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Numero 2 anno 12 - novembre 2009 - periodico degli studenti del Liceo Classico G. Prati di Trento

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Numero 2 anno 12 - novembre 2009 - periodico degli studenti del Liceo Classico G. Prati di Trento

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Prataioli, ora si che si ragiona! Qualcuno pensa che i ragazzi non abbiano più voglia di fare qualcosa di costruttivo, che siano scarsamente attirati dall’attualità e da tutto quello che succede nel mondo attorno a loro, che non siano coinvolti, interessati e par-tecipi alla vita scolastica ed a tutti i suoi pro-getti… Beh… si sbagliano!!! E ne abbiamo le prove! Per noi del giornalino è stata veramente una conquista vedere quante persone hanno richie-sto il nostro mensile e ci hanno sostenuti da

tutti i punti di vista, ma specialmente ci ha dato u-n’immensa soddisfazione notare innanzitutto i nume-rosi scritti che abbiamo ricevuto per dibattere su alcu-ni articoli del precedente numero, dimostrando pro-prio che anche noi studenti, la voce del Prati, voglia-mo e sappiamo far sentire la nostra opinione e che il giornalino è un ottimo strumento per fare ciò; la gioia è arrivata anche per le tantissime persone che, dopo la prima uscita, hanno deciso di entrare a far parte del nostro team di redazione e ampliare questa importan-tissima fonte di informazione e condivisione. Già, ampliare! Come probabilmente avete notato, il giornale si è ingrandito; le notizie e gli approfondi-menti sono aumentati, come sono aumentati (e speria-mo continuino ad aumentare) i nostri redattori. Tra le varie aggiunte nelle nostre sempre fresche rubriche, abbiamo voluto dare uno spazio all’immagine della nostra scuola, un po’ satirica, un po’ misteriosa, un po’ sconosciuta, un po’ sempre nuova. Insomma, una pagina dedicata alle fotografie di noi studenti, come la classe IV A che abbiamo pizzicato nell’aula di Storia dell’Arte o i nostri nuovi rappresentanti d’istituto ed alla consulta, ai quali è dedicata una rubrica specifica; abbiamo anche un Giovanni Prati (già marmoreo) in-freddolito da questo rigido autunno e avremo immagi-ni di tutti gli altri soggetti che proporrete, ci mandere-te e scopriremo assieme. Ci sembra inoltre giusto parlarvi della pecunia che abbiamo raccolto in qualità di offerta, conseguente-mente alla vendita di Praticantati; innanzitutto ci sem-bra giusto dire che le spese del nostro giornalino sono completamente sostenute dall’Istituto: per la vendita del primo numero abbiamo raccolto 86,50 euro e que-sti soldi, assieme a tutti quelli che ricaveremo dalle consegne delle prossime edizioni, saranno devoluti a Save the Children, una delle numerose associazioni che finanzia la nostra scuola. Infatti, ormai da qualche anno, il nostro liceo contribuisce al sostenimento di questa Onlus (senza fini di lucro): per chi non lo sa-

pesse, Save the Children è la più grande organizzazio-ne internazionale indipendente per la difesa e la pro-mozione dei diritti dei bambini e si occupa proprio di aiutare e sostenere tutti quei fanciulli e quelle famiglie del cosiddetto terzo e quarto mondo che lottano contro i gravi problemi e le piaghe sociali, quali la fame, lo sfruttamento del lavoro, la mancanza di diritti, batten-dosi per dare sempre speranze ed opportunità ad ogni essere vivente, e perciò per proteggere la prossima generazione di adulti. Infine ritengo necessario dare qualche chiarimento sulla linea della nostra rivista, ovvero il giornalino degli studenti del Prati, per gli studenti del Prati, fatto dagli studenti del Prati: una vera e propria “palestra intellettuale”. Proprio in quest’ottica, cercando di dare un servizio buono e bello ai lettori, ci pare opportuno, sia nel ri-spetto della sensibilità collettiva, sia in quella indivi-duale di ogni lettore del nostro mensile, che tutti pos-sano intervenire, pur distinguendo quali sono gli arti-coli che trattano dati informativi da quelli di taglio opinionistico, contenendo i primi notizie di interesse generale e comunque rivolte verso la generalità degli studenti, mentre quelli opinionistici devono avere l’u-nica prerogativa di aprire un dibattito, proprio come è successo in questo ultimo numero; naturalmente stia-mo parlando degli articoli di carattere politico. Non dimentichiamoci, infatti, che ci sono delle pub-blicazioni tematiche che vivono di politica, con chiari e forti orientamenti, altri di religione, costume, moda società, scienze… Praticantati fa invece parte di un altro genere di pubblicazioni, di approfondimento e costume non tematici o specifici, né tantomeno orien-tati, bensì specifici al riguardo della vita dei liceali del Prati ed alla società in cui essi vivono (penso che saranno tutti concordi nel dire che si tratti di un argo-mento tutt’altro che irrilevante!). Pertanto nessuna preclusione, anzi, ben vengano i dibattiti opinionistici, nel pieno rispetto di tutte le parti chiamate in causa. Con questo vi saluto e invito a leggere questo nostro fantastico lavoro e di non aver nessuno scrupolo a inviarci articoli e lettere varie. Perchè ricordate, come ribadisce la nostra copertina: tutte le strade portano al… futuro, ed è da qui che dobbiamo incominciare!!!

Silvio Defant

2 � PRATICANTATI Novembre 2009

E D I T O R I A L E

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Redazione: Marta Fozzer Angelo Naso Franceca Pedron Riccardo Schöfberger Stefano Cristelli Fabrizio Lettieri Angelica Giovannini Agnese Di Giorgio Davide Leveghi Arianna Arrighetti Enrico Dal Fovo Giulia Andreatta

Enrico Pozzo Jacopo Sartori Matteo Pavesi Federica Di Giorgio Yassmine Zoug Marcello Calogero Patrizia Pojer Martina Girardi Giorgia Folgheraiter Enrico Sebastiani Ha collaborato: Federico Fabbrini

Redazione Direttore responsabile: Antonio Di Seclì Caporedattori:Martina Folena & Silvio Defant

PRATICANTATI è il giornalino del Liceo Prati n° 2 anno 12 novembre 2009

INTERVISTA � 4 Da Prataiolo a…. - Avvocato � 6 Da Prataiolo a….- Studente di giurisprudenza � 16 Intervista alle band prataiole ATTUALITA’ PRATAIOLA � 7 La voce dei rappresentanti � 8 Consulta i Praticanti � 9 Il dolce nettare divino: viaggio attraverso la

storia del vino � 35 Teatro al Prati NEL MONDO Obama: cambiamento o no? � 10 In riferimento all’articolo del mese di ottobre

2009 � 11 In risposta… (continua dal numero preceden

te) � 12 What does America think about President O

bama? ATTORNO A NOI � 13 Crocefisso si, crocefisso no?! � 15 La riforma scolastica in Trentino RACCONTI � 19 Ore in fumo POESIA � 37 Campanello di fine lezioni

Alla solitudine Punti di Vista

RECENSIONI � 21 Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti � 22 Mulholland Drive di David Lynch � 26 Gossip girl � 36 Spaghetti western - Il western all’italina MUSICA � 27 The Beatles: il mito che ha segnato la storia

della musica VIAGGI � 29 Impressioni dalla Cambogia � 32 Marty, live from Burnaby - parte seconda � 33 Pratataioli on the road to… Verona MODA � 35 Tra le passerelle INFO & FUN � 38 Lo sapevi??? FOTOGRAFIA � 39 IV A

Groove’s Buddies Sunday Drivers Gatta gatta dott. Giovanni Prati

LA POSTILLA 40 La messaggeria di Praticantati

In questo numero

Volete informazioni? Ci volete scrivere? Fate così: � contattate la redazione utilizzando la e-mail

[email protected] � usate il box della messaggeria nell’atrio in

sede e nella sala dei distributori automatici in succursale � contattateci direttamente (possibilmente non

durante le lezioni… qualcuno avrebbe da ri-dire.)

n° 2 anno XII PRATICANTATI � 3

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4 � PRATICANTATI

DA PRATAIOLO A ….

AVVOCATO di Silvio Defant V D

In questo nuovo numero di Praticantati prosegue la rubrica “ Da prataiolo a…”, che, intervista dopo intervista, andrà a mostrare e far conoscere alcune profes-sioni ed alcuni studi che il nostro iter formativo ci permette di intraprendere dopo la maturità. Infatti, per mezzo di questa rubrica, come abbiamo già inizia-to a fare nella scorsa uscita, cercheremo di mostrare e chiarire aspetti e traversie a noi sconosciute e spesso temute, che pro-

babilmente affronteremo nel nostro cammino di studenti e in quello che seguirà. Proprio per facilitarvi in quell’arduo percorso che è l’orientamento, questo mese abbiamo deciso di intervistare un noto avvocato di Trento, esperto in cause civili: Paolo Frizzi. L’avvocato è stato studente del nostro istituto ne-gli anni ottanta, ha frequentato l’Università di Giu-risprudenza di Trento ed infine lavora, sin dall’ini-zio della sua carriera, nello Studio Legale Frizzi, fondato nel 1926 a Venezia dall'avv. Giuseppe Frizzi senior, nonno dell’intervistato, e quindi tra-sferito a Trento nel 1930; lo Studio si occupa pre-valentemente di diritto penale, civile e commercia-le. Lo studio dell’avvocato Frizzi è molto accogliente, dove prevalgono i colori caldi del legno di mobili antichi, di vecchi quadri e libri carichi di storia, simbologia e cultura. Oltre all’atmosfera che crea que-sto piacevole ambiente denso di intellettualità e preci-sione, il nostro interlocutore, con una voce pacata, dai toni morbidi e composti, ci mette a nostro agio, crean-do un clima di distesa narrazione, da cui affiorano e-sperienze di una vita e vecchi ricordi scolastici. Avvocato, in cosa consiste il suo lavoro e come si articola? Il lavoro dell’avvocato è principalmente quello di assi-stere le persone, sia nel campo civile che in quello pe-nale, per cercare di risolvere i problemi che il cliente sottopone dal punto di vista del diritto, quindi di dare una risoluzione pratica ad una questione di diritto. Tante volte, alla controversia, sono poi legate altre questioni ad essa collegate: alle volte siamo dei consi-glieri ed altre diventiamo confessori, mentre altre an-cora quasi degli assistenti sociali. Dipende ovviamente dalle questioni che ci vengono sottoposte. Diciamo che principalmente il lavoro dell’avvocato è un aiuto al

cittadino nel districarsi da una difficile foresta, che è la foresta del diritto. Come è stata maturata la scelta di specializzarsi nel diritto civile? Più che una scelta, nel mio caso, si è trattato di un cam-mino che mi ha portato ad occuparmi del diritto civile, anche se non disdegno qualche “divagazione” nel pena-le; peraltro, nella ripartizione dei compiti all’interno dello studio, io ho privilegiato le controversie civili, dando maggior risalto ed interesse a queste ultime. Quali sono le soddisfazioni personali che ha un pro-fessionista che fa il suo mestiere? Direi che la principale soddisfazione per l’avvocato è quella di raggiungere l’obiettivo, quindi risolvere la questione e vincere la causa se siamo in ambito giudi-ziale, soprattutto e maggiormente quando il cliente ti dice “grazie”, che peraltro non sempre succede.

I N T E R V I S T A

Novembre 2009

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n° 2 anno XII

Sono state esaudite le aspettative che aveva quando era studente? Diciamo che le aspettative dello studente sono sempre, in genere, molto più alte di quello che poi accade nella realtà; io ho avuto la fortuna di vivere in una famiglia in cui questa professione era già molto conosciuta e radicata: avvocato era mio nonno, mio padre, lo è mio fratello, e quindi ho avuto modo di vivere fin da subito l’ambiente, oltre che respirarne l’odore. Per questo mo-tivo credo di essere stato, da studente, meno disincanta-to di quello che erano alcuni miei compagni; quindi, per me, è stato un passaggio quasi naturale. Ci parli dei suoi ricordi di studente del Prati. Molto, molto belli: eravamo in pochi, molto uniti, direi quasi una famiglia; la preside era la professoressa Lia de Finis, che ci conosceva ad uno ad uno e di ciascuno conosceva la storia, non solo scolastica ma anche fami-gliare, tant’è che quando capitava di incontrarla o di essere chiamati in segreteria o in presidenza per vari motivi, non dimenticava mai di farci salutare i genitori. Comunque dei gran bei ricordi, anche per quanto ri-guarda la struttura, perché nel trasudare storia non mancava delle ultime tecnologie, gl’insegnanti erano sempre molto preparati e molto disponibili, per cui di-rei un ottimo ricordo. Quali sono le materie e gli argomenti studiati a scuola, che alla luce del presente considera siano serviti di meno per la sua attività professionale e quali invece non sono stati oggetto di studio ed ora ne sente la mancanza? Forse le materie scientifiche sono quelle che, a prima vista, mi sono servite meno, soprattutto quelle molto specialistiche come la fisica, la chimica; in realtà però l’avvocato, ancor più in questi tempi recenti, deve esse-re una persona con una cultura molto generale, per cui nemmeno la nozione di chimica piuttosto che di fisica può essere assunta inutilmente: senz’altro ritengo che l’insegnamento migliore che io abbia avuto dalla scuo-la sia quello della lingua italiana, che è lo strumento principale che io utilizzo per dare voce al diritto, quindi è al principio del diritto. Cosa pensa sia cambiato da quando ha frequentato lei il Liceo ad oggi? Non conosco bene la vostra realtà attuale, ma sento le insegnanti che erano le mie compagne di classe, le qua-li mi riferiscono che sono cambiati certamente i tempi, ma anche le metodologie di insegnamento, e soprattut-to mi dicono, in senso un po’ negativo, ma questo è tipico delle persone che invecchiano, che ai nostri tem-pi la scuola era un attimino più rigida, più dura da af-frontare che non ai giorni nostri, ma personalmente non so come effettivamente sia la realtà.

Ritiene che gli studi classici siano stati particolar-mente utili per il percorso universitario che ha se-guito? Si, direi che sono stati molto utili e molto formativi, anzi direi fondamentali. Ci parli brevemente del suo percorso formativo al-l’Università. Il mio è stato un percorso formativo classico, poiché è avvenuto secondo quello che mi pare adesso s’intenda come vecchio ordinamento, quindi un insegnamento spalmato su quattro anni con ventisei esami che ho so-stenuto più o meno nei termini. E’ partito dalla base del diritto, perciò dalle istituzioni, per poi arrivare, nello specifico, ad esami più tecnici, che poi andavano via via a colmare quelli che erano i grandi schemi delle istituzioni, quindi il diritto penale piuttosto che il diritto processuale civile, piuttosto che la procedura penale. Due aneddoti professionali, uno positivo ed uno ne-gativo. Devo dire che la soddisfazione di aver raggiunto l’o-biettivo in cause particolarmente difficili, sia una delle situazioni che si ricordano con più piacere; ricordo pe-raltro un episodio in particolare, quando parlando con una cliente che aveva delle grosse difficoltà ad espri-mersi in italiano, poiché abituata ad esprimersi sola-mente in dialetto, mi sono messo anch’io a parlarlo per metterla a suo agio, e lei, sempre in dialetto, mi ha ri-sposto che potendo parlare così con me, si sentiva deci-samente più serena che non con gli altri avvocati. Che consigli dà ad uno studente che adesso vuole intraprendere la carriera di avvocato? Il consiglio che do è quello di valutare attentamente questa scelta, perché è diventato molto arduo l’accesso, non nei termini di difficoltà per quanto riguarda l’esa-me, che credo sia rimasto, nel tempo, immutato e per-ciò sempre molto selettivo, ma perché sono cambiati i tempi dell’accesso. Una volta, forse non per tutti, la pratica era intesa come una sorta di parcheggio, magari in attesa di vincere qualche concorso, in magistratura piuttosto che nel no-tariato; ora invece non è più così perché la legge pro-fessionale impone al praticante una frequentazione assi-dua non solo dello studio presso il quale svolge la prati-ca, ma anche della scuola forense che è stata introdotta in forma obbligatoria, per cui il giovane laureato che intende intraprendere questo tipo di carriera dev’essere veramente motivato, deve sapere che quella è la sua strada, la sua scelta e che, salvo casi strani della vita, quella sarà la sua professione, perché fin dal momento della pratica ci vuole costanza, determinazione e volon-tà di riuscire.

PRATICANTATI � 5

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Come nel precedente, anche in questa uscita di Praticantati, abbiamo chiesto la collaborazione di uno studente uni-versitario, sempre un ex-prataiolo, per farci raccontare e spiegare i funzionamenti del percorso di laurea in Giurispru-denza, un percorso universitario che probabilmente molti di noi seguiranno negli anni avvenire.

DA PRATAIOLO A ….

STUDENTE DI

GIURISPRUDENZA

di Federico Fabbrini (dottorando di ricerca, Law Department, European University Institute)

6 � PRATICANTATI Novembre 2009

Un Prati(cante) giurista?

Per uno studente del Liceo Classico, una volta completata la scuola superiore e in procinto di affac-ciarsi all’affascinante e misterioso mondo dell’Univer-sità, pensare di iscriversi alla Facoltà di Giurispruden-za potrebbe sembrare una scelta quasi scontata. Quante volte, in fondo, durante le traduzioni del Ginnasio e del Liceo ci si è imbattuti nelle arringhe dei più celebri oratori greci o romani? Quante volte si sono studiati i canoni aurei della retorica? E quante volte si è sognato di poter indossare una toga bianca dall’orlo purpureo, proprio come faceva Cicerone quando dal banco dell’-accusa si scagliava contro Verre, reo di aver commesso ai tempi in cui governava la Sicilia malversazioni e iniquità di ogni genere?

Giurisprudenza, tuttavia, è un corso di laurea assai impegnativo, e per quanto la formazione di base fornita da un Liceo Classico come il nostro Prati sia decisamente un ottimo punto di partenza, serve molto di più. Anzi, nonostante le nozioni di latino acquisite nel corso delle superiori si rivelino certamente utili durante gli anni universitari (vi ricordate le invettive al latinorum dei giuristi nei Promessi Sposi del Manzo-ni?...), gli studenti con una maturità classica entrano alla loro prima lezione nella Facoltà di Giurisprudenza sostanzialmente a digiuno di conoscenze giuridiche. E’ pertanto solo uno studio metodico e costante per tutti gli anni del corso di laurea che consente di ottenere risultati gratificanti.

Le Facoltà di Giurisprudenza, peraltro, negli ultimi anni hanno attraversato diverse riforme organiz-zative che hanno ridisegnato l’organizzazione didattica ed i percorsi formativi degli studenti. Chi vi scrive, anzi, è una specie ormai in via d’estinzione… Quando mi sono iscritto io all’Università (settembre 2003) da pochi anni era entrato in vigore una riforma dell’ordi-namento accademico che istituiva il meccanismo detto del ‘3+2’ (cioè laurea triennale + laurea specialistica biennale). Pochi anni dopo, tuttavia, le Facoltà di Giu-risprudenza hanno fatto una riforma della riforma (una controriforma?...) abolendo il ‘3+2’ ed introducendo un corso di laurea unico della durata di 5 anni (che so-lo per far confusione alle matricole è stato battezzato

“1+4”…). Tra i vantaggi del vecchio sistema (strutturato

sul modello vigente negli altri paesi europei) c’era innanzi tutto quello di favorire la mobilità universita-ria degli studenti, sia in Italia che all’estero. (Chi vi scrive, ad esempio ha conseguito la laurea triennale a Trento e quella specialistica a Bologna, trascorrendo periodi di studio prima negli Stati Uniti e poi in Fran-cia). Il nuovo ordinamento a ciclo unico rende tutto ciò più difficile anche se è plausibile sostenere, dall’-altro lato della medaglia, che esso consentirà di ap-profondire meglio alcune discipline, il cui studio ri-maneva sacrificato dai meccanismo del “3+2” (che rendeva necessario spezzare una materia in due sezio-ni: una da preparare nella laurea triennale e l’altra nella laurea specialistica).

