscono lo strumento principe per regolare le re-lazioni fiscali internazionali. Anche se l’argomento sembra in apparenza teorico, la realtà non può che essere più distante. Infatti, in seguito a profonde mutazioni nelle relazioni inter-nazionali osservabili a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e identificabili in un aumento dei soggetti giuridici attivi sulla scena internazionale, in un aumento significativo degli Stati riconosciuti in quanto tali dalla Comunità interna-zionale e finalmente in un processo di integrazione economi-ca e politica senza precedenti, si è osservata una necessità di collaborazione internazionale notevolmente accresciuta[7] che ha condotto a una proliferazione delle CDI. Oggi sono in vigore nel mondo più di 2’000 CDI. La logica economica che sottintende questo processo è relativamente semplice: in un mondo sempre più globalizzato la doppia imposizione giu-ridica del commercio internazionale di beni e servizi porta a una sistematica penalizzazione dei flussi economici interna-zionali e di conseguenza a una grave distorsione nell’alloca-zione internazionale delle risorse, nell’efficienza internazionale della produzione e nell’efficienza internazionale del consumo, provocando importanti distorsioni sul mercato così come una violazione del principio economico fondamentale della neu-tralità delle imposte[8].

La Comunità internazionale, riconoscendo senza se e senza ma gli effetti nocivi della doppia tassazione giuridica[9], non è stata a guardare, anche se i tempi storici e politici sono stati lunghi. Così a partire dalla Società delle Nazioni dal 1921, at-traverso[10] un primo schizzo di convenzione modello del 1928 e le convenzioni modello del 1942 (Messico) e del 1946 (Lon-dra), con una chiara accelerazione dal 1948 grazie all’impulso

Diritto tributario internazionale e dell’UEI difficili rapporti fiscali tra Svizzera ed Italia: alcuni retroscena interessanti

Patrick SchubigerDirettore Interfida SA, Lic.rer.pol.MAS International Corporate Taxation FH, LL.M.Esperto in Finanza ed Investimenti dipl. (AZEK)già perito fiscale presso la Divisione delle contribuzioni, Bellinzona

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fondamentale dato dall’Organizzazione per la cooperazione economica europea (OECE) e poi dal 1960 dall’OCSE, arriva nel 1963 il primo draft di un modello di convenzione per evitare la doppia imposizione sul reddito e sul capitale ad opera del Co-mitato Fiscale dell’OCSE, per poi finalmente sfociare nel 1977 alla pubblicazione del primo modello di CDI[11].

A partire da questa data, lo scopo primario e fondamenta-le delle CDI consiste nell’eliminazione (minimizzazione) de-gli ostacoli fiscali ai fini della promozione della circolazione di merci, servizi, persone e capitali. Inoltre, che lo si voglia o meno, fino al fondamentale cambiamento di politica effettua-to dall’OCSE con la pubblicazione del modello di convenzione del 2003, la lotta all’evasione fiscale non è un obiettivo prima-rio delle CDI. Infatti, sino a questa data, il Commentario OCSE alla convenzione modello parla di una generica astensione al sostegno dell’evasione fiscale[12]. Gli Stati sono liberi di segui-re una prassi differente, ma a questo scopo occorre un esplicito riferimento al testo della CDI effettivamente in vigore fra due Stati contraenti. Per quel che concerne la Svizzera nelle sue relazioni fiscali bilaterali internazionali, anche il cambiamento di politica introdotta nel Commentario 2003[13], dove si parla esplicitamente ormai della prevenzione dell’evasione fiscale, non necessariamente porta a cambiamenti di rilievo. Difatti, la Svizzera ha introdotto una riserva specifica nel Commentario, in cui esprime il suo dissenso nell’identificare la prevenzione dell’evasione fiscale quale scopo primario di una CDI[14].

Per quanto attiene invece allo scambio di informazioni, il Commentario OCSE permette lo scambio di informazioni cosiddetto “allargato”, dunque non solo ed unicamente ai fini dell’applicazione della CDI stessa, ma anche per l’applicazione del diritto tributario domestico[15]. Ciò nonostante, anche in questo caso la Svizzera ha espresso chiaramente il suo diverso punto di vista formulando una riserva secondo cui lo scam-bio di informazioni va limitato alle informazioni necessarie all’adempimento della convenzione stessa[16]. Questa riserva esprime compiutamente la politica svizzera sullo scambio di informazioni sino al 13 marzo 2009, data in cui l’ex consigliere federale Hans-Rudolf Merz ha pubblicamente reso noto che la Svizzera si sarebbe adattata allo standard OCSE sullo scam-bio di informazioni. A partire da questa data e nel brevissimo volgere di un paio d’anni, la Svizzera ha rinegoziato e messo in vigore circa 40 CDI con propri partner commerciali inserendo la clausola sullo scambio di informazioni fiscali allargata.

3. La libertà contrattuale nelle CDILe CDI sono convenzioni di diritto pubblico internazionale sottoscritte fra Stati sovrani[17]. In modo del tutto analogo al diritto contrattuale privato, le convenzioni di diritto inter-nazionale pubblico si caratterizzano per una manifestazione concorde e reciproca di volontà attraverso una dichiarazione di volontà finalizzata a produrre gli effetti giuridici liberamente concordati[18], che nel caso specifico esprimono la volontà da parte di Stati sovrani di regolare i propri rapporti giuridico-fiscali internazionali.

Il consenso reciproco costituisce dunque il nocciolo delle con-venzioni di diritto pubblico internazionale[19] e vengono for-temente influenzate dal principio del consenso, dal principio dell’autonomia di volontà, dal principio di confidenza-fiducia, dal principio della libertà contrattuale e dal principio del pacta sunt servanda[20].

Inoltre, in quanto contratti di diritto pubblico internazionale, la conclusione, la validità, gli effetti, la modifica, la sospensione, l’interpretazione, la denuncia e la fine delle CDI sono sottomes-se a una meta-convenzione, la Convenzione di Vienna sul dirit-to dei trattati del 1969 (di seguito CV). La CV ha in larga misura codificato il diritto internazionale consuetudinario (anche di carattere imperativo, ius cogens), di per sé direttamente appli-cabile anche in mancanza di una formale ratifica nazionale del-la Convenzione. Pertanto, sulla base di questo quadro concet-tuale di riferimento, si può affermare che il limite della libertà contrattuale consiste nei principi imperativi del diritto consue-tudinario internazionale e nella responsabilità internazionale per la violazione dei trattati. In aggiunta, l’interpretazione dei trattati ai sensi della CV consiste, al contrario di quanto avviene nel diritto nazionale di diversi Paesi occidentali, in una mag-giorata attenzione all’interpretazione letterale in base al senso comune da attribuire ai termini (articolo 31 capoverso 1 CV). In sostanza, il principio di Emer de Vettel, secondo il quale non è permesso interpretare ciò che non ha bisogno di essere inter-pretato, è tuttora pienamente applicabile[21]. Di conseguenza, pena la violazione del principio del venire contra factum proprium, uno Stato non può a posteriori introdurre norme nazionali in contrasto con quanto liberamente sottoscritto in un trattato internazionale. L’unica via corretta da un punto di vista giuridi-co internazionale consiste nella rinegoziazione o nella denuncia di un trattato, che però è ovviamente una forma di modifica dei termini contrattuali ben più dispendiosa dell’introduzione nel diritto nazionale di norme non conformi al trattato in vigore. Restano ovviamente riservate le CDI in cui uno Stato contra-ente ha esplicitamente iscritto nella convenzione ratificata da entrambi gli Stati una riserva legata all’applicazione delle nor-me nazionali (di regola anti-abuso), che assumono in questo caso una piena applicabilità convenzionale. Anche una “osser-vazione” registrata nel Commentario alla Convenzione modello OCSE può ottenere lo stesso risultato.

