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Novità fiscali Maggio e Giugno 2016 Luglio 2016

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Novità fiscali Maggio e Giugno 2016

Lug l io 2016

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

“C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”

- H. Ford

IRES/IRPEF 1. Bonus lavoratori impatriati: disposizioni attuative (D.M. 26 maggio 2016)

2. Cooperative compliance: modalità e termini di presentazione dell’interpello breve (D.M. 15 giugno 2016)

3. Interpello sui nuovi investimenti (D.M. 29 aprile 2016 e Circolare AdE n. 25/E/2016)

4. Commento alle novità fiscali della legge di Stabilità (Circ. n. 20/E/2016)

5. Chiarimenti interpretativi sul “superammortamento” (Circ. n. 23/E/2016)

6. L’Agenzia fa il punto sulle novità in materia di studi di settore (Circ. n. 24/E/2016) 7. Patent Box: istanza di accesso alla procedura di ruling (Provv. n. 67014/2016) 8. Credito d’imposta per imprese cinematografiche: modalità e termini di fruizione

(Provv. 20 giugno 2016) IVA 9. Esenti IVA le spedizioni di scarso valore (D.M. 29 aprile 2016) 10. Rimborsi prioritari anche per le imprese edili e di pulizia (D.M. 29 aprile 2016)

11. Reverse charge per le cessioni di console da gioco, tablet, PC e laptop (Circ. n. 21/E/2016)

12. MOSS e nuove regole di territorialità per i servizi di telecomunicazione, tele radiodiffusione ed elettronici (Circ. n. 22/E/2016)

13. Legittimità costituzionale dello split payment (C. Cost. sent n. 145/2016)

14. Esenti IVA le prestazioni di radiodiffusione pubblica (CGUE – causa C-11/15) 15. Beni e servizi ad uso promiscuo: nuovi criteri di ripartizione dell’imposta detraibile

(CGUE – causa C-332/14) 16. Diritto alla detrazione (CGUE – causa C-267/15)

17. Incompatibili le fatture emesse solo nella lingua ufficiale di un singolo Stato membro (CGUE –causa C-15/15)

18. Assoggettamento ad IVA di beni relativi alla cessata attività economica (CGUE – causa C-229/15)

19. IVA all’importazione e formalità doganali (CGUE cause riunite C-226/14 e C-228/14)

20. Fuori campo IVA il servizio pubblico di trasporto scolastico affidato a terzi (CGUE – causa C-520/14)

21. Inversione contabile alle cessioni di materiale d’oro (CGUE-causa C-550/14) 22. Prestazioni di elaborazione di pagamenti elettronici – inapplicabilità

dell’esenzione (CGUE causa C-607/14) 23. Detraibile l’IVA su spese d’accoglienza sostenute per i giornalisti (Cass. sent. n.

8850/2016) 24. Diritto alla detrazione dell’IVA sulle spese pubblicitarie (Cass sent. n. 5195/2016)

25. Imponibilità dei beni importati di importo trascurabile (Cass. Ord. Int. n. 9150/2016)

26. Il diritto comunitario prevale sul giudicato nazionale (Cass. Ord. n. 11440/2016) VARIE 27. Piattaforme petrolifere: imponibilità ai fini IMU e TASI (Ris. MEF 1° giugno 2016)

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28. Risposte a quesiti della stampa specializzata in materia di catasto (Circ. n. 27/E/2016)

29. Cessione di beni ai soci (Circ. n. 26/E/2016) AIUTI DI STATO 30. Comunicazione della Commissione europea sulla nozione di aiuto 31. Decisione della Commissione europea sul tax ruling di Fiat Finance & Trade e

Starbucks 32. Decisione di avvio di indagine sul tax ruling di Mc Donald’s INTERNAZIONALE

33. Approvata risoluzione anti evasione del Parlamento Europeo 34. Pubblicata direttiva su Country by Country Reporting ATTIVITA’ DELL’AREA 35. Gruppi fiscali 36. Gruppo di lavoro sui Principi Contabili 37. Incontro con Agenzia delle Entrate su Adempimento Collaborativo 38. Seminario su premi di produttività e welfare aziendale 39. Riunione VAT Expert Group (VEG) 40. Tavola Rotonda su aiuti di Stato – “Formez”

41. Incontro TARI 42. Incontro OCSE

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D.M. 26 maggio

2016

IRES/IRPEF

1. Bonus lavoratori impatriati: disposizioni attuative (D.M. 26 maggio 2016)

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 dell’8 giugno 2016 il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 26 maggio 2016, recante disposizioni di attuazione del regime speciale per i lavoratori impatriati, di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. decreto internazionalizzazione e crescita delle imprese). Ricordiamo brevemente che, in forza di tale regime agevolato, si prevede che il reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato, concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente al settanta per cento del suo ammontare. Tale agevolazione si rende applicabile a decorrere dal 2016, per il periodo d’imposta del trasferimento e per i quattro successivi. Il decreto attuativo definisce i seguenti requisiti di accesso al predetto regime fiscale:

1. i lavoratori non devono aver risieduto in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti il trasferimento e si impegnano a permanere in Italia per almeno due anni;

2. l’attività lavorativa deve essere svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la stessa impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;

3. l’attività lavorativa deve essere prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di ciascun periodo d’imposta;

4. i lavoratori devono svolgere funzioni direttive e/o devono essere in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come previsti dai decreti legislativi 28 giugno 2012, n. 108 e 6 novembre 2007, n. 206.

Nel decreto si estende l’accesso a tale regime anche ai seguenti soggetti:

- i cittadini dell’Unione Europea, in possesso di un titolo di laurea che hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;

- i cittadini dell’Unione Europea che hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.

Tale previsione deve probabilmente intendersi riferita elusivamente ai contribuenti che possiedono i requisiti previsti dall'art. 2 della legge n. 238/2010 (c.d. “controesodo”), rientrati in Italia nel 2015, che hanno deciso di

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D.M. 15 giugno

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optare per il regime di cui al citato art. 16 del DLgs n. 147/2015, secondo le modalità definite con il provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle Entrate del 29 marzo 2016. A tale riguardo, il decreto stabilisce il divieto di cumulo dell’agevolazione in commento con gli incentivi previsti dalla Legge n. 238/2010. Inoltre, viene precisato che qualora il beneficiario non mantenga la propria residenza in Italia per almeno due anni decade dal beneficio fiscale, con conseguente recupero dei benefici già fruiti ed applicazione delle relative sanzioni.

2. Cooperative compliance: modalità e termini di presentazione dell’interpello breve (D.M. 15 giugno 2016)

Con la pubblicazione sulla G.U. del 27 giugno 2016, n. 148 del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 15 giugno 2016, viene portato a termine un nuovo rilevante passaggio dell’iter attuativo del regime di adempimento collaborativo istituito dagli artt. da 3 a 7 del D.Lgs. 5 agosto 2015 n. 128 (decreto attuativo della delega fiscale sulla certezza del diritto). Si ricorda che, l’adesione al regime di adempimento collaborativo consente ai i contribuenti, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 128/2015, l’attivazione di una procedura abbreviata di interpello preventivo in merito all’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti, in relazione ai quali il soggetto interpellante ravvisa rischi fiscali; questi ultimi devono intendersi come rischi di operare in violazione di norme tributarie ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario. Il provvedimento ministeriale in commento disciplina i termini e le modalità applicative attraverso cui il contribuente può presentare detta istanza di interpello abbreviato all’Ufficio competente, prima della scadenza dei termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento degli altri obblighi tributari aventi ad oggetto, o comunque connessi, alla fattispecie cui l’istanza si riferisce. La domanda di interpello deve essere redatta in carta libera, sottoscritta con firma autografa o digitale e presentata all’Ufficio competente mediante consegna a mano, spedizione a mezzo di plico raccomandato con avviso di ricevimento oppure presentazione per via telematica attraverso PEC; l’istanza si considera presentata alla data della sua ricezione da parte dell’Ufficio. Contenuto dell’istanza L’istanza di interpello abbreviato deve riportare:

a. i dati identificativi del contribuente e del suo legale rappresentante, compreso il codice fiscale;

b. la circostanziata e specifica descrizione del caso concreto in relazione al quale l’interpellante ravvisa i rischi fiscali;

c. le specifiche disposizioni tributarie di cui si richiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione;

d. l’indicazione del domicilio e dei recapiti telematici del contribuente o dell’eventuale domiciliatario presso il quale si richiede di inoltrare le comunicazioni attinenti la procedura;

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e. l’indicazione che si tratta di un’istanza presentata ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D. Lgs. 5 agosto 2015, n. 128;

L’istanza deve altresì contenere l’esposizione, chiara ed univoca, della soluzione proposta dal contribuente. All’interpello può essere allegata copia della documentazione non in possesso dell’AE o di altre PP.AA. indicate dall’istante, che sia rilevante ai fini del pronunciamento sulla questione prospettata e salva la facoltà di acquisire, ove necessario, l’originale dei documenti. Si segnala la facoltà per il contribuente, in ossequio al principio di cooperazione che ispira il regime di adempimento collaborativo, di regolarizzare l’istanza in tutti i suoi elementi (articolo 5, comma 2, del DM). Inammissibilità dell’istanza L’art. 6 del D.M. in commento individua una tassativa elencazione delle fattispecie che determinano l’inammissibilità della domanda interlocutoria, alcune delle quali discendono dalle peculiarità proprie del regime di adempimento collaborativo. Si segnalano tra le cause di esclusione, la presentazione di istanza:

da parte di un soggetto non ammesso o escluso dal regime;

oltre i termini previsti dalla legge per la dichiarazione o l’assolvimento di altri obblighi per i quali si richiede il chiarimento;

con reiterazione di questioni che hanno già trovato soluzione;

in merito a temi riconducibili al perimetro dell’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973 (accordi preventivi per imprese con attività internazionale) o dell’art. 2 D. Lgs. n. 147/20150 (interpello nuovi investimenti);

su questioni per i quali sono già stati avviati controlli dei quali il contribuente è a conoscenza;

su temi per i quali non ricorrono gli oggettivi profili di incertezza;

carenti di elementi che non si è provveduto ad integrare entro il termine previsto di 30 gg.

Modalità e termini La disciplina dell’interpello abbreviato prevede termini più ristretti rispetto alla disciplina generale, sia con riferimento alla fase di regolarizzazione dell’istanza, sia alla fase di risposta. L’Ufficio competente è tenuto a verificare i requisiti dell’istanza di interpello abbreviato entro 15 giorni dal suo ricevimento ed entro lo stesso termine può invitare il contribuente alla eventuale regolarizzazione (termine dimezzato rispetto ai 30 giorni previsti secondo le norme generali dell’interpello). La risposta fornita dall’Ufficio competente, scritta e motivata, è notificata o comunicata al contribuente in mani proprie mediante servizio postale a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, oppure per via telematica, entro 45 giorni decorrenti dalla data in cui si intende perfezionata la ricezione dell’istanza da parte dell’Ufficio, o dalla data di ricezione dei dati carenti nell’ambito della fase di regolarizzazione.

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D.M. 29 aprile

2016

Qualora la risposta non venga resa entro il predetto termine, si forma il “silenzio assenso” e, dunque, si ritiene che l’Amministrazione Finanziaria abbia condiviso la soluzione prospettata dal contribuente, laddove l’abbia indicata (Si ricorda che il termine a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per rendere il proprio parere, ai sensi della l. 212/2000, è di 90 giorni in caso di interpello ordinario e di 120 giorni per tutte le altre forme di interpello). Qualora non sia possibile il pronunciamento sulla base della documentazione allegata all’istanza, l’Ufficio può chiedere al contribuente, una sola volta, di integrare la documentazione ed, in tal caso, il termine di 45 giorni è interrotto per poi ricominciare a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa richiesta (differentemente da quanto ordinariamente previsto dall’art. 4, comma 1, del D. Lgs. 156/2015); la mancata trasmissione di detta documentazione entro 6 mesi viene interpretata come volontà del contribuente di rinunciare all’istanza di interpello, volontà della quale l’Ufficio prende atto e procede ad effettuarne la relativa comunicazione allo stesso contribuente. Adempimenti del contribuente In ragione dei principi di fiducia reciproca e di trasparenza posti alla base del regime di adempimento collaborativo, i contribuenti sono tenuti a comunicare tempestivamente all’Agenzia delle Entrate il comportamento effettivamente tenuto, qualora fosse difforme da quello indicato nella risposta resa dalla stessa Agenzia. Altresì, la comunicazione tempestiva è richiesta anche in merito alle modifiche, eventualmente intervenute, delle circostanze di fatto o di diritto sulla base delle quali sia stata formulata la risposta. Efficacia della risposta L’art. 8 del D.M. ricalca quanto statuito nell’art. 11, comma 3, dello Statuto dei diritti del contribuente in merito agli effetti prodotti dalla risposta all’interpello, sia in capo all’Amministrazione Finanziaria, sia in capo allo stesso soggetto istante. Per quanto concerne il meccanismo di rettifica della risposta resa ed, in particolare, il coordinamento di risposte successive rispetto a quelle pronunciate (anche tacitamente) in precedenza, si precisa che, le difformità tra i pareri emessi oltre i termini disposti, e la condotta, medio tempore, tenuta dal contribuente determineranno il recupero delle sole imposte ed interessi, rimanendo esclusa l’irrogazione delle relative sanzioni.

3. Interpello sui nuovi investimenti (D.M. 29 aprile 2016 e Circolare AdE n. 25/E/2016)

L’art. 2 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. Decreto internazionalizzazione e crescita delle imprese) ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova tipologia di interpello, destinata ai soggetti – nazionali o esteri - che intendano effettuare nuovi investimenti in Italia. La disciplina è stata, in questi mesi, completata con l’emanazione del decreto MEF del 29 aprile 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale S.G. n. 110 del 12 maggio 2016, che ha descritto le modalità operative e procedurali del nuovo

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istituto, con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 77220/2016 del 20 maggio 2016, che ha individuato gli uffici competenti alla trattazione, nonché alla verifica delle predette istanze e, da ultimo, con una prima circolare di chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate (Circolare n. 25/E del 1° giugno 2016). All’art. 2 del sopracitato D.M. sono indicati i criteri che consentono di definire e connotare un investimento come “rilevante”. Possono formare oggetto di interpello le seguenti attività:

- realizzazione di nuove attività economiche o ampliamento di attività economiche preesistenti;

- diversificazione della produzione di un’unità produttiva esistente; - ristrutturazione di un’attività economica esistente, al fine di consentire

all’impresa il superamento o la prevenzione di una situazione di crisi; - operazioni aventi ad oggetto le partecipazioni in un’impresa.

Possono presentare l’istanza di interpello le imprese che intendono effettuare investimenti nel territorio dello Stato per un ammontare non inferiore a 30 milioni di euro e che determinino ricadute durature e significative in ambito occupazionale. La circolare dell’Agenzia delle Entrate precisa, sul punto, che tra i destinatari della disciplina sono inclusi anche:

- le persone fisiche non qualificabili a priori come imprenditori;

- gli enti non commerciali che effettuano l’investimento nell’ambito della

loro attività istituzionale, ovvero gli enti che non svolgono alcuna attività

d’impresa (es. fondazioni bancarie, OICR);

- gruppi e raggruppamenti di imprese (es. reti di imprese, consorzi fra

imprese, joint ventures, ATI, GEIE).

Per la determinazione del valore dell’investimento, devono essere tenute in considerazione tutte le risorse finanziarie, anche di terzi, dalle quali intende attingere l’impresa per la realizzazione del piano di investimento; qualora si tratti di investimenti realizzati da gruppi o da raggruppamenti di imprese, il valore è computato a livello unitario, come somma del valore dei singoli investimenti di ciascuno dei soggetti partecipanti all’operazione. La citata circolare n. 25/E precisa che nella definizione di investimento sono inclusi sia progetti diretti alla realizzazione di una nuova iniziativa economica avente carattere duraturo (es. immissione di nuova liquidità), sia le operazioni di ristrutturazione, ottimizzazione o efficientamento di un complesso aziendale già esistente (che comportano il reimpiego di risorse finanziarie già disponibili). Pertanto devono essere ricomprese nell’ambito di applicazione dell’istituto anche le operazioni di share deal, intese come “iniziative dirette alla partecipazione al patrimonio dell’impresa”. Con riguardo al requisito delle significative ricadute occupazionali, l’Amministrazione finanziaria precisa che tale requisito potrà considerarsi soddisfatto anche nei casi in cui l’investimento abbia consentito di mantenere i livelli occupazionali, nonché generato un aumento delle prestazioni di lavoro

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commissionate a soggetti diversi da quelli coinvolti nel piano di investimento (affidamento in outsourcing). L’Agenzia delle Entrate precisa, altresì, opportunamente, che l’elencazione delle tipologie di investimento ammesse, effettuato nel decreto attuativo, ha carattere meramente esemplificativo e non esaustivo. Ricordiamo che sono ammesse le seguenti operazioni:

a) realizzazione di nuove attività economiche o ampliamento di quelle esistenti;

b) diversificazione della produzione di una unità produttiva; c) ristrutturazione di una attività economica esistente per superare o

prevenire una situazione di crisi; d) operazioni aventi ad oggetto le partecipazioni in un impresa.

In particolare, viene chiarito che l’investimento può risultare anche da una combinazione delle predette operazioni, comprensive anche di eventuali operazioni straordinarie strumentali alla sua attuazione. Pertanto, l’Agenzia conferma la possibilità di inserire nell’istanza anche operazioni complesse riconducibili al “leveraged buy out” (costituzione di una newco e sottoscrizione di un contratto di finanziamento, operazione di share deal, fusione fra società o esercizio dell’opzione per il consolidato). Con riguardo alla quantificazione monetaria dell’investimento, si precisa che devono essere presi in considerazione tutti i costi di acquisizione o realizzazione delle immobilizzazioni materiali, immateriali, finanziarie, nonché i fabbisogni derivanti da incrementi del capitale circolante operativo. Qualora l’investimento venga effettuato congiuntamente da più soggetti, ai fini del calcolo del valore complessivo occorrerà computare la somma dei singoli investimenti effettuati da tutte le società partecipanti all’iniziativa. Circa le modalità di presentazione dell’istanza di interpello, l’Agenzia ricorda che questa va redatta in carta libera e presentata all’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa – Ufficio Interpelli Nuovi Investimenti, attraverso diverse e tassative modalità: consegna a mano; spedizione postale in plico raccomandato con avviso di ricevimento; tramite servizio telematico erogato in rete dall’Agenzia delle Entrate (non ancora operativo). L’istanza di interpello deve essere redatta in lingua italiana, mentre la documentazione a corredo può essere inoltrata in lingua inglese, francese, spagnola o tedesca. I soggetti non residenti possono presentare la domanda di interpello attraverso l’eventuale stabile organizzazione in Italia, oppure designando un domiciliatario nel territorio dello Stato ai fini della procedura di interpello, oppure, laddove non si provvedesse in tal senso, tramite posta elettronica libera all’indirizzo [email protected]. Nel caso in cui l’investimento unitario sia realizzato da gruppi o raggruppamenti d’imprese, i soggetti partecipanti sono tenuti a conferire mandato speciale ad una sola delle imprese partecipanti. Con riferimento al contenuto necessario dell’istanza, il D.M. chiarisce che da

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essa devono risultare: a. la denominazione dell’impresa, gli elementi identificativi del suo legale

rappresentante, la sede legale o il domicilio fiscale (se diverso dalla sede legale), il codice fiscale o la partita IVA o altro codice di identificazione dell’impresa, l’indicazione dei recapiti del domiciliatario per la procedura di interpello presso il quale si dispone che avvenga l’inoltro delle comunicazioni relative alla procedura. In caso di gruppi o raggruppamenti di imprese, dunque di più soggetti che intendano partecipare all’investimento, nell’istanza devono essere riportate le informazioni riguardanti la denominazione e gli elementi identificativi di tutte le imprese partecipanti all’investimento;

b. la dettagliata descrizione del piano di investimento di cui è richiesta la valutazione dell’Agenzia delle Entrate in merito al trattamento fiscale dello stesso ed alle operazioni societarie pianificate per la sua attuazione. A tal fine, nella descrizione dovranno essere specificati:

⁻ l’ammontare dell’investimento e la metodologia adottata per la quantificazione;

⁻ i tempi e le modalità della sua realizzazione; ⁻ le ricadute occupazionali significative ed i riflessi sul sistema

fiscale italiano; c. le specifiche disposizioni tributarie di cui si richiede l’interpretazione o in

relazione alle quali si chiede di valutare l’abusività o meno delle operazioni connesse al piano di investimento, nonché le specifiche disposizioni antielusive delle quali si chiede la disapplicazione e gli specifici regimi o istituti ai quali si richiede di avere accesso;

d. l’esposizione in maniera chiara ed univoca del trattamento fiscale che il contribuente ritiene corretto applicare al piano di investimento, esplicitando le soluzioni ed i comportamenti che egli intende adottare per l’attuazione di esso;

e. la sottoscrizione del soggetto istante o del suo legale rappresentante o del procuratore generale o speciale incaricato ai sensi di legge (art. 63 D.P.R. n. 600/1973); in quest’ultimo caso, la procura deve essere contenuta in calce o a margine oppure allegata all’istanza.

All’istanza di interpello deve essere allegata copia di tutti i documenti ritenuti rilevanti dall’istante ai fini della risposta e che non siano in possesso dell’Amministrazione procedente o delle altre Amministrazioni pubbliche indicate dal soggetto procedente ad interpello. Come precisato dall’Agenzia delle Entrate, l’omessa indicazione degli elementi di cui alle lettere a) e b) potrà essere regolarizzata dal contribuente, entro 30 giorni dal ricevimento dell’invito dell’Agenzia delle Entrate – al fine di evitare l’inammissibilità - con la presentazione di una istanza integrativa, mentre il difetto degli altri elementi potrà essere sanato in sede di contraddittorio con gli uffici. Ulteriori cause di inammissibilità, indicate nel decreto in oggetto, sono:

- il mancato inoltro dell’istanza di interpello anteriormente alla scadenza

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dei termini disposti dalla legge per la presentazione della dichiarazione in relazione alla quale devono trovare applicazione le disposizioni tributarie sottoposte alla verifica dell’Agenzia delle Entrate, oppure dei termini concessi per assolvere ad altri obblighi tributari correlati alle dette disposizioni, aventi ad oggetto o comunque connessi alla fattispecie oggetto dell’istanza di interpello;

- la circostanza che l’istanza verta su una questione in merito alla quale l’istante ha già ottenuto in precedenza il parere dell’Amministrazione Finanziaria, salvo che contenga elementi di fatto o di diritto non rappresentati precedentemente;

- la vertenza della richiesta di interpello su questioni oggetto delle procedure di cui all’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973, salvo che si tratti di quesiti che richiedono la previa valutazione circa l’esistenza o meno di una stabile organizzazione;

- la vertenza dell’istanza su questioni per le quali, alla data della sua presentazione, siano già state avviate attività di accertamento di cui il contribuente sia stato formalmente messo a conoscenza.