Resta poi da sottolineare che notevoli differen-ze permangono tra i corsi di laurea in Giurisprudenza offerti dalle diverse Facoltà: prima di fare una scelta sulla sede universitaria è quindi raccomandabile infor-marsi bene (tramite i siti web o le giornate di orienta-mento) in modo da selezionare il corso che meglio si sposi con gli interessi di ognuno (così, a mò di esem-pio, la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento offre un corso di Laurea in Giurisprudenza in diritto europeo e transnazionale, mentre la Facoltà di Giurisprudenza di Bologna offre un corso di Laurea in Giurisprudenza caratterizzato da un curriculum di di-ritto internazionale; etc…).

Comunque, se qualcuno di voi lettori decides-se, una volta finita la maturità, di iscriversi ad una Fa-coltà di Giurisprudenza, questi sono alcuni dei consi-gli (non richiesti!...) che potrei dare. In primis, dal punto di vista del metodo il mio suggerimento è quello di affrontare sin da subito lo studio con impegno e de-dizione. Non fatevi sfuggire poi l’opportunità, se vi sono le condizioni, di trascorrere un periodo di studio all’estero. Infine, per quanto riguarda le materie di studio, dedicate corpo e anima all’analisi comparata con i sistemi giuridici degli altri paesi del mondo e soprattutto al diritto dell’Unione Europea, la nuova polis entro i cui confini si svolgerà sempre più la no-stra vita futura.

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n° 2 anno XII PRATICANTATI � 7

Attualità prataiola

La voce dei Rappresentanti

di Enrico Pozzo e Jacopo Sartori

Non siamo riusciti a trovare un incipit epico né tan-tomeno decente, quindi iniziamo subito andando al sodo: siamo coloro che la maggioranza della scuola ha designato come rappresentanti dell’istituto e de-gli studenti per quest’anno scolastico 2009/2010, Enrico Pozzo e Jacopo Sartori. Ringraziamo tutti voi che ci avete ritenuti consoni per questo ruolo; ci impegniamo ad adempiere al meglio a questo compito e a que-sto ruolo che affronteremo con responsabilità, cercando di essere i rappresentanti di tutti gli stu-denti. Vi ringraziamo di cuore. Iniziamo con un concetto basila-re, spesso frainteso e sottovaluta-to dalla maggior parte degli stu-denti: che cosa sono i rappresen-tanti d’istituto, o meglio, quale dovrebbe essere la loro funzione. I rappresentanti d’istituto devono essere portavoce delle proposte, delle richieste, dei problemi e dei suggerimenti portati da voi stu-denti e indirizzati al migliora-mento di questo istituto; faremo il possibile per riuscire a tenere in considerazione tutte le proposte che ci arriveranno e per far sì che siano ascoltate da chi di dovere. Quin-di, chiunque di voi abbia domande, consigli (o criti-che) riguardanti l’istituto o il nostro operato, non deve far altro che scrivere alla redazione del giorna-lino e noi provvederemo a rispondere attraverso questa pagina. Crediamo che questo sia uno dei me-todi principali per far sentire l’istituzione scolastica nuovamente vicina a noi studenti. Passiamo al punto successivo: l’assemblea d’istitu-to. Cos’è? È una giornata che, ogni mese, viene data a completa disposizione degli studenti. Dalla secon-da alla quinta ora di quel giorno gli studenti si dedi-cano ad un diverso metodo d’apprendimento, con tematiche maggiormente incentrate sull’attualità o su problematiche che tocchino il mondo e la società in cui viviamo. Per far sì che queste questioni ven-gano affrontate più adeguatamente, le assemblee verranno fatte approfondendo un unico tema su cui verteranno i vari gruppi. L’assemblea d’istituto è un’occasione più unica che

rara, ma spesso viene vista come un’occasione di svago o di “non-scuola”. In altri istituti, a causa di questa mancanza di presa di coscienza degli studen-ti, le giornate di assemblea sono state drasticamente ridotte. Non vogliamo che succeda anche nel nostro istituto, quindi vi chiediamo una maggior partecipa-

zione alle assemblee da noi organizzate: senza di esse, lo studente che uscirà da questa scuola avrà una formazione incompleta, carente di spirito criti-co e di visione d’insieme. Anche a questo riguardo, per qualsiasi altra informazione, o anche per pro-porre a voi stessi dei temi che ritenete essere fonda-mentali e spesso non adeguatamente approfonditi, non esitate a mettervi in contatto con noi rappresen-tanti: siamo a vostra completa disposizione. Infine, quest’anno tutti noi rappresentanti dei vari istituti stiamo attuando vari progetti in comune: fra i tanti, un giornalino di tutte le scuole superiori (da affiancare ai vari giornalini degli istituti) e un con-certo dei quattro istituti (“Prati”, “Da Vinci”, “Galilei”, “Rosmini”) in Piazza Venezia o in Piazza Dante, dove potranno suonare due o tre gruppi per istituto. Se siete interessati, scrivete una mail a [email protected] entro il 4 dicembre, e prov-vederemo alla selezione dei gruppi. Il nostro fine ultimo è riuscire a rendere piacevole e ricco di esperienze costruttive quest’anno scolastico.

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Attualità prataiola

8 � PRATICANTATI Novembre 2009

CONSULTA I PRATICANTI!!!CONSULTA I PRATICANTI!!!CONSULTA I PRATICANTI!!!CONSULTA I PRATICANTI!!!

di Francesca Pedron e Fabrizio Lettieri

Ciao a tutti! Durante l’assemblea d’istituto tenutasi il 27 ottobre scorso avete avuto modo di riflettere, grazie ai discorsi dei candidati, su quali siano i com-piti e i ruoli dei rappresentati. Con questo articolo tenteremo di chiarire eventuali dubbi o perplessità riguardo alla consulta provinciale. Cos’è la consulta provinciale degli studenti. La consulta provinciale è un organo collegiale for-mato da due studenti per ogni istituto che, una volta al mese, si riunisce in sede provinciale per discutere sui bisogni delle varie realtà scolastiche, proporre ed organizzare eventi di vario genere (musica, arte, cultura, sport etc.) I rappresentanti della consulta, come quelli d’istitu-to, rimangono in carica un anno. Nel caso in cui uno o entrambi i rappresentanti dovessero per qualsiasi motivo cessare di svolgere il proprio compito, ver-rebbero sostituiti dal primo candidato della lista non eletto. Com’è organizzata la consulta provinciale degli studenti. Nei primi incontri i rappresentanti dei vari istituti, che costituiscono l’ Assemblea Plenaria, dovranno votare per eleggere i membri della Giunta E-secutiva (presidente, vicepresidente, segreta-rio ed altri membri) che ha il compito di met-tere in pratica le proposte. Successivamente i membri dell’Assemblea Plenaria, per una ge-stione più ordinata del lavoro, si divideranno in vari gruppi (ad esempio il gruppo dello spettacolo, il gruppo dello sport etc.) e inizie-ranno a discutere su eventuali problemi o ini-ziative. Quali sono le nostre proposte. Come già sapete, cercheremo di proporre del-le attività che possano metterci in comunica-zione diretta con gli studenti dei vari istituti. Per questo motivo tenteremo di ripristinare la triangolare di calcetto che era stata sospesa qualche anno fa, di organizzare un’assemblea concerto, verso la fine della scuola, che coin-volga il maggior numero di gruppi dei diversi istituti e infine di collaborare con il Liceo Ga-lilei, il Liceo Da Vinci e il Liceo Rosmini alla

stesura di un giornalino comune così da permettere a noi studenti di farci sentire anche al di fuori del Prati. Come “rappresentanti” andremo appunto a “rappresentarvi” di conseguenza vorremo che le nostre proposte, le nostre idee coincidessero con il reale bisogno e volere degli studenti; vorremo in-somma farvi partecipi, quanto più possibile, del no-stro lavoro. Avrete quindi la possibilità e il diritto di esprimere le vostre idee attraverso incontri po-meridiani o semplicemente durante le riunioni con i rappresentanti d’istituto e i rappresentanti di classe. Come mettervi in contatto coi rappresentati. Grazie alla collaborazione del professor Ruele, ab-biamo creato nel si to del la scuola (www.liceoprati.it), nella sezione “studenti”, un’ area dedicata alla consulta provinciale dove cariche-remo i resoconti di ciò che verrà trattato negli incon-tri mensili. Se avete qualche idea, qualche proposta, qualche considerazione potete mettervi in contatto scrivendoci all’indirizzo [email protected]. Noi saremo comunque sempre di-sponibili per eventuali confronti e chiarimenti du-rante l’orario scolastico.

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n° 2 anno XII PRATICANTATI � 9

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La�Serena,�Cile�

di Stefano Cristelli I E

“Gli piacque terribilmente bere la dolce bevanda” (Od. IX, 353-4): questa la frase divenuta “slogan” del nuovis-simo Progetto Cile, iniziativa ideata e coordinata dalla prof.ssa Ruggio e rivolta agli studenti delle prime nei corsi B, C, D, E (anche se non è da escludere una possi-bile partecipazione della classe I A). Il passo dell'Odissea non permette fraintendimenti: è chiaro lo scopo del progetto, nato anzitutto col fine di permettere ai nostri studenti l'approfondimento sulla te-matica del vino e sugli argomenti a quest'ultima relativi. Non è assolutamente secondario, tuttavia, il risvolto sul piano sociale: l'iniziativa andrà ad interessare, oltre che la nostra scuola, anche il liceo Alcide De Gasperi di La Serena, in Cile, creando in tal modo un legame di gemel-laggio che, si auspica, potrà perdurare nel tempo. Questo rapporto di scambio culturale è assicurato dalla presenza del prof. Rosa in Cile, che da qualche anno tiene corsi di lingua italiana nell'università di Santiago. La domanda, o meglio le domande, sorgono tuttavia spontanee: perché il vino? Quale ruolo ha il Cile nel contesto di tali approfon-dimenti? A dire il vero, le risposte si sovrappongono. La scelta del vino come forza motrice dell'intero progetto appare quantomai opportuna se si vuole considerare non solo l'importanza che esso assunse nell'immaginario greco (confermato dai testi omerici e dalla lirica arcaica, dove il simposio riveste un ruolo senza dubbio fondamentale), ma anche, in un'ottica se vogliamo più moderna, ponen-do attenzione sull'egemonia che questo prodotto detiene nel contesto economico regionale. Non è poi un caso che uno dei vini cileni più pregiati, il Falernia, venga prodotto proprio da un coltivatore di origine trentina. Il fenomeno dell'immigrazione, che ha coinvolto negli anni scorsi numerose famiglie della re-gione, rivela il motivo della fitta rete di rapporti che le-gano l'Italia, e in fattispecie Trento, al paese Sud Ameri-cano, e giustifica perciò la decisione di rendere il Cile punto cardine dell'iniziativa oltre che meta del viaggio che concluderà l'esperienza a fine anno. Quello del vino si dimostra essere poi un argomento estremamente versatile, in modo che il progetto non venga ad interessare solo ed esclusivamente il program-ma scolastico del greco: il percorso presenta certamente consistenti rimandi alla letteratura ellenica, ma non si esenta dal toccare materie quali la religione (il valore simbolico nella Bibbia, la proibizione nell'Islam), la sto-ria dell'arte (l'immensità di forme in ceramica utilizzate come contenitori), la chimica (con particolare attenzione agli effetti negativi dell'alcol, da collegarsi al Progetto Salute) e non ultima la letteratura, italiana ed europea

(La leggenda del santo bevitore, ad es.). L'iniziativa si prefissa inoltre di rendere possibile allo studente un con-fronto fra la storia del '900 italiana e cilena. In questo mo-do si acqui-sterà una cosc ienza reale di quella che è la situazio-ne econo-mica attuale dei due pae-si. Certo il P r o g e t t o Cile rappre-senta, oltre che un inte-r e s s a n t e opportunità di approfondimento, anche un impegno che dovrà essere inteso seriamente dalle classi. Si prevedono infatti incontri, visite alle maggiori cantine trentine, la preparazione di un CD/DVD contenente il resoconto del-l'attività e la creazione di un forum per poter dialogare liberamente con gli studenti cileni impegnati nel gemel-laggio. Per coloro che poi parteciperanno al viaggio, è previsto un corso di spagnolo. Fra gli interventi organizzati, una tavola rotonda con la presenza di un rabbino, di un biblista e di un imam, un incontro con il prof. Scarpi, docente di Storia delle Reli-gioni e Religioni del mondo classico nell'università di Padova, un altro con la prof.ssa Zeni, con tema la musica greca, nonché il contributo del prof. Taufer che terrà un dibattito sulla simbologia del vino. Per quanto riguarda il viaggio, il progetto si presenta co-me progetto d'eccellenza, in quanto gli studenti che a-vranno la possibilità di visitare il Cile saranno massimo venti-venticinque, scelti per mezzo di una graduatoria di merito. Il prof. Rosa ha inviato la bozza del programma che potrebbe esser seguito durante la visita: essa avverrà nella seconda meta di agosto, periodo in cui riaprono le scuole cilene. Fra le diverse opportunità, un viaggio ad Isla Negra, nella casa di Neruda, un volo sopra il deserto di Atacama con conseguente escursione nella zona dei Geyser, e naturalmente una visita alla scuola italiana di Santiago.

Attualità prataiola

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E’ certamente lecito e forse anche opportuno che chiun-que esprima la propria opinione su svariati argomenti. Forse, potrebbe invece apparire fuori misura pubblicare un articolo di critica sui primi dieci mesi di insediamento del presidente degli USA. Particolarmente su un periodi-co scolastico, seppure di un prestigioso liceo Classico italiano. “La Storia ci insegna a non prendere troppo sul serio il primo anno di un presidente” dichiara Larry Sabato, uno tra i piu’grandi politologi statunitensi. In un aeroporto internazionale vidi la copertina di un numero di “der Spiegel“. Si trattava di una fotografia di George W. Bush con sovraimpresse le parole che pote-vano tradursi con : " l'uomo che in otto anni ha messo in ginocchio la prima potenza mondiale ". Sono chiarissimi due punti. Che il nuovo presidene USA dovesse ricevere una pesantissima eredita' sul finire di un anno nerissimo e che un cambiamento srategico-politico fosse inevitabile. Da buoni Italiani siamo portati ad immaginarci un pre-sidente, capo di governo, fazioso e irascibile, in lotta continua con avversari politici e non, come la nostra tradizione ci insegna. Ci sembra cosi' strana una figura che invece si manifesta dialogante e tollerante con la

controparte, un uomo politico che imposta il suo gover-no su una parola lontana, lontanissima dai nostri imma-ginari la collaborazione. Talmente lontana da poterci apparire come qualcosa di incomprensibile, quasi sbagliato. Di qui, le nostre criti-che. Mi pare incontestabile che Mr. Barack Obama abbia parlato chiaramente circa le sue intenzioni. Una riforma sanitaria a favore di tutti i cittadini americani. Un di-simpegno dalla guerra in Afghanistan e comunque un diverso impegno militare statunitense, sostanzialmente per distrarre risorse economiche verso obiettivi sociali. Una nuova attenzione verso le Nazioni partner e non solo: l’America non puo’ piu’ pensare di fare da sola; i problemi di una nazione possono essere di molte nazio-ni e se le tattiche di soluzione sono specifiche, la starte-gia non puo’ che essere condivisa, vedi consumi ener-getici ed impatti ambientali. Sono altrettanto certa di non avere sentito esprimere la convinzione dell'attuale presidente USA, che queste do-vessero realizzarsi o essere in fase di progredita attua-zione entro il primo anno del suo mandato. Non credo che sia significativo un dato temporale preciso, su que-stioni cosi' complesse. Per il presente credo che ad ogni occasione vada ribadita una ferma volonta' politica di smuovere pesantissimi centri di potere e di cambiare atteggiamento mentale, sia nelle istituzioni che nell'opi-nione pubblica. Obama e’ un working in progress. Il bilancio e’ larga-mente positivo. Ha dato un potente contributo a stabiliz-zare l’economia mondiale con una risposta massiccia e veloce che ha impedito una depressione stile Anni Tren-ta. L’avvio della ripresa e’ avvenuto piu’ velocemente di quanto nessuno avesse previsto. E questo va a suo credito. Mi ritengo fortunata che il mio anno trascorso in Ameri-ca sia coinciso con un cosi’ importante evento storico. Ho visto con i miei occhi un adrenalinico entusiasmo, fino a quell’ora soffocato, che e’ esploso con l’elezione del 4 Novembre, e posso affermare con certezza che gli americani provano la stessa emozione di un anno fa. Ed io con loro... ah dimenticavo, il 4 Novembre e’ il giorno del mio compleanno.

Nella scorsa uscita un nostro redattore aveva proposto un articolo a proposito dei cambiamenti che hanno subito gli U.S.A. e tutto il resto del mondo dopo l’elezione a presidente di Barack Obama. In seguito, altre persone e nostri giornalisti hanno voluto rispondere, controbattere o semplicemente continuare ad analizzare e commentare la situazione descritta.

Obama:Obama:Obama:Obama:

cambiamento o no?cambiamento o no?cambiamento o no?cambiamento o no?

In riferimento all’articolo del mese di ottobre 2009

di Marta Fozzer

Nel mondo

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Sull’onda dei dubbi che ho posto nello scorso articolo, vorrei continuare approfondendo l’argomento Obama anche attraverso la risposta al trafiletto di controparte in “difesa” dell’operato del neo presidente statunitense.

Prima di tutto voglio mettere in chiaro alcune cose. La prima è che mi si contesta poca oggettività, poiché si par-la nella controparte di “rimanere strettamente ancorati a dati oggettivi”, parlando del mio arti-colo come di un articolo quasi solo esclusiva-mente di opinione. Invece io parlo con dati alla mano e partendo da questi, sviluppo il mio pen-siero. Altra cosa è che il mio articolo non era per nulla un articolo di feroce attacco ad Oba-ma, ma una critica ad alcuni elementi, non irri-levanti, del suo operato e a tutti coloro che ve-devano, in questo, un cambiamento radicale.

Parlando invece dell’articolo di risposta vorrei solo riportare dei dati. In esso si fa riferimento al Nobel e a tutte le discussioni che esso ha sca-turito. La ragione del nobel è “la svolta storica nelle relazioni internazionali”. Più che di una svolta, che implica un repentino mutamento, preferirei parlare piuttosto di un passo avanti. Con Obama senza dubbio i toni sono calati, con alcuni Paesi i rapporti si possono essere addol-citi ma comunque gli scontri restano aspri. La famosa “svolta” personalmente non l’ho ancora vista, l’addolcirsi sì. Ma questo ha una spiegazione piuttosto logica: si è passati da un’amministrazione repubblicana, intransigente, chiusa, conservatrice e arrogante come quella di Bush, ad una democratica e più aperta e dispo-nibile al dialogo. D’altronde i problemi più grandi non sono stati risolti, e nemmeno hanno visto grandi muta-menti, e questo è un dato effettivo. Indubbiamente con Obama il clima è più disteso di una volta e intavolare le questioni sembra meno complesso. Ma giornali alla mano si può leggere che le problematiche irrisolte restano pa-recchie, ed anche molto spinose. Lascio ai lettori l’ardua sentenza se pensare che veramente ci sia stato il cambia-mento.

