novecento friulano antagonista - Storia Storie Pordenone · con la decadenza dell’area...

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1 Novecento friulano antagonista Genesi e sviluppo di un movimento operaio di frontiera: dal primo al secondo dopoguerra Gian Luigi Bettoli Pordenone, 2006

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Novecento friulano antagonista

Genesi e sviluppo di un movimento operaio di

frontiera: dal primo al secondo dopoguerra

Gian Luigi Bettoli Pordenone, 2006

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Ma da entrambe le parti, tra di noi

come tra i compagni socialdemocratici, regnava la consapevolezza

che la divisione in seno al movimento operaio tedesco doveva essere definitivamente superata;

e a questo scopo era necessario che entrambe le parti non si limitassero

a esercitare le critiche sull’altra parte ma in primo luogo le rivolgessero a se stesse.

Berlino-Spandau, primi giorni di maggio del 1945, dopo la liberazione dal carcere nazista di Brandenburg-Görden 1.

1. Domande, risposte, domande. Così intitolava un suo libro autobiografico Robert Havemann, sintetizzando in una sola formula una vita

passata - da un lato - a confrontarsi con le domande della scienza e - dall’altro - con la ben più pressante dialettica degli interrogatori polizieschi subiti in quanto attivista comunista, pacifista, marxista non dogmatico, sempre dal lato “sbagliato”... ovviamente dalla prospettiva dei vari regimi.

Ogni ricerca scientifica deve operare con uno scavo continuo, con un riesame sistematico, con un’analisi filologica, certo senza pregiudizi, anzi con rispetto per i risultati acquisiti precedentemente: pur senza darli necessariamente per scontati, rilevandone aspetti controversi, oscuri, suscettibili di possibili interpretazioni alternative. Non uso il termine revisionismo, in quanto ormai irrimediabilmente “bruciato” nella sua funzione di arma ideologica delle politiche neoliberiste, versione à la mode - nell’odierna era del “turbocapitalismo” globalizzato - delle concezioni conservatrici e reazionarie impegnate da secoli a demolire ogni movimento liberale, democratico e socialista 2.

Non si tratta di difendere ad oltranza semplificazioni schematiche, come ad esempio la definizione della rivoluzione francese come rivoluzione borghese, vulgata incapace di rendere conto della molteplicità di spinte sociali sottostanti. Ma non è certo soddisfacente affidarsi ad iconoclasti altrettanto ideologici, tanto impegnati ad attaccare Soboul quanto a dimenticarsi del suo ruolo di “scopritore” dei movimenti popolari dell’anno II. Tanto meno si può affrontare la storia dei movimenti proletari del Novecento limitandosi a criticare l’evidente deviazione politicista - per non dire la strumentalità - di tanta storia del maggiore partito della sinistra italiana, cadendo in polemiche di bassa lega, che nulla contribuiscono all’avanzamento della ricerca ed alla comprensione dei fenomeni 3.

Questo tipo di preoccupazioni coglie a maggior ragione chi si trova di fronte a percorsi di ricerca ancora solo parzialmente illuminati da un adeguato sforzo storiografico. Molti anni fa, decidendo di interessarmi alla vicenda delle undici amministrazioni comunali socialiste 4 elette nell’autunno 1920 nel Friuli occidentale (ritenute a torto un episodio tanto breve quanto irrilevante dalla prevalente storiografia in materia 5), la prima cosa in cui mi imbattei fu un indizio significativo: più d’uno di quei consiglieri comunali aveva una storia amministrativa piuttosto lunga alle spalle. Decidendo di seguire i loro percorsi a ritroso, ho ritrovato le rilevantissime tracce di una storia in gran parte dimenticata, quella di un’isola rossa affondata nelle nebbie dell’oblio 6.

Un po’ la stessa cosa è successa in questa ulteriore tappa, dedicata al passaggio dal primo al secondo dopoguerra. Una fase segnata da due estremi caratterizzanti: la conservazione del consenso elettorale della sinistra nelle

1 HAVEMANN , Robert, Domande risposte domande. Autobiografia di uno scienziato marxista, Torino, Einaudi, 1971 (ed. originale Fragen

Antworten Fragen. Aus der Biographie eines deutschen Marxisten, München, 1970), p. 62. 2 A parte l’uso del termine, che personalmente non apprezzo, ritengo condivisibili le definizioni, negativa e positiva, del revisionismo date

da: TRANFAGLIA, Nicola, Un passato scomodo. Fascismo e postfascismo, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 20062. 3 Cito a titolo di esempio, proprio per l’indiscusso valore degli autori ed il ruolo svolto nel rinnovamento della ricerca sulla storia del

movimento operaio, l’autentica caduta di stile di: MASINI, Piercarlo e MERLI, Stefano, Introduzione a: Il socialismo al bivio. L’Archivio di Giuseppe Faravelli, 1945-1950, Milano, Annali Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, XXVI, 1990, pp. XV-XXIX. Un testo spiegabile solo nel contesto della particolare vis polemica anticomunista degli anni ruggenti del craxismo.

4 Nuove ricerche locali ne hanno individuato una dodicesima, Polcenigo, a dimostrazione di come l’utilizzo di nuove fonti (particolarmente quelle conservate presso le Amministrazioni locali) possa sempre rinnovare i risultati acquisiti. Cfr.: CHINA, Elvi, COSMO, Mario, Sindaci e amministratori del Comune di Polcenigo dal 1866 al 2006, Polcenigo, Amministrazione comunale, 2006. Segnalo in particolare questa piccola ma densa opera (insieme alla precedente: CHINA, Elvi, Gli amministratori del Comune di Sacile del XX secolo, Sacile, Amministrazione comunale, 2001), che costituisce un modello di repertorio utilissimo per i ricercatori che si confrontano con la storia sociale ed istituzionale locale. Esperienza che dovrebbe essere realizzata con sistematicità in tutto il territorio, per costituire le basi per un’innovazione della ricerca storiografica, superando il cronachismo e - all’opposto - generalizzazioni spesso astratte.

5 Mi permetto di rinviare all’analisi della storiografia locale contenuta in: BETTOLI, Gian Luigi, Una terra amara. Il Friuli Occidentale dalla fine dell’Ottocento alla dittatura fascista, Udine, Ifsml, 2003, primo volume, pp. 55-79. Rinvio senz’altro a questo lavoro per le indicazioni relative ai passi per i quali non sia stato fornito uno specifico rimando in nota.

6 Ho avuto la fortuna di avere tre maestri che mi hanno indicato la via in questo percorso. Un allora giovanissimo ricercatore militante: [BARRACO, Roberto], Il Pordenonese negli anni venti: la roccaforte del socialismo, Pordenone, Circolo A. Gramsci, 1973, ed una storica che è anche la principale testimone del movimento operaio novecentesco nel Pordenonese, con molteplici ricerche fra le quali emerge, per vastità di sguardo e solidità di impostazione: DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie a Pordenone, 1840-1954, Udine, Ifsml, 1981. Ed il prof. sen. Arduino Agnelli che, non limitandosi al ruolo di relatore della mia tesi di laurea, ha sostenuto il mio lavoro nella convinzione - che ci accomunava al di là dei nostri diversi percorsi - che la riflessione sul passato della sinistra si colleghi inevitabilmente alla costruzione di un nuova realtà, tanto auspicata ed incompleta quanto necessaria.

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sue roccaforti, a dispetto di un ventennio di regime fascista; la successiva e repentina contrazione di questa forza, e l’instaurazione di un’egemonia moderata imperniata attorno al blocco politico-sociale cattolico. Quali possono essere le ragioni di questo andamento apparentemente contraddittorio? La ricerca mi ha imposto, nuovamente, di volgermi a ritroso, alla ricerca dei percorsi di una, o meglio di almeno tre generazioni di attivisti politici che si sono sovrapposte, per cercare di capire le ragioni di questa crisi di egemonia. Contemporaneamente, le stesse necessità di comprensione mi hanno spinto ad alcune incursioni nel decennio successivo, in quegli interminabili anni ‘50 nei quali maturano cambiamenti sociali epocali.

2. Verso una storia “glocale” di lungo periodo? L’approccio utilizzato nella ricerca è quello di una storia politica, attenta al sociale e soprattutto a quella sorta

di trait-d’union fra i due livelli che è il sindacato. Anche questo istituzione, e quindi soggetto dotato di meccanismi di funzionamento simili alle organizzazioni politiche, ma portatore di una particolare mission e di forme di legittimazione sociale distinti, correlati innanzitutto al perseguimento di obiettivi per loro natura concreti e destinati spesso a risposte sul breve termine.

La storia politica ha una lunga tradizione alle spalle, costituendo uno dei cardini della tradizionale histoire évenementielle, e per questo motivo è stata messa sotto accusa come storia dei vincitori, dei gruppi dirigenti, elemento di riproduzione ideologica delle classi dominanti. Tuttavia, una storia esclusivamente sociale rischia di perdere un aspetto importante proprio della vita delle classi subalterne: il loro produrre strutture autonome, l’autopromozione sociale attraverso di esse, la formazione di propri quadri dirigenti, la costruzione di nuove forme istituzionali “dal basso”. Il giudicare questa realtà solo come una forma di cooptazione nei gruppi dominanti, di omologazione socio-culturale, la trasformazione del proletariato in ceto medio (dato acquisito nel senso comune statunitense, ad esempio) è pure un giudizio ideologico, che parte da un’idealizzazione della classe spesso molto lontana dalla realtà, anche se avvincente sul piano etico ed emozionale. Evitare di confrontarsi con la storia politica del movimento operaio, magari - come spesso accade - per rifugiarsi in epoche più remote, significa accettare la decapitazione di un’intera esperienza che, come dimostrato dagli studi già realizzati, è tutt’altro che secondaria.

Il divenire sociale è aperto ad esiti diversificati: studiare quindi una realtà locale per molti versi di frontiera, è produttivo di stimoli e valutazioni plurali. Basta non accontentarsi delle descrizioni di comodo, quelle che continuano a raccontare la favola antica del Friuli luogo di arretratezza economica 7 e conservazione sociale. Realtà falsificata da quanto emerso negli ultimi decenni, con il rovesciamento (all’interno dell’artificiale Regione autonoma a statuto speciale, nata dall’assemblaggio dei lembi superstiti dei confini nordorientali d’Italia) di dinamiche date per acquisite: con la decadenza dell’area industriale e portuale giuliana, e l’affermarsi di un modello veneto-friulano di economia opulenta, basata sulla piccola e media azienda legata all’insediamento della piccola proprietà contadina. Una realtà connotata da una stratificazione socioeconomica che segna un’attrazione crescente verso il modello veneto (la colonizzazione del territorio e dell’immaginario da parte dell’azienda nel cortile di casa) man mano che ci si sposta ad ovest.

Già negli anni seguiti al catastrofico terremoto del 1976 la ricerca sociale forniva indicazioni precise su una realtà non corrispondente all’immaginario consueto 8. Mentre un giornalista ipotizzava l’inevitabile decadimento della società friulana dalla tenda al deserto 9 e la classe politica regionale provvedeva ad una ricostruzione del territorio di gran lunga superiore alle necessità abitative ed economiche (costruendo fra l’altro migliaia di case per famiglie ormai naturalizzate altrove) il ciclo dello sviluppo industriale e quello del rientro degli emigranti era ormai in atto da tempo: il terremoto lo accelera solamente. I Grandinetti collocano il cambiamento di fase attorno al 1970 se si considera tutto il Friuli, ma la futura provincia di Pordenone (che nascerà nel 1968) spicca il salto dello sviluppo accelerato già negli anni ‘50. Inoltre le tabelle fornite da Elena Saraceno indicano una realtà che stride con l’immagine prevalente nell’opinione pubblica: il Friuli è una regione operaia, anche se prevalentemente di operai senza fabbriche, e lo è soprattutto nelle sue aree montane, quelle che forniscono braccia all’emigrazione, tradizionalmente nell’edilizia e poi nell’industria di massa.

Nel Friuli la frontiera è multidimensionale, non si limita solo al confine internazionale che cinge la regione ad oriente ed a settentrione. L’emigrazione (come in tutta la vecchia provincia, soprattutto nell’area montana) crea una diffusa doppia cittadinanza, importa costumi diversi, scardina tradizioni consolidate, realizza forme insediative mobili e destini familiari polimorfi, cangianti nello spazio della vita di una persona più che di generazioni. Si formano capitali e professionalità, che possono essere investiti sia in patria che all’estero, ma si realizzano contemporaneamente forme di acculturazione e di esperienza sociale che producono nuove entità politiche, fra cui una fondante per la sinistra friulana: il militante proletario, formatosi nella socialdemocrazia e poi nel comunismo internazionali, istruito ed autocosciente, propagandista ma anche promotore di una rete di cooperative di consumo, credito e lavoro, leghe di resistenza, società

7 Fra i “luoghi comuni”, diffusi in mancanza di adeguati studi scientifici e riflessioni dei protagonisti, Pierluigi e Roberto Grandinetti

inseriscono quello dell’arretratezza del Friuli: cfr. GRANDINETTI, Pierluigi e Roberto, Il caso Friuli. Arretratezza o sviluppo?, Udine, Cooperativa Il Campo, 1979.

8 Oltre al citato libro dei Grandinetti, cfr.: SARACENO, Elena, Emigrazione e rientri, Il Friuli-Venezia Giulia nel secondo dopoguerra, Udine, Il Campo, 1981.

9 RONZA, Robi, Friuli: dalle tende al deserto?, Milano, Jaca Book, 1976.

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operaie di mutuo soccorso, scuole popolari ed infine amministrazioni locali. Una realtà che ha iniziato a prendere forma oltreconfine già prima della fine dell’Ottocento 10.

Questa esperienza si espande nel territorio nazionale, seguendo le piste dell’industrializzazione, e viene accelerata dalla distruzione degli Imperi Centrali durante la prima guerra mondiale che - con lo spostamento dei flussi migratori unito alla persecuzione politica della dittatura fascista - trasforma l’emigrazione temporanea in prevalentemente definitiva 11. Ed accelera, contemporaneamente, un processo delineatosi già nell’età giolittiana: la formazione di quadri politici nell’emigrazione, interna ed esterna. Durante il fascismo, il 25% circa dei confinati politici originari del Friuli occidentale è condannato da commissioni di altre regioni. Una parte significativa dei processati al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato 12, originari dello stesso territorio, è presente nei vari centri interni del Pci o nelle organizzazioni clandestine dei principali centri industriali, da Monfalcone a Trieste, da Milano a Torino, da Genova a Cogne. Attivisti formatisi localmente e temprati nell’emigrazione diventano dirigenti politici e sindacali in grandi centri nazionali o all’estero.

I confini attraversano i generi: se è tradizionale (ma in realtà si è definita in pochi decenni) la figura della moglie contadina dell’operaio emigrante, l’industrializzazione produce quella dell’operaia tessile professionale, ben distinta dalla filandina stagionale e legata all’attività agricola familiare. L’operaia cotoniera è una figura difficilmente governabile non solo dall’organizzazione capitalistica, ma anche dallo stesso sindacato, che ne viene pesantemente condizionato a dispetto dell’impermeabilità della sua struttura alle donne.

I confini attraversano le generazioni, con la tumultuosa giustapposizione, che talvolta diventa contrapposizione, fra i democratico-socialisti formatisi nella crisi di fine secolo ed i giovani che si sono costruiti un’identità nelle trincee della Grande Guerra e nei movimenti del dopoguerra, cui poi (durante la Resistenza) si sostituiranno quelli che iniziano la loro esperienza politica nel successivo conflitto mondiale.

I confini sono ben scritti nelle dinamiche territoriali, a dispetto delle decisioni amministrative che spesso seguono con grande ritardo. A prescindere dalla lontananza dai centri accademici e da responsabilità soggettive dei gruppi dirigenti della sinistra, che riprenderemo oltre, non è un caso se il Friuli occidentale è la vera e propria Cenerentola della riflessione storiografica regionale. E’ interessante a tal proposito riesaminare la vicenda del dibattito locale sulla Costituzione repubblicana, nella quale spicca l’unanime opzione per la creazione di una provincia autonoma, incardinata nella regione Veneto, rifiutando l’autonomia del Friuli nelle sue diverse opzioni, sia in forma solitaria che in unione con quanto rimane della Venezia Giulia. La scelta pordenonese è indotta dall’autocoscienza di una dimensione industriale caratterizzante ben di più che il ristretto hinterland urbano, e che si ricollega con la progettualità dei gruppi dirigenti democratici e socialisti precedente il fascismo 13.

L’opzione filoveneta del Pordenonese è resa più comprensibile dalla condivisione di storie con i lembi più vicini del Veneto, grazie alla dimensione comune fornita dalle circoscrizioni ecclesiastiche, ma anche in epoca più vicina dalle istituzioni scolastiche postunitarie e dalle organizzazioni del movimento operaio (come dimostrano ad esempio il lungo legame fra repubblicani e socialisti trevigiani e pordenonesi, ed il gravitare sul sindacato portogruarese dei comuni della Bassa Pordenonese nel primo dopoguerra). Legame che, lungi dall’essere allentato dalla costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia nel 1964 (nella quale si sviluppa l’azione della provincia di Pordenone che nasce in questo nuovo contesto istituzionale), viene rafforzato dallo sviluppo industriale manifatturiero: valga fra tutti il legame costruito fra gli stabilimenti della Zanussi/Zoppas, poi Electrolux, del Pordenonese e del Trevigiano.

In senso opposto agisce il movimento di una ulteriore faglia, non meno carica di effetti di quelle sismiche che attraversano il sottosuolo: quella del problema nazionale. Collocata etnicamente e storicamente più ad est, con gli insediamenti tedeschi della Val Canale e quelli sloveni sui primi rilievi delle Prealpi Giulie, la questione nazionale penetra profondamente nel territorio friulano, prima a causa del nazionalismo (è il capo fascista pordenonese Piero Pisenti, diventato prefetto per un breve periodo, uno dei protagonisti dell’assorbimento del Goriziano nella Provincia del Friuli, dal 1923 al 1927, per porvi in minoranza gli allogeni) e poi per gli effetti della guerra: con l’esplosione del movimento partigiano sloveno e croato, la costruzione dei campi di concentramento italiani a Gonars ed in altre località e poi, nel 1943, la nascita della prima Resistenza armata italiana, a stretto contatto con i reparti jugoslavi. Nel Friuli occidentale, la Resistenza è guidata, in montagna, da quadri formatisi nell’ambiente giuliano, a contatto con la Resistenza slovena, che si affiancano a quelli locali che hanno combattuto in Spagna nelle Brigate Internazionali. C’è la presenza di formazioni partigiane sovietiche, ben due battaglioni nelle Prealpi Carniche. C’è, come in tutto il Friuli, la bipartizione della Resistenza in due compagini, l’una internazionalista e comunista e l’altra, l’Osoppo, che riunisce tutte le formazioni non comuniste su posizioni patriottiche, se non nazionaliste ed antislave. La stessa impostazione “jugoslava” si riverbera dopo la Liberazione nella gestione dei quadri del Pci, in una nascente federazione autonoma - quella di Pordenone - che avrà una prevalenza di dirigenti goriziani e triestini per oltre un decennio, ma che risentirà anche, per quanto su una linea rigorosamente allineata alle posizioni del gruppo dirigente nazionale, del polso fermo,

10 Per la fase genetica di questo movimento fra gli emigranti stagionali in Germania: BETTOLI, Gian Luigi, Gli emigranti italiani

nell’organizzazione sindacale tedesca dalle pagine de “L’Operaio Italiano”, in: Storia Contemporanea in Friuli, anno XXXV, n. 36, Udine, Ifsml, 2006, pp. 9-84.

11 Ma ancora alla fine degli anni ‘20 l’emigrazione in Francia viene percepita come soprattutto stagionale da parte comunista: cfr. CONFEDERAZIONE GENERALE DEL LAVORO D’I TALIA , Una franca parola agli emigrati stagionali, Parigi, Edizioni di “Battaglie Sindacali”, 1929. Ringrazio Bruno Cannellotto di Zurigo, che mi ha fornito copia dell’opuscolo, conservata presso l’archivio del sindacato Unia.

12 D’ora in poi Tsds. 13 La posizione friulanista di Pierpaolo Pasolini appare in questo contesto come una voce minoritaria, rappresentativa degli ambienti dei

mandamenti più vicini all’Udinese (San Vito e Spilimbergo), che conservano con il resto del Friuli centrale maggiore omogeneità socioeconomica e legami infrastrutturali, oltre che culturali.

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acquisito nella guida del movimento resistenziale, del principale dirigente comunista friulano, Mario Lizzero. Ed infine ci sono le presunte infiltrazioni partigiane jugoslave del dopoguerra, fin nel cuore delle Prealpi Carniche, ad ovest del Tagliamento: per quanto esse vadano interpretate come proiezioni paranoiche di organi di polizia non depurati dal fascismo, sono comunque rivelatrici di un clima 14.

Appaiono quindi insufficienti i due diversi, ma speculari, approcci tradizionali: quello della storia politica, attenta al succedersi dei gruppi dirigenti nei loro dibattiti ideologici e programmatici, e quello della spesso asfittica storia locale, dove l’avvenimento rischia facilmente di scadere nel colore della cronaca. Quella che va messa in opera è una dimensione di ricerca che coniughi scienze sociali con conoscenza storica, per realizzare una storiografia capace di leggere la dimensione temporale nel fluire delle generazioni, delle modificazioni sociali e delle realtà economiche, più che di agire all’interno di schemi di periodizzazione spesso insoddisfacenti 15. E’ necessario un lavoro storiografico che tenga conto della dimensione multinazionale del destino degli abitanti di un territorio, e di una formazione culturale stratificatasi in molteplici migrazioni, facendosi carico della conoscenza di più storiografie nazionali comparate. Occorre una ricerca, infine, che sia collettiva: che ha bisogno di uno studio sistematico di luoghi, di ambienti, di comunità, di una raccolta di dati organizzati, anche grazie alle tecnologie informatiche, in modo da renderne fruibile la conoscenza in rete e l’elaborazione quantitativa 16.

In questa fase, anche grazie al materiale elaborato per il trentennio prefascista, ho scelto quindi, nella modestia delle mie forze e del tempo concessomi, di lavorare su un periodo che, collocandosi fra il consolidamento del regime mussoliniano e la stabilizzazione della democrazia repubblicana, permettesse di acquisire dati su una dimensione temporale che, pur non essendo ancora definibile di longue durée, rappresenta un significativo periodo di avvicendamento intergenerazionale. Una fase che per altro non corrisponde al mutamento della formazione socioeconomica complessiva dell’area, che va più correttamente collocato a partire dalla metà degli anni ‘50, con la crisi del polo cotoniero pordenonese, la sua sostituzione a breve termine con i grandi stabilimenti manifatturieri nella metalmeccanica e nella chimica, l’utilizzo massiccio di manodopera non qualificata di provenienza contadina e la crisi del vecchio insediamento operaio tradizionale.

3. Le fonti. Le fonti utilizzate per questa ricerca sono di vario tipo, ma risentono del principale patrimonio archivistico a

disposizione per l’epoca della dittatura fascista: le carte di polizia. Altre fonti, utilizzate come una vera e propria “autobiografia” del movimento operaio, in mancanza di fonti orali - cioè la stampa di partiti, sindacati ed associazioni - mancano in forma sistematica nel periodo 1925-1945, nel quale il territorio friulano risulta sotto la dittatura e poi l’occupazione nazifascista dell’Adriatisches Künstenland. Le fonti di polizia, soprattutto gli atti processuali del Tribunale Speciale, ci forniscono una buona antologia della stampa clandestina comunista, ma il suo valore conoscitivo, quanto alla struttura organizzativa, è indubbiamente meno ricco delle frequenti e ramificate cronache locali della stampa pre/postbellica.

La letteratura scientifica relativa alle fonti di polizia ha fornito grandi prove, sia per la ricchezza di materiale messo a disposizione degli studiosi, sia per le valutazioni critiche su un materiale tanto infido. Il dibattito sul libro di Mauro Canali, ed in particolar modo la decostruzione da parte di Franzinelli di uno dei suoi casi di studio più discussi, costituiscono un esempio eloquente di critica dell’uso non avvertito delle fonti 17. Le carte di polizia sono documenti in gran parte confidenziali, di origine venale e spesso costruiti ad arte, comunque un insieme di pratiche spionistiche moralmente riprovevoli e da utilizzare sul piano della ricerca scientifica con tutte le cautele: un vero e proprio immondezzaio della storia, nel quale si può trovare letteralmente di tutto (e non credo la definizione possa apparire esagerata). Ma sono anche una massa di informazioni enorme, per una fase storica in cui scarseggiano le altre fonti, tenendo inoltre conto che il materiale accumulato a partire dall’epoca umbertina - conservato in un certo numero di

14 Fra i rapporti di polizia del dopoguerra si trovano notizie di una numerosa banda di partigiani jugoslavi, guidati dal vicesindaco

comunista di San Vito al Tagliamento prof. Augusto Culos, per altro resistente non partecipante alla lotta armata: inqualificabile deformazione dei primi movimenti contadini che si dispiegheranno nel 1947 e troveranno un cantore d’eccezione nel primo romanzo di: PASOLINI, Pier Paolo, Il sogno di una cosa, Milano, Garzanti, 19934 (ed. originale 1962). Culos, noto pittore paesaggista, sarà pure fermato negli anni successivi dai carabinieri, in quanto intento a dipingere una veduta della media valle del Tagliamento, ritratta dalle alture di Anduins: ovviamente la sua realizzazione artistica era stata individuata come un atto di spionaggio.

15 Anche testi ricchi ed impostati correttamente rischiano di fornire informazioni inadeguate, come quando (è il caso più frequente) si ricostruiscono, magari sulla base di una o poche fonti, biografie che si interrompono improvvisamente per sparire nel nulla. Un buon esempio è il per altro indispensabile lavoro di: ANDREUCCI, Franco e DETTI, Tommaso, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853/1943, sei volumi, Roma, Editori Riuniti, 1975-1979, dove si sostiene in più di qualche caso il ritiro dall’attività politica di vari biografati, sulla base del solo materiale documentario conservato nel Cpc. Ma, senza dilungarci in esemplificazioni, questo “effetto collaterale” della periodizzazione è molto più diffuso di quanto si sia disposti a credere. Per altro, nonostante l’allargamento dell’orizzonte spazio-temporale realizzato in questa ricerca, sono certo di non essere riuscito neanch’io, a questo stadio degli studi, ad evitare parzialità ed incompletezze, di cui mi scuso anticipatamente, impegnandomi fin d’ora a rettificarle nei miei lavori successivi, ringraziando chiunque mi potrà aiutare con le sue segnalazioni.

16 Ho avuto occasione di criticare la metodologia di ricerca delle due dense opere dedicate recentemente alla storia del sindacato tessile della Cgdl-Cgil, proprio per la loro tradizionale impostazione basata sull’attività dei gruppi dirigenti nazionali, senza la capacità di confrontarsi con la non irrilevante storiografia locale in materia: BETTOLI, Gian Luigi, Da un’isola perduta nella corrente. Messaggio in una bottiglia sulla storia del sindacato tessile in Friuli-Venezia Giulia, in: Storia Contemporanea in Friuli, anno XXXIV, n. 35, Udine, Ifsml, 2004, pp. 213-222.

17 I testi più ricchi in materia sono quelli di: FRANZINELLI , Mimmo, I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, da integrarsi con ID. (a cura di), L’elenco dei confidenti della polizia politica fascista, Torino, Bollati Boringhieri, [2002] e CANALI , Mauro, Le spie del regime, Bologna, Mulino, 2004. Cfr. inoltre, sul libro di Canali: FRANZINELLI , Mimmo, Max Salvadori: una spia del regime?!?, in Italia contemporanea, Milano, marzo 2005, n. 238, pp. 87-107.