4. La genesi e l’applicazione della CDI-ITALa CDI-ITA costituisce allo stato attuale dei fatti un unicum nel panorama fiscale internazionale della Svizzera. Conclusa nel 1976, approvata dall’Assemblea federale nel 1978 ed entrata

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in vigore nel 1979, la sua genesi è stata più che travagliata. Nonostante infatti i notevoli rapporti commerciali da sempre intrattenuti fra i due Paesi, i primi negoziati intrapresi per la conclusione di una CDI risalgono addirittura al 1928-1929, con successivi tentativi nel 1950, nel 1957, nel 1961 e nel 1969[22]. Ci sono dunque voluti quasi 50 anni di trattative più o meno ricorrenti per ottenere un risultato. E questo non ha neppure impedito un’applicazione scevra di inconvenienti della CDI-ITA stessa. Da parte dell’Amministrazione federale delle contribu-zioni infatti già nell’aprile del 1979, dopo dunque solo un mese dall’entrata in vigore della CDI-ITA, si lamentava nell’ambito di discussioni tecniche con la controparte italiana la mancanza di una procedura italiana atta al rimborso dell’imposta alla fonte prelevata e una lungaggine burocratica esasperante nell’ot-tenere l’effettivo rimborso delle imposte alla fonte preleva-te[23]. Queste lamentele sono poi state reiterate nel giugno del 1979[24], nel 1982[25], nel 1984[26] e così via a intervalli regolari sino ai nostri giorni. Nel 1991 si stimava addirittura che lo Stato italiano fosse debitore nei confronti di creditori nazionali e esteri per un importo di 55 miliardi di dollari in im-poste dirette e indirette non rimborsate[27].

A partire dal 1991 si registra poi la continuazione di intensive discussioni tecniche fra le controparti nell’ambito dell’appli-cazione unilaterale italiana di misure anti-abuso interne, che, secondo l’opinione più volte espressa da parte svizzera, costi-tuiscono una violazione della CDI-ITA[28]. Dal 2001 sono poi state intavolate discussioni per rinnovare la CDI-ITA del 1976, discussioni più volte bloccate da parte italiana e che, come tutti sanno, non hanno portato a evidenti risultati sino ai no-stri giorni.

5. L’offerta da parte della Svizzera del 2002 e del 2004Ritenuta l’ottica italiana sullo scambio di informazioni e i note-voli problemi applicativi della CDI-ITA messi in evidenza dalla Svizzera, con l’intento di uscire dalle liste nere italiane senza adottare misure ritorsive di per sé applicabili sulla base della CV e dei lavori preparatori della International Law Commission sulla responsabilità degli Stati, rispettivamente senza volere denunciare formalmente la CDI-ITA temendo una escalation negativa dei rapporti fiscali bilaterali fra i due Paesi, la Svizzera ha offerto all’Italia nel 2002 uno scambio di informazioni al-largato, così come previsto allora per un unico Stato al mondo, ossia gli Stati Uniti[29]. La clausola di scambio di informazioni allargata permette lo scambio di informazioni anche per l’ap-plicazione del diritto tributario nazionale e così come dimo-strato in un recente passato dall’esperienza avuta con gli Stati

Uniti, permette effettivamente di ottenere informazioni fiscali su conti bancari svizzeri e non costituisce pertanto una clau-sola capestro senza efficacia.

Non paghi di questa offerta, la Svizzera nel 2004 ha anche offerto alla controparte italiana una clausola di assistenza am-ministrativa in ambito fiscale identica a quella ratificata nel 2003 con la Germania, assistenza che permette anch’essa uno scambio di informazioni fiscali anche per l’attuazione del dirit-to tributario nazionale[30].

Quale è stato il risultato di queste offerte da parte Svizzera? Nessuno. Per motivi sconosciuti, l’Italia non ha aderito a nes-suna delle due offerte elvetiche nonostante pubblicamente abbia sempre identificato la piccola clausola di scambio di in-formazioni come il problema da risolvere.

6. ConclusioniIn barba alle disposizioni di diritto pubblico internazionale ap-plicabili alle CDI, l’Italia, a partire dalla fine degli anni ‘90, ha introdotto nel proprio diritto nazionale una serie di misure an-ti-abuso unilaterali. Nei confronti della Svizzera, queste misure superano i limiti di una vera e propria discriminazione equipa-rando la Confederazione come intero Paese o con riferimento solo ad alcuni tipi di società ad un paradiso fiscale[31]. Questa equiparazione ha comportato l’inserimento della Svizzera nel-le liste nere italiane, ciò che comporta pesanti penalizzazioni fiscali dei soggetti residenti in Italia per gli investimenti in Pa-esi black-list, ma anche la negazione, ai residenti di detti Paesi, di certi benefici fiscali previsti dalla legislazione fiscale italiana nei confronti di soggetti non residenti in generale[32].

Considerando che i motivi che hanno portato l’Italia a rifiuta-re le importanti concessioni offerte dalla Svizzera rimangono totalmente oscuri, considerando che la nascita e l’applicazione della CDI-ITA è stata a dir poco travagliata, considerando che i tentativi di rinegoziazione della CDI-ITA del 1976 non hanno dato alcun esito da più di un decennio, quando con altri partner commerciali il rinnovo e l’applicazione di moderne CDI vengo-no svolti nel giro di pochi anni, è lecito sollevare seri dubbi sulla reale volontà italiana di negoziare con la Svizzera e sull’affida-bilità dell’Italia come partner convenzionale.

Per tutti questi motivi e sperando che non si debba aspet-tare altri 40 anni per vedere alla luce una moderna CDI-ITA, nel nuovo testo convenzionale sarà imperativo introdurre una procedura amichevole ai sensi dell’articolo 25 del modello di Convenzione OCSE con un obbligo di risultato e con l’elezione di un tribunale internazionale (o di esperti arbitrali, così come già in essere nel diritto internazionale privato) come giudice di ultima istanza. Questo tipo di procedura amichevole è già in essere parzialmente in diverse CDI, come nell’ambito delle re-lazioni bilaterali fra Germania e Stati Uniti, nonché Germania e Austria, con clausole di obbligatorietà di risultato attraverso la cosiddetta baseball arbitration[33].

Purtroppo, però, si teme che allo stato attuale dei fatti comun-que non si otterranno a breve termine risultati soddisfacenti e che la strategia ostruzionistica durata decenni da parte italiana

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porterà i suoi frutti, visto e considerato che già si staglia all’oriz-zonte uno standard OCSE internazionale di uno scambio non più su richiesta, ma automatico di informazioni fiscali, in modo che nonostante le due offerte da parte della Svizzera estremamen-te vantaggiose formulate in un momento storico in cui solo due altri Paesi al mondo potevano vantare vantaggi di questo tipo, siano state vane. Forse una negoziazione più decisa da parte elvetica avrebbe portato frutti maggiori.