Con riguardo al requisito della preventività dell’istanza, di cui all’art. 4, lettera b) del D.M., l’Agenzia delle Entrate precisa che deve intendersi riferito esclusivamente alla realizzazione della condotta fiscale oggetto dell’istanza, mentre non rileva l’avvio del progetto di investimento relativamente ad atti che non interferiscono sugli aspetti fiscali. La risposta dell’Agenzia delle Entrate deve giungere entro 120 giorni dal ricevimento dell’istanza; il termine è prorogabile di ulteriori 90 giorni, qualora si renda necessario acquisire documentazione ed informazioni aggiuntive in merito agli investimenti. Nelle ipotesi in cui sia stata richiesta la regolarizzazione dell’istanza, per riscontrata carenza di uno o di alcuni elementi contenutistici considerati essenziali, i termini per la risposta iniziano a decorrere dal giorno in cui il soggetto istante abbia provveduto alla regolarizzazione. Nel caso in cui l’istante resti inerte e non si attivi per la regolarizzazione entro 30 giorni, l’istanza di interpello è dichiarata inammissibile; qualora, invece, egli non provveda entro 1 anno a trasmettere la documentazione integrativa richiesta dall’Amministrazione finanziaria ai fini del suo pronunciamento, quest’ultima prende atto della rinuncia dell’istante all’interpello e ne effettua, senza indugio, la relativa notificazione o comunicazione. Al fine di garantire i soggetti che intendano effettuare rilevanti investimenti in Italia, il decreto attuativo prevede all’art. 6, come richiesto da Confindustria, che la risposta positiva resa dall’Agenzia delle Entrate in riferimento al piano di investimento come descritto nell’istanza di interpello, vincola tutti gli Uffici ed è valida finché restano invariate le circostanze di fatto e di diritto sulla base delle quali essa è stata resa. Pertanto, sono nulli tutti gli atti amministrativi emanati in difformità della risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate e gli ordinari poteri di controllo da parte degli Uffici accertatori potranno essere esercitati solamente con riferimento a questioni diverse da quelle che hanno formato oggetto del parere.

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Circolare

Agenzia delle

Entrate n. 20 del

18 maggio 2016

Nel D.M. si precisa, inoltre, che ricorre il silenzio-assenso da parte dell’Agenzia delle Entrate, qualora essa non renda la sua risposta entro il predetto termine (120 giorni), a fronte di istanze ammissibili e recanti l’indicazione della soluzione interpretativa circa il trattamento fiscale da applicare al piano di investimento. Le imprese che si conformeranno al contenuto della risposta resa dall’Amministrazione finanziaria, potranno, a prescindere dall’ammontare del volume d’affari o di ricavi, accedere all’istituto dell’adempimento collaborativo (artt. da 3 a 7 del D.lgs. n. 128/2015), al ricorrere degli altri requisiti necessari per l’accesso al regime premiale. Tale facoltà è riconosciuta all’impresa il cui patrimonio è oggetto dell’investimento, in caso di compimento di operazioni aventi ad oggetto le partecipazioni in un’impresa. È opportuno ricordare che agli interpelli in materia di nuovi investimenti si applicano, comunque, le disposizioni generali vigenti in tema di interpello del contribuente (D.lgs. n. 156/2015, titolo I), in quanto compatibili e fermo restando le peculiari disposizioni di cui al Decreto in commento. Per effetto della nullità degli atti amministrativi di ogni genere (impositivo e sanzionatorio) - disposta dall’art. 6 del decreto attuativo - emanati in difformità alla risposta fornita all’interpello sui nuovi investimenti, l’Agenzia delle Entrate, nella recente circolare in commento, invita gli organi tenuti a svolgere i controlli fiscali sulle imprese coinvolte nel piano di investimenti, prima di redigere il processo verbale di constatazione o altro atto impositivo o sanzionatorio, a coordinarsi con l’Ufficio competente per l’interpello, allo scopo di verificare se la fattispecie in contestazione sia stata già resa oggetto di interpello e se, pertanto, su di essa si sia già pronunciata formalmente l’Amministrazione Finanziaria. La circolare chiarisce ulteriormente che nel D.M. non vi è alcuna preclusione ai contribuenti che abbiano aderito al regime di adempimento collaborativo (cooperative compliance) e che intendano effettuare un investimento, circa la presentazione dell’interpello su detti nuovi investimenti. In tal caso, l’istanza dovrà essere presentata direttamente all’Ufficio della Direzione Centrale Accertamento competente per la gestione delle attività relative al regime di adempimento collaborativo, il quale è competente a gestire le istanze di interpello pervenutegli.

4. Commento alle novità fiscali della legge di Stabilità (Circ. n. 20/E/2016)

Con la circolare n. 20 del 18 maggio 2016, l’Agenzia delle Entrate ha illustrato le principali novità fiscali introdotte dalla legge del 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016). Il documento affronta, in sei capitoli, le misure in materia di: IRPEF, IRES, IVA, IRAP, agevolazioni fiscali, sanzioni a carico dei CAF per visto di conformità infedele. Si ricorda che Confindustria ha fornito un primo commento alle novità fiscali introdotte dalla Legge di Stabilità 2016, con la Circolare n. 19929 del 23 dicembre 2015, disponibile sul sito internet di Confindustria e nella sezione

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Circolari della Comunità Fisco del social di Confindustria.

Novità fiscali in materia di IRPEF Tra le novità, di maggiore interesse, in materia di IRPEF si segnalano: la proroga delle detrazioni spettanti per interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti e la nuova detrazione del 50% dell’IVA pagata al costruttore per l’acquisto di immobili residenziali. In particolare, il comma 74 dell’articolo unico della Legge di Stabilità 2016 proroga al 31 dicembre 2016 la detrazione spettante nella misura del 65% delle spese sostenute per interventi di riqualificazione energetica, modificando l’art. 14 del D.L. 4 giugno 2013, n. 63 che aveva già disposto la proroga al 31 dicembre 2015 delle detrazioni riconosciute per interventi di efficienza energetica. Per incentivare l’acquisto degli immobili residenziali è stata istituita, inoltre, una detrazione del 50% dell’IVA pagata per l’acquisto, dall’impresa costruttrice, di un immobile residenziale di classe energetica A o B, effettuato entro il 31 dicembre 2016. La detrazione è ripartita in dieci quote annuali di pari importo a decorrere dall’anno di sostenimento della spesa. Sul tema, la circolare in commento precisa che per “impresa costruttrice” bisogna intendere non solo l’impresa che ha realizzato l’immobile, ma anche le imprese di “ripristino” o c.d. “ristrutturatrici” che hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed f), del Testo Unico dell’edilizia di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Inoltre, è stato chiarito che la detrazione non è limitata all’acquisto dell’abitazione principale, né risultano escluse dalla stessa le abitazioni di lusso e le pertinenze, purché l’acquisto di quest’ultima avvenga contestualmente alla relativa unità abitativa. In merito alla possibilità di beneficiare dell’agevolazione con riferimento agli acconti pagati nel 2015, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in senso contrario in quanto, in osservanza del principio di cassa, i pagamenti devono essere effettuati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016. L’Agenzia delle Entrate ha dichiarato, altresì, che la detrazione in discorso è cumulabile con altre agevolazioni in materia di IRPEF, di cui all’art. 16-bis comma 3, del TUIR, che prevede una detrazione del 25% del prezzo di acquisto dell’immobile, entro un massimo di 96.000 euro, da ripartire in 10 quote annuali. Resta fermo che, nel caso in cui il contribuente si avvalga della detrazione del 50% dell’IVA pagata sul prezzo di acquisto dell’immobile, la detrazione di cui all’art. 16-bis comma 3 del TUIR non potrà avere per oggetto lo stesso importo, in osservanza del principio generale secondo il quale non è possibile far valere due agevolazioni sulla stessa spesa. Novità in materia di IRES In materia di IRES, le maggiori novità sono rappresentate dalla riduzione dell’aliquota IRES - a decorrere dal 2017 - e dalla modifica al regime di imposizione sostitutiva per l’affrancamento dell’avviamento e di altri beni immateriali, a seguito di operazioni straordinarie, di cui alla legge n. 185 del

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2008. Con riferimento alle modifiche all’aliquota IRES, si segnala la riduzione della stessa dal 27,5 al 24%, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016. Contestualmente è stata ridotta dall’1,375 all’1,20%, la ritenuta applicabile sugli utili corrisposti alle società ed enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società in Stati membri dell’Unione Europea, o aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE), inclusi nella “white list” di cui all’articolo 168-bis) del TUIR. L’Agenzia delle Entrate ricorda, sul tema, che un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, rideterminerà proporzionalmente le percentuali previste per: la distribuzione di utili ai soci di cui all’art. 47, comma 1, TUIR; le plusvalenze partecipative, ai sensi dell’art. 58 comma 2, TUIR; i dividendi ex art. 59 TUIR; le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate disciplinate dall’art. 68 comma 3, TUIR, e gli utili percepiti dagli enti non commerciali di cui all’art. 4, comma 1, lett. q), D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. La Legge di Stabilità 2016 ha modificato, inoltre, le disposizioni che regolano il regime di affrancamento che, si ricorda, consente alle società aventi causa delle operazioni di fusione, scissione e conferimento d’azienda di ottenere il riconoscimento fiscale dei maggiori valori contabili, derivanti dall’iscrizione in bilancio dell’avviamento, dei marchi e altre attività iscritte in bilancio in seguito a una delle citate operazioni straordinarie, attraverso il pagamento di un’imposta sostitutiva del 16%, da effettuare entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi relative all’esercizio nel corso del quale è stata posta in essere l’operazione stessa. Il riconoscimento fiscale dei maggiori valori assoggettati ad imposta sostitutiva decorre dall’inizio del periodo d’imposta nel corso del quale è versata l’imposta sostitutiva; tuttavia, la deducibilità degli ammortamenti relativi ai maggiori valori affrancati decorre dal periodo d’imposta successivo a quello nel corso del quale è versata l’imposta sostitutiva. La Legge di Stabilità 2016 ha modificato il limite massimo della deducibilità del maggior valore dei marchi e dell’avviamento per ogni periodo d’imposta, disponendone l’aumento da un decimo ad un quinto. Le quote di ammortamento del maggior valore delle altre attività immateriali, invece, sono deducibili nel limite della quota imputata a conto economico. Tali modifiche producono i loro effetti sui maggiori valori derivanti da operazioni straordinarie realizzate a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015. Novità in materia di IVA Tra le innovazioni introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 alla disciplina IVA e oggetto di commento da parte dell’Agenzia delle Entrate nel documento in esame, quelle di maggior interesse per le imprese attengono all’estensione del reverse charge, alle prestazioni rese dai consorziati al consorzio,

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all’applicazione permanente dell’aliquota IVA del 10% ai marina resort e alla riduzione dell’aliquota IVA sui prodotti editoriali in formato elettronico. Nello specifico il comma 128 dell’art. 1 della Legge di Stabilità 2016 ha previsto l’estensione del meccanismo dell’inversione contabile anche alle prestazioni di servizi rese dalle imprese consorziate nei confronti del consorzio di appartenenza, aggiudicatario di una commessa nei confronti di un ente pubblico al quale è tenuto ad emettere una fattura senza l’applicazione dell’IVA, in osservanza dell’art. 17-ter, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 che disciplina il meccanismo della scissione dei pagamenti. Questa disposizione evita ai consorzi che realizzano commesse prevalentemente per la P.A., acquistando forniture da imprese consorziate, l’accumulo in modo strutturale di crediti IVA, determinati dall’impossibilità di compensare l’IVA corrisposta ai consorziati a seguito delle forniture pagate dal consorzio, con IVA a debito del consorzio, dal momento che il consorzio non può addebitare per rivalsa l’IVA stessa, per effetto dell’applicazione dello split payment nelle fatture emesse nei confronti delle P.A. Trattandosi di una fattispecie di reverse charge non contemplata dalle norme della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, l’efficacia della disposizione in commento è subordinata all’ottenimento di un’autorizzazione rilasciata dal Consiglio dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 395 della Direttiva 2006/112/CE. Il comma 365 della Legge di Stabilità 2016, modificando l’art. 32, comma 1, del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, ha reso permanente l’equiparazione delle strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all’interno delle proprie unità da diporto, ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato (c.d. marina resort), alle strutture ricettive turistiche all’aria aperta. Tale equiparazione ha reso definitiva l’applicazione dell’aliquota IVA del 10%. Sul punto, la circolare dell’Agenzia delle Entrate ricorda che la sentenza della Corte Costituzionale n. 21 del 26 gennaio 2016, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 32, come modificato dal comma 365 della Legge di Stabilità 2016, nella parte in cui, ai fini di definire le caratteristiche e i requisiti che i marina resort devono possedere per essere considerati tali, la norma ne affida il compito al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, escludendo tuttavia il coinvolgimento delle regioni. La Corte Costituzionale ha tuttavia riconosciuto che tale materia attiene alle competenze regionali, ritenendo che tale lacuna possa essere colmata con la previsione di un intervento di un organismo misto, deputato istituzionalmente alla composizione di interessi contrapposti tra lo Stato e le Autonomie locali, qual è la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni. Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate l’effetto da attribuire all’intervento della

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Corte Costituzionale è quello tipico delle sentenze c.d. additive ovvero, che incidono sulla legge senza annullarla, ma trasformandola, aggiungendo alla norma un’ulteriore previsione che, in osservanza della Costituzione, avrebbe dovuto necessariamente essere prevista sin dalla sua origine. La natura dell’intervento operato dalla Corte comporta, secondo l’Agenzia, che la legge modificata conservi intatta la sua efficacia in ogni sua parte che non sia incompatibile con la modifica introdotta. L’Agenzia delle Entrate chiarisce, infine, che, benché la sentenza della Corte abbia efficacia retroattiva, restino salvi i diritti acquisiti ed i rapporti definiti in precedenza. Per completezza, si ricorda che lo scorso 9 giugno, recependo le indicazioni della Corte Costituzionale, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il nuovo decreto attuativo che stabilisce i requisiti minimi che i marina resort devono possedere ai fini dell'equiparazione alle strutture ricettive all'aria aperta. Ciò, pertanto, rende nuovamente operativa l'applicazione dell'IVA con l’aliquota del 10% alle prestazioni in esame. Il comma 637 della Legge di Stabilità 2016, ha modificato l’art. 1 comma 667 della Legge n. 190 del 2014 (legge di Stabilità 2015) che aveva esteso l’applicabilità dell’aliquota IVA del 4% ai c.d. e-books, in precedenza limitata ai soli libri in formato cartaceo. La modifica in esame, prevede ora l’applicazione dell’aliquota IVA del 4% anche alle cessioni di giornali, notiziari, quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa e periodici in formato elettronico, a condizione che tali prodotti editoriali siano dotati di codice ISBN o del codice ISSN.

Novità in materia di IRAP In materia di IRAP, si segnala il riconoscimento della deduzione spettante in relazione all’impiego di lavoratori stagionali. In particolare, il comma 73 dell’art. 1, cit. , modificando l’art. 11 comma 4-octies) del D.Lgs. n. 446/1997, ha disposto l’estensione della deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP anche ai lavoratori stagionali, nel limite del 70%. Il beneficio fiscale è riconosciuto relativamente ai costi sostenuti per i lavoratori stagionali, impiegati per almeno 120 giorni nell’arco di due periodi d’imposta successivi, anche non consecutivi, a partire dal secondo contratto stipulato col medesimo datore di lavoro entro il secondo anno successivo alla data di cessazione del primo contratto utile ai fini del computo dei giorni lavorativi richiesti. A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il computo dei giorni deve intendersi riferito alle giornate di effettivo impiego e non al periodo formalmente indicato nel contratto, tenendo conto anche della prestazione lavorativa relativa al primo contratto di lavoro. Inoltre, riprendendo il contenuto della relazione tecnica della norma, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la deduzione in commento è applicabile a partire dal 1° gennaio 2016, tenendo conto dei contratti stipulati nel corso del 2015.

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Novità in materia di agevolazioni fiscali La circolare dedica un capitolo al commento di alcune misure agevolative, precisamente: il credito d’imposta per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura (c.d. “art-bonus”), il bonus alberghi e gli incentivi fiscali per il settore cinematografico. Con riferimento al c.d. “Art-Bonus”, istituito dall’art. 1 del D.L. 31 maggio 2014, n. 83, i commi 318 e 319 dell’art. 1, della Legge di Stabilità 2016, hanno reso strutturale l’agevolazione, ampliandone la misura. Si ricorda che il beneficio fiscale consiste in un credito di imposta concesso a persone fisiche e giuridiche nella misura del 65% delle erogazioni in denaro effettuate nel 2014 e nel 2015, e nella misura del 50% delle erogazioni effettuate nel 2016, per interventi a sostegno della cultura e dello spettacolo. La Legge di Stabilità 2016 è intervenuta sul citato articolo come modificato dalla Legge di Stabilità 2015, rendendo l’agevolazione permanente ed uniformando la spettanza del credito d’imposta ad un'unica aliquota del 65%. A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, per tutte le erogazioni liberali effettuate a partire dal 1° gennaio 2014, il credito di imposta spetta nella misura del 65% del valore dell’erogazione. Relativamente al credito di imposta del 30%, previsto per le spese di ristrutturazione delle imprese alberghiere esistenti alla data del 1° gennaio 2012, istituito dall’art. 10 dello stesso D.L. n. 83/2014, il comma 320 dell’art. 1 della Legge di Stabilità 2016 ne ha esteso la fruibilità anche nel caso in cui la ristrutturazione edilizia comporti un aumento della cubatura complessiva, purché l’intervento sia effettuato nel rispetto della normativa vigente (c.d. piano casa). Un decreto ministeriale disciplinerà l’attuazione della disposizione. La legge di Stabilità 2016 ha riformato anche le agevolazioni previste a favore del settore cinematografico: i commi da 331 a 336 rinnovano la disciplina agevolativa originaria istituita a favore di tale settore dalla legge 24 dicembre 2007 n. 244, (Legge finanziaria per l’anno 2008). In particolare, con riferimento alle imprese che non operano nel settore cinematografico, ma che operano in qualità di investitori esterni, attraverso associazioni in partecipazione, le maggiori novità attengono alla rimodulazione dell’aliquota del credito d’imposta, che non potrà superare il limite del 40%, in precedenza stabilito in misura fissa nella stessa percentuale, e all’estensione del beneficio fiscale alle imprese che realizzano la distribuzione di opere cinematografiche italiane anche all’estero, inizialmente limitato solo alle attività di produzione di opere cinematografiche di nazionalità italiana. Un apposito decreto, fisserà le aliquote e regolerà la cumulabilità del beneficio con eventuali altre agevolazioni spettanti per la stessa opera. Al contempo, è stato imposto il vincolo dell’utilizzo dell’80% di manodopera e servizi italiani (favorendo attività di formazione e apprendistato), nella realizzazione delle attività di produzione. Anche con riferimento alle imprese di produzione cinematografica la misura del credito d’imposta è stata modificata, passando dal 15%, ad una

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percentuale variabile dal 15% al 30%. Inoltre, l’ammontare massimo del credito d’imposta ottenibile è stato aumentato da 3.500.000 euro a 6.000.000 euro, per periodo d’imposta; mentre il credito d’imposta previsto in favore delle imprese di distribuzione cinematografica, originariamente concesso nella misura del 15%, è riconosciuto in misura variabile ed entro il limite massimo della stessa percentuale del 15%, anche alle imprese che effettuano distribuzione internazionale. Per quest’ultima tipologia di credito d’imposta, l’ammontare massimo ottenibile per periodo d’imposta è stato elevato da 1.500.000 euro a 2.000.000 euro. Tali modifiche hanno determinato l’abrogazione del credito d’imposta del 10% originariamente previsto in favore della distribuzione nazionale di opere italiane, espresse in lingua originale italiana. Un decreto ministeriale definirà l’ammontare delle aliquote spettanti, oltre a regolare la cumulabilità della misura con altre simili agevolazioni. Con riferimento alle imprese che operano nel settore cinematografico, il credito d’imposta originariamente concesso nella misura del 30% delle spese sostenute per impianti e apparecchiature destinate alla proiezione digitale, è stato elevato al 40% ed esteso anche a spese per interventi di ristrutturazione, adeguamento strutturale e tecnologico delle sale e degli impianti e servizi accessori, di ripristino di sale inattive o di realizzazione di nuove sale. E’ stato demandato ad un decreto ministeriale la definizione dei limiti entro i quali tale misura sarà cumulabile con altre simili agevolazioni, nonché delle modalità di fruizione dello stesso credito. Tale modifica ha determinato l’abrogazione dell’art. 15 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 28 che, al fine di realizzare i medesimi interventi, prevedeva l’attribuzione di contributi in conto interessi su contratti di mutuo e di locazione finanziaria. Inoltre, è stato eliminato il divieto di cumulo posto in capo alla stessa impresa o ad imprese facenti parte dello stesso gruppo societario, dei crediti di imposta previsti dal comma 327, concessi con riferimento ad una medesima opera filmica, rinviando ad un decreto attuativo l’individuazione del limite massimo di cumulo, in osservanza della normativa comunitaria. In conseguenza di tali interventi normativi è stata disposta anche l’abrogazione del credito di imposta di cui all’art. 6 commi da 2-bis a 2-sexies del D.L. n. 83/2014, concesso per interventi di restauro, ripristino, adeguamento strutturale e tecnologico delle sale cinematografiche esistenti dal 1°gennaio 1980, facendo salve le procedure in corso di attuazione al 1° gennaio 2016. Infine, il credito di imposta previsto per le imprese di produzione esecutiva e post produzione cinematografica, viene esteso a film o parti di film realizzati sul territorio nazionale, e non più solo “girati” come originariamente previsto.

Altre novità – visto di conformità infedele: sanzioni a carico del CAF L’ultimo capitolo della circolare in oggetto si sofferma sulle modifiche normative sulla responsabilità dei CAF, in caso di apposizione di un visto di conformità infedele (art. 1, comma 957, Legge di Stabilità 2016). L’art. 39, comma 1-bis, del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241 viene integrato estendendo al centro di assistenza fiscale per il quale ha operato il responsabile dell’assistenza fiscale che ha apposto un visto di conformità infedele, la

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Circolare

Agenzia delle

Entrate n. 23 del

26 maggio 2016

responsabilità, in solido, per le sanzioni. Tale regime si applica a decorrere dal 1° gennaio 2016; per effetto della disposizione in commento, il CAF risponde non più soltanto del pagamento della sanzione, ma di una somma pari all’importo dell’imposta, della sanzione e degli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente, per violazioni riscontrabili in sede di liquidazione ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, controlli formali di cui all’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e controlli effettuati ai sensi degli artt. 54 e seguenti del D.P.R. n. 633/1972.

5. Chiarimenti interpretativi sul “superammortamento” (Circ. n. 23/E/2016)

Con la circolare n. 23 del 26 maggio 2016 l’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti in merito all’applicazione della disciplina del c.d. “super ammortamento”; ovvero la facoltà di applicare ai fini dell’ammortamento fiscale, una maggiorazione del 40% al costo di acquisizione di beni materiali strumentali nuovi, introdotta dall’art. 1 commi da 91 a 94 e 97, della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (Legge di Stabilità 2016).

L’agevolazione, seppur peculiare sotto il profilo applicativo, si iscrive nel novero degli incentivi fiscali agli investimenti in beni strumentali che hanno caratterizzato il recente passato1. Pertanto, come anticipato nella circolare dell’Area Politiche Fiscali n. 19907 del 30 ottobre 2015, e successivamente confermato nel documento di prassi in commento, in linea di principio possono ritenersi applicabili al superammortamento, con le dovute accortezze, alcuni dei chiarimenti interpretativi già resi dall’Agenzia delle Entrate in relazione ad agevolazioni precedenti (cfr. in particolare, Circolare n. 44/E del 2009 e Circ. n. 5/E del 2015).

Tuttavia, in considerazione dell’inedito meccanismo applicativo, anche alla luce delle più recenti pronunce di prassi, potrebbero persistere dubbi di natura interpretativa rispetto ai quali l’Area Politiche Fiscali, come di consueto, può essere interpellata, attraverso i consueti canali di comunicazione.

Ambito soggettivo Con riferimento all’ambito soggettivo, la circolare n. 23/2016 chiarisce che il super ammortamento è rivolto a tutti i titolari di reddito d’impresa, comprese le stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti. Sono, altresì, ammessi a beneficiarne gli enti non commerciali, relativamente all’attività commerciale eventualmente svolta, le persone fisiche esercenti arti e professioni che adottano il c.d. “regime dei minimi” o il c.d. “regime di vantaggio”(posto che la circostanza che il costo del bene sia deducibile per cassa non è di ostacolo alla fruizione della deduzione “maggiorata”). Diversamente, devono ritenersi esclusi dall’agevolazione i contribuenti che

1 Si veda, solo per citarne alcune, credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi, ex art. 18 d.l. n. 91/2014 o in precedenza, detassazione degli investimenti in macchinari e apparecchiature nuove (c.d. Tremonti-ter) ex. art. 5 d.l. n. 78/2009.