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fascicoli - permette di gettare luce sulla fase precedente, quando pure la debolezza delle prime organizzazioni socialiste in Friuli non ha lasciato altre adeguate tracce.

Per questo motivo, la fonte principale, anche se tutt’altro che unica, di questo lavoro è costituita da una parte della documentazione conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato, ed in particolare dai fascicoli personali dei sovversivi del Casellario Politico Centrale, integrati da quelli della Polizia Politica e da alcuni relativi a processi del Tsds ed al Confino di Polizia. In tal modo, partendo da una base di dati costituita dalle principali figure di protagonisti della vita del movimento operaio prefascista, si è costruito un campione di circa 300 oppositori, pari a circa il 30% delle persone sorvegliate dal regime nel ventennio nel Friuli occidentale 18. L’elemento statistico è fondamentale ai fini di giungere con sufficiente approssimazione alla ricostruzione dei lineamenti di una storia della generazione dell’antifascismo.

Tale tipo di fonte è stata integrata e confrontata, oltre che con altro materiale di polizia, conservato presso l’Archivio del Gabinetto della Prefettura di Udine 19, con documentazione di altro tipo. Per i periodi antecedente e successivo alla dittatura, con la stampa di sinistra: rinviando al mio Una terra amara per le indicazioni relative a quella antecedente le leggi speciali, mi limito ad indicare in questa sede i quotidiani del Clnp di Udine Libertà (anni 1945-1947) e del Pci l’Unità (1948-primo bimestre 1955) ed i settimanali del Pci Lotta e lavoro (1945-1952) e del Psiup-Psi Il Lavoratore Friulano (1945-1949) 20.

Per il periodo della dittatura è stato utilizzato il fondo Pcd’i, fotocopiato dall’Istituto Gramsci e conservato presso l’Ifsml, oltre all’archivio dell’ufficio quadri della federazione del Pci di Pordenone, conservato presso la Casa del Popolo di Torre di Pordenone. Per il Psiup-Psi del dopoguerra, oltre che per il periodo sovietico di Costante Masutti e la sua segreteria della Federazione del Psi di Parigi, le fotocopie dei suoi quaderni conservati presso il Centro Studi “Piero Gobetti” di Torino; sempre a proposito di Masutti ed altri emigrati comunisti in Urss, ho consultato la notevole autoproduzione di Dante Corneli conservata presso la biblioteca dell’Istoreto di Torino. Sull’attività fiorentina di Pietro Sartor, ho utilizzato le collezioni dei settimanali La difesa (Psi) e L’azione comunista (Pcd’i) presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze.

Per ricostruire le vicende sindacali ho lavorato nell’archivio della Camera del Lavoro 21 provinciiale di Pordenone ed in quelli della Cgil e della Flai 22 nazionale. Relativamente ad alcuni percorsi personali, ho consultato archivi storici comunali, oltre a quello dell’ex Ospedale Psichiatrico di Sant’Osvaldo in Udine e quello dell’Archivio del Tribunale di Pordenone 23, e vari archivi privati di famiglie di perseguitati antifascisti e dirigenti sindacali e politici. Infine, sono state realizzate alcune interviste, sia formalizzate, sia con modalità casuali.

Strumenti importanti di ricerca si sono rivelati i repertori delle fonti centrali di polizia prodotti dall’Anppia, a partire dallo storico Aula IV, insieme alla pubblicazione del Ministero della Difesa relativa all’operato del Tsds 24.

Complessivamente, la massa di materiale affrontata è notevole, anche se suscettibile di verifica ed approfondimenti, per corrispondere ad esigenze manifestatesi successivamente, nel corso della ricerca. Ma lo stato stesso delle fonti costituisce un elemento di considerazione interno al progetto di ricerca. Per vari motivi: la distruzione quasi sistematica degli archivi di Cgil, Pci e Psi pordenonesi non può essere considerata solo come una casualità, soprattutto se paragonata a panorami del tutto diversi, anche se non determinati originariamente da precise finalità di ricerca. Basti pensare ad Udine, dove i fondi dei due partiti storici della sinistra sono stati versati all’Ifsml e riordinati. Unica eccezione, nel caso di Pordenone, è l’archivio del Psiup (1964-1972), attualmente non consultabile.

Mancano inoltre significativi archivi personali, della qualità (pur nella modestia quantitativa) di quello dell’avv. Guido Rosso, che fu sindaco socialista della città nel 1920-1922. L’unico vero archivio personale è quello di Masutti, integrato da documentazione depositata presso la prof.ssa Degan. Ma la stessa importanza dei quaderni del dirigente socialcomunista è stata finora sottovalutata, a causa della specifica attenzione rivolta alle carte del periodo sovietico, che ha occultato il resto del materiale.

18 Il lavoro è stato facilitato, oltre che dall’utilizzo dell’inventario cartaceo presso l’Acs, dalla banca dati su base provinciale acquisita

dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione di Udine. Recentemente, l’Acs ha provveduto a mettere on line su internet l’intero inventario del Cpc, rendendolo fruibile in modo molto più ampio, e correggendo anche errori purtroppo riscontrabili nella compilazione delle banche dati fornite precedentemente su supporto informatico.

19 Presso l’Archivio dello Stato di Udine. Purtroppo il fondo manca per il periodo antecedente al 1925 e non è disponibile dopo il 1948, ed è gravemente carente anche per questi anni. Per altro la scoperta presso antiquari (da parte di un sindacalista che è anche appassionato ricercatore come il segretario generale della Cgil regionale Ruben Colussi) di decine di documenti scartati fa sorgere dubbi sulla cautela con cui sono state effettuate in passato le operazioni di selezione del materiale.

20 Libertà è conservato in forma cartacea, ma incompleta, presso l’Ifsml, e microfilmata presso la Biblioteca Civica “Joppi” di Udine; l’edizione locale de l’Unità è conservata, in forma incompleta ma integrabile, presso le Biblioteche: Civica di Udine, Statale di Gorizia e Civica di Trieste (con edizione specifica per quella città); i due settimanali sono conservati presso la Biblioteca Civica di Udine.

21 D’ora in poi CdL. 22 Federazione Lavoratori dell’Agroindustria, nata nel 1988 dalla fusione di Federbraccianti e Filziat (Federazione Italiana Lavoratori dello

Zucchero, delle Industrie Alimentari e del Tabacco). 23 Presso l’Archivio dello Stato di Pordenone, che purtroppo non ha ancora reso nota la documentazione del Tribunale degli ultimi 70 anni. 24 DAL PONT, Adriano, LEONETTI, Alfonso, MAIELLO , Pasquale, ZOCCHI, Lino, Aula IV, tutti i processi del Tribunale Speciale fascista,

Roma, Anppia, 1962; DAL PONT, Adriano, CAROLINI, Simonetta, L'Italia al confino. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, 4 volumi, Milano, La Pietra, 1983; CAROLINI, Simonetta (a cura di), “Pericolosi nelle contingenze belliche”. Gli internati dal 1940 al 1943, Roma, Anppia, 1987; DAL PONT, Adriano, CAROLINI, Simonetta, MARTUCCI, Luciana, PIANA , Cristina, RICCÒ, Liliana, Antifascisti nel casellario politico centrale, 19 volumi, Roma, Quaderni dell’Anppia, 1988-1995; MINISTERO DELLA

DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Decisioni emesse nel 1927-1943, Roma, diciassette volumi (il secondo in tre tomi), 1980-1999.

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Gli archivi privati sono l’occasione per ritrovare brani di quelli associativi dispersi, copie di appunti e corrispondenze personali, stampati o giornali, utili per ricostruire (pur con grande fatica) un quadro più organico delle vicende oggetto di questa ricerca. Eccezione interessante nella sua singolarità, la donazione, presso la Biblioteca comunale di Vivaro, del patrimonio librario del dirigente anarchico Umberto Tommasini, che comprende a sua volta i libri della biblioteca popolare costituita dal padre Angelo, emigrante a Trieste ed esponente del Circolo di Cultura Popolare socialista di quella città.

Le interviste, poche e del tutto carenti per quanto riguarda il periodo fascista - per mancanza ormai di testimoni diretti - sono utili per il periodo resistenziale e quello successivo, ma permettono anche, pur con tutte le ovvie avvertenze relative al materiale di seconda mano, di raccogliere segnalazioni e suggerimenti da verificare ulteriormente con le fonti. E’ quindi quanto mai prezioso il patrimonio di interviste di protagonisti della lotta di Liberazione realizzato e trascritto da Mario Candotti, e conservato presso l’Ifsml, insieme alle carte di Ardito Fornasir ed al vasto fondo (comprendente due anni di verbali della federazione del Pci di Pordenone, il 1954-1955) depositato da Vincenzo Marini.

Lo stato assolutamente carente delle fonti giustifica ulteriormente la scelta di lavorare, pur cercando di non perdere nulla in termini di acrimonia filologica, su un piano estensivo in termini sia cronologici che tematici. Fra i vari motivi, quello di porre con assoluta priorità la questione della conservazione e ricostruzione del materiale archivistico; di sollecitare, anche attraverso la raccolta delle testimonianze e materiali conservati da privati, l’impegno per il recupero di quanto possa essere conservato da altri; di rompere quel tessuto di apatia e disinteresse che - nonostante pregevoli sforzi in senso contrario, ad esempio l’approfondito lavoro sull’Avianese svolto da anni da Sigfrido Cescut, oppure la ricerca collettiva di storia orale promossa a Pordenone da Comune ed Associazione per la Prosa sui cotonifici - ha prodotto così tanti guasti nella tutela e conservazione dei beni storici.

Si pensi al fatto che, a fianco di alcuni archivi storici comunali riordinati e messi a disposizione degli studiosi, come ad Aviano, Cordovado e Pordenone, ed a quelli conservati decentemente anche se con modalità inadeguate, ne esistono altri depositati in autoparchi comunali, dove l’unico agente “conservativo” degli antichi carteggi è il deposito esausto degli idrocarburi dei veicoli di servizio (per altro infallibile nel tenere lontani i roditori). Insisto sugli archivi comunali perché l’esperienza testimonia di come si sia di fronte a veri e propri tesori di documentazione di vario spettro, poco utilizzati dalla ricerca contemporaneistica a dispetto della loro importanza.

Solo poche parole, infine, sull’utilizzo delle nuove tecnologie di informazione e riproduzione del materiale. L’uso di internet rende possibile acquisire informazioni su fatti poco noti in letteratura, usufruire della possibilità crescente di scaricare articoli, saggi e riviste, ed utilizzare le banche dati in materia di gestione del territorio (a partire da quelle più semplici, di informazione stradale e turistica), soprattutto ai fini delle localizzazioni geografiche. L’utilizzo delle tecniche di riproduzione fotografica digitale permette (sempre negli archivi statali 25; con qualche difficoltà in quelli privati, in particolare in quelli delle istituzioni, che tendono ad avere un’interpretazione “patrimoniale” del materiale conservato) un’organizzazione del lavoro molto più flessibile, una consultazione seriale della documentazione ed una sua potenzialmente infinita riproduzione, sia permettendo la consultazione decentrata, sia l’utilizzo presso il pubblico. Ho personalmente sperimentato tali possibilità, che permettono una più efficace comunicazione didattica, un avvicinamento del pubblico anche non specialistico alla documentazione storica ed uno stimolo alla diffusione del lavoro di ricerca.

4. Il Friuli prefascista: una regione in pieno sviluppo economico. Tradizionalmente l'immagine del Friuli si può sintetizzare in due visioni speculari, una “alta” ed una “bassa”,

sostanzialmente coincidenti ed insoddisfacenti. Da un lato il vissuto popolare e le sue interpretazioni, connotati da una forte identità localistica, basati sulla memoria di una terra di passaggio, di contrasti sanguinosi, di dure privazioni: una terra così povera da fornire, a cavallo fra Ottocento e ' 900, il maggior contingente di emigranti fra tutte le province italiane. Dall'altra una storiografia centrata soprattutto sulla dimensione socioeconomica del sottosviluppo e su quella politica dell'egemonia moderata, tanto da far classificare il Friuli fra le “zone bianche”, nonostante la presenza di aree contadine ad egemonia comunista, la prevalenza di una forte componente socialista, maggioritaria nella sinistra friulana (e, nelle vecchie roccaforti dell'emigrazione organizzata dell'età giolittiana, socialdemocratica) ed un movimento cattolico che assume talvolta, con le leghe bianche nel primo dopoguerra, ma anche con i movimenti sindacali industriali nella seconda metà del secolo, caratteristiche di fortissima conflittualità sociale.

Nel complesso, non emergono gli aspetti originali della vicenda storica friulana nell’Italia nordorientale. Se ad accomunare Friuli e Veneto sono tassi di sviluppo inferiori alla media nazionale sul lungo periodo e poi il repentino sviluppo nell’ultima parte del Novecento, l'emigrazione friulana è prevalentemente temporanea e si risolve massimamente entro i cicli stagionali dell'anno, a differenza della stabile emigrazione transoceanica della campagna veneta. Esiste semmai una contrapposizione fra aree montane (che accomuna quasi la metà del Friuli con il Bellunese) e pianura: tenendo conto che le condizioni idrogeologiche assolutamente particolari del Friuli, in particolare occidentale, estendevano profondamente alcune fenomenologie dell’area montana all’alta pianura, fino alle bonifiche tardonovecentesche. La particolarità friulana si manifesta pure nella pianura irrigua, come dimostra l’integrazione del

25 Anche se dal 2005 è stata imposta una tassa di 3 euro a busta, irragionevole se si pensa al consistente risparmio di personale sottratto al

lavoro di fotoriproduzione e riutilizzabile in altre mansioni più propriamente archivistiche.

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reddito agricolo dovuta alla coltivazione del baco da seta ed alla presenza dell’industria di trasformazione di questo prodotto, che in Italia era singolarmente concentrata in questo territorio e nella confinante Marca Trevigiana.

Il fenomeno dell'emigrazione temporanea, soggetto a forti modificazioni in corrispondenza con le due guerre mondiali e le conseguenti trasformazioni del mercato del lavoro europeo, è legato alla schiacciante prevalenza della piccola proprietà contadina, ed è un fattore non di depauperamento delle risorse locali, ma di capitalizzazione e di crescita professionale, trasformando decine di migliaia di piccoli agricoltori non autosufficienti in operai specializzati, ma permettendo anche la sopravvivenza delle unità produttive attraverso l'impegno prevalente delle donne, anticipando quel più tardo fenomeno che sarà definito impropriamente del “metalmezzadro”. E’ dall’emigrazione, oltre che dalla trasformazione di interi comparti artigianali sorti fra le pieghe dell’agricoltura, come quello del legno, che sorge la diffusa realtà imprenditoriale contemporanea.

E’ discutibile anche l’immagine di una condizione di plurisecolare arretratezza del mondo agricolo friulano. Se l’emigrazione e, nella seconda metà del Novecento, l’industrializzazione del territorio consolidano la piccola proprietà, permettendone la riconversione, un ruolo di avanguardia nelle innovazioni colturali viene giocato pure dal mondo imprenditoriale: l'Associazione Agraria Friulana realizza un proprio stabilimento cooperativo di fertilizzanti, pur collocandolo nel Veneto orientale, per meglio collegarsi alla rete dei trasporti e poter concorrere con i nascenti monopoli della chimica nazionale. Innovazioni importanti avvengono nel settore della zootecnia e della produzione lattiero-casearia, fino al totale saccheggio delle scorte del 1917-1918.

Ai primi del Novecento il territorio friulano, povero senza pari dal punto di vista agrario per la particolare collocazione geografica, è pur tuttavia ricco di risorse energetiche (idrauliche ed idroelettriche), tali da collocare Pordenone ed Udine – due fra le città che per prime godono in Italia dell'illuminazione pubblica elettrica - al 7° ed 8° posto fra i centri industriali veneti. E da fornire, nel Pordenonese, un esempio realizzato di città-fabbrica a vocazione cotoniera: realtà quest’ultima che viene consuetamente definita dalla storiografia come una “cattedrale nel deserto”, a dispetto della plurisecolare tradizione di diffusi insediamenti artigianali-industriali e del sostanziale ricambio - senza soluzione di continuità - fra la fase del tessile e quella della produzione manifatturiera di beni di consumo.

Il Friuli alla vigilia della Grande Guerra è quindi un territorio in impetuoso sviluppo sociale ed economico, dove l'industria idroelettrica realizza in Valcellina il secondo grande impianto nazionale, quello che darà la luce a Venezia e l'energia al polo di Marghera.

Tutti questi fatti agiscono sul piano delle dinamiche sociali, provocando lo sviluppo del sindacato sia nei poli industriali sia – fenomeno originale sul piano italiano – nelle grandi aggregazioni di operai migranti, influenzando la nascita dei movimenti socialisti locali e contribuendo a dare fisionomia alla loro progettualità. Elementi centrali di questa politicizzazione sono il polo cotoniero di Pordenone, dove non a caso il Psi assume un'egemonia consolidata e nell'età giolittiana si concentra il 20-25% degli iscritti - prevalentemente donne - alla Federazione nazionale delle Arti Tessili della Cgdl, e le valli delle Alpi e Prealpi Carniche, dove – in collegamento con il sindacato edile italiano e tedesco – si organizza una capillare presenza del Segretariato dell'Emigrazione di Udine, la principale istituzione del movimento socialista italiano nel campo dell'emigrazione, modello delle strutture analoghe promosse dalla Società Umanitaria di Milano. Le istituzioni sociali cattoliche sono costrette ad imitare i socialisti scendendo sullo stesso terreno, anche se in queste aree rimarranno minoritarie, mantenendo invece una solida egemonia nelle aree mezzadrili del Friuli centrale.

La situazione friulana – e non solo quella giuliana, meglio considerata dalla storiografia – è condizionata però dalla vicinanza del confine orientale d'Italia. Un ostacolo che si trasformerà in una cesura storica con la Grande Guerra, con la completa distruzione dell'economia e del patrimonio abitativo ed infrastrutturale, realizzando un vero e proprio salto nel buio del passato. Si dovrà giungere agli anni Cinquanta, dopo una seconda guerra mondiale, per ritornare agli indicatori economici di quarant'anni prima.

Attorno alle priorità della ricostruzione, ed in particolare allo sviluppo dell'industria elettrica (ed alle bonifiche e riordini fondiari) si giocherà lo scontro fondamentale del primo dopoguerra. Con la fine della guerra si costituisce il Partito Popolare friulano, la cui ala progressista dirige le lotte dei mezzadri e dei coloni e conquista l'amministrazione provinciale di Udine e molti comuni, ai quali si affiancano i più importanti del Pordenonese gestiti dai socialisti. I movimenti socialisti e cattolici – pur combattendosi duramente sul piano politico e sindacale - trovano una convergenza nel sostegno all'ipotesi di uno sviluppo agro-industriale centrato sul controllo pubblico delle risorse idroelettriche, che permetta di utilizzare in loco la manodopera emigrante, ad iniziare dallo sforzo immane della ricostruzione. La vittoria del fascismo porterà invece alla privatizzazione monopolistica dell'energia ed alla gestione del riordino fondiario da parte degli agrari (dopo la spaccatura dell'Aaf, con la marginalizzazione delle componenti moderate), a spese dei mezzadri e del sostanziale esproprio fiscale di molte piccole proprietà.

La figura del futuro ministro repubblichino Piero Pisenti impersona il ruolo di giunzione fra il grande capitale finanziario, gli agrari ed il fascismo: dato acquisito nelle mie ricerche precedenti, che esce confermato ulteriormente in questa sede. Il fascismo chiude questa fase, di cui è necessario riconsiderare complessivamente il significato storico, per congelare la situazione fino alla seconda metà del Novecento.

5. Le origini del socialismo pordenonese. Le biografie politiche elaborate in epoca umbertina dalla polizia permettono di fondare in modo più

convincente le origini del socialismo pordenonese, soprattutto in quella sua componente cittadina e borghese che ne

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costituirà il gruppo dirigente e rappresenterà l’elemento di passaggio fra la democrazia radicale di impianto risorgimentale e, più di mezzo secolo dopo, la socialdemocrazia, con il definitivo inserimento nel blocco di potere.

Viene confermata l’adesione in ambito scolastico dei due principali dirigenti del Psi, gli avv. Guido Rosso e Giuseppe Ellero, il primo già attivo prima della reazione del 1898 con funzioni dirigenti nel partito a Treviso, dove frequenta il liceo. Ma emerge anche l’adesione al primo socialismo dei principali dirigenti della sinistra radicale cittadina: dal padre di Rosso, Alessandro, a Francesco Asquini ed Antonio Scaini. Si tratta di una fase storica che appare mutata radicalmente con il nuovo secolo, quando i giovani (oltre a Rosso ed Ellero, che rientrano in città dopo la laurea) prendono le redini del partito insieme a coetanei di origine impiegatizia (l’altro fratello Rosso, Gino, e Luigi Scottà) ed ai quadri che avranno sempre in mano l’organizzazione del partito: il tipografo Vincenzo Degan ed il libraio Romano Sacilotto. I “vecchi” quadri del primo socialismo assumono ora una nuova funzione, costituendo l’anima di sinistra delle giunte comunali radicali, sostenute dall’esterno dal Psi. Va notato come già in questa fase iniziale si confermi il passaggio, fra la generazione risorgimentale (Alessandro Rosso ed Enea Ellero, il padre di Giuseppe, sono stati garibaldini), quella protagonista del socialismo nell’età giolittiana e quella dell’antifascismo: il figlio di Asquini, Giuseppe, sarà il presidente azionista del Cln di Pordenone; Sandro Rosso, figlio di Gino, sarà esponente di primo piano pure del Pd’a; l’omonimo nipote di Antonio Scaini e la figlia di Degan, Teresina, saranno dirigenti del Pci fin dalla Resistenza.

Nel caso di Pordenone, come in quello di Torre, emerge l’importanza, a fianco dell’organizzazione sindacale socialista che sorge nei cotonifici - mantenendovi un’egemonia che dura fino alla fine di quel settore - dei lavoratori migranti, concentrati nell’edilizia, ma anche nell’industria dei nuovi centri urbani. E’ proprio fra questi che maturano posizioni più intransigenti: oltre al caso di Scaini, attivista operaio di orientamento rivoluzionario nell’Arsenale di Venezia ed emigrante in Argentina, prima di avviare un’attività autonoma a Pordenone, va citato come esemplare il caso di Giovanni Gobbo, che trasferisce la sua scelta rivoluzionaria dall’anarchismo degli anni dell’emigrazione in Germania ed Usa al Psi, di cui sarà consigliere comunale e dirigente di Federazione, fino al Pcd’i ed alla seconda emigrazione americana durante la dittatura.

Un altro nucleo socialista di cui si è potuto arricchire il disegno della genesi è quello del comune collinare di Pinzano al Tagliamento, che (proprio in una prospettiva di studio di lunga durata) vanta il record della più continuativa gestione di sinistra a livello locale in Friuli. Il geometra Giovanni Battista Scatton è infatti il primo sindaco socialista ad essere eletto, nel 1902. Insieme a lui, il socialismo pinzanese presenta tutta la tipologia dei dirigenti locali tipici del primo movimento operaio: un medico condotto umanista e promotore di cooperative, il dottor Plinio Longo, ed un muratore emigrante propagandista e costruttore del partito nei comuni dell’Alto Spilimberghese: Giovanni Mattia Sguerzi. Per quanto il sodalizio fra questi pionieri del socialismo si chiuda prima dell’affermarsi della dittatura (Scatton si sposta su posizioni più moderate nel secondo decennio del Novecento, mentre Sguerzi e Longo vengono uccisi dai fascisti, rispettivamente nel 1920 e nel 1925), la loro semina è quanto mai proficua. Durante quel primo periodo di attività, Pinzano si trasforma da base organizzativa del reclutamento dei crumiri ad uno dei comuni modello per le iniziative a tutela degli emigranti.

6. I movimenti del primo dopoguerra e la nuova generazione di dirigenti della sinistra. Il blocco dell’emigrazione con la prima guerra mondiale, la distruzione del mercato del lavoro tradizionale in

Germania, Austria-Ungheria, nei Balcani ed in Russia producono, nell’immediato primo dopoguerra, il concentrarsi di una massa di decine di migliaia di operai disoccupati, inferociti per la mancanza di futuro. Mentre sparisce il Segretariato dell’Emigrazione, singolare Camera del Lavoro della manodopera migrante, decine di migliaia di nuovi iscritti affollano le nuove CdL: oltre ad Udine, altre ne nascono nei centri principali, accompagnate da leghe di resistenza, soprattutto degli edili, e da cooperative di lavoro e consumo in quasi ogni comune.

Si creano nuovi gruppi dirigenti, prevalentemente di origine operaia, ma anche costituiti da giovani acculturati provenienti dai ranghi degli ufficiali di complemento. In comune hanno la drammatica esperienza della guerra moderna, con il suo potenziale distruttivo, un antimilitarismo pagato sulla propria pelle ed un modello apparso da oriente a rischiarare i cupi bagliori dell’inutile strage. La radicalizzazione del dopoguerra unisce drammatici elementi materiali con un esempio politico che cambia il corso del secolo: la rivoluzione sovietica dell’ottobre 1917. La spinta è così forte da influenzare gli stessi “vecchi” dirigenti riformisti (che di solito sono quarantenni!), molti esponenti del radicalismo, che in parte affiancano i socialisti, e perfino lo schieramento politico storicamente opposto: quello cattolico, che muta la sua ragione sociale dal vecchio clericalismo moderato al nuovo Partito Popolare, protagonista delle dure lotte delle leghe bianche contadine. Con alcuni limiti, necessari per comprendere lo spirito dell’epoca: la spinta si esaurisce nell’arco di un biennio, nel quale il movimento rifluisce, riprende l’emigrazione - questa volta prevalentemente verso la Francia ed il Belgio dissanguati dalla guerra - la reazione alza la testa dell’Idra fascista, molti degli stessi alleati democratici si allontanano dai socialisti, abbandonandoli al loro destino, lo stesso Psi inizia a scindersi. Già nelle elezioni locali dell’autunno 1920 i socialisti si troveranno di fronte a blocchi conservatori, nei quali spesso confluiscono gli stessi popolari quando non intravedono una possibilità di successo autonomo o, più spesso, mancano di consenso sociale.

Di questa fase vanno sintetizzati alcuni punti fermi, sui quali le mie conclusioni si differenziano alquanto dalla storiografia tradizionale. Il primo è la dimensione strutturale, e non solamente congiunturale, delle linee di sviluppo della società regionale proposte dai socialisti friulani (e spesso condivise, nella pratica amministrativa, dai popolari e dai ceti dirigenti di orientamento democratico-liberale). Si tratta della realizzazione della rete infrastrutturale concepita

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prima della guerra: non solo strade, ma il piano ferroviario e tramviario approvato dall’Amministrazione Provinciale nel 1914, oltre ad un nucleo di intermodalità attorno al porto fluviale di Pordenone; la realizzazione di opere strategiche di sfruttamento delle risorse idroelettriche friulane a gestione pubblica ed il conseguente impiego delle stesse per lo sviluppo industriale locale. Complessivamente, si pensa ad una politica del lavoro che porti in breve tempo dalla fase della ricostruzione del territorio devastato a quella dello sviluppo. Il secondo sono le dimensioni di massa del movimento socialista, costituito da un proletariato con un retaggio agro-industriale sicuramente radicalizzato dalla guerra, ma anche precedentemente politicizzato nell’emigrazione e capace di grandi sforzi di mobilitazione non solo polemica: va citato fra tutti la costruzione della massicciata ferroviaria Pordenone-Aviano, già realizzata nella prima metà del 1920 in regime di autogestione da un gruppo di cooperative di lavoro. Il terzo è la non marginalità dell’agitazione operaia rispetto a quella contadina, gestita in forma maggioritaria dalle leghe bianche: le dimensioni del proletariato friulano non possono essere limitate alla classe operaia industriale propriamente definita, per le caratteristiche particolari conferite dall’emigrazione alla manodopera friulana.