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[1] Taschenstatistik der Schweiz 2014, pagina 19.[2] Ibidem, pagina 7.[3] Mayr Siegfried, I rapporti fiscali tra l’Italia e la Svizzera, in: RtiD I-2008, pagina 584.[4] Ufficio federale di statistica, in: http://www.bfs.admin.ch/bfs/portal/it/index/themen/03/02/blank/key/erwerbstaetige0/grenzgaenger.html [22.04.2014].[5] Altenburger Peter/Avagliano Cristina, Die Schweiz im Blickpunkt der ausländischen Hinzu-rechnungsbesteuerung: Vergleich USA, Deutsch-land, Italien, Frankreich, in: ASA 79 (2010/11), pagina 561.[6] Mayr Siegfried, op. cit., pagina 584.[7] Besson Samantha, Droit international public, Berna 2011, pagine 11-12.[8] Longobardi Ernesto, Economia tributaria, 2a edizione, Milano 2009, pagina 47 e pagina 353 e seguenti.[9] L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (di seguito OCSE) stessa ri-tiene che la doppia imposizione giuridica sia così nefasta, che non sia necessario spendere parole al riguardo, “Its harmful effects (of international ju-ridical double taxation) on the exchange of goods and services and movements of capital, technology and persons are so well known that it is scarcely necessa-ry to stress the importance of removing the obstacles that double taxation presents to the development of economic relations between countries”, parentesi e sottolineatura dell’autore, Model Tax Conven-tion on Income and Capital, Condensed Version, Parigi, 1995, paragrafo 1 pagina 7.[10] In questo periodo storico si possono già rile-vare iniziative bilaterali, anche se disparate e non coordinate. Gli elementi di fatto delle singole CDI in essere presentano inoltre notevoli differenze. A titolo di esempio, nel 1869 una primitiva CDI era stata sottoscritta fra la Prussia e la Sassonia e poi tra l’Austria e l’Ungheria, mentre la Germania aveva

sottoscritto con l’Italia nel 1925 e con la Svizzera nel 1931 una CDI.[11] Vogel Klaus/Lehner Moris, Doppelbesteue-rungsabkommen der Bundesrepublik Deutschland auf dem Gebiet der Steuern vom Einkommen und Vermögen, Monaco 2008, pagine 102-103.[12] Commentario OCSE 2008, articolo 1 cifra 7.[13] Ibidem, articolo 1 cifra 7.[14] Ibidem, articolo 1 cifra 27.9.[15] Ibidem, articolo 26 cifra 1.[16] Ibidem, articolo 26 cifra 24. Si noti, comunque, che la riserva svizzera in commento è stata elimi-nata (dalla Svizzera) in sede di modifica del Com-mentario OCSE nel 2012.[17] Vogel Klaus/Lehner Moris, op. cit., N 45 pagina 123.[18] Ziegler Andreas R., Introduction au droit in-ternational public, Berna 2006, N 172 pagina 77.[19] Ibidem, N 172 pagina 77.[20] Besson Samantha/Breitenmoser Stephan/Sassòli Marco/Ziegler Andreas R., Völkerrecht, Droit international public, Aide-mémoire, Zurigo 2010, N 3.3, pagina 49.[21] Ziegler Andreas R., op. cit., N 248 pagina 102.[22] Messaggio del Consiglio federale all’Assem-blea federale concernente una convenzione di doppia imposizione conchiusa con l’Italia (Del 5 maggio 1976), in: Foglio federale 1976 II 665, pa-gina 666.[23] Pestalozzi Gmür & Patry, I B I 20, Schreiben der Eidgenössischen Steuerverwaltung an die kanto- nalen Steuerverwaltungen und am Abschluss von Doppelbesteuerungsabkommen interessier- ten Wirtschaftsverbände vom 19. April 1979, Doppelbesteuerungsabkommen mit Italien, N. C/II/3, pagina 7.[24] Pestalozzi Gmür & Patry, I B I 20, Schreiben der Eidgenössischen Steuerverwaltung an die kan-tonalen Steuerverwaltungen und am Abschluss von Doppelbesteuerungsabkommen interessier-

ten Wirtschaftsverbände vom 21. Juni 1979, Schweizerisch-italienisches Doppelbesteuerungs-abkommen von 1976/1978 – provisorisches Ver-fahren zur Entlastung von den italienischen Quel-lensteuern, pagina 1.[25] Pestalozzi Gmür & Patry, I B I 26, Auszug aus dem Schreiben der Eidgenössischen Steuer-verwaltung an die kantonalen Steuerverwaltun-gen etc. von Mai 1982.[26] Pestalozzi Gmür & Patry, I B I 26, Auszug aus dem Schreiben der Eidgenössischen Steuer-verwaltung an die kantonalen Steuerverwaltun-gen etc. vom 2. Juli 1984.[27] Pestalozzi Gmür & Patry, I B I 26, Auszug aus dem Schreiben der Eidgenössischen Steuer-verwaltung an die kantonalen Steuerverwaltun-gen etc. vom 10. Juni 1991, pagina 1.[28] Pestalozzi Gmür & Patry, I B I 48, 49, 54, 55, 56, 58, 59, 60, Auszug aus dem Schreiben der Eidgenössischen Steuerverwaltung an die kanto-nalen Steuerverwaltungen etc. vom 9. Juni 2000, vom 3. Juli 2001, vom 15. Juli 2002, vom 11. Juli 2003, vom 2. Juni 2004, vom 30. Juni 2005, vom 9. August 2006, vom 2. Juni 2008, dove la Svizzera ha richiesto la cancellazione dalle liste nere italiane.[29] Pestalozzi Gmür & Patry, I B I 54, Auszug aus dem Schreiben der Eidgenössischen Steuer-verwaltung an die kantonalen Steuerverwaltun-gen etc. vom 15. Juli 2002.[30] Pestalozzi Gmür & Patry, I B I 56, Auszug aus dem Schreiben der Eidgenössischen Steuer-verwaltung an die kantonalen Steuerverwaltun-gen etc. vom 2. Juni 2004.[31] Mayr Siegfried, op. cit., pagina 585.[32] Ibidem, pagina 585.[33] Vorpe Samuele, La clausola arbitrale secon-do il Modello OCSE e nelle convenzioni contro le doppie imposizioni pattuite dalla Svizzera, in: RtiD II-2011, pagina 601 e seguenti.

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Alcune osservazioni iniziali

1. IntroduzioneLa Legge n. 147/2013 (di seguito Legge di Stabilità 2014), pub-blicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302/2013, ha introdotto nell’ordinamento italiano, inter alia, la cosiddetta “web tax”, ov-vero una serie di disposizioni tributarie finalizzate a combattere le (presunte) strategie di pianificazione fiscale utilizzate dalle “internet companies”.

Tecnicamente parlando, la “web tax” non costituisce una nuova imposta, ma si limita a disporre due distinte tipologie di previ-sioni normative in materia di imposta sul valore aggiunto (di seguito IVA) (articolo 1 comma 33) e di transfer pricing (artico-lo 1 commi 177 e 178), che si prefiggono appunto l’obiettivo di contrastare presunti fenomeni elusivi connessi alle “internet companies”.