-Afghanistan: nel secondo Paese in cui si soffre di più la fame, dall’inizio del suo mandato, smantellate alcune zone e diminuito il contingente in Iraq, Obama ha inten-sificato la presenza militare (non sicuramente il più clas-sico sintomo di svolta relazionale), e ha appoggiato la candidatura di Karzai. Risultati: i brogli di questo erano talmente enormi che gli U.S.A., per evitare imbarazzanti critiche, hanno dovuto organizzarne altre, ma il principa-le avversario di Karzai, temendone ulteriori ed altrettanto colossali, ha preferito ritirarsi lasciando la vittoria al ri-vale. Esistono allarmanti analogie in diversi contesti sto-

rici,in cui sempre gli Stati Uniti appoggiarono elezioni truccate che facevano senza dubbio comodo.

-Honduras: a proposito di ingerenze statunitensi si dice che dietro al golpe di Micheletti nel Paese centro-americano ci siano in cabina di regia conservatori nostal-gici di caudilli e guerra fredda, ossessionati dai presiden-

ti con ideologie vicine alla sinistra e amici di Chavez. Un accordo è stato raggiunto ma resta ancora in bilico fino a quando non si smetterà di posticipare l’elezione di un presidente, Zelaya, che il popolo honduregno ha eletto democraticamente.

-Pakistan: nell’ultimo periodo è diventato il luogo chia-ve della guerra al terrorismo. I Taliban prendono campo, le tribù e sempre più spesso la popolazione si schierano con essi.

-Palestina: Obama e le Nazioni Unite devono intervenire quando si verificano picchi di violenza o bombardamen-ti e stragi, ma per il resto del tempo dove sono?! Conti-nuano e non cessano le occupazioni di coloni israeliani nei territori già ampiamente ristretti. Eppure sembra pa-radossale il fatto che proprio Israele sia il più importante alleato in Medio Oriente degli Stati Uniti, e quindi le critiche, rispetto ad un Paese del tutto ostile e privo di legami, potrebbero essere più forti, e dato che l’esercito giudaico è armato proprio da loro, dei rimproveri forti e decisi potrebbero giovare al popolo palestinese.

-Africa: Sudan, Somalia e tutte le altre nazioni africane non hanno ancora beneficiato dell’arrivo sulla scena poli-tica di Obama, eppure in questi Stati si presentano anche situazioni che rasentano o sono un genocidio. Ma l’Africa è scomoda, gli alleati europei potrebbero ritrovarsi a

In risposta… (continua dal numero precedente) di Davide Leveghi

n° 2 anno XII

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rivangare un passato non proprio edificante che è la causa principale delle spaccature e delle asprezze politiche e sociali africane.

E questi sono solo alcuni tra i problemi di Obama. Cam-biamenti e svolte relazionali non sono stati molto eviden-ti, specialmente nei rapporti con i Paesi che pretendono un ruolo di maggiore importanza come l’Iran o la Corea del Nord.

Per quanto riguarda il premio Nobel, invece, ci sono molte cose da contestare, a prescindere che sia stato asse-gnato ad Obama. Il comitato norvegese infatti sostiene che il premio non sia di incoraggiamento, ma che sia al contrario un riconoscimento per “i suoi sforzi straordina-ri volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la coo-

perazione tra popoli”. Un giornalista di “The Nation”, Richard Kim, in un articolo a commento del Nobel criti-cava apertamente questa scelta prematura, dicendo che “è come se avessero dato il Nobel ad Obama per essersi comportato come un normale presidente americano inve-ce che come un cowboy corrotto ed incapace”. Inoltre personalmente penso che prima di arrivare al Nobel, O-bama, di strada, dovrebbe percorrerne ancora parecchia. Esistono peraltro personaggi della quotidianità che a-vrebbero meritato il premio ben più del presidente statu-nitense. Tirando le somme concludo dicendo che il No-bel appare esagerato, oltre che affrettato, ma mi auguro che in futuro Obama sappia realmente conquistarselo, simbolo di una vera svolta che tuttora resta difficile da intravedere.

What does America think about President Obama?

di Matteo Pavesi (in trasferta negli U.S.A.)

La settimana scorsa mi è stato domandato, da parte della redazione di Praticantati, di scrivere un artico-lo circa le opinioni degli americani su Obama; una sorta di risposta/approfondimento all’articolo (decisamente) critico pubblicato nell’edizione di Ottobre dal titolo “Obama, cambiamento o no?”. Sono negli Stati Uniti da agosto e me la godo. Introducendo l’articolo è doveroso fare due precisa-zioni. Per quanto riguarda la politica ammetto che i coetanei americani non si interessano al tema quan-to (o ancor meno) noi italiani, e ciò è colpa dei mass media, che trattano solo in minima parte, quasi i-gnorano, temi politici e sociali. Seconda precisazio-ne consiste nel fatto che si tende a generalizzare pa-recchio e a incolpare e criticare Obama (l’articolo di ottobre ne è chiaro esempio): si ricordi che negli Stati Uniti Senato e Camera hanno un potere enor-me, potere che spesso frena le iniziative del Presi-dente; quindi si critichi il governo, non il singolo. Venendo al punto, esattamente come in Italia, non esiste un’idea comune e condivisa circa il governo americano, pertanto si può distinguere l’opinione pubblica in quattro principali schieramenti. Una par-te (tristemente) massiccia “doesn’t really care”, non si preoccupano, non si esprimono, non hanno la mi-nima idea di cosa stia succedendo (in termini di po-litica). Una seconda parte è composta dagli estremi-sti; estremisti repubblicani/conservatori, coloro che, indipendentemente dalle scelte o dalle idee di Oba-ma, riconoscono in lui ogni colpa, ogni provvedi-mento è un errore; ed estremisti democratici/liberali, che sostengono ciecamente il governo, ignorando gli sviluppi.

Una terza parte sostiene l’idea che Obama non stia facendo assolutamente niente: le promesse si tra-sformano in illusioni, i discorsi sono parole al ven-to, Obama è un fuoco di paglia, un nulla di fatto. L’articolo di Davide Leveghi si può riconoscere in questa critica.

Novembre 2009

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Quarta e più moderata opinione afferma che è troppo presto per giudicare, che non è passato ancora un anno da quando Obama è salito al governo (gennaio 2009), quindi si pazienti e attenda la fine del manda-to per trarre conclusioni così supponenti. Il punto è che una persona con un minimo di giudi-zio, interessata in politica, si avvicina d’istinto al terzo schieramento, in quanto il quarto suona molto fallace; nonostante ciò bisogna considerare altri fat-tori influenti.

(Veloce precisazione per Davide Leveghi: Obama non ha fatto dietrofront riguardo a Guantanamo, gli americani non “ponevano la loro fiducia nel ritiro immediato da guerre disastrose ed inutili secondo la maggioranza della popolazione” decisamente no: l’americano medio è nazionalista, patriottico e in qualche modo coinvolto nell’esercito, e ricorda che i repubblicani stanno facendo un’ottima opposizione assillando e insistendo sugli errori di Obama.)

CROCEFISSO SI, CROCEFISSO NO?!CROCEFISSO SI, CROCEFISSO NO?!CROCEFISSO SI, CROCEFISSO NO?!CROCEFISSO SI, CROCEFISSO NO?!

di Agnese Di Giorgio IIIA Ecco il nuovo interrogativo degli italiani nelle ulti-me settimane: proviamo a vederci più chiaro. Nel 2001 la signora Soile Lautsi, cittadina originaria della Finlandia, chiede alla scuola pubblica Vittorio da Feltre di Abano Terme (Veneto), frequentata dai propri figli, di togliere i crocefissi dalle aule. Il pre-side della scuola però respinge la richiesta, così la signora fa ricorso al TAR (Tribunale Amministrati-vo Regionale) del Veneto che prima investe della questione la Corte costituzionale e poi, dopo che quest’ultima si dichiarò incompetente, diede un’al-tra negazione. Esso infatti sostiene che il crocefisso è simbolo della storia, della cultura, della identità italiana: il crocefisso quindi resta al suo posto. Ciò che però lascia perplessa la signora svedese è la mo-tivazione che il TAR dà: il crocefisso viene infatti considerato come simbolo universale super partes non riferibile ad un determinato culto religioso, evi-dentemente quello cattolico in questo caso. Anche il

Consiglio di Stato le nega la ragione affermando che il crocifisso rappresenta i valori della vita civile. La protagonista della vicenda però non si arrende, facendo ricorso dunque alla Corte europea dei Dirit-ti dell’Uomo di Strasburgo, dove finalmente trova una risposta positiva: la presenza del crocifisso in classe condiziona l'educazione degli studenti che possono interpretarlo come simbolo di una religione ufficiale. Il crocefisso nelle aule dell’ istituto di A-bano Terme viene rimosso e la questione quindi sembra essersi conclusa, ma è proprio la sentenza della Corte europea che fa tanto parlare. Il punto di partenza potrebbe essere il fatto che “l’Italia è uno Stato laico”, seguendo le parole del professore di Diritto Costituzionale dell’Università di Ferrara, Roberto Bin, parole dette nel corso del-l’incontro che ha tenuto mercoledì 11 novembre presso la facoltà di Giurisprudenza a Trento. Appro-fondiamo tale affermazione. Il fatto che l’Italia sia

detto Stato “laico” deriva non da una legge che lo definisce in modo esplicito, ma dall’ inter-pretazione oggettiva ottenuta attraverso l’as-semblamento dei contenuti di alcuni articoli della nostra Costituzione. Si tratta di una laici-tà intesa in senso positivo: ogni fenomeno reli-gioso non è negato, ma al contrario ammesso, consentito e garantito. In questo concetto sono implicite la neutralità e l’ uguaglianza fra i cul-ti religiosi, così come le premesse per buoni rapporti fra religioni e Stato ( tanto che quest’ ultimo promuove il loro finanziamento con il sistema dell’ otto per mille). Dunque, sembra che non esistono leggi che definiscano se, in generale, i simboli di culti religiosi possano trovarsi o no in luoghi

Attorno a noi

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pubblici; le uniche due fonti normative esistenti so-no regi decreti d’epoca fascista (1924-1928) rimasti in vigore perché sfuggiti all’abrogazione delle leggi dell’epoca mussoliniana. Tali normative stabilivano l’arredo nelle scuole, nel quale era compreso anche il crocefisso, espressamente indicato come simbolo del cattolicesimo. Quindi, di per sé, la presenza del crocefisso in classe è regolare. Certo però, si tratta di norme molto vecchie ed il fatto che in Italia man-chino leggi adeguate alla Costituzione concernenti questa materia materia, ora tanto discussa, rappre-senta senz’altro una debolezza dello Stato: niente norme particolari, niente tutela particolare. Da altra parte si sostiene che lo Stato in nome della propria laicità deve restare fuori dalla disciplina dei culti religiosi, ma ciò vale anche per gli edifici pub-blici? A noi italiani non rimane altro che confrontarci di-rettamente sul protagonista di questa vicenda: il cro-cefisso. Fra coloro che ne sostengono la presenza nelle scuole pubbliche, Natalia Ginzburg, scrittrice ebrea italiana di rilievo dell’ultimo secolo, scriveva su “L’ Unità” il 22 marzo del 1988, in seguito ad un caso sollevante la stessa questione d’oggi ed avve-nuto a Cuneo, affermando che il crocefisso rappre-senta tutti, in quanto simbolo del dolore umano, di sofferenza, del destino che ci porta inevitabilmente alla morte. Inoltre esso segnerebbe anche l’idea del prossimo, di uguaglianza, fratellanza e solidarietà, in quanto sarebbe stato Gesù il primo a portare tali valori al centro del pensiero e della vita dell’ uomo. Tutto indubbio, o quasi, perché gli oppositori credo-no non si possa negare il fatto che il crocefisso com-prende in sé prima di tutto il credo cristiano, pertan-to un bambino musulmano, buddista, induista, ebreo o di qualsiasi altra religione, un non credente, non potrebbe essere biasimato in alcun modo se ne fosse infastidito. D’altro canto c’è chi, dati alla mano, testimonia la maggioranza dei cristiani in Italia e pone la doman-da se per pochi casi bisogna davvero obbligare alla rimozione dei crocefissi. I favorevoli a quest’ ulti-ma tesi ribattono, però, che il nostro Stato sta cre-scendo e si sta diversificando sempre di più dal punto di vista religioso ed etnico e che quei “pochi casi” aumenteranno sicuramente. Ma anche si trat-tasse di un/a solo/a bambino/a su un’ intera classe, in quanto Stato laico, l’Italia avrebbe il dovere di tutelare ogni minoranza: non bisogna dimenticare infatti che il dibattito è aperto per quanto riguarda edifici pubblici, per definizione quindi dello Stato, come abbiamo già detto, “laico” e quindi allo stes-

so modo dovrebbero essere presentati gli stessi edi-fici. Se la separazione tra Stato e religione fosse presa con severità, se fosse tenuto in conto il vero significato di laicità, il richiamo ad evitare la com-mistione tra spazio pubblico e segni religiosi non farebbe sorgere alcuno scandalo. Naturalmente a difendere il simbolo della religione cristiana si schiera anche la Chiesa, che, come si può leggere in un articolo di Piero Ignazi su “L’ Espresso” del 19 novembre, “si limita a qualificare e delimitare lo spazio della laicità, non a negarla in toto. E si appiglia alle consuetudini derubricando il crocefisso a simbolo culturale”. Il crocefisso infatti fa ormai parte della storia e molti non si spiegano perché ora si provi questa necessità di toglierlo dal-le pareti scolastiche. Vederlo in aula è da più gene-razioni un’abitudine, dispiacerebbe veder mancare quello che è ormai una solida componente dell’am-biente classe. Proprio questo però viene usato come punto di forza per controbattere: nel momento in cui gli stessi credenti sembrano non dare risalto particolare al valore prettamente cristiano del croci-fisso, risulterebbe incontestabile affermare che esso sia diventato nulla più di un suppellettile al pari del-la lavagna e dei gessetti. Se c’è indifferenza rispetto alla sua presenza o meno da parte di chi per primo si dice cristiano, perché bisognerebbe, per mera questione di abitudine, suscitare invece disagio in professanti di differenti culti religiosi o atei? Ancora lungo potrebbe essere questo articolo, ma probabilmente non si arriverebbe mai a dare una risposta definitiva all’interrogativo del titolo. Cro-cefisso si, crocefisso no?! A voi la vostra personale risposta. Rimangono i dati di fatto: ora non esiste in Italia alcuna legge che dia delle direttive precise riguardo la questione; con le interpretazioni della sentenza della Corte di Strasburgo cosa succederà adesso?

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LA RIFORMA SCOLASTICA IN TRENTINOLA RIFORMA SCOLASTICA IN TRENTINOLA RIFORMA SCOLASTICA IN TRENTINOLA RIFORMA SCOLASTICA IN TRENTINO

di Angelica Giovannini I E

A partire dall’anno scolastico 2010-2011 verrà ap-plicata la riforma scolastica recentemente approvata dalla giunta provinciale. L’elaborazione dei piani di studio si basa sulle diret-tive della Commissione Pellerey di aprile 2008. È stata sviluppata dalla collaborazione dei gruppi di lavoro istituiti dalla Provincia, guidati da una Com-

missione creata dal Dipartimento istru-zione della P.A.T. . L’obiettivo è quello del contenimento del-la spesa, per evitare gli sprechi e raziona-lizzare le risorse a disposizione. La di-minuzione del monte ore porterà forse a una riduzione di orga-nico, “ma in percen-tuali decisamente mi-nori rispetto quelle prospettate dalla Gel-mini nel resto del Pa-

ese”, secondo il pro-fessor Crescenzo Lati-no, presente accanto

all’assessore provinciale all’istruzione Marta Dal-maso alla presentazione della riforma tenutasi a Cles il 10/11/2009. La riforma verterà su punti fondamentali, quali la promozione dell’apprendimento di due lingue co-munitarie, affiancando l’inglese al tedesco, vista la sua importanza dal punto di vista storico, culturale ed economico della nostra regione, l’assicurazione dello studio della storia locale, dell’autonomia, della cultura e dei valori della montagna. Inoltre, si cer-cherà di garantire la valorizzazione delle buone pra-tiche sviluppate nei vari indirizzi, compresi quelli sperimentali, anche in risposta alle esigenze del ter-ritorio. È prevista una lieve riduzione dell’orario scolastico, che permetterà in futuro di stare a casa il sabato e vedrà l’istituzione della “settimana corta” anche al liceo. La riforma, per i licei, stabilisce gli indirizzi classi-co, scientifico, linguistico, scienze umane, artistico coreutico musicale. Gli istituti tecnici avranno un-

dici indirizzi, divisi in settore economico e tecnico. Nel primo si troveranno indirizzi riguardanti eco-nomia, finanza, marketing e turismo. La seconda sezione invece, comprenderà meccanica, meccatro-nica ed energie; trasporti e logistica; elettronica ed elettrotecnica; informatica e telecomunicazioni; grafica e comunicazioni. L’assessore Dalmaso af-ferma che nessuna scuola verrà chiusa ed esclude anche la possibilità di accorpamenti. La novità principale vede l’annullamento della di-visione dei cinque anni del secondo ciclo di istru-zione in biennio e triennio. Verrà adottato invece il modello “2+2+1”. Il primo biennio avrà principal-mente funzione di collegamento tra primo ciclo e triennio finale del secondo ciclo. Sarà comune a licei e istituti tecnici, ed avrà 24 ore settimanali, nelle quali verranno studiate discipline come mate-matica, italiano, storia e geografia, lingue straniere. Verrà attribuita maggiore importanza alle lingue, tuttavia senza impoverire l’ insegnamento delle materie scientifiche. Alcune materie particolari avranno maggior risalto al triennio. Questo “biennio di orientamento” permetterà agli studenti di cambiare indirizzo, nel caso volessero modifica-re la scelta compiuta alla fine delle medie inferiori. Nel secondo biennio saranno potenziate le materie di indirizzo. L’ultimo anno sarà volto all’orientamento universi-tario, e sarà basato sull’”Alta Formazione” e sul rapporto con il mondo del lavoro. In particolare, verrà definito un monte ore da destinare esclusiva-mente al raccordo con l’università, in sostituzione dei corsi di preparazione. In quest’anno andrebbero lasciati solo gli insegnamenti legati alle prove scrit-te e quelli caratterizzanti l’indirizzo. Il nuovo disegno formativo è ancora da definire, e comunque interverrà con gradualità, solo sulle clas-si prime. Il progetto di riforma riguardante il trien-nio sarà quindi oggetto di valutazione, garantendo agli studenti la conclusione dei cinque anni con l’-ordinamento precedente. FONTI: ladige.it/ trentinocorrierealpi.gelocal.it/ iprase.tn.it/

L’assessore provinciale all’Istruzione e allo

Sport Marta Dalmaso

Attorno a noi

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Intervistaallebandprataiole

Domande: Sunday Drivers Gatta Gatta Groove’s Buddies

Nome e clas-se:

Alessandro Vaccari 3D Federico Bortoli 3D Fabrizio Lettieri 2C Andrea La Ganga 2C

Davide Levighi 1D Riccardo Schofberger 1E Angelo Naso 1D

Vanni Tait 3B

Matteo Dallapè 3C

Soprannomi: Al : Vacca (ride), Ale Fe: Kala

Fa: Gizzu

An: Ganga, Gang, Gangja, Gan-galà, La Gang Del Bosco, Gang Bang (con molta enfasi)

D: Toro Perez R: Schof A: Rofix

V: Ven

M : Teo lo Sculacciatore

Ruolo all’in-terno della band:

Al :Chiatarra Fe:Voce, tromba e, chitarra

Fa: Batteria e voce An: Basso

D : batterista R: chitarrista A: bassista

V: pianista/tastierista M : batterista

Vi ispirate a qualcuno? Se sì, a chi?