Questa agitazione impone l’acquisizione di nuove risorse umane, già formate, per dirigere il movimento, a fianco di nuovi dirigenti locali che avranno una grande storia. Dei locali, basti pensare agli ex ufficiali (volontari) Pietro Sartor di Torre, ed al futuro dirigente nazionale del Pcd’i, e ministro della Repubblica, Mauro Scoccimarro. Per rimanere ai quadri di origine operaia, e solo per citare i principali, il primo segretario della CdL di Pordenone, il muratore Umberto De Gottardo, ed i colleghi Ernesto Oliva - che sarà pure lui segretario della CdL nel 1921 e, dieci anni dopo, entrerà nel Comitato centrale del Pcd’i - e Costante Masutti, segretario della Fioe del Friuli occidentale ed organizzatore della Federazione socialista di Pordenone dopo la Liberazione.

Ma i friulani non bastano, ed allora vengono chiamati dirigenti dal altre regioni, per vivificare con nuove esperienze quelle di questo movimento tumultuoso. In realtà, i primi dirigenti esterni erano già giunti in Friuli già negli anni precedenti, ad iniziare dall’agronomo piemontese Giuseppe Ernesto Napoleone Piemonte, inviato dalla Società Umanitaria per affiancare l’avv. Giovanni Cosattini nell’organizzazione del Segretariato dell’Emigrazione. Nel suo caso si tratta di una migrazione definitiva, con l’assunzione di un ruolo dirigente nel socialismo friulano, nel campo giornalistico, amministrativo e parlamentare. Nell’immediata vigilia della guerra, giungono in provincia per dirigere la CdL di Udine il milanese Pallante Rugginenti, uno dei dirigenti sindacali che terrà in vita la Cgdl a Parigi durante la dittatura e morirà prematuramente nel 1938 ricoprendo l’incarico di vicesegretario del Psi a fianco di Pietro Nenni, ed il romagnolo Giuseppe Ricci, occupato presso le Cooperative Carniche. Le loro presenze durano pochi mesi, condizionate dallo stato di guerra, regime straordinario che impone la riduzione dell’attività politico-sindacale in Friuli (anche con la chiusura, dopo undici anni, del settimanale Il Lavoratore Friulano). Lo stesso Piemonte viene espulso dalla regione durante il periodo bellico, a dispetto della sua funzione di consigliere provinciale.

Più impegnativo l’apporto esterno al movimento friulano del dopoguerra. In primo luogo il nuovo segretario della CdL provinciale, il piemontese Ercole Brovelli, operaio edile formatosi politicamente nell’emigrazione in Svizzera (dalla quale viene espulso per aver organizzato una manifestazione di solidarietà con alcuni militanti italoamericani dell’Iww, processati per omicidio negli Usa). Al rientro in Italia nel 1912, Brovelli assume incarichi di direzione sindacale e politica nel Comasco e nel Varesotto, fino al trasferimento al Udine nel gennaio del 1920, dove dirigerà il sindacato fino all’avvento del fascismo. Sotto la dittatura, manterrà le sue convinzioni, impiegandosi in imprese locali e poi nel Consorzio di Bonifica della Bassa Friulana e vivendo ritirato fino alla morte, nel 1940.

Più ampio il ricorso a personale esterno nella CdL di Pordenone, dove vengono impiegati Dario Mosca, Ettore Rusca, Michele Sammartino ed Elvira Pomesano. Del primo, che nel 1921 aderisce al Pcd’i, si conoscono solo gli interventi pubblici e gli incarichi nell’amministrazione comunale pordenonese, e se ne ignorano la provenienza ed il destino. Ettore Rusca, segretario socialista della Fiot, nel secondo dopoguerra sarà un dirigente nazionale dello stesso sindacato e poi, con il ruolo di segretario amministrativo confederale, sarà uno dei massimi dirigenti della Cgil. Michele Sammartino, operaio metallurgico torinese, assumerà l’incarico di segretario della CdL; aderendo solo in un secondo momento al Pcd’i, nel 1921 per un certo lasso di tempo deve cedere la segreteria al comunista Ernesto Oliva. I documenti conservati nell’archivio del Pci lasciano intendere rapporti tesi con Oliva anche nella fase dello sciopero proclamato dall’Alleanza del Lavoro nell’agosto 1922: ma negli anni successivi Sammartino sarà impegnato con ruoli dirigenti nel Pcd’i, in Francia ed in Belgio, sempre a stretto contatto con Pietro Sartor, il massimo esponente del comunismo nel Friuli occidentale. Infine alla compagna di Sammartino, la bracciante avventizia torinese Elvira Pomesano (cui, per le sue scelte di vita autonoma, la polizia fascista dedica uno dei suoi saggi di denigrazione delle donne politicizzate), spetta il primato come prima donna assunta nella CdL pordenonese, a partire dal comizio pubblico pronunciato il 1° maggio 1920 a Maniago, appena arrivata in Friuli.

Non tutti i dirigenti esterni provengono dalle realtà più forti del socialismo italiano (Piemonte, Lombardia ed Emilia): come dimostra il caso di Orazio Infanti, piccolo negoziante di Martignacco, alla periferia di Udine. Infanti, oltre ad assumere incarichi di direzione politica e di amministratore nel suo comune, è uno degli organizzatori della Federterra friulana e nel 1921, dopo la definizione della nuova geografia politica del sindacato friulano, diventa il segretario della CdL di San Vito al Tagliamento. Infatti, dopo una breve parentesi di direzione comunista di tutto il sindacato provinciale, i socialisti riconquistano la segreteria della CdL di Udine con Brovelli, lasciando ai comunisti il controllo di quella di Pordenone. Viene però data autonomia ai due mandamenti di San Vito e Spilimbergo, affidandone la segreteria ad un quadro rimasto nel Psi. In questo ruolo, Infanti è il protagonista della crescita della Cgdl fra i contadini nel Sanvitese ed in altre zone, con un radicamento che mette in discussione la presenza popolare fra i mezzadri, come dimostra nell’ottobre 1920 la conquista dei comuni di Pravisdomini e Cordovado e l’ulteriore espansione elettorale generalizzata nelle politiche del maggio 1921, che contraddice la pretesa crisi dell’insediamento

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del partito con la fine del “biennio rosso” 1919-1920. L’attività di Infanti continuerà negli anni successivi, con l’assunzione, ultimo dei dirigenti sindacali a cedere, della segreteria regionale della Fiot nel 1925, durante la ripresa delle agitazioni operaie seguita all’omicidio Matteotti: solo il foglio di via da Pordenone costringerà infine il dirigente socialista all’emigrazione in Argentina.

Quanto al movimento cooperativo, va segnalato il rientro in Friuli di Giuseppe Ricci (che durante il servizio militare collabora con il Genio Militare e la Prefettura di Novara per il reclutamento della manodopera per le opere in zona di guerra), per sviluppare la cooperazione di lavoro e curare l’adesione delle cooperative locali alla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue. Nel suo caso si segnala, secondo un percorso tipico di altri dirigenti del settore (ma non di tutti, come vedremo), un rimanere nell’ambito della cooperazione in epoca fascista, assumendo funzioni di responsabilità nel Consorzio fra le Cooperative di Produzione e Lavoro, che risulta essere il settore nel quale Ricci ha acquisito professionalità. Dopo un tentativo non consumato di avvicinarsi al regime, all’inizio degli anni ‘30 Ricci si trasferisce a Bologna, dove sembra viva in condizioni modeste se non precarie.

7. Federazioni nazionali e sindacato friulano. In realtà, il rapporto fra la dimensione locale e quella nazionale delle lotte operaie non si limita a questi pur

importanti apporti. La marginalità del socialismo friulano nel dibattito politico nazionale del partito e della Cgdl è più apparente che reale, come dimostra l’analisi delle relazioni fra le principali federazioni di categoria corrispondenti alle attività economiche insediate in Friuli, e le rispettive organizzazioni locali. In questi ultimi anni l’attenzione della storiografia sindacale ha puntato la sua analisi sulla storia delle federazioni di categoria, per rilevarne l’apporto in termini di costruzione delle dinamiche contrattuali, dell’organizzazione del lavoro e dello sviluppo dei settori industriali 26. Minore invece l’attenzione e lo scavo relativo alla vicenda dell’Umanitaria e dei Segretariati dell’Emigrazione, struttura di tipo assistenziale-sindacale che rappresenta un unicum originale nelle strategie del movimento operaio internazionale, e non solo italiano, di risposta alle esigenze dei lavoratori migranti 27.

La presenza di quadri dirigenti di primo piano della Federazione delle Arti Tessili e di quella Edilizia (quest’ultima in stretto rapporto con Umanitaria e Segretariato di Udine) è evidente fin dalle origini delle Leghe di resistenza friulane. Ne sono una prova le ripetute presenze del segretario nazionale della Fat Riccardo Rho, che partecipa alla direzione degli scioperi tessili pordenonesi del Cotonificio Veneziano del 1904 e del Cotonificio Amman nel 1906, ambedue vertenze durissime che coinvolgono la città, nel secondo caso con un ruolo fondamentale dell’amministrazione comunale di sinistra presieduta dal sindaco radicale avv. Luigi Domenico Galeazzi. Per il successore di Rho, Alessandro Galli, il ruolo è più politico ma non meno importante, e lo studio della sua biografia (per il quale il materiale è così importante da suggerire l’utilità di un lavoro specifico, su quello che è uno dei massimi esponenti della Cgdl prefascista) è esemplare del percorso politico ed esistenziale di un’intera generazione di dirigenti sindacali. Quelli che passano, grazie ad una formazione autodidattica, dalla condizione di proletari inurbati nella metropoli milanese, portatori di un anarchismo plebeo e ribellistico, alla costruzione del sindacato nazionale, nel quale assumono ruoli professionali, passando dallo stadio corporativo di mestiere a quello confederale, assumendo il ruolo di protagonisti dell’istituzionalizzazione del confronto con lo stato e l’imprenditoria, dalla gestione dei programmi dell’economia di guerra alla definizione della contrattazione nazionale nel dopoguerra. Non è un caso che tutti questi dirigenti (oltre a Rho e Galli, anche Borghesio) seguano un percorso che li porta dall’anarchismo giovanile al socialismo riformista.

Galli è uno dei protagonisti del Patto di pacificazione tra socialisti e fascisti, insieme con il deputato socialista pordenonese Giuseppe Ellero, trionfalmente eletto nel 1921 in una città sotto assedio fascista e in sciopero generale ad oltranza e con quello mantovano (ma eletto ad Udine) Tito Zaniboni, futuro attentatore a Mussolini. L’iniziativa del dialogo fra socialisti e fascisti, di cui è acquisito il ruolo negativo nazionale, per aver dato respiro ad un movimento fascista contro il quale iniziano a coalizzarsi settori cattolici, combattentistici e dello stato, nasce a Pordenone, per tentare di dare una soluzione al governo della città, commissariato dopo l’invasione fascista del 10 maggio. La trattativa vede inizialmente coinvolti sulle due sponde parlamentari di origine combattentistica, probabilmente con un comune milieu massonico, e paradossalmente, mentre concede una preziosa mossa al fascismo, ottiene un risultato indubbiamente positivo sul piano locale: la restaurazione (unica sul piano nazionale) dell’amministrazione socialista,

26 Cito in particolare, per l’interesse relativo a questa ricerca, i lavori sulle federazioni dei tessili e degli edili della Cgdl-Cgil: ANDREASI,

Annamaria, La Federazione edilizia e il movimento sindacale italiano (1900-1915), in: Annali della Fondazione Luigi Einaudi, Torino, Volume II, 1968, pagg. 213-255; MISIANI, Simone, NEGLIE, Pietro, OSTI GUERRAZZI, Amedeo, VASCELLARO, Dario, Il filo d’Arianna. Una Federazione sindacale nella storia d’Italia: il tessile-abbigliamento nel Novecento, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 1996; OLEZZANTE, Silvano, MOSER, Giaime, Costruzione di un sindacato. Le organizzazioni dei lavoratori delle costruzioni dalle società di mutuo soccorso alla Fillea Cgil, Roma, Ediesse, 1998; CECCARELLI, Gianluca, DEL BIONDO, Ilaria, FEDELI, Andrea, LORETO, Fabrizio, (a cura di Simone MISIANI), Territorio e lavoro. Disegno storico della cultura contrattuale dei tessili , Roma, Ediesse, 2001.

27 Sul movimento sindacale italiano e l’emigrazione, cfr.: CIUFFOLETTI, Zeffiro, Il movimento sindacale italiano e l’emigrazione dalle origini al fascismo, in: FONDAZIONE BRODOLINI (a cura di Bruno Bezza), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione (1880-1940), Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 203-219; PEPE, Adolfo e DEL BIONDO, Ilaria, Le politiche sindacali dell’emigrazione, in: BEVILACQUA, Piero, DE CLEMENTI, Andreina, FRANZINA, Emilio (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, Roma, Donzelli, 2001, pagg. 175-292; sull’Umanitaria: PUNZO, Maurizio, La Società Umanitaria e l’emigrazione. Dagli inizi del secolo alla prima guerra mondiale, in: FONDAZIONE BRODOLINI, cit., pagg. 119-161; SALVETTI , Patrizia, La tutela degli emigranti: gli Scalabriniani, l'Opera Bonomelli e la Società Umanitaria, in: Il Parlamento italiano. Storia parlamentare politica dell’Italia 1861-1988, Volume settimo, 1902-1908. L'età di Giolitti, Milano, Nuova CEI, 1990, pagg. 148-150.

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che riprende la sua attività in autunno, anche grazie alla pressione dell’opinione pubblica borghese, che l’individua come l’unica autorità politica adeguata per la città.

Se i due deputati riformisti (attaccati ferocemente dal massimalista Cesare Alessandri - che poi, a differenza dei due colleghi, collaborerà con il regime - sulla stampa socialista: un suo editoriale appare contemporaneamente su Il Lavoratore Friulano ed a Firenze su la Difesa) non giungono allo stadio finale della trattativa della quale sono gli indubbi protagonisti, lo fa per loro il segretario della Fiot 28, che conta a Pordenone una delle sue roccaforti.

Questo episodio, che rappresenta forse il vertice del tentativo di realizzare un collegamento fra sindacalismo dannunziano, socialismo riformista di tendenza laburista e Mussolini, coincide con un altro avvenimento, singolare ma importante sul piano non solo locale: la scissione della Fiot pordenonese, come risposta al cedimento nazionale sul piano contrattuale, con il passaggio della manodopera della maggioranza degli stabilimenti cotonieri al Sindacato Veneto Operai Tessili, federazione di categoria dell’Unione Sindacale Italiana. Se tale iniziativa sembra presa da attivisti di base e non condivisa inizialmente dal Pcd’i (secondo la testimonianza che ne fornirà Ernesto Oliva al congresso di Colonia del partito nel 1931), successivamente su essa si innesta l’operazione comunista di alleanza con i sindacalisti rivoluzionari, che controllano lo Svot, per conquistare la direzione dell’Usi, estromettendone gli anarchici. A disposizione di questo progetto 29 verrà messo dal partito Pietro Sartor, che diventerà successivamente il direttore dell’organo sindacale L’Internazionale rossa di Verona 30. La scissione, ed i successivi rapporti fra Svot, Pcd’i e CdL di Pordenone, lasceranno strascichi polemici ed un ricordo negativo, che probabilmente influisce sulle vicende del comunismo pordenonese, facendogli perdere parte dei consensi iniziali ottenuti al momento della costituzione del partito 31.

Galli è per altro il protagonista di una non solitaria resurrezione dopo la pausa politica imposta dal fascismo. Partecipante agli ultimi convegni della Cgdl nazionale, che portano all’autoscioglimento della confederazione alla fine del 1926, sospettato inizialmente di essere in contatto con la Cgdl in esilio ricostituita a Parigi da Buozzi, Rugginenti, Quaglino ed altri dirigenti, Galli sceglie di rifugiarsi ad Udine, dove due figlie si sono sposate con negozianti di tessuti; dopo un periodo di lavoro presso i generi, avvia una attività in proprio nel settore. Apparentemente , secondo le carte fasciste - che sono state, con la stampa di categoria, la fonte dei suoi biografi 32 - Galli sparisce dall’agone politico... per riapparire, nel maggio 1945, dopo la liberazione del capoluogo friulano, come segretario socialista della ricostituita Camera Confederale del Lavoro 33. Galli ne costituisce per due anni il quadro più autorevole, avendo alle spalle non solo la base di massa del socialismo friulano, ma un’esperienza nazionale che in qualche modo oscura i segretari espressi dagli altri due partiti: il comunista Primo Romanutti ed il democristiano Gualtiero Driussi.

Gli interventi di Galli sul quotidiano del Cln sono frequenti e dedicati alle principali tematiche del momento, dal carovita agli approvvigionamenti delle industrie. La sua esperienza nel settore tessile lo fa concentrare nell’organizzazione sindacale non solo dei cotonifici, ma anche nelle filande seriche, con la preoccupazione di indicare soluzioni di mercato per quella che è la più diffusa industria locale, e soprattutto elemento di integrazione e sostegno del reddito agrario, oltre che ambito assolutamente prevalente del settore serico nazionale, praticamente concentrato tutto nelle province di Udine e Treviso. Non a caso uno degli obiettivi indicati da Galli per la sopravvivenza dell’industria (e delle famiglie contadine legate all’allevamento dei bachi ed al lavoro stagionale femminile nelle filande) è lo sviluppo verticale del settore, investendo nella tessitura (concentrata invece nel Varesotto) o creando rapporti di scambio bilaterale fra le province.

Il dirigente sindacale si impegna anche nel partito, entrando nella lista per la Costituente e venendo eletto consigliere comunale ad Udine, e rappresenta il sindacato presso il rinato associazionismo cooperativo (dove sostiene la stretta interconnessione tra i due movimenti) e quello femminile: in tal caso provocando l’animata reazione delle aderenti all’Udi, nei confronti delle quali Galli non riesce a mascherare il maschilismo tipico dei gruppi dirigenti del movimento operaio prefascista. La parabola del dirigente sindacale dura fino al 1947 quando, per la sua scelta di aderire alla scissione socialdemocratica, egli viene sostituito da un nuovo segretario socialista alla guida della CdL, ed emarginato dal ridotto consenso ottenuto in sede congressuale dalla corrente apparentata al Psli.

Assolutamente meno noto, al punto di essere trascurato dalla storiografia sindacale (con l’eccezione di un richiamo di Andreasi) è il torinese Giuseppe Borghesio, muratore e dirigente di primo piano della Federazione dell’Arte Edilizia, poi Fioe. Egli appare citato solamente per la sua partecipazione al centro interno socialista guidato da

28 Nella storiografia sindacale non sono indicati l’atto e la data della trasformazione del nome della federazione tessile: dalla

documentazione contenuta nel fascicolo relativo a Galli nel Cpc la si può datare al periodo fra il dicembre 1917 e l’agosto 1918. 29 Che non riuscirà, a dimostrazione della solidità dell’insediamento sindacale anarchico, che contrasta con la debolezza della residua

compagine sindacalista rivoluzionaria non compromessa con l’interventismo ed il fascismo. 30 Purtroppo non sono riuscito ad individuare la collezione di questo giornale, non disponibile presso la Biblioteca di Verona e di cui si

conservano solo pochi numeri presso la Biblioteca Nazionale di Firenze: cfr. ENTE PER LA STORIA DEL SOCIALISMO E DEL MOVIMENTO OPERAIO

ITALIANO (OPERA G.E. MODIGLIANI ), Periodici tratti dalle raccolte della Biblioteca Nazionale di Firenze, 2 volumi, Roma-Torino, 1956. 31 Un caso raro di adesione al fascismo a Torre è quello del sindacalista Umberto Santin, uno dei promotori della scissione dello Svot nel

1921, che poi si trasferirà a Belluno: testimonianza di Rita Da Corte, Torre di Pordenone. Un fatto che contribuisce a collegare l’atto di rottura dell’unità sindacale con comportamenti autoritari e con il successivo passaggio nel campo avverso: nella memoria popolare contano di più questi atteggiamenti, che il ruolo di direzione esercitato successivamente da Sartor nello Svot regionale.

32 Oltre al testo citato di MISIANI-NEGLIE-OSTI GUERRAZZI-VASCELLARO, Il filo d’Arianna, cit., la biografia di Antonioli in: ANTONIOLI, Maurizio, BERTI, Giampietro, SANTI, Fedele, IUSO, Pasquale (a cura di), Dizionario biografico degli anarchici italiani, 2 volumi, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2004.

33 Nella Cgil ha dimensione provinciale o di area infraprovinciale fornita di pari autonomia, direttamente dipendente dalla Cgil nazionale o (dopo la regionalizzazione del sindacato) da quella regionale. D’ora in poi CCdL.

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Giuseppe Romita, per la quale sarà condannato al confino nel 1931 34. In realtà, Borghesio appare come il principale dirigente del sindacato edile, al fianco del segretario Felice Quaglino; segretario propagandista dal 1902, relaziona ai congressi fino allo scioglimento della Cgdl: anche lui partecipa alle ultime riunioni, e l’attività successiva, che lo porta all’arresto, ne testimonia il collegamento con la Cgdl parigina attraverso i contatti con Pallante Rugginenti. Nei primi anni del Novecento è protagonista di un’intensa attività propagandistica che lo porta più volte a svolgere cicli di conferenze in Friuli, nei luoghi di partenza degli emigranti, ed è inoltre impegnato nella propaganda all’estero presso gli edili italiani, come nel 1910 a Marsiglia. Dopo la vertenza degli edili pordenonesi del 1907, che si conclude (incredibilmente in modo positivo, dal punto di vista sindacale) con l’uccisione del direttore dei lavori edili di uno stabilimento cotoniero, Borghesio partecipa anche alla difesa processuale dei dirigenti della Lega di resistenza locale. A differenza di Rho e Galli, per i quali è possibile rintracciare notizie relative alla loro attività, oltre che sulla stampa sindacale, nelle fonti edite sugli organi direttivi della Cgdl 35, nel caso di Borghesio, come di molti altri dirigenti che si possono incrociare nel corso della ricerca, è necessario un lavoro di scavo sistematico.

8. La strage dimenticata. Nel nostro paese esiste un’accentuata smemoratezza a proposito dell’uso della violenza da parte del fascismo,

negli anni del suo affermarsi, anche grazie ad una ingiustificata lacuna della ricerca storica: non esiste alcuna contabilità delle vittime delle squadre fasciste, e men che meno di quelle successive del regime poliziesco vigente sotto la dittatura.

Viceversa, esiste una contabilità di regime delle vittime fasciste, 814 dalle origini all’inizio degli anni ‘40, comprensive dei morti sul territorio nazionale e di quelli uccisi all’estero, nelle comunità di emigrazione. Numero gonfiato per altro da vittime delle guerre coloniali del fascismo, di faide interne al movimento e perfino dei primi scontri di confine con la Jugoslavia alla vigilia dell’aggressione da parte delle potenze dell’Asse, fatti considerati un’ideale continuazione dello stillicidio di morti prodotti dalla guerriglia nazionalista al confine orientale durante il ventennio. E’ inoltre assai probabile che più di qualche morte sia stata attribuita all’antifascismo gratuitamente, nascondendo episodi di delinquenza comune. Per non dire di chi (ad esempio Ines Donati) muore stroncato dalle conseguenze postume delle fatiche imposte dalla guerra di movimento dello squadrismo: gli ultimi sono registrati ancora nel 1941. La contabilità, come rileva Franzinelli, è sicuramente più vicina ad un dato certo di quanto sia quella delle vittime dei fascisti, ma è inoltre gonfiata dall’inclusione di caduti non fascisti, come nazionalisti o legionari fiumani e, nel caso dello storico ufficiale del fascismo, Chiurco, anche dei carabinieri. Qualche caso di inclusione arbitraria nei martirologi fascisti fu subito individuato con la consueta verve da Salvemini, come il deputato Casalini, ucciso da uno squilibrato frequentante i ritrovi fascisti, e di Giuseppe Franci, morto per cause naturali (e, a differenza di Casalini, non incluso successivamente nell’elenco dei caduti della rivoluzione fascista del 1942) 36.

Secondo un’inchiesta elaborata dal Psi al momento del Patto di pacificazione, nell’estate 1921, le vittime sarebbero state oltre 161, con 415 i feriti identificati, ai quali se ne aggiungono decine in altre località; inoltre sono devastate 10 sedi di giornale, 25 case del popolo, 59 CdL, 85 cooperative, 43 leghe contadine; oltre 19 società operaie, uffici di collocamento ed altre sedi sindacali; 34 circoli socialisti, 17 circoli di cultura e 36 circoli operai (per un totale di più di 328 edifici). I dati si riferiscono a poco più d’un anno di terrore fascista, e sono per altro lacunosi, come dimostra la - consueta - totale assenza di informazioni sulla provincia di Udine, mentre la Venezia Giulia è invece sfortunatamente ben rappresentata: sono gli stessi compilatori a denunciare nel marzo 1922 l’assoluta parzialità delle cifre presentate, quando già il bilancio era significativamente aumentato 37.

Per rendersi conto empiricamente di quale possa essere la dimensione numerica delle vittime del fascismo nella sua campagna militare terroristica per la conquista del potere, si può partire da un’elaborazione sulla targa installata nel percorso pedonale interno alla Rocca Paolina a Perugia. Il numero degli antifascisti umbri uccisi è di 22: tenendo conto che la percentuale della popolazione umbra corrisponde all’incirca all’1,4% della popolazione italiana (dati odierni), si potrebbe ricavarne una proiezione - certamente tutta da verificare - di circa 1600 vittime sul piano nazionale. Se moltiplicassimo poi gli 814 caduti fascisti per 2 per ottenere le vittime antifasciste, come propone Salvemini - ma solo relativamente al periodo 1923-1925 - giungeremmo allo stesso risultato. Il dato riportato da Rossi,

34 Questa vicenda permette di far rilevare la necessità di sistematizzare le notizie relative ai circa 158.000 antifascisti schedati, ed alla

congerie di altre persone citate nei documenti, spie comprese (per le modalità spiegate in letteratura, la gran parte di queste non è ancora precisamente individuata, a causa dell’ovvia distruzione del materiale relativo). Il centro interno socialista viene infiltrato da un provocatore, Alberto Fistermacher, che è la persona che gestisce il passaggio del materiale propagandistico dal centro socialista di Parigi (Rugginenti) alla federazione socialista del sud-est francese (il sindacalista del legno e deputato socialista Filippo Amedeo). Mentre Canali e Franzinelli individuano correttamente nelle opere citate il ruolo del provocatore, un altro autore (FUCCI, Franco, Le polizie di Mussolini. La repressione dell’antifascismo nel “ventennio”, Milano, Mursia, 1985), troppo tributario della narrazione della superspia fascista Luca Osteria e poco attento nella verifica delle fonti aveva precedentemente accreditato la sincerità della militanza socialista del provocatore, per altro citato con il cognome storpiato di Fischerbacher.

35 Particolarmente, oltre che nelle opere citate, in: MARCHETTI, Luciana (a cura di), La Confederazione Generale del Lavoro, Milano, Avanti!, 1962.

36 Panorami di realizzazione del fascismo. II. I grandi scomparsi e i caduti della rivoluzione fascista, Roma, s.d. ma 1942; CHIURCO, Giorgio Alberto, Storia della rivoluzione fascista, due volumi, Milano, Edizioni del Borghese, 1973 (prima edizione: Firenze, Vallecchi, 1929); FRANZINELLI , Mimmo, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922, Milano, Mondadori, 2003, p. 277-278; SALVEMINI , Gaetano, La dittatura fascista in Italia, in Scritti sul fascismo, volume primo (a cura di Roberto Vivarelli), p. 202-203.