2. Le disposizioni in materia di IVAIl comma 33 dell’articolo 1 Legge di Stabilità 2014 ha modifica-to il Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 633/1972, inserendo l’articolo 17-bis, rubricato “Acquisto di pubblicità on-line”. Ai sensi di tali modifiche, i soggetti passivi IVA saranno obbligati ad acquistare da soggetti titolari di una partita IVA italiana i seguenti servizi:

◆ servizi di pubblicità; o◆ link di sponsorizzazione on-line; ovvero◆ servizi di search advertising (cioè i servizi di ricerca di spazi

pubblicitari on-line e di link sponsorizzati che appaiono nel-le pagine dei risultati dei motori di ricerca) visualizzabili sul territorio italiano.

Le disposizioni di cui sopra si applicano anche nel caso in cui l’operazione di compravendita sia stata effettuata mediante centri media, operatori terzi e soggetti inserzionisti.

Il disposto dei commi sopra citati ha suscitato da subito nume-rose perplessità, soprattutto dal punto di vista della compatibi-lità con il diritto dell’Unione europea (di seguito UE).

In primis, è immediato osservare come l’articolo 17-bis D.P.R. n. 633/1972, come modificato, appaia in contrasto con la di-sciplina armonizzata in materia di IVA di cui alla Direttiva n. 2006/112/CE, la quale non sembra consentire ad uno Sta-to membro dell’UE di imporre l’identificazione ai fini IVA a soggetti non residenti, salvo non si tratti di soggetti debitori dell’imposta su operazioni imponibili effettuate nel territorio di tale Stato.

Nel caso dei servizi in parola, invece, il soggetto estero non sa-rebbe debitore dell’imposta, in quanto debitore sarebbe il sog-getto passivo nazionale committente.

Inoltre, in dottrina è stata segnalata da più parti la potenziale violazione degli articoli dal 56 al 62 del Trattato sul funziona-mento dell’UE (di seguito TFUE), in materia di libera circolazione di servizi, i quali vietano ogni restrizione alla libertà di acquista-re ovvero di fornire servizi all’interno dell’UE. Ne consegue che l’imposizione di un obbligo di identificazione ai fini IVA in Italia ad un operatore economico stabilito in un altro Stato membro dell’UE che intenda prestare servizi a soggetti passivi IVA ita-liani ben potrebbe essere incompatibile con il principio di libera circolazione dei servizi. Inoltre, anche qualora tale restrizione fosse teoricamente giustificata dall’obiettivo di contrastare fe-nomeni di evasione fiscale, la stessa non sembrerebbe propor-zionata, andando oltre a quanto strettamente necessario per il perseguimento di tale obiettivo.

A riguardo si evidenzia che – successivamente all’approvazione della Legge di Stabilità 2014 da parte della Camera dei Deputati ed in pendenza dell’approvazione al Senato – la stessa Com-missione europea aveva sollevato dubbi circa la compatibilità della disposizione in commento con il diritto dell’UE. La dispo-sizione non è stata tuttavia emendata prima della definitiva approvazione.

Nondimeno, facendo seguito ad un ordine del giorno in cui la Camera dei Deputati impegnava il Governo a notificare quanto prima la normativa de qua alla Commissione europea, il Gover-no medesimo è intervenuto con il Decreto Legge (di seguito D.L.) n. 151/2013 (cosiddetto “Decreto Milleproroghe 2014”), posticipando l’entrata in vigore di tale disposizione al 1. luglio

IVA e imposte indiretteLa “web tax” italiana: tematiche IVA e di transfer pricing

Paolo F. TripoliLL.M., Dottore CommercialistaTax Director, PricewaterhouseCoopersTLS Associazione Professionale di Avvocati e Commercialisti

Lorenzo FerrariDottore CommercialistaPricewaterhouseCoopersTLS Associazione Professionale di Avvocati e Commercialisti

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2014, in modo da poter vagliare la sussistenza di eventuali pro-fili di incompatibilità con il diritto dell’UE di detta norma prima della sua entrata in vigore[1].

3. L’articolo 1 commi 177 e 178: disposizioni in materia di transfer pricingIl comma 177 dell’articolo 1 Legge di Stabilità 2014 ha previ-sto che ai fini della determinazione dei prezzi di trasferimento di cui all’articolo 110 comma 7 D.P.R. n. 917/1986 (di seguito TUIR), le società “che operano nel settore della raccolta di pubblicità on-line e dei servizi ad essa ausiliari sono tenute a utilizzare indicatori di profitto diversi da quelli applicabili ai costi sostenuti per lo svol-gimento della propria attività, fatto salvo il ricorso alla procedura di ruling di standard internazionale”.

Infine, il comma 178 dispone che il pagamento di tali servizi debba essere effettuato esclusivamente mediante bonifico, dal quale devono risultare anche i dati identificativi del beneficia-rio, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consen-tire la piena tracciabilità delle operazioni e a veicolare la partita IVA del beneficiario.

La disposizione in commento – che a differenza dell’intervento in materia di IVA non è stata oggetto di proroghe ed è pertanto attualmente in vigore – è indubbiamente molto innovativa per il panorama tributario italiano.

Prima dell’intervento normativo in discussione, infatti, l’ordina-mento italiano non conteneva alcuna previsione concernente le metodologie da utilizzarsi per la determinazione dei prezzi di trasferimento. L’articolo 110 comma 7 TUIR (principale riferi-mento legislativo per l’applicazione del transfer pricing in Italia) si limita a stabilire la necessità di applicare il principio di libera concorrenza nei rapporti con parti correlate non residenti, sen-za tuttavia precisare quali tecniche si debbano utilizzare per la determinazione del valore delle operazioni intercompany.

L’articolo 1 comma 177 Legge di Stabilità 2014, invece, vie-ta l’utilizzo di meccanismi di remunerazione basati sui costi, escludendo quindi l’applicazione di metodologie che le Linee Guida dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (di seguito OCSE) in materia di Prezzi di Trasferi-mento potrebbero indicare come le più idonee per determina-re la corretta remunerazione delle società attive nella raccolta pubblicitaria on-line e nei servizi ad essa ausiliari.

Prescindendo per un attimo dalle difficoltà operative che tale previsione crea – anche in considerazione dell’ampio utilizzo di metodi basati sui costi da parte di società di servizi, anche nel settore in oggetto, nonché della vaghezza dell’espressione “ser-vizi […] ausiliari” – la disposizione de qua non risulta di facile inqua-dramento nell’ottica dei trattati contro le doppie imposizioni.

Difatti, nei trattati per evitare le doppie imposizioni stipulati dall’Italia (i quali si rifanno allo schema del Modello di Conven-zione OCSE), all’articolo 9 è stabilito che le imprese associate, nella determinazione dei prezzi riferiti a relazioni commerciali o finanziarie poste in essere tra loro, devono rispettare il principio del valore normale.

Ne consegue che la previsione normativa introdotta dal com-ma 177 dell’articolo 1 Legge di Stabilità 2014, la quale, come detto, vieta alle società operanti nel settore della raccolta di pubblicità on-line e dei servizi ad essa ausiliari di avvalersi di in-dicatori di profitto basati sui costi sostenuti per lo svolgimento della propria attività, potrebbe essere in contrasto con l’articolo 9 dei trattati stipulati dall’Italia.