Tutti : Nofx, Rancid, Ska-p.. abbiamo tutti gusti diversi quin-di ognuno di noi si ispira a qual-cuno di diverso.

Tutti : si ... Velvet Underground, Capitan Beefheart, Jimi Hendrix, Frank Zappa.

V : a tutto ciò che ci piace. Personalmente sono molto at-tratto dal blues/jazz (Ray Char-les,Jimmy Smith..) ma anche dal rock (Pink Floyd..) (abbiamo da subito represso l’amore per il metal del can-tante Ivo). M : abbiamo anche influenze dai vari gruppi funky.

Da dove deri-va il nome della band?

(ridono) Al e Fe: è stato un plagio mo-struoso! An: praticamente ci siamo iscritti l’ultimo giorno, all’ultimo mo-mento, all’assemblea spettacolo 2008 e non sapevo cosa scrivere. Giravo con il vocabolarietto di inglese, cercavo un nome, ho vi-sto “Sunday Drivers” e ho detto: - mettiamo questo!

Al : poi abbiamo scoperto che era una band affermata spagnola..

Tutti : apparizione in sogno di Angelo ...precisazione: non c'entra niente con i gat-ti!

V: Ci trovavamo al Pedave-na.Stavamo compilando il fo-glio di iscrizione per l’assem-blea spettacolo. Dovevamo inserire il nome del gruppo che però non avevamo. Guardo Pozzo, e dico il primo nome che mi passa per la te-sta:”Quelli che..il Pozzo”, che sarebbe poi diventato in ingle-se “Groove’s Buddies”.

Da quanto suonate insie-me?

Tutti : da due anni.

Al : seriamente da di meno!

Tutti : un anno e mezzo .

( aprile 2008) V e M : da marzo 2009.

Che tipo di musica suona-te?

Tutti : È un genere che amalgama più generi; ska, punk, reggae, musi-ca ebraica, pachanka, e ultimamen-te ci stiamo muovendo anche verso l’etnica.

Tutti : blouse, hard core punk, psichedelia, speri-mentale.

V e M : rock, blues, jazz, funky…

Qual è la mag-giore soddisfa-zione che vi da la band?

Tutti : il mangiare e bere gratis durante le sagre! (ridono)

Fare musica alla cavolo, diver-tirsi e far divertire.

Tutti : vedere entrare i ge-stori dell' area nella sala prove dicendo che tremano i vetri .

V: che oltre al fatto che suo-niamo assieme siamo anche molto amici. M : trovarsi con amici e poter condividere una passione.

di Federica Di Giorgio VD e Yassnime Zoug VE

Novembre 2009

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n° 2 anno XII PRATICANTATI � 17

Finito il prati esisterete an-cora?

Al e Fe: boh vediamo.. dipende

da dove finiamo con l’universi-tà.. d’estate sì, andremo avanti!

D: spero di si. R: Gatta Gatta non muoio-no mai! A : spero di no per i gestori dell' area.

V: la vedo dura, ma tutto è possibile. M : lo spero!

Cos’avete che le altre band non hanno?

Fe: Fabry! (ridono) An: attitudine al cazzeggio!

D: siamo paranormali. R: sperimentiamo molto. A: abbiamo l' odio da parte dei gestori del centro musi-ca dell' area.

V: un componente che suona il sax come Charlie Parker e nuota con Phelps.

M : siamo molto uniti, e fac-ciamo un genere spesso so-pravvalutato. Inoltre, anche se non riusciamo a trovarci rego-larmente, al momento del con-certo riusciamo a dare tutto il nostro meglio.

Vi hanno mai chiesto un au-tografo?

Tutti : sììì! A Fede!! Fe: (esulta).. Erano due ragazzi-ne.. (ululati di Alessando)

D: li vendo su e-bay ( non è uno scherzo ). R: non posso uscire dalle troppe fan. A: si ma non avevo la pen-na

V: si ma non a me, bensì al sassofonista Niccolò; una feri-ta che non si rimarginerà mai…! M : sì, l'anno scorso al Prati.

Scrivete can-zoni?

Tutti : sì.. sono quasi tutte no-stre.

Tutti : suoniamo solo can-zoni nostre.

V: abbiamo scritto una canzo-ne. M : A dicembre registreremo un demo con inediti.

Per te la musi-ca è…?

Al : (silenzio).. sentimentooo!!

Fe: divertimento.. Fa: la musica.. è vita. (ridono)

An: è un sostantivo femminile singolare (aiutato da Federico).. no dai.. divertimento anche per me..

D: arte.. R: un modo per esprimersi. A: modo per trasmettere e provare emozioni.

V: ho un rapporto strano con la musica: a volte è uno svago, a volte un peso.

M :tutto!

Canzone pre-ferita?

Al : “Time Bomb” (Rancid). Fe: “Baba O’riley” degli Who, “Ruby Soho” dei Rancid e “La Fata” di Bennato.

Fa: non ne ho una in particola-re.. vado a momenti..

tutti gli album dei Deftones.

An: “The Separation Of Church And The Skate” dei Nofx, e più o meno tutte le canzone degli Ska-P.

D: “Freedom” R: “Sister ray” A: indeciso tra “Diventerò una star” e “Monsoon”....anche se odio il genere.

V: “Shine on you crazy diamond” dei Pink Floyd M : “Run for cover” di Marcus Miller.

Hai dimentica-to il testo di una canzone. Cosa fai?

(ridono) Fe: non ne so una! Invento..

Al : invento! Lui comincia a ballare come un cretino (riferito a Federico)!

D: tanto improvvisiamo! R: testo che testo ? mai stu-diato un testo ...tanto suono. A: tanto il basso non si sen-te ...me ne invento una sui piccioni!

V: mollo tutto e vado in Afri-ca. M : mi lancio di testa sul pub-blico.

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Descriviti con tre aggettivi:

Al : stupido, simpatico e carino (ridono).. seriamente, estroverso e esibizionista, mi piace stare sul palco. Fe: esibizionista, sentimentale e bello (ridono).. Fa: introverso, timido e fesso

An: anch’io esibizionista, balli-sta ed estroverso.. (gli altri sug-geriscono alcolizzato)

Tutti: Siamo creativi , scuotitori di finestre . freak out (hanno preferito descriversi insieme)

V: dopo un lungo ragionamen-to sono giunto alla conclusione che è un compito troppo arduo, ma giuro che ci ho provato(…)

M : estroverso, bello, attraente.

Descrivi chi è seduto alla tua sinistra con un aggettivo Posi-tivo e uno Ne-gativo

Al : P esuberante.

N permaloso! (riferito a Fe)

Fe: P serio. N incazzoso! (riferito a Fa)

Fa: N un po’ violento! P si applica.. è l’unico che studia le canzoni.. è un vero a-mico.. (riferito ad Andrea)

An: P Alessandro è un grande

N è grasso! (riferito ad Al)

D: P sembra un ragno N ha i capelli rossi (riferito ad Angelo) R: N bravo ragazzo P offre sempre il pranzo

(riferito a Davide) A: P pazzoide N teutonico...( detto in modo ironico ) (riferito a Riccardo)

Cosa cambie-resti del prati?

Al : niente.. devo ringraziare il Prati per com’è, per le persone che ho conosciuto e per quello che sono adesso. Fe: i bagni li hanno già cambiati! (ridono) Fa: sono d’accordo con Alessan-dro.. An: la struttura e il fatto che non ci sia uno spazio fuori ma il parcheg-gio.. (concordano tutti)

D : il cortile! R: veniamo presi troppo sul serio.. A: approccio allo studio trasmesso (tradotto metodo di studio).

V: le mentalità troppo chiuse di certi professori, forse.

M : un orologio in palestra!

Un lavoro che vorresti fare?

Al : lo psichiatra. Fe: maestro di elementari.

Fa: lavoro serio? ..musicista e psichiatra.. An: non lo so.. faccio giurispru-denza di sicuro, poi devo vede-re.

D : Lili. (come R) R: il vagabondo. A: aiutante babbo natale

(che sa il greco).

V: al momento ho troppe idee e troppo confuse riguardo la mia futura scelta universitaria..

M : musicista.

Le vostre fan esigono una risposta.. fi-danzati?

Al : Chi sono le nostre fan? Sì..

(ridono) Fe: sì Fa: no..(dubbioso) An: neanche io.

D : amante di Riccardo (detto sotto voce ). R: nooo...( la risposta lascia desiderare) A : si con Riccardo.. (sguardo di fuoco verso R per il nooo)

V: No. M : mah.. gay!

Per finire.. salutate le vo-stre fan!

Al : fatevi conoscere!

Fe: il mio numero è 340738885-5 (non fidatevi! ☺ ) Fa: ciao, ciao.. (con voce sedu-cente) An: ciao!! Tutti : Se vogliono, e se sono vere fan, possono contattarci e daremo loro il cd. Venite ai concerti!

D: censura. ( saluto non ap-propriato ) R: doppia censura. A: c u soon?

V: ciao ciao M: ciao.

Novembre 2009 18 � PRATICANTATI

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n° 2 anno XII PRATICANTATI � 19

Vivi complimenti a Marcello Calogero, studente dell'attuale III A , che con il racconto "Ore in fu-mo" ha vinto la sezione di prosa del concorso ALIENE PAROLE indetto quest'anno dalla Consulta degli Studenti. Il concorso ha visto la partecipazione di più di 60 componimenti tra prosa e poesia. La cerimonia di premiazione si è tenuta il 6 giugno 2009 presso il palazzo d’istruzione alla presenza dell’assessore Marta Dalmaso. Il numero di luglio/agosto 2009 di Didascalie

dedica ampio spazio all'evento, tra l'altro riportando per intero il racconto vincitore, che si riporta di seguito.

ORE IN FUMO

Curva dopo curva la valle si snodava e il paesaggio fuori dal finestrino si infilava tra le palpebre fra un momento di sonno e l’altro. Era così presto che il buio era ancora dietro ogni tornante e Davide non sapeva più se a dargli la nausea fossero le curve oppure quelle mattine tutte uguali. In quei giorni le ore in classe si erano fatte più noiose del solito e tutte quelle ore di viaggio per arrivare in città cominciavano a farsi spa-zio nella sua pazienza. Non era sempre stato così. Una volta a Davide il suo paese piaceva, ma ora i tem-pi in cui per arrivare alle elementari bastava attraver-sare la strada erano lontani, perfino un po’ sbiaditi. La corriera era arrivata in valle: si tirò su sul sedile e con una smorfia prese dalla cartella un libro:forse sa-rebbe riuscito a imparare qualcosa all’ultimo minuto. Il pomeriggio prima era tornato a casa esausto e di aprire i quaderni non se ne era nemmeno parlato. Le teste degli altri passeggeri ondeggiavano insieme come tanti fili d’erba, tutti uguali. Era qualcosa di totalmente nuovo: per un bambino la noia in paese non esiste. Poi anche per Davide era venuto il momento delle me-die e quella distanza da affrontare aveva significato allontanarsi da casa da soli, liberi. Col tempo l’interes-se per quel viaggio era sparito e al suo posto si erano accumulati i secondi, i minuti, le ore rubati, sprecati, gettati al vento dai finestrini di quell’autobus. Ora i suoi compagni di liceo dopo il suono della campanella camminavano verso casa chiacchierando, ma anche discutendo di argomenti tutt’altro che frivoli; Davide, invece, si scapicollava verso la stazione: davanti a lui più di un’ora di inutile viaggio. Dietro il vetro freddo passavano interi paesini come il suo, abitati da gente che quando la mattina si sveglia-va non vedeva l’orizzonte, solo salite e pendii, ma che, almeno a parole, non ne sembrava minimamente infa-stidita. Nel pomeriggio i suoi amici uscivano dal portone del-

la loro casa in città e, dandosi appuntamento, chiac-chieravano insieme fino alla scuola di musica, al corso di teatro o alla piscina per gli allenamenti di nuoto. Davide, tornato a casa, in città non poteva più tornar-ci: quella strada era così lunga che il gioco non valeva la candela. Così nel pomeriggio, disteso esausto sul divano della sua mansarda, guardava con occhi vuoti il televisore pensando a come i suoi compagni nello stesso momento mangiassero gelati passeggiando per il centro oppure, distesi sul prato del parco, guardasse-ro il cielo parlando di vita. Non pretendeva di unirsi a loro,sapeva che questo era troppo: gli sarebbe bastato anche solo sapere cosa fa-cevano per non esserne invidioso. Di questo si trattava: di invidia. Non di solitudine. Aveva amici in paese con cui passare le sere d’estate ridendo di ogni sciocchezza. Davide, però, era stato l’unico di loro ad aver scelto di frequentare le superio-ri in città, mentre tutti gli altri avevano deciso il loro futuro nella scuola in provincia. Quei campi sulle col-line sarebbero diventati loro, avrebbero ereditato le aziende dei loro padri e lì avrebbero vissuto. Per sem-pre. Sapere cosa li attendeva li rendeva tranquilli e felici di ciò che avevano e questo purtroppo aveva fatto diven-tare Davide sempre più insofferente alla loro compa-gnia. Non si sentivano anche loro tagliati fuori, esclusi, i-gnorati dalla vera vita che andava avanti in fondo alla valle senza di loro? Più passava con loro le serate seduto sulla riva del fiu-me e più li sentiva diversi. Una diversità che faceva sì che anche solo ascoltandoli si sentisse a disagio: nes-sun discorso di politica, nessuna discussione sul futu-ro, sull’università, sulla religione, sul mondo. Ormai Davide faceva solo finta di ridere alle loro battute. Quando stava fra i suoi compagni di classe del liceo e ascoltava i loro infervorati scontri sulla politica, sul governo e sulle guerre, provava imbarazzo per quei suoi amici di infanzia che neanche immaginavano che anche tra ragazzi si potesse discutere di vita: i compa-gni con cui esplorava i boschi sulle colline erano di-ventati adolescenti di cui vergognarsi. D’altra parte non avrebbe mai avuto il coraggio di dire loro tutto ciò che pensava e incontrandoli in piazza doveva fare buon viso a cattivo gioco. Le curve erano finite, la strada era ritornata diritta e il sole si era finalmente deciso ad illuminare la città che si avvicinava lentamente, l’unico luogo in cui Davide riuscisse a respirare. Veramente. L’ipocrisia a cui era costretto non era l’unica ad essere sopportata, un’altra pressione si era andata accumulan-

R A C C O N T I

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do nella sua testa in quegli ultimi tempi: era il peso delle vie non percorse, di tutte le possibilità che quello che ormai chiamava “il suo viaggio” gli negava. Davide non riusciva a fare a meno di ricordare a se stesso che se solo la sua casa si fosse trovata in città, i suoi pomeriggi sa-rebbero stati ben diversi: corsi di musica, teatro, lingue straniere. E tutto ciò avrebbe significato più divertimento, più cultura, perfino più amici! In quattro parole: essere una persona migliore. Invece tutta la voglia di fare di Davide andava sprecata mentre, seduto su un autobus, guardava la città scompari-re dietro le curve della sua valle. Ed era impossibile non pensare che il caso si prendesse gioco di lui quando gli capitava di ascoltare delle sue sciocche compagne che abitavano a un passo dal centro, raccontare con tranquillità di aver trascorso il pomeriggio precedente davanti alla televisione. Invece di sfruttare la fortuna che avevano. Invece di stare là fuori. Invece di darsi da fare. Per essere persone migliori. La rabbia non poteva che crescere e Davide era sempre più spesso di malumore. Se qualcuno poi gli chiedeva il perchè dei suoi modi sgarbati-si trattasse anche dei suoi genitori- usare come scusa la stanchezza era una questione da nul-la: chi non sarebbe stato sfinito dopo una giornata come le sue in cui tra l’arrivo e la partenza non sembrava esser-ci nulla? Nei momenti peggiori rifletteva sul fatto che forse aveva sbagliato a iscriversi al liceo cittadino, forse avrebbe do-vuto adattarsi ai suoi coetanei e frequentare l’istituto a pochi passi da casa. Così avrebbe vissuto una vita tran-quilla, riposata, senza la preoccupazione di non avere mai abbastanza tempo: quella possibilità portava ad im-maginare una vita così gelidamente mediocre che Davide rabbrividiva al solo pensiero ogni sera nel suo letto. Con una brusca frenata il mezzo si fermò e lui fu il primo a scendere. Era sempre il primo. Ma come facevano ad essere felici? Come mai non senti-vano anche loro quella sua stessa paura, quel-la sensazione di una vita che ti viene rubata solo perchè abiti in un luogo invece che in un altro? Non poteva continuare a fingere. Mentre cam-minava verso il liceo guardandosi le scarpe, pensò che la rabbia era finalmente abbastanza per dargli il coraggio di fare loro delle doman-de che con buona probabilità li avrebbero of-fesi. Era deciso: quella sera avrebbe chiesto loro che cosa facessero per riuscire a guardare in faccia le loro montagne senza rancore, senza odio, senza...amaro in bocca. Il sole stava spegnendosi e Davide non ebbe nemmeno il tempo di chiudersi la porta di

casa alle spalle che già tutta la sua rabbia coraggiosa si era dissolta, e tutti dubbi che vi si erano nascosti dietro ora potevano parlare forte e chiaro. Mentre si avviava al fiume, rigirandosi le mani in tasca, si chiese se forse non fosse altro che un ingrato: pensò che lui, al contrario di tanti ragazzi, aveva la fortuna di avere una casa, due genitori uniti e soldi a sufficienza per mangiare e frequentare una scuola. Appena li vide seduti sulla riva a Davide venne paura e si immaginò le risposte che avrebbe ricevuto alle sue domande. Sapeva già che i più intelligenti fra loro avreb-bero obiettato che i ragazzi in città sognano a loro volta di vivere in città più grandi, e che alla fine finisce sempre che si drogano perché si sentono sprecati e insoddisfatti. Mentre camminava sul ponte si chiese se i suoi amici, non avendo viaggiato, semplicemente ignorassero che si poteva vivere meglio, che c’erano infinite possibilità là fuori, oltre il loro campo. No. Era impossibile. Forse non leggevano i giornali,ma era sicuro che ognuno di loro guardasse la televisione abbastanza per vederci persone che vivevano ad un’intensità mille volte maggio-re della loro. Poi però Davide arrivò alla conclusione che per non sentirsi inferiori a quei modelli, probabilmente a loro bastava avere un cellulare come quello delle celebri-tà, non una vita come la loro. Infine si chiese se in fin dei conti loro non fossero già felici così, vivendo in valle, dove la gente è più buona, dove ci si giudica per come si è e non per come ci si ve-ste, dove la droga non riesce ad arrivare. Presto avrebbe avuto una risposta. Davide si sporse dalla balaustra del ponte e rimase ad osservarli dall’alto per qualche secondo: erano seduti in cerchio, avevano vestiti falsi che imitavano marche fa-mose, maschi e femmine avevano tutti lo stesso taglio di capelli. Quella sera c’era anche una novità: fra le loro mani pas-sava quella che era molto di più della solita sigaretta. All’improvviso tutti alzarono la testa verso l’alto attirati da un rumore.