37 Fascismo. Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, Milano, Avanti, 1922, p. 448-455.

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che cita gli Scritti sul fascismo di Gaetano Salvemini (circa tremila persone persero la vita per mano fascista durante i due anni di guerra civile), è del doppio 38.

Come indica giustamente Franzinelli, per venire a capo di una ricostruzione esauriente delle vittime del fascismo è necessaria un’opera collettiva, che ricerchi e verifichi i dati innanzitutto in ambito locale, impegnando consistenti risorse umane e finanziarie 39. Opera per altro doverosa, a fronte di un “buco nero” della memoria nazionale che legittima ogni turpitudine storiografica, e che dovrebbe avere come modello il lavoro di ricerca sui caduti della Resistenza realizzato dagli Istituti di Storia del Movimento di Liberazione a partire dalla loro costituzione nel secondo dopoguerra.

La sparizione di alcuni dirigenti socialisti e comunisti nella fase iniziale del fascismo mi ha portato ad interrogarmi sulla loro sorte. Con risultati significativi, pur nella (attuale) limitatezza dei numeri. I dati conosciuti sono i seguenti: 3 scioperanti uccisi e 14 feriti da “guardie bianche” e militari il 10 luglio 1919 a Spilimbergo; alcuni manifestanti uccisi nella vicina Pieve di Soligo (Tv) nel febbraio 1920; uno scioperante ucciso ed uno ferito gravemente ad Aviano, pure da carabinieri e civili armati, il 4 marzo; infine, per questa fase “prefascista”, il 26 maggio 1920 un manifestante viene ucciso ad Udine durante la terza giornata dello sciopero generale. Poi ci sono le uccisioni note per mano fascista: il capostazione socialista di Palazzolo dello Stella, ucciso l’8 giugno 1921, ed il dirigente della Fgcd’i di Torre, Tranquillo Moras, ferito a morte il 1° luglio successivo. Questa contabilità, basata solo sulle morti ed i ferimenti di massa, è ovviamente insufficiente, se si pensi alle bastonature, agli incendi, devastazioni, messe al bando, oltre alle abbondanti bevute di olio di ricino, con le loro drammatiche conseguenze. Ma non finisce qui.

L’8 settembre 1920 muore nell’ospedale di San Daniele del Friuli, alcuni giorni dopo una bastonatura, Giovanni Mattia Sguerzi, socialista pinzanese. Forse causato dal ruolo di amministratore comunale e traduttore durante l’occupazione austro-tedesca 40, forse per una vendetta differita degli arruolatori di crumiri, l’avvenimento avviene in un periodo singolare per Pinzano: dal 2 marzo al 27 ottobre di quell’anno è commissario prefettizio del comune un giovane ufficiale degli alpini che diventerà famoso di lì a poco: Italo Balbo 41. Cinque anni dopo (tre dei quali passati sotto il governo locale socialista: quella di Pinzano sarà l’ultima giunta socialista a cadere nel Friuli occidentale, nel dicembre 1923) con lo stesso metodo viene ucciso il medico condotto Plinio Longo, prelevato a casa ed abbandonato morente il 7 luglio 1925 42.

Questi, come altri casi, talvolta privi di nomi e circostanze dei fatti, rimangono conservati solamente nella memoria delle famiglie, spesso cauterizzata dalle sofferenze vissute dalle vedove e dai figli rimasti senza il sostegno del capofamiglia, che hanno prodotto rimozioni recuperate solo dalle generazioni successive. Altre volte è la memoria dei compagni, affidata a confidenze personali e, solo talvolta, alle trascrizioni della storia orale. Come nei due casi delle uccisioni di un barista socialista di Paderno e di Valentino Zenarolla di Adegliacco, nella periferia di Udine, provocate da bastonature avvenute nel 1921-1922 e nel 1924 che conducono a morte le vittime negli anni successivi 43. Altri casi sono quelli del capolega avianese Giovanni Toffolo, che muore per le conseguenze di una bastonatura fascista avvenuta nel febbraio 1924 (ricordato nella testimonianza del dirigente comunista locale Giordano Tassan Solet, raccolta da Sigfrido Cescut 44) e ben due familiari di Costante Masutti, vittime della estesa rappresaglia fascista dopo che il dirigente sindacale aveva evitato, nella notte dell’8 giugno 1921, di essere ucciso, colpendo mortalmente il capo fascista Arturo Salvato 45.

Nel 1927 vengono uccisi, a poca distanza di tempo ma in distanti contesti geografici, due mancati colleghi di don Giuseppe Lozer, parroco di Torre, passati dal seminario al movimento operaio con suo grande e non celato dispetto: il fondatore del Psi di Budoia, Giovanni Battista Scussat, e quello del Pcd’i pordenonese, Pietro Sartor. Il primo, che dal 1922 ha aderito al Psu, muore il 19 agosto mentre sta ancora dirigendo la cooperativa locale, in un incidente stradale che viene interpretato dalla popolazione - che accorre in massa al funerale trasformandolo in una manifestazione sovversiva - come un’esecuzione da parte dei fascisti locali. Il secondo muore il 16 luglio, in un incidente di bicicletta (la rottura della forcella) che viene immediatamente ritenuto dal deputato belga Marteau assolutamente senza precedenti negli annali della storia medicale belga, tale da far pensare all’eliminazione fisica di quello che è il massimo dirigente del Pcd’i in Belgio in quel momento 46.

38 SALVEMINI , Gaetano, cit., p. 201; ROSSI, Marco, Arditi, non gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli arditi del popolo 1917-1922, Pisa,

Biblioteca Franco Serantini, 1997, p. 156-157, nota 278 (Rossi utilizza il citato volume salveminiano senza indicare la pagina). 39 FRANZINELLI , Mimmo, Squadristi, cit., p. 278. 40 Testimonianza del nipote Giovanni Contessi, di Pinzano al Tagliamento, già segretario della sezione del Psiup del comune. 41 A Pinzano non esistono ufficialmente squadristi, ma questo non è un dato significativo: a Chions non risulta ad esempio registrato Gino

Covre, sicuramente il più attivo dirigente dello squadrismo friulano, così come a Pordenone non è registrato Francesco Pisenti, che ha partecipato alle aggressioni del fascio di Bologna contro i contadini di Molinella. Cfr. in Archivio privato Teresina Degan (ora donato all’Ifsml) il manifesto P.N.F. - Federazione dei Fasci di Combattimento di Udine. Elenco definitivo dei fascisti ai quali è stata riconosciuta la qualifica di “Squadrista”, senza data.

42 Testimonianza di Vincenzo Serena di Pinzano al Tagliamento (il trozkista Germoglio, commissario politico del Btg. garibaldino Buzzi durante la Resistenza) raccolta dal figlio Spartaco, il comandante comunista Agile dello stesso reparto, e da questi riferita nell’intervista concessa al sottoscritto ed a Fiorenza Bagnariol, studentessa del Dams di Gorizia, il 15 luglio 2006.

43 TESSITORI, Luigi, I ricordi di Giulia. La storia di Rosa Cantoni, Udine, Università delle LiberEtà, 1995, pp. 26-27. 44 CESCUT, Sigfrido, Una storia avianese e una piccola cronaca, dattiloscritto inedito, [1983]. 45 Memoriale dattiloscritto di Costante Masutti, s.d., conservato presso l’archivio privato di Teresina Degan. 46 In quel momento in Belgio, a parte la controversa figura del sindacalista popolare Francesco Igi, che appare quasi certamente un

provocatore dei fasci italiani all’estero, l’attività fascista è quanto mai virulenta, come testimonia fin da quel tempo: BERNERI, Carlo, Lo spionaggio fascista all’estero, Marseille, E.S.I.L., s.d. La citazione è tratta dal necrologio pubblicato sul settimanale diretto da Sartor, Il Riscatto. Settimanale di difesa degli operai italiani immigrati nel Belgio, n. 44, anno II, del 23 luglio 1927, pp. 1 e 2. Il numero del giornale è conservato in: Acs, Cpc, b. 4616, f. 6690.

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Infine, per rimanere agli incidenti stradali, c’è la morte, al Ponte Meduna nei pressi di Pordenone, di un agente di collegamento del Pcd’i, tale Casarsa, ricordato da Teresina Degan ma non riscontrabile né nell’elenco degli incidenti conservato presso l’archivio del Tribunale di Pordenone, né schedato presso il Cpc o segnalato in altro modo. Ma un misterioso Casarsa in partenza per l’Italia è segnalato dal Consolato di Lione proprio nel gennaio di quell’anno, e nei mesi successivi si stringono le maglie della polizia fascista sull’organizzazione comunista pordenonese.

Siamo, all’incirca, sulla ventina di morti, individuati - come si dice - a tentoni. Le uccisioni di antifascisti da parte della polizia continuano dopo il consolidamento del regime, ma coperte dall’omertà del potere assoluto. Dopo il 1925, non è possibile nessuna enumerazione e nessun confronto, perché con l’imbavagliamento completo della stampa di opposizione, le informazioni in merito agli atti di violenza commessi dai fascisti sono troppo frammentarie 47. Una valutazione viene fatta già durante gli anni della dittatura: secondo Silvio Trentin, soprattutto fra il 1928 ed il 1932 sono decine e decine gli antifascisti torturati ed uccisi in carcere ed al confino dai fascisti, che tendono a coprire quanto accaduto simulando il suicidio delle vittime. A Lipari i malati sono lasciati morire 48.

Una ricerca assolutamente casuale, basata solo sulla casistica capitataci sotto gli occhi, conferma le indicazioni di Trentin. Ad ogni passo ci si imbatte in morti in carcere, suicidi sospetti, ricoveri in ospedale psichiatrico conseguenti alla detenzione, morti per malattia al confino o immediatamente successive. Lo studio dei documenti processuali rende evidente l’impressione di un uso sistematico della tortura che, affiancato alla disponibilità di una diffusa rete di informatori e spie fin dentro le celle di detenzione, rende praticamente automatica la confessione degli arrestati. Spesso il rifugio nel limbo doloroso della psicosi appare l’unico modo per sottrarsi al tradimento dei compagni, aprendo la via al calvario di un ricovero psichiatrico non interrotto dalla Liberazione del 25 aprile 1945. In altri casi, è drammaticamente evidente l’uso della violenza omicida da parte degli organi di polizia, come nel caso del gruppo cividalese del Pcd’i arrestato nel 1933 (su 37 detenuti, due muoiono in carcere ed uno viene ricoverato in manicomio criminale) od in quello degli assassinii nelle carceri denunciati a Roma, Bologna ed a Trieste (l’operaio disoccupato Orlando Mariuro, ucciso in conseguenza delle torture), nell’ambito di un’inchiesta sulle condizioni carcerarie nell’estate 1931 49.

In tempi di revisionismo imperante, di fronte alla drammatica urgenza della sparizione biologica delle ultime testimonianze orali, spesso irrimediabilmente già di seconda mano, un’analisi sistematica, volta a ricostruire la dimensione umana della condizione degli antifascisti perseguitati è quanto mai urgente 50.

9. La breve parabola di un dirigente nazionale del Pcd’i. L’intensa esperienza politica di Pietro Sartor si consuma fra il 1920 ed il 1927. Formatosi in una famiglia della

minoranza cattolica del centro cotoniero di Torre, all’ombra di don Lozer, Pietro abbandona il seminario prima della guerra, per intraprendere gli studi magistrali. Alla guerra partecipa da ufficiale, ma questa esperienza lo avvicina al socialismo, di cui diventa uno dei giovani dirigenti nel caldo dopoguerra. Sindacalista degli impiegati e degli agenti, brucia le tappe che lo portano ad un ruolo di primo piano nella Cgdl e nel Psi friulano, pur assumendo posizioni di apertura culturale a volte vissute con fastidio dalla tradizionale base operaia del partito. Quando si costituisce il Pcd’i nel gennaio 1921, Sartor emerge come il dirigente più importante nel Friuli occidentale: ma sarà nel maggio di quell’anno, di fronte all’attacco fascista a Pordenone che il suo ruolo sarà suggellato dalla direzione militare della resistenza, passata alla storia come le “barricate di Torre”.

Nella notte fra il 10 e l’11 maggio, mentre la città viene invasa dalle squadre fasciste appoggiate dalle forze di polizia e dell’esercito, nel quartiere operaio si organizza una difesa militare che costituirà il primo di una serie di episodi nei quali gli antifascisti contendono con successo il passo ai fascisti. Come pochi mesi dopo a Treviso, grazie soprattutto ai repubblicani di sinistra di Guido Bergamo, come l’anno dopo a Parma, si sceglie di difendere i quartieri operai, per impedire la devastazione delle strutture della sinistra: il primo luogo, a Torre, la Casa del Popolo e la Cooperativa Sociale di consumo. La difesa viene organizzata unitariamente, insieme fra comunisti, socialisti ed altre forze di sinistra, secondo la linea che nei mesi dopo porterà i comunisti pordenonesi (criticati duramente con un richiamo settario della direzione nazionale del Pcd’i 51) a promuovere gli Arditi del popolo. Le mitragliatrici sono smontate dagli aerei della scuola della Comina, da parte degli avieri anarchici; fucili e munizioni individuali sono sottratte a reparti degli alpini da parte dei soldati stessi; la difesa del quartiere viene rafforzata da militanti che giungono a Torre perfino dai lontani paesi dello Spilimberghese. Anche se poi i fascisti, sconfitti militarmente, entreranno a Torre al seguito delle truppe, contro cui i resistenti non sparano, e se molti di questi ultimi vengono arrestati e malmenati, il successo politico è indubbio. Vengono salvate le istituzioni proletarie, il Pordenonese è paralizzato per lunghe giornate dallo sciopero generale e la domenica successiva, il 15, il voto premia il Psi eleggendo il suo primo rappresentante alla

47 SALVEMINI , Gaetano, cit., p. 201. 48 TRENTIN, Silvio, Dieci anni di fascismo, 1926-1936, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 178-181. 49 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Decisioni emesse nel 1934, Roma 1989, pp. 160-

172; LIZZERO, Mario “Andrea”, Il suo impegno civile, politico e sociale, Udine, Ifsml, 1995, p. 12; Acs, Cpc, b. 3205, f. 125904, Sinuelli Dionigi; Ifsml, Fondo Pcd’i, b. 4, 1931/33, f. 110, "L'Informazione italiana", n. 11 (Servizio stampa. Comitato d’Intesa tra le organizzazioni di fronte unico antifascista, 8 settembre 1931).

50 La realtà sconosciuta di un internamento sistematico degli antifascisti nell’istituzione psichiatrica è stata rilevata nello studio delle carte degli ex Opp di Ferrara e Rovigo e presentata da Luigi Contegiacomo dell’Archivio di Stato di Rovigo, nella relazione: Carte da slegare: il caso Polesano, al convegno Le carte di Ippocrate. Gli archivi per la sanità nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste-Udine 25-26 marzo 2003: purtroppo tale relazione non è stata pubblicata negli atti del convegno.

51 Ifsml, Fondo Pcd'i, b. 1, 1921/24, f. 3, lettera alla Federazione provinciale Comunista di Udine, Roma 8/11/21.

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Camera dei Deputati. I capi della resistenza militare di Torre dovranno successivamente nascondersi e fuggire da Pordenone, dopo altri raid fascisti. Salvatosi dall’uccisione in un agguato tesogli nella notte dell’8 giugno, grazie alla sua presenza di spirito, Masutti fugge da Pordenone. La sua fuga avviene sotto il segno dell’unità antifascista: sulla macchina del neodeputato Ellero, guidata dal fratello di questi, Luigi, in compagnia di due consiglieri comunali cittadini, il comunista Oliva ed il cognato Brusadin, che presto rientrerà nel Psi: tutti e tre armati. Sartor si allontana ai primi di luglio, dopo essere sfuggito alla morte nell’agguato a lui ed a Moras vicino alla CdL 52.

Sartor e Masutti, che sotto falso nome è stato inviato dal segretario della Fioe Quaglino a dirigere gli edili del Trentino-Alto Adige, passano la frontiera in Svizzera. Ma qui le loro vie si dividono: mentre Masutti, perseguitato da una denuncia per omicidio, inizia le peregrinazioni dell’esilio, Sartor rientra poco dopo in Italia, chiamato a nuovi incarichi dalla direzione del Pcd’i.

A Firenze, il 27 febbraio 1921 i fascisti hanno ucciso il segretario comunista Spartaco Lavagnini. Durante l’estate, gli edili della Sezione fiorentina (decapitata dall’arresto del segretario Giovanni Frizzi) tengono un referendum per definire la nuova direzione. I comunisti puntano a conquistare la segreteria del sindacato, in modo da rafforzare la loro presenza nella CdL, fino allora garantita dalla direzione della Fiom. Lo stipendio di segretario della Sezione edile fiorentina può garantire anche la retribuzione del segretario della federazione comunista, e redattore del settimanale L’Azione comunista. Su indicazione della direzione nazionale, i comunisti presentano quindi successivamente due candidature, ambedue di provenienza pordenonese: dapprima Mosca, di cui non sapremo più nulla successivamente e poi Pietro Sartor, che viene eletto in settembre. Le sue capacità sono dimostrate subito dal cambio di stile del settimanale del partito che, oltre a migliorare la sua qualità, si allarga a tutto il territorio regionale ed all’Umbria.

Ma la prova più dura Sartor la fa sul piano della direzione sindacale, dovendo combattere su due fronti. Se è consolidato il giudizio della storiografia socialista sul machiavellismo politico-organizzativo dei comunisti, la vita sindacale di Sartor a Firenze è uno dei non pochi esempi di come, da parte dei fratelli separati, non si risparmi nessun tipo di scorrettezze per riconquistare il potere, sulla base di una tradizione di soffocamento degli scioperi rivoluzionari che ha illustri esempi, come lo strangolamento da parte dei riformisti reggiani nei confronti del grande sciopero agrario indetto dalla CdL sindacalista di Parma, quella di Alceste De Ambris, nel 1908 53. Sartor si trova a dover rappresentare il Pcd’i in una CdL che esprime il secondo più importante dirigente nazionale della Cgdl, Gino Baldesi: è con personalità di questa importanza che il maestro pordenonese deve interloquire, dimostrando una certa abilità nel coniugare, nelle riunioni dei Consigli generali delle leghe, chiarezza di linea politica e duttilità nei rapporti organizzativi. La sua determinazione si esprime su tematiche basate sulle esigenze concrete della categoria: come la sua battaglia per avviare attività di formazione professionale, superando i ritardi della CdL e del sindacato edile provinciale e regionale, rimasti in mano socialista.

Ma a dicembre gli impresari fiorentini decidono di mettere in discussione il concordato vigente, chiedendo una riduzione salariale del 25% e scatenando una vicenda che diviene subito una prova di forza nazionale per la categoria dell’edilizia. La vertenza si trascina fino alla primavera, per esplodere in conflitto aperto con cinque settimane di sciopero fra maggio e giugno del 1922. Una vertenza lunga e durissima, che si conclude come le migliori di questo periodo di riflusso del movimento operaio italiano, con una riduzione del ribasso salariale ed il consolidamento dell’orario lavorativo delle 8 ore giornaliere. Nel frattempo, i socialisti organizzano la denigrazione sistematica della direzione del sindacato edile fiorentino, attraverso attacchi settimanali sulla loro stampa e la strumentale richiesta di riassunzione di Frizzi, rilasciato dalla reclusione come segretario della Sezione edile: come se il ruolo di dirigente sindacale fosse un impiego pubblico indipendente dall’indirizzo dell’organizzazione. Fino ad arrivare ad un giudizio arbitrale interno alla CdL, che impone di licenziare Sartor per far rientrare il suo predecessore, che intanto non sa far di meglio, in tale temperie, che dedicarsi a disturbare le assemblee dei lavoratori. Fra manovre di corridoio e polemiche pubbliche, che coinvolgono anche la direzione del parallelo sciopero milanese, i comunisti debbono condurre in porto la difficile vertenza, accantonando saggiamente le questioni organizzative e dichiarandosi disposti a rivedere la direzione della categoria, appena terminata l’agitazione.

Purtroppo la collezione del settimanale diretto da Sartor è conservata solo fino all’inizio di giugno 1922, quando termina la vertenza degli edili. Non conosciamo i passaggi successivi della sua attività in Toscana, né il periodo in cui egli si trasferisce a Verona, per dirigere il giornale dello Svot L’Internazionale Rossa, in questa trascurata fase in cui il Pcd’i, alleato dei dirigenti sindacalisti rivoluzionari, sperimenta evidentemente l’idea di potersi servire di un sindacato di riferimento diverso dalla Cgdl. Sartor lavora in Veneto e Friuli, a costo di continue bastonature, fino all’instaurazione della dittatura.

Poi inizia anche lui ad operare all’estero. Usando vari pseudonimi, come Mario, Sartori o Gabanizza fa impazzire le spie fasciste, che continueranno a ricercarlo anche anni dopo la sua morte. Possiamo ricostruire i suoi percorsi grazie alla citata biografia pubblicata su Il Riscatto. Protagonista della riorganizzazione comunista in Francia nel 1923-1924, è allievo della Scuola di Pietrogrado per i compagni stranieri nel dicembre 1923, ma deve allontanarsene per malattia. Le sue peregrinazioni si trascinano fra la Svizzera, dove patisce la miseria più nera, e la

52 La bibliografia sulle Barricate di Torre è ormai notevole, anche se suscettibile di altri approfondimenti: come per altri episodi precedenti

il 1926, rinvio alle indicazioni del mio Una terra amara. Alcuni dati innovativi qui riferiti sono tratti dalla testimonianza di Teresina Degan (sugli anarchici della scuola aerea della Comina) e dal citato memoriale di Costante Masutti. Va notato come, nelle loro polemiche contro Ellero, accusato di trattare per il patto di pacificazione ma di soffiare sottobanco sul fuoco della resistenza, i fascisti colgano nel segno: quella banda armata che fugge da Pordenone nella notte, mettendo insieme borghesi riformisti ed operai comunisti, racconta una storia assai diversa dagli incompleti rapporti polizieschi.

53 NICOLAI, Renato, Emilia riformista e Italia giolittiana. Reggio Emilia e Parma, Milano, Mazzotta, 1977.

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Francia dove, dopo essersi impegnato in umili attività di manovalanza, viene assunto dal sindacato comunista Cgtu, per dirigere l’ufficio Main-d’oeuvre étrangère (compito svolto per la regione di Parigi da Michele Sammartino, l’ex segretario della CdL di Pordenone). Pietro Sartor fut l’âme militante et dirigeante de l’émigration communiste au cours des premières années, épaulé par Angelo Tasca ou Isidoro Azzario 54. Espulso varie volte, viene condannato a quattro mesi di carcere per essere rientrato nel suo ufficio, dopo essersi travestito ed aver cambiato nome. Si trasferisce in Belgio poco prima della morte, svolgendo la sua attività pur in mezzo a grandi difficoltà economiche. Come in Francia - secondo Anne Morelli - era lui che aveva organizzato la Lega antifascista e il giornale “Il Riscatto”, era il capo dei comunisti italiani in Belgio 55. I compagni italiani in Francia, nel commemorarlo, ricordano le sue grandi capacità culturali e comunicative ed un’intelligenza non comune e sottolineano come le sue posizioni si fossero sempre mantenute molto autonome, pur riuscendo Sartor a ricucire i tanti strappi che c’erano stati con il partito. Durante i suoi funerali, l’esposizione della bandiera italiana diventa occasione di incidenti fra fascisti ed antifascisti: questa degna commemorazione sarebbe piaciuta, all’eterodosso comandante degli Arditi del popolo di Torre, diventato uno dei principali dirigenti del Pcd’i 56.

10. Gli antifascisti nel Friuli occidentale. 10.1 - I socialisti. Nel caso friulano, ed il particolare in quello del Friuli occidentale, l’adesione dei socialisti al Psu - alla fine del

1922 - è plebiscitaria. La maggioranza del congresso provinciale di Cividale del 16 luglio 1922 (346 voti per i concentrazionisti-riformisti contro i 257 massimalisti, 78 centristi e 73 terzinternazionalisti) si rafforza in ottobre, dopo la scissione, con l’adesione del principale dirigente socialista friulano, l’avv. Giovanni Cosattini 57 e dei suoi seguaci. Aderiscono al Psu tutti e quattro i parlamentari friulani (Cosattini, Piemonte, Ellero e Zaniboni) ma anche la federazione con il suo settimanale, gli amministratori ed i quadri più conosciuti. I massimalisti si trovano ridotti in netta minoranza, con equilibri ben diversi da quelli realizzati altrove: le elezioni parlamentari del 1924 (che a livello nazionale vedono una quasi equivalenza delle tre liste nate dal tronco del Psi, con una prevalenza del Psu) nel collegio Friuli e Venezia Giulia danno 20.468 voti ai comunisti, prevalenti nei territori ex asburgici, 13.144 ai socialisti unitari e solo 5.064 al Psi.

La mancanza di organi di stampa e la fine della vita democratica rendono difficile ricostruire la presenza dei massimalisti superstiti. Essa può essere rilevata con difficoltà dalle biografie degli attivisti, a causa dell’imprecisione degli informatori e dei burocrati che compilano le schede biografiche fornendo informazioni confuse, contraddittorie e spesso del tutto inattendibili.

Gli avvocati Guido Rosso e Giuseppe Ellero, i due più importanti esponenti del socialismo pordenonese prefascista, banditi dai fascisti, si trasferiscono fuori provincia, il primo a Venezia ed il secondo a Milano, mantenendo contatti con la loro clientela pordenonese, che conta gran parte della classe dirigente locale, in modo periodico, a volte avventuroso. Ambedue subiscono controlli continui ed angherie personali, come il ritiro dell’abbonamento ferroviario a Rosso, ma il loro autocontrollo disorienta il regime, anche grazie alla loro rete di relazioni professionali nell’alta società: ad esempio il giurista Francesco Carnelutti, cliente dello studio Rosso, interviene più volte a suo favore presso il Capo della polizia Arturo Bocchini. Clamoroso l’episodio del 1930, quando Ellero viene radiato dal Cpc per presunta inattività politica, salvo esservi reiscritto precipitosamente, avendo riscontrato la sua partecipazione agli incontri con altri dirigenti socialisti, come l’avv. Ernesto Crosti, Giuseppe Alberto Pescarolo, l’on. Andrea Beltramini ed il rag. Ferruccio Jellinek... in Galleria a Milano, nel clima di eccitazione prodotto dal volo propagandistico di Bassanesi sulla città organizzato da Gl.

Rosso viene accusato di utilizzare i suoi viaggi all’estero, nei quali cura gli interessi di varie aziende, per mantenere contatti con la massoneria, diffondendone la propaganda in Italia: accuse cui l’avvocato reagisce sempre con energia, protestando il suo disinteresse attuale per la politica e rivendicando il suo comportamento riformista e patriottico nel dopoguerra, in particolare in occasione delle onoranze del Milite Ignoto, rese in difformità dalle indicazioni della direzione del Psi. Ma intanto assume come tirocinante il dr. Enrico Longobardi, comunista come il padre Ernesto Cesare, e tiene i rapporti con Ellero per iniziative finanziarie antitetiche agli interessi delle lobbies rappresentate dal ras fascista locale Pisenti. Lo scontro fra Rosso ed Ellero, socialisti pacifisti ma attenti ai rapporti con il combattentismo e ritenuti interlocutori credibili dalla classe dirigente pordenonese, ed i Pisenti, si svolge sul duplice piano della rivalità politica-professionale e su quello ben più importante della rappresentanza di opzioni opposte per lo sviluppo economico della città. Sul primo livello, Pisenti vuole tutelarsi rispetto ai suoi principali accusatori: Rosso lo conosce bene, l’ha avuto come tirocinante e confidente, quando il futuro capo del fascismo friulano si imboscava durante la guerra, per iniziare una coerente (a suo modo) carriera di lobbista dei poteri forti. E quando il conflitto

54 CASTELLANI, Loris, L’émigration communiste italienne en France 1921-1928. Organisation et politique, in: FONDAZIONE ISTITUTO

GRAMSCI, Annali 1991, Roma, Editori Riuniti, 1993, p. 597. Il ruolo di Angelo Tasca al vertice del Pcd’i e poi del Psi è troppo noto per soffermarvisi in questa sede; il ferroviere pinerolese Azzario è uno dei principali esponenti sindacali comunisti e riveste ruoli dirigenti nel partito fin dalla costituzione. La sua persecuzione carceraria, che lo porterà all’internamento per anni in ospedali psichiatrici, è un significativo esempio della “strage dimenticata”. Cfr. la sua biografia, a cura di Renzo Martinelli, in: ANDREUCCI-DETTI, cit., primo volume, pp. 108-110 .