Si pensi ad esempio ad un trattato stipulato anteriormen-te (come nel caso di tutti i trattati attualmente in vigore) alla normativa in commento ed avente come controparte un altro Paese membro dell’OCSE. Parrebbe in tale circostanza di dover ritenere che le parti contraenti non potessero che riferirsi alle Linee Guida dell’OCSE nel riprodurre il testo dell’articolo 9 Mo-dello di Convenzione OCSE nel loro accordo bilaterale, anche in conformità ai canoni ermeneutici disposti dagli articoli 31 e 32 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati[2]. Interve-nire successivamente (in via legislativa) per vietare l’utilizzo di metodi previsti dalle Linee Guida OCSE pone quindi seri interro-gativi circa la compatibilità di tale intervento con le convenzioni italiane attualmente in vigore.

In altre parole, ove tale linea interpretativa fosse corretta, do-vrebbe concludersi che la previsione normativa de qua trovi applicazione solo qualora i contribuenti non possano legitti-mamente avvalersi di alcuna convenzione contro le doppie im-posizioni[3].

In aggiunta, non risulta chiaro l’inquadramento concettuale dell’ultimo capoverso della disposizione in commento, ove vie-ne fatto salvo il ricorso alla procedura di ruling internazionale[4]. Il tenore letterale della disposizione, infatti, sembrerebbe con-cedere la possibilità di utilizzare indicatori di profitto basati sui costi solo nell’ambito della procedura di ruling internazionale. Se tale fosse l’interpretazione corretta si dovrebbe convenire che la procedura di ruling assuma in tale fattispecie un valore simile a quello delle procedure di interpello disapplicativo (ad esem-pio ex articolo 37-bis comma 8 D.P.R. n. 600/1973), circostanza questa che costituirebbe una qualificazione sicuramente atipi-ca per l’istituto del ruling internazionale.

La previsione in commento pare inoltre di non facile applicazio-ne concreta. Nella prassi attuale le società di servizi che ope-rano a supporto del gruppo di appartenenza utilizzano nella

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pressoché totalità dei casi metodi di determinazione (o quanto meno di verifica) dei propri compensi basati sui costi sostenuti e sul relativo margine[5].

Resta quindi l’interrogativo di quale sia, per il Legislatore, il me-todo più opportuno da utilizzare, ove si inibisca l’utilizzo di ogni indicatore basato sui costi sostenuti.

A titolo di riflessione preliminare si potrebbe avanzare l’ipotesi che il Legislatore intendesse collegare la remunerazione delle società di servizi attive nell’ambito della raccolta di pubblicità al volume di pubblicità raccolta, assimilando quindi tali società a società di vendita.

Ove tale ricostruzione fosse corretta (e l’intervento già com-mentato in materia IVA deporrebbe sicuramente a favore di questa ricostruzione, in quanto fornirebbe all’Amministrazio-ne finanziaria informazioni complete circa il volume d’affari sviluppato sul territorio nazionale), parrebbe quindi di potersi attendere un ampio utilizzo del metodo TNMM (Transactional Net Margin Method) tramite l’impiego del metodo del ritorno sulle vendite (Return on Sale o ROS) quale indicatore di profit-to, presumibilmente dopo aver operato un apposito aggiusta-mento per considerare i diversi livelli di capitale impiegato dal soggetto comparato (la cosiddetta “tested party”) e dai soggetti comparabili.

Resta inteso che, ove tale ricostruzione fosse corretta, permar-rebbero le criticità di dover sostenere l’utilizzo di metodologie ictu oculi poco appropriate per società che siano realmente in-caricate di fornire solamente servizi al gruppo, con i presumibili rischi di doppia imposizione ove tale approccio non fosse accol-to dalle altre amministrazioni finanziarie.

4. Considerazioni conclusiveSi rileva infine come sia stato appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.L. n. 16/2014. Tale decreto, facendo seguito al di-battito intervenuto sul tema, abroga il comma 33 dell’articolo 1 Legge di Stabilità 2014.

Ove tale D.L. – già temporaneamente efficace – fosse conver-tito in Legge dal Parlamento, si concluderebbe la discussione circa la legittimità, in chiave di diritto europeo, delle disposizioni concernenti l’obbligo di apertura della partita IVA in Italia per la vendita dei citati servizi “internet”.

Non pare invece che il Governo sia intenzionato a intervenire in relazione alle disposizioni in materia di transfer pricing, le quali, sebbene non presentino particolari criticità per quanto attie-ne ai possibili profili di contrasto con il diritto dell’UE, paiono comunque di difficile inquadramento sistematico nella prassi italiana in materia e in potenziale contrasto con le convenzioni contro la doppia imposizione attualmente in vigore.

Disclaimer:Le opinioni espresse riflettono il pensiero degli autori e non necessariamente la posizione del TLS o di PricewaterhouseCoopers

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[1] E valutare ogni iniziativa urgente utile ad evi-tare un danno anche solo indiretto allo sviluppo dell’economia digitale italiana.[2] Meno chiara potrebbe essere la fattispecie di quei trattati che siano stati stipulati prima dell’ema-nazione delle Linee Guida OCSE del 1979.

[3] A diversa conclusione potrebbe forse giunger-si per i trattati che saranno conclusi successiva-mente all’entrata in vigore della disposizione in commento.[4] Comunemente conosciuto anche come Advan-ced Pricing Agreement.

[5] Tra i metodi comunemente utilizzati si se-gnalano il Transactional Net Margin Method nelle proprie configurazioni basate sui costi (incluso il cosiddetto Berry Ratio), nonché, sebbene meno frequentemente, il metodo del Cost-plus.

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Sentenza della Camera di diritto tributario del Cantone Ticino, del 16 agosto 2012, n. 80.2011.70, in: RtiD I-2013, n. 10t.; Sen-tenza del Tribunale federale, del 21 marzo 2013, n. 2C_882/2012 e 2C_883/2012

Articoli 55 LIFD e 64 LT – Responsabilità solidale dell’amministra-tore e liquidazione di fatto: cessione dell’unico attivo importante

1. Considerazioni introduttiveA norma dell’articolo 717 del Codice delle obbligazioni (di se-guito CO), gli amministratori e i terzi sono tenuti ad adempie-re i loro compiti con ogni diligenza e a salvaguardare secondo buona fede gli interessi della società. Come più volte afferma-to dal Tribunale federale, la funzione di amministratore im-plica un dovere di fedeltà verso la società e l’obbligo legale di astenersi dall’esercizio di attività che le fanno concorrenza[1].

Ma non solo. Da ormai diversi anni, gli amministratori di una società anonima sono pure tenuti a salvaguardare gli interessi delle autorità fiscali. Appena accennata nel passato, tale proble-matica si è acuita negli anni sessanta, con l’emergere di società ausiliarie e di strutture holding controllate da azionisti residenti all’estero. Il concreto rischio di non poter incassare le imposte dovute, nel caso in cui il patrimonio sociale fosse stato disperso, ha indotto l’amministrazione fiscale a ricercare i mezzi legali per convenire in giudizio gli organi formali delle società di capitali[2].