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Recensioni

"TI PRENDO E TI PORTO VIA""TI PRENDO E TI PORTO VIA""TI PRENDO E TI PORTO VIA""TI PRENDO E TI PORTO VIA"

Niccolò AmmanitiNiccolò AmmanitiNiccolò AmmanitiNiccolò Ammaniti di Riccardo Schoefberger I E

Piero Moroni è un ragazzino di dodici anni, timido, introverso, proviene da una famiglia problematica con un padre tiranno. Graziano Biglia è un quarantenne playboy di ritorno dalla Jamaica ora in cerca di un amore vero e di una vita che gli possa dare le soddisfazioni che in tutti gli anni di bagordi non aveva conosciuto. Ciò che accomuna questi due personaggi è l'essere orginari di un paesino collocato in un nulla qualche decina di chilometri da Roma, dove "il mare c'è ma non si vede", ma non solo. L'amore ideale di Graziano proverà a concretizzarsi con una professoressa della scuola di Piero, Flora Palmiri, donna molto sola che vive con la madre malata e che finora negli anni della sua vita non ha avuto relazioni con nessun uomo. S'illuderà anche lei di aver trovato, coll'ex playboy, la svolta che or-mai aveva quasi rinunciato a cercare. Finirà impaz-zita e carbonizzata dentro a una vasca da bagno. Piero è innamorato di una sua compagna di classe, Gloria, proveniente da una famiglia borghese, una ragazzina con cui condivide un'amicizia molto pro-fonda. Ciò che i teppistelli che perseguitano Piero a scuola e per le vie del paese non capiscono è il mo-tivo che lega un ragazzino fallito e pieno di paure alla più desiderata della classe. Il povero e sfortuna-to ragazzo passerà in riformatorio gli anni che lo separano dall'età adulta. Italo Miele è il guardiano della scuola media che Gloria, Piero e gli altri ragazzi del paese di Ischiano Scalo frequentano. Uomo molto solo anche lui, sfruttatore della prostituzione, razzista, padre di un poliziotto e soprattutto vittima di un'incursione tep-pistica notturna nella scuola da parte di Piero e i suoi seviziatori. Max è uno studente universitario romano che nei pressi di Ischiano Scalo ci passa solo in macchina per raggiungere il mare insieme a una ragazza punk conosciuta da poco. Finiranno piangenti sotto alla pioggia e picchiati dal poliziotto Bruno figlio di Ita-lo. La colpa di Max: essere un finto alternativo fi-glio di papà al volante di un auto molto costosa. E soprattutto di aver sporcato con la cenere delle can-ne il pavimento della vettura. Il libro si apre col giorno dove Piero legge tra le ri-ghe dei cartelloni dei risultati appesi all'entrata della

scuola accanto al suo nome l'unico "NON AMMES-SO" dell'istituto. Il capitolo successivo ci riporta indietro di sei mesi.

Il libro si chiuderà con una lettera scritta da Piero a Gloria dal riformatorio. Il libro è uscito per la prima volta nel 1999, lo scrit-tore, Niccolò Ammaniti, ha ormai una consolidata fama di autore capace di far innamorare qualsiasi lettore, da quello che legge tre libri alla settimana a quello che il massimo a cui è giunto è Top Girl. I suoi libri coinvolgono, mettono il cervello del let-tore nella condizione di obbligarlo a dedicare loro una porzione di ogni giornata. "Ti prendo e ti porto via", "Come dio comanda", "Branchie", "Fango" e il racconto "Seratina" presente nell'antologia di rac-conti pulp "Gioventù cannibale" sono tutti agglo-merati di parole ed episodi di un'energia, una bel-lezza e di un coinvolgimento spaventosi. Il suo stile di scrittura si è evoluto negli anni da quello asciutto e a volte crudo di "Branchie" e "Seratina" a uno quasi esclusivamente mirato a

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MULHOLLAND DR. di David Lynch

di Angelo Naso I D

20 � PRATICANTATI Novembre 2009

catturare il lettore, come nel libro che presento in questo articolo. In "Ti prendo e ti porto via" ogni capitolo non segue direttamente la narrazione del suo prece-dente, ma normalmente di quello prima ancora, in modo che mentre si sta seguendo la storia di un certo personaggio, la mente immagazzina un'altra storia che per seguire si è obbligati a entrare in contatto con un altro capitolo e di conseguenza con un'altra storia ancora. E' un vero e proprio circolo vizioso. Questo racconto penso che sia importante anche per altre motivazioni, non solo per passare in modo piacevole qualche sera (le pagine sono quattrocento, ma vi garantisco che in tre sere le avrete scorse tutte!). La mole di episodi raccontati fanno comprende-re, in modo anche violento e privo di sentimen-to di responsabilità verso il lettore (rimasuglio dello stile pulp che a volte Ammaniti torna ad abbracciare), che ognuno di noi potrebbe diven-tare un assassino o un mostro in qualsiasi mo-mento, che dietro alla rassicurante figura di un pubblico ufficiale o un insegnante a volte sta un malato mentale o un delinquente. Leggere questo libro equivale a leggere la cro-naca nera di un quotidiano, con molte storie di persone che identifichiamo come "la gente nor-male" che invece rivelano tutta la loro umanità e violenza, lasciandoci disorientati. "Ti prendo e ti porto via" è un racconto di di-sperata periferia, Piero è abbandonato a sè stes-so e ha le sue paure come uniche compagne per la crescita. Dovrà fare i conti da solo, nemmeno la sua ami-ca gli sarà di grande sollievo, con i teppistelli che lo assillano, senza poter chiedere aiuto a qualsivoglia istituzione. Dovrà fare i conti da solo con la violenza e indifferenza di un padre che giungerà a picchiare la moglie e la ragazza del suo fratello maggiore. Dovrà anche affrontare lo spaventevole peso di un omicidio commesso alla sua età. Come con-cluderà poco dopo i fatti: "Era morta davvero". In riformatorio Piero incontra un ragazzino ca-labrese che ha ammazzato il padre. Dal discorso che divide con lui, capirà che è inutile mentire a sè stesso: le cose erano andate come erano an-date, lui si trovava in quella situazione, e vi ci sarebbe rimasto ancora per sei anni, solo per la disperata voglia di scappare da Ischiano Scalo.

Mulholland Drive è un intreccio disarticolato di situazio-ni imprevedibili, universi paralleli e personaggi improba-bili, un vertiginoso deja-vu dal carattere onirico ed inve-rosimile e un irrisolvibile rompicapo, oltre che un argu-tissimo gioco di fantasia del suo autore, David Lynch. Il film, vincitore del Festival di Cannes 2001 quale mi-glior regia, continua ad attirarsi infinite attenzioni da par-te della critica a causa della sua trama intricatissima: in seguito a un incidente sulla strada di Los Angeles che dà il titolo al film, la giovane Rita perde la memoria e si rifugia a casa dell'ingenua Betty (una grande Naomi Watts), aspirante attrice appena giunta in città. Nulla di complicato, fino a quando le due protagoniste (che si danno da fare per scoprire l'identità di Rita) non trovano una misteriosa scatola blu da aprire con la chiave che Rita tiene nella borsa. Da questo momento inizia un piro-tecnico e vorticoso stravolgimento della situazione, che vede Rita (il cui nome è diventato Camilla) essere una vanesia attrice di successo e Betty (mutata improvvisa-mente in Diane) la sua ex-amante, rifiutata per un regista di successo, nonché un'attricetta mediocre e depressa.

Le possibili interpretazioni dell'intreccio sono molte: la più nota e coerente a livello narrativo afferma che tutta la prima parte (ovvero i 3/5 del film) altro non è che il so-gno di Diane morente, la quale, alla fine del film, osses-sionata dai sensi di colpa per aver commissionato l'omici-

Recensioni

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n° 2 anno XII PRATICANTATI � 23

dio di Camilla, si suicida in preda ad allucinazioni. Nel sogno, è Betty/Diane ad ottenere il successo (come si deduce dalla scena del provino cinematografico), mentre Rita/Camilla, innamorata di Betty, si trova a un punto di svolta della sua esistenza, dal quale però, grazie alla sua amante, può ritrovare l'identità perduta. Tutto nel sogno è capovolto: Camilla viene automaticamente perdonata da Diane, la quale, in opposizione a ciò che è nella real-tà, diventa una sorta di angelo-guida che conduce Rita verso una nuova vita e Camilla verso una possibile re-denzione; così il sogno diviene per Diane ipotesi di ca-tarsi. In questa visione “ottimistica” del sogno, Dia-ne, una volta perdonata Camilla per i torti commessi, sogna di poter aiutarla a ritrovare se stessa: ma, in verità, è proprio Diane che sogna di poter ritrovare la propria, vera identità, attraverso un meccanismo di redenzione per cui Rita diventa lo “strumento” grazie al quale Diane (attenzione: Diane, non Betty!) sfugge alla sua identità di assassina per trovarne una nuova, positiva, di angelo salvatore. In questo modo Rita diventa solo un riflesso, introiettato, di Diane, la qua-le rinasce in Betty: una volta conclusa la “missione” di quest'ultima (ovvero far sì che Rita ricordi chi sia), Betty può scomparire. Ciò designa anche la fine del sogno e sottolinea la centralità di Betty/Diane all'in-terno di esso, tant'è vero che l'effettiva ripresa di co-scienza di Rita non viene mostrata, secondo la logica che Rita è solamente lo strumento di Betty, la quale in-vece è l'autentica protagonista del sogno: una volta scomparsa, termina anche la funzione del sogno. Tutto il film può essere riletto, tenendo pure valida l'in-terpretazione del sogno, in senso platonico, per cui la vera purificazione dai peccati di Diane risiede nella sua morte reale, e non nella sua angelificazione onirica. Adam Kesher (il regista di successo), nel sogno è un regista vessato dalle imposizioni della produzione e tra-dito dalla moglie. Egli viene in qualche modo “punito” dall'inconscio di Diane; ma subisce la stessa sorte anche Camilla e, forse, la stessa Diane, la quale subirà un an-nullamento del sé in seguito alla riconquista di coscien-za di Rita. In questa prospettiva, la vera protagonista del sogno è Rita, e non Betty, che altro non è che uno “strumento”: il sogno di Diane non è più suo, né di Betty, bensì di Rita. Da questo punto di vista, Betty e Diane non sono due personaggi opposti, come sono in-vece Rita e Camilla, ma due facce della stessa debolez-za, vittime l'una della propria ingenuità, l'altra del pro-prio desiderio di rivalsa. Per entrambe l'annullamento dell'Io è l'unica vera possibilità di redenzione, mentre la figura estremamente maligna di Camilla arriva quasi a insinuarsi nell'inconscio di Diane (appropriandosi della sua possibile catarsi e rendendola quindi incapace di creare un proprio universo con una propria integrità). Ciò che emerge, in ogni caso, è che comunque una si-tuazione prenda il via, andrà sempre a finire male per

Diane, che non trova il successo ma scompare o muore, e bene per Camilla, che (ri)trova la propria identità op-pure incontra il successo. Da questo punto di vista, quin-di, il “sogno” secondo Lynch non apparterrebbe a se stessi ma ad altri, ai propri nemici; non è più opportunità di purificazione bensì affermazione della negatività del-la realtà; non è una vera possibilità di redenzione ma lo è solo a metà, rimanendo legato alla disperazione della vita reale, forse divenendo parte stessa della realtà, di certo perdendo la propria identità originaria. Il sogno, ancora più rassegnato della realtà, prende il posto di

questa, sostituendovisi e sottolineando non più per con-trasto ma per pura affermazione ciò che viene abbozzato nella realtà. Ed è anzi illusione e capriccio, un balocco che nasconde l'amarezza del vissuto. Lynch fomenta questa ipotesi utilizzando una struttura narrativa che prevede a livello intrinseco l'affermazione del sogno quale elemento fondamentale incontrastato, ben più im-portante della realtà, che viene ricostruita per mezzo di flashback. Sogno e realtà si mescolano e si accavallano, dunque, fino a perdere la propria identità originale: la dimensione onirica non è più solo onirica in quanto meccanica ripetizione di ciò che avviene parallelamente nella realtà, e la dimensione “reale” viene svilita e posta addirittura al di sotto di quella onirica, come sua subor-dinata. Non vi è più una reale antitesi di ciò che accade: semmai vi sono una serie di mondi paralleli che, per quanto “paralleli”, non divengono mai opposti, non por-tano a finali differenti, ma traggono le stesse conclusioni proprio, paradossalmente, negando i loro inizi. In Mul-holland Drive coesistono diversi inizi, che conducono però (attraverso infinite traiettorie) a un'unica strada, ad una e una sola fine. La teoria “degli inizi” è resa nota dall'inizio del film (cioè del sogno): se per Rita da una parte, con l'incidente, fini-sce sicuramente qualcosa (ma un qualcosa ignoto allo spettatore), allo stesso tempo inizia una nuova vita. Ciò è ancora più evidente con Betty: per lei vi sono una serie di inizi che la portano a conoscere Los Angeles, l'universo

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hollywoodiano, la nuova casa, e la stessa Rita. Il suo stupore è evidente e sottolinea per contrasto la situazione già scritta della vita reale, in cui lei è destinata alla morte e non alla vita, come accade invece nella dimensione onirica. La nota struttura circolare del film sottolinea ulteriormente le diverse “impressioni”: l'impressione iniziale è di un inizio particolarmente vivace per Betty (tant'è vero che non conosciamo i suoi precedenti), in opposizione all'impressione disturbante legata al tragico finale. Man mano che la storia avanza gli avvenimenti divengono sempre più noti e quindi meno stupefacenti, e Betty ha una seconda occasione di “ricominciare” attra-verso la ricerca della personalità di Rita. Lungi dall'esse-re soltanto una scelta “tecnica” dell'autore per tenere in vita il racconto, questa strada narrativa fa avanzare ulte-riormente la prima ipotesi del sogno, aggiornandola con la dimostrazione che Betty e Rita in realtà sono la stessa persona, un'unica forza che nasce e muore simultanea-mente (ciò è sottolineato intelligentemente dal montag-gio). Da qui il loro forte attaccamento affettivo (sublimato dalla scena in cui Betty acconcia Rita con la sua stessa pettinatura bionda). Tutto naturalmente è po-sto secondo la logica del rovesciamento onirico dell'ordi-ne reale: le due ragazze, tanto unite prima, si ritrovano distaccate poi.

Come si è detto parlando dell'interpretazione platonica del sogno, Camilla, appropriandosi del sogno di Diane, rinasce in quest'ultima: ma, stranamente, con quest'atto acquista una forma di ingenuità. Eppure, entrambe le protagoniste, nel sogno, trovano una dimensione di inge-nuità sottolineata in modo duplice per Betty (che si fida di Rita ma anche del mondo di Hollywood) e singolar-mente per Rita (la sua devozione nei confronti di Betty): ciò metterebbe in evidenza la certezza lynchiana secondo cui l'aspetto onirico della realtà è in qualche modo il par-to del nostro aspetto benevolo, “bambino” ma nel senso

di “inesplorato” e forse anche “oppresso”. È lo spunto che dà il la all'incontro/scontro temporale tra il ricordo nostalgico e sognante del cinema classico e la visione acutamente e orrendamente veritiera (forse anche profe-tica) del losco circuito commerciale della Hollywood sommersa, popolata da biechi produttori che impongono limiti e ostacoli alla creatività dell'atto cinematografico, rispolverato qui nella sua forma latente e dotato da Lynch di una sensibilità nuova ma strettamente viscera-le. Come osserva Luca Malavasi, «sul piano generale non è difficile scorgere al di sotto di Mulholland Drive il pa-linsesto di un classico film d'avventura “onirica”, e in particolare di Il mago di Oz»: i personaggi che nella re-altà tradiscono amici o commissionano omicidi, possono trasformarsi in un ipotetico mondo fantastico ancora ignaro dell'orripilante realtà in angeli custodi di bambine smarrite, come nell'autentica tradizione classica del filo-ne fantastico (a cui Lynch sembra voler appartenere pie-namente). Lo “sdoppiamento” narrativo fa seguito così ad una netta divisione filologica altrettanto precisa, e il punto di contatto, l'intersezione evidente dei due mondi (che potrebbero essere ulteriori universi paralleli) sta nello spazio temporale, un polo da cui sono attratte le realtà “vere” da un punto di vista narrativo e quelle oni-riche, ma allo stesso tempo quelle reali in tutto e per

tutto e le loro rispettive cinematografi-che. Il Tempo, quindi, è l'unica vera chiave di lettura che possa accomunare ogni interpretazione coerente. Di conseguen-za, la famigerata scatola blu è niente meno che l'elemento portante di tutta la narrazione, poiché in essa è contenuta ogni possibile svolta, da quelle maggior-mente “prevedibili” alle soluzioni più schizofreniche. Il Tempo è quindi rac-chiuso completamente nel microcosmo della scatola blu, che è a sua volta tenu-ta sotto controllo dal barbone nascosto dietro il muro del Winkie's. Questo in-quietante personaggio non a caso è una delle figure che rendono il film distur-bante oltremodo, ed è forse l'anello più importante a livello narrativo. Oltre al

suo potere di “entrare” nei sogni altrui (vedi la prima scena del Winkie's), possiede grazie al cubo blu la capa-cità di fermare il tempo, di manipolarlo a piacere per far-lo scorrere più velocemente o per fargli compiere mistifi-cazioni decisive. In fondo, è attorno a questo deus ex machina che gravita tutto il racconto: forse è proprio a causa di esso che perde ogni suo tratto lineare. Alla fin fine, dunque, è il Tempo ad avere la meglio sulla dimensione onirica, nella quale risiede l'unica possibilità di redenzione “positiva”. Forse è proprio per questo che