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applicano il c.d. “regime forfettario” (art. 1, commi 54-89, Legge 23 dicembre 2014, n. 190), poiché, in tale ipotesi, l’ammontare dei costi sostenuti non rileva in via analitica ai fini del calcolo del reddito imponibile.

La determinazione forfetizzata del reddito preclude la fruizione del superammortamento anche da parte delle imprese marittime che si avvalgono del regime della c.d. “tonnage tax” di cui agli articoli da 155 a 161 del TUIR. Con riferimento a tali soggetti, l’Agenzia delle entrate chiarisce che l’incentivo torna applicabile, fermi restando la sussistenza degli altri requisiti, in relazione alle componenti negative dedotte in via analitica, oppure, nei casi di fuoriuscita dal regime agevolato, con riguardo alle quote di ammortamento residue dei beni agevolabili.

Ambito oggettivo Sotto il profilo dell’ambito oggettivo, la circolare n. 23, richiamando la norma primaria, evidenzia che non possono essere ammessi all’agevolazione gli investimenti in beni materiali strumentali per i quali la tabella ministeriale prevista dal D.M. 31 dicembre 1988 stabilisce coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5%; oltre a questi, vanno esclusi i fabbricati, le costruzioni e particolari categorie di beni (come le condutture ed il materiale rotabile) specificatamente indicate all’allegato n. 3 annesso alla Legge di Stabilità 2016. Confermando quanto già anticipato nella circolare n. 12/E del 2016 (risposte ai quesiti della stampa specializzata), l’Agenzia precisa che il super ammortamento riguarda unicamente le imposte sui redditi e non l’IRAP.

L’agevolazione in discorso interessa i soli beni strumentali nuovi: devono considerarsi strumentali i beni di uso durevole, impiegati come strumenti di produzione all’interno del processo produttivo, diversi dai beni merce e dai materiali di consumo. Per espressa disposizione normativa, rientrano nell’ambito oggettivo anche i mezzi di trasporto a motore di cui all’articolo 164 TUIR. I beni strumentali devono essere acquisiti da terzi in proprietà o in leasing, ovvero realizzati in economia o mediante contratti di appalto. Nel caso di contratti di leasing, l’applicazione del superammortamento spetta all’utilizzatore. Resta confermato, invece, che, per i beni acquisiti con contratti di locazione operativa o noleggio, l’incentivo è fruibile dal locatore o noleggiante.

Trova conferma nella circolare in oggetto, anche l’interpretazione (cfr. risoluzione Agenzia delle Entrate n. 196/2008) in base alla quale rientrano nel perimetro agevolato i beni acquisiti per essere successivamente concessi in comodato gratuito a terzi, purché detti beni siano strumentali all’attività dell’impresa comodante, che in tal caso è titolata a beneficiare

dell’agevolazione. In merito al requisito della novità, l’Agenzia ha riaffermato quanto chiarito in

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precedenti interventi (cfr. circolari nn. 4/2002, 44/2009 e 5/2015) evidenziando, ad esempio, che l’esposizione del bene oggetto di investimento in show room non ne pregiudica la novità; o ancora, che possono ritenersi “nuovi” anche i beni complessi alla cui realizzazione abbiano concorso beni usati, purché il valore di questi ultimi non sia prevalente rispetto al costo complessivamente sostenuto. Viene altresì ricordata la possibilità di fruire del superammortamento in relazione a spese sostenute per migliorie su beni di terzi: è indispensabile a tal fine che i beni oggetto di investimento abbiano autonomia funzionale e possano essere rimossi dall’utilizzatore (locatario o comodatario).

Profili temporali In merito all’ambito temporale di applicazione dell’agevolazione, l’Agenzia delle Entrate, ricorda che la spettanza del beneficio fiscale è condizionata all’effettuazione degli investimenti nel periodo compreso tra il 15 ottobre 2015 ed il 31 dicembre 2016 (inclusi). Nella determinazione dei costi agevolabili devono essere applicate le regole generali della competenza, previste dall’articolo 109, commi 1 e 2, del TUIR. A tal proposito, la circolare ha cura di sottolineare che, in osservanza di tale disposizione, le spese per l’acquisto di beni mobili si considerano sostenute alla data di consegna o spedizione, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale. Nel caso di beni oggetto di contratto di leasing, l’investimento si considera effettuato nel momento in cui il bene viene consegnato al locatario, ovvero entra nella sua disponibilità; qualora il contratto preveda una clausola di prova all’esito positivo del collaudo; non rileva il momento dell’eventuale riscatto del bene. Nell’ipotesi in cui i beni strumentali siano realizzati in economia, ai fini della determinazione del costo agevolabile, fermo restando il rispetto del principio di competenza, occorre tenere in considerazione gli oneri imputabili al cespite sostenuti dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016. Tra tali costi, in un’elencazione non esaustiva, si ricordano: i costi di progettazione, di acquisizione di materie prime e manodopera diretta, gli ammortamenti dei beni strumentali utilizzati per la realizzazione dello specifico bene, gli altri costi indiretti per la quota imputabile al bene. Sempre in osservanza del principio della competenza di cui all’art. 109 TUIR, per i beni realizzati mediante contratto di appalto a terzi, la circolare ribadisce che occorre tenere in considerazione, in qualità di costi agevolabili, i corrispettivi liquidati nell’arco temporale agevolabile (dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016), in base allo stato di avanzamento lavori (SAL), accettato dal committente ai sensi dell’articolo 1666 c.c.

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Territorialità Per quanto concerne gli aspetti legati alla territorialità, l’Agenzia delle entrate, accogliendo una posizione di Confindustria, ha riconosciuto l’assenza nelle normativa primaria del superammortamento di espresse limitazioni riguardanti l’ubicazione delle strutture aziendali cui destinare i beni agevolati 2 . Di conseguenza, fermo il rispetto degli altri requisiti, è stata affermata la possibilità di beneficiare dell’agevolazione in commento sui beni strumentali, a prescindere dalla loro collocazione, purché i relativi ammortamenti concorrano alla formazione di reddito assoggettato a tassazione in Italia.

Meccanismi applicativi L’incremento del 40% del costo fiscalmente riconosciuto determina una maggiore quota di ammortamento deducibile, in via extra contabile, in esito all’applicazione dei coefficienti stabiliti dal D.M. 31 dicembre 1988 (si ricorda che ai sensi dell’articolo 102, comma 2, TUIR, il coefficiente è ridotto alla metà per il primo esercizio). Si ricorda che, con riferimento ai beni oggetto di contratto di leasing, in funzione del comma 7 dell’articolo 102 TUIR, la deduzione extra contabile può operare per un periodo non inferiore alla metà del periodo di ammortamento fiscale (derivante dall’applicazione dei coefficienti tabellari sopracitati).

L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che, fermi restando i criteri di rilevanza temporale per l’effettuazione degli investimenti, la maggiorazione delle quote di ammortamento è fruibile a decorrere dall’esercizio di entrata in funzione del bene. Di conseguenza, in linea generale, i beni acquisiti nell’arco temporale agevolato potranno beneficiare del superammortamento anche qualora vengano messi in funzione dopo il 31 dicembre 2016 (termine di effettuazione degli investimenti).

Indipendentemente dalla modalità di acquisizione, qualora il bene agevolato sia ceduto prima della completa fruizione del superammortamento: - nell’esercizio di cessione la maggiorazione spettante dovrà essere calcolata secondo il criterio del pro rata temporis; - le quote maggiorate non dedotte non potranno più essere fruite, né dal cedente né dal cessionario (che acquisterebbe un bene non “nuovo”); - per le quote maggiorate già fruite non sarà applicato alcun meccanismo di restituzione. La circolare n. 23 in uno degli esempi proposti, evidenzia che, nell’eventualità in cui il coefficiente di ammortamento civilistico risulti minore rispetto al coefficiente fiscale, la quota di ammortamento “aggiuntiva” dovrà calcolarsi in relazione al coefficiente di ammortamento fiscale e non inciderà sulla

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Diversamente da regimi agevolativi precedenti quali, ad esempio, quello del credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi ex art. 18 del d.l. 91/2014, la cui disciplina prevedeva espressamente che i beni agevolati dovessero essere "destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato" (cfr. circ. 5/E 2014, par.1).

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Circolare

Agenzia delle

determinazione della plus/minusvalenza. Con riferimento ai beni acquisiti con contratti di locazione finanziaria, l’Agenzia delle Entrate sottolinea che il superammortamento dovrà essere effettuato solo in relazione alla quota capitale, con esclusione, quindi, della quota interessi. Questi ultimi, se implicitamente imputati al costo del bene, potranno essere scorporati, ripartendone l’ammontare desunto dal contratto sulla durata legale del leasing. Con riguardo ai beni dal costo unitario non superiore a 516,46 euro, le cui spese di acquisizione sono interamente deducibili nell’esercizio in cui sono sostenute (ex art. 102, comma 5, e 54, comma 2, del TUIR) l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che la deduzione integrale non viene meno se, per effetto della maggiorazione del 40%, il “costo” dei beni in questione supera tale soglia. Relativamente ai veicoli a motore, l’Agenzia delle Entrate ricorda che la maggiorazione del 40% opera anche con riferimento alle soglie massime di costo stabilite all'articolo 164, comma 1, lettera b) del TUIR mentre non subiscono variazioni le percentuali di deducibilità del 20%, del 40% e dell’80% fissate in funzione dell’utilizzo strumentale dei mezzi. Per un maggior approfondimento riguardo questi aspetti, nonché per l’utile consultazione degli esempi applicativi forniti, si rinvia alla circolare 23, paragrafo 4.3, esempi 9 e 10. Si ricorda che gli effetti del superammortamento non trovano riscontro nella determinazione degli acconti IRPEF/IRES dovuti per il periodo d’imposta 2015, qualunque sia il metodo adottato; anche in sede di determinazione dell’acconto 2016, l’imposta 2015 da assumere come parametro di riferimento con il metodo storico va determinata senza tenere conto degli effetti della misura in commento. Da ultimo, l’Agenzia delle entrate ha precisato che la disciplina del superammortamento, tra le altre, non produce effetti in relazione a:

- la determinazione del costo fiscalmente riconosciuto ai fini del calcolo del plafond del 5% relativo alla deducibilità delle spese di manutenzione e riparazione di cui agli artt. 102 comma 6, e 54 comma 2 del TUIR,

- i parametri per effettuare il test di operatività delle società di comodo di cui all’art. 30 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724

- i valori impiegati per l’elaborazione degli studi di settore previsti dall’art. 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331.

6. L’Agenzia fa il punto sulle novità in materia di studi di settore (Circ. n. 24/E/2016)

Con la circolare in commento, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito all’applicazione degli studi di settore e dei parametri per il periodo

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Entrate n. 24 del

30 maggio 2016

d’imposta 2015. Con i decreti del Ministero dell’economia e delle Finanze del 22 dicembre 2015 sono stati approvati 70 studi di settore oggetto revisione triennale (evoluzione), elaborati sulla base dei dati fiscali relativi al periodo d’imposta 2013. Gli studi di settore si applicheranno in sede di accertamento nei confronti dei contribuenti che dichiarano compensi ovvero ricavi o compensi di ammontare non superiore a 5.164,56 euro (articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere c), d) ed e) del TUIR). Ricordiamo che sono tenuti alla presentazione del modello, ai soli fini di analisi statistica, anche i contribuenti che dichiarano un volume di ricavi di ammontare superiore a 5.164.569 euro e fino a 7.500.000 euro, posto che nei loro confronti è preclusa l’attività di accertamento basata sugli studi di settore. A decorrere dal periodo d’imposta 2015 viene eliminato l’obbligo di trasmettere il modello studi di settore per i soggetti che presentano come causa di esclusione:

la cessazione dell’attività nel corso del periodo d’imposta o,

l’interruzione della continuità per effetto di una procedura di liquidazione volontaria.

Con i decreti ministeriali del 22 dicembre 2015, sono state approvate anche cinque nuove analisi della territorialità (territorialità del livello dei canoni di affitto dei locali commerciali, territorialità del livello del reddito medio imponibile ai fini dell’addizionale IRPEF, territorialità del livello delle retribuzioni, territorialità del livello delle quotazioni immobiliari, territorialità del livello dei canoni di locazione degli immobili) per tenere conto del “fattore territoriale” nelle stime degli studi di settore. Per il periodo d’imposta 2015, resta confermata l’applicazione degli indicatori di coerenza economica, finalizzati a contrastare possibili situazioni di non corretta compilazione degli studi di settore, approvati con il DM 24 marzo 2014. Tali indicatori riguardano le seguenti fattispecie di anomalie nei dati dichiarati:

incoerenza nel valore delle rimanenze finali e/o delle esistenze iniziali relative ad opere, forniture e servizi di durata ultrannuale;

valore negativo del costo del venduto, comprensivo del costo per la produzione di servizi;

valore negativo del costo del venduto, relativo a prodotti soggetti ad aggio o ricavo fisso;

mancata dichiarazione delle spese per beni mobili acquisiti in dipendenza di contratti di leasing in presenza del relativo valore nei beni strumentali;

mancata dichiarazione del valore dei beni strumentali in presenza dei relativi ammortamenti;

mancata dichiarazione del numero e/o della percentuale di lavoro prestato dagli associati in partecipazione in presenza di utili spettanti

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

agli associati in partecipazione con apporto di solo lavoro. Per tener conto dell’incidenza che la crisi economica ha avuto sui risultati delle attività produttive realizzati nell’ultimo quadriennio, con il D.M. del 12 maggio 2016 sono stati introdotti, per tutti i 204 studi di settore applicabili al periodo d’imposta 2015, i seguenti correttivi congiunturali:

interventi relativi all’analisi di coerenza economica;

interventi relativi all’analisi di normalità economica riguardanti l’indicatore “Durata delle scorte”;

correttivi congiunturali di settore;

correttivi congiunturali territoriali;

correttivi congiunturali individuali.

Si segnala che rispetto alle annualità passate, l'Amministrazione finanziaria ha deciso di dare maggior peso ai correttivi congiunturali individuali, applicabili alle singole imprese, a fronte di situazioni di crisi specifiche, rispetto ai correttivi congiunturali di “settore" che si applicavano trasversalmente su tutte le imprese di un dato settore. Tali correttivi individuali si applicano esclusivamente a fronte di una riduzione dell'efficienza produttiva da parte della singola impresa rispetto al quadriennio precedente (2011-2014) - dovuto ad una contrazione dei ricavi e/o dal minor grado di utilizzo dei fattori produttivi impiegati (valore dei beni strumentali impiegati e numero degli addetti). Ricordiamo che, ai fini dell’applicazione automatica dei predetti correttivi congiunturali, l'impresa dovrà necessariamente compilare il quadro T – “congiuntura economica” del modello dello studio di settore, con i dati economici relativi al predetto periodo di riferimento. L’Agenzia delle Entrate, confermando precedenti interventi (circolari n. 23 del 2013, n. 20 del 2014 e n. 28 del 2015) ha chiarito che il contribuente può utilizzare “retroattivamente” in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria le risultanze degli studi di settore evoluti per il 2015 (al netto dei correttivi congiunturali), con riguardo ad accertamenti fiscali aventi ad oggetto l’annualità 2013, posto che tale periodo di imposta è stato utilizzato come base dati per l’evoluzione degli studi applicabili dal 2015. Nell’ottica di ridurre gli adempimenti richiesti ai contribuenti sono state apportate rilevanti semplificazioni nelle informazioni obbligatorie da indicare nei modelli degli studi di settore, da allegare alle dichiarazione dei redditi 2016 . Inoltre, a decorrere dal periodo d’imposta 2015, è stato abrogato l’obbligo di presentare i modelli “INE” “Indicatori di Normalità Economica”. L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, chiarito che l’accesso al “regime premiale per i soggetti congrui, coerenti e normali alle risultanze degli studi di settore di cui all’art. 10 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, (previsto), non è pregiudicato da, errori od omissioni di compilazione del modello degli studi di settore che

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Provv. Agenzia

delle Entrate n.

67014/2016 del 6

maggio 2016

non incidono:

sull’assegnazione ai cluster,

sul calcolo dei ricavi o dei compensi stimati, o

sul posizionamento rispetto agli indicatori di normalità o di coerenza. Tale precisazione è importante perché modifica una passata interpretazione restrittiva dell’Agenzie delle Entrate data con la circolare n. 28/2015. Nella circolare in commento si precisa che per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio tributario) non sono più previste specifiche sanzioni maggiorate nei casi di violazioni commesse nella comunicazione dei dati rilevanti degli studi di settore (in precedenza regolate dagli articoli 1 e 5 del D.Lgs. n. 471/1997 e dall’art. 32 del D.Lgs. n. 446/1997). Infine, l’Agenzia delle Entrate chiarisce la portata degli obblighi comunicativi previsti per i contribuenti che applicano il regime forfettario di cui all’art. 1, comma da 55 a 89 della legge 23 dicembre 2014, n. 190. In particolare, l’Amministrazione finanziaria precisa che tali soggetti dovranno dichiarare - nel nuovo prospetto del quadro RD del modello UNICO 2016 - anche i costi e le spese afferenti ai beni ed ai servizi utilizzati promiscuamente per l’esercizio della propria attività e per l’uso personale, e non solo i beni strumentali “promiscui”.

7. Patent Box: istanza di accesso alla procedura di ruling (Provv. n. 67014/2016)

In considerazione dell’elevato numero di istanze presentate per accedere alla procedura di accordo preventivo connessa all’utilizzo di beni immateriali (Patent box) ai sensi dell’art. 1, commi da 37 a 45 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, l’Agenzia delle Entrate, con Provvedimento direttoriale n. 67014 del 6 maggio 2016, ha ripartito le competenze per la gestione delle predette istanze, al fine di efficientare l’attività istruttoria ad esse connessa. Nel merito, si dispone che:

- la Direzione Centrale Accertamento, Settore Internazionale, Ufficio Accordi preventivi e controversie internazionali spetta la competenza a gestire le istanze di accordo preventivo presentate dai soggetti titolari di reddito d’impresa i quali, indipendentemente dal domicilio fiscale, abbiano un volume d’affari ovvero un ammontare di ricavi, risultanti dall’ultima dichiarazione presentata prima dell’invio dell’istanza, pari o superiore a 300 milioni di euro;

- le Direzioni Regionali ed alle Direzioni Provinciali di Trento e di Bolzano avranno, invece, la competenza a gestire le istanze presentate dai soggetti titolari di reddito di impresa, i quali, alla data di presentazione dell’istanza, abbiano il domicilio fiscale nel rispettivo ambito territoriale ed un volume d’affari ovvero un ammontare di ricavi, risultante dall’ultima dichiarazione presentata prima dell’invio dell’istanza, inferiore a 300 milioni di euro.

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Provv. Agenzia

delle Entrate n.

2016/97054 del

20 giugno 2016

Nel Provvedimento in commento si precisa, inoltre, che le istanze presentate anteriormente alla sua entrata in vigore dovranno essere trasmesse d’ufficio dall’articolazione dell’Agenzia che le ha ricevute all’ufficio individuato come competente ai sensi del Provvedimento stesso. Qualora, invece, non siano scaduti i termini per la presentazione della documentazione integrativa di cui al punto 6.1 del provvedimento direttoriale del 1° dicembre 2015, n. 190, sarà onere del contribuente inviare detta documentazione all’ufficio competente.

8. Credito d’imposta per imprese cinematografiche: modalità e termini di fruizione (Provv. 20 giugno 2016)

Con provvedimento direttoriale del 20 giugno scorso, l’Agenzia delle Entrate ha definito le modalità ed i termini di fruizione del credito d’imposta per le imprese cinematografiche, di cui all’art. 6 comma 2-bis, del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, limitatamente al periodo di imposta 2015. Ricordiamo, infatti, che tale agevolazione è stata abrogata - a decorrere dal 1° gennaio 2016 per effetto dell’introduzione del tax credit cinema previsto dall’art. 1, comma 333, della legge di stabilità 2016. L’agevolazione in commento prevedeva il riconoscimento di un credito d’imposta alle imprese cinematografiche iscritte negli elenchi di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, in possesso dei requisiti della piccola e media impresa ai sensi della normativa comunitaria (Raccomandazione 2003/361/CE). Nel provvedimento in commento si chiarisce che il credito di imposta maturato, spettante nella misura del 30% dei costi sostenuti per interventi di ripristino, restauro, adeguamento strutturale e tecnologico delle sale cinematografiche esistenti almeno dal 1° gennaio 1980, resta fruibile in compensazione con modello F24 con le modalità di cui all’ articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997. L’Agenzia delle Entrate verificherà, attraverso una procedura di controllo automatizzato, che l’importo del credito d’imposta utilizzato in compensazione nel modello F24 non risulti superiore all’ammontare del beneficio complessivamente concesso all’impresa, risultante dall’elenco delle imprese beneficiarie trasmesso dal Ministro dei beni culturali e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) all’Agenzia delle Entrate. Nel caso in cui l’importo indicato nel modello risulti maggiore rispetto all’ammontare residuo spettante, ovvero il credito risulti non spettante, il modello F24 sarà scartato e il pagamento si considererà come non effettuato.

IVA 9. Esenti IVA le spedizioni di scarso valore (D.M. 29 aprile

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

D.M. 29 aprile

2016

D.M. 29 aprile

2016

2016) Il 7 giugno 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.M. 29 aprile 2016, che modifica il regolamento adottato con il D.M. 5 dicembre 1997, n. 489, recante norme in tema di franchigie fiscali applicabili a talune importazioni definitive di beni, piccole spedizioni prive di carattere commerciale ed a spedizioni di valore trascurabile. Il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, adeguando la normativa domestica a quella comunitaria, ha previsto anche per i servizi accessori alle importazioni di beni di modesto ammontare un regime di franchigia dai diritti doganali. In particolare, per effetto delle modifiche apportate agli artt. 1, 5 e 7 del D.M. 29 aprile 2016 n. 96, indipendentemente dal loro ammontare, sono ammessi alla franchigia dai diritti doganali anche i servizi accessori alle importazioni di merci il cui valore intrinseco non ecceda 22 euro per spedizione, già oggetto di tale esenzione. Tale beneficio è riconosciuto anche ai servizi accessori alle merci oggetto di piccole spedizioni, provenienti da soggetti privati localizzati in paesi extracomunitari, e importate da soggetti privati localizzati nel territorio doganale della Comunità. Anche in questo caso, la franchigia dai diritti doganali sui servizi accessori alle piccole spedizioni di carattere non commerciale, è accordata a prescindere dall’ammontare delle prestazioni di servizi.

10. Rimborsi prioritari anche per le imprese edili e di pulizia (D.M. 29 aprile 2016)

Il D.M. del 29 aprile 2016, modificando l’art. 1 del D.M. del 22 marzo 2007, ha individuato un’ulteriore categoria di contribuenti ammessi a beneficiare del diritto ad ottenere il rimborso dei crediti IVA in via prioritaria, in applicazione dell’art. 38-bis, comma 10, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. In particolare, il citato decreto, pubblicato nella G.U. n. 111 del 13 maggio 2016 – Serie Generale, dispone che possano beneficiare del rimborso IVA in via prioritaria, oltre che i soggetti che applicano il meccanismo dell’inversione contabile di cui all’art. 17, comma 6, lett. a) del D.P.R. n. 633 del 1972 ovvero i subappaltatori che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili nel settore edile, già ammessi a tale beneficio dal D.M.22 marzo 2007, anche i soggetti di cui alla lett. a-ter) del medesimo articolo 17, comma 6, del D.P.R. n. 633 del 1972. Si tratta, nello specifico, dei soggetti che, svolgendo l’attività di pulizia, demolizione, installazione e completamento su edifici sono obbligati all’applicazione dell’inversione contabile a seguito delle modifiche introdotte all’art. 17, comma 6, del D.P.R. n. 633 del 1972 dell'articolo 1, comma 629, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015).

