Novellara Chiesa dei Servi

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Restauro dei dipinti “La Madonna della Ghiara” e “Il Martirio di S.Stefano” Chiesa dei Servi di Maria Parrocchia di Novellara

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Restauro dei dipinti“La Madonna della Ghiara”e“Il Martirio di S.Stefano” Chiesa dei Servi di Maria

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Parrocchia di Novellara

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Ivanno Cavazzoni, Chiesa dei Servi di Maria di Novellara, cm 66,5 x 64,5, 2006 Quadro intarsiato con legni naturali (anche le sfumature), non ritoccato nè con colore, nè con stucco.Legni utilizzati: Ulivo, Pero rosso, Wengè, Palissandro, Pruno, Noce, Pioppo, Tiglio, Acero, Albicocco, Promager.E’ un pezzo unico di straordinario virtuosismo tecnico.

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GIOVAN BATTISTA BOLOGNINI, attr.(Bologna, 1611 o 12 – 1688)La Madonna della Ghiara e i Santi Pietro e Francesco.Olio su tela, cm. 266 x 200, ca. 1680Restaurato nel 2006 da Gian Carlo PrampoliniBibl: A.Quintavalle, 1941 sch.7; M.Pirondini, 1971; A.Garuti, 1987, sch. 30

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Il dottor Camillo Fernetti (1570 ca. – 1637), con disposizione testamentaria del 12 ottobre 1637, lasciò ai Servi di Maria di Novellara, la possessione detta “Fernetta” in frazione San Michele, affi nché “…con quelle entrate da non erogarsi in nessun altro oggetto fossero col tempo fabbricati una chiesa e un monastero all’interno del paese”. Nel testamento è precisato che il Priore doveva realizzare all’interno della chiesa “…a destra dell’Altare Maggiore una cappella, dedicata ai Santi Pietro e Francesco…”. La lapide funeraria di Camil-lo Fernetti posta nel secondo pilastro della prima cappella a destra dell’altare maggiore, conferma l’esecuzione della volontà espressa dal donatore.La chiesa venne fabbricata a più riprese, a mano a mano che si andava accumu-lando il denaro della “possessione Fernetta”. Risulta ultimata soltanto nel 1674.Il lungo periodo (37 anni) richiesto per l’edifi cazione della chiesa ha ritardato la commissione del dipinto.Non ci sono documenti attestanti l’affi damento della commissione, i pagamenti effettuati e la consegna dell’opera.

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Due angioletti raccolgono, a destra e a sinistra, un morbido panno. Tutto avvie-ne come in un teatro.Il sipario viene nascosto tra le quinte. Sul proscenio appaiono, ben posizionati, gli attori. Dal fondo partono strutture architettoniche che conducono i nostri occhi in alto. Su nubi sfumate e angeli contemplanti, appare la Madonna della Ghiara che adora Gesù Bambino (“Quem genuit adoravit” – Adorò Colui che generò”).Un alone di luce intensa e calda avvolge e unisce la Vergine al Bambino. E poiché la luce indica la presenza di Dio, il Bambino e la Vergine sono parte del Divino Amore.La Madonna, dal volto bellissimo che richiama i modelli di Guido Reni, indos-sa vesti di color rosso (simboleggia amore) e manto azzurro (colore mariano, espressione del distacco dai valori materiali).Gesù siede su un cuscino rosso coperto da un lenzuolino bianco (evoca la Pas-sione, Morte e Resurrezione).

Parte superiore del dipinto

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In primo piano sulla terra, inginocchiati, sono i Santi Pietro apostolo e France-sco d’Assisi, disposti con la Vergine come i vertici d’un triangolo isoscele. San Pietro indossa una tunica azzurra (distacco dai valori di questo mondo) e manto dorato (indica vita, forza di luce e nel medesimo tempo sottolinea il ruolo di Pietro, come mediatore fra gli uomini e Dio).Con la mano sinistra indica, a chi guarda, la Vergine.Sul viso, dipinto con grande perizia e realismo, appare un velo di sudore. Il manto dorato con rifl essi serici rappresenta, per eleganza e morbidezza, una parte veramente pregevole dell’opera. Rimarchevoli sono l’abbinamento dell’azzurro e del giallo. Ai suoi piedi due chiavi legate da un fi lo rosso. Sim-boleggiano il doppio potere del papato: temporale (chiave scura) e spirituale (chiave dorata).A questo pescatore di Bethsaida in Galilea il cui vero nome era Simone, Gesù affi dò il compito di guidare il popolo cristiano. Lo paragonò alla “prima pietra” su cui sarebbe stata edifi cata la Chiesa e divenne per tutti Pietro. E’ considerato il primo pontefi ce della storia.