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Lynch si dilunga nella descrizione di un mondo “onirico” (ma nel senso di “da sogno”): non solo perchè non vi è più distinzione tra sogno e realtà, ma anche per il fatto che questo mondo immaginario non esistente è un mero antecedente della realtà, quindi parte di essa assodata dal Tempo. Sostenitrice dell'importanza del Tempo non è il fatto che questo mondo immaginario non esistente è un mero antecedente della realtà, quindi parte di essa assodata dal Tempo. Sostenitrice dell'importanza del Tempo non è l'interpre-tazione del sogno ma quella dei mondi paralleli. Secon-do questa teoria, ciò che succede in un universo può esi-stere, naturalmente in modo alterato, in un altro. Le due realtà si oppongono, si scontrano e si richiamano tra di loro, ma possono coesistere senza che una delle due prenda il sopravvento. La prima parte non è più il sogno di Diane ma una possibile realtà, collegata per mezzo di una scatola blu, a un'altra dimensione incompatibile, in cui luoghi e personaggi vengono mantenuti intatti ma stravolti dalla logica delle infinite combinazioni. Quello che Lynch ci mostra non è una storia coerente, dunque, ma due possibili alternative a una realtà che di fatto non esiste, proprio perchè frammentata in riflessi accomunati tra loro dalla propria incompiutezza; una prima realtà potrebbe terminare laddove finisce la seconda, e vicever-sa. Solo così possiamo affermare, appoggiandoci a un'i-potesi ancora meno coerente, che gli ultimi 2/5 di film altro non sono che la prosecuzione della prima parte: Rita ha ritrovato la propria identità (ha scoperto di chia-marsi Camilla Rhodes), è divenuta una grande attrice e ha sposato il regista innamorato di Betty, la quale adesso si fa chiamare Diane e vive di luce riflessa all'ombra del-la nemica ed ex-amante, che le procura particine di con-torno nei suoi film. Con questa ipotesi, che sarebbe la via più semplice (ma è anche quella più inesplorata), molte cose non tornano, però essa sarebbe valida per considerare un'ipotesi di interpretazione quanto meno oggettiva e non disposta a prendere per valida la fumiste-ria di Lynch. Certo, in questo modo resterebbe penaliz-zato l'intreccio ingannatorio e complesso (nonché la struttura circolare del racconto e del film stesso), e si potrebbe quindi aprire un'altra porta prendendo in mano una variante di quest'ultima interpretazione: la misteriosa scatola blu, grazie ai suoi poteri nascosti, avrebbe per-messo uno scambio di vite tra Rita e Betty. Anche in questo caso non tutto tornerebbe, ma d'altronde ciò non è richiesto né perchè quest'ipotesi farebbe capo alla grossa matassa interpretativa dei mondi paralleli, né (soprattutto) perchè si sta parlando di un film di David Lynch. Nell'arte lynchiana è previsto e richiesto che non tutto debba tornare, e la razionalità viene messa da parte a favore dell'istintivo godimento dello spettatore. Forse, Lynch vuole convincere il pubblico del fatto che la sua

messa in scena è prima di tutto una grande esperienza visiva, spesso più vicina alla gloria del cinema classico che all'astruso cinema contemporaneo: il suo è sì metaci-nema, ma dai connotati post-moderni. E se è davvero così, pur essendo Mulholland Drive un autentico film da leggere, rimane superfluo impantanarsi nei fanghi dell'e-nigma (che più si affronta e più appare irrisolvibile), ed è preferibile godere della suggestiva tecnica registica di Lynch, protesa a rendere protagonisti i colori pastosi degli oggetti e i corpi, che appaiono spesso deformati, sproporzionati, grotteschi oppure in decomposizione. In realtà, ciò che quasi nessuno ha detto è che Mulholland Drive è un film sconvolgente e terrificante in cui lo spet-tatore è spaesato dall'inizio alla fine, disorientato dall'in-treccio inspiegabile e ambiguo e dalle molte soggettive di Lynch, strappate di forza al filone horror (ma al quale questo film non appartiene affatto, benchè ne conservi la carica emotiva terrorizzante). Inoltre, i rumori scricchio-lanti sempre in primo piano, l'immaginario di personaggi ambigui e sconcertanti, il paesaggio losangelino freddo e ostile, aiutano a creare nello spettatore uno stato emotivo di terrificante e disturbante angoscia, che è ben più pro-fonda del comune senso di terrore di un qualsiasi horror o thriller. Il fatto di aver creato una trama e una struttura tanto nuove (ma sono la naturale estremizzazione dell'e-sperienza di Blue Velvet) permettono a Lynch di porre lo spettatore in una posizione di ostilità verso se stesso e non verso il film, nella quale è costretto a compensare la debordante esperienza visiva davanti a cui si ritrova con l'introspezione più profonda in relazione a tessuti narrati-vi che già di per sé sembrano estratti, vivisezionati, da precedenti esperienze. Naturalmente, tale operazione me-tafisica è sostenuta da uno stile di regia assolutamente straordinario, forse più che in precedenza, la cui attenzio-ne è rivolta alle oscurità di stanze buie, ad oggetti miste-riosi (il denaro nella borsa di Rita, la scatola blu, il “libretto nero”) e ai colori (le unghie e le labbra rosse di Rita, contrapposte ai suoi occhi e capelli scuri, il blu della scatola quadrata e dell'atmosfera del Club Silencio, la lampada rossa sul comodino, la vernice con cui Adam tinge i gioielli...), curati, oltre che con gelida asciuttezza, con un occhio all'impatto visivo del technicolor. Proprio questo straniante utilizzo dei colori, degli oggetti, dei luo-ghi e dei corpi fa rassomigliare Mulholland Drive, più che a un film, a un grande quadro astratto. Lynch, dunque, ha creato un universo fantasmagorico eccezionalmente nuovo, descritto per mezzo di schemi per nulla arcinoti e ritratto con una cura maniacale e un gusto barocco per l'ignoto. L'ignoto appunto, è l'unica vera costante che permette di inquadrare Mulholland Drive all'interno dei canoni del personalissimo cinema d'avanguardia del suo autore: ignoto perchè rivoluziona-rio, ignoto perchè incomprensibile, ignoto perchè terrifi-cante.

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Di Yassmine Zoug V C

Gossip Girl here your one and only source in to the scandalous lives of Manhattan èlite ....Where has she been? It's Serena. But who I’m ? Thats a secret I'll never tell you, you know you love me xoxo Gossip Girl. Chi di voi non ha mai sentito pronunciare queste frasi prima che inizi il telefilm per cui tutti i ragazzi abbandonano i libri e si mettono davanti al televisore per seguire le vite più scandalose che si siano mai viste? Chi di voi non è mai stato catturato dalla voce elettrica della fonte più famosa di gossip? Chi di voi non ha mai provato a imitare il XOXO che Gossip Girl dice alla fine dell' introduzione? Se tutti voi vi ritrovate ogni pomeriggio a fare queste cose, beh non preoccupatevi! Siete solo una piccola parte di miliardi di fan del telefilm più seguito in tutto il mondo dai teen-ager. Insomma, ammettiamolo: Gossip Girl è il telefilm che ultimamente ha fatto più ascolti, ed infatti è diventato uno dei principali argomenti che si affrontano quando si è tra amici ormai, ed il nome della blogger più famosa al mondo lo si sente nominare sugli autobus, a scuola, al bar… insomma in tutti i luoghi pubblici. E per quella piccola parte che non sapesse chi sia Gossip Girl? Semplice: basta chiedere!!! Si tratta di una famosa blogger che, attraverso altre persone, raccoglie informazioni sui teen-ager più scandalosi di Man ha t tan , p e r po i pubblicarle sul suo blog. L' identita della blogger è segreta, altrimenti il telefilm non av rebbe senso . Chi sono i teen-ager più scandalosi??? Alcuni di loro compaiono e scompaiono, invece altri si sono aggiudicati il posto fisso in fatto di scandali e questi ultimi sono Serena, Blair, Jenny, Nate, Dean e Chuck. Su di loro non vi dico molto, perchè mi aspetto che voi che non avete la minima idea di che cosa sia Gossip Girl cominciate a guardare il telefilm.

Ora però una domanda sorge spontanea: perchè Gossip Girl ha avuto tanto successo??? Solo perchè la storia dei sei ragazzi ci intriga molto o è anche perchè molti di noi hanno sempre sognato di vivere una vita sfrenata a base di lusso, sesso e feste? Dal successo che ha avuto il telefilm devo dire che molti di noi si sentono dei divi come Blair, dei belli e dannati come Chuck o degli outsider come Dean… insomma, forse i personaggi di questo telefilm rispecchiano un po’ ciò che siamo o ciò che vorremmo essere, o ancora più semplicemente la storia è così inrecciata che ci appassiona molto. Come ho appena detto, dato che la storia è molto intrecciata, spero che Gossip Girl non diventi un secondo Beautiful con puntate che arrivano fino alla 5000. Insomma non credo che qualcuno di noi si sia così appasionato al telefilm da accompagnare i nostri amici fino alla pensione, comunque non lamentiamoci prima del previsto perchè siamo solo alla seconda serie, sta per iniziare la terza e se non sappiamo ancora chi sia questa blogger… mettiamoci l' anima in pace e continuiamo a goderci il telefilm sparendo di scoprire chi sia Gossip Girl e che il telefilm non ci voglia accompagnare fino alla pensione. Un saluto e..XOXO Gossip Girl!!

Recensioni

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Musica

THE BEATLES:

IL MITO CHE HA SEGNATO LA STORIA DELLA MUSICA

di Patrizia Pojer e Martina Girardi V D

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Ci sembra importante, oltre che doveroso, a quasi quaran-t’anni dal loro scioglimento (maggio 1970) ricordare quel

gruppo che ha rivoluzionato la storia della musica e allo stesso tempo ha cambiato il comportamento dei giovani: i Beatles. I “fab four”, come sono stati chiamati durante la loro leggendaria carriera, sono quattro ragazzi di Liverpo-ol: Paul McCartney, bassista, John Lennon, chitarrista, George Harrison, chitarrista, Richard Starkey (in arte Ringo Starr), batterista. Alla voce non c’era un ruolo fis-so perché tutti sapevano cantare e si alternavano. In solo otto anni hanno pubblicato una dozzina di album e ne hanno venduti milioni di copie, con canzoni che hanno fatto storia come ad esempio “Yesterday”, “Let it be” e “Hey Jude” grazie alla creatività della coppia di autori Lennon-McCartney. È il teenager John Lennon, a metà degli anni Cinquanta, a fondare un complessino scolastico, inizialmente con il nome di “Quarrymen”, che in seguito diventerà il gruppo più celebre del mondo: The Beatles. Nel 1960 trovano un ingaggio di alcuni mesi in Germania, ad Amburgo. L’e-sperienza amburghese si rivela massacrante, ma contri-

buisce a migliorare l’intesa del gruppo che è sempre sta-ta molto forte. Un anno dopo, tornano a Liverpool dove

si esibiscono davanti a molti fans nel “Cavern Club”, un locale frequentato dalle band della città. Nell’estate del 1962 grazie all’intervento del loro manager Brian Epstein, firmano un contratto con la casa discografica “Parlophone” che impone un cam-bio di batterista; è qui che entra in scena Ringo Starr al posto di Pete Best. Questo cambiamento all’inizio viene contestato dalle fans poiché ritengono più af-fascinante Pete Best. Con l’uscita, nel settembre dello stesso anno, del loro primo singolo “Love me do”, ma soprattutto dei successivi 45 giri “From me to you", “ Please please me” i Beatles diventano presto un’icona giovanile. In poco tempo comincia a diffondersi quel fenomeno passato alla storia come “Beatlemania” che si diffonde non solo in Gran Bre-tagna, ma anche negli Stati Uniti e in seguito in tutto il mondo. Questa definizione indica il comporta-mento dei loro sempre più numerosi fans che duran-te i concerti manifestano vere e proprie crisi isteri-che con tanto di pianti, urla e svenimenti. Tra il ’64 e il ’65 i Beatles sono impegnati in este-nuanti tournee che vedono la presenza di milioni di spettatori. Di questi anni è la celeberrima “Yesterday”, uno dei brani più popolari della musica pop, che entra per ben due volte nel Guinness dei primati sia per il maggior numero di cover che per il numero di passaggi radiofonici. Dopo aver battuto tutti i record commerciali e di popolarità, la Regina Elisabetta nomina i fab four “baronetti del Regno

Unito” con il titolo di M.B.E. (Member of the British Empire). Il 1967 si apre con l’uscita del 33 giri “ Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, considerato da mol-ti come il migliore e insuperato capolavoro dei Beatles. È con questo album che raggiungono l'apice della loro carriera. L'anno seguente una nuova svolta: intraprendo-no un viaggio spirituale e intellettuale in India, sotto la spinta di George Harrison, che aveva imparato a suonare il sitar, uno strumento orientale simile a un grande liuto con una sonorità particolarmente intimista. In questo periodo esce il doppio LP “The white album”, dove e-merge chiaramente che l’unità della band comincia a vacillare; inizia qui quel percorso che porterà a dissolve-re la loro idea di gruppo che finora li aveva uniti e portati al successo. La collaborazione tra i componenti della band comincia a logorarsi e ognuno di loro vorrebbe a-vere un peso maggiore all’interno della formazione. In-fatti le canzoni sembrano il risultato del lavoro dei singo-li musicisti invece che il frutto di un gruppo unito. Ciò

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nonostante, il livello qualitativo musicale è, come al soli-to, eccellente. Di straordinario successo sono anche i singoli “All you need is love” e “Hey Jude”. Nell’estate del ’69 viene pubblicato l’album “Abbey Road”; famoso anche per la sua copertina che, secondo alcuni, allude-rebbe alla presunta morte in un incidente stradale di Paul McCartney, sostituito da un sosia. L’anno dopo con l’u-scita dell’ultimo capolavoro “Let it be” si conclude la storia dei Beatles; non è soltanto un mito musicale a di-sgregarsi, ma il sogno di una generazione. I quattro di Liverpool sono stati musicalmente molto in-novativi. Le loro canzoni hanno toccato vari generi musi-cali, in particolare il pop e il rock. Hanno ottenuto un grandissimo successo sin dai primi singoli grazie all’o-recchiabilità e all’essenzialità della loro musica. Nel cor-so di questa breve ma straordinaria carriera hanno subìto una grande evoluzione musicale passando dalle semplici canzoni dell’inizio come “Love me do”, “Please please me” o “She loves you” a canzoni più complesse e profon-de come "Across the universe", "Eleanor Rigby",“A day in the life”, “Lucy in the Sky with Diamonds” e molte altre. La loro influenza non si è limitata al solo campo della musica, ma anche a quello comportamentale e della mo-da (molti ragazzi imitarono il loro abbigliamento e il ta-glio di capelli a caschetto) tanto da diventare un punto di riferimento per i giovani degli anni Sessanta, appartenen-ti alla generazione chiamata beat; periodo questo con-traddistinto da ribellioni sociali e culturali, tra cui la ri-voluzione studentesca e il movimento hippy. Basti pen-sare che la canzone “All you need is love" è diventata un inno per i figli dei fiori. Non va dimenticato che i Beatles, in particolare John Lennon, aderirono al movi-mento pacifista e non a caso molti dei loro testi si richia-mano ai temi universali della pace e dell’amore. E non c’è da sorprendersi se dopo mezzo secolo dai loro esordi musicali i Beatles regalano ancora tante emozioni, non solo a quelli che erano giovani negli anni Sessanta ma anche ai ragazzi d’oggi. Per avere una conferma di

ciò è suffi-ciente dare un’occhiata alle classifi-che di vendi-ta dove i loro cd rimasteriz-zati si sono piazzati ai vertici delle h i t -parades internaziona-li. È la storia che si ripete, o meglio, che continua.

Help!Help!Help!Help!

Testo della canzone (lingua originale)

Help, I need somebody, Help, not just anybody,

Help, you know I need someone, help. When I was younger, so much younger than

today, I never needed anybody's help in any way. But now these days are gone, I'm not so self

assured, Now I find I've changed my mind and opened

up the doors. Help me if you can, I'm feeling down And I do appreciate you being round.

Help me, get my feet back on the ground, Won't you please, please help me.

And now my life has changed in oh so many ways,

My independence seems to vanish in the ha-ze.

But every now and then I feel so insecure, I know that I just need you like I've never do-

ne before. Help me if you can, I'm feeling down And I do appreciate you being round.

Help me, get my feet back on the ground, Won't you please, please help me.

When I was younger, so much younger than today,

I never needed anybody's help in any way. But now these daya are gone, I'm not so self

assured, Now I find I've changed my mind and opened

up the doors. Help me if you can, I'm feeling down And I do appreciate you being round.

Help me, get my feet back on the ground, Won't you please, please help me, help me,

help me, oh.

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Impressioni dalla Cambogia di Arianna Arrighetti III D

ViaggiViaggiViaggiViaggi

La barca scivola veloce sull’acqua gialla e marrone del Mekong. Nell’aria sento qualcosa di strano, gli odori forti del cibo e le fumate dalle ciminiere delle fabbriche ci abbandonano e via via le case, le palafitte scompaiono e non ci sono più i bambini che corrono sulle rive, le donne che lavano i panni. Le sponde diventano silenzio-se. Avverto una tristezza mentre la barca approda e lo staff depone i bagagli su una palafitta adibita a frontiera. Ho nausea, i controlli sono eterni e passo quasi tutta la mattina in coda fino a quando la mia guida riesce a pa-gare una agente che finalmente mi fa passare prima di un gruppo di australiani. Questi mi guardano male, co-me se fosse un crimine non viaggiare con agenzie orga-nizzate. Saluto la mia guida, che quasi piange. Sono pas-sati solo 10 giorni, ma i serpenti, il cibo e la stanchezza hanno fatto dilatare il tempo. Congiunge le mani e mi fa un inchino mentre il traghetto molla la cima. Sono triste, il Vietnam mi mancherà. Arrivo a Phnom Penh, scendo e avverto che il fiume presto mi abbandonerà. Monto sul primo taxi, diretta al mio hotel e guardo il fiume per l’ultima volta, quel fiume che mi aveva parlato dei suoi abitanti e della sua storia. La quiete e la calma sono su-bito sostituiti dal rumore e dai ritmi frenetici di una cit-

tà, sede del re di Cambogia. E il tassista mi fa presente che il governo è una monarchia, facendomi passare da-vanti al palazzo reale. Mi dice in un pessimo inglese di visitarlo. Seguo il suo consiglio, ma rimango delusa. Non ha visto Versailles, penso, o le corti Europee.