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Circolare

Agenzia delle

Entrate n. 21 del

25 maggio 2016

L’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione della possibilità di beneficiare dei rimborsi IVA in via prioritaria decorre dalle richieste di rimborso relative al secondo trimestre del periodo d’imposta 2016. Restano ferme, sia per i soggetti di cui alla lett. a), che per quelli di cui alla lett. a-ter) del comma 6 dell’art. 17 del D.P.R. n. 633 del 1972 le condizioni per beneficiare della priorità nell’esecuzione del rimborso, previste dall’art. 2 del D.M. del 22 marzo 2007, ovvero:

a) esercizio dell’attività da almeno tre anni; b) eccedenza detraibile richiesta a rimborso d’importo pari o superiore a

10.000 euro in caso di richiesta di rimborso annuale ed a 3.000 euro in caso di richiesta di rimborso trimestrale;

c) eccedenza detraibile richiesta a rimborso pari o superiore al 10% dell’importo complessivo dell’imposta assolta sugli acquisti e sulle importazioni effettuate nell’anno o nel trimestre a cui si riferisce il rimborso richiesto.

11. Reverse charge per le cessioni di console da gioco, tablet, PC e laptop (Circ. n. 21/E/2016)

Il 25 maggio 2016, è stata pubblicata la circolare n. 21/E dell’Agenzia delle Entrate, che fornisce chiarimenti in merito all’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile alle cessioni di console da gioco, tablet PC, laptop e dispositivi a circuito integrato (microprocessori e unità centrali di elaborazione), ai sensi dell’art. 17, sesto comma, lett. c), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come modificato dal D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24. Tale disposizione è stata introdotta nel nostro ordinamento nazionale al fine di recepire le prescrizioni dell’art. 199-bis della direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006, 2006/112/CE (direttiva IVA), secondo cui fino al 31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due anni, gli Stati membri possono stabilire che il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate, tra l’altro, le operazioni di cui alla lettera h) di cui alla citata direttiva IVA che fa riferimento a “cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop”. In particolare, il D.Lgs. n. 24 del 2016, ha ampliato l’ambito applicativo dell’art. 17, sesto comma, lett. c), del D.P.R. n. 633 del 1972, che, nel testo previgente, si applicava solo con riguardo “alle cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori”. Tale previsione era entrata in vigore a seguito della decisione di esecuzione del Consiglio del 22 novembre 2010, n. 2010/710/UE, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 25 novembre 2010, che aveva autorizzato l’Italia ad applicare il reverse charge alle operazioni, tra soggetti passivi, aventi ad oggetto, tra l’altro, “dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”. L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 59/E del 2010 e con la risoluzione

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Circolare

Agenzia delle

Entrate n. 22 del

26 maggio 2016

n. 36/E del 2011, aveva fornito chiarimenti circa l’ambito di applicazione del reverse charge alle cessioni di dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione. Nella risoluzione in commento, in linea con i precedenti chiarimenti forniti, l’Agenzia delle Entrate precisa ora che per effetto della modifica normativa in esame, il meccanismo dell’inversione contabile di cui alla lett. c) del comma 6 dell’art. 17 del D.P.R. n. 633 del 1972 è applicabile anche alle cessioni, territorialmente rilevanti in Italia, effettuate tra soggetti passivi, dei seguenti prodotti:

console da gioco, (NC 95045000);

tablet PC (NC 84713000);

laptop (NC 84713000). Per l’individuazione dei predetti beni, non rileva la denominazione “commerciale”, bensì, secondo l’Agenzia, la circostanza che si tatti di beni della stessa qualità commerciale, aventi le stesse caratteristiche tecniche e lo stesso codice di Nomenclatura Combinata (NC). Sotto il profilo soggettivo, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il cessionario è obbligato all’assolvimento dell’imposta mediante reverse charge anche se non stabilito in Italia (o, parimenti, privo di stabile organizzazione in Italia). A tal fine, pertanto, egli sarà tenuto a identificarsi ai fini IVA in Italia. L’Agenzia ha ricordato, altresì, che tale modifica ha effetto unicamente sulle cessioni effettuate nella fase distributiva, che precede il commercio al dettaglio, coerentemente con quanto già precisato in proposito nella circolare n. 59/E del 2010 e nella risoluzione n. 36/E del 2011. Inoltre, nel documento di prassi è precisato che, benché l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile per le cessioni di tali beni, operi con riferimento alle operazioni effettuate a decorrere dal 2 maggio scorso (sessantesimo giorno successivo alla pubblicazione in G.U. del D.Lgs. n. 24 del 2016), in osservanza dei principi sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente (Legge 27 luglio 2000, n. 212) sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti fino alla data di emanazione della circolare in commento, tenuto conto dell’incertezza normativa sulla materia.

12. MOSS e nuove regole di territorialità per i servizi di telecomunicazione, tele radiodiffusione ed elettronici (Circ. n. 22/E/2016)

Con la circolare n. 22 del 26 maggio 2016, l’Agenzia delle Entrate ha fornito un primo commento – molto dettagliato – in merito alle novità, in vigore dal 1° gennaio 2015, sulle regole di territorialità ai fini dell’applicazione dell’IVA alle prestazioni di servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione e rese con

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

mezzi elettronici (c.d. servizi TTE), effettuate nei confronti di privati consumatori nonché sul correlato regime opzionale speciale di mini sportello unico Moss (Mini One Stop Shop). Nello specifico, la circolare illustra le novità introdotte dalle disposizioni del D.Lgs. 31 marzo 2015, n. 42, in vigore dal 1° gennaio 2015, che recepiscono le modifiche alla disciplina IVA concernenti il luogo di imposizione delle prestazioni di servizi rese con mezzi elettronici, di telecomunicazione e di teleradiodiffusione apportate dalla Direttiva n. 2008/8/CE del 12 febbraio 2008 alla Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006. In proposito, l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che le nuove disposizioni consistono, in particolare, nella modifica del luogo di imposizione delle prestazioni “B2C” rese nei confronti di consumatori comunitari, che divengono imponibili nel luogo di domicilio del committente, e nell’introduzione del regime semplificato del c.d. mini sportello unico (MOSS). Dedicando la prima parte alle nuove regole in materia di territorialità, sono state illustrate le modiche apportate al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per effetto delle quali tali prestazioni si considerano effettuate nel territorio dello Stato italiano, se rese a committenti, non soggetti passivi d’imposta, residenti o domiciliati nel territorio dello Stato. Dopo aver sottolineato la semplificazione degli adempimenti realizzata per effetto di tali modifiche, l’Agenzia delle Entrate ha descritto le fattispecie di prestazioni di servizi potenzialmente rientranti nelle tre categorie interessate dai nuovi criteri di territorialità. Riprendendo i chiarimenti approntati anche dalla Direzione generale della Fiscalità e dell’Unione doganale della Commissione europea (DG TAXUD), con apposite Note esplicative (pubblicate lo scorso 3 aprile 2014), l’Agenzia delle Entrate ha fornito, altresì, importanti indicazioni utili all’individuazione del luogo di stabilimento, di domicilio o di residenza abituale del committente non soggetto passivo, sulla base di quanto previsto dal regolamento esecutivo (UE) n. 282/2011 del 15 marzo 2011, come modificato dal regolamento d’esecuzione (UE) n. 1042/2013 del 7 ottobre 2013. L’Agenzia, in particolare, ha precisato che, per alcuni tipi di prestazioni di servizi per cui il luogo di stabilimento, l’indirizzo permanente o la residenza abituale del committente sono impossibili da determinare o non si possono stabilire con certezza, che sarà possibile determinarlo sulla base di presunzioni legali di territorialità. A tal riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha analizzato tali presunzioni e la relativa confutazione sia in relazione ai rapporti B2B che ai rapporti B2C. Nell’ultima parte della prima sezione della circolare in esame sono diramate istruzioni utili all’identificazione dello status del committente, tenuto ad assolvere gli obblighi fiscali, ai fini dell’eventuale applicazione dell’IVA. Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito anche i dubbi relativi

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

all’identificazione del soggetto tenuto ad adempiere gli obblighi fiscali, nell’ambito di catene distributive di servizi TTE in cui intervengono una pluralità di intermediari. In tal caso, l’Agenzia ha dichiarato che deve presumersi che ogni soggetto passivo che interviene nella catena lo faccia per conto del prestatore di tali servizi, ma a nome proprio, e pertanto è tenuto ad applicare l’IVA nella prestazione del servizio effettuata all’altro operatore. Tale presunzione relativa può essere superata in presenza di determinate condizioni previste dal paragrafo 2 dell’articolo 9-bis del regolamento n. 282/2011, che consentono all’intermediario di indicare in fattura solo il contenuto del servizio di intermediazione, in luogo dell’intero corrispettivo relativo alla vendita del servizio elettronico. La seconda sezione della circolare è dedicata all’applicazione del regime speciale IVA “Moss” (Mini One Stop Shop), il Mini sportello unico che semplifica gli adempimenti degli operatori economici che effettuano le prestazioni di servizi con mezzi elettronici, di telecomunicazione e di teleradiodiffusione, consentendo loro di dichiarare e versare in un solo Stato membro l’IVA dovuta sui servizi prestati a consumatori finali in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, senza più doversi identificare in ogni Paese in cui questi ultimi sono domiciliati. Avvalendosi di questo regime speciale, gli operatori che decidono di aderirvi possono trasmettere per via elettronica le dichiarazioni IVA trimestrali, nonché versare l’imposta nello Stato membro di registrazione; l’imposta di competenza di ciascuno Stato membro, nonché i dati delle dichiarazioni saranno poi trasmessi dallo Stato membro di identificazione ai rispettivi Stati membri di consumo mediante una rete di comunicazione sicura. Analoga possibilità è stata riconosciuta anche ai soggetti extracomunitari che prestano i medesimi servizi TTE a privati consumatori comunitari: anche in tale ipotesi il prestatore ha la facoltà di identificarsi in un solo Stato membro dove poter assolvere gli adempimenti IVA valevoli anche per tutti gli altri Stati membri in cui l’imposta è dovuta, evitando di doversi identificare in tutti gli Stati membri in cui sono stabiliti i suoi clienti privati consumatori. Nei paragrafi successivi l’Agenzia delle Entrate, richiamando le modifiche apportate al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 dal D.Lgs. n. 42/2015, ha descritto l’applicazione e il funzionamento di entrambe queste tipologie di MOSS. In applicazione di tale regime, la neutralità dell’IVA assolta sugli acquisti effettuati, è garantita dal Legislatore mediante il sistema del rimborso, considerando che il contribuente non può indicare nella dichiarazione trimestrale presentata allo Stato membro di identificazione l’imposta assolta sugli acquisti effettuati, ma solo l’imposta dovuta in ciascuno Stato membro di consumo. Conseguentemente, i soggetti extra UE che hanno aderito al MOSS in Italia possono presentare istanza di rimborso IVA, nonostante abbiano effettuato nel nostro Paese soltanto operazioni attive, così come i residenti e identificati in altri Stati membri possono chiedere il rimborso sugli acquisti effettuati in Italia

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Sentenza Corte

Costituzionale n.

145 del 17

maggio 2016

telematicamente accedendo all’apposito portale reso disponibile dalle autorità fiscali di ciascuno Stato membro. Il documento di prassi, chiarisce, infine, che anche se il primo sollecito relativo ad omessi versamenti o ad omessa presentazione della dichiarazione sarà effettuato da parte dell’autorità fiscale dello Stato di identificazione, sarà lo Stato membro di consumo quello chiamato ad esercitare la potestà impositiva ai fini IVA, in sede di accertamento e riscossione.

13. Legittimità costituzionale dello split payment (C. Cost. sent n. 145/2016)

Il meccanismo dello “split payment”, introdotto dalla Legge di Stabilità per il 2015 (Legge n. 190/2014, che ha inserito l’art. 17-ter nel testo del D.P.R. n. 633/1972), rientra pacificamente nella competenza legislativa esclusiva dello Stato e non incide sulle attribuzioni costituzionalmente spettanti alle Regioni e, pertanto, risulta essere costituzionalmente legittimo. Questo è quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 145 del 17 maggio 2016. Nel dettaglio, la Regione Veneto aveva adito la Consulta per ottenere la declaratoria di illegittimità dei commi 629, lettera b), 632 e 633 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di Stabilità 2015), per violazione degli artt. 3, 97, 117 comma 1, in relazione agli artt. 118 e 119 della Costituzione. La norma impugnata ha introdotto nell’ordinamento italiano il meccanismo del c.d. “split payment”, in virtù del quale, nelle cessioni di beni e nelle prestazioni di servizi eseguite nei riguardi di Enti pubblici, l’imposta sul valore aggiunto è versata allo Stato direttamente dagli stessi soggetti pubblici, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze; di conseguenza, ai fornitori dei beni ed ai prestatori dei servizi, è pagato il corrispettivo al netto dell’imposta sul valore aggiunto. Analizzando i motivi oggetto della contestazione regionale, si procede anche ad illustrare le ragioni che hanno indotto la Corte Costituzionale a dichiararne l’inammissibilità.

- La Regione ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in quanto lo split payment non era contemplato dalla direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (direttiva IVA), essendone stato esteso l’ambito di applicazione, da parte del Legislatore italiano, anche alle operazioni tra P.A. L’inammissibilità della censura è stata dichiarata alla luce della circostanza che quest’ultima era stata dedotta dalla ricorrente in una memoria presentata successivamente al ricorso ed aveva ecceduto l’oggetto stesso del ricorso, nel cui ambito non era stata contestata l’applicazione dello split payment alle pubbliche amministrazioni. Infatti, secondo costante orientamento giurisprudenziale, le deduzioni svolte dai ricorrenti nelle memorie successive al ricorso risultano ammissibili solo nella misura in cui prospettino argomenti a sostegno delle questioni di costituzionalità già promosse nel ricorso principale. Nel

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

caso di specie, la Regione aveva originariamente lamentato soltanto le difficoltà applicative del nuovo strumento, data l’impossibilità di compensare, nei rapporti con le altre pubbliche amministrazioni l’IVA sugli acquisti con l’IVA sulle vendite;

- la Regione ha lamentato la lesione indiretta, da parte della disciplina statale, della propria autonomia finanziaria ed amministrativa, di cui agli artt. 118 e 119 Cost., giacché sarebbe stata costretta a sostenere, “fin da subito” (a far data dal 1° gennaio 2015), il costo dell’adeguamento dei sistemi informativi, il quale avrebbe potuto rivelarsi inutile qualora il Consiglio dell’Unione Europea avesse negato l’autorizzazione all’Italia ad introdurre misure in deroga agli artt. 206 e 226 della direttiva IVA. Inoltre, la ricorrente ha fatto valere anche una specifica lesione indiretta della propria autonomia finanziaria, di cui all’art. 119 della Costituzione, poiché nei casi in cui andrebbe a realizzare prestazioni di servizi o cessioni di beni verso altre pubbliche amministrazioni, essa non potrebbe più compensare l’IVA sugli acquisti con quella sulle vendite, ma dovrebbe richiederne il rimborso allo Stato, con i maggiori oneri che ne discenderebbero e relativo contrasto con i principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.).

Dette censure sono state dichiarate inammissibili dal giudici di legittimità, i quali non hanno ritenuto che, nel caso di specie, sia possibile rinvenire attribuzioni costituzionalmente spettanti alla Regione, suscettibili di essere indirettamente lese dalla disposizione impugnata. Infatti, la materia rientra legittimamente ed esclusivamente nella sfera delle competenze statali, di cui all’art. 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, trattandosi di un tema (afferente “sistema tributario e contabile”) per il quale alle Regioni non è riservata alcuna potestà, né legislativa, né di carattere amministrativo. Ulteriormente, in motivazione, la Corte ha argomentato che tutti gli inconvenienti sollevati dalla Regione Veneto, seppure sussistenti, riguarderebbero in eguale misura tutti i soggetti privati che effettuino cessioni di beni o prestazioni di servizi in favore di P.A., nonché tutte le amministrazioni pubbliche nei loro reciproci rapporti.

In definitiva, dunque, sia gli oneri di adeguamento dei sistemi informativi per la gestione amministrativa e contabile, sia gli oneri per richiedere il rimborso allo Stato dell’IVA che, in ragione del nuovo meccanismo di “scissione dei pagamenti”, non è più possibile portare in compensazione, non sono altro che mere conseguenze di fatto dell’introduzione di un diverso sistema di versamento dell’imposta sul valore aggiunto. Tale sistema è stato legittimamente disposto dal Legislatore nazionale, non incidendo su prerogative costituzionali delle Regioni, e l’adeguamento ad esso è in egual modo imposto a tutte le pubbliche amministrazioni. Per questo, ogni censura ad esso si rivela inammissibile.

14. Esenti IVA le prestazioni di radiodiffusione pubblica

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

dell’Unione

Europea causa

C-11/15 del 22

giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

dell’Unione

Europea causa

C-332/14 del 9

giugno 2016

(CGUE – causa C-11/15)

L’attività di radiodiffusione pubblica non rientra nell’ambito di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, in quanto finanziata mediante il pagamento obbligatorio di un canone che non costituisce il corrispettivo di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso: questo è il principio affermato dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza relativa alla causa C-11/15. Nel sollevare la questione pregiudiziale, la Corte suprema amministrativa ceca ha rimesso ai Giudici comunitari la definizione della corretta qualificazione ai fini IVA delle prestazioni di servizi erogate da una società di radiodiffusione pubblica, finanziata dal pagamento di un canone obbligatorio per legge, da parte di tutti i detentori di un ricevitore radiofonico. Nello specifico, il giudice del rinvio ha chiesto di chiarire se le prestazioni considerate potessero qualificarsi come prestazioni di servizi “effettuate a titolo oneroso” ma esenti da IVA, ai sensi dell’art. 13, parte A, par. 1, lett. q) della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (Sesta direttiva), oppure come operazioni non rientranti nell’ambito di applicazione di tale direttiva, ai sensi dell’art. 2 della stessa. I giudici comunitari, nell’esaminare la questione, hanno osservato che il servizio di radiodiffusione pubblica oggetto del procedimento principale non è erogato dalla società ceca in esecuzione di un contratto che prevede il pagamento di un prezzo da parte degli altri contraenti, ma è finanziato mediante un canone che tutti i detentori di un ricevitore radiofonico sono obbligati a pagare per legge, indipendentemente dall’effettivo utilizzo del servizio erogato dalla società. In mancanza di un nesso di diretto tra tale servizio di radiodiffusione pubblica e il pagamento del suddetto canone, che non costituisce un corrispettivo ma l’adempimento di un obbligo imposto dalla legge, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che le prestazioni di radiodiffusione oggetto del procedimento non rientrano nell’ambito di applicazione della citata direttiva e quindi sono escluse dall’IVA.

15. Beni e servizi ad uso promiscuo: nuovi criteri di ripartizione dell’imposta detraibile (CGUE – causa C-332/14)

Il criterio di ripartizione della base imponibile IVA per l’imputazione di costi sostenuti per beni ad uso promiscuo, basato sulla cifra d’affari, è ammesso a condizione che non risulti possibile impiegarne un altro che consenta di ottenere una più esatta determinazione del pro-rata: tale principio è affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 9 giugno 2016, relativa alla causa C-332/14. Le questioni sottoposte all’esame dei giudici comunitari sono state originate da una contestazione mossa dall’Amministrazione finanziaria tedesca nei confronti di una società immobiliare in relazione al criterio di ripartizione

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

impiegato per la determinazione dell’imposta detraibile relativa ad attività di demolizione e costruzione di immobili destinati sia alla locazione commerciale, operazione imponibile ai fini IVA, che a quella abitativa, operazione esente da imposta. Nel caso, oggetto della questione la società immobiliare aveva determinato la quota di imposta detraibile effettuando una ripartizione basata sull’ammontare della cifra d’affari derivante dalle diverse attività di locazione, conformemente a quanto previsto dall’art. 17, paragrafo 5, terzo comma, della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977(in seguito sesta direttiva). Secondo l’amministrazione finanziaria tedesca, il criterio basato sulla cifra d’affari avrebbe dovuto essere impiegato solo in via residuale, ovvero qualora non fosse stato possibile utilizzare nessun altro metodo di imputazione dei beni e dei servizi ad uso promiscuo. Pertanto, individuando nel criterio della superficie in metri quadrati degli immobili locati, un metodo più esatto di determinazione del pro-rata, l’amministrazione finanziaria rettificava in diminuzione l’ammontare dell’imposta originariamente ammessa in detrazione, in ottemperanza della normativa domestica di recepimento dell’articolo 20 paragrafo 1, lettera b), della sesta direttiva. Secondo tale articolo, infatti, le detrazioni iniziali operate devono essere rettificate se, successivamente alla dichiarazione da cui risultano, mutino gli elementi da considerare ai fini della loro determinazione. Con le prime due questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio ha sollevato dei dubbi in merito all’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 5 e dell’articolo 20, paragrafo 1, lett. b) della sesta direttiva, dirimenti ai fini della corretta individuazione del criterio di ripartizione dell’imposta. In particolare, rispondendo alla prima questione, i giudici comunitari hanno dichiarato che gli Stati membri non hanno l’obbligo di imporre che i beni e i servizi utilizzati a monte per la realizzazione di attività come la costruzione, l’acquisizione, l’utilizzo, la conservazione o la manutenzione, relativi ad immobili destinati solo in parte ad essere locati ad attività commerciali, se tale distinzione è di difficile realizzazione, purché in un secondo momento, la quota di imposta detraibile derivante dai costi sostenuti promiscuamente per la locazione di entrambe le tipologie di immobili, sia determinata applicando un criterio di ripartizione fondato sul volume d’affari, oppure sulla superficie, se quest’ultimo garantisce una più precisa determinazione del pro-rata di detrazione. Rispondendo alla seconda questione, la Corte ha dichiarato che l’articolo 20, paragrafo 1, lett. b) della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che le detrazioni inizialmente operate su costi per beni e servizi destinati promiscuamente ad operazioni che danno diritto alla detrazione e ad operazioni esenti, determinate secondo il criterio della cifra d’affari, devono essere rideterminate alla luce del nuovo criterio, rilevato nella successiva attività di rettifica, se garantisce una più esatta determinazione della quota di

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

dell’Unione

Europea causa

C-267/15 del 22

giugno 2016

imposta detraibile. Infine, sebbene la disposizione contenuta nell’articolo 20 sia stata recepita nell’ordinamento tedesco in un’epoca successiva rispetto al termine previsto per la presentazione della dichiarazione IVA della società oggetto di accertamento, la Corte di Giustizia, rispondendo alla terza questione pregiudiziale, ha escluso che l’applicabilità della stessa potesse pregiudicare il legittimo affidamento del contribuente.