55 Lettera elettronica del 2 giugno 2004 della prof. Anne Morelli, che ha tratto queste notizie dalla sua tesi, solo parzialmente tradotta in italiano come: MORELLI, Anne, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940), Roma, Bonacci, 1987.

56 Ivi. 57 Su Cosattini, cfr.: ALATRI, Paolo, Giovanni Cosattini (1878-1954). Una vita per il Socialismo e la Libertà, Tricesimo, Aviani, 1994.

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esplode, come nel 1935 nell’aula di un tribunale con il fratello di Pisenti (Francesco, pure lui avvocato ed ex squadrista), Rosso non ha tema di rivendicare il suo passato anche di fronte all’ordine professionale.

Ma è sul secondo piano, quello dello scontro economico, che si gioca la partita più importante. Per il Cotonificio Veneziano, che dopo la guerra ha assorbito tutti gli stabilimenti pordenonesi, meno il Makò di Cordenons, in gestione commissariale dopo il fallimento dei Brunner alla fine degli anni ‘20, Ellero (che a Milano opera a contatto con ambienti economici importanti, insieme con l’on. Luigi Gasparotto, ex deputato radicale e dei combattenti, e regista degli interventi sulla Fiera 58) tesse la tela di una possibile cordata imprenditoriale. Tiene relazioni con Beneduce, a capo dell’Iri, spinge il podestà di Pordenone ad intervenire presso il sottosegretario friulano Alberto Asquini, mette insieme imprenditori milanesi e locali. Certo Rosso non può essere al di fuori di questa rete, viste le sue relazioni con Carnelutti (con Asquini, allievo di Alfredo Rocco, uno dei grandi esperti del diritto commerciale italiano dell’epoca), che è anche amministratore del Cotonificio Veneziano.

Pisenti fa intervenire Mussolini: egli non può tollerare una soluzione della crisi del Veneziano gestita dai suoi peggiori avversari. Ma il Prefetto Temistocle Testa, dopo aver bloccato l’attività di Ellero, non può far a meno di sbottare, dichiarando che a Pordenone c’è la sensazione che il problema, che tanto interessa quella zona, non sia stato preso in quella considerazione che la gravità di esso avrebbe richiesta, denunciando l’assurda sopravvalutazione patrimoniale perseguita dall’attuale gestione commissariale del Cotonificio: Se questa illusione si lasciasse cadere, ho la sensazione che sarebbe allora possibile la costituzione di un gruppo friulano che permetterebbe a quegli stabilimenti di funzionare come funzionano in pieno quelli di Udine 59.

E’ qui, in queste parole del prefetto, il centro della questione. Il tessuto industriale di Pordenone è smantellato, la città è ridotta alla fame. La soluzione potrebbe esserci, quella di far sviluppare l’imprenditoria locale: era la stessa ipotesi del dopoguerra, basata sullo sviluppo dell’industria idroelettrica pubblica e sulla creazione di una rete di infrastrutture di trasporti multimodali. Un’ipotesi sconfitta militarmente dal fascismo, e pagata da precisi gruppi economici. Come gli agrari che vogliono tenere i mezzadri in regime semischiavistico, per poter gestire meglio la partita della bonifiche fondiarie; gli appaltatori ed i commercianti che non sopportano la concorrenza delle cooperative di lavoro e di consumo; gli industriali monopolisti. Come la Sade di Volpi, che finanzia direttamente Pisenti 60 per far vincere il fascismo in Friuli, contro progetti (come quello dell’Ente Autonomo per le Forze Idrauliche del Friuli) che marciano sulle gambe unite di socialisti e popolari. Di nuovo Pisenti, a bloccare ogni soluzione che salvi i cotonifici; e di nuovo Volpi con Cini e Gaggia, il gruppo finanziario che nel 1935, con un’operazione semisegreta, comprerà sottocosto, per il 20% del suo valore, quanto rimane dell’industria cotoniera pordenonese 61. Ed in sua compagnia il podestà di Pordenone Napoleone Aprilis, l’uomo della bonifica fondiaria (fatta proprio a partire da quell’epoca a costo dell’esproprio della piccola proprietà contadina) e degli invasi a valenza mista agroindustriale, costruiti insieme con la Sade di Volpi. Il salvataggio dei cotonifici non deve essere fatto in altro modo, secondo la volontà del ras di Pordenone e dei suoi padroni. Questo è il senso di questa vicenda. Una volta di più, come insegna la mai superata - ma poco frequentata, ultimamente - critica marxista della storia, è la struttura a farla da padrona. Ed appare titanico, incolmabile, il dislivello fra la progettualità del socialismo prefascista ed il servilismo, prono ai poteri forti, di chi per un ventennio sgoverna il Friuli. Su queste questioni è necessario mettersi al lavoro con gli strumenti della storia economica, valutando la documentazione delle società industriali, bancarie, degli enti pubblici economici e, se esistenti, quelli dei privati operatori economici.

Simile sul piano professionale, diverso su quello dell’impegno documentato, l’atteggiamento di altri dirigenti locali. Il libraio Romano Sacilotto si autoesilia nel suo magazzino, mantenendo frequenti contatti con i compagni, ma esercitando una singolare forma di resistenza passiva che viene trasmessa nel ricordo orale. Nell’estate 1944, i vecchi dirigenti socialisti pordenonesi, come Guido e Gino Rosso, Ellero e Sacilotto (che, ospedalizzato, sarà sostituito dal figlio Bruno) saranno arrestati a più riprese e detenuti dai nazifascisti ad Udine ed a Trieste. Va però notato che, in un gruppo ristretto dapprima ed in uno molto numeroso la seconda volta, il loro arresto avverrà più in veste di maggiorenti che in quella di rappresentanti del movimento operaio: ne viene per altro documentata in tal modo l’influenza e la presenza nella vita cittadina, alla pari, ad esempio, con il notaio Gerardo Toscano, esponente del Partito d’Azione e componente del Cln del Friuli occidentale. Li ritroveremo insieme (Guido Rosso candidato sindaco, e poi Ellero, Sacilotto e Degan) alla testa della lista del Psiup per le comunali del 1946; il figlio di Toscano, l’ancora studente di giurisprudenza Alfino, sarà nella loro lista l’unico caso di rovesciamento di ruoli, mentre il figlio di Gino Rosso, Sandro, è dirigente e candidato del Pd’a.

A Spilimbergo, l’ex sindaco socialista Ezio Cantarutti viene vigilato anche per i rapporti personali con Tito Zaniboni (per aver ricevuto una sua lettera, l’ex assessore socialista pordenonese Vincenzo Degan, operaio tipografo e futuro rappresentante del partito nel Cln, viene arrestato), ma anche per un atteggiamento irriducibile che lo fa arrestare

58 Andrebbero verificate le carte relative all’attività professionale di Luigi Gasparotto (conservate almeno parzialmente presso l’Isec di

Milano, che ne fornisce anche l’inventario su internet, all’indirizzo www.fondazioneisec.it/patrimonio/gasp.pdf, scaricato il 29 settembre 2006) per studiarne la complessa attività economica, e verificare i collegamenti con Ellero, dei cui documenti privati si sono perse per ora le tracce.

59 Acs, Cpc, b. 1880, f. 71697, Ellero Giuseppe di Enea, lettera della Prefettura di Udine al Gabinetto del Ministero dell’Interno, riservata personale, del 4 dicembre 1933, prot. Gab. n. 7569.

60 Comprandogli il quotidiano Giornale di Udine, in cambio del sostegno agli interessi dell’industria elettrica privata, per bloccare la strada alla realizzazione del sistema di bacini e centrali, progettati da enti pubblici che stanno nascendo sull’esempio dell’Ente per le Forze Idrauliche del Friuli. Cfr. il documento, con tutta probabilità proveniente da uno degli allora sodali di Pisenti, forse lo stesso destinatario nob. avv. Carlo Policreti, riprodotto in: BETTOLI, Gian Luigi, Una terra amara, cit., terzo volume, p. 345 e più in generale le considerazioni in secondo volume, pp. 397-412 sullo scontro epocale per il controllo delle risorse idriche friulane ed i solidi legami fra la destra pordenonese ed i monopoli veneziani.

61 DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie, cit., p. 155.

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nel 1924 per grida sediziose e nel 1929 per aver venduto (è negoziante) materiale esplodente – un mortaretto - ad un ragazzo. La sua amministrazione, caduta all’inizio del 1923, è stata con quella di Pordenone il modello del socialismo municipale friulano. Nel 1933 verrà nuovamente arrestato, nell’ambito del procedimento contro la radicata organizzazione comunista nella zona, e che coinvolge in una prima fase anche esponenti delle altre componenti antifasciste. L’atteggiamento coerente di Cantarutti, in una cittadina dove l’opposizione al fascismo è rafforzata dalla robusta componente cattolica-riformista ispirata dall’ex deputato Marco Ciriani, lo porta a riassumere le funzioni di sindaco nominato dal Cln nel 1945. A Maniago l’ex sindaco socialista Abele Selva (la cui giunta viene fatta cadere il 1° maggio 1923 perché lui, che fa l’orafo, ha chiuso il suo negozio per la giornata dei lavoratori) ancora nel dicembre 1926 viene diffidato per la sua attività antifascista, ma alla fine del decennio viene radiato dal Cpc ed interrompe questa continuità degli amministratori socialisti pre/post fascisti che troviamo ancora ad Aviano, a Pinzano e nel confinante comune trevigiano di Orsago, dove opera l’avv. Antonio Mazza, formatosi alla Scuola normale di Sacile, vera fucina della categoria magistrale socialista friulana.

C’è infine l’eccezionale caso di Fontanafredda - comune interessato profondamente dai processi di bonifica agraria promossi ed in gran parte realizzati nel primo dopoguerra dal commissario prefettizio socialista del Comune di Sacile, l’avv. Enrico Fornasotto - dove l’ex sindaco socialista Zefferino Saldan, negoziante ed amministratore di un’azienda agricola, si trova nella condizione singolare di commissario prefettizio dell’Adriatisches Künstenland. Lungi dall’essere una collaborazione con l’occupazione nazifascista, questo episodio dimostra quanto il regime sia ormai alle corde e sia costretto a ricorrere a personalità che poi usano gli uffici per fiancheggiare il movimento partigiano. Dopo aver bruciato i propri uomini ed aver subito l’imposizione delle autorità tedesche di ritirare i funzionari prefettizi dai comuni, al prefetto de Beden non rimane che proporre al Deutsche Berater di Udine l’11 luglio 1944 la nomina di Saldan, che non è iscritto al P.F.R., né lo era a quello Fascista. Professa idee socialiste, però non ha svolto, né svolge propaganda contraria all’attuale Governo. Possiede un discreto grado di istruzione letteraria avendo frequentato in Seminario le scuole medie, ed in pubblico è tenuto in buona stima e conosciuto come persona equilibrata, capace ed imparziale. I tedeschi, pur avendo accolto la nomina, successivamente provvedono ad arrestare Saldan per qualche tempo 62.

A dimostrazione del senso politico della nomina di Saldan, sarà lui stesso ad essere nominato sindaco dal Cln dopo la Liberazione, e ad accogliere l’on. Piemonte, rientrato dall’esilio, visitando insieme la bonifica realizzata con lavori che furono dapprima ritenuti arbitrari. Commenta Piemonte, che può ora rivedere il terreno oggetto di uno dei più impegnativi interventi realizzati dal socialismo municipale friulano: Venticinque anni dopo invece di una estensione di sei chilometri per largo e quattro per lungo di acquitrini, e di terreni sterili che davano cattivo strame per le bestie, vi ha trovato ventiquattro chilometri quadrati di terreno ubertoso e ferace, con estese piantagioni e ricco di nuove case che costituiscono il granaio di Fontanafredda e dei paesi vicini 63.

Spesso le autorità sottolineano il comportamento moderato tenuto dagli esponenti riformisti già durante il biennio rosso: portati più a tenere a freno le masse tumultuanti che a solleticarne gli spiriti ribelli, si differenziano dai compagni che diventeranno capi comunisti o socialisti di sinistra. Moderazione che ha un suo continuum naturale nell’inserimento nella società delle persone civili 64, con la quale hanno comunità di frequentazioni, cultura, interessi professionali ed affetti, che li distinguono su un comune piano di classe. Appare quindi naturale che non se ne rilevino le attività politiche, diversamente dai quadri popolari, portati ad una comunicazione spesso plateale nei luoghi di ritrovo, innanzitutto l’osteria ed il posto di lavoro. Le modalità esplicite di propaganda politica dell’ambiente operaio, come il manifestino, il giornale stampato alla macchia, la riunione, lo sciopero o la manifestazione di piazza, sono diverse dai conciliaboli che si svolgono negli ambienti soffusi della media ed alta società, dove il mantenimento e la diffusione delle reti cospirative seguono gli stessi codici della relazione commerciale, dei pourparler fra avvocati, dei gentlemen’s agreements fra gente che si conosce da generazioni.

La burocrazia fascista stenta a capire la differenza di comportamento tra “piazzaroli” plebei e gente urbana che sa come ci si comporta. Ma sembra anche non capire quanta comunanza di vedute ci possa essere fra quelli che sono in fondo esponenti di diversi rami politici nati da uno stesso ceppo: socialisti, democratico-radicali e repubblicani, uniti dalla comune origine storica risorgimentale e culturalmente positivisti ed evoluzionisti. Patrioti e disciplinati combattenti anche quando sono antimilitaristi (Gasparotto, ministro delle guerra alleato dei fascisti nel 1921, è anche quello che mena scandalo ricevendo al ministero dei semplici sottufficiali, mentre pensa a come far intendere alle gerarchie militari di carriera il modello del “popolo armato”), sono filofrancesi per tradizione sul piano internazionale, perché la Francia è la patria della Grande Rivoluzione. Più sotto, c’è la comune scuola della Massoneria, semipubblico luogo di incontro dei laici anticlericali, ma soprattutto matrice di ogni complotto clandestino, dai tempi della lotta per l’Unità d’Italia.

E’ per questo che il fascismo non riesce a comprendere quanto vischiosa sia la resistenza passiva di questi ambienti, quanto l’apparente ossequio all’autorità nasconda l’agnosticismo e la dissidenza, attenta ad ogni crepa nella struttura del regime, pronta a riemergere alla prima buona occasione. Li blandisce, questi borghesi che approfittano di ogni occasione per recarsi all’estero - sia essa offerta dal Touring Club o da agenzie private, dalla necessità di seguire

62 La vicenda è documentata in Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 80, Nomine commissari e podestà comuni, f. Comune

di Fontanafredda. 63 Il Lavoratore Friulano, n. 2 del 12 gennaio 1946, p. 2, Fontanafredda. La bonifica dei Camolli. 64 Espressione che codifica, pur privato degli effetti giuridici, l’atavico disprezzo razziale aristocratico verso la plebe, sia essa rurale od

operaia. Quella che negli anni precedenti non si è limitata ad invadere proprietà ed uffici, ma ha osato anche sedere nelle civiche amministrazioni, tassare i possidenti, avviare politiche sociali a loro spese.

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affari privati o della clientela - per concedere loro con oculata parsimonia brevi permessi nel mondo libero. I ripetuti e generosi versamenti ad attività assistenziali sono vissuti dalla burocrazia fascista come atti di adesione al regime, mentre sono invece espressioni di un consolidato comportamento filantropico, che prevede che chi ha di più contribuisca volontariamente per sollevare la condizione degli indigenti. Ne sono espressione la classica beneficienza privata, ma anche gli appelli di amministrazioni socialiste (nel primo dopoguerra) o ciellenistiche (durante la Resistenza e nel secondo dopoguerra: e non faranno certo eccezione i comunisti nell’appellarsi ai benestanti) ai maggiorenti perché contribuiscano ai patronati scolastici, alle mense dei poveri, all’assistenza ai profughi, all’assunzione di disoccupati per lavori privati, e poi anche al sostegno alle casse del movimento partigiano ed all’assistenza ai reduci dalle tante prigionie. Ma questo mettere mano al portafoglio è anche una forma di tassa, che garantisce la benevolenza del regime ed offre indirettamente interstizi di libertà (personale, ma anche politica).

Più problematica la questione dell’iscrizione dei figli alle istituzioni giovanili fasciste, ma è nota la pervasività di un sistema che prevede l’irregimentazione fin dalla scuola per l’infanzia, e che appare sostanzialmente interclassista e totalitario. Ne sanno qualcosa i cattolici, che combatteranno l’ultima battaglia contro le associazioni giovanili di regime. E ne sanno molto soprattutto quei giovani interessati dalla intensiva propaganda fascista, che sperimenteranno sulla loro pelle la differenza fra la teoria e la pratica, fra le roboanti promesse del regime e le scarpe di cartone con cui affrontare il fango dei Balcani e della steppa russa. Semmai, delle verifiche puntuali dovrebbero essere fatte sulla trasmissione dei valori democratici all’interno delle famiglie, anche se più di qualche esempio, equamente ripartito fra i vari movimenti politici, ci dimostra come nelle famiglie politicizzate in senso antifascista sembri prevalere l’acculturazione intergenerazionale su quella istituzionale. Per fare un esempio chiaro, basti ricordare l’alpino figlio di un comunista cuneese, che - prima della partenza per la spedizione contro l’Unione Sovietica - gli raccomanda di disertare, di presentarsi da un commissario politico e di chiedere del compagno Germanetto, che ora lavora per il partito a Mosca. Ed è proprio quel ragazzo, che non tornerà dalla campagna di Russia (mentre il padre ed un fratello, partigiani, saranno uccisi a Boves) uno dei pochi che, grazie alla vera scuola che ha avuto in famiglia, ha il coraggio di parlare di quanto ha visto dello sterminio degli ebrei 65.

Non capisce neanche, il regime, di quali complicità possano usufruire gli oppositori anche nelle sue file. Fra l’altro, ci si domanda quanto un totalitarismo così provinciale e pacchiano possa essere accetto a questi ambienti, storicamente così élitari. Veramente pochi sono quelli che cedono, e se questo avviene è in centri minori dove il fascismo ha carenza di quadri o può assicurare una qualche promozione sociale.

E’ significativo che proprio negli anni del regime decolli il successo professionale dei due principali protagonisti della storia del socialismo pordenonese, così come dei loro colleghi operanti in altri contesti, mentre il loro ex amico Pisenti si limita a vivacchiare dietro le quinte del regime, conservando un ruolo di lobbista dei poteri forti e scambiando il proprio benessere personale con la fine di ogni pretesa di leadership politica. Sintomo di una società civile che continua ad avere i suoi riferimenti, anche se questi sono politicamente emarginati.

Ma ciò è anche spia di un processo di differenziazione sociale che lentamente sta allontanando i protagonisti di una parte importante della storia del movimento operaio dalla loro base. Se si sovrappone la rottura politica del primo dopoguerra a quella sociale degli anni del regime, si comprende uno degli elementi della inconciliabilità del periodo postresistenziale fra il ramo destro e quella sinistro del vecchio tronco socialista.

Questo per quanto riguarda quello che era il vertice del Psi, quasi totalmente trasferitosi nel Psu. E la base? Nel 1947 in una polemica Storia della Federazione Socialista Friulana, scritta nei giorni della scissione del Psli, si affermano due cose relative al periodo della dittatura (senza fare per altro riferimento alcuno ai compagni del Friuli occidentale): che nessuno aveva mai aderito al fascio e che tutti i Partiti disponevano di opuscoli e giornali clandestini. Comunisti e P.d’A in testa. Brillava per la sua assenza un’organizzazione centrale socialista 66.

E’ comprensibile il contesto esacerbato - rivolto contro la direzione di Pietro Nenni e di Lelio Basso del partito - in cui si collocano queste valutazioni: ma non ci possiamo accontentare, se è vero che da altra fonte conosciamo l’esistenza, almeno in qualche periodo, di gruppi socialisti legati alla rete clandestina del partito. In un rapporto del dirigente comunista Luigi Frausin sulla Federazione di Udine alla fine del 1929, la situazione appare curiosamente rovesciata 67. Ci sono lamentele dei compagni perché nel 1929 hanno ricevuto pochissimo materiale, il partito si è sentito poco, gli ispettori si sono limitati a visitare al massimo il segretario. Frausin conclude che, se non si è capaci di assistere a fondo le federazioni, allora sono inutili lo sforzo indirizzato verso l'Italia con la svolta ed i grandi sacrifici umani che essa comporta.

Sul fronte socialista (visto - secondo l’impostazione stalinista dell’epoca - come si trattasse dei peggiori avversari) anche i concentrazionisti si muovono: hanno pure un giornale: "L'alto parlante": la loro attività non viene però svolta fra le masse, ma fra i ceti piccolo borghesi. Quello delle api 68 andando un giorno in un caffè alle porte di Udine vi trovò una trentina di riformisti e massoni riuniti. Un altro fatto che dimostra che queste carogne si muovono è questo: un compagno del fed. 69 un paio di mesi fa si era incontrato con l'esponente della socialdemocrazia locale:

65 REVELLI, Nuto, Le due guerre. Guerra fascista e guerra partigiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 92. 66 Il Lavoratore Friulano, n. 4 del 1° febbraio 1947, p. 2, Breve storia della Federazione Socialista Friulana, siglato M. 67 Ifsml, Fondo Pcd’i, b. 4, 1931/33, f. Rapporti di "Aristide" sulla situazione organizzativa del P. nella V.G. maggio '29 gennaio '30,

Comitato 3 Venezie, Rapporto ispezione Aristide (dicembre 1929-gennaio 1930). Altra copia dello stesso documento in b. 3, 1926/31, f. 91. 68 Si tratta del termine in codice con il quale vengono definiti i comunisti appartenenti alla componente della federazione che si oppone

alla svolta e che, evidentemente, mantiene rapporti con i socialisti. Sulla vita del Pcd’i clandestino nel Friuli centrale, cfr. DONATO, Gabriele, Cospirazione comunista e comportamenti operai nel Friuli centrale degli anni Venti e Trenta, tesi di dottorato inedita, Università di Trieste, Corso di Laurea in Storia, anno accademico 2005-2006.

69 Comitato federale del Pcd’i.

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questi allora si dimostrava molto sfiduciato ed affermava che non vi era più nulla da fer 70. Incontrato lo stesso alcuni giorni or sono, si dimostrò molto ottimista e come al solito disse: coraggio, questa è la volta anche per loro, questo è l'ultimo anno del fascismo. Che cosa sia successo per aver fatto completamente cambiare l'opinione sulla situazione italiana alla socialdemocrazia? Forse erano informati del complotto 71 (perché a questi fatti loro danno una grande importanza)? La vedranno la situazione nuova che si sta creando?

La diffusione de L’altoparlante non è un riferimento generico, essendo questo l’organo della Giovane Italia, organizzazione socialista-democratica clandestina nata a Torino nel 1927 ed articolatasi a livello nazionale, con una struttura simile a quella della rete di cellule comuniste e diretta prevalentemente da esponenti socialisti, pur contando nelle sue file anche repubblicani e popolari. Organizzazione che riesce a durare per quattro anni, diffonde un giornale ciclostilato che arriva a stampare oltre 3.000 copie, spedite anche alle autorità politiche e religiose locali, per unificarsi infine nella primavera del 1930 con Gl 72.

Quello che non risulta comprensibile per Frausin (ligio alla linea che punta alla crisi rivoluzionaria conseguenza del crollo del sistema capitalistico) è l’euforia che si diffonde negli ambienti socialisti per i sintomi di vitalità dimostrati dalla campagna contro il plebiscito fascista del 1929 ed i primi atti esemplari che seguono la costituzione di Gl. Inoltre la decisione del convegno milanese del febbraio precedente, con l’unificazione dei gruppi interni di Psi e Psuli 73, anticipa le decisioni del congresso dell’unità socialista dell’anno successivo e crea una rivitalizzazione del movimento socialista in Italia 74. Comune invece a socialisti e comunisti è una fase di grande vitalità, collegata al fermento sociale scatenato dalla crisi economica, per cui saltano le regole cospirative ed i gruppi tendono a riunirsi in forma allargata ed a venire anche allo scoperto.

Tre anni dopo, un’altra relazione del Pdc’i confessa di non avere un'esatta conoscenza della situazione, essendo il Pcd'i debole nelle città di Pordenone e Udine, colpito da ondate di arresti e da processi che ne hanno scompaginato l’organizzazione, costringendo i superstiti ad immergersi nella clandestinità più assoluta. Non si nota la presenza di gruppi socialisti, ma si avverte: Sarebbe quindi errato affermare che questi gruppi non esistono. Alcuni elementi isolati – ma con una influenza larga – sono stati da noi avvicinati ("Ferriera"). Identico ragionamento per Gl e repubblicani, mancando una presenza comunista negli strati sociali di insediamento di questi partiti 75.

Nel mezzo, temporalmente, sta la valutazione di Ernesto Oliva sui socialisti, questa volta solo pordenonesi, espresso al congresso di Colonia del Pcd’i nel 1931: il Psi è stato spazzato via dieci anni prima. Ora non si parla più di socialdemocrazia e in questi ultimi anni non si è visto né un manifestino né lavoro socialdemocratici 76. Valutazione probabilmente esatta per quanto riguarda la proiezione esterna del Psi in città all’inizio degli anni ‘30, ma esagerata per quanto riguarda gli effetti della scissione comunista, subito ridimensionata al di fuori del comprensorio cotoniero e di poche altre località. Nella preistoria del Pcd’i pordenonese c’è una specie di peccato originale, rappresentato dal repentino indebolirsi dell’organizzazione appena costituita, con il quasi immediato ritorno al Psi di importanti esponenti locali.

Nel maggio 1921, negli stessi giorni in cui i comunisti danno il loro grande contributo alla difesa di Torre, il partito non è presente alle elezioni politiche nella circoscrizione Udine-Belluno, non essendo riuscito a presentare la lista, ed i socialisti realizzano un grande successo, eleggendo il loro primo deputato pordenonese. Poi ci saranno altri fatti: come la perdita nel giro di pochi mesi di quadri importanti per il Pcd’i ed il sindacato pordenonese, come Pietro Sartor e Costante Masutti, costretti all’esilio dalla città. Sul piano sindacale, l’egemonia comunista sulla Cdl di Pordenone non viene messa in discussione, ma i socialisti le sottraggono i due mandamenti orientali di San Vito e Spilimbergo, organizzando una nuova Cdl affidata alla direzione di Orazio Infanti. E poi avviene la scissione sindacale della maggior parte delle maestranze tessili, passate dalla Fiot allo Svot, con uno strascico di polemiche che coinvolge i comunisti. La CdL deve gestire la grana, risolta temporaneamente con la doppia adesione dello Svot all’Usi ed alla CdL, ma anche con la compresenza nello stesso organismo confederale di ben due sindacati tessili concorrenziali, a diversa direzione politica.