All’interno ci sono pagode e turisti cinesi che scattano foto e si muovono come formiche. Sento della musica e vengo attratta dai suoi suoni lievi fino ad una stanza. Mi tolgo le scarpe ed entro salendo le scale in una capanna dorata. Musicisti suonano e mi invitano a suonare con loro, ma non accetto. Nel retro due donne tessono su due telai bassissimi, non alzando mai gli occhi dalla trama elaborata e fatta da fili di seta finissima. Esco e nel momento in cui mi avvicino alla mia macchina ven-go assalita da un bambino che cerca di vendermi degli scarafaggi fritti da mangiare. Ne rimango disgustata, in un conato di vomito mi fion-do in auto. Arrivo all’hotel dove dimentico quasi tutto e mi rilasso in piscina. Gli altri tre giorni li passo visitan-do la città che mi attrae sempre di meno. Una mattina leggendo una guida vado a visitare un museo, il quale ricorda il periodo sotto gli Khmer Rossi, guerriglieri comunisti e filomaoisti attivi in Cambogia dall'inizio degli anni sessanta del XX secolo. I suoi esponenti prin-cipali (Ieng Sary, Khieu Samphan e Pol Pot) si formaro-no in Francia negli anni Cinquanta e, dopo il colpo di stato di Lon Nol (1970), si allearono a formazioni na-zionaliste moderate e allo stesso N. Sihanouk, opponen-dosi all'intervento americano e sudvietnamita in Cam-

bogia. Verso la conclusione della guer-ra del Vietnam conquistarono Phnom Penh (aprile 1975). Emarginando, ed eliminando fisicamente, i propri alleati e gli stessi comunisti cambogiani filo-vietnamiti, diedero vita a un regime oppressivo e sanguinario controllato dall'Angkar (organizzazione), e guidato da Pol Pot che venne rovesciato dall'in-tervento militare vietnamita del 1978. Rifugiatisi in Tailandia e appoggiati da Cina popolare e Usa, alimentarono u-n'incessante guerriglia contro il governo cambogiano, finché, dopo lunghissime trattative, accettarono la mediazione dell'Onu del 1990-1991 per un governo di unità nazionale. Entro, ma subito dopo mi rendo conto che la mia sensibilità non mi permette di proseguire la visita. Le foto dei pri-gionieri e dei killing fields sono moltis-

sime e fanno venire la pelle d’oca, resti di teschi e ossa sono ammassati in alcune casse trasparenti; le sale sono ancora allestite come lo erano in quegli anni: sale da tortura e prigioni. Esco veloce , ma tra una una stanza e l’altra mi capita di vedere il museo. Due ragazze ameri-cane incredule alla mia reazione continuano a ridere e a

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fotografarsi vicino alle sbarre, o peggio, dietro il filo spinato. Esco e cerco un tuc tuc, tipici risciò della Cam-bogia. Un giovane me ne chiama uno, ma girandomi improvvisamente vedo un uomo mutilato da una mina. Il suo volto è devastato, la mascella per metà è andata perduta, non ha un braccio ed è senza le mani. Guardo per terra, per distogliere lo sguardo. Non l’avessi mai fatto: mi accorgo che gli manca pure una gamba. Salgo su un tuc tuc, dico “How much?”. Mi risponde che vuo-le 2 dollari. “Fast” riesco a dire prima di scoppiare in lacrime. Gli ultimi due giorni li passo in hotel o quasi. Notai un giorno uscendo da un hotel che proprio di fronte si trovava una scuola di monaci. Una sera, al calar della luce mi intrufolai per curiosarvi. C’erano delle case in via di co-struzione, altre che venivano pu-lite dalla muffa causata dal cli-ma. Tutti i monaci erano vestiti con delle tuniche color zafferano, gialle o rosse. Erano intenti a mangiare, altri stendevano le loro toghe colorate, altri ancora pregavano. Scattai poche foto, per poi camminare fino alla pa-goda. Mi acconsentirono di visi-tarla, ovviamente dopo aver la-sciato le All Star all’entrata. Uno disse che in quella pagoda si riteneva che Siddharta avesse perso un suo capello. Accesi un incenso e misi come offerta un

fiore. Il giovane monaco fu commosso da questo mio gesto. Nell’uscire vidi un sacco di bonzi, che incuriositi dalle mie scarpe si erano riuniti alla fine delle sca-le. Nonostante la loro spiritualità mi sen-tii un attimo in imbarazzo così usci dal monastero. L’ultima sera ceno al Malis Restourant, un pasto eccellente quasi come “Malis”, ristorante di cucina francese raffinatissi-ma. Lascio questa capitale molto felice-mente, ma le speranze di trovare un luo-go migliore svaniscono ben presto. Salgo su un bus pieno zeppo di gente. Arrivo in un paesino e lì trovo una minu-tissima, giallissima e stupidissima donna ad aspettarmi. La sua dimora è acco-gliente, considerando il luogo. Faccio un giro nel paese e vengo invitata a prende-

re il the. Si riempie una casa di persone, dei bambini si aggrappano alle finestre per osservare cosa succede. Prendo tre tazzine, pensando che nel deserto i beduini considerano maleducazione se l’ospite non gradisce al-meno tre tazze. Mi offrono della frutta da mangiare, un uomo insiste particolarmente ad offrirmi della frutta, però mi riguardo dal prenderne perché vedo un intenzio-ne poco chiara. Faccio due chiacchiere ed esco. Torno nella mia stanza e la padrona di casa mi chiama nella

sua cucina. Mi fa ve-dere cosa sta cucinan-do e mi invita a prepa-rare con lei il cibo. Soliti involtini unti e bisunti, riso. Riesco ad avere del Sakè. Il giorno dopo arrivo a Siem Reap, città turi-sca costruita a ridosso dei complessi archeo-logici di Angkor Wat. Il mio nuovo punto di ristoro è una villetta “Queen Villa“ gestita da un austriaco sposa-to con un indigena, o così l’ho vista io. Tut-to, speravo fosse gesti-to alla tedesca, invece no. Tutto era visibile fin dall’inizio: le scar-pe erano ammassate all’entrata e mi fecero capire il chiaro obbli-go di levarmele all’in-gresso. Come se non

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bastasse alla sera, si riempivano le pareti di gechi, uno di questi che vidi sul davanzale era di dimensioni racca-priccianti. Non che questi animali siano inutili, infatti si dice che allontanino insetti, ma noi occidentali non vor-remmo, penso, avere otto animali nel proprio bagno. Tra India e Messico non mi sono ancora abituata ai rettili. In quella villetta rimasi per sette gior-ni, giusto il tempo per visitare i diversi siti, ma il resto del giorno, dopo la chiusura dei siti lo passai sempre in città. Trovai un bar ve-ramente idilliaco. “The Blue Pum-pkin” unico nome che ricordo an-cora senza fatica. Un bar gestito da locali, sotto supervisione america-na, infatti potevi pagare con ameri-can express, visa… un bar per oc-cidentali. Al primo piano torte di cioccolata, di mele, sandwich, take away. Da una parte c’era un negozietto dove potevi prendere saponi, vesti-ti con un prezzo in dollari, non contrattabile. Al secondo piano tavoli e divani bianchi, con un me-nù fusion, conversai molti pome-riggi con studentesse inglesi e francesi che erano venute per vo-lontariato. Non trovai mai italiani. Un pomeriggio mi addormentai per quattro ore di fila su uno di quei divani bianchi, ov-viamente dopo essermi lavata e rinfrescata con uno de-gli asciugamani profumati e umidi che ti offrono. L’ul-timo giorno capì che c’era anche una connessione Wi-Fi. Posto indimenticabile, vi assicuro. Se andate in una cittadina indo-cinese cercate sul Lonely Planet se c’è un Blue Pumpkin. Altra attività interessante di questa città “turistica” proprio tra virgolette fu la possibilità di se-guire dei corsi di cucina tradizionale dai migliori risto-ranti Khmer e cambogiani del luogo. Alla fine del corso ricevi anche un certificato, divertente. Un altro aspetto piacevole fu quello dei massaggi. La sera si aprivano le porte dei centri relax e uscivano ragazze che offrivano un ora anche a soli 12 dollari. Donnine con tanta voglia di guadagnare si attaccavano ai taxi per farti scegliere il proprio centro relax. Tutte mi chiedevano il nome per poi cercare di ripeterlo se la sera dopo mi avessero visto, quanti soldi mi dava mio marito (a 18 anni sei già zitella se non hai marito per loro) e altre domande nel vedere le mie mani poco sfruttate. Vidi in molti volantini che i prezzi cambiavano da mez-za notte in poi… sfortunatamente mi feci l’idea che quelle massaggiatrici offrissero non solo massaggi. Ciò mi rattristò moltissimo. Nel centro della città trovai il solito mercato coperto dove comprai numerosi oggetti, un servizio di piatti che

mi costò tanto di quel tempo per contrattare il prezzo e una borsa, oltre che infusi e diversi oli. Questi mercati si trovano in tutto il mondo orientale, sono coperti, e cam-biano ovviamente le merci, gli articoli e la gente in base al luogo. Ci sono numerosi negozi di cibi e vestiti.

Tra questi ultimi cercano di spacciarti per originali North Face, Lacoste, Ralph Lauren… elettrodomestici e così via; si trovano barbieri, estetiste e parrucchiere. Ov-viamente non è consigliato accedere a questi servizi. La parte del mercato vero si distingue dal forte odore, dal pavimento fradicio e dal brulicare dei passanti. Ci sono pure dei fast food locali che offrono un piatto caldo. L’ultimo giorno a Siem Reap, lo passo quasi tutto al mio solito bar, dopo un ultimo sguardo alle rovine archeolo-giche. Il volo per Saigon è veloce, per fortuna. A Saigon passo gli ultimi giorni al Plaza Sofitel. Quattro giorni di lusso e comodità dopo quasi un mese di viaggio. Ottimi risto-ranti, servizio impeccabile. L’ultimo giorno mi faccio portare a farmi fare un vestito tradizionale. Molto carine le signorine mi fanno cambiare i colori che avevo deciso di utilizzare sostituendoli con una scelta più giovanile ed elegante. Nel misurarmi mi dicono che mi faranno un modello molto elegante e quindi mi informano su come meglio mi muova. Il vestito sarà fucsia e rosa. Per il cal-do e la fatica quasi svengo così mi prendo una coca-cola all’hotel Continental, un hotel con una tradizione che discende dai primi esploratori. Il viaggio era finito, il fiume risalito fino alle rovine tra le quali avevano girato il film di Tomb Raider. Un viaggio, un esperienza nuova. Perché viaggiare non è conoscere nuovi posti, ma avere nuovi occhi.

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Viaggi

Marty, Live from BurnabyMarty, Live from BurnabyMarty, Live from BurnabyMarty, Live from Burnaby

Parte seconda Parte seconda Parte seconda Parte seconda di Martina Folena II C (in trasferta)

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In Canada tutti festeggiano Halloween. Nessuno fa mar-ce per impedirlo - la festa di Ognissanti non è sentita come in Italia, visto che ci sono moltissime religioni e non una prevalenza cattolica. Si inizia a decorare la casa circa due settimane prima. E quando dico decorare, non intendo solo mettere una zuc-ca al centro del tavolo… intendo appiccicare cose disgu-stose su tutte le pareti, come mani insanguinate che esco-no dal muro e ragni giganti che calano dal tetto, lapidi e bare in giardino, vampiri che pendono dagli alberi - la mia famiglia inoltre ha costruito un tunnel dell’orrore sul vialetto d’ingresso di casa. La cosa migliore comunque era l’ombra del Grim Reaper (il Mietitore Oscuro) sulla finestra del soggiorno. Faceva venire i brividi. Il giorno di Halloween tre quarti degli studenti vanno a scuola in maschera. C’era un po’ di tutto, dai batman alle giapponesine fighette con i completi da cameriera sexy. Anche io mi sono truccata, una via di mezzo fra strega e vampiro, una cosa un po’ assurda, ma è stato divertentis-simo. La mattina la mia host sister più piccola, Becky, si è messa a piangere quando mi ha vista…! E poi qualche giorno prima avevamo intagliato le zuc-che! Avete mai intagliato una zucca? Prima si taglia via la parte superiore, poi si immerge il braccio nella zucca e si tira via tutto quello che c'è den-tro, i semi da una parte e la robaccia dall'altra. Oh gente quanto era FREDDA quella zucca, è stata fuori per gior-ni per evitare che marcisse, be' avevo le dita congelate, giuro! Un freddo pazzesco! Bene, quando hai tirato fuori tutto ripulisci per bene con una spatola e assottigli la parete dove poi intaglierai l'im-magine…

Prendi un disegno con l'immagine che vuoi intagliare e lo appiccichi alla parete. Seguendo il perimetro delle parti da estrarre, incidi la carta in modo da lasciare il segno sulla zucca... poi con delle lame inizi a tagliare via. La notte di Halloween la gente inizia ad uscire attorno alle sei e mezza per andare a fare “trick or treat”. Il tutto finisce più o meno alle nove/nove e mezza. Per metà sono andata trick-or-treating con le mie due sorelline. Peccato che dopo mezz'ora la più piccola si sia rotta e sia voluta tornare a casa a vedersi "Principesse Disney - Canta con noi!". E' stato divertentissimo co-munque, certi erano sconvolti a vedere una sedicenne che chiedeva i dolcetti ma, ehi, è il mio primo vero Hal-loween! Ho tutto il diritto di andare a fare trick or treat! L'altra metà della serata l'ho passata nascosta nel tunnel dell’orrore di fronte a casa mia. Dentro era tutto buio, fatta eccezione per le Jack O' Lanterns. Pieno di cose spaventose, scheletri, pipistrelli, ratti, maschere e mani-chini. Io ero nascosta di fianco a un manichino e comple-tamente vestita di nero, con solo una maschera spavento-sa in faccia. La gente doveva per forza attraversare il tunnel per arrivare alla porta e chiedere trick or treat, ma non poteva vedermi e realizzare che ero viva. Quindi, quando questi arrivavano, più o meno ignari... io sbucavo fuori gridando come un'ossessa e tentando di afferrarli. Che grida ragazzi! Figuratevi, c'era un gruppo di teenagers che non hanno osato entrare. C'era 'sto ra-gazzo all'entrata del tunnel che guardava dentro dicendo "no no io non vado", poi ha preso ‘sta pila e l'ha puntata ovunque per capire chi fosse vivo o no là dentro... ad un certo punto illumina me - sì era impossibile stare perfet-tamente fermi e quel tipo c'è rimasto mezz'ora davanti al tunnel - e fa: "Yes I've seen it, there is some guy hiding inside! Yes yes I've seen him - IT IS A GIRL!" E alla fine non è entrato mica nel tunnel. Ebbene, due giorni dopo Halloween andavo a scuola in bus e sono passata davanti ad una vetrina di un Star-bucks. Ci sono già le decorazioni natalizie, le tazze a tema, le pareti a tema… Ma ragazzi, siamo al tre di novembre!!! Che cosa fa-ranno al tre di dicembre?!? Impaglieranno un Babbo Natale in vetrina sul dorso di una renna narcotizzata!? Si accettano scommesse. A metà ottobre a scuola abbiamo messo in scena i mo-nologhi che abbiamo preparato durante le classi di dra-ma nell’ultimo mese. Io prendo parte a due classi di-verse di drama (nella prima sono attrice mentre nella seconda regista) quindi avevo due diversi monologhi. Eccola qui, la mia prima, adorata zucca

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Sono state due serate bellissime… ero agitata livello im-pensabile, la prima sera perché era il debutto, la seconda perché l’altra ragazza che doveva mettere luci e musica nel monologo che ho preparato nella seconda classe come regista, era stata colpita alla testa da un tizio che giocava con una mazza da baseball prima dell’inizio della serata. Lo so, suona incredibile… infatti non riuscivo a credere, anche se l’ho visto con i miei occhi il tizio che spaccava la testa alla mia amica. Però alla fine la serata è passata. Ed è andata benissimo. Una soddisfazione incredibile che non so descrivervi. Ora ogni regista sta scrivendo uno “one act”, spettacolo breve da mettere in scena a dicembre con attori del grup-po scelti da noi. Ho finito di scrivere il mio ma sto ta-gliando un po’ di cose. Non sarebbe fantastico se anche al

Prati ci fossero delle classi di drama? Sono sicura che tantissime persone prenderebbero parte a qualcosa del genere. Ma la loro scuola è organizzata in modo comple-tamente diverso dalla nostra. Non sarebbe mai fattibile qui, temo. Oggi è Remembrance Day, il giorno in cui si ricordano i soldati morti nelle battaglie combattute dal Canada, ed è anche vacanza. Così ho finalmente trovato il tempo di concludere questo articolo. La caporedattrice dispersa sul fronte occidentale vi saluta. See ya!

PRATAIOLI ON THE ROAD TO… VERONA di Silvio Defant

E’ bello viaggiare, vedere il mondo, conoscere per-sone, farsi una cultura imparando dalla vecchia ma-estra storia… ma come fare se la persona in que-stione deve studiare cinque ore al giorno, ha sempre prove su prove, non può muoversi troppo per la paura di dimenticare qualche paradigma, o sempli-cemente frequenta una scuola che ritiene lo privi di quella cosina, forse un po’ ignorata, chiamata vita? Senza contare che per uno studente come noi le di-sponibilità finanziarie sono ridotte a poco o nulla, quasi come la voglia di uscire di casa, che spesso è un problema per la mancanza di un mezzo di trasporto proprio o di qualcuno che ti dia un passaggio, ergo da cui dipendere… Non demoralizzarti! E’ semplice: si vive il fine settimana!!! Innanzitutto bisogna economizza-re: usiamo il sabato pomeriggio per fare tutti i compiti e per stu-diare; comunque si arriverà sem-pre a poter dare una ripassata la sera successiva! Ed ecco che la domenica si mate-rializza come per incanto! Le possibili tappe sono infinite, come i possibili mezzi di trasporto di cui si può disporre per rag-giungerle: questo mese vi presentiamo una possibile (e testata) gita giornaliera a Verona. I treni dalla stazione di Trento per Verona Porta Nuova partono circa ogni mezz’ora, ma il più como-

do per velocità ed orari (specialmente per chi non abita in città o la domenica vuole dormire!!) è quel-lo delle 10.32, che arriva a Verona alle 11.59; per chi usufruisce della tessera “studenti” per il traspor-to pubblico, il prezzo andata e ritorno è di soli €

6,90, mentre sale a € 10,80 per un biglietto di 2 ͣ

classe senza nessun tipo di sconto. Dalla stazione Porta Nuova il centro storico è a due passi: si seguono le indicazioni, passando sotto le Porte Borsari, fino a piazza Bra', di fronte all’Arena.

Seguendo la via, dopo l’anfiteatro romano, si può proseguire lungo Corso Porta Borsari, la strada prin-cipale e storica di Verona, sempre piena di negozietti e persone. In fondo ad essa si apre davanti agli occhi piazza delle Erbe, la più grande e famosa della città, che, tra la fontana di Madonna Verona, la Torre dei Lamberti ed il Palazzo del Comune, ospita molti

Viaggi

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ristoranti e luoghi dove sedersi e rifocillarsi. Con

una splendida vista del foro della città, in tutta la sua magnificenza e grandezza, in questi locali sono l’ideale una pizza, una pasta od una semplice insala-tona per chi voglia mangiare bene, a buon prezzo e leggero, specialmente dovendo camminare e pas-seggiare per tutta una giornata. Le opportunità che ci offre Verona sono numerose e per tutti i gusti: sia per chi voglia passare un pome-riggio all’insegna dello shopping sfrenato (se può…), sia per chi cerchi delle attrattive culturali, richiamato forse dalle parole della maestra storia. Per lo shopping e qualunque altro genere di spese, c’è solo da sbizzarrirsi; allo stesso modo, però, vi consigliamo di rimanere sulla via principale, dove si alternano le più svariate boutique e negozietti: da quelli di scarpe ai centri specializzati in abbiglia-mento, dalle profumerie ad un palazzo di tre piani dedicato esclusivamente agli accessori di Hallo Kitty! Come detto in precedenza, il capoluogo dà molto spazio alla storia ed a moltissime attrazioni turisti-che che ogni anno richiamano migliaia di persone da tutto il mondo: spicca l'Arena, anfiteatro romano del I secolo d.C. in grado di accogliere oltre 20.000 spettatori e utilizzato ai giorni nostri per spettacoli musicali e operistici, il trecentesco Palazzo di Can-grande (oggi sede della Prefettura), il Civico museo d'arte, la basilica di San Zeno Maggiore, il Duomo,

e inoltre, tappa quasi obbligatoria del tour della città e che consigliamo vivamente di visi-tare, è la presunta casa di Giulietta, musa dell’opera di S h a k e s p e a r e “Giulietta e Rome-o”, di epoca medie-vale, in via Cappel-lo, con il celebre balcone e la mo-derna statua della giovane (famosa per le foto che molti turisti fanno con la mano sul suo seno, talmente accarezzato da pre-sentarsi lucido e brillante…), ed anche il muro nel cortile vicino, dove spesso fidanzati ed

innamorati di ogni età affiggono messaggini d’amo-re, dediche o poesie. Tra queste due opzioni che vi abbiamo proposto, ri-teniamo che la migliore sia alternare un po’ di acqui-sti ad una visita a qualcuno dei siti che abbiamo cita-to, per rendere questa giornata ancora più piacevole ed interessante; e, fatte tutte queste cose, con il treno delle 17.40 sareste ancora in tempo ad arrivare a ca-sa dalla mamma per cena ed a poter dare una ripas-sata agli argomenti di studio del giorno seguente. Sperando che questa proposta vi abbia stuzzicato e fatto venire un po’ più di voglia di uscire e scoprire, anche solo per una giornata, il mondo e tutti gli splendidi posti che ci circondano, vi invitiamo a pro-varci anche voi e a continuare a seguirci nei prossimi numeri con nuovi itinerari per “Prataioli on the road”!!!