16. Diritto alla detrazione (CGUE – causa C-267/15)

Nella sentenza del 22 giugno 2016, relativa alla causa C-267/2015, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato il principio secondo cui il diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti non è condizionato né dalla circostanza che la vendita “a valle” del bene sia avvenuta ad un prezzo inferiore rispetto ai costi di produzione, né dall’utilizzo che l’acquirente fa o farà del bene. Nel caso oggetto di giudizio, un Comune dei Paesi Bassi (soggetto passivo IVA) aveva ordinato la costruzione di due edifici, che, successivamente, ha venduto ad una Fondazione ad un prezzo inferiore ai costi di costruzione (importo equivalente a circa il 10% dei costi di costruzione); a propria volta, l’ente acquirente ha ceduto a titolo gratuito l’uso di una parte degli edifici, mentre ne ha concessa in locazione a titolo oneroso un’altra parte. La domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dai giudici del rinvio verteva sulla corretta interpretazione della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, (direttiva IVA) ed, in particolare, mirava a conoscere se il Comune, in quanto soggetto passivo cedente i fabbricati, avesse diritto alla detrazione dell’intera IVA fatturatagli ed addebitatagli per la costruzione degli edifici, oppure soltanto di una quota dell’imposta, proporzionata alla parte di edifici che l’acquirente finale ha destinato alle sue attività economiche. Preliminarmente, la Corte di Giustizia ha ricordato che il diritto alla detrazione dell’IVA, di cui agli artt. 167 e s.s. della direttiva IVA, forma parte integrante del meccanismo di funzionamento dell’imposta e, come tale, non può essere soggetto a limitazioni. La sua ratio, infatti, risiede nell’attuare la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche svolte dall’imprenditore, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di queste. L’IVA è applicata a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione, detratta l’imposta gravante direttamente sul costo dei vari elementi costitutivi del prezzo; per questo ogni operazione deve formare oggetto di autonoma valutazione, indipendentemente dall’IVA dovuta sulle operazioni anteriori o successive. In secondo luogo, i giudici comunitari hanno posto in evidenza che, in base al tenore letterale dell’art. 168, lettera a), della direttiva IVA emerge che le uniche

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

dell’Unione

Europea causa

C-15/15 del 21

giugno 2016

condizioni sostanziali per l’insorgenza del diritto alla detrazione sono: che i beni o i servizi ceduti siano utilizzati “a valle” da un soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette all’imposta; e che, “a monte”, detti beni o servizi siano ceduti da un altro soggetto passivo. Dunque, la direttiva IVA non subordina il diritto alla detrazione anche ad una condizione collegata all’utilizzo fatto dei beni o dei servizi da parte del soggetto che li acquista. Da quanto sopra, la Corte di Giustizia ha riconosciuto al Comune dei Paesi Bassi il diritto di detrarre integralmente l’imposta addebitatagli “a monte”, non avendo a tal fine rilevanza l’utilizzo fatto dall’acquirente dei beni ricevuti. Inoltre, la Corte ha affermato che il diritto alla detrazione non è correlato ai risultati dell’attività economica posta in essere dal soggetto passivo, a condizione che l’attività economica da esso condotta sia soggetta ad IVA. La Corte infine, ha ribadito il principio – ormai consolidato – secondo cui la differenza tra il prezzo di cessione e il costo sostenuto dal soggetto passivo non determina la limitazione proporzionale della quota di imposta da detrarre, salvo che il prezzo di cessione risulti puramente simbolico. Al riguardo, la Corte, infatti, ricorda che, per qualificare un’operazione come “operazione a titolo oneroso” ai sensi della direttiva IVA, è sufficiente l’esistenza di un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo, non rilevando, invece, che l’operazione sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo (o prezzo normale di mercato).

17. Incompatibili le fatture emesse solo nella lingua ufficiale di un singolo Stato membro (CGUE –causa C-15/15)

Rappresenta violazione del diritto dell’Unione europea l’emissione di fatture transfrontaliere redatte esclusivamente in una lingua specifica e, pertanto, deve esserne dichiarata la nullità. La questione è giunta all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea a seguito del rinvio pregiudiziale compiuto da un Tribunale belga, innanzi al quale pendeva la controversia relativa a fatture insolute e che vedeva contrapposte una società con sede nella regione fiamminga del Belgio ed un’altra società avente la propria sede in Italia. Quest’ultima società aveva eccepito la nullità delle fatture inviategli dalla prima, con la motivazione che queste non erano state emesse conformemente alla normativa fiamminga, ai sensi della quale le imprese con sede nella regione in questione devono utilizzare la lingua olandese per redigere gli atti ed i documenti prescritti dalla legge. Dunque, in violazione di una norma linguistica, che costituisce disposizione di ordine pubblico nel diritto belga, le fatture erano state redatte in lingua italiana. La società belga, dal proprio canto, non aveva negato la violazione della normativa linguistica, ma aveva sollevato in giudizio l’eccezione di contrarietà di detta normativa interna al diritto comunitario, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di libera circolazione delle merci. Alla luce di tale

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

dell’Unione

Europea causa

C-229/15 del 16

giugno 2016

circostanza, è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di Giustizia. I giudici europei hanno rilevato che, se da un lato la normativa in esame consentiva di conservare l’uso corrente della lingua olandese per la redazione dei documenti ufficiali e di facilitare i controlli su detti documenti da parte delle Autorità nazionali competenti, dall’altro, tuttavia, essa non appariva proporzionata ed eccedeva quanto necessario per perseguire tali obiettivi. Infatti, la Corte ha osservato in proposito che una norma nazionale che imponesse, per la redazione delle fatture relative ad operazioni negoziali transfrontaliere, sia l’uso della lingua ufficiale dello Stato membro di appartenenza del soggetto emittente e sia la redazione in una lingua conosciuta a tutte le parti interessate, sarebbe stata certamente meno lesiva della libertà di circolazione delle merci e, al contempo, avrebbe garantito il raggiungimento dei medesimi obiettivi di quella in contestazione.

18. Assoggettamento ad IVA di beni relativi alla cessata attività economica (CGUE – causa C-229/15)

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea , con sentenza del 16 giugno 2016, in relazione alla causa C-229/15, ha affrontato il tema dell’assoggettabilità ad IVA dei beni che entrano nella sfera privata di un soggetto passivo a seguito della cessazione dell’esercizio dell’attività economica qualora dopo che, per detti beni, si sia usufruito della detrazione d’imposta “a monte” e nonostante lo spirare del periodo di sorveglianza valido per operare la rettifica della detrazione stessa. La questione pregiudiziale ineriva un immobile fatto costruire da un notaio polacco per destinarlo ad un uso promiscuo, ovvero per adibirlo parzialmente ad uso abitativo e parzialmente ad uso professionale (attività rilevante ai fini IVA); al tempo della consegna dell’immobile, il soggetto passivo aveva detratto l’imposta assolta “a monte” solamente per la quota attribuibile alla porzione di fabbricato destinata allo svolgimento dell’attività professionale. Il contribuente aveva richiesto chiarimenti all’Amministrazione finanziaria polacca circa l’assoggettabilità del bene durevole, per il quale aveva usufruito della detrazione IVA, all’imposta al momento della cessazione dell’attività economica, anche qualora, come nel caso di specie, fosse scaduto il periodo decennale (stabilito dalla normativa IVA polacca) per la rettifica dell’imposta pagata a monte. Il dubbio interpretativo riguarda la portata dell’art. 18, lettera c) della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (direttiva IVA), ai sensi del quale gli Stati membri hanno facoltà di assimilare ad una cessione di beni a titolo oneroso il possesso di beni da parte di un soggetto passivo a seguito della cessazione della propria attività economica, qualora per detti beni sia stato esercitato il diritto alla detrazione. La norma andava correlata con l’art. 187 della stessa direttiva, che dispone un termine per operare la rettifica della detrazione: in altri termini, andava stabilito se i beni durevoli, dopo la scadenza del periodo per la rettifica, non debbano essere assoggettati all’imposta, né

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

inclusi nell’inventario di liquidazione, oppure se, indipendentemente dal suddetto periodo, debbano essere assoggettati ad IVA al momento della cessazione dell’attività economica del soggetto passivo. La Corte di Giustizia ha preliminarmente richiamato il principio che sorregge il sistema IVA, ovvero il principio di neutralità, garantito dal meccanismo della rivalsa e detrazione, in base al quale la detrazione dell’imposta “a monte” è collegata alla riscossione dell’imposta “a valle”. È attraverso tale principio che si comprende la ratio della facoltà concessa agli Stati membri dall’art. 18 della direttiva IVA, consistente nell’evitare che beni che abbiano dato diritto alla detrazione divengano oggetto di consumo finale senza scontare l’imposizione “a valle” al momento della cessazione dell’attività imponibile e della loro attribuzione all’uso privato. Tale finalità sottesa al principio di tassazione di cui all’art. 18, volta a garantire la neutralità dell’imposta, coincide con la finalità posta alla base del meccanismo di rettifica della detrazione. Tuttavia, le modalità di perseguimento del comune obiettivo sono diverse ed i due istituti devono essere tenuti distinti: infatti, la norma sulla tassazione dei beni estromessi è volta, da un lato, a garantire la parità di trattamento tra un soggetto passivo che divenga assegnatario, in qualità di privato, di un bene proveniente dalla propria attività economica (imponibile) ed un consumatore finale che acquisti un bene dello stesso tipo nell’ambito di una comune operazione commerciale; da un altro lato, la suddetta disposizione tende ad evitare che il bene estromesso giunga al consumo finale detassato, essendo stata realizzata la detrazione “a monte”. Differentemente, il meccanismo della rettifica consiste in un adeguamento ex post, volto ad incrementare la precisione delle detrazioni effettuate, in modo tale che il diritto venga esercitato soltanto nel limite in cui i beni ed i servizi siano effettivamente impiegati per operazioni tassate “a valle”. In conclusione, i giudici europei hanno sostenuto che l’equiparabilità degli obiettivi dei due istituti suddetti non implica che il periodo previsto per operare la rettifica della detrazione possa valere anche come limite temporale massimo, oltre il quale non è reso più possibile l’assoggettamento ad IVA di un bene immesso nel possesso “privato” (c.d. autoconsumo) a seguito della cessazione dell’attività economica. L’estromissione di un bene, in relazione al quale sia stata fruita la detrazione, deve essere assimilata alla realizzazione di una nuova operazione imponibile, cioè ad una cessione di beni effettuata a titolo oneroso. Essa, pertanto, configura un’operazione soggetta ad IVA, indipendentemente dal periodo trascorso tra la data dell’acquisizione di detto bene e quella di cessazione dell’attività economica, quindi anche oltre il periodo di c.d. “sorveglianza fiscale” per la rettifica della detrazione.

19. IVA all’importazione e formalità doganali (CGUE cause riunite C-226/14 e C-228/14)

Il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia UE, con la pronuncia del 2 giugno 2016 resa nelle cause riunite C-226/2014 e C-228/2014, è che l’insorgenza dell’obbligazione doganale per inosservanza delle formalità

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

dell’unione

Europea cause

riunite C-226/14

e C-228/14 del 2

giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

dell’Unione

Europea causa

C-520/14 del 12

maggio 2016

doganali non comporta automaticamente il sorgere dell’obbligo di pagare l’IVA all’importazione. Le fattispecie rimesse alla decisione dei giudici europei riguardavano merci provenienti da un Paese terzo, che erano vincolate al regime di deposito doganale di uno Stato membro, in un caso (causa C-226/2014), ed al regime di transito comunitario estero, nell’altro caso (causa C-228/2014) e che dovevano essere successivamente riesportate all’estero. L’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in entrambe le situazioni oggetto di controversia, è stato volto a risolvere una medesima questione, ovvero a precisare le conseguenze derivanti, ai fini IVA, dallo svincolo di merci non comunitarie da regimi doganali a seguito dell’inosservanza di formalità doganali poste a tutela del mercato interno europeo e della liceità dei traffici commerciali. In particolare, la Corte di Giustizia ha precisato che, ai fini della verifica del fatto generatore dell’IVA, deve precedersi a valutare se le merci estere possano essere considerate immesse nel circuito economico dell’Unione europea e, quindi, ritenersi oggetto di importazione. In linea di principio è stata confermata la possibilità che l’obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione sorga simultaneamente al sorgere dell’obbligazione doganale, generata, come detto, dall’inosservanza delle formalità doganali. Tuttavia, tale affermazione è circoscritta alle sole merci che si trovino nel territorio doganale dell’Unione europea e non è, invece, valevole per le merci che siano state nuovamente esportate: qualora, come nei casi di specie, le merci abbiano lasciato il territorio doganale dell’Unione, cioè siano state svincolate dal regime doganale a seguito della riesportazione, non è possibile ritenere che esse siano state introdotte materialmente nel circuito economico dell’Unione e, di conseguenza, è inesigibile l’IVA all’importazione. In altri termini, non sussistevano rischi che dette merci potessero essere state oggetto di consumo nel territorio comunitario, unica circostanza che avrebbe giustificato l’assoggettamento all’IVA all’importazione.

20. Fuori campo IVA il servizio pubblico di trasporto scolastico affidato a terzi (CGUE – causa C-520/14)

I giudici della Corte Suprema dei Paesi Bassi hanno adito, in via pregiudiziale, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, affinché si pronunciasse in merito alla qualità di soggetto passivo IVA di un Comune dei Paesi Bassi, Borsele, che effettuava il servizio locale di trasporto scolastico. In particolare, i giudici del rinvio chiedevano alla Corte di Giustizia di esprimersi in merito alla corretta interpretazione degli articoli 2, paragrafo 1, lettera c) e 9, paragrafo 1, della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (c.d. Direttiva IVA).

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Nello specifico, la causa ha ad oggetto il sopra menzionato comune, che aveva sostenuto innanzi all’Amministrazione fiscale olandese di dover essere assoggettato al pagamento dell’IVA a titolo di fornitura del servizio di trasporto scolastico e reso a fronte del pagamento di contributi da parte di alcune famiglie che usufruivano di detto servizio; pertanto, l’Ente sosteneva di avere diritto a detrarre dall’IVA dovuta all’Erario, la parte di IVA ad esso fatturata dalle imprese di trasporto, quali affidatarie del servizio reso. A tal riguardo, occorre innanzitutto osservare che il Comune ricorreva ai servizi di imprese di trasporto e che esso aveva stabilito, con apposito regolamento, che i costi per finanziare il servizio affidato alle imprese di trasporto fossero sostenuti, per il 3% dai contributi versati da 1/3 delle famiglie usufruenti, mentre del saldo si faceva carico il Comune stesso, impiegando fondi pubblici. L’Amministrazione finanziaria olandese non aveva condiviso l’interpretazione avanzata dal Comune in merito alla detraibilità dell’IVA fatturata nei suoi confronti dalle imprese di trasporto e date le incertezze interpretative sulla questione, la Corte Suprema dei Paesi Bassi ha disposto la sospensione del giudizio per adire la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In merito alla questione, la Corte di Giustizia ha preliminarmente ritenuto che le prestazioni di servizi di trasporto effettuate dal comune per il tramite delle società di trasporto possano qualificarsi come prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, ai sensi della definizione che la direttiva IVA fornisce all’art. 2, paragrafo I, lett. c), e ciò, indipendentemente dalla circostanza che il contributo versato dalle famiglie rappresentasse una piccola parte del costo sostenuto per realizzare l’attività di trasporto, dal momento che, per giurisprudenza costante, il quantum corrisposto non ha rilevanza ai fini della qualificazione della prestazione come “negozio a titolo oneroso”. Tuttavia, la qualificazione della prestazione del servizio di trasporto scolastico come “attività a titolo oneroso” non è di per sé sufficiente, secondo la Corte di Giustizia, a consentirne anche la qualificazione come “attività economica”, ai sensi dell’art. 9, paragrafo 1 della direttiva IVA. A tal ultimo fine rileva, infatti, l’insieme delle circostanze in cui la prestazione viene realizzata ed, in particolare, deve compiersi un raffronto tra la prestazione in questione e le circostanze in cui, solitamente, tale prestazione viene realizzata; ulteriori elementi di cui poter tener conto sono anche l’entità della clientela e quella del contributo versato. Nel caso di specie, il Comune non offriva il servizio di trasporto di persone sul mercato generale, ma esso stesso appariva essere il beneficiario ed il consumatore finale del servizio di trasporto acquistato dalle imprese di trasporto; il comune, successivamente, metteva a disposizione delle famiglie il suddetto servizio, rendendolo oggetto di una prestazione pubblica. Inoltre, giacché gli importi recuperati dai genitori erano di entità minima rispetto al

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

dell’Unione

Europea, causa

C-550/14 del 26

maggio 2016

costo complessivo del servizio, la Corte ha ritenuto corretto qualificare detti contributi come canoni, piuttosto che come retribuzione vera e propria. Da tale asimmetria, i giudici europei hanno dedotto l’assenza di un nesso diretto e concreto tra le reciproche prestazioni intercorrenti tra il Comune e i genitori. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Giustizia ha escluso che l’attività esercitata dal comune di Borsele potesse qualificarsi come attività economica, con i conseguenti effetti dal punto di vista dell’applicazione dell’IVA.

21. Inversione contabile alle cessioni di materiale d’oro (CGUE - causa C-550/14)

Nella sentenza del 26 maggio 2016, relativa alla causa C-550/14, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha fornito un’interessante interpretazione dell’art. 198, par. 2 della direttiva n. 112/2006/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (direttiva IVA), che attribuisce agli Stati membri la facoltà di applicare il reverse charge nelle cessioni di materiale in oro e prodotti semilavorati, a determinate condizioni. La questione sottoposta al vaglio dei giudici comunitari scaturisce dal disconoscimento dell’autorità fiscale danese del diritto alla detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di lingotti d’oro, costituiti in parte da materiale di scarto, effettuato da una società danese. Nello specifico alla società oggetto del procedimento principale l’amministrazione finanziaria danese eccepiva l’inosservanza della normativa domestica che, recependo il citato art. 198, par. 2, della direttiva IVA, prevede l’applicazione del reverse charge alle cessioni di materiale d’oro o di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, oltre che alle cessioni d’oro da investimento. La società eccepiva l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 198, par. 2, indicando, invece, che l’operazione avrebbe potuto ricadere nell’ambito di applicazione dell’art. 199, par. 1, lett. d), della direttiva IVA, disposizione che conferisce agli Stati membri la facoltà di assoggettare ad inversione contabile le cessioni di materiali di recupero, di materiali di recupero non riutilizzabili in quanto tali, di materiali di scarto industriali e non industriali, di materiali di scarto riciclabili, di materiali di scarto parzialmente lavorati, di avanzi e determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi, come individuati nell’allegato VI della direttiva IVA. Quest’ultima norma, al momento dei fatti, non era stata recepita nell’ordinamento danese. Il giudice di merito, investito della questione, in dubbio sull’applicazione di tale disposizione alla fattispecie oggetto della vertenza, relativa a lingotti d’oro parzialmente costituiti anche da avanzi di altri oggetti metallici poi fusi, ha sospeso il procedimento principale, rinviando alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale sull’applicabilità dell’art. 198, par. 2 anche ai descritti lingotti dal tenore d’oro di circa 500 - 600 millesimi. Analizzando le disposizioni citate (art. 198, par. 2 e art. 199, par. 1, lett. d) della direttiva IVA) da un punto di vista letterale, la Corte ha osservato che non

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Sentenza Corte

di Giustizia

dell’Unione

Europea causa

C-607/14 del 26

maggio 2016

è possibile escludere che la fattispecie oggetto del procedimento principale possa ricadere nell’ambito di applicazione di entrambe le menzionate disposizioni. Infatti, con riferimento all’art. 198 par. 2, secondo i giudici comunitari il termine “materiale d’oro” può comprendere non solo l’oro allo stato grezzo, ma anche il metallo fino o qualsivoglia materiale composto in parte di oro; così come la locuzione “prodotti semilavorati” può escludere solamente i prodotti che non hanno ancora subito alcuna lavorazione o trasformazione e i prodotti finiti. Inoltre, secondo la Corte il requisito della purezza minima di 325 millesimi di oro, può riferirsi sia al materiale d’oro che ai prodotti semilavorati, menzionati nella disposizione. Conseguentemente, la Corte ha deciso la controversia privilegiando un’interpretazione logico-funzionale dell’art. 198, par. 2, della direttiva IVA, teso a contrastare il rischio di frodi fiscali che può caratterizzare in modo particolare le cessioni d’oro, a causa della sproporzione tra le dimensioni del bene e il valore di mercato dello stesso. Inoltre, individuando un rapporto di “genere a specie” tra le due disposizioni che prevedono entrambe il meccanismo dell’inversione contabile la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che: “l’art. 198 paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE, deve essere interpretato nel senso che esso si applica a una cessione di lingotti, come quelli oggetto del procedimento principale, costituiti da una lega casuale e grezza ottenuta con la fusione di avanzi e vari oggetti metallici e sostanze, e dotati, secondo il lingotto, di un tenore d’oro all’incirca di 500 o 600 millesimi.”

22. Prestazioni di elaborazione di pagamenti elettronici – inapplicabilità dell’esenzione (CGUE causa C-607/14)

Nella sentenza del 26 maggio 2016, relativa alla causa C-607/14, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata in merito all’applicabilità dell’esenzione IVA prevista dall’art. 135, par. 1, lett. d), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (direttiva IVA) ad una particolare tipologia di servizi di elaborazione di pagamento mediante carta di credito o carta di debito. In particolare, nel caso oggetto della causa, ad una società che elabora pagamenti effettuati mediante carte di credito e di debito per i clienti di una catena di cinema, nel Regno Unito, veniva contestato il diritto all’esenzione dal pagamento dell’IVA relativa a tali prestazioni, in violazione della normativa domestica con la quale è stato recepito l’art. 135 par. 1, lett. d), della direttiva IVA, secondo il quale sono esenti da IVA le operazioni, compresa la negoziazione, relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti, ai giroconti, ai crediti, agli assegni, ed altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero dei crediti. Nello specifico, tale società si occupava di effettuare prenotazioni dei biglietti

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via Internet o per telefono, di elaborare i pagamenti effettuati dai clienti della catena di cinema per la quale operava, avvalendosi di una banca affiliata che disponeva i trasferimenti delle somme di pagamento ricevute dalle banche dei clienti al proprio conto corrente. Dalle somme ricevute in pagamento dai clienti del cinema, la società tratteneva una quota a titolo di commissione per il servizio di intermediazione reso, ordinando poi alla banca affiliata di disporre il trasferimento del saldo alla holding della catena di cinema. Secondo l’autorità fiscale britannica, le prestazioni di servizi effettuate da tale società non rientrerebbero nella fattispecie descritta nella norma domestica, emanata in recepimento dell’art. 135 par. 1, lett. d) della direttiva IVA, in quanto non risultano assimilabili ad un giroconto, non essendo volte a realizzare direttamente il trasferimento dei fondi. Il giudice nazionale chiamato a pronunciarsi sulla controversia, in dubbio nel valutare la legittimità dell’esenzione da IVA ai sensi dell’art. 135 par. 1, lett. d) della direttiva IVA, delle prestazioni descritte, ha sospeso il procedimento, rinviando la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Basandosi sul criterio del trasferimento effettivo del diritto di proprietà dei fondi, e coerentemente con precedenti orientamenti basati su un’interpretazione restrittiva dell’art. 135, par. 1, lett. d), citato, i giudici del Lussemburgo hanno confermato la non spettanza del diritto all’esenzione dell’imposta per le suddette prestazioni, rilevando che la società oggetto della sentenza “non partecipa in modo specifico ed essenziale alle modifiche giuridiche ed economiche che concretizzano il trasferimento della proprietà dei fondi interessati e che consentono, secondo la giurisprudenza della Corte, di caratterizzare un’operazione esente relativa ai pagamenti o ai giroconti ai sensi dell’articolo 135, paragrafo 1, lett. d) della direttiva, ma si limita ad eseguire modalità tecniche ed amministrative che gli consentono di raccogliere informazioni e di trasmetterle alla sua banca di affiliazione, nonché di ricevere, attraverso lo stesso mezzo, la comunicazione di informazioni che gli consentono di realizzare una vendita e di ricevere i corrispondenti fondi.”