In tal senso, il passo decisivo è stato compiuto nel 1965, con l’introduzione dell’articolo 15 della Legge federale sull’im-posta preventiva (di seguito LIP), che prevede un regime di responsabilità solidale nei confronti delle persone incaricate della liquidazione. Questo modello è stato successivamente ripreso da altre leggi tributarie, che hanno contribuito ad ag-gravare ulteriormente gli obblighi degli organi di una persona giuridica. Tra queste, l’articolo 55 della Legge federale sull’im-posta federale diretta (di seguito LIFD), poi ripreso dall’arti-colo 64 della Legge tributaria del Cantone Ticino (di seguito LT), secondo cui, in caso di cessazione dell’assoggettamento di una persona giuridica, le persone incaricate della sua am-ministrazione e liquidazione rispondono solidalmente per le imposte dovute da detta persona giuridica fino a concorrenza

del ricavo della liquidazione oppure, nel caso in cui la persona giuridica trasferisce all’estero la sede o l’amministrazione ef-fettiva, fino a concorrenza della sostanza netta della persona giuridica. Tale responsabilità decade se dette persone prova-no di aver usato la diligenza richiesta dalle circostanze.

Come detto, la disciplina prevista dagli articoli 55 LIFD e 64 LT ha come principale scopo quello di indurre gli organi di una persona giuridica in liquidazione a soddisfare tempestiva-mente le obbligazioni fiscali. Essa non si fonda su una loro colpa, ma piuttosto sul potere di disporre – giuridico, eco-nomico o di fatto – che gli stessi detengono sul patrimonio sociale. In una recente sentenza del 16 agosto 2012 – confer-mata dal Tribunale federale, che il 21 marzo 2013 ha respin-to, nella misura in cui era ammissibile, un ricorso interposto dall’amministratore – la Camera di diritto tributario del Tri-bunale d’appello del Cantone Ticino (di seguito CDT) ha avuto modo di confrontarsi con tali disposizioni, ponendo l’accento su alcuni importanti principi in tema di responsabilità fiscale degli amministratori di una società anonima.

2. La fattispecie sotto esameLa società B. SA, con scopo la detenzione di partecipazioni in altre imprese e società di qualsiasi genere, è stata ammi-nistrata dal contribuente X fino al 2 maggio 2006. Un mese più tardi, la società veniva dichiarata sciolta d’ufficio, siccome priva di amministrazione.

Nel corso del 2007, l’autorità fiscale procedeva in via esecu-tiva nei confronti della B. SA in liquidazione, allo scopo di re-cuperare le imposte relative all’anno 2002 ancora scoperte. Dette esecuzioni venivano tuttavia sospese poco dopo, per l’impossibilità di procedere al loro incasso. All’inizio del 2008, l’autorità fiscale si rivolgeva allora al contribuente X, comuni-cando di ritenerlo responsabile del pagamento dei tributi do-vuti dalla società, in qualità di suo amministratore nel periodo in discussione. In risposta, quest’ultimo contestava ogni ad-debito, invitando l’autorità a emanare una decisione formale.

Con decisione del 31 maggio 2010, l’Ufficio di tassazione del-le persone giuridiche rilevava preliminarmente quanto segue:

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroLa responsabilità fiscale degli amministratori di una società anonima

Rocco FilippiniAvvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax LawVicecancelliere della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello del Cantone Ticino

20 Novità fiscali / n.4 / aprile 2014

◆ la liquidazione della B. SA era di fatto già avvenuta nel 2002, con la cessione del suo unico attivo di rilievo;

◆ il ricavato della vendita era stato messo a disposizione degli azionisti, generando una distribuzione dissimulata di utili, che nell’ambito di una precedente procedura veniva quan-tificata in 750’000 franchi[3];

◆ l’amministratore unico della società non aveva a quel tem-po pagato le imposte derivanti dall’operazione.

L’autorità ribadiva quindi al contribuente X di ritenerlo inte-gralmente responsabile del pagamento delle imposte fede-rali, cantonali e comunali 2002, per un totale di 176’277.45 franchi.

La responsabilità solidale dell’amministratore unico veniva confermata anche dalla CDT, con decisione del 16 agosto 2012[4]. Infine, con sentenza del 21 marzo 2013, il Tribunale federale ha respinto, nella misura in cui era ammissibile, un ricorso interposto contro la decisione cantonale[5].

3. La decisione della CDTCon sentenza del 16 agosto 2012, la CDT ha condannato l’am-ministratore unico della società B. SA a pagare l’intero debito fiscale scoperto di 176’277.45 franchi. I giudici cantonali han-no respinto tutte le argomentazioni sollevate dal ricorrente, sottolineando in particolare che la cessione dell’unico attivo importante equivaleva ad una liquidazione di fatto della socie-tà. Liquidatore, e come tale responsabile solidale delle imposte ancora dovute dalla società, non poteva che essere conside-rato lo stesso ricorrente, sebbene quest’ultimo avesse sempre affermato di aver assunto unicamente un ruolo formale, ope-rando quale “uomo di paglia” agli ordini dell’azionista.

Come detto, la decisione della CDT ha ricordato alcuni impor-tanti principi in tema di responsabilità fiscale degli ammini-stratori di una persona giuridica, che meritano di essere qui evidenziati, seppur brevemente.

3.1. Il diritto ad una decisione formaleSe, di principio, la legge non contempla la costituzione del vincolo di solidarietà mediante decisione formale, la persona solidalmente responsabile ha nondimeno diritto ad ottenere la notifica di una decisione contro cui possa esperire i rimedi giuridici ordinari.

3.2. La prescrizione della titolarità dell’azione in responsabilità solidaleLa legge non prevede alcuna norma relativa alla prescrizione del debito solidale delle persone incaricate dell’amministrazio-ne e liquidazione di una persona giuridica. Come conferma-to dalla dottrina dominante, a tale proposito valgono però le stesse regole del diritto di riscossione. La titolarità dell’azio-ne in responsabilità solidale si prescrive in cinque anni dalla crescita in giudicato della tassazione, fatti salvi i motivi di so-spensione e interruzione della prescrizione. A questa disciplina giuridica, direttamente mutuata dall’articolo 136 CO, va infatti attribuita una portata generale, che trova applicazione anche nei casi in cui la legge è silente.

3.3. La natura della responsabilità solidaleLa disciplina prevista dagli articoli 55 LIFD e 64 LT ha come principale scopo quello di indurre gli organi di una persona giuridica in liquidazione a soddisfare tempestivamente le obbligazioni fiscali. Le disposizioni in discussione non istitu-iscono un’obbligazione fiscale solidale (“Steuersolidarität”), ma creano una semplice responsabilità solidale (“solidarische Mi-thaftung”): il liquidatore non è partecipe del rapporto giuridico che vincola la società allo Stato dal profilo fiscale, ma diviene unicamente responsabile del pagamento dell’imposta, accan-to alla società contribuente, quando i presupposti degli arti-coli 55 LIFD e 64 LT sono adempiuti.

Di conseguenza, il debitore solidale non può contestare il cre-dito d’imposta già definitivamente accertato nel corso della procedura di tassazione della società[6].

3.4. La giurisprudenza sviluppata in materia di imposta preventivaLa responsabilità solidale disciplinata dagli articoli 55 LIFD e 64 LT si ispira direttamente all’articolo 15 capoverso 1 lettera a LIP. È quindi naturale riferirsi alla dottrina e alla giurispru-denza sviluppata dal Tribunale federale in quest’ambito, pur rispettando le differenze che sussistono fra le due forme di responsabilità.