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A destra si vede S. Francesco d’Assisi (1181 o 1182 – 1226) in ginocchio con le braccia aperte e lo sguardo rivolto al Bambino. Indossa il saio grigio dei francescani con , alla vita, un cordone a tre nodi, simbolo dei voti di povertà, castità e obbedienza. Il suo attributo specifi co è il teschio che appare ai suoi piedi (richiama i valori dello spirito in relazione al corpo che è una manifesta-zione della materia).Il ricco e sontuoso vestire di San Pietro, il viso di San Francesco così soffi ce-mente ambrato, tolgono ogni tensione drammatica alla scena, riportando tutto su un piano di contemplazione silenziosa come sul fi nire di una lunga conver-sazione.Tutti questi elementi di compiutezza stilistica, tecnica e poetica fanno pensare alla piena maturità di un artista bolognese che, a lungo, ha meditato sulle opere di Guido Reni e del Guercino.Il dipinto, non senza qualche rischio, potrebbe essere confrontato con l’Imma-colata Concezione della Chie-sa di S. Lucia di Bologna (ora presso il Collegio San Luigi) di Giovan Battista Bolognini eseguita intorno al 1679.Proprio in quegli anni (1674 – ’75) il Bolognini lavorava a Guastalla (Duomo e Chiesa dei Servi di Maria).Qualche anno più tardi (1687) il nipote del Bologni-ni, Giacomo, in compagnia di Giuseppe Maria Mazza, dipinse un camerone al Ca-sino di Sotto dei Gonzaga (ora distrutto) e il camerino di Camillo III in Rocca sempre a Novellara.

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GIOVANNI MIGLIOLI (Guastalla, 1924 – 2006)Il martirio di Santo StefanoOlio su tela, cm. 320 x 204, 1952 – 2006Donato dall’artista alla Collegiata di Santo Stefano Bibl: Inedito

Pittore e scenografo di grande talento. I suoi dipinti sono conservati nelle più prestigiose collezioni private e nei musei (in particolare in Svizzera). Come scenografo ha collaborato con i principali artefi ci della storia del teatro e della cultura italiana: Paolo Grassi e Giorgio Strelher per tutti.

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Di S. Stefano parlano gli Atti degli Apostoli (6-7): è il primo dei sette diaco-ni incaricato di curare la distribuzione quotidiana del cibo, in particolare alle vedove. Era “uomo di fede e pieno di Spirito Santo”. Stefano aveva una grande cono-scenza delle scritture e questo gli consentì di sostenere una lunga disputa nel Sinedrio, dove era stato portato con l’accusa di aver pronunziato parole blasfe-me contro Mosè e contro Dio. Stefano sosteneva che Mosè e il popolo ebraico, nel loro peregrinare, avessero goduto della presenza dello Spirito Santo. I Sacerdoti del Sinedrio, resistenti allo Spirito Santo, e non volendo riconoscere il Messia, si scagliarono contro di lui e, quando Stefano disse di vedere il cielo e la gloria di Dio, lo portarono fuori dalla città e lo fecero lapidare.