Spesa Biglietto: 6,90 € Pranzo: 12 €

Totale: 28, 90 €

Tempo 7-8 Ore

Soddisfazione Tanta!!!

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Da diversi anni al Prati alcuni studenti, sia del ginnasio che del liceo, partecipano al gruppo di teatro, che nella fase conclusiva delle lezioni (generalmente nel mese di maggio) mette in scena una tragedia greca. Lo studio dei testi da rappresentare è curato con attenzione dalla prof.ssa Lia Guardini, fino all'anno scorso storica inse-gnante di latino e greco nel corso A del liceo, mentre la regia e la rappresentazione sono affidate al talento dell’-esperto Michele Comite. L'impegno richiesto agli allievi, che decidono di aderire al progetto, è la partecipazione a riunioni di due ore con cadenza settimanale tenute presso il liceo. Nel corso degli incontri si approfondiscono i testi e i contenuti della tragedia che si intende rappresentare, ma non solo; si apprendono le tecniche recitative che per-mettono di dare forza e significato alle parole del testo attraverso le mimiche del corpo e l'utilizzo della voce. L’esperienza coinvolgente (e chi scrive lo sa bene, es-sendo entrata nel gruppo lo scorso anno) ha permesso a tutti noi prima di tutto di scoprire il grande lavoro che sta dietro una rappresentazione teatrale ed in seconda istanza di imparare a superare l'emotività e la timidezza. Bisogna riconoscere che, all'inizio, la paura di manife-stare le forti emozioni richieste dal quel tipo di rappre-sentazione teatrale, è tanta e apparentemente insupera-bile. Poi però subentra una capacità di controllo, che contribuisce a vincere la paura di esporsi al giudizio degli altri e ciò risulta utile anche nella vita di tutti i giorni. In questi ultimi anni la compagnia “D'aria” (nome che intende ricordare una studentessa del Prati scomparsa qualche anno fa e che aveva fatto parte di questo grup-po) ha rappresentato varie tragedie greche tra cui l'Elet-tra, il Ciclope e le Sirene, le Troiane. Gli spettacoli vengono allestiti a fine anno al teatro Cu-minetti, al Santa Chiara e “al Sass” nella Trento antica, ma anche in alcune manifestazioni, in provincia e fuori, conseguendo sempre notevole apprezzamento sia da parte del pubblico che della critica. Quest'anno la compagnia ha in programma lo studio e la rappresentazione della tragedia Ifigenia in Aulide di Euripide. Ifigenia, figlia di Agamennone, è la prescelta per il sacrificio che avrebbe permesso alla flotta greca, bloccata da una bonaccia, di salpare alla volta di Troia… L'auspicio, modesto, ma sentito è che possa essere previ-sto uno spazio, all'interno dell'assemblea spettacolo, che permetta a tutti gli studenti di assistere almeno ad una parte della rappresentazione in cui tanto impegno è stato profuso da coloro che con passione vi si sono dedicati.

Teatro al

Prati di Francesca Pedron

Moda

di Giorgia Folgheraiter Per questo secondo numero di Praticantati, nel campo della moda ci siamo voluti orientare verso i luoghi che noi giovani prataioli amiamo frequentare. Ovviamente, in inverno, la maggior parte degli orsetti trentini preferisce il classico abbinamento “copertina di pile più cioccolata calda” ad una passeggiata in centro con gli amici. Per i pochi temerari che si avventurano nei freddi pomeriggi di stagione, è stata co-munque stilata una classifica dei bar più frequentati del centro: al primo posto il tradizionale locale di via Mazzi-ni che sfonda le classifiche grazie ai suoi speciali cap-puccini. Segue il famosissimo Pasi: bar popolato molto anche d’estate. Da non dimenticare il “Fiore” dove ogni marte-dì sera si riuniscono tantissimi studenti di Trento per staccare la spina dalla vita quotidiana piena di affanni e preoccupazioni. Come parco troviamo il “Santa” (Parco Santa Chiara), il più grande del centro, il cui immenso prato permette lo svolgimento di qualsiasi attività: dal calcio ad una diver-tente chiacchierata. In finale, seguendo la traccia dell’ultimo articolo nella sezione Moda del giornalino, ecco alcuni negozi dove noi prataioli scoviamo i bizzarri capi che sfoggiamo ogni giorno nei corridoi. Partendo dagli studenti più eleganti che visitano spesso “Brandy and Melville”, si passa alla categoria di coloro che si differenziano già con qualche accessorio particola-re: stiamo parlando di “Promod” e correlati. Si arriva quindi all’ultimo genere di studenti: quelli veramente pazzi e originali. Questi simpatici elementi, a mio parere, non hanno un negozio su cui far riferimento (tranne forse “Mandacarù”). Quest’ultima categoria, infatti, scova i capi più stravaganti direttamente dal baule dei vestiti di carnevale del fratello maggiore. In ogni caso, non fatevi condizionare da questa classifica sulle “mode” perché essere sé stessi è uno dei primi do-veri dell’uomo.

Attualità prataiola

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SPAGHETTI�WESTERN�IL�WESTERN�ALL’ITALIANAIL�WESTERN�ALL’ITALIANAIL�WESTERN�ALL’ITALIANAIL�WESTERN�ALL’ITALIANA

di Enrico Sebastiani V D Il cinema ha conosciuto film di ogni genere più o meno belli a seconda dei gusti , così anche quelli più comici e divertenti per alcuni, possono esse-re i peggiori per altri. Ci sono film però che reste-ranno sempre dei veri e propri capolavori apprez-zati da tutti. Quelli We-stern per esempio. Aman-ti o no del genere, si trat-ta di film (a detta dei cri-tici) che non invecchie-ranno mai e rimarranno sempre icone del cinema. In Ita-lia il genere ha avuto molta risonanza non solo nel cine-ma con gli Spaghetti Western ma anche nella letteratura con Tex-Willer e Zagor, fumetti molto famosi. Il western nasce in America riscuotendo fin da subito un enorme successo sia nel cinema che nella letteratura. I primi film furono girati agli inizi del XX sec., e tra i più importanti forse è bene ricordare “La grande rapina al treno” diret-to da Edwin S.Porter (1903) e quelli di John Ford, consi-derati capostipiti del genere. Le caratteristiche comuni predominanti in questi film e in quelli successivi sono l’ambientazione, i personaggi e le vicende. Tutti i film western trovano ambientazione nel cosiddetto WEST o FAR WEST americano, territorio di frontiera per quasi tutto l’800. I primi furono prodotti esclusivamente negli studi cinematografici, in seguito però l’evoluzione tecno-logica consentì le riprese anche all’esterno. Furono scelti così territori negli angoli più deserti della California, dell’'Arizona, dello Utah, del Nevada, del Colorado o dello Wyoming. In alcuni film gli scenari assumono la stessa importanza dei personaggi o della vicenda quando la storia vuole mettere in evidenza i territori selvaggi in

cui si svolgono i fatti. Per quanto riguarda i perso-naggi tutti sappiamo che predominano sulla scena i pistoleri, i cowboy e ban-de di criminali che assal-tano diligenze. Non sem-pre i protagonisti sono personaggi positivi, anzi bisogna ricordare che la società western è regolata dal codice dell’onore piuttosto che da quello della legge che viene così calpestata. Gran parte dei

western trattano di cavalieri erranti che vagano di città in città con tutti i loro beni: il vestito che indossano, un re-volver ed un cavallo.

Negli anni 60’-70’ del secolo scorso lo stile western ar-riva anche in Italia con il nome di “Spaghetti Western”, indicando così la versione italiana del genere America-no. Le vicende narrate in questi film propongono un maggior ricorso alla violenza rispetto a quelle di Hol-lywood. Non per niente con tale denominazione si vole-va alludere al sangue sparso copiosamente nei film che ricordava molto il sugo degli spaghetti. I lungometraggi girati in italiano furono inizialmente considerati dei B-movie, cioè film di bassa qualità prodotti da studi cine-matografici con budget ridotti e povertà di mezzi. Tuttavia gli spaghetti-western divennero presto un grande successo a livel-lo mondiale, in particolare con i film di Sergio Leone nella trilogia del dollaro : “per un pugno di dollari”,

“Per qualche dollaro in più” e infine “il buono il brutto, il cattivo”. Attraverso questi film Leone portò al genere grandi novità. Il protagonista non è quasi mai un eroe, piutto-sto un antieroe mosso da interesse piuttosto che da motivazioni idealistiche. Anche la distinzione fra il buono e il cattivo viene a sfumarsi notevolmente e alla fine i personaggi positivi appaiono in genere più cini-ci, trasandati, sporchi ma in fondo più realistici. Le stesse ambientazioni sono inospitali, i villaggi appaio-no desolati. Leone inoltre è uno dei primi registi che coglie davvero il potere del silenzio, grazie a scene giocate su situazioni di attesa di grande suspense che fanno di questi film dei pilastri del genere. Sergio Leo-

Terance Hill e Bud Spancer in “Lo chiamavano Trinità”

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ne girò poi la trilogia del tempo un'altra serie di film degli anni 60’ con : “C’era una volta il West” “Giù la testa” e “C’era una volta in America”. Non vi è dubbio che lo Spaghetti western, per il tipo di personaggi e di situazioni rappresentate, abbia dato una ulteriore spinta, anche negli Stati Uniti, verso un revisionismo del western. Già dalla fine degli anni sessanta gli stessi americani infatti dovettero fare i conti col nuovo stile rimbalzato dall'Europa e imposto da Sergio Leone, tanto che già dalla prima metà degli anni settanta in molti western prodotti negli Stati Uniti si nota una di-versa impostazione di personaggi e situazioni, che si fa via via più vicina a quella dello spaghetti-western di qualità, piuttosto che al western classi-co alla John Ford. Negli anni ‘70 entrarono nel cinema degli spaghet-ti-western la coppia di attori di Carlo Pedersoli e Mario Girotti, meglio conosciuti come Bud Spencer e Terence Hill , nomi d’arte che li rende-ranno celebri e di fama internazionale. Il primo film girato è “Lo Chiamavano Trinità”. Particola-re dei film di Bud Spencer e Terence Hill è la chiave comica che viene data attraverso le battute ironiche e le scazzottate. Ecco allora che il western inizia ad essere letto in modo diverso. Ancora oggi questi film sono seguiti e apprezzati da tutti pur appartenendo “ad altri tempi”. Infatti purtroppo non vengono più prodotti dal cinema che preferi-sce film più moderni che si adeguano alle prefe-renze degli spettatori.

B

Bud e Terence in “Continuavano a chiamarlo Trinità” Dopo la rissa Trinità: "Be', quando ha detto che nostra madre è una vecchia bagascia..." Bambino (Bud): "Ma è la verità!" Trinità: "Si, ma non è vecchia!"

CAMPANELLO DI FINE LEZIONI

Quello che prima era

L’aspro scoccar del travaglio Ora diventa una promessa:

Lenti i secondi si contano in processione Il cerchio del quadrante è quasi completo;

La scuola si tende, pronta, Ad alzare la testa col richiamo un tempo avverso.

Se fate attenzione, in questi momenti si sente Furtiva, l’attesa azzardare Speranze in punta di piedi.

Enrico Dal Fovo

Poesia

ALLA SOLITUDINE

Chissà cosa vanno cercando quelle sagome scure tutte rabboccate all'ombra della sera? Anch'io ho visto le stelle, di notte, nude sui pilastri dell'universo, e ho raccolto le conchiglie dimenticate dal vento. All'alba un rematore smarrito accarezzato dai ricordi delle passate maree osserva il proprio destino, descritto dalla linea dell'o-rizzonte e spera in un salvatore.

Angelo Naso

PUNTI DI VISTA

Tristi cancelli d’angoscia e paura! Bui porticati, sanguigna struttura!

Al suon di campane dal freddo vibrare Si vedono, mesti, gli schiavi sfilare.

A chi mai facesse domanda ai dannati, Sarebbe un sussurro: “E’ il Prati”.

Ma quest’impressione sarà di un esterno: Anche se i muri son fatti da Inverno,

Anche se austero è l’altar di Sapienza, Quelli che sembrano senza speranza Son certi che se quest’altro Aldilà

Non li ha fermati, nient’altro potrà!

Enrico Dal Fovo

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LO SAPEVI????LO SAPEVI????LO SAPEVI????LO SAPEVI????

Il Prati siamo noiIl Prati siamo noiIl Prati siamo noiIl Prati siamo noi - Risale ormai al 28 ottobre il documento di proclamazione dei rappre-sentati eletti all’interno del nostro Istituto. I genitori saranno rappresentati da Borghese Folena Annalisa e Gozzi Marco,mentre i rappresentanti dei docenti eletti nel consiglio dell’Istituzione scolastica del Liceo sono i professori Bonazza Marcello, De Pedri Paola, Malaspina Patrizia, Pontalti Roberta e Ruele Michele. Gli studenti saranno rappresentati in consiglio da Pozzo Enrico e Sartori Jacopo e in Consulta provinciale da Pedron France-sca e Lettieri Fabrizio. Un grosso in bocca al lupo a questi genitori, professori e studenti e un ringraziamento speciale per questa disponibilità nel mettersi in gioco rappresentan-doci. ☼

Olimpiadi della matematicaOlimpiadi della matematicaOlimpiadi della matematicaOlimpiadi della matematica - Nella mattinata di mercoledì 18 novembre, nelle scuole di tutta Italia che aderiscono all'iniziativa, si svolgeranno i "Giochi di Archimede", la fase di istituto delle "Olimpiadi della Matematica". Questi giochi consistono nella risoluzione di problemi di vario tipo nella durata di due ore. Sono previsti due livelli differenti, uno per gli studenti del biennio o ginnasio, l'altro per quelli del triennio o liceo. Nonostante il nostro Liceo sia ad indi-rizzo umanistico non mancano gli studenti abili nel destreggiarsi tra cifre, radici, esponenti e non solo e dunque …buon lavoro! √�α

Prossima destinazione? Marte.Prossima destinazione? Marte.Prossima destinazione? Marte.Prossima destinazione? Marte. - Toc toc...c'è qualche tifoso di pallavolo al

buon vecchio Prati? Non ci si può permettere di trascurare questa new tren-

tina che sicuramente avrà allietato il ritorno a scuola lunedì (9/11) a parec-

chi di voi. Con una vittoria schiacciante di 3 set a 0 sullo Skra Belchatow, in

una finale giocata fra le dune del deserto di Doha, la Trentino BetClic, do-

menica 8 novembre in Qatar, si è aggiudicata il titolo di campione del mon-

do. Una cosa che a ripensarci solo tre anni fa sembrava non impossibile,

ma molto di più. Ora, invece, è realtà. Al decimo anno in serie A1 la bache-

ca trentina fa spazio a questa nuova coppa. Ed ora da lassù, dalla cima del

mondo, la prossima destinazione quale mai sarà? Marte? ☻

cosa dici maai.. cosa dici maai.. cosa dici maai.. cosa dici maai.. - Al primo posto del vademecum di Topo Gigio contro l’influenza, per adulti e bambini, c’è il lavaggio delle mani. L’andare in bagno più e più volte al giorno per evitare che dalle dita l’infezione trovi spazio attraverso il naso e la bocca. Con tanto sapone, dicono gli e-sperti. Strofinare bene e contare almeno fino a cinque prima di risciacquare con acqua ben cal-da. Ovviamente anche a scuola. Peccato che, proprio tra i banchi, manchino sapone e asciuga-mani di carta. Nello zaino, un gran numero di ragazzi, è costretto a portare da casa il detergente e i fazzoletti. Nel 61% degli istituti il sapone non c’è (perché non ci sono i soldi per comprarlo), e nel 69% l’asciugamano usa e getta è un miraggio, come documenta l’ultimo rapporto “Impararesicuri ” di Cittadinanzattiva. Complimenti al Liceo Prati dunque che passa l’esame “Topo Gigio”. ☺

Info & Fun

38 � PRATICANTATI Novembre 2009

Page 39: Novembre 2009 - Copia - WordPress.com · 2010. 2. 8. · Il lavoro dell’avvocato è principalmente quello di assi-stere le persone, sia nel campo civile che in quello pe-nale, per

n° 2 anno XII PRATICANTATI � 39

Sunday Drivers

Gatta gatta

IV A Beh… anche se in una

versione un po’ autunna-le, lui lo conoscete!!!

Groove’s Buddies

Fotografia

Page 40: Novembre 2009 - Copia - WordPress.com · 2010. 2. 8. · Il lavoro dell’avvocato è principalmente quello di assi-stere le persone, sia nel campo civile che in quello pe-nale, per

Ciao Ser! Ora che sei in succursale mi manchi tantissimo! Evviva lo spriz dei Puffi!!! P.S. Salutami Marcello! Ciaoo Arianna

Voglio andare in Irlanda!!!

Giorgia sei una papera!

VOLETE CONTATTARE LA REDAZIONE DI PRATICANTATI?: FATE COSI: � contattate la redazione utilizzando la e-mail

[email protected] � usate il box della messaggeria nell’atrio in

sede e nella sala dei distributori automatici in succursale � contattateci direttamente (possibilmente

non durante le lezioni… qualcuno avrebbe da ridire.)

messaggeria di

PRATICANTATI

Ragazze vi voglio stra be-

ne!! Siete fantastiche!

T.S.B 4ever by Joe

Davide V C sei Bellissi-

mo!! Perché non Sali un

po’ all’ultimo piano ?

40 � PRATICANTATI

Gio non sei

grassa, sei

magra inside!

Ti voglio bene

balena bianca!

I love Tau-

fer e i suoi

occhi

Siri�ti�voglio�bene…�

by�Ila�e�Puppazzo�di�

neve!!!�

A.A.A Cercasi set di pentole M.C. per

angolo cottura, il mio club di cucina è

interessato a ricette originariamente

mediterranee per piatti piccanti.

Schof sei la mia nuvola!

Cosa fa

un caffè

quando

torna a

casa? Si

lavazza!!!

Dai che ‘l ven!

Per il mio Micheal Jackson: voglio il delirio… Tua s(censura), con affetto.

Gilia�sei�in�nostro�piccolo�sole�iperatti-vo�in�questo�buio�Prati!�Le�tue�T.D.S.B.�Ciao amiga!! Viva la coni-

glia… un saluto anche al mio amigo puppazzo di neve!!

Baci amiga2

Shöfy ti guar-

diamo sempre!!

Cice, Joe e giù siete fantastiche! W i gio-chetti con il bianchetto!!

Mascherpa sei

troppo bello…

invidio la tua

ragazza...

Max ti lovvo!!

Schulmers sei stupendo!

Petini

4ever!!

Geo�ti�voglio�troppo�bene!�Saremo�sorelle!�

Ippopo-tamo giallo!

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redazione di PRATICANTATI!

Novembre 2009