In particolare, la responsabilità solidale degli articoli 55 LIFD e 64 LT entra in linea di considerazione unicamente in caso di cessazione dell’assoggettamento di una persona giuridica, ovvero il giorno della chiusura della cosiddetta liquidazione formale (articoli 54 LIFD e 63 LT), che a norma dell’articolo 739 CO segue lo scioglimento di una società ai sensi dell’ar-ticolo 736 CO (per statuto, per deliberazione dell’assemblea generale, per fallimento, per sentenza del giudice o per gli altri motivi previsti dalla legge). Per contro, in materia di imposta preventiva, la responsabilità solidale nasce prima, unitamente alla stessa causa di scioglimento della società.

3.5. La liquidazione di fatto di una società anonimaAccanto alla liquidazione formale, la giurisprudenza in tema di imposta preventiva ha pure sviluppato il concetto di “liquidazio-ne di fatto”, che può senz’altro essere ripreso anche nell’ambito

21Novità fiscali / n.4 / aprile 2014

delle imposte dirette. Da un punto di vista fiscale, una società è di fatto liquidata nel momento in cui gli attivi sono alienati o realizzati e il relativo ricavo non viene nuovamente investito, ma distribuito in una maniera o nell’altra agli azionisti.

3.6. La nozione di “liquidatore di fatto”Liquidatori ai sensi degli articoli 55 LIFD e 64 LT sono sia le persone chiamate a questo compito da una disposizione le-gale o statutaria, sia coloro che, di fatto, liquidano la società. Gli organi in senso formale, come i membri del consiglio di amministrazione, sono generalmente da considerarsi quali liquidatori con responsabilità solidale per il pagamento delle imposte arretrate.

Per costante giurisprudenza, sono prima di tutto responsabili gli organi che sottoscrivono i contratti afferenti alla vendita degli attivi. Sono responsabili quali liquidatori anche gli organi che contribuiscono alla liquidazione della società unicamen-te negoziando con terze persone la vendita del patrimonio sociale. Possono essere considerati responsabili a titolo di li-quidatori persino le persone che non fanno parte di nessun organo, perlomeno se esercitano de facto un ruolo dirigente.

3.7. La prova liberatoriaLa responsabilità solidale decade solo se il liquidatore compro-va di aver esperito i suoi obblighi secondo scienza e coscien-za, usando la diligenza richiesta dalle circostanze. Su questo punto, la legge istituisce quindi un’eccezione e conferisce al liquidatore la possibilità di fornire a suo discarico una prova liberatoria. A differenza di quanto disposto dall’articolo 15 ca-poverso 2 LIP, che impone al liquidatore di fare tutto quanto è in suo potere per giungere all’accertamento e all’adempimen-to del credito fiscale, nell’ambito degli articoli 55 LIFD e 64 LT la prova liberatoria sottostà a condizioni ed esigenze meno severe stabilite dal diritto civile, ed in particolare dagli articoli 55 capoverso 1 e 56 capoverso 1 CO. La responsabilità solidale decade se il “liquidatore di fatto” prova di aver usato la diligenza richiesta dalle circostanze per impedire il sopraggiungere del danno subìto dalla collettività pubblica.

3.8. Il carattere sussidiario della responsabilitàIn assenza di norme specifiche, la dottrina più recente e la giurisprudenza in tema di imposta preventiva sembrano pro-pendere per un’applicazione, a titolo di diritto pubblico sup-pletivo, dell’articolo 144 CO, permettendo così all’autorità fiscale di agire a sua scelta nei confronti di un debitore piut-tosto che dell’altro.

4.Considerazioni conclusiveLa responsabilità sancita dagli articoli 55 LIFD e 64 LT mira a colpire quelle persone che singolarmente o in comune con altre, dispongono del patrimonio sociale con il quale dovreb-bero essere soddisfatti gli oneri fiscali. In linea di principio, gli organi in senso formale, ed in particolare i membri del con-siglio di amministrazione, appartengono a questa categoria. Nel caso in cui il patrimonio sociale fosse disperso, essi cor-rono pertanto il rischio di essere convenuti in giudizio per il pagamento delle imposte ancora scoperte. Poco importa il motivo per il quale essi accettano la propria carica: come più volte affermato dal Tribunale federale, nell’interesse dei terzi e del fisco, anche il prestanome può essere reso responsabile per il pagamento delle imposte.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.aziendacasapr.it/CMS/public/uploads/image/Foto/confe-renza.jpg [22.04.2014]

[1] ASA 67, pagina 216.[2] Oberson Xavier, La responsabilité fiscale des organes dirigeants des sociétés anonymes, in: SJ 2006 II, pagina 293.[3] Sentenza CDT n. 80.2005.102.

[4] Sentenza CDT n. 80.2011.70.[5] Sentenza TF n. 2C_882/2012 e n. 2C_883/2012.[6] Richner Felix/Frei Walter/Kaufmann Stefan/Meuter Hans Ulrich, Handkommentar zum DBG, II° edizione, Zurigo 2009, N 5 ad art. 55 LIFD.

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Commissione Tributaria Regionale Firenze, 18 settembre 2013, n. 97/13/13; Commissione Tributaria Regionale Milano, 3 luglio 2012, n. 73/18/12

Di particolare interesse il dibattito giurisprudenziale che si sta sviluppando in alcune Commissioni Tributarie riguardante l’ob-bligo (o meno) della produzione di una traduzione giurata in ita-liano, allorquando il contribuente intenda utilizzare, nel proces-so tributario, documentazione redatta in una lingua diversa da quella del processo. Il tema oggetto del contrasto giurispruden-ziale è di rilievo in specie nel processo tributario, caratterizzato dal divieto di prova testimoniale e dove, quindi, la documenta-zione prodotta dal contribuente per contrastare gli argomenti logico-giuridici degli uffici accertatori assume rilievo decisivo.

Sovente accade, infatti, che il contribuente sia costretto a di-mostrare la correttezza dei propri argomenti solo mediante la produzione di documenti di provenienza estera redatti nella lingua originale: ciò si verifica, in particolare, quando l’oggetto dell’interpretazione del giudice tributario adìto sia una dispo-sizione normativa avente carattere di ultraterritorialità (come ad esempio, quando si verta sulla residenza fiscale delle perso-ne fisiche o delle società, oppure in materia di deducibilità dei componenti negativi di reddito derivanti da operazioni inter-corse con imprese localizzate in paradisi fiscali, eccetera).

Rispetto al problema interpretativo qui posto, la Commissione Tributaria Regionale di Milano, in una sentenza del luglio 2012 (quella del 3 luglio 2012, n. 73/18/12), ha precisato che, giusta il disposto dell’articolo 122 del Codice di procedura civile, la do-cumentazione prodotta dal contribuente nelle diverse fasi del processo deve essere prodotta nella lingua italiana, pena la sua inutilizzabilità nel processo medesimo.

A conclusioni opposte è pervenuta, più di recente, la Commis-sione Tributaria Regionale di Firenze (nella sentenza del 18 set-tembre 2013, n. 97/13/13) che, viceversa, ha ritenuto che il di-sposto dell’articolo 122 del Codice di procedura civile si riferisce agli atti processuali in senso stretto e non anche ai documenti esibiti dalle parti, con conseguente possibilità di produrre gli stessi nel corso del giudizio tributario affinché essi siano libera-mente valutati da parte del giudice adìto.