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Santo Stefano, particolare

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Il formato verticale della tela enfatizza lo spazio vuoto e solo architettonica-mente accennato dallo sfondo, ed è parte integrante del senso di drammatica tragedia della scena, aperta dai tre sgherri a gambe divaricate in primo piano. Le quattro fi gure emergono dal fondo brunito, percepibile grazie ad una sottile variazione di tono.E’ l’oscurità che sta calando sulle menti e nei cuori del popolo eletto. Santo Stefano posto al centro della scena indossa la dalmatica dei diaconi (1); allunga il braccio (rompendo lo spazio) e con la mano indica la gloria di Dio che s’in-travede, come un arcobaleno, oltre il fondo.La sua fi gura costruita con lunghi tocchi di luce e colore è bellissima, perché ricca di amore di Dio e per il prossimo; si contrappone ai brutti esecutori della sentenza. Santo Stefano è rappresentato a fi gura intera, saldamente e umana-mente piantato con i piedi per terra, perciò dobbiamo intendere la sua come una presenza reale, vivente e operante. La potente luce che lo attraversa e lo circonda non è quella di un alone spettrale, ma quella di una divina energia taumaturgica (compimento di un miracolo). La visione ravvicinata delle fi gure concentra l’attenzione dei fruitori sul colloquio gestuale ed espressivo dei per-sonaggi. E’ un colloquio mesto e serrato che ci riporta a fatti dei nostri giorni (dramma profondamente religioso e morale). Le fi gure sono compendiate per volumi risultanti dal variare della luce e dei colori. L’atmosfera polverosa che grava sullo spazio, oscuro, rende la narrazione dell’evento più drammatico. Indica la presenza diabolica che promana dagli sgherri come uno “spiritus” volatile.Questo spirito maligno vagante nell’aria esalta la drammatica, lucida accet-tazione del martirio di Stefano. Sulla sinistra, in abito da pellegrino, con gli occhi umidi e il volto proteso verso l’alto, l’autoritratto dell’artista aggiunto nel 2004.La preparazione di base adottata da Miglioli procede stendendo una velatura bruna e su di essa man mano impasta colori per costruire delle masse a partire dagli scuri verso i toni chiari. Con questa tecnica egli porta in luce le fi gure. Intorno ai contorni delle fi gure (per esempio in Santo Stefano) lascia una striscia scura che sembra una pennellata che ne stacca ancor più i profi li. In realtà, è quella preparazione velata da una stesura di colore scura e liquida che viene “risparmiata”, non ricoperta da colore e non come potrebbe sembrare una linea di colore sovrapposta. L’emergere delle fi gure dal fondo nero è fun-zionale all’innalzamento dei contorni (osserva per esempio, l’ombra del volto

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di Santo Stefano). Ecco l’effetto di affi oramento del chiarore delle fi gure e dei loro incarnati dall’ombra. Quanto abbiamo accennato è segno inconfondibile del recupero, in senso moderno, della classicità. L’effetto di fi gure che ruotano nell’atmosfera e la tecnica che ha adottato indicano che l’artista ha meditato a lungo sulle opere di Michelangelo Merisi da Caravaggio.

(1) Dalmatica = veste liturgica a forma di tunica con maniche lunghe, portata sopra il camice. Spesso è parzialmente aperta ai lati ed è orlata con ricami sugli orli, sui polsi e sul collo.

Siamo riconoscenti al prof. Sergio Ciroldi per quanto ha scritto sul re-stauro di questi due dipinti: bene ne descrive le caratteristiche eviden-ziandone le alte qualità e con effi cace chiarezza ci aiuta a “leggere” con fede le due opere.Ringraziamo i parenti del pittore Miglioli Giovanni per avere messo a disposizione della Parrocchia di S. Stefano di Novellara il dipinto del Martirio di S. Stefano; prima di morire, il pittore aveva da poco restau-rato il quadro di cui era stato autore: abbiamo un quadro doppiamente autentico e prezioso.Un grazie anche al restauratore signor Prampolini: il lavoro è stato compiuto con alta competenza; ci è stato riconsegnato lo stupendo dipinto della “Madonna dei Servi” in condizioni ottimali dopo l’acci-dentale lacerazione multipla subita.Siamo riconoscenti alla famiglia di Novellara che ha offerto la somma per affrontare le spese di restauro.A nome della Comunità di S. Stefano esprimo profonda soddisfazione per il felice esito dei due restauri. La Chiesa dei Servi diventa sempre più bella. Il Parroco Don Candido Bizzarri

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Alcuni particolari del quadro

Autoritratto dell’artista

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a cura della Parrocchia di S.Stefano in Novellara

27 maggio 2007

con il contributo di

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