23. Detraibile l’IVA su spese d’accoglienza sostenute per i giornalisti (Cass. sent. n. 8850/2016)

Le spese sostenute da una società organizzatrice di eventi per ospitare ed intrattenere i giornalisti durante le proprie manifestazioni e fiere devono essere qualificate come spese di pubblicità, e non come spese di rappresentanza. L’imposta afferente a queste spese è, quindi, detraibile, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 4 maggio 2016, n. 8850. La società oggetto del procedimento aveva presentato ricorso in primo grado, sostenendo l’illegittimità del recupero a tassazione dell’IVA da essa detratta in relazione alle spese di intrattenimento che la società aveva sostenuto per la partecipazione di giornalisti ad una mostra organizzata dalla stessa società

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nell’anno 2000. Avverso le pronunce favorevoli alla contribuente, emesse dalle Commissioni tributarie Provinciale e Regionale, l’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando l’errore di diritto commesso dai giudici di merito, nell’applicazione dell’art. 19-bis1, lett. e) ed h), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Nello specifico, per giustificare la ripresa a tassazione operata, l’Agenzia delle Entrate ha richiamato la generale definizione, accolta peraltro dalla stessa Corte di legittimità, delle spese di rappresentanza e delle spese di pubblicità o propaganda: sono riconducibili alla prima categoria e la relativa imposta è dunque, indetraibile ai fini IVA, quelle spese affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio o l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo. Tali sarebbero le spese di intrattenimento, a parere dell’Ufficio impositore; invece, appartengono alla seconda categoria, con piena detraibilità della relativa imposta, quelle spese sostenute per iniziative tendenti prevalentemente, seppur non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, condividendo la natura pubblicitaria delle spese sostenute dalla società per l’ospitalità della stampa specializzata chiamata a presenziare agli eventi fieristici da essa organizzati e ammettendo, quindi la detraibilità della relativa imposta. Secondo la Corte di Cassazione, è dirimente la circostanza che l’oggetto dell’attività d’impresa della società contribuente consista nella produzione e nella realizzazione di eventi finalizzati a valorizzare il comparto della moda tramite iniziative culminanti, solitamente, nell’organizzazione di importanti eventi fieristici; è evidente che il successo delle iniziative e la conseguente “vendibilità del prodotto” dipendono, per larga parte, anche dalla capacità dell’evento di catalizzare l’attenzione e suscitare l’interesse del pubblico. Coerentemente, maggiore è la capacità dell’evento di attrarre pubblico, maggiore sarà l’interesse degli operatori del settore a prendervi parte; è innegabile che alla sensibilizzazione mediatica dei soggetti interessati, contribuiscono, in misura non secondaria, la stampa e l’editoria specializzata, “giacché è per mezzo dell’attenzione che esse riservano all’evento che si realizza profittevolmente la mission aziendale della contribuente”.

24. Diritto alla detrazione dell’IVA sulle spese pubblicitarie (Cass sent. n. 5195/2016)

Nella sentenza del 16 marzo 2016, n. 5195, la Corte di Cassazione ha esaminato la questione circa la sussistenza del requisito dell’inerenza delle spese “per prestazioni pubblicitarie e di uso del marchio” addebitate dalla società capogruppo ad una sua controllata, la quale svolgeva un’attività di mera produzione di capi di abbigliamento, mentre la distribuzione era stata demandata ad altre due società sorelle del medesimo gruppo. L’Agenzia delle Entrate aveva notificato alla società produttrice avvisi di accertamento IVA per gli anni d’imposta 1998-2001, a seguito delle fatture

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emesse dalla società capogruppo a fronte delle suddette prestazioni rese, contestando l’assenza di inerenza di detti costi rispetto all’oggetto sociale dell’impresa, la quale si occupava della sola produzione dei capi di abbigliamento. Successivamente all’accoglimento in primo grado del ricorso presentato dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento, la Commissione Tributaria Regionale aveva mutato orientamento, affermando la non inerenza dei costi di pubblicità all’attività della società contribuente. Avverso tale decisione, la soccombente ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di detrazione dell’imposta. La ricorrente ha sostenuto di avere diritto a detrarre l’IVA concernente le prestazioni di servizi pubblicitari resi dalla società capogruppo, seppure non occupandosi direttamente della commercializzazione dei capi di abbigliamento prodotti, ma comunque effettuando la vendita ad altre società facenti parte del medesimo gruppo, le quali, a propria volta, li collocavano sul mercato. La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità della censura sollevata dalla ricorrente, seppur riconoscendo, in principio, l’errore commesso dai giudici d’appello nel considerare di per sé non inerenti i costi per la pubblicità all’attività d’impresa esercitata dalla società accertata. Infatti, la Cassazione, richiamando la giurisprudenza comunitaria, ha statuito che:

- per riconoscere il requisito dell’inerenza, con riferimento alle spese di pubblicità sostenute dalla società produttrice, occorre la sussistenza di un nesso diretto ed immediato tra l’operazione compiuta a monte ed una o più operazioni realizzate a valle, che siano idonee a conferire il diritto alla detrazione. Pertanto, al fine di verificare l’inerenza del costo di pubblicità sostenuto, bisogna considerare la natura del rapporto che lega i soggetti coinvolti nell’operazione e, dunque, valutare se e quali siano stati i vantaggi e le utilità ritraibili dalla pubblicità ricevuta;

- per poter beneficiare della detraibilità dell’IVA, occorre che i costi sostenuti vengano incorporati nel prezzo dell’operazione compiuta a valle, in modo da realizzare la perfetta neutralità fiscale dell’operazione, sollevando l’imprenditore dall’onere dell’IVA.

In riferimento a tale ultimo aspetto, secondo la Corte di Cassazione, la società produttrice avrebbe dovuto rendere dimostrazione della circostanza che “i costi dei quali si discute siano stati incorporati nel prezzo applicato”, ovvero che “siano stati oggetto di recupero a valle nei confronti delle società distributrici”. Giacché la contribuente non ha fornito, in alcun modo, detta prova nel corso del giudizio, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, sostenendo che non possa essere verificata la presenza del nesso “diretto ed immediato” tra la fruizione del servizio di pubblicità a monte e la cessione del bene da commercializzare a valle.

25. Imponibilità dei beni importati di importo trascurabile

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(Cass. Ord. Int. n. 9150/2016)

Con Ordinanza numero 9150 del 6 maggio 2016, la Corte di Cassazione ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la valutazione sulla compatibilità con la disciplina comunitaria delle norme nazionali vigenti in materia di imponibilità ad IVA delle prestazioni di servizi di trasporto (c.d. inbound), relative alle importazioni di beni di modico valore. Nella specie, ad una filiale italiana di una società americana che si occupa di prendere in carico le spedizioni provenienti dal circuito internazionale e di consegnarle ai destinatari sul territorio italiano (trasporto inbound) è stata contestata l’omessa fatturazione di operazioni imponibili e la dichiarazione di imposta inferiore a quella dovuta, in quanto la società non aveva assoggettato ad IVA i corrispettivi del trasporto sul territorio italiano di documenti e beni di trascurabile valore (c.d. piccole spedizioni, aventi valore inferiore a 22 euro), nonostante tali beni non avessero scontato l’IVA in Dogana, trattandosi di operazioni non imponibili IVA ai sensi dell’ art. 1 della legge 26 novembre 1992, n. 479. Va preliminarmente ricordato che, ai sensi della disciplina nazionale e precisamente del combinato disposto degli articoli 9, comma 1, n. 2) e 69, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i trasporti di beni in importazione costituiscono operazioni non imponibili a condizione che i corrispettivi dei servizi di spedizione concorrano a formare la base imponibile IVA e siano assoggettati a tale imposta in Dogana. La ratio di questa disciplina è di evitare situazioni di doppia imposizione, che ricorrerebbero qualora la prestazione di trasporto sconti l’imposizione IVA, sia in sede doganale, sia per la tratta nazionale, in applicazione del principio di territorialità che la renderebbe imponibile. Secondo l’interpretazione che l’Amministrazione finanziaria aveva fornito di queste disposizioni, il mancato assoggettamento ad IVA in dogana delle spedizioni di modico valore rendeva necessario l’assolvimento dell’imposta sui corrispettivi dei servizi di trasporto. L’impresa in questione, non condividendo tale interpretazione aveva adito la commissione Tributaria Provinciale, ritenendo infondata tale interpretazione e, conseguentemente, la pretesa avanzata dall’Agenzia delle Entrate. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva, nel merito, il ricorso della contribuente, la quale aveva presentato anche ricorso alla Commissione Europea per l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana, ai sensi dell’art. 258 TFUE, lamentando che il trattamento IVA dei corrispettivi per il trasporto di beni importati, di valore trascurabile, non fosse conforme agli articoli 86, comma 1, lettera b) e 144, direttiva n. 2006/112/CEE. A seguito di tale scelta, dapprima il Comitato IVA aveva espresso un parere favorevole rispetto alle contestazioni mosse dell’impresa ("Working paper n. 711" del 18/10/2011) e, in seguito, la Commissione europea aveva avviato, in data 27 settembre 2012, la procedura di infrazione, ufficializzata con la

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Reasoned Opinion del 20 novembre 2013. Tale procedura di infrazione, infine, ha avuto l’effetto di indurre il Legislatore italiano ad adeguare la normativa interna, con intervento operato dall’art. 12, comma 1, legge n. 115 del 2015 (c.d. legge Europea 2014), che ha inserito il n. 4-bis) all’interno dell’art. 9, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972; ai sensi di questa disposizione sono ora esenti da IVA "i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle direttive n. 2006/79/CE e n. 2009/132/CE del Consiglio dell’Unione Europea sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’art. 69 e ancorché la medesima non sia stata assoggettata ad imposta". L’esito della sentenza di primo grado era stato poi confermato anche dalla Commissione Tributaria Regionale, la cui decisione è stata comunque impugnata dall’Agenzia delle Entrate, che ha proposto ricorso per cassazione. L’Agenzia delle Entrate, in particolare, ritiene che la non imponibilità a fini IVA dei servizi di trasporto in questione sia subordinata alla circostanza che l’IVA su detti servizi sia stata applicata ed assolta in Dogana. Nel caso di specie difetterebbero i presupposti sia del trasporto internazionale (in quanto la prestazione in oggetto ha avuto inizio nello spazio aeroportuale, dopo che il trasporto internazionale aveva avuto termine, con le operazioni di "sdoganamento"), sia della inerenza o accessorietà della prestazione (in quanto effettuata da soggetto diverso da quello che ha effettuato il trasporto internazionale, ed in favore di quest’ultimo, non già del destinatario finale), donde la legittimità della ripresa a tassazione operata dall’Agenzia. La filiale italiana ha ritenuto infondate queste censure, sostenendo che si basino su di una interpretazione del diritto nazionale difforme dalle disposizioni comunitarie ed ha sollecitato la Cassazione, in caso di persistenti incertezze sul trattamento IVA dei corrispettivi delle prestazioni di trasporto di beni di valore trascurabile e di documenti, a sospendere il giudizio e riferire il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte di Cassazione ha accolto la richiesta di rinvio pregiudiziale, ritenendo che occorra verificare la compatibilità con l'ordinamento comunitario del combinato disposto delle norme interne di cui al D.P.R. n. 633/1972, art. 9, comma 1, n. 2), e art. 69, comma 1, laddove essi - ai fini della non imponibilità ai fini IVA dei corrispettivi per i servizi di trasporto connessi agli scambi internazionali - pongono una condizione ulteriore, rispetto agli artt. 144 e 86 della direttiva IVA, pretendendo non solo che le spese di inoltro fino al luogo di destinazione siano incluse nella base imponibile alla Dogana, ma anche che esse siano in concreto assoggettate all'imposta, perciò escludendo la non imponibilità - nonostante la loro accessorietà - in tutti i casi in cui si tratti di importazioni di beni a loro volta non imponibili, come appunto per i documenti ed i beni di valore trascurabile (inferiore a 22 Euro).

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26. Il diritto comunitario prevale sul giudicato nazionale (Cass. Ord. n. 11440/2016)

Il principio nazionale della cosa giudicata, ex art. 2909 c.c., pur trovando pieno riconoscimento nell’ordinamento comunitario, non opera laddove si ponga in contrasto con il principio di effettività in materie, come la disciplina Iva, di particolare rilevanza per l’ordinamento dell’Unione. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con Ordinanza n. 11440 del 1° giugno 2016, ove si legge che “l’efficacia preclusiva di nuovi accertamenti, propria del giudicato esterno tra le stesse parti, presuppone che si tratti di accertamenti di fatto effettuati all’interno del medesimo quadro normativo di riferimento”. In altri termini, è stato affermato che il giudicato nazionale non può avere efficacia in tema di Iva, qualora ciò impedisca il contrasto all’abuso del diritto ed alla piena applicazione del sistema armonizzato dell’imposta e qualora la condotta del contribuente configuri una fattispecie di elusione fiscale secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia. La controversia era stata originata dall’impugnazione di un avviso di accertamento Iva per l’anno 2002, notificato con l’intento di recuperare a tassazione i costi relativi a fatture emesse per operazioni considerate inesistenti dall’Ufficio accertatore. Il ricorso del contribuente era stato respinto in primo grado, appellato ed accolto, invece, in secondo grado dalla CTR Campania, Sezione staccata di Salerno, sul presupposto che su una diversa vicenda intercorsa tra le stesse parti si era già pronunciata una diversa CTR con sentenza passata in giudicato, che aveva riconosciuto la spettanza del credito Iva a favore della società contribuente. L’Amministrazione Finanziaria ricorreva in Cassazione ex art. 360, n. 3 c.p.c., lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in materia di “cosa giudicata”. La Suprema Corte accoglieva il ricorso, cassando con rinvio la pronuncia della CTR, con le seguenti motivazioni:

- laddove il giudice tributario accerti in via definitiva il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta, la pronuncia fa stato quanto ai tributi dello stesso tipo dovuti per i periodi d’imposta successivi, soltanto per gli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile rispetto alla disciplina del caso esaminato. Dunque, qualora quella fattispecie venga definita per uno specifico periodo d’imposta, essa non potrà estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità. Nel caso di specie, la sentenza alla quale era stata attribuita efficacia di giudicato esterno vincolante, in realtà, aveva ad oggetto un errore formale commesso nella compilazione della dichiarazione per l’anno d’imposta 2003, giacché il contribuente non aveva indicato il credito Iva risultante dalla dichiarazione dell’esercizio precedente. Differentemente, il giudizio in commento verte sul disconoscimento sostanziale, ex art. 54 del D.P.R. n. 633/1972, dell’Iva portata in detrazione, essendo contestata dall’Agenzia l’esistenza stessa delle operazioni giustificanti

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Risoluzione n.

3/DF del 1°

giugno 2016 del

Ministero

dell’Economia e

delle Finanze

l’Iva esposta a credito e portata in detrazione per l’anno 2002;

- poiché la controversia inerisce l’ambito Iva, tributo di derivazione comunitaria, è necessario richiamare la giurisprudenza europea in merito ai limiti del carattere vincolante del giudicato nazionale. La S.C. ha, pertanto, affermato che il carattere vincolante e la proiezione del giudicato nazionale anche oltre il periodo d’imposta che ne costituisce specifico oggetto, sono caratteri che non possono, tuttavia, ostacolare l’applicazione delle norme comunitarie imperative alle quali soggiace l’Iva, qualora essi impediscano l’applicazione efficace del principio di contrasto dell’abuso del diritto. Tale principio è considerato dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, nella causa C-2/08) come strumento idoneo a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato dell’imposta.

VARIE

27. Piattaforme petrolifere: imponibilità ai fini IMU e TASI (Ris. MEF 1° giugno 2016)

Ai fini dell’assoggettabilità ad IMU e TASI delle piattaforme petrolifere è necessaria una modifica della disciplina catastale. In questi termini si è espresso il Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento federalismo fiscale, con la risoluzione n. 3 del 1° giugno 2016, in risposta ad un quesito presentato da un’associazione di categoria che chiedeva chiarimenti sulla interpretazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 3618 del 24 febbraio 2016, che ha ritenuto assoggettabili ad ICI le piattaforme petrolifere, nonostante la loro allocazione nel mare territoriale. Secondo il citato parere dei Giudici di legittimità, infatti, “le piattaforme petrolifere sono soggette ad ICI e sono classificabili nella cat. D/7, stante la riconducibilità delle stesse al concetto di immobile ai fini civili e fiscali, alla loro suscettibilità di accatastamento ed a produrre un reddito proprio in quanto la redditività deve essere riferita allo svolgimento di attività imprenditoriale – industriale e non alla diretta produzione di un reddito da parte della struttura. In mancanza di rendita catastale, la base imponibile delle piattaforme, classificabili nella cat. D/7, è costituita dal valore di bilancio, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del D.L. 11 luglio 1992, n. 33, art. 6, comma 3, ovvero in base al valore costituito dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento che risulta dalle scritture contabili.” Nel quesito l’associazione istante ha chiesto la possibilità di applicare alle piattaforme petrolifere, complessi unitari ed inscindibili univocamente caratterizzanti il ciclo produttivo riconnesso all’attività estrattiva degli idrocarburi, la norma della legge di stabilità 2016, che esclude dalla rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie dei gruppi D e E, la componente impiantistica (c.d. macchinari

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Circolare

Agenzia delle

Entrate n. 27 del

13 giugno 2016

imbullonati, funzionale allo specifico processo produttivo). Il Dipartimento delle Finanze ha precisato che, benché le piattaforme petrolifere possano presentare le caratteristiche richieste dalla legge per l’appartenenza alle categorie catastali dei gruppi D ed E, resta il dato oggettivo che, secondo la vigente disciplina catastale, tali cespiti non sono oggetto di inventariazione negli atti del Catasto edilizio urbano, ma bensì di rilievo sistematico dell’Istituto Idrografico della Marina. Pertanto, secondo il Dipartimento, poiché la disciplina IMU prevede quale presupposto impositivo (ai sensi all’art. 2 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) che il fabbricato sia iscritto o debba essere iscritto “nel catasto edilizio urbano”, in mancanza di tale condizione, le costruzioni produttive site in mare non sono assoggettabili a tassazione ai fini IMU e TASI. Per completezza, segnaliamo che il Governo si è impegnato con riferimento alla questione in commento, in recenti risoluzioni approvate presso la Commissione Finanze, ad assumere ogni iniziativa volta "a uniformare all'orientamento giurisprudenziale consolidato il quadro normativo relativo all’imponibilità delle piattaforme petrolifere ai fini della tassazione immobiliare e, in particolare, a includere le stesse tra gli immobili classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto".

28. Risposte a quesiti della stampa specializzata in materia di catasto (Circ. n. 27/E/2016)

Con la circolare n. 27 del 13 giugno 2016, l’Agenzia delle Entrate ha raccolto le risposte a quesiti posti dalla stampa specializzata in occasione del convegno organizzato per i 130 anni del Catasto. Riportiamo di seguito i chiarimenti forniti dall’Agenzia in merito a specifiche tematiche catastali di maggiore interesse per le imprese:

- Telefonia mobile ed impianti eolici: si precisa che elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità e le altre infrastrutture realizzate per le installazioni di telefonia mobile (tra cui, ad esempio, tubature, piloni, cavidotti, pozzi di ispezione, pozzetti, centraline, edifici o accessi a edifici, installazioni di antenne, tralicci e pali) non devono essere presi in considerazione nella determinazione della rendita catastale a decorrere dal primo luglio 2016, come previsto dal D. Lgs. 15 febbraio 2016, n. 33 , che modifica il Codice delle comunicazioni elettroniche. Diversamente, le strutture di sostegno degli aerogeneratori delle centrali eoliche, che presentano le caratteristiche della solidità, della stabilità, della consistenza volumetrica, nonché della immobilizzazione al suolo, che permettono di qualificarle come “costruzioni”, coerentemente con quanto già indicato nella circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016 dell’Agenzia delle Entrate, sono da includere

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Le novità fiscali di Maggio e Giugno 2016

Circolare

Agenzia delle

Entrate n. 26 del

1° giugno 2016

nella stima diretta finalizzata alla determinazione della rendita catastale della centrale eolica. Inoltre, più nel dettaglio l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, in questo specifico caso, tra le componenti immobiliari oggetto di stima catastale sono annoverabili il suolo, le torri con le relative fondazioni, gli eventuali locali tecnici che ospitano i sistemi di controllo e trasformazione e le sistemazioni varie, quali recinzioni, viabilità, ecc., posti all’interno del perimetro dell’unità immobiliare.

- Impianti fotovoltaici: con riferimento alle modalità di scorporo della componente impiantistica delle centrali fotovoltaiche, dichiarate in catasto come unità immobiliare autonoma, l’Agenzia conferma che devono essere esclusi dalla rendita sia gli inverter, sia i pannelli fotovoltaici, ad eccezione di quelli integrati nella struttura e costituenti copertura di costruzioni. Tali conclusioni valgono sia qualora l’impianto fotovoltaico sia accatastato autonomamente (con categoria catastale D/1 – opifici, centrali di produzione di energia elettrica), oppure sia pertinenza di unità a sola destinazione produttiva (censibili nelle categorie D ed E, qualora le componenti rilevanti ai fini della stima catastale dell’impianto ne incrementano il valore capitale di una percentuale del 15%);

- Impianti di risalita: l’Agenzia delle Entrate dopo aver ricordato che la

componente e impiantistica deve essere esclusa dalla determinazione della rendita catastale, (nel caso specifico funi, carrelli, sospensioni, cabine e motori che azionano i sistemi di trazione) ha confermato che, indipendentemente dai nuovi criteri di determinazione della rendita catastale, gli impianti di risalita che hanno destinazione esclusivamente o prevalentemente commerciale, per finalità turistico – ricreative, continuano ad essere accatastati nella categoria D/8 – Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni.

- Leasing abitativo: l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il requisito

dell’età, così come quello reddituale deve sussistere necessariamente solo al momento della stipula del contratto di leasing abitativo.

29. Cessione di beni ai soci (Circ. n. 26/E/2016)

Con la Circolare n. 26/E del 1° giugno 2016, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con chiarimenti circa il regime fiscale agevolato di carattere temporaneo, introdotto dalla Legge di Stabilità 2016 (art. 1, commi da 115 a 120, Legge n. 208/2015), che consente l’assegnazione e la cessione agevolata di taluni beni ai soci, nonché la trasformazione in società semplici delle società aventi per oggetto esclusivo o principale la gestione dei predetti beni. La ratio della norma risiede nella volontà del Legislatore fiscale di incentivare i contribuenti alla regolarizzazione di situazioni in cui è fatto un uso improprio della struttura societaria, avendo intestato ad essa beni, che, in realtà, siano di

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utilizzo personale o familiare, al solo scopo di godere del regime fiscale IRES, maggiormente favorevole rispetto alla tassazione IRPEF. La circolare in commento adotta un approccio interpretativo sintetizzabile nei seguenti aspetti:

Ambito soggettivo: in termini generali, possono fruire dell’agevolazione le società che siano titolari di beni non utilizzati ai fini del ciclo economico (c.d. beni immobili patrimoniali) e le società non operative ai sensi della legge n. 724/1994 o del D.L. n. 138/2011. Nello specifico, può trattarsi di società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società a responsabilità limitata, società per azioni e società in accomandita per azioni, a condizione che, alla data del 30 settembre 2015, tutti i soci risultino iscritti nel Libro dei soci (ove prescritto), ovvero siano stati ivi iscritti entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di Stabilità 2016 (entro la fine di gennaio 2016) in forza di un titolo di trasferimento avente data certa anteriore al 1° ottobre 2015. L’agevolazione può essere applicata anche alle società aventi oggetto esclusivo o principale la gestione dei beni predetti e che si trasformino in società semplici entro il 30 settembre 2016. L’Agenzia delle Entrate precisa, inoltre, che tra i soggetti residenti nella condizione di poter effettuare l’assegnazione agevolata rientrano anche le società di armamento, le società di fatto esercenti attività commerciali, le società in liquidazione, purché sussistano, in riferimento a queste ultime, le condizioni previste dalla norma in commento. L’Agenzia fa presente che, con riguardo ai soci verso i quali la società può procedere all’assegnazione agevolata dei beni, mancando in proposito una espressa limitazione soggettiva, potrebbe anche trattarsi di soggetti diversi dalle persone fisiche e potrebbero non essere residenti nel territorio dello Stato. Devono, invece, escludersi dall’applicazione della disciplina in esame gli enti non commerciali e le società non residenti in Italia, ma ivi operanti per mezzo di una stabile organizzazione. L’Agenzia ha considerato alcune particolari fattispecie, quali i casi di fusione, propria o per incorporazione, e di scissione, totale o parziale. In dette operazioni, applicando il principio di continuità fiscale che generalmente le assiste, la società incorporante risultante dalla fusione e la società beneficiaria della scissione possono procedere all’assegnazione dei beni anche verso i soci delle società incorporate, fuse o scisse, sempre a condizione che questi ultimi abbiano rivestito la qualità di soci presso le società di provenienza, alla data del 30 settembre 2015.