Occorre, per la verità, precisare che la questione interpretati-va, se relativamente nuova nel processo tributario, non si può certo dire non abbia trovato approdi interpretativi stabili nel processo civile (al quale il processo tributario ispira la propria disciplina) dove è abbastanza consolidato l’indirizzo giurispru-denziale secondo il quale il richiamato articolo 122 del Codice del processo civile riguarda solo gli atti del processo, e non an-che i documenti prodotti dalle parti, sicché la disposizione della traduzione dei medesimi è una facoltà del giudice, e non un ob-bligo (così la Corte di Cassazione, sentenza n. 6093 del 2013).

Certamente, nel diritto tributario opera, comunque, l’articolo 10 della Legge n. 212/2000, il quale impone al contribuente un dovere di collaborazione con l’Amministrazione finanzia-ria; sicché la mancata allegazione, al documento estero, di una traduzione giurata in italiano, se non è causa di inutilizzabilità del documento medesimo nel processo tributario è, per altro verso, elemento che il giudice tributario può liberamente valu-tare anche ai fini del comportamento delle parti nel corso del processo tributario.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.adnkronos.com/IGN/Assets/Imgs/F/Fisco_dichiarazioni_redditi_web--400x300.jpg [22.04.2014]

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italianoL’efficacia della produzione di documenti in lingua estera nel corso del giudizio tributario

Roberto FranzèProfessore aggregato di Diritto tributario nell’Università della Valle d’Aosta

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L’IVA costituisce la principale fonte di finanziamento per la Svizzera con circa 22 miliardi di franchi all’anno. Samuele Vorpe spiega i perché del corso

La SUPSI, e per essa il suo Centro di competenze tributarie, perché ritiene necessario offrire un corso annuale in ambito di imposta sul valore aggiunto (IVA)? Vede, l’IVA costituisce oggi la principale fonte di finanziamen-to della Confederazione con entrate pari a circa 22 miliardi di franchi. L’imposta federale diretta segue con entrate sui 18 miliardi di franchi. Considerando anche l’elevato numero di contribuenti IVA, circa 344'000, questa imposta costituisce, senza averne dubbio, un importante settore in cui investire in formazione. Un ulteriore motivo che ci ha spinto per una for-mazione di specialisti in ambito IVA è la revisione della Legge federale, intervenuta con il 1. gennaio 2010, che ha portato con sé notevoli cambiamenti.

Ci può spiegare che cos’è esattamente l’IVA?L’IVA è un’imposta indiretta che colpisce la ricchezza nel mo-mento in cui questa viene trasferita o consumata. L’IVA è ri-

scossa su ogni fase della produzione, della distribuzione e del settore delle prestazioni di servizi, sull’ottenimento di presta-zioni di servizi di imprese con sede all’estero, nonché sull’im-portazione di beni. In ambito di IVA è inoltre necessario distin-guere tra il debitore dell’imposta e il contribuente di fatto. Il debitore dell’imposta è colui che fornisce per esempio i beni e i servizi, mentre il contribuente effettivo è il consumatore finale.

Ci può fare un esempio?L’IVA è un’imposta neutra per i soggetti IVA e un’imposta de-finitiva per il contribuente finale che non è soggetto IVA. Am-mettiamo che A (soggetto IVA), lavori una materia prima e la venda a B (pure soggetto IVA), per 1'000 + IVA all’8% (totale 1'080). A sua volta B (soggetto IVA) trasforma questa materia prima in un tavolo di ottima qualità, che vende a C (non sog-getto IVA) per 1'200 + IVA all’8% (totale 1'296). Il soggetto A ha versato alla Confederazione 80 di IVA che ha ricavato dalla vendita a B, che corrisponde al valore aggiunto da esso creato. Il soggetto B, prima ha versato 80 di IVA ad A, ma poi ha fat-turato 96 di IVA a C. Alla Confederazione ha quindi versato 16, ovvero il valore aggiunto da esso creato. Per entrambe le so-cietà (A e B) l’IVA è stata neutra, mentre è gravata tutta sulle spalle del contribuente finale C, che ha pagato 96, senza poter “scaricare” l’IVA essendo l’ultimo anello della catena.

Come si fa a diventare contribuente IVA?È assoggettato obbligatoriamente all’IVA chi esercita un’atti-vità d’impresa e realizza sul territorio svizzero una cifra d’af-fari proveniente da prestazioni imponibili superiori ai 100'000 franchi annui. Al di sotto di questa soglia, l’assoggettamento all’IVA è volontario ed è consigliato quando si vogliono dedurre dei costi gravati da IVA. Tornando all’esempio di cui sopra, per non essere il contribuente C di turno! Per le associazioni, l’as-soggettamento all’IVA scatta quanto le prestazioni imponibili sono superiori ai 150'000 franchi.

Prima ha parlato di prestazioni imponibili. Ci sono opera-zioni non imponibili?Occorre in questo caso distinguere tra operazioni esenti e operazioni escluse dall’IVA. Ancorché in entrambi i casi non si debba pagare l’IVA, la differenza consiste nella possibilità di av-valersi della deduzione dell’imposta precedente, ovvero di poter

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Questa intervista a cura di Gianmaria Pusterla è stata pubblicata sul Giornale del Popolo dell'8 aprile 2014 a pagina 4

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento scienze aziendali e socialiCentro competenze tributarie

Imposta sul valore aggiuntoCertificate of Advanced Studies

24 Novità fiscali / n.4 / aprile 2014

dedurre l’imposta precedentemente pagata sulle operazioni esenti da imposta. Sono per esempio esenti dall’IVA (con diritto alla deduzione dell’imposta precedente) i trasporti oltre confi-ne, oppure sono escluse dall’IVA (senza diritto alla deduzione dell’imposta precedente) le prestazioni del settore della sanità pubblica, dell’educazione e dell’insegnamento, eccetera.

L’IVA a suo modo di vedere tiene conto della capacità con-tributiva del contribuente?La complessità dell’IVA è da collegare al fatto che cerca di essere equa. Infatti l’IVA tiene conto del principio di capacità contributiva, sia nell’individuazione del suo oggetto (consumo quale indice di capacità contributiva) sia nella definizione della base imponibile (operazioni escluse dall’imposta) come pure nel calcolo (aliquote proporzionali ma differenziate, ovvero dell’8% aliquota normale; del 3.8% per prestazioni di alloggio e del settore alberghiero; del 2.5% per beni alimentari, medi-cinali, giornali, eccetera). La progressività è molto più bassa e viene raggiunta attraverso aliquote differenziate volte ad esentare i consumi di beni essenziali e a colpire in modo supe-riore alla media i beni di lusso. Per questi motivi la proposta del Consiglio federale legata ad un’aliquota unica ha avuto poco successo in Parlamento!

Per maggiori informazioni: L’opuscolo informativo del Certificate of Advanced Studies in Imposta sul valore aggiunto è disponibile al seguente link: http://www.supsi.ch/fc/dms/fc/docs/prodotti/tax-law/CAS_IVA/Prospetto_CAS_IVA_2014.pdf [22.04.2014]

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