Sei mesi prima (il 16 novembre 1920) il nuovo Consiglio Comunale di Pordenone, a maggioranza socialista, ha eletto fra gli assessori Luigi Brusadin, effettivo con la delega ai Lavori Pubblici ed Edilizia, ed Enrico Marzot, supplente. La loro permanenza nell’amministrazione guidata da Guido Rosso sarà molto breve: infatti - in seguito al congresso socialista di Livorno del 20-21 gennaio 1921 ed alla scissione - i due assessori rassegnano le dimissioni nella seduta del 29 marzo, avendo aderito al Pcd’i. Vengono surrogati il 14 aprile successivo. La scissione segna profondamente il Psi in città, con l’adesione di un terzo dei consiglieri. Testimonia Oliva al citato congresso del Pcd’i: Il partito nella mia località non è stato mai assente, si è formato dopo Livorno con 30 compagni di cui 8 consiglieri

70 Sic. 71 Si riferisce all'attentato ad Ostia contro Mussolini, commesso da un ufficiale della Milizia, nel quale muore un commissario di polizia. 72 ZUCARO, Domenico (a cura di), Socialismo e democrazia nella lotta antifascista 1927-1939. Dalle carte Nenni e dagli archivi di

“Giustizia e Libertà” e del Partito Comunista Italiano, Milano, Annali Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, XXV, 1988, pp. 13-33. Numeri de L’Altoparlante sono riprodotti alle pp. 70-71 (n. 2 del 1927) e 90-91 (n. 12 del 1929, contro il plebiscito).

73 Psuli, Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani, 1927-1930 (nuova denominazione del Psli, nome adottato nel 1925 dai riformisti del Psu, sciolto dopo l’attentato Zaniboni a Mussolini).

74 Ivi, p. 23 e 28. 75 Ifsml, Fondo Pcd’i, b. 5, 1933/38, f. 126, Rapporti di funzionari del Centro e di compagni locali sulle condizioni dei lavoratori e il

lavoro del partito a Udine, Monfalcone, Gorizia, Trieste; manifestini locali, a. 1933: dattiloscritto non firmato, datato marzo 1933, Udinese (Cenni su Monfalcone), contenente dati sulla situazione sociale, economica e politica.

76 Ifsml, Fondo Pcd’i, b. 3, 1926/31, f. 96, IV Congresso Pcd'i: relazioni politico-organizzative dal Friuli e dalla Venezia Giulia, aprile 1931.

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comunali e la Camera del Lavoro era nelle nostre mani. Segue poi nella bozza del discorso un importante spunto di riflessione, che però viene tolto dal discorso definitivo, per essere inserita in tutt’altro contesto: Vi furono parecchi sbagli, inoltre vi è l'emigrazione 77.

Brusadin, che è pure cognato di Oliva, appena ventiseienne al momento dell’elezione ad assessore, è sicuramente rientrato nel Psi il 7 ottobre 1922 quando partecipa all’ultima seduta dell’amministrazione socialista. Nell’estate del 1924, nella fase di movimento che segue all’uccisione di Matteotti, è attorno a lui ed alla sorella Elena che si svolge la ripresa del tesseramento alla Fiot nelle fabbriche tessili 78. Non sappiamo quale sia l’appartenenza politica di Luigi ed Elena Brusadin, ma la riorganizzazione della CdL, coordinata dall’on. Ellero, presso la cui abitazione ci si riunisce, sembra gestita unitariamente dai due tronconi del socialismo, visto che è designato come segretario regionale del sindacato tessile Orazio Infanti, massimalista. Nel gennaio 1925 Brusadin è vittima - insieme ad altri esponenti socialisti e comunisti - di una serie di perquisizioni volte a stroncare il tentativo di riorganizzazione politica e sindacale socialista, anche con l’espulsione da Pordenone di Infanti, con foglio di via. Poi emigra in Argentina, dove diventa imprenditore edile e sembra non svolga più attività politica, pur mantenendo le sue opinioni.

Di Marzot sappiamo qualcosa di più, anche grazie alle testimonianze delle nipoti Evelina e Gualtiera Pasquotti 79. Perseguitato politico dai fascisti è costretto ad emigrare; rientrato dopo l’omicidio Matteotti, deve subito riprendere la via dell’esilio in Francia. Operaio autodidatta di cultura aperta e multiforme, aderirà alla Sfio oltre che al Psi massimalista. L’esperienza di questi primi “dissidenti”, probabilmente delusi dagli sviluppi politici tutt’altro che rivoluzionari imposti dalla reazione al nuovo partito, si sposta per sempre all’estero.

L’analisi dei fascicoli dei socialisti sorvegliati di origine operaia e contadina rivela nella quasi totalità dei casi un percorso simile: la militanza negli anni postbellici, poi l’emigrazione, prevalentemente in Francia, ed infine la permanenza (e spesso la naturalizzazione) all’estero o il rientro e l’abbandono di ogni attività politica. La politica è quindi una dimensione del passato, che trova una sua continuità solo rimanendo lontano dal territorio nazionale.

E’ anche vero che, mancando aggregazioni clandestine che sfocino in processi politici, non abbiamo tutte le schedature che ci vengono fornite per i comunisti 80. D’altra parte queste ultime spesso sono limitate ad una documentazione relativa esclusivamente al periodo attinente il reato, il processo e l’espiazione della pena, senza fornire ulteriori elementi. Anche in questo caso le persone coinvolte sembrano nella loro maggioranza apparire dal nulla, per poi ritornare in una apparente normalità ed in un’adesione al regime egualmente - riteniamo - di facciata.

Un altro aspetto da valutare è la mancanza di schedature per una parte consistente di dirigenti socialisti (alcuni divenuti comunisti) attivi nel periodo che va dalla fondazione del partito alla fase dei movimenti del primo dopoguerra, di cui è noto l’antifascismo, che continua fino agli anni della Resistenza e del periodo successivo alla Liberazione. Le poche notizie di fonte orale testimoniano di persecuzioni, controlli, arresti, di un’opposizione e di una repressione che continuano senza interruzione durante il ventennio. L’assenza di materiali, dovuta alla molteplicità di strutture di polizia (Questura, Carabinieri, Milizia) e di archivi, la maggior parte dei quali distrutti o non accessibili, non può nascondere una realtà più complessa di quanto possa apparire dalle carte. Un’improbabile assenza che non può spiegare il dato macroscopico della persistenza dei legami di massa del socialismo nel Friuli occidentale, che nel dopoguerra avrà un insediamento maggioritario nella sinistra, che dovrà competere con il Pci solo nella città di Pordenone e nel suo ristrettissimo hinterland 81.

77 Ivi, f. 95. 78 Acs, Cpc, b. 1880, f. 71697, Ellero Giuseppe di Enea, minuta del 27-9.1924, prot. . 2478 Gab. 79 PASQUOTTI, Evelina, La bambola di Francia, romanzo autobiografico inedito, [Pordenone], s.d., dattiloscritto; STEFFÈ, Bruno (a cura

di), La famiglia Pasquotti di Pordenone. Il prezzo della coerenza agli ideali democratici, in: Quaderni di storia. Cose nostre, cose di tutti, Pordenone, Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età contemporanea, n. 12, 2002, p. 32.

80 Nel fondo del Casellario Politico Centrale, conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, sono conservati fra i 152.589 (dati sito internet Acs) ed i 158.000 fascicoli (stime precedenti), contenenti documentazione compresa fra il 1894 ed il 1945, raccolti in 5.615 buste. I fascicoli, divisi per “colore politico”, comprendono 43.556 persone schedate come comunisti (pari al 28,54%), 35.850 antifascisti non iscritti a partiti (23,49%), 35.638 socialisti (23,35%), 26.591 anarchici (17,42%), 5.271 repubblicani (3,45%), 213 sovversivi e 21 sospetti. Le donne sono 5006, pari al 3,28% (dati desunti dal sito internet: http://nostos.maas.ccr.it/cpc/Archinauta_NSC.aspx, scaricato il 23 agosto 2006, ed elaborati personalmente). Le schedature di persone nate o residenti in Friuli (considerando la provincia di Udine nei confini pre-1968) sono 3708, o perlomeno tante sono quelle censite nel data base acquisito dall’Ifsml (la più recente schedatura internet - pur permettendo di individuare biografie non riscontrabili sulla precedente banca dati elettronica - è lacunosa, rilevandone di meno: 3658). Di queste schedature, quelle estratte dall’autore e relative al territorio dei 51 comuni della attuale Provincia di Pordenone (più quello di Forgaria, fino al 1968 appartenente al Mandamento di Spilimbergo) sono circa 900: tenendo conto di un’alea di imprecisioni, riscontrate caso per caso, pari al 10%, ci si avvicina al migliaio. Fra gli appartenenti ai partiti - fatte salve le imprecisioni derivanti dal criterio di catalogazione, che fissa l’appartenenza politica una volta per tutte - gli anarchici sono 48 più uno presunto, i comunisti 317, i repubblicani 7, i socialisti 213; uno è indicato come sospetto e due come sovversivi. Le donne sono veramente poche: 17 su circa 900, e di solito sono schedate in quanto mogli o sorelle di altri sorvegliati, a testimonianza di una funzione, riconosciuta loro dal regime, di tipo ausiliario rispetto ad un mondo, quello della politica, riservato al sesso maschile.

81 I rapporti elettorali a sinistra per la Costituente ed il Parlamento nelle cinque fasce geografiche del Friuli occidentale sono i seguenti: 1946 1948 1953 1958 Psiup Pci Fp Psli Psi Pci Psdi Psi Pci Psdi

Montagna 33,52 8,76 13,31 21,92 13,70 9,49 16,86 14,29 9,09 12,69 Pedemontana 33,42 9,70 15,52 20,54 17,44 10,39 9,24 20,74 9,88 9,07 Pianura 35,71 9,71 18,97 18,48 16,68 10,55 8,48 19,36 10,39 7,93 Zona Pordenonese 30,41 22,12 33,06 12,83 15,38 22,46 6,79 20,90 17,21 6,68

Cfr.: ZILLI , Sergio, Geografia elettorale del Friuli-Venezia Giulia. Consenso, territorio e società 1919-1996, Ifsml, 2000.

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E’ quindi necessario esaminare altri indicatori, fra quelli offerti con parsimonia dagli archivi. Un caso finora studiato solo molto parzialmente è quello della cooperazione, vera roccaforte del socialismo friulano prefascista.

10.2 - I cooperatori. Già a proposito di Abele Selva, sindaco di Maniago, i fascisti notano come egli abbia accompagnato il suo

ruolo di amministratore comunale con quello di cooperatore, continuando a presiedere la Cooperativa di Consumo fino al marzo 1925.

Più significativo è il caso di Cordenons, altro comune cotoniero amministrato dai socialisti dopo il 1920, dove all’inizio del 1927 il Fascio richiede il commissariamento delle quattro società cooperative locali (di consumo, lavoro, latteria e mulino) controllate dai socialisti coordinati da Antonio Raffin. Il detto Raffin Antonio è ora sottoposto alla vigilanza speciale per anni due. Qualche consigliere della Coop. di Consumo nel 1919 e 1920 fece parte dei famosi Tribunali rossi e fu organizzatore dei scioperi nei locali stabilimenti di Filatura, Setificio e Cartiera. Cito qualche nome: Azzano Luciano capo e operaio nella Filatura Makò e Vice Presidente della Coop. di Consumo. Paier Alicardo fu Pietro ex Sindaco di qui. Pezzot Ernesto di Francesco pure operaio della filatura. Vagaggini Anselmo di Angelo operaio nella Cartiera ed ex collettore delle leghe rosse, e tanti altri elementi conosciutissimi e sottolineati negli elenchi dei sorvegliati 82. Particolare significativo: la Questura difende Raffin, negando il fatto che egli esplichi alcuna attività sovversiva. In pubblico generalmente è ben visto ed il suo allontanamento dai due enti, di uno dei quali è Presidente e dell'altro Segretario, non è richiesto dall'opinione pubblica. La Società Anonima di Lavoro, risulta essere stata inscritta all'Associazione Fascista Industriale Commerciale Mandamentale di Pordenone fin dal Luglio 1926 83. Se questa presa di posizione non eviterà a Raffin la sorveglianza, che si prolungherà fino al 1944, appare significativo che l’organo di polizia di un governo dittatoriale difenda il principale amministratore di una struttura economica controllata dagli oppositori. D’altronde, se pensiamo che il 19 agosto successivo lo stesso organismo smentisce duramente le denunce del segretario fascista di Budoia Alfredo Zambon, in merito ai funerali dell’altro cooperatore socialista Scussat, anche in quel caso ridimensionandone il valore politico e sottolineando la presenza di esponenti fascisti locali, questi carteggi possono anche suggerire un atteggiamento da liberale giolittiano, per quanto elegantemente ben dissimulato, del Questore Bodini.

Pure a Vallenoncello (comune che verrà accorpato nel 1929 a Pordenone ed anch’esso amministrato dai socialisti dal 1920) nel 1928 la Cooperativa di Consumo, che conta sessanta soci in maggioranza contadini, è presieduta da Nicola Dirindin, l’ex sindaco socialista. Tutti gli altri amministratori nel passato hanno dimostrato idee sovversive, uno è stato denunciato nel 1923 per porto abusivo di rivoltella ed il segretario amministrativo è Riccardo Reni, socialista di Torre. Reni, schedato al Cpc come comunista, è segretario amministrativo pure della Cooperativa di Consumo di Borgomeduna (quartiere di Pordenone) e lo è stato nel passato della Cooperativa Sociale di Torre 84.

La Cooperativa Sociale di Torre, erede del prebellico Magazzino Cooperativo, culla della cooperazione socialista, rappresenta un caso negativo in questo ambito, anche se lo spostamento di Reni dimostra come ci sia una regia nell’utilizzo delle risorse umane qualificate del movimento. Sia nella prima che nella seconda società la gestione della cooperativa non è monoliticamente in mano ai socialisti, che talvolta sono stati messi in minoranza. La divisione continua e si aggrava nel dopoguerra, intrecciandosi alle polemiche dovute alla frantumazione del Psi ma anche con passaggi nel campo popolare e rapporti trasversali fra amministratori della Cooperativa Sociale e don Lozer (patrono delle iniziative cooperative bianche nel quartiere, fra le quali l’Unione Cooperativa di Consumo). Questo provoca dal 1925 il divieto da parte dell’autorità pubblica fascista a convocare le assemblee per ragioni politiche e di ordine pubblico. Nel frattempo il parroco che, dirigente popolare ma soprattutto fedele alle indicazioni ecclesiali, nei primi anni del regime collabora attivamente con i fascisti (si riscatterà più tardi assumendo un atteggiamento coerentemente antifascista e partecipando alla Resistenza), dà spazio sul settimanale diocesano Il Popolo alla polemica contro la Cooperativa. Questa, ormai bloccata nel suo funzionamento, è commissariata nel settembre 1927 e dichiarata fallita nel luglio 1928 85.

La storia delle complesse compagini cooperative avianesi, studiata approfonditamente da Cescut 86, e di quelle carniche (nel primo ventennio del Novecento fra le principali realtà della cooperazione italiana, tanto che il loro presidente, l’avv. Riccardo Spinotti che sarà anche sindaco di Tolmezzo, viene eletto nel 1910 nella direzione nazionale del Psi 87) alterna operazioni di liquidazione gestita dal regime o tentativi di assorbimento nell’Ente Nazionale della Cooperazione, nei quali comunque i fascisti debbono fare i conti con gli amministratori ed i gestori socialisti, vere anime del successo di queste iniziative.

82 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 4, f. 19, 1926-1927, cat. 10.26, lettera della sezione Pnf di Cordenons del 4 febbraio

1927, prot. n. 2 R. alla Prefettura di Udine. 83 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 4, f. 19, 1926-1927, lettera della Questura di Udine del 21 giugno 1927, prot. n.

2901 Gab. alla Prefettura di Udine. 84 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 12, f. 46, sf. Vallenoncello, Cooperativa di Consumo. 85 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 12, f. 45, sf. Torre di Pordenone, Cooperativa Sociale di Consumo. 86 CESCUT, Sigfrido, Cooperative ad Aviano, Roveredo in Piano, Montereale, Palse, Trieste, La Cronaca, 1998; ID., Una storia collettiva.

Scalpellini avianesi all’inizio del Novecento, Aviano, Comune e Biblioteca Civica, 2003. 87 RIDOLFI, Maurizio, Il PSI e la nascita del partito di massa. 1892-1922, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 172; sulle Cooperative Carniche

cfr. PUPPINI, Laura, Cooperare per vivere. Vittorio Cella e le cooperative carniche. 1906-1938, Tolmezzo, Gruppo “Gli ultimi”, 1988.

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Ma è con la Cooperativa Operaia di Consumo di Borgomeduna, a Pordenone 88, che si raggiunge la punta massima della resistenza cooperativa, come testimonia Ernesto Oliva, uno dei primi amministratori, al congresso del Pcd’i. del 1931. Nel 1928, durante il lungo sciopero dei cotonifici, la cooperativa distribuisce a credito per un mese i generi alimentari agli scioperanti, per un valore complessivo di circa 30.000 lire 89. Quindi questa cooperativa, che a dispetto del tentativo di Oliva di dare per scomparsa la presenza socialista a Pordenone è retta soprattutto da esponenti del Psi 90, riesce non solo a passare indenne il periodo fascista, ma a reggere un’esposizione enorme a sostegno di un’agitazione politico-sindacale che vede contrapposta la classe operaia pordenonese al regime, mentre la consorella di Torre, sotto gestione commissariale, vede ulteriormente aggravata la sua precaria situazione economica per la mancata retribuzione degli scioperanti di quella frazione.

Concludendo, considerate le perdite pesanti inflitte dal fascismo alla cooperazione 91, possiamo rilevare come, a questo stadio assolutamente iniziale della ricerca, appaia che non solo la resistenza cooperativistica al fascismo è stata significativa, ma che essa ha conservato in qualche caso il suo ruolo fondamentale di sostegno della resistenza popolare, pur subendo una durissima, ma indubitabile “selezione naturale” in un ambiente ostile. Va però indagato sistematicamente, negli archivi giudiziari e dei comuni, il destino delle cooperative negli anni ‘30, seguendo le vicende aziendali e quelle del personale impegnatovi: se è noto il successo, arrivato fino ad oggi con mutate forme aziendali, delle cooperative di consumo di Borgomeduna, Cordenons ed Aviano, molto poco si sa delle altre.

10.3 – L’entrismo. Infine, un caso singolare apre uno squarcio su quella che può essere intuita come un’altra via di resistenza al

fascismo: l’entrismo. Fenomeno quanto mai ambiguo, e da valutarsi con grande cautela, ma che forse è opportuno cercare di leggere fra le pieghe di quel dilagare di faide paesane fra i fascisti che, in mancanza di una selezione politica democratica, trasformano la vita locale italiana durante il regime in un ripetersi farsesco dei contrasti della fine dell’era comunale nel tardo Medioevo. E’ stato segnalato un caso, quello di Volpago del Montello, uno dei lembi della “Repubblica di Montebelluna” dei fratelli Bergamo nel Trevigiano, dove i repubblicani riconquistano il comune nel 1924 e poi trattano con i fascisti, i quali sono infine costretti ad annetterseli in blocco nel Pnf 92.

Abbiamo trovato un altro caso, quello di Caneva, di cui sono protagonisti dirigenti socialisti, attivi nel Psi-Psu prima della dittatura, e di nuovo nel Psi dopo la Liberazione. Ancora nei primi anni ‘30 è in atto una polemica che divide frontalmente il quasi inesistente fascio di Caneva, con l’attività complottistica di un gruppo che si oppone al podestà gen. Costantino Cavarzerani e soprattutto alla vera autorità del paese, Ernesto Zanetti: primo sindaco fascista nel 1923 e successivamente podestà, denunciato dai socialisti nel dopoguerra come speculatore. Cavarzerani (che durante la Resistenza entrerà nell’Osoppo, tenendo fede ai suoi ideali monarchici) è costretto continuamente a ricorrere all’intervento della Prefettura. A capo di questo gruppo, che non trascura nessun episodio che possa risultare utile nell’azione di attacco al podestà, stanno Enrico Manfé, che è stato assessore socialista dal 1915 al 1919 e sarà segretario del Psiup nel 1945, Giuseppe Dabbà, dirigente del partito prima e dopo la dittatura e soprattutto il medico condotto dott. Alfredo Russi: sanitario impegnato politicamente, il suo passaggio, nei primi anni ‘10, nei comuni di Pasiano, Prata, Brugnera e Caneva aveva coinciso non solo con la nascita delle organizzazioni socialiste, ma con veri e propri episodi di rivolta popolare, come quello che nel 1915 rovescia gli equilibri politici nel feudo dell’on. Chiaradia, rappresentante del blocco conservatore-clericale.

Testimonianze orali trasmesse nelle famiglie canevesi ricordano la coerenza politica e le continue violenze fasciste, soprattutto contro Dabbà e Russi, il quale deve anche allontanarsi per un periodo da Caneva: persecuzioni ricordate dalla sezione del Psiup nel 1945: ebbe a subire principalmente da parte dell’allora Fascio le più spietate persecuzioni, violazioni di domicilio, sequestro di persona, trasferimento alle carceri di Aviano, e bastonature a sangue. Licenziato arbitrariamente dal podestà Zanetti e reintegrato dal Consiglio di Stato, Russi deve abbandonare

88 Sulla storia della cooperativa, cfr. MODOLO, Mariangela e MARIGLIANO , Enzo, Il Borgo e la Cooperativa, 75 anni della Cooperativa

Operaia di Consumo di Borgomeduna, San Vito al Tagliamento, Coop Consumatori Nordest, 1997. 89 Ifsml, Fondo Pcd’i, b. 3, 1926/31, f. 95, IV Congresso Pcd'i: relazioni politico-organizzative dal Friuli e dalla Venezia Giulia, aprile

1931. La notizia è stata confermata personalmente da Oliva a Teresina Degan, che ricorda come anche un grosso commerciante, Torossi, abbia contribuito al sostegno dello sciopero, per il semplice motivo di aver sposato un’operaia.

90 Soprattutto Egisto Toffolo, che tiene il quadro dell’esponente socialista reggiano Camillo Prampolini nella sede della cooperativa fra quelli del re e del dittatore, a troneggiare ironicamente sull’ignoranza fascista. Bell’esempio di tradizione familiare, i figli saranno poi in vari periodi del dopoguerra presidenti della cooperativa: Italo (socialista) ed Emilio (comunista). Cfr.: MODOLO, Mariangela e MARIGLIANO , Enzo, cit.

91 Come si rileva nel primo convegno cooperativo dopo la Liberazione: Il movimento cooperativo come quello che, basandosi su principi e postulati puramente democratici, aveva come insegna la libertà e la lotta contro tutte le forme capitalistiche di sfruttamento e di speculazione era stato osteggiato, misconosciuto e in ultimo mezzo morto era stato "inquadrato" in un sistema coattivo che gli toglieva ogni possibilità di sviluppo e di vita autonoma, distruggendo quindi in pratica i principi essenziali della cooperazione. Dopo il fascismo, sopravvivono meno della metà delle cooperative esistenti ancora nel 1922, quando quasi ogni paese poteva vantare una cooperativa di consumo, una latteria ed una società di mutuo soccorso, ed in tanti anche una cooperativa di produzione e lavoro. Cooperative costituite dal regime non ce ne sono quasi state; centinaia invece sono state sciolte, soprattutto di consumo e di lavoro, cioè quelle che servono per difendere il potere d'acquisto dei lavoratori dalla speculazione commerciale e fornire loro un reddito sfuggendo allo sfruttamento capitalistico: chiara prova della natura di classe del fascismo. Si sono invece salvate, per mezzo di grandi sacrifici, le cooperative di trasformazione dei prodotti agricoli, le latterie e gli essiccatoi di bozzoli e tabacchi (gli essiccatoi ridotti ad una funzione subordinata al mastodontico ed elefantiaco organico del consorzio agrario provinciale). In totale le cooperative sopravvissute sono 815. Cfr.: Libertà, Anno I, n. 100, di mercoledì 29 agosto 1945, p. 1, Cooperazione di oggi cooperazione di ieri. Cenni sulla costituzione dell'Unione provinciale delle Cooperative del Friuli, firmato dal dott. Erminio Zanuttigh.

92 VANZETTO, Livio, cit., pagg. 44-45, 75 nota 164 , 84 nota 318 e 85 nota 327.

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Caneva sotto la minaccia di essere inviato al confino 93. E’ durante la sua lunga assenza nel 1934-1935 che il medico viene espulso dal Pnf, così come gli altri compagni, che si erano iscritti solo nel 1933, con il probabile proposito di conquistare il fascio dall’interno. La velleità del tentativo, subito frustrato dalle autorità, nulla toglie ad un dato di fatto che emerge in maniera clamorosa: lungi dal costituire un elemento di consenso, l’adesione dei socialisti canevesi al Pnf evidenzia la mancanza di basi del regime, soprattutto in un momento di grave crisi sociale, e la sua esposizione a tentativi di arrembaggio da parte degli stessi oppositori.

10.4 - I comunisti. L’attività dell’antifascismo comunista è la più nota, per la scelta del partito di praticare un’opposizione

frontale al regime, soprattutto dopo la “svolta” del 1929, quando l’Internazionale comunista ipotizza l’apertura di una terza fase rivoluzionaria, parallelamente alla crisi capitalistica mondiale. Questa scelta, che all’epoca spacca la direzione del Pcd’i con l’espulsione in breve tempo di almeno cinque dirigenti di primo piano, rimane una delle iniziative più discusse del partito: ancora nei loro ultimi interventi pubblici su l’Unità negli anni ‘70, gli esponenti dei due opposti schieramenti - Luigi Longo ed Alfonso Leonetti - non riuscivano a discuterne astraendosi da una durissima contrapposizione diventata distanza personale.

Vogliamo dare per acquisiti storiograficamente alcuni aspetti certamente negativi della “svolta”: la sua elaborazione nell’ambito della stalinizzazione del movimento comunista internazionale, l’ispirarsi ad una politica di rottura frontale con le altre forze antifasciste ed infine l’alto tasso di perdite pagato dall’organizzazione clandestina comunista, per gran parte sacrificata all’implacabile azione della polizia fascista. In questa sede ci interessa ricostruire le tappe del tentativo di riorganizzazione del Pcd’i clandestino in quegli anni, ed i suoi esiti sul lungo periodo.

La ripresa comunista a Pordenone, dopo i duri colpi della repressione che portano a disarticolare l’organizzazione ed a bloccare l’azione sindacale, avviene in realtà in anticipo rispetto alla svolta: è nel luglio del 1926 che i rapporti dei corrieri del Pcd’i rilevano la ricostituzione di una lega tessile con una ventina di aderenti. L’anno dopo inizia una pesante ristrutturazione, con riduzioni degli orari di lavoro e di salario e licenziamenti in massa. Nell’ottobre 1927, con il passaggio degli stabilimenti del Cotonificio Veneziano alla nuova proprietà degli industriali triestini Brunner, si arriva ad un piano che prevede il licenziamento della gran parte delle maestranze ed il mantenimento della produzione attraverso il raddoppio dei telai assegnati alle operaie rimaste. La nuova proprietà - come rivelano gli stessi rapporti della Prefettura - agisce a prescindere da qualsiasi interesse generale, senza neanche preoccuparsi di quali possano essere le conseguenze sull’ordine pubblico, puntando ad acquisire a basso prezzo tutto il capitale azionario degli stabilimenti. E’ in questo quadro che si colloca lo sciopero, che dura circa un mese fra febbraio e marzo 1928, giudicato dalla storiografia il più lungo e compatto nell’industria tessile italiana sotto la dittatura. Un’agitazione che si trasforma subito in sciopero politico, con manifestazioni e scontri di piazza, l’arresto di una parte delle scioperanti ed il pesante intervento diretto di Mussolini, che impedisce ogni accordo sindacale proprio perché intuisce il carattere politico dello scontro e vuole una sua sconfitta completa. 94

Dietro lo sciopero sta l’organizzazione clandestina del Pcd’i, pur ridotta ad un numero ristrettissimo di elementi, diretta dal pordenonese Ernesto Oliva e dal segretario della federazione provinciale Giacinto Calligaris, che realizza anche un comizio pubblico: dopo tale iniziativa però Calligaris deve espatriare per sfuggire all’arresto, e la federazione udinese perde ogni contatto con Pordenone. Gli stessi emissari del centro del partito agiscono in contrasto fra loro, e chi è presente ad Udine rimane inattivo di fronte al rifiuto di chi è succeduto a Calligaris nella guida della federazione ad intervenire nel centro tessile. Non si tratta solo di paura della repressione poliziesca, ma anche di una esplicita sottovalutazione del movimento, che viene lasciato al suo destino, irridendo alle proposte organizzative dei funzionari del partito (presenti in gruppo nella zona). In tal modo il movimento viene lasciato a se stesso, fino ad una conclusione che rappresenta comunque - data la situazione - un parziale successo: va detto che nell’organizzazione degli scioperi hanno ancora un ruolo importante le esperienze degli anni precedenti al fascismo, sia in termini di politicizzazione degli operai che di presenza di quadri politici, sia comunisti che socialisti. Un problema che viene sollevato dai funzionari è quello della significativa distanza fra Udine e Pordenone, che consiglierebbe la costituzione di un’organizzazione autonoma in questa zona.

Il partito cresce negli anni immediatamente successivi, durante la “svolta”, ma soprattutto per gli effetti della crisi economica, aggravata nei cotonifici dal crollo dei Brunner e dai passaggi di proprietà degli stabilimenti. Sul piano agrario, il Consorzio di bonifica Cellina-Meduna avvia pratiche di esproprio coatto della piccola proprietà, su cui fa gravare i costi della bonifica, anche quando questa era già stata realizzata dalle amministrazioni precedenti (come nel caso del Comune di Cordenons, la cui giunta socialista nel 1920-1923 aveva già provveduto a bonificare parte dei magredi).

In questo quadro a Pordenone si costituisce un forte gruppo del Pcd’i, che fa capo ad Oliva ed a Guido Boccalon, articolato su cellule, alcune delle quali (a Torre) della Fgcd’i. L’organizzazione ha collegamenti nelle fabbriche, dove opera un nucleo della Cgdl, prevalentemente costituito da donne, che può contare su decine di aderenti. I contatti ci sono dal 1929, anche se l’attività del gruppo si esplica soprattutto a cavallo fra il 1930 ed il 1931, con volantinaggi negli stabilimenti industriali, ma anche di fronte alle chiese (per contestare la giornata di preghiera contro

93 Il Lavoratore Friulano, n. 22 dell’8 dicembre 1945, p. 2, Caneva di Sacile, Al C.L.N. di Caneva. 94 Rinvio per una più ampia trattazione ai due studi contemporanei di: DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie, cit. e BIANCHI,

Bruna, I tessili: lavoro, salute, conflitti, in: La classe operaia durante il fascismo, Milano, Annali Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, XX, 1981, pp. 973-1070, in particolare pp. 1018-1021.

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l’Unione Sovietica), e con azioni dimostrative eclatanti, come l’esposizione della bandiera rossa sul campanile di Torre, il 1° maggio 1930, da parte dei giovani comunisti. Il gruppo si riunisce a casa di Boccalon, a Pordenone, oppure all’aperto, in località di campagna, con una presenza numerosa dei compagni. Il materiale progandistico è distribuito in migliaia di esemplari, e si considera che la stampa comunista sia stata letta da almeno 1500 operaie.

Nella primavera del 1933, poco dopo l’ispezione di Teresa Noce, il gruppo viene arrestato in gran parte: sarà poi sottoposto a processo dal Tsds il 25 novembre 1931, con 13 imputati. Tutti confessano l’appartenenza all’organizzazione, trascinando nell’inchiesta gli altri compagni, con l’eccezione di Fioravante Lucchese, l’unico che rifiuta ogni ammissione e verrà rinchiuso in manicomio criminale 95. Altri sei imputati, latitanti, sono stralciati dal processo, mentre due, Flora Fantin e Libero Panegos, sono assolti in istruttoria per insufficienza di prove 96. Fra quelli che sfuggono è Ernesto Oliva, che può così partecipare, poco dopo, al IV congresso del Pcd’i a Colonia, dove verrà eletto nel Comitato centrale.

La documentazione conservata nell’archivio del Pci testimonia però di come, a dispetto dell’arresto di tanti attivisti e dell’isolamento dalla federazione di Udine, il Pcd’i pordenonese continui la sua attività, pur immergendosi in una clandestinità dalla quale non emergono nomi e collegamenti, simile in questo allo stile dei compagni socialisti 97. Nel frattempo, l’insofferenza popolare si dispiega spontaneamente: nel maggio 1931 si sviluppano violente rivolte contro la nuova fiscalità imposta dal Consorzio Cellina-Meduna a Roveredo in Piano e San Quirino (seguite in agosto da quella di Cordenons). A Rivarotta di Pasiano gli operai della fornace scendono in sciopero ed intonano in corteo il canto di Bandiera rossa; si segnala inoltre come la bandiera rossa sia stata effettivamente issata sulla ciminiera dell’essiccatoio bozzoli di Codroipo. Scontri con la forza pubblica ed arresti in massa sono segnalati quasi ovunque. Iniziative tutte che si manifestano senza che il Pcd’i abbia riferimenti organizzativi nei vari centri - salvo Cordenons - ma che non a caso avvengono laddove in passato rivolte popolari si sono saldate con la presenza della sinistra radicale o socialista (San Quirino e Roveredo), i comuni sono stati amministrati dai socialisti (Cordenons e precedentemente Codroipo, sede di uno dei primi nuclei del Psi) od in centri di industrializzazione in ambito rurale (Rivarotta) 98.

Le operaie cotoniere nell’agosto-settembre 1931 organizzano spontaneamente alcune manifestazioni pubbliche contro i licenziamenti, ottenendo successi limitati. In un suo rapporto, “Antonio” (Oliva, che viene informato dalla moglie rimasta in città) rileva come la capacità occupazionale dei cotonifici, arrivati nel periodo di massima attività a dar lavoro a 11.000 operai poi calati ad 8.000, si sia ridotta della metà a seguito dei licenziamenti, e come i movimenti operai non possano essere sostenuti dalla debole struttura locale, in mancanza di un funzionario presente in loco e di collegamenti con il partito. I resoconti dei funzionari (soprattutto donne) di passaggio notano come, nonostante l’entusiasmo suscitato dai contatti e la distribuzione del materiale, l’orientamento sia quello di non uscire allo scoperto per non subire ulteriori perdite.

Se il Pcd’i allenta i suoi contatti con Pordenone (ma ancora nel 1932 viene arrestato un corriere del partito, e va tenuto conto che fino all’anno successivo operano come funzionari centrali del partito Ernesto Oliva ed Ida Brusadin, con i nomi di battaglia di Antonio ed Antonia), anche per la drammatica crisi economica che trasforma la città cotoniera in una plaga di disoccupazione di massa, emergono altri gruppi: in particolare a Spilimbergo, centro del Friuli occidentale più legato ad Udine per vicinanza, comunanza linguistica ed omogeneità sociale con il Friuli centrale. Spilimbergo infatti, a differenza dell’area industriale pordenonese, è la tipica cittadina con funzioni di intermediazione

95 Cfr.: MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Decisioni emesse nel 1931, Roma, 1985, pp.

448-459. 96 L’assoluzione di questi due imputati lascia un’ombra sul loro ruolo nella cattura del gruppo comunista pordenonese. Flora Fantin,

proveniente dal Belgio, è il primo arrestato (a dispetto del nome, è un uomo) cui vengono ritrovati materiali propagandistici del Pcd’i: in suo favore intervengono le autorità belghe, visto che è naturalizzato, e questo forse può spiegare l’assoluzione, ma potrebbe anche essere stato l’autore di un “compromesso” con le autorità in cui baratta la sua salvezza con la delazione. Fantin è citato da: MORELLI, Anne, Fascismo e antifascismo, cit., pp. 72-73, come un esempio di emigrante il cui comportamento politico è profondamente cambiato all’estero, nel senso della sua politicizzazione. Più chiaro il ruolo di delatore di Panegos, che fra l’altro sarà denunciato come traditore da un ciclostilato realizzato dal Pcd’i. Una copia della circolare è reperibile nei fascicoli delle persone ivi citate: Acs, Cpc, b. 886, f. 12176, Buffolo Oscar di Angelo, circolare del 28 dicembre 1934 del Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, prot. n. 441/044272, Elenco di spie pubblicato dal partito comunista (Buffolo vi è per altro incluso nella categoria di chi ha richiesto la grazia: esponente fin dalle origini degli Arditi del Popolo, approfitterà della liberazione per riprendere l’attività antifascista e partecipare alla guerra di Spagna, morendo poi per le conseguenze del conflitto). Sulla circolare e sui suoi effetti ed implicazioni, cfr.: FRANZINELLI , MIMMO , I tentacoli dell’Ovra, cit., pp. 346-352, dalle cui conclusioni mi permetto di dissentire: proprio la lettura degli atti di questo processo a proposito di Panegos, e di quello al Centro interno del Pcd’i capeggiato da Secchia, arrestato nello stesso periodo (in questo caso relativamente ai tre appartenenti alla cellula di cui fa parte il sanvitese Antonio Nonis, il cui responsabile è stato il delatore che ha permesso l’arresto di Secchia) testimoniano di come il partito fosse riuscito ad individuare effettive infiltrazioni al suo interno, che non possono essere ridotte a paranoie staliniane.

97 Ad esempio, solo nel 1938 viene inviato al confino il comunista Rodolfo Da Ponte, diffusore della stampa comunista: non essendo mai stato individuato, viene accusato di aver tracciato una scritta su un muro del cotonificio di Pordenone: “A morte il duce e i suoi apostoli”. Cfr.: DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie, cit., pp. 158-160, insieme ad altri episodi, e DAL PONT, Adriano, CAROLINI, Simonetta, L'Italia al confino. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano, La Pietra, 1983, secondo volume, p. 668.

98 Questi avvenimenti rafforzano l’opinione espressa da: CANALI , Luciano, E se fosse dissenso di massa? Elementi per una analisi della “conflittualità politica” durante il fascismo, in: Italia contemporanea, Milano, 1971, n. 144, p. 104, secondo cui la repressione dei contadini, a differenza di altre categorie sociali, non viene gestita attraverso il Tribunale Speciale, ma altri organi. Tesi corretta (non vengono avviati al Tsds né i rivoltosi di questi comuni, né quelli di Castelnovo del Friuli del 1933, ed i loro destini passano per le decisioni della magistratura ordinaria, le ammonizioni e le diffide, tutti fenomeni ancora da studiare sistematicamente), ma meritoria di una ulteriore espansione: neanche le molteplici agitazioni operaie, si tratti dei fornaciai di Rivarotta o delle operaie cotoniere di Pordenone, vengono portate all’attenzione del Tsds, e vengono gestite dalla magistratura ordinaria. In generale, appare come le autorità di P.S. fasciste distinguano in linea di massima fra la dissidenza politica in senso proprio (nella quale viene inglobato il pulviscolo di episodi di offese al Duce) e quella sociale, cercando di non farle coincidere in quello che diventerebbe un pericoloso collo di bottiglia.

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commerciale ed artigianale a servizio di un distretto agricolo collocato fra montagna, collina ed alta pianura arida, fortemente segnato dall’emigrazione qualificata di muratori, terrazzieri e mosaicisti 99. A Spilimbergo e nei vicini paesi di Pinzano, Lestans e Castelnovo, si situa un centro importante della scissione comunista del 1921 e della resistenza clandestina all’antifascismo.

Nello Spilimberghese le persone in contatto con il partito sono circa 100, tanto che si pensa di realizzare addirittura un congresso. I funzionari che prendono contatto con l’organizzazione notano con sconforto una caratteristica notevole di questa zona di artigiani e contadini espropriati dagli oneri consorziali: la totale mancanza di regole cospirative, la sicurezza con la quale ci si riunisce in pubblico, si discute con la gente, ivi compresi gli avversari politici; non si ha tema di manifestare le proprie idee con gli stessi agenti delle forze dell’ordine. Un indicatore di sicurezza e di consenso, che verrà avvalorato ulteriormente dalla vastità della rete comunista scoperta e processata: 48 fra imputati portati al giudizio finale del Tsds ed assolti in istruttoria, cui si aggiungono altri antifascisti, come l’ex sindaco socialista Cantarutti 100.

A capo della rete comunista spilimberghese ci sono i falegnami Angelo Mirolo e Leone Peressini ed il fabbro Amedeo Fritz, di Spilimbergo, il muratore Dante Tonelli di Castelnovo del Friuli e l’arrotino Luigi Bortolussi di Lestans, uno dei principali dirigenti del comunismo friulano, nel dopoguerra direttore del settimanale del partito Lotta e lavoro fino alla morte prematura 101. Questa organizzazione è una delle principali della federazione, attiva nel promuovere nel 1932-1933 agitazioni fra le operaie della filanda disoccupate. I movimenti dei disoccupati sono la principale preoccupazione del partito, in una situazione in cui le industrie sono minori, e la mancanza di lavoro è prodotta soprattutto dal blocco dell’emigrazione per la crisi internazionale. In quest’area, oltre alla filanda, c’è una polveriera per la preparazione di proiettili, dove la manodopera è esposta a rischi mortali, lavorando in condizioni di totale assenza di sicurezza: come testimonia l’esplosione del 1929 in cui rimangono carbonizzati una dozzina di operai ed altrettanti sono gravemente ustionati: episodio che il regime cerca di celare con il generalizzato sequestro dei quotidiani che riportano la notizia 102.

Un esempio importante di agitazione dei disoccupati è l’occupazione del municipio di Castelnovo nel 1933 da parte di 300 operai, che ottengono di essere adibiti a lavori nelle bonifiche pontine. Esperienza che si rivela disastrosa, come denuncia la stampa comunista, costringendo la gran parte di essi al rapido ritorno da Littoria, che avviene nel corso di poche settimane, a causa delle durissime condizioni di lavoro, di alloggio, la violazione degli accordi salariali e l’insorgere della malaria. Gli operai debbono venir rimpatriati con sussidio pubblico, alcuni si arrangiano a tornare a piedi, va peggio a quelli che sono costretti a rimanere nelle paludi per rimediare qualche lira per rientrare 103.

Una terza realtà del partito nel Friuli occidentale è quella di San Vito al Tagliamento, che nel 1933 conta circa 150 iscritti, con collegamenti anche nel Veneto 104. Complessivamente, dopo gli arresti che dall’autunno di quell’anno disarticolano la federazione di Udine e si concludono con un ciclo di 5 processi al Tsds tenutisi nell’ottobre 1934 (fra i quali i due dedicati quasi esclusivamente all’organizzazione spilimberghese), l’apparato comunista friulano appare gravemente scompaginato. I gruppi residui sono spaccati fra le due diverse opzioni, quella “svoltista” e quella “opportunista” che conta forti aderenze nella federazione, mantenendo contatti unitari con ambienti socialisti. Il riferimento di San Vito appartiene a questa corrente, mentre l’organizzazione di Pordenone è spaccata a metà, con due gruppi che si fronteggiano sulle diverse linee.

Ancora nel 1934 i funzionari in missione in Friuli cercano di riorganizzare i centri stampa del partito, rilevando l’esistenza ancora di una stampante (inattiva) a Pordenone e cercando di collocarne un’altra a Spilimbergo, dove i compagni - appena liberati - hanno ripreso immediatamente l’attività ed appaiono in grado di sostenere il lavoro della federazione. Negli anni successivi il rapporto fra la struttura del Pcd’i ed il Friuli sembra esaurirsi, come appare dall’interruzione delle testimonianze dell’archivio del partito. Oggettivamente, di fronte alla quasi totale chiusura dei cotonifici, e ad una crisi che spinge all’emigrazione di massa una popolazione ridotta alla fame 105, ne escono rafforzate le tendenze a spostare all’estero le attività stesse del partito, come dimostra ad esempio l’assunzione di informazioni

99 Decenni dopo, lo Spilimberghese si differenzierà polemicamente dal Pordenonese soprattutto nella fase della costituzione della nuova

provincia, fornendo una base cospicua all’insediamento, dagli anni ‘60, del Movimento Friuli e poi dei settori friulanisti della Lega Nord. Uno dei comuni del mandamento, Forgaria, rifiuterà l’appartenenza alla nuova provincia e ritornerà immediatamente in quella di Udine, pur mantenendo contraddittoriamente legami sociali ed amministrativi con i comuni confinari, come per alcuni anni l’Unione comunale con Pinzano.

100 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Decisioni emesse nel 1934, Roma 1989, pp. 145-158.

101 LIZZERO, Mario, Luigi Bortolussi “Marco”. Una vita per la libertà, Udine, Ifsml, [1986]. 102 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 6, f. 23, cat. 14 f. 12, Sequestri in genere, articoli dai numeri di mercoledì 5 giugno

1929 dei quotidiani Il Popolo di Trieste, n. 133, Micidiale esplosione in un deposito a Spilimbergo; Il Piccolo, n. 2955, Tremendo scoppio presso Spilimbergo ed Il Gazzettino, n. 134, Dodici morti e numerosi feriti in un disastroso incendio a Spilimbergo e carteggio relativo ai sequestri.

103 Acs, Tribunale Speciale, Materiali a stampa, b. 15, f. 199 Battaglie sindacali, anno XIII, n. 5, settembre 1933, Scioperi e agitazioni in Italia. Dal Friuli. 300 disoccupati invadono il Comune di Castelnuovo, articolo firmato Un bracciante.

104 Ardito Fornasir indica come riferimento del Pcd’i a San Vito, anche dopo gli arresti di questo periodo, l’operaio Nicolò Pietro De Fend: cfr. Ifsml, Fondo diari e testimonianze, b. 1, f. 15, Storia della Resistenza nella Destra Tagliamento ad opera di Fornasir Ardito “Ario”. De Fend, inizialmente schedato come anarchico, in questa fase sembra però prevalentemente attivo all’estero: emigrato nel 1924, attivista della Lega per i diritti dell'uomo in Francia, espulso per motivi politici, arrestato al rimpatrio, l'8.1935 e confinato (Ventotene) per 5 anni. Liberato il 7.4.1940. Arrestato il 5.8.1942 per propaganda comunista, confinato (Tremiti) per altri 5 anni. Liberato il 25.8.1943. Cfr.: DAL PONT-CAROLINI, L'Italia al confino, cit., voll. II, pp. 657 e 680; DAL PONT-CAROLINI-MARTUCCI-PIANA -RICCÒ, Antifascisti, cit.

105 I rapporti dei funzionari comunisti sottolineano come i cotonifici operino al minimo degli organici, mentre i rapporti sulla situazione economica dei podestà, conservati presso l’Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, descrivono una realtà dove la popolazione attiva sopravvive con i pochi lavori pubblici distribuiti a turno, mentre ci si affida alla speranza di inviare disoccupati nei lavori di bonifica delle Paludi Pontine od in Africa.

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molto precise sugli stabilimenti industriali pordenonesi, raccolte in Francia da emigranti entrati in contatto con la Fgcd’i.

10.5 - La violenza armata nel dibattito e nella pratica antifascista. La violenza squadrista si esprime nei confronti di persone in gran parte inermi, e proprio questo confronto

asimmetrico fra un mobile esercito irregolare, ma sostenuto organicamente da settori dello Stato, ed un movimento nella sua maggioranza pacifico, spiega il successo della campagna fascista di conquista del territorio e poi del potere nazionale. Ma i fascisti non trovano sempre la strada spianata alle loro violenze: l’esperienza della guerra ha segnato le giovani generazioni popolari, si sperimenta l’utilizzo delle armi nel conflitto sociale, avendo come modello la rivoluzione bolscevica e le esperienze insurrezionali in Germania ed Ungheria. Si utilizzano anche le professionalità dei combattenti e degli ufficiali, magari ex interventisti e combattenti nei reparti speciali di arditi. La difesa di Torre, con le strade tagliate da trincee e l’utilizzo di armi da guerra, non è un episodio solitario e non sarebbe comprensibile senza queste componenti. Seguono di lì a poco la difesa di Treviso, dove è fondamentale il contributo degli ex combattenti repubblicani guidati da Guido Bergamo 106 e l’anno dopo l’episodio più ampio, quello di Parma.

I rivoli della resistenza, per quanto disarticolati, sono molto più diffusi di quello che potrebbero far pensare le isolate maggiori battaglie dell’antifascismo. Ne è una prova la diffusione del movimento degli Arditi del popolo 107. Essi si organizzano anche nel Pordenonese, e sono all’origine della resistenza di Torre: ma verranno successivamente stroncati con un’azione repressiva delle forze di polizia. Lo spettro politico del movimento va ben oltre le file della sinistra, con l’adesione anche di esponenti del Ppi 108. Il radicamento della resistenza unitaria è testimoniato dalle perquisizioni che, ancora all’inizio del 1926, vengono effettuate dai carabinieri a Visinale di Pasiano alla ricerca di armi, come atto di rappresaglia verso le proteste seguite alla chiusura della Casa del Popolo bianca di Prata. Vengono perquisite le abitazioni di contadini appartenenti tutti al partito popolare, senza per altro riuscire a trovare alcuna arma. Nessuno di loro risulta fra gli aderenti agli Arditi del Popolo precedentemente inquisiti, ma si nota la coincidenza con i luoghi di residenza degli arrestati di cinque anni prima 109.

L’uso della violenza è però antecedente allo scontro con i fascisti, e nasce dalla pratica della lotta di classe. E’ noto l’utilizzo di forme di boicottaggio e violenza radicali da parte dello stesso riformismo padano, per imporre la coesione degli scioperi agrari e l’imponibile di mano d’opera. Nelle fabbriche la violenza è connaturata ai picchetti per imporre lo sciopero, come testimonia esplicitamente l’emigrante comunista clautano Venanzio Parutto: Nel 1919 faccio parte dei picchetti di sciopero (squadre pestaggio dei crumiri), durante lo sciopero generale a Milano, che dura 60 giorni. Ma si tratta di una violenza non strutturata per un vero scontro militare, non coordinata a livello territoriale, priva di una direzione nazionale: efficace sul piano delle singole lotte locali, è destinata a crollare come un castello di carte di fronte all’offensiva fascista. Sempre Parutto testimonia cosa accade durante la Marcia su Roma, quando sta svolgendo il servizio militare proprio nella capitale: con altri compagni cerca di mettersi in contatto con il partito per organizzare la resistenza ai fascisti, ma non c'è stato possibile, assistiamo passivamente alla occupazione di Roma da parte dei Fascisti e alla nomina del Governo di Mussolini 110.

La questione della resistenza armata ritornerà di lì a qualche anno, agitata dai comunisti che si riorganizzeranno a Pordenone all’inizio degli anni ‘30, durante la “svolta”. Lo rileva in un incontro la funzionaria “Clara”: fatto ancora più significativo, questa posizione emerge il 29 settembre 1931 - dopo che gran parte degli organizzati locali sono stati arrestati - da parte dei compagni superstiti, celati nella più assoluta clandestinità e che non a caso sfuggiranno ad ogni individuazione. Dicono (...) che sono stanchi di distribuire la nostra stampa che sono pronti per le armi. Gli risposi che non è con quel metodo che si fa la rivoluzione, non è con una quarantina che si abbatte il fascismo, ma abbiamo bisogno della massa, per conquistarla, è con la distribuzione della stampa. Se la richiesta di passare ad azioni armate può apparire velleitaria, in una situazione in cui la maggioranza dei compagni superstiti è impaurita dalla pressione poliziesca che si fa sentire con continue perquisizioni, non appare più convincente il pretendere di continuare ad agire sul piano della propaganda nella speranza di far scendere in lotta le masse. Clara stessa non può che ammettere nella sua relazione quanto grande sia il valore di questi compagni (e compagne) che continuano a tessere le fila dell’organizzazione della Cgdl nei cotonifici, mentre i collegamenti e gli aiuti del partito sono venuti meno, lasciando anche le famiglie degli arrestati nell’inedia 111.

106 Sull’invasione fascista di Treviso e la resistenza antifascista, cfr. SCATTOLIN, Francesco, Assalto a Treviso. La spedizione fascista del

13 luglio 1921, Verona, Istresco/Cierre/Canova, 2001; su Guido e Mario Bergamo, cfr.: VANZETTO, Livio, Profilo dei fratelli Bergamo, in: ID. (a cura di), L’anomalia laica. Biografia e autobiografia di Mario e Guido Bergamo, Verona, Istresco/Cierre, 1994.

107 Sugli Arditi del popolo in anni recenti due testi hanno finalmente fornito una ricostruzione complessiva: ROSSI, Marco, Arditi, non gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli arditi del popolo 1917-1922, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 1997 e FRANCESCANGELI, Eros, Arditi del Popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Roma, Odradek, 2000. Mimmo Franzinelli, ne I tentacoli dell’Ovra, cit., pp. 43-51, ha ricostruito l’ambiguo percorso di due promotori importanti del movimento, l’avv. Vittorio Ambrosini e l’on. Giuseppe Mingrino, fino alla collaborazione con il regime, elemento trascurato da Rossi; Francescangeli - che ha scritto successivamente - ha tenuto conto di questo dato.

108 DEGAN, Teresina, Gli Arditi del popolo nel Pordenonese, in Storia contemporanea in Friuli, anno XXX, n. 31, Udine, Ifsml, 2001, pagg. 121-147.

109 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 4, f. 19, 1926-1927, cat. 9.3, lettera del sottoprefetto di Pordenone Galliari del 29 maggio 1926, prot. Gab. n. 12, alla Prefettura del Friuli, con sovrascritture del prefetto, che la usa come minuta per la lettera da inviare al Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Divisione Affari Generali e Riservati.

110 Archivio Casa del Popolo di Torre, fondo Commissione Quadri della Federazione del Pci, b. non numerata, f. Parutto Venanzio. 111 Ifsml, Fondo Pcd'i, b. 4, 1931/33. f. 103, Rapporto sul mio viaggio all'interno (settembre 1931), firmato Clara.

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Non si tratta di chiacchiere, di un momento di disorientamento. La posizione pordenonese verrà esplicitata nel successivo XI congresso clandestino della Fgcd’i, che si tiene di lì a poco, dall’intervento di “Antonietta” (Ida Brusadin 112): Il pensiero dei compagni è quello di lottare. Pordenone non vuole che armi. Io li condivido. Bisogna agire. La scelta di passare alla lotta armata è interna alla prospettiva dell’imminente crollo del fascismo, conseguente alla grande crisi capitalistica, che agisce in città con la disoccupazione di massa, di cui gli oppositori del regime sono le prime vittime. Più che una fuga in avanti, si prospetta quindi un’accelerazione della svolta, che ponga fine all’inutile stillicidio di compagni sacrificati in un’azione propagandistica giudicata inefficace 113.

E’ significativo che questa dura presa di posizione giunga a riproporre, mesi dopo il suo arresto, le tesi sostenute da Pietro Secchia, in un congresso presieduto dal suo successore e critico Davide Maggioni. Questi da Mosca, con la copertura di Ruggero Grieco e nell’ambito di una manovra rivolta contro Togliatti, aveva liquidato già nella primavera dell’anno precedente la proposta del segretario della Fgcd’i Secchia di sviluppare la realizzazione dei giovani arditi antifascisti, come una deviazione di sinistra. Secchia, su consiglio del segretario del partito, aveva convocato un Cc della Fgcd’i a Parigi per fare autocritica sulle sue posizioni esplicitamente favorevoli a portare sul terreno dello scontro armato la lotta antifascista. In tal modo, pur confermando sia la federazione giovanile che il partito l’opzione per l’organizzazione dei gruppi di autodifesa (per il partito interviene al Cc Luigi Longo), questa viene in realtà accantonata. Riflettendo anni dopo su questi avvenimenti, Secchia li inquadrerà nell’incapacità dell’Internazionale Comunista di individuare una precisa strategia di resistenza al fascismo, vuoto politico che porterà - di lì a poco - i comunisti tedeschi ad assistere inermi alla conquista del potere da parte del nazismo. In tal modo, la svolta risulterà monca e limitata alla sola propaganda, rinunciando ad organizzare e dirigere le manifestazioni popolari, utilizzando l’opzione della violenza sia in funzione difensiva (per proteggere i singoli attivisti e le manifestazioni) che sviluppando il livello dello scontro, puntando a trasformare le manifestazioni pacifiche in sollevazioni armate. E rinunciando così - anche a causa di prese di posizione settarie contro la nascente organizzazione di Giustizia e Libertà, che inizia a presentarsi con azioni clamorose, come i voli propagandistici sulle città italiane - all’utilizzo della più ampia pluralità di forme di lotta antifascista, ivi comprese forme di azione diretta spettacolare capaci di rincuorare l’opposizione popolare.

Non si tratta di posizioni limitate alla sola organizzazione giovanile: pochi mesi prima, al congresso di Colonia del partito, Ernesto Oliva era intervenuto nel dibattito riproponendo la vittoriosa esperienza difensiva di Torre e degli Arditi del Popolo unitari, non a caso insistendo sulla necessità di espandersi nelle campagne, dove necessariamente la mobilitazione non può che confrontarsi con il mondo cattolico 114.

Il Pcd’i, nato per fare la rivoluzione, ricade così nella scia del marxismo evoluzionistico, rinunciando a dirigere effettivamente le masse. Secondo Secchia, solo l’esperienza successiva della guerra civile in Spagna farà comprendere al gruppo dirigente del Pcd’i la necessità di passare dalla sterile critica del terrorismo alla concreta formazione dei quadri nella prospettiva della lotta armata sul territorio nazionale, come verrà concretamente organizzata a partire dal 1942-3. Il ritardo sulla questione della violenza, unito a quello sulla questione nazionale, produce inoltre la nascita di organizzazioni concorrenziali di tipo terroristico come nella Venezia Giulia il Tigr, sorto in ambito nazionalistico sloveno, ma cui aderiscono molti comunisti, portandovi la loro tecnica cospirativa e versando un tributo di sangue: è comunista uno dei quattro antifascisti fatti fucilare dal Tsds a Basovizza (Ts) il 6 settembre 1930.

La presa di posizione dei comunisti pordenonesi si inserisce così in un’ultima battaglia della sinistra svoltista del partito, che coniuga l’esperienza quotidiana della mancanza di strumenti concreti di protezione e reazione alla violenza fascista, con la necessità di dotarsi di una credibile organizzazione rivoluzionaria per abbattere il regime 115. Ovviamente rimane aperto l’altro aspetto della questione: come si potesse praticare la prospettiva dell’intensificazione dello scontro con il regime con una politica di totale rottura a sinistra con le altre forze socialiste e democratiche. Questione messa in rilievo sia negli opuscoli propagandistici sequestrati ai cospiratori comunisti, sia nello stesso stile delle comunicazioni interne al Pcd’i, tutti ispirati ad un pesante settarismo privo di prospettive.

10.6 - A sinistra del Pcd’i. Per quanto misconosciuta, esiste in questo territorio una presenza di appartenenti alle formazioni comuniste

sorte a sinistra del Pcd’i, bordighisti e trozkisti. Esistono almeno tre casi, tutti collocati nello Spilimberghese: innanzitutto Domenico Sedran di San Giorgio della Richinvelda, le cui memorie sono state edite da Antonio Moscato nella rivista della Lega Comunista Rivoluzionaria 116. Sedran opera nell’emigrazione in Francia e Belgio. Aderisce alla

112 Acs, Tsds, b. 443, f. 4338, sf. personale Ernesto Oliva, lettera di Zio Nicola della C.G.d.L. ad Antonio del 25 febbraio 1932, in cui dà

notizie di Antonietta. Altrove appare invece come Antonia. Zio Nicola forse è Di Vittorio, che usa come nome di copertura Nicoletti. 113 Ifsml, Fondo Pcd'i, b. 106, Interventi di giovani del Friuli e della Venezia Giulia all'XI Congresso della FGC, senza data, 1931. La

datazione è data dal riferimento agli auguri al Komsomol, nel 14° anno della Rivoluzione sovietica. In mancanza di dati precisi sui congressi della Fgcd’i, sorge il dubbio che possa invece trattarsi dell’11a sessione plenaria del C.E. della Internazionale comunista, che dovrebbe pure essersi tenuta nel 1931: cfr. Acs, Cpc, b. 1980, f. 116341, Favot Bruno, relazione sull’arresto della Prefettura di Bs a Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Divisione Affari Generali e Riservati del 27 giugno 1933, prot. P.S. n. 441-08886, p. 5.

114 Ifsml, Fondo Pcd'i, b. 3, 1926/31, f. 96, IV Congresso Pcd'i: relazioni politico-organizzative dal Friuli e dalla Venezia Giulia, aprile 1931.

115 SECCHIA, Pietro, L’azione svolta dal partito comunista in Italia durante il fascismo 1926-1932. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, Milano, Annali Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, XI, 1969, pp. 339-353 e (sul Tigr) 357-360; su Davide Maggioni, cfr.: ANDREUCCI-DETTI, cit., terzo volume, pp. 219-221, biografia a cura di G. Isola.

116 SEDRAN Domenico, Memorie di un proletario rivoluzionario, in: Critica comunista, n. 8/9, Milano, luglio/ottobre 1980, pp. 133-184.

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IV Internazionale uscendo dal Pcd’i alla fine degli anni ‘20, durante le lotte di tendenza contro la sinistra del partito. Partecipa alla guerra di Spagna, pur in una posizione di rottura con il Poum, per l’adesione del militante spilimberghese alle posizioni critiche espresse da Trozkij nei confronti del partito spagnolo, ritenuto opportunista. Sedran viene arrestato dagli stalinisti dopo gli scontri di Barcellona nel 1937, e partecipa alle iniziative dei bordighisti durante la Resistenza. Dopo la Liberazione, rimane a Milano fino al raggiungimento della pensione.

Diversa la scelta di altri due comunisti di sinistra, Vincenzo Serena di Pinzano e Giovanni Poci di Valeriano. Ambedue appartenenti alle dissidenze di sinistra del Pcd’i 117, dopo essere sfuggiti ad un rastrellamento nazifascista insieme ad altri antifascisti del loro comune aderiscono ai reparti partigiani alla fine del 1943. La militanza trozkista non impedisce loro di combattere con i garibaldini, anzi Serena assume il ruolo di commissario politico di un battaglione, in una singolare situazione di convivenza clandestina con il figlio, comandante iscritto al Pci.

Ben diverso è il trattamento riservato solitamente dai comunisti ai dissidenti di sinistra, perfino nelle proibitive condizioni dei campi di concentramento francesi dove finiscono i combattenti di Spagna ed i resistenti sotto il regime di Vichy. Nella sua testimonianza priva di reticenze, in un’epoca - quella dello stalinismo - dove la durezza è un merito Venanzio Parutto svela il senso della “vigilanza” dispiegata dall’organizzazione comunista nel campo di S. Cyprien dove viene internato. Dopo aver superato un processo interno al partito per indisciplina, gli vengono da subito assegnati incarichi: In questo campo di concentramento partecipai attivamente alla organizzazione della vita quotidiana del campo, nominato capo di sezione di baracca collaborai attivamente allo smascheramento di diversi provocatori, rimasi sempre disciplinato alle direttive del P[artito], [ho] rifiutato come la stragrande maggioranza dei compagni di partito di lavorare al fronte per il governo di Daladier.

Le funzioni sono strettamente politiche: dalla trasmissione delle direttive del partito alla lotta contro gli avversari politici, individuati implacabilmente nello stesso campo antifascista: In questo campo denuncio al P. i Troschisti, anarchici e soci, gente che non si aveva mai vista al fronte o se sono stati al fronte erano nelle formazioni non controllate da noi, che ci sabotarono e crearono movimenti rivoluzionari nell'interno contro la Repubblica, queste canaglie avevano ancora il coraggio nel campo di concentramento di denigrare i garibaldini e tutte le brigate internazionali, chiamandoci fino sanguinari che si aveva le mani sporche di sangue ecc. ecc. Denuncio questo al P. che ci ha pensato a smascherarli in pubbliche riunioni nelle baracche li abbiamo isolati in un cantuccio messi in condizioni di non più nuocere.

Lo scontro interno alla sinistra prosegue, mentre si scatena la guerra mondiale. Le ragioni della lotta antifascista sono secondarie, rispetto all’esigenza di pulire il campo sulla sinistra del partito.

10.7 - Gli anarchici. Tutte le correnti dell’anarchismo sono rappresentate nell’esperienza friulana, dal terrorismo fino alla scelta

libertaria che non impedisce la collaborazione con altre forze politiche. Silvio Astolfi parte da Sacile nel 1927 senza aver ancora manifestato opinioni politiche: in Argentina aderisce alla banda di Severino Di Giovanni, che si dedica all’esproprio rapinando le banche ed eliminando senza pietà non solo gli avversari di classe, ma anche qualche compagno critico nei confronti di questa tendenza, ritenuta disgregatrice del movimento anarchico, che costituisce una componente di massa dei movimenti popolari, ancora ben rappresentata in alcuni paesi.

Nel centro industriale di Torre la presenza anarchica è un fatto consolidato ai primi del Novecento: in occasione della manifestazione del 1° Maggio 1905 viene esibita la bandiera della lega dei cotonieri, inequivocabilmente rossa e nera. Sono segnalati 40 anarchici nel 1907 quando, durante una vertenza degli edili, alcuni operai esasperati uccidono il direttore dei lavori di ristrutturazione del Cotonificio Amman. I ragazzini cantano per strada le canzoni anarchiche, così pure il cassiere della Lega muratori Giovanni Missana. Torre è chiamata la “Patterson del Friuli”, paragonandola al centro tessile statunitense roccaforte dell'anarchismo.

La presenza anarchica pordenonese è valutata a 100 adesioni nel 1913, e non a caso qui nel 1912-1913 opera l’anarchico istriano Andrea Tomsich, falegname e costruttore d’aerei, prima di continuare la sua opera in Sud America. Ambiente d’avanguardia, quello dell’aviazione, che trova nella scuola di volo della Comina la culla della sperimentazione nazionale. Non potevano non pullularci gli anarchici. Infatti è proprio qui che trova il suo primo impiego Tomsich, prima di mettersi in proprio nel centralissimo Corso Garibaldi. Costruire un aereo è ancora una produzione artigianale e prendere il brevetto di volo è una cosa alla portata di un contadino: Francesco Ortolan da Sacile, uno dei capilega della Confederterra di quella CdL, è uno dei primi ad imparare a guidare un aeroplano. Tomsich prosegue l’attività oltreoceano, prima in Argentina e poi in Bolivia.

Fra gli anarchici di Torre si può contare certamente fino alla prima guerra mondiale Giovanni Gobbo, muratore emigrante dapprima in Germania e poi, negli anni compresi fra il 1912 ed il 1915, a Detroit negli Usa. Così come analogo percorso politico ha Luigi Tassan Solet, di Marsure di Aviano, emigrante in vari paesi europei come scalpellino. Ma la guerra rappresenta lo spartiacque per tutti e due, che nel dopoguerra assumono ruoli dirigenziali nei movimenti di lotta per il lavoro ed aderiscono alla sinistra socialista (Gobbo anche con ruoli importanti nella federazione provinciale del Psi, nella CdL e nel Consiglio Comunale di Pordenone) e poi al Pcd’i. Il figlio di Gobbo, Leo, è coinvolto nell’organizzazione clandestina dei giovani comunisti di Torre riorganizzatasi nel 1930-1931, e sfugge

117 Nella sua testimonianza citata, il figlio di Serena afferma che il padre ha sempre militato alla sinistra del movimento operaio, dal Psi,

cui aderisce dopo essere giunto a Pinzano da Venezia per lavorare nella costruzione della ferrovia, al bordighismo al trozkismo.

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all’arresto con la fuga negli Usa presso il padre. Pure Luigi Tassan aderisce al Pcd’i fin dalla costituzione 118. Recentemente la figlia Ines ha ritrovato a casa una copia de l’Unità clandestina dell’aprile 1930. Anche in questo caso la scelta comunista lega due generazioni, con l’adesione del figlio Giordano, che sarà il rappresentante del Pci nel Cln avianese durante la Resistenza 119.

In direzione opposta si muove la scelta di appartenenti alla giovane generazione, come i fratelli Durigon e Tranquillo Romanet di Torre: il loro percorso dal comunismo all’anarchia è prodotto dall’esaurirsi precoce della spinta rivoluzionaria, dal confronto con gli effetti dello stalinismo in Urss e, soprattutto, durante la guerra di Spagna. Fra i giovani comunisti di Torre, Achille Durigon è sicuramente il capo, e - appena potrà scappare dall’Italia fascista - dedicherà due anni a cercare di raggiungere in modo avventuroso la patria del socialismo. Ne conoscerà solo la polizia politica, che lo interrogherà per un mese prima di espellerlo; in compenso potrà confrontare la diversità fra la politica del comunismo staliniano e quella delle avanguardie rivoluzionarie in Spagna, dove arriva come miliziano delle Brigate Internazionali nel 1936. Dopo il suo rientro in Francia, in conseguenza degli scontri di Barcellona, Durigon consegna ad una lettera ai familiari la sua presa di distanza dai comunisti, accusati di aver spento la rivoluzione sociale per perseguire un disegno di normalizzazione conservatrice 120. La scelta di Durigon, che si stabilirà in Francia, produce la costituzione, con l’adesione del fratello Bruno e di Tranquillo Romanet, di un piccolo gruppo anarchico a Torre.

Probabilmente anche la scelta anarchica di Mario Betto data dalla guerra di Spagna, dove il muratore (cresciuto fra Pordenone e Fontanafredda, ma formatosi professionalmente nella regione di Parigi) si trova al momento dello scoppio della guerra civile perché vi sta svolgendo come di consueto un mese di ferie annuali: testimonianza quanto mai significativa della qualità della vita conquistata dai lavoratori francesi dell’epoca. Combattente nelle Brigate Internazionali, Betto tuttavia rientra in Francia nell’aprile 1938, per poi esserne espulso 121; viene quindi incarcerato a Montjuic a Barcellona, dove rimane fino al febbraio 1939. Diserzione ed arresto, in un carcere dove vengono rinchiusi i militanti anarchici e del Poum, quanto mai significativi, anche se Betto (nella deposizione alla polizia fascista quattro anni dopo) non si dilunga ovviamente in spiegazioni.

Betto, dopo il 25 luglio, viene subito contattato a Visinale di Pasiano (dove abita dopo il rientro in Italia nel 1942) da Rino Favot, l’ex funzionario della Fgcd’i clandestina che sta organizzando le file dell’antifascismo: diventa il partigiano Spartaco. Successivamente però, per i suoi metodi poco ortodossi di agire verso la popolazione, viene criticato da Favot e poi inviato in montagna 122. Non si tratta certo di caratteristiche tipiche degli anarchici, quanto di comportamenti delle formazioni o di singoli partigiani ispirati ad un ribellismo classista, non ancora ricondotto all’unità ciellenistica della nuova linea del Pci imposta da Togliatti. Betto, durante il grande rastrellamento dell’autunno 1944 contro la Repubblica partigiana della Carnia, muore eroicamente, bloccando la strada ai tedeschi che stanno penetrando nella conca di Barcis: non avendo tempo per far esplodere con una miccia a lenta combustione la carica che deve ostruire l’ultima galleria prima del paese, sceglie di sacrificarsi insieme a molti assalitori. A testimonianza di una scelta ideologico-politica sincretica, dai compagni di lotta verrà ricordato sia come anarchico, che come iscritto al Pci 123.

E pure anarco-comunista è il mosaicista Dante Bisaro di Sequals, emigrante in Belgio all’inizio del secolo e poi in Francia dal 1919. Dove esprime propositi di distruzione dei palazzi e dei monumenti del potere del paese natale, quando avesse potuto rientrarvi. Socialista fino al primo dopoguerra, e poi comunista, esprime opinioni ed intendimenti sincretici, coniugando la fede in Lenin con l’inequivocabile riferimento alle bandiere rosse e nere dell’anarchia. Non potrà metterli in atto, a causa del prevalere della terribile peste della classe operaia dell’epoca, che l’avrà colto nella mota delle lavorazioni od in quella delle trincee di guerra, e gli farà terminare gli anni anzitempo nel tubercolosario di San Vito al Tagliamento 124.

Nulla sappiamo invece dell’iniziale scelta anarchica di Emilio Cosattini, fratello di Giovanni: è ipotizzabile che tale scelta sia maturata durante la fase degli studi giovanili ad Udine, oppure a Milano dove ha frequentato l’Università nei primi anni ‘10. Al ritorno ad Udine Emilio collabora con il fratello nelle molteplici attività del socialismo friulano. La supposta residenza a Sacile è semplicemente il frutto di una svista burocratica dei poliziotti, che partono dalla documentazione sul servizio militare, che ricade sotto la competenza di quel Distretto militare 125. Apparentemente il dr. Cosattini, commercialista a Venezia, si tiene lontano dalla politica: pur non aderendo al Pnf, viene ritenuto persona seria e gode una certa considerazione nell’ambiente professionale e non consta si accompagni con elementi di dubbia fede politica, per cui viene radiato dal novero dei sovversivi nel 1937 126. La sua appare come una scelta di tipo generazionale, come quella di Rho, Galli e Borghesio.

118 Lotta e lavoro, n. 43 di domenica 28 ottobre 1948, Aviano. Morte del decano della nostra Sezione. 119 CESCUT, Sigfrido, Tassan Solet, padre e figlio uniti nella lotta contro il fascismo, in: Messaggero Veneto, 7 aprile 2006. 120 Acs, Cpc, b. 1873, f. 94211, Durigon Achille, copia della lettera datata Drancy 20.9.37 ed indirizzata a Mamma e Bruno, firmata

Achille Durigon. 121 Acs, Cpc, b. 598; f. 138859, Betto Mario; Pol.Pol., pacco 129, f. 14, note da Parigi dell’informatore n. 353 del 4 maggio e del 1°

luglio 1938; deposizione di Mario Betto in Questura a Venezia del 4 dicembre 1942. L’informatore n. 353 è il commissario Bellavia, definito il più valido emissario dell’Ovra a Parigi da FRANZINELLI , MIMMO , I tentacoli dell’Ovra, cit., pp. 132-133.

122 Ifsml, Fondo diari e testimonianze, b. 14, f. 4, Bg. Ippolito Nievo B, sf. 5, Testimonianza di Favot Rino “Sergio” comandante della Brg. Unificata Garibaldi Osoppo di pianura “Ippolito Nievo B”, pp. 3 e 28.

123 CANDOTTI, Mario, La lotta partigiana in Valcellina, in: Storia Contemporanea in Friuli, anno IX, n. 10, Udine, Ifsml, 1979, pp. 131-203, ristampato in: COLONNELLO, Aldo (a cura di), 1944 Dies irae. Valcellina. L’incendio nazista di Barcis, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 1994, pp. 15-113 (ristampato con lo stesso titolo dal Comune di Barcis nel 2003); testimonianza di Mario Bettoli, Pordenone.

124 Acs, Cpc, b. 662, f. 78302, Bisaro Dante.. 125 La scelta di collocare a Sacile la sede del Distretto militare era stata il frutto della vendetta politica del deputato locale on. Gustavo

Monti contro la giunta di sinistra pordenonese dell’avv. Galeazzi. Cfr.: BETTOLI, GIAN LUIGI, Una terra amara, cit., v. 1°, pp. 368-370. 126 Acs, Cpc, b. 1497, f. 49143, Cosattini Emilio.

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Diverso invece il caso di Umberto Tommasini, figlio di un vivarino emigrato a Trieste ed esponente coerente dell’anarchismo organizzato. Il padre Angelo è un socialista della vecchia generazione gradualista, impegnato nel sindacato e nella promozione della cultura popolare. Insieme creeranno una biblioteca presso l’abitazione di Vivaro, sul modello del Circolo di Studi Sociali del porto giuliano. Due figli aderiranno all’anarchismo: Vittorio negli anni della prima guerra mondiale, conoscendo al confino gli anarchici triestini, e poi Umberto nel 1921, mentre il padre, con un percorso opposto, aderirà al Psu. Ma l’azione dei Tommasini si svolgerà lontano dal Friuli: sulle vie del fuoruscitismo Umberto, divenendo uno dei più importanti esponenti dell’anarchismo italiano; nel sindacato rumeno e bulgaro Vittorio. Unico legame, importantissimo dal punto di vista della cultura del movimento operaio, la donazione alla Biblioteca comunale di Vivaro dei loro libri, compresi quelli della Biblioteca popolare.

Poco distante, nelle coltellerie di Maniago, emerge una almeno ideale presenza operaia anarchica. La realtà delle coltellerie, azienda artigianale diffusa in questo comune, ma che conta dai primi del Novecento anche aziende di carattere industriale moderno, come la Coricama (nata sotto la ragione sociale Albert Marx) non è finora mai stata studiata per quanto concerne gli aspetti della lotta di classe. La quale vanta una tradizione di dura conflittualità fin dalle origini, quando gli artigiani costretti a subire la dura disciplina di fabbrica realizzano nel 1909 un originale sciopero “totale”, sostenuto dalla CdL di Udine, ritornando alla loro produzione a domicilio e costituendo anche una cooperativa per vendere i prodotti: e l’azienda deve cedere, pena il blocco degli impianti. Infatti l’industria Marx ha insediato, come una creatura mostruosa, il suo moderno stabilimento in cemento armato in una realtà che da sempre vive di lavoro artigiano, che viene commercializzato in Italia ed in Europa dai venditori ambulanti della vicina Valcellina: la concorrenza, più che fra aziende industriali, è fra il lavoro libero degli operai e la nuova produzione di massa.

Dopo l’imposizione di un duro regime di fabbrica da parte della proprietà e dei dirigenti tedeschi della Coricama, che nel 1925 spezzano uno sciopero sostenuto dal sindacato fascista, e nel bel mezzo della crisi che colpisce l’industria coltellinaia provocando disoccupazione ed emigrazione, nel pomeriggio del 12 marzo 1927, su di una parete interna di un cesso situato nel cortile dello stabilimento (...) ignoti scrissero con carattere a stampatello le parole ”Viva l’Anarchia”. Le prime indagini esperite dall’Arma di Maniago per scoprire gli autori delle scritte, che debbonsi ricercare fra gli operai dello stabilimento stesso, hanno dato esito negativo. Le autorità prendono la cosa sul serio ed i carabinieri arrestano parecchi operai, non riuscendo però ad ottenere nessuna confessione, neanche grazie all’azione dei confidenti interni allo stabilimento 127. E’ un episodio che appare isolato, ma è rilevante per le caratteristiche particolari di questo proletariato, che corrisponde ad un profilo sociale tipico dell’anarchismo: alta professionalità, forte orgoglio di mestiere, mancanza di organizzazione sindacale stabile 128.

Su un altro piano, praticando una scelta libertaria di tipo più filosofico, ma profondamente impegnata nella battaglia per la riconquista della democrazia, Defragè Santin, di Torre, rappresenterà il movimento anarchico alla testa del Cln di Pordenone, di cui sarà segretario, con il nome di battaglia di Leopardi. Chiamato a verbalizzare gli incontri, in quanto impiegato presso lo studio del notaio Gerardo Toscano, del Pd’a, presso il quale si riunisce il Cln, Santin opera garantendo i collegamenti con le formazioni partigiane, fino al suo arresto nel gennaio 1945, riprendendo poi l’attività qualche mese più tardi, dopo l’avventurosa liberazione dal carcere di Udine da parte di un reparto partigiano.

In occasione delle elezioni comunali del 24 marzo 1946, Santin sarà candidato come indipendente nella lista del Partito d’Azione 129. Questa candidatura conferma una tendenza comune alle altre minoranze avanzate, che accomuna i movimenti comunisti di sinistra e gli anarchici. Pur mantenendo la loro scelta critica di fondo, queste forze vengono richiamate dal magnete dei partiti, sui quali si sta fondando la nuova democrazia repubblicana. Partiti per altro legittimati da una lotta di liberazione che ha avuto anche aspetti eminentemente militari, unendo la funzione di ripresa della partecipazione democratica con l’azione diretta rivoluzionaria, il tutto rafforzato (al di là delle tensioni di fondo che permangono fra le forze politiche) dal quadro di unità ciellenistica. Non rimane altra alternativa, per le minoranze, che inserirsi in questo movimento oppure astenersene. Si tratta di una scelta difficile, che mette in gioco la perdita delle proprie specificità contro l’isolamento. Ma è lo scotto di una debolezza organizzativa che marginalizza, infine, una forza come l’anarchismo italiano, cui - con ben un sesto dei sorvegliati dalla polizia fascista - è ben difficile negare consistenza storica e dimensione di massa.

10.8 - Repubblicani, socialriformisti, Italia Libera e Giustizia e Libertà. Modesta appare la rete di Gl nel Friuli occidentale, praticamente limitata ad alcuni sporadici contatti nell’area

repubblicana, di per sè debole e presente prima del fascismo quasi solo a Sacile. Più importante, anche se legata ad una breve fase nel 1924 ed alle dinamiche della dissidenza combattentistica, l’esperienza di Italia Libera.

Legato invece all’esperienza dei repubblicani di sinistra-ex combattenti, seguaci di Guido e Mario Bergamo, è il percorso di Luigi Fedrigo, uno dei primi socialisti pordenonesi, attivo negli anni ‘20 - con buoni risultati - nel Vicentino, dopo il rientro dall’emigrazione. Dal 1924 ha risieduto ad Arsiero (Vicenza), dove era ritenuto elemento pericoloso per l’ordine nazionale data la sua intelligenza e la sua cultura. L’Arma di Arsiero lo segnalava quale corrispondente assiduo dei soppressi giornali sovversivi “Voce Repubblicana” e “Riscossa” propagandista ed organizzatore delle elezioni del 1924, che fruttarono 400 voti ai repubblicani in Arsiero e siccome individuo che volgeva colà attività contraria al Regime. Nel Novembre 1926 gli vennero sequestrate da quell’Arma numero 10

127 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 19, f. 69, sf. Maniago Coltellerie. 128 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 19, f. 69, sf. Maniago Coltellerie. 129 Libertà, n. 51 del 28 febbraio 1946, p. 2, Pordenone. Le elezioni del Consiglio Comunale. Le cinque liste dei candidati.

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circolari sovversive e 200 copie dei giornali predetto dell’anno 1926. (...) Fu inscritto alla Sezione repubblicana di Vicenza dal 1924 130. Nel 1928 è costretto a rientrare a Pordenone, dove si spegne poco dopo, avendo per altro ripreso la frequentazione dei vecchi compagni socialisti.

Passano per il Pri ed Italia Libera persone la cui attività politica avrà atteggiamenti opposti, rilevando la contraddittorietà delle opzioni presenti nei movimenti combattentistici. Il figlio di Francesco Asquini, Giuseppe, ingegnere, viene sorvegliato dal regime per il suo atteggiamento rigorosamente antifascista, che lo porterà, durante la Resistenza, a svolgere il ruolo di presidente azionista del Cln, e poi di sindaco di Pordenone nel 1945-1946 e di senatore socialdemocratico. Prima di essere arrestato insieme al rappresentante comunista nel Cln, Eugenio Pamio, Asquini è uno dei protagonisti dell’unificazione fra reparti garibaldini ed osovani, nella pianura del Friuli occidentale e nella Valcellina, che rappresenta il contributo più significativo alla politica della Resistenza in