Ambito oggettivo: ai sensi dell’art. 1, comma 115, Legge di Stabilità 2016, possono essere assegnati ai soci taluni beni dotati di determinate caratteristiche, le quali devono essere verificate nel momento dell’assegnazione, a prescindere dalla data della loro acquisizione al patrimonio della società. Trattasi di beni immobili, diversi da quelli destinati strumentalmente ed esclusivamente all’esercizio dell’attività d’impresa (ovvero beni diversi da quelli indicati nell’art. 43, comma 2,

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primo periodo, del TUIR) e di beni mobili iscritti in pubblici registri, non utilizzati come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa. Con riferimento ai primi, nella Circolare si precisa che sono agevolabili, in quanto si considerano “non strumentali per destinazione”, quei beni immobili che, pur concorrendo a determinare il reddito d’impresa della società, formano oggetto dell’attività d’impresa e sono idonei a produrre un reddito autonomo, il quale viene attratto al reddito d’impresa (per es. trattasi di immobili locati a terzi); a tale categoria di beni “non strumentali per destinazione” appartengono gli immobili posseduti dalle società, il cui oggetto di attività consiste proprio nella gestione di immobili. L’Agenzia si è espressa con riguardo al concetto di “bene strumentale per destinazione”, in riferimento alla peculiare ipotesi in cui all’attività passiva di riscossione dei canoni (attività immobiliare tipica) si affianchi la prestazione di servizi complementari: è precisato che, in tal caso, gli immobili non possono essere oggetto di assegnazione agevolata, in quanto trattasi di beni funzionali allo svolgimento di una più complessa ed articolata attività, in termini quantitativi e qualitativi. Quanto valevole e specificato per i beni immobili, circa il significato di “strumentalità” all’attività propria dell’impresa, intesa nel senso che senza quei beni detta attività non può essere esercitata, si applica anche alla categoria dei beni mobili registrati. Rientrano in questa seconda categoria di beni agevolabili, per esempio, le autovetture concesse in uso ai dipendenti per esigenze di lavoro. Nella circolare in commento sono fornite due importanti precisazioni: primariamente, si rileva che il momento dell’assegnazione è quello in cui l’atto di assegnazione viene effettuato, piuttosto che il momento in cui è emessa la delibera che dispone l’assegnazione stessa; ulteriormente, si afferma che il cambiamento di destinazione d’uso del bene, seppur effettuato in prossimità della data di assegnazione proprio con l’intento di fruire dell’agevolazione, si configura come una scelta preordinata all’esercizio della facoltà prevista dal Legislatore e dalla quale deriva un legittimo risparmio d’imposta. Pertanto, trattasi di operazione non sindacabile ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000. Nel documento di prassi, l’Agenzia ricorda che devono escludersi dai beni assegnabili in maniera agevolata i diritti reali afferenti i beni (usufrutto, nuda proprietà, etc.) ed i diritti edificatori, in quanto, dalla lettera della norma, sembrerebbe che il regime agevolativo sia applicabile soltanto ai beni e, pertanto, non sarebbe possibile beneficiarne nelle ipotesi in cui la società non intenda assegnare ai soci l’intera proprietà, ma soltanto un singolo diritto sul bene; neanche le quote di partecipazione in società sono ammesse a godere del regime di favore.

Imprese individuali ed esclusione dei beni strumentali: deve essere data evidenza alla previsione contenuta nell’art. 1, comma 121 della Legge di Stabilità 2016, ove è stata introdotta la possibilità per gli imprenditori

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individuali di esercitare l’opzione per escludere dal patrimonio dell’impresa tutti gi beni strumentali, che siano tali per natura o per destinazione e posseduti alla data del 31 ottobre 2015. In tal caso, l’opzione per l’esclusione doveva essere esercitata entro il 31 maggio 2016 con effetti a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2016. Per avvalersi del regime agevolativo è ritenuto sufficiente un comportamento concludente dell’imprenditore, come potrebbe essere la contabilizzazione dell’estromissione del bene sul Libro giornale o sul Registro dei beni ammortizzabili; in un momento successivo il suddetto soggetto dovrà perfezionare l’opzione indicando il valore dei beni e dell’imposta sostitutiva nella propria dichiarazione dei redditi.

Tempi e modalità dell’assegnazione: per godere del regime temporaneo agevolato è necessario che, entro il 30 settembre 2016, i soggetti interessati assegnino o concedano ai soci i beni immobili o i beni mobili iscritti in pubblici registri, i quali non siano utilizzati come beni strumentali per lo svolgimento dell’attività propria dell’impresa.

Base imponibile: l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP si applica sulla differenza tra il valore normale dei beni assegnati o, in caso di trasformazione, dei beni posseduti all’atto della trasformazione, ed il loro costo fiscalmente riconosciuto. Per gli immobili, la società può avanzare la richiesta, che, nel rispetto delle condizioni prescritte dalla legge di Stabilità, il valore normale sia determinato in misura pari a quello risultante dall’applicazione all’ammontare delle rendite catastali dei moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità di cui all’art. 52, comma 4, primo periodo, del D.P.R. n. 131/1986; in particolare, si tratta dei moltiplicatori del 75% per i terreni e del 100% per i fabbricati. Nell’ipotesi di cessione del bene, ai fini della determinazione dell’imposta sostitutiva, qualora il corrispettivo della cessione risulti inferiore al valore normale del bene, determinato ai sensi dell’art. 9 TUIR o, in alternativa, dell’art. 52 D.P.R. n. 131/1986, detto corrispettivo deve essere computato in misura non inferiore ad uno dei due predetti valori. Dunque, la società aderente al regime agevolativo, può scegliere se determinare il valore normale del bene oggetto di assegnazione o cessione ai sensi dell’art. 9 TUIR, ovvero nella misura risultante dall’applicazione dei moltiplicatori di cui all’art. 52 D.P.R. n. 131/1986, applicabili ai fini dell’imposta di registro. Va detto che, nel silenzio delle norme in esame, il valore normale dei beni mobili iscritti in pubblici registri sembrerebbe doversi individuare in base alle disposizioni ordinarie di cui all’art. 9 TUIR. Inoltre, l’Agenzia rende i seguenti chiarimenti aggiuntivi: il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute dai soci delle società trasformate va aumentato della differenza assoggettata ad imposta sostitutiva; nei confronti dei soci assegnatari non si applicano le disposizioni di cui all’art. 47, TUIR (norma che disciplina la tassazione degli utili da partecipazione). Tuttavia, il valore normale dei

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beni ricevuti, al netto dei debiti accollati, riduce il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute; è ammesso che la base imponibile dell’imposta di registro sia individuabile nel valore catastale dell’immobile, piuttosto che nel valore venale dello stesso; infine, è confermato che le assegnazioni agevolate di beni ai soci configurano cessioni di beni e, dunque, integrano il presupposto oggettivo per l’applicazione dell’IVA (art. 2, comma 2, n.6 D.P.R. n. 633/1972). Interessanti sono i chiarimenti resi nella circolare in merito alla base imponibile IVA delle assegnazioni: questa è individuata dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni ceduti o di beni simili, determinati nel momento di effettuazione delle operazioni. L’Agenzia ha precisato, in proposito, che il prezzo di acquisto deve essere “attualizzato”, ovvero maggiorato delle spese sostenute per apportare migliorie sul bene e che ne abbiano incrementato il valore in maniera duratura, tenendosi e, comunque, tenendosi anche conto del deprezzamento subìto dal bene nel tempo. È espressamente escluso che debbano essere considerati gli incrementi di valore generati da fluttuazioni a rialzo del mercato.

Aliquota e modalità di versamento: l’imposta sostitutiva dell’IRES e dell’IRAP è applicata con un’aliquota ordinaria pari all’8% della differenza tra il valore normale del bene assegnato ed il costo ad esso fiscalmente riconosciuto. Per le società non operative in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento dell’assegnazione o per quelle in perdita sistematica, invece, l’aliquota è aumentata al 10,5%. Per le assegnazioni e le cessioni di beni agevolate, qualora soggette all’imposta di registro in misura proporzionale, le aliquote di tale imposta devono essere ridotte alla metà e le imposte ipotecarie e catastali si applicano nella misura fissa pari a 200 euro. Le riserve in sospensione d’imposta annullate per effetto dell’assegnazione dei beni ai soci e quelle delle società che si trasformano sono assoggettate ad imposta sostitutiva nella misura del 13%. Infine, l’Agenzia delle Entrate precisa che l’esercizio dell’opzione per l’assegnazione agevolata dei beni deve considerarsi perfezionato con l’indicazione in dichiarazione dei redditi dei valori dei beni assegnati e della relativa imposta sostitutiva. Per questo, il mancato, parziale e/o tardivo versamento dell’imposta sostitutiva non rileva ai fini del perfezionamento dell’assegnazione agevolata e si procederà ad iscrivere a ruolo l’imposta sostitutiva non versata, secondo la disposizione di cui all’art. 10 e ss. Del D.P.R. n 602/1973, rimanendo ferma la possibilità per il contribuente di avvalersi dell’istituto del c.d. “ravvedimento operoso” (art. 13 del D.lgs. n. 472/1997). Per la riscossione, i rimborsi ed il contenzioso si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi.

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AIUTI DI STATO

30. Comunicazione della Commissione europea sulla nozione di aiuto

Il 19 maggio la Commissione europea (CE) ha adottato la Comunicazione sulla nozione di aiuto di Stato. Obiettivo della Comunicazione è quello di chiarire, alla luce della giurisprudenza delle Corti europee, il significato dei diversi requisiti in presenza dei quali un intervento pubblico è configurabile come aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107.1, Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). La Comunicazione chiarisce la nozione di impresa per distinguere quelle situazioni nelle quali l’intervento pubblico ha natura economica rispetto a quelle in cui lo stesso ha natura di esercizio di poteri pubblici. Solo nel primo caso, infatti, siamo in presenza di aiuto di Stato. Il documento procede, poi, nell’analisi degli altri requisiti che caratterizzano un aiuto di Stato: l’utilizzo di risorse pubbliche e la loro imputabilità allo Stato; il vantaggio conferito; la selettività del vantaggio stesso; gli effetti dell’aiuto sugli scambi tra Stati membri e sulla concorrenza. Rispetto alla precedente bozza del documento, la CE ha deciso di porre particolare attenzione ad alcuni aspetti controversi della materia. In particolare, si sofferma sul problema degli aiuti sotto forma di misura fiscale che hanno presentato negli ultimi tempi nuovi fronti di intervento (decisioni della Commissione in materia di tax rulings). Maggiore spazio viene dato al problema dell’interpretazione della disciplina nei casi di finanziamento delle infrastrutture. La sentenza della Corte di Giustizia Leipzig Halle del 19 dicembre 2012 ha sollevato, infatti, la questione della possibile presenza di un aiuto di Stato non solo al livello della gestione della infrastruttura e del suo utilizzo, come da tempo riconosciuto, ma anche della sua costruzione. La Comunicazione chiarisce, ad esempio, che l’investimento per la costruzione o il miglioramento di una infrastruttura non costituisce aiuto se l’infrastruttura non è in diretta concorrenza con altre infrastrutture dello stesso tipo; oppure se un’infrastruttura è costruita con aiuto pubblico, esso non porta vantaggio al gestore se questo paga un prezzo di mercato.

31. Decisione della Commissione europea sul tax ruling di Fiat Finance & Trade e Starbucks

Contesto A seguito delle indagini formali avviate nel giugno 2014, la Commissione europea (CE), con due decisioni del 21 ottobre 2015, rese pubbliche, rispettivamente, il 9 e il 27 giugno 2016, è giunta alla conclusione che il

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Lussemburgo e l’Olanda hanno concesso vantaggi fiscali selettivi a Fiat Finance and Trade (FFT, società di finanziamento del gruppo Fiat) e al gruppo Starbucks Manufacturing. Ad avviso della Commissione, infatti, i tax ruling concessi avrebbero comportato una riduzione artificiosa delle imposte dovute dalle due società. Benchè i tax ruling siano strumenti perfettamente legali (stabiliscono i criteri con cui le autorità nazionali determinano le modalità di calcolo delle imposte societarie o l’applicazione di alcune disposizioni fiscali speciali), i ruling in esame, secondo la CE, hanno avallato metodi complessi e artificiosi di determinazione dei prezzi di vendita di beni e servizi infragruppo, che non riflettono le normali condizioni del mercato. I tax ruling Fiat Finance & Trade La base di capitale stimata ai fini del tax ruling di FFT è stata giudicata inferiore al capitale effettivo della società e, parimenti, la remunerazione stimata del capitale, già notevolmente ridimensionato, ai fini fiscali è risultata inferiore rispetto ai tassi di mercato. In questo modo, gli utili da assoggettare ad imposta in Lussemburgo risultano, secondo la CE, sottostimati. Nel 2012, l’Autorità fiscale del Lussemburgo aveva concesso a FFT un tax ruling per la determinazione degli utili della società da assoggettare alle imposte sul reddito in Lussemburgo. In occasione del tax ruling, era stato utilizzato il “Transational Net Margin Method” (TNMM), considerato il più appropriato per determinare la remunerazione di libera concorrenza (“arm’s length pricing”), così come suggerita dalle Linee Guida dell’OCSE sui transfer pricing, nei casi di servizi finanziari infragruppo (come nel caso di FFT, parte del gruppo Fiat). L’attività di FFT era stata assimilata a quella di una banca e il calcolo del reddito imponibile era stato effettuato prendendo a riferimento quattro variabili: i) il capitale di rischio di FFT; ii) il capitale di FFT utilizzato per gli investimenti finanziari; iii) la stima della remunerazione attesa per il capitale di rischio di FFT (utilizzando il Capital Asset Pricing Model); iv) il calcolo della redditività complessiva di FFT per la remunerazione dei rischi e delle funzioni svolte, combinando i risultati delle prime 3 variabili. L’importo risultante dal calcolo - e che l’amministrazione fiscale lussemburghese riteneva essere conforme alle condizioni di mercato - era pari a 2.542.000 €. La base normativa del tax ruling a favore di FFT è l’articolo 164(3) del Codice delle imposte sui redditi (loi modifiée du 4.12.1967 concernant l’impȏt sur le revenu – “L.I.R.”), corredato dalla Circolare L.I.R. n° 164/2 del 28 gennaio 2010. In base alla citata normativa, le operazioni tra società infragruppo sono

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remunerate come se fossero svolte tra società indipendenti, sulla base di normali condizioni di mercato. Starbucks Parallelamente al caso di FFT, anche nel caso di Starbucks la determinazione della base imponibile del gruppo è stata determinata con metodi non adeguati che ne hanno determinato un’artificiosa diminuzione. La stima dei prezzi di trasferimento tra le società del gruppo, secondo la CE, non era in linea con le condizioni di mercato. Nel 2008 l’autorità fiscale olandese ha approvato un tax ruling per la determinazione dell’utile di esercizio del gruppo che avrebbe avuto una durata di 10 anni, dal 1° ottobre 2007 al 31 dicembre 2017. L’indagine della CE ha rivelato che il tax ruling riduceva artificiosamente le imposte pagate da Starbucks Manufacturing in due modi:

- la società versa royalty estremamente onerose ad Alki (società del gruppo Starbucks con sede nel Regno Unito) per usufruire di know-how relativo alla tostatura del caffè;

- paga inoltre un prezzo gonfiato per chicchi verdi di caffè a Starbucks Coffee Trading SARL, società con sede in Svizzera.

Dall’indagine della CE è emerso che la remunerazione corrisposta da Starbucks Manufacturing ad Alki non è giustificabile perché non rispecchia realisticamente il valore di mercato. Solo Starbucks Manufacturing infatti paga diritti per l’utilizzo del know-how in questione, mentre nessun’altra società del gruppo Starbucks o nessun torrefattore indipendente a cui è stata esternalizzata la torrefazione versa diritti per l’uso dello stesso know-how in situazioni essenzialmente identiche. Nel caso di Starbucks Manufacturing, l’esistenza e l’entità dei diritti corrisposti fanno sì che gran parte degli utili imponibili siano indebitamente trasferiti ad Alki, che non è tenuta a pagare l'imposta sulle società né nel Regno Unito né nei Paesi Bassi. L’indagine ha inoltre rivelato che la base imponibile di Starbucks Manufacturing è indebitamente ridotta dal prezzo gonfiato pagato per i chicchi verdi di caffè a una società svizzera, la Starbucks Coffee Trading SARL. Difatti, il margine sui chicchi è più che triplicato a partire dal 2011. A causa di questo elevato fattore di costo, cruciale per la torrefazione del caffè, le attività di torrefazione del caffè di Starbucks Manufacturing non generano da sole utili sufficienti a pagare i diritti dovuti ad Alki per l'utilizzo del know-how. Il pagamento di tali diritti fa sì che sia trasferita ad Alki gran parte degli utili generati con la vendita di altri prodotti, quali tè, pasticceria e tazze, ai negozi Starbucks. Queste vendite rappresentano la maggior parte del fatturato di Starbucks Manufacturing. Presenza di aiuto Secondo costante giurisprudenza comunitaria, perché una misura possa

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essere classificata come aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107.1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, deve trattarsi di un intervento imputabile allo Stato, realizzato mediante risorse statali, in grado di distorcere la concorrenza o incidere sugli scambi tra gli Stati membri e idoneo a conferire un vantaggio selettivo all’impresa beneficiaria. Secondo la CE le amministrazioni fiscali del Lussemburgo e dei Paesi Bassi avrebbero accettato un metodo di ripartizione degli utili di FFT e Starbucks all’interno dei gruppi che avrebbero accordato loro una riduzione dell’imposta sul reddito annuale delle società dovuta. Come costantemente statuito dalla giurisprudenza UE, un provvedimento mediante il quale la pubblica autorità accorda a determinate imprese un’esenzione fiscale che, pur non implicando un trasferimento positivo di risorse statali, pone il beneficiario in una posizione più favorevole rispetto ad altri concorrenti, risponde al criterio dell’impiego di risorse statali. La situazione sembra, pertanto, soddisfatta nei casi in analisi, dal momento che la riduzione delle imposte a beneficio di FFT e Starbucks comporta una perdita di gettito fiscale per il Lussemburgo e per i Paesi Bassi. Il presupposto della potenziale distorsione della concorrenza e degli scambi tra gli Stati membri è presunta (e quindi confermata) dal momento che FFT e Starbucks operano a livello globale e la riduzione delle imposte dovute, comporta un miglioramento della loro posizione rispetto alle imprese concorrenti. In materia fiscale, per la verifica dell’attribuzione di un vantaggio all’impresa beneficiaria, la Corte di Giustizia utilizza un’analisi a tre step: i) l’individuazione di un sistema di riferimento; ii) la verifica se l’agevolazione rappresenta una deroga al sistema di riferimento; iii) la verifica se tale deroga può essere giustificata dalla natura o dalla struttura generale del sistema di riferimento. Se il punto iii) è soddisfatto, non si è in presenza di aiuto di Stato. Per quanto riguarda il punto i), nel caso di FFT il sistema di riferimento è rappresentato dal L.I.R. che non riconosce distinzione tra società infragruppo e società indipendenti e impone la tassazione sui redditi a tutte le società residenti in Lussemburgo, incluse le branch di società estere presenti in Lussemburgo. La determinazione dei redditi di una società, derivanti da operazioni infragruppo, deve essere effettuata a condizioni di mercato, ossia considerando la società come se fosse indipendente e svolgesse le stesse attività a condizioni di mercato. Per il caso Starbucks il riferimento è rappresentato dal Sistema di tassazione del reddito olandese che, analogamente a quello del Lussemburgo, ha come obiettivo la tassazione dei redditi delle società con sede nei Paesi Bassi, senza alcuna distinzione tra società infragruppo e società indipendenti. La CE sostiene che per sia per FFT che per Starbucks sia stato adottato un

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metodo di calcolo del reddito imponibile in Lussemburgo e in Olanda, derogatorio rispetto al sistema di riferimento poiché non sono stati correttamente applicati i principi della determinazione dei profitti a condizioni di mercato. Il punto ii) si ritiene quindi soddisfatto. I tax ruling concessi non considerano, infatti, le transazioni effettuate dalla stessa all’interno del gruppo come se fossero effettuate da entità indipendenti. In ultimo, analizzando il punto iii), la CE non ha ritenuto opportuno concedere né al Lussemburgo né all’Olanda alcuna giustificazione alla deroga concessa a FFT e Starbucks poiché la posizione delle due società sotto indagine è perfettamente paragonabile a quella di qualunque altra società che svolga prestazioni infragruppo e perciò deve essere considerata nella stessa situazione di diritto e fattuale delle altre. Per questo la CE ritiene soddisfatti anche i ultimi elementi che costituiscono un aiuto di Stato, poiché le misure concedono un vantaggio selettivo a favore di FFT e Starbucks. Decisione della CE L'indagine della CE ha, quindi, confermato che i tax ruling concessi a FFT e Starbucks hanno indebitamente ridotto il carico fiscale della società, a partire dal 2012 per FFT e dal 2008 per Starbucks, di 20-30 milioni di €. I tax ruling adottano una metodologia di calcolo dei profitti estremamente complessa che non riflette le condizioni di mercato. In particolare, per FFT si abbassa artificialmente sia il capitale effettivamente conseguito, sia la remunerazione applicata al capitale della società. La valutazione della Commissione ha dimostrato che se le stime del capitale e di remunerazione applicate fossero state fatte a condizioni di mercato, la base imponibile dichiarata da FFT in Lussemburgo sarebbe stata 20 volte superiore. Per Starbucks, la maggior parte degli utili generati dalla società di torrefazione del caffè del gruppo sono stati trasferiti all’estero, per di più in paesi dove non sono tassati. Recupero La CE, ritenendo quindi i tax ruling concessi un aiuto di Stato illegale e incompatibile, ne impone il recupero al fine di ridurre la distorsione della concorrenza determinata. Il valore del vantaggio concorrenziale indebito concesso corrisponde alla differenza tra le imposte effettivamente versate e quelle che sarebbero state versate in assenza dei tax ruling. Secondo la CE, tale importo sarebbe pari ad almeno 20-30 milioni di € per ciascuna impresa, ma la determinazione dell’ammontare esatto delle imposte da recuperare è demandata a ciascuna autorità fiscale competente sulla base della metodologia stabilita dalla CE.

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32. Decisione di avvio di indagine sul tax ruling di Mc Donald’s

Contesto Il 9 giugno 2016 è stato reso pubblico il testo completo della decisione, da parte della Commissione europea, di avviare un’indagine formale sul trattamento fiscale di McDonald’s in Lussemburgo. La CE valuterà se le autorità lussemburghesi abbiano derogato in modo selettivo dalle disposizioni della loro legislazione fiscale nazionale e della convenzione Lussemburgo/USA sulla doppia imposizione, concedendo a McDonald’s un vantaggio cui le altre imprese non avrebbero potuto beneficiare, pur trovandosi in una situazione fattuale e giuridica analoga. In virtù di due tax ruling adottati dalle autorità lussemburghesi, dal 2009 McDonald’s Europe Franchising non versa le imposte sulla società in Lussemburgo, pur avendo realizzato ingenti utili (più di 250 milioni di euro nel 2013). Tali utili corrispondono alle royalties pagate dai titolari dei contratti di franchising che gestiscono ristoranti fast-food in Europa e in Russia per il diritto di utilizzare il marchio McDonald’s e i relativi servizi. La sede principale dell’impresa, che si trova in Lussemburgo, è responsabile delle decisioni strategiche. L’impresa possiede inoltre due filiali, una in Svizzera, che svolge attività limitate per quanto riguarda i diritti di franchising, e una filiale negli Stati Uniti, che non svolge alcuna reale attività. Le royalties percepite dall’impresa vengono trasferite internamente alla filiale statunitense. I tax ruling Nell’estate del 2014, la Commissione ha chiesto informazioni sui tax ruling in oggetto, dopo che sulla stampa erano circolate voci su un trattamento fiscale favorevole di cui McDonald’s avrebbe beneficiato in Lussemburgo. Successivamente, i sindacati hanno fornito alla Commissione altre informazioni. La valutazione che la Commissione ha svolto finora ha evidenziato che, in particolare grazie al secondo tax ruling concesso all’impresa, dal 2009 McDonald’s Europe Franchising praticamente non paga alcuna imposta sulle società sui suoi utili né in Lussemburgo né negli Stati Uniti. In particolare, ciò è potuto avvenire perché:

- un primo tax ruling adottato dalle autorità lussemburghesi nel marzo 2009 ha confermato che McDonald’s Europa Franchising non era tenuta a versare l’imposta sulle società in Lussemburgo in quanto gli utili erano soggetti a tassazione negli USA. Tale provvedimento è stato giustificato facendo riferimento alla convenzione Lussemburgo-USA sulla doppia imposizione. In base al ruling, McDonald’s era tenuta a trasmettere, con cadenza annuale, elementi di prova che dimostrassero

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che le royalties trasferite negli Stati Uniti attraverso la Svizzera erano state dichiarate e assoggettate a tassazione negli USA e in Svizzera.

- Tuttavia, contrariamente a quanto assunto dalle autorità fiscali del Lussemburgo all’atto di adozione del primo ruling, gli utili in questione non erano soggetti a tassazione negli Stati Uniti. Infatti, sebbene secondo tale interpretazione del diritto lussemburghese, McDonald’s Europe Franchising fosse un soggetto imponibile negli Stati Uniti, in realtà, in base al diritto degli Stati Uniti, non lo era. Per questo motivo McDonald’s non ha potuto fornire alcuna prova che gli utili fossero assoggettati ad imposta negli Stati Uniti, come richiesto dal primo ruling.

- McDonald’s ha chiarito questo aspetto nel quadro della comunicazione con cui ha fatto richiesta di un secondo ruling, insistendo sul fatto che il Lussemburgo avrebbe comunque dovuto esentare dall’imposizione in Lussemburgo gli utili non tassati negli Stati Uniti. Nel settembre 2009, le autorità lussemburghesi hanno quindi adottato un secondo tax ruling, in base al quale McDonald’s non era più tenuta a dimostrare che i suoi utili fossero soggetti a tassazione negli Stati Uniti. Il secondo ruling ha confermato che gli utili di McDonald’s Europe Franchising non erano soggetti a tassazione in Lussemburgo, sebbene fosse emerso chiaramente che essi non erano soggetti a tassazione nemmeno negli Stati Uniti.

Con il secondo ruling, le autorità lussemburghesi hanno accettato di esonerare quasi integralmente dalla tassazione in Lussemburgo gli utili di McDonald’s Europe Franchising. Gli argomenti che McDonald’s ha utilizzato con le autorità fiscali lussemburghesi In generale, le imprese sono tenute a versare l’imposta sulle società sugli utili realizzati in un dato paese se esse sono riconosciute come soggetto imponibile in tale paese (“stabile organizzazione”). Per essere riconosciute come tali, esse devono svolgere un certo livello di attività commerciali in tale paese. Nelle discussioni con le autorità lussemburghesi, McDonald’s ha argomentato che la filiale statunitense di McDonald’s Europe Franchising rappresentava una “stabile organizzazione” ai sensi della legge lussemburghese, poiché esercitava un sufficiente livello di attività per essere ritenuta come soggetto negli Stati Uniti. Contemporaneamente, McDonald’s ha sostenuto che la sua filiale statunitense non rappresentava una “stabile organizzazione” ai sensi del diritto degli Stati Uniti in quanto, dal punto di vista delle autorità fiscali statunitensi, essa non esercitava sufficienti attività commerciali negli Stati Uniti. Pertanto, mentre le autorità lussemburghesi hanno riconosciuto la filiale statunitense di McDonald’s Europe Franchising come soggetto presso cui avrebbe dovuto essere tassata la maggior parte degli utili dell’impresa, le autorità fiscali statunitensi non l’hanno riconosciuta in quanto tale. Le autorità

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del Lussemburgo hanno quindi esentato dalla tassazione in Lussemburgo gli utili dell’impresa, pur sapendo che in realtà essi non erano soggetti a tassazione negli Stati Uniti. L’ambito dell’indagine della Commissione La Commissione si appresta a indagare ulteriormente per verificare se i suoi timori siano giustificati, valutando in particolare se il secondo tax ruling fiscale fiscali abbia concesso a McDonald’s Europe Franchising un trattamento fiscale favorevole in violazione delle norme UE in materia di aiuti di Stato. In particolare, la Commissione valuterà se le autorità lussemburghesi abbiano derogato in modo selettivo dalle disposizioni della loro legislazione fiscale nazionale e della convenzione Lussemburgo/USA sulla doppia imposizione e se così facendo le autorità lussemburghesi abbiano concesso a McDonald’s un vantaggio cui le altre imprese non avrebbero potuto beneficiare, pur trovandosi in una situazione fattuale e giuridica analoga. L’indagine non mette in discussione il regime fiscale generale del Lussemburgo.

INTERNAZIONALE

33. Approvata risoluzione anti evasione del Parlamento Europeo

Nella seduta dell’ 8 giugno 2016, il Parlamento europeo ha approvato la proposta di direttiva comunitaria avanzata dalla Commissione europea – proposta COM (2016) 26 – recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno (c.d. Direttiva ATA). Sulla stessa, il 17 giugno è stato raggiunto un accordo politico in seno al Consiglio Ecofin. Si ricorda che la proposta era parte integrante del cd. “pacchetto antielusione” presentato dalla Commissione il 28 gennaio 2016, contenente, inoltre:

una raccomandazione agli Stati membri per evitare gli abusi dei trattati fiscali,

la modifica alla direttiva 2011/16/UE (DAC) per integrare nella cornice della cooperazione amministrativa tra Stati il meccanismo di Country by Country Reporting delle informazioni fiscali inerenti le multinazionali operanti in Europa

indicazioni per la promozione di una efficace tax governance a livello internazionale (strategia esterna), tra cui linee guida per la creazione di una “black list” di Stati terzi che non intendano adeguarsi agli standard di trasparenza.

La direttiva antielusione mira ad introdurre nella legislazione degli Stati membri, in maniera armonizzata, le risultanze di alcune Raccomandazioni internazionali approvate nell’ambito del progetto OCSE/G20 sul BEPS (Base Erosion and Profit Shifting). Ferma restando la facoltà per ciascuno Stato di adottare regole maggiormente stringenti rispetto a quelle contenute nella

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proposta. Si evidenzia che rispetto alla formulazione contenuta nel pacchetto antielusione il testo sul quale gli Stati hanno raggiunto un accordo risulta significativamente modificato, con variazioni non marginali sulle singole norme e, in particolare, la soppressione dell’articolo 6 riguardante la c.d. “clausola di switch-over”. In particolare, gli ambiti involti nella regolamentazione, che integrano la formulazione finale della direttiva riguardano:

- limiti alla deducibilità degli interessi passivi: in linea generale, è prevista una limitazione alla deducibilità degli interessi passivi vincolata al 30% dell’EBITDA (margine operativo lordo); sono previste regole specifiche per l’applicazione delle limitazioni ai gruppi di imprese.

- imposizione in uscita (exit tax): vengono introdotti principi comuni in relazione alla tassazione in uscita (trasferimento di attivi o stabili organizzazioni in altri Paesi);

- società controllate estere (CFC): sono delineate linee comuni per la tassazione in capo ai soggetti controllanti dei profitti delle controllate o delle S.O. localizzate in Paesi a bassa tassazione, comunitari o terzi. A tal fine la disciplina regola specifiche eccezioni;

- clausola generale anti-abuso: viene positivizzata una norma di chiusura per il disconoscimento, ai fini fiscali, di eventuali operazioni poste in essere dalle imprese al solo scopo di conseguire un vantaggio fiscale e senza alcuna valida ragione economica;

- strumenti ibridi: allo scopo di evitare doppie deduzioni o deduzioni operate in uno Stato e non dichiarate in un altro, le nuove regole anti-ibrido obbligheranno gli Stati membri a coordinarsi nella qualificazione giuridica di strumenti finanziari o entità. Al momento, la disposizione riguarda esclusivamente i disallineamenti delle qualificazioni giuridiche intracomunitarie. Tuttavia, entro ottobre, la Commissione europea presenterà una proposta legislativa volta ad estendere, a livello internazionale, il raggio di operatività della clausola anti-ibridi.

L’entrata in vigore della direttiva è prevista per il 1° gennaio 2019, eccezion fatta per la misura relativa alla tassazione in uscita, per la quale è disposta l’applicazione a partire dal 1° gennaio 2020. Deve essere precisato, ulteriormente, che qualora negli Stati siano vigenti misure sulla deducibilità degli interessi passivi, idonee a produrre effetti equivalenti a quelli derivanti dalle disposizioni della direttiva, detti Stati potranno continuare ad applicare le norme nazionali finché i Paesi OCSE non avranno adottato le raccomandazioni BEPS, ma comunque non oltre il 1° gennaio 2024. Deve essere dato rilievo, infine, al fatto che nell’ordinamento italiano sono già vigenti, attualmente, misure antielusive compatibili e generalmente conformi alla maggioranza degli standard minimi disposti dal Legislatore comunitario nella direttiva in commento, per cui l’adeguamento alla nuova disciplina europea non dovrebbe determinare impatti significativi sull’ordinamento nazionale.

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34. Pubblicata direttiva su Country by Country Reporting

È stata pubblicata il 3 giugno u.s. nella Gazzetta Ufficiale Europea la direttiva n. 2016/881/UE che prefigura e armonizza oneri di rendicontazione Paese per Paese per le imprese multinazionali operanti nell'UE (Country by Country Reporting), integrando a tal fine i meccanismi della cooperazione amministrativa in materia fiscale stabiliti dalla Direttiva 2011/16/UE. Dopo il compromesso politico raggiunto dal Consiglio Europeo l'8 marzo u.s. (si veda Circolare dell'Area Politiche Fiscali del mese di marzo) gli Stati membri sono ora chiamati ad introdurre e ad applicare a decorrere dal 5 giugno 2017, misure atte a garantire la raccolta e lo scambio delle informazioni relative ai CbCR. Com'è noto agli oneri di rendicontazione Paese per Paese dovranno essere assoggettati dal periodo d'imposta 2016 i gruppi multinazionali con ricavi consolidati complessivi pari o superiori a 750 milioni di euro. In primo luogo, dovranno dunque assolvere i nuovi adempimenti le entità capogruppo residenti ai fini fiscali nel territorio di uno Stato membro. Tuttavia, qualora le capogruppo non siano fiscalmente residenti nell'UE, e cioè qualora la multinazionale operi sul territorio dell'Unione attraverso controllate o stabili organizzazioni, sono previste regole specifiche che traslano in capo a questi ultimi soggetti residenti, in qualità di supplenti della capogruppo, gli obblighi di rendicontazione (cfr. Allegato alla Direttiva 2016/881/UE sez. II - obblighi generali di rendicontazione) Per garantire un adeguato bilanciamento tra gli oneri posti a carico delle imprese ed i vantaggi informativi per le Amministrazioni finanziarie, la direttiva specifica che i gruppi multinazionali presenti nell’ Unione dovranno presentare la rendicontazione solo in uno Stato membro (quello di residenza della capogruppo ovvero dell’entità supplente); saranno poi gli Stati stessi, una volta raccolte le informazioni, a scambiarle in maniera automatica, obbligatoria e periodica con gli altri Paesi membri che, in base alla rendicontazione ricevuta, risultino essere luoghi di residenza fiscale di altre società o stabili organizzazioni del gruppo. Con riferimento alle informazioni di cui è richiesta la disclosure si sottolinea che è prevista l’identificazione di ogni entità costitutiva del gruppo multinazionale, con indicazione della giurisdizione di residenza fiscale e, se diversa, della giurisdizione secondo il cui ordinamento l’entità è organizzata, nonché la precisazione della natura della principale o delle principali attività commerciali condotte da ciascuna entità. Inoltre, per ogni giurisdizione fiscale in cui il gruppo opera dovranno essere fornite informazioni aggregate relativamente a:

ricavi

utili (o perdite) al lordo delle imposte sul reddito

imposte sul reddito pagate e maturate

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numero di addetti

capitale dichiarato

utili non distribuiti

immobilizzazioni materiali (diverse da disponibilità liquide o mezzi equivalenti)

Si ricorda che l’Italia ha di fatto già recepito le riguardanti gli oneri di CBCR mediante l’art.1, comma 145 della legge di stabilità 2016 (legge n. 208/2015). La norma italiana non riporta alcun richiamo al legislatore comunitario (essendo antecedente l'emanazione della direttiva in commento) e trae ispirazione unicamente dalle indicazioni OCSE derivanti dall'attuazione del progetto BEPS. Ciò nondimeno i principi enunciati, in attesa di essere completati con l’emanazione del necessario decreto ministeriale, sembrano essere sostanzialmente conformi a quelli contenuti nella direttiva. Si sottolinea che quest’ultima, a differenza della norma nazionale, fornisce indicazioni circa la decorrenza del nuovo adempimento. Posto che il primo periodo di rendicontazione sarà quello che ha inizio il 1 gennaio 2016 (o successivamente), e che l’adempimento dovrà essere assolto entro 12 mesi dal periodo di riferimento, è desumibile che il primo invio del CBCR da parte delle società multinazionali debba avvenire entro i tempi di invio della dichiarazione dei redditi 2016 (e cioè entro il 30 settembre 2017), in modo da consentire all’Amministrazione italiana di scambiare le relative informazioni con gli altri Stati membri nei termini indicati dalla proposta di direttiva (ovvero entro 15 mesi dal periodo di riferimento).

ATTIVITA’ DELL’AREA

35. Gruppi fiscali

Il 21 giugno u.s. si sono riuniti il Gruppo di lavoro Fisco e il Gruppo di lavoro Fisco Internazionale di Confindustria. Nel corso della mattinata sono state illustrate le proposte di Confindustria da presentare in occasione dell’inizio dell’iter legislativo della prossima legge di stabilità, e le proposte di interventi che possono favorire una maggiore semplificazione degli adempimenti fiscali posti a carico delle imprese. Sono stati forniti aggiornamenti anche sugli sviluppi nell’attuazione del regime dell’adempimento collaborativo e sugli impatti fiscali derivanti dalle modifiche apportate alla disciplina contabile del bilancio d’esercizio e del bilancio consolidato. In materia di agevolazioni fiscali, ampio spazio è stato dedicato al novellato regime di tassazione agevolata dei premi di risultato e dei servizi di welfare aziendale. Nel pomeriggio si è discusso sullo sviluppo dei lavori del pacchetto “anti-avoidance” proposto dalla Commissione Europea, al fine di migliorare la trasparenza nello scambio di informazioni tra gli Stati membri e tra questi e la Commissione Europea e favorire il raggiungimento di un livello di tassazione effettiva più omogeneo.

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36. Gruppo di lavoro sui Principi Contabili

Il 10 e il 24 maggio e il 14 e il 22 giugno 2016, si è riunito il Gruppo di lavoro sui Principi Contabili di Confindustria per esaminare le bozze dei principi contabili OIC 24 (immobilizzazioni immateriali) ed OIC XX (strumenti finanziari derivati) posti in consultazione dall’Organismo Italiano di Contabilità. Inoltre, sono state oggetto di analisi le bozze sui principi contabili relativi alle immobilizzazioni materiali (OIC16), sui fondi oneri e fondi rischi (OIC 31) e sui cambiamenti di principi contabili (OIC 29).

Infine, il Gruppo di lavoro, ha elaborato un documento di osservazioni sugli impatti fiscali derivanti dalle modifiche apportate dal D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139 (Decreto Bilanci) alla disciplina civilistica di redazione del bilancio d’esercizio.

37. Incontro con Agenzia delle Entrate su Adempimento Collaborativo

Il regime di adempimento collaborativo, introdotto con gli articoli 3-7 del d.lgs. n. 128/2015, promuove nuove forme di cooperazione rafforzata tra i grandi contribuenti e l’Amministrazione finanziaria, che poggiano essenzialmente su attività di gestione del rischio fiscale e su strumenti orientati alla risoluzione rapida e dialogata di possibili controversie, in una fase antecedente il loro manifestarsi. Per divenire pienamente operativo il regime richiede il completamento di un complesso percorso attuativo che l’Amministrazione finanziaria ha già avviato nei mesi scorsi (si veda al riguardo Circolare del mese di Aprile 2016 - Adempimento Collaborativo, approvato il modello di adesione). Il 15-16 giugno 2016 la stessa Agenzia ha organizzato un convegno di promozione del nuovo regime, coinvolgendo la variegata galassia degli stakeholders del nuovo impianto collaborativo: imprese, associazioni di categoria professionisti, ecc. Durante l’incontro sono state fornite delle prime risposte informali ad un documento di quesiti, riguardanti la disciplina finora emanata, sottoposti da Confindustria e dalle imprese Associate. In esito alla riunione, è stata assicurata la futura produzione di una circolare di prassi contenente in veste formale le risposte, in larga misura favorevoli alle imprese, illustrate in quell’occasione. Il 27 giugno, l’Amministrazione finanziaria ha compiuto un secondo importante passo verso la piena attuazione del regime pubblicando il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze che regola lo strumento dell’interpello abbreviato, accessibile ai contribuenti aderenti (DM 15 giugno 2016, pubblicato in G.U. 27 giugno 2016, n. 148) (cfr. Paragrafo dedicato in questa circolare). Facendo tesoro dell’esperienza maturata in questa prima parte della fase attuativa , le imprese e le associazioni di categoria interessate al regime

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hanno manifestato la necessità di interloquire con l’Amministrazione con un’unica voce in relazione a quegli aspetti che, a causa della loro valenza trasversale, sono suscettibili di incidere sull’intera platea delle imprese interessate al nuovo meccanismo, indipendentemente dal loro settore di appartenenza o da altri tratti peculiari. È stato dunque creato un gruppo interassociativo in materia di adempimento collaborativo compartecipato da ABI, ASSONIME, CONFINDUSTRIA e dalle rispettive imprese associate interessate al regime. Il gruppo lavorerà nei prossimi giorni all'individuazione degli elementi del regime di adempimento collaborativo che mantengono profili di criticità e per i quali si rende necessaria una soluzione condivisa tra tutte le imprese.

38. Seminario su premi di produttività e welfare aziendale

Il 28 giugno 2016 si è tenuto un seminario di approfondimento in materia di premi produttività e welfare aziendale, organizzato in collaborazione con l'Area Lavoro e Welfare. L’incontro si è rivelato un’utile occasione per fornire chiarimenti su alcuni dubbi interpretativi relativi alle disposizioni contenute nel decreto attuativo (D.M. 25 marzo 2016) e ad alcuni aspetti poco chiari contenuti nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 15 giugno 2016.

39. Riunione VAT Expert Group (VEG)

Lo scorso 2 maggio si è svolta una nuova riunione del VAT Expert Group (VEG), gruppo di lavoro coordinato dalla Commissione Europea, composto da rappresentanti del mondo imprenditoriale, professionale ed accademico, con l’obiettivo di collaborare con la Commissione stessa per migliorare l’attuale quadro normativo ed applicativo delle regole comuni sull’imposta sul valore aggiunto.

Oggetto principale della riunione è stata la presentazione del Piano di Azione sull’IVA elaborato dalla Commissione Europea (si veda il documento COM(2016) 148 final del 7 aprile 2016). L’obiettivo del piano di azione è di rendere il sistema dell’IVA comunitaria più semplice, maggiormente in grado di prevenire e contrastare le frodi e più favorevole all’attività di impresa. Secondo la Commissione europea, infatti, le attuali norme comunitarie devono essere aggiornate con urgenza per sostenere al meglio il mercato unico, facilitare gli scambi transfrontalieri e stare al passo con la tendenza alla digitalizzazione e alla mobilità, che caratterizza l’economia odierna. Il piano d’azione delinea un percorso che si articola in diversi interventi:

1. la riforma dei principi fondamentali di applicazione dell’IVA agli scambi intracomunitari in vista di un futuro sistema unico dell’IVA a livello europeo;

2. la previsione di misure a breve termine per combattere le frodi IVA;

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3. l'aggiornamento del quadro normativo di riferimento per l’applicazione delle aliquote IVA ridotte e una serie di opzioni per concedere maggiore flessibilità agli Stati membri nel definirle;

4. dei progetti per semplificare le norme IVA in materia di commercio elettronico, nel quadro della strategia per il mercato unico digitale, e per un pacchetto IVA che faciliti la vita alle PMI.

Per maggiori informazioni sul contenuto del piano e per una sua prima valutazione, si rinvia al documento che Confindustria ha predisposto come contributo alla consultazione pubblica indetta su questo tema dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze. Il documento è disponibile nella Comunità professionale fisco di Confindustria. Nel corso della riunione, inoltre, i membri hanno approvato una opinione per esprimere il massimo supporto del VEG all’iniziativa avviata dalla Commissione europea con il Piano di Azione sull’IVA. L’opinione evidenzia, tuttavia, i possibili rischi che potrebbero arrecarsi al buon funzionamento del mercato unico comunitario, in generale, ed al sistema comune dell’IVA comunitaria, in particolare, qualora singoli Stati membri intraprendano iniziative unilaterali, per il contrasto a meccanismi di frode all’IVA. Sotto questo profilo, in particolare, l’opinione esprime preoccupazione in merito alla possibilità che alcuni Stati membri possano richiedere ed ottenere ampie deroghe alle norme comunitarie sull’IVA per introdurre dei sistemi di reverse charge generalizzato per la riscossione dell’imposta gravante su tutte le transazioni domestiche dello Stato interessato. La Commissione europea ha, successivamente pubblicato, lo scorso 20 maggio, sul sito internet della DG Taxud, il testo dell’opinione.

40. Tavola Rotonda su aiuti di Stato – “Formez”

Il 26 maggio, l’Area Politiche Fiscali ha preso parte alla tavola rotonda sulla Modernizzazione degli aiuti di Stato, organizzata dal Formez in collaborazione con il Dipartimento delle Politiche europee. L'evento ha fornito l'occasione per chiarire l'importanza della materia, che sta progressivamente assumendo un ruolo sempre più diretto e penetrante nell'azione di politica economica e di sviluppo svolta dai governi centrali e regionali dei Paesi europei. Si è ribadita la necessità di porre l'attenzione sulla percezione distorta della disciplina, vista prevalentemente come strumento "coercitivo", finalizzato a limitare la "libertà" degli Stati, e non come strumento di garanzia e di tutela dell'attività economica e del suo libero svolgimento all'interno dell'Unione europea, in grado di intervenire nelle situazioni in cui i benefici attesi dalla collettività e dalle imprese possono essere compromessi da comportamenti protezionistici e discriminatori, tesi a favorire alcuni operatori economici a scapito di tutti gli altri o, più in generale, a limitare lo sviluppo dei mercati e della concorrenza.

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41. Incontro TARI

Il 19 maggio, l’Area Politiche Fiscali ha partecipato agli incontri organizzati da Confindustria Umbria, a Perugia e a Terni, per illustrare le modalità di applicazione della TARI alle imprese industriali. In particolare sono stati analizzati i limiti posti dalla disciplina ambientale ai regolamenti comunali di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, nonché i criteri di determinazione della superficie imponibile ai fini TARI per le aree produttive di rifiuti speciali e relativi magazzini connessi, alla luce degli orientamenti espressi dal Dipartimento delle Finanze.

42. Incontro OCSE

Il 26 maggio u.s. una delegazione di Confindustria ha incontrato l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) nella cornice di una missione tecnica svolta da quest'ultima in Italia per la stesura del rapporto "Economic Survey Italy 2017". Tra i numerosi temi in agenda sono stati discussi anche aspetti di rilevanza fiscale, tra questi particolare attenzione è stata dedicata al trattamento fiscale dei premi di produttività e alle più recenti misure di incentivazione fiscale per gli investimenti in attività di ricerca e innovazione (credito di imposta R&S, Patent Box, Start-up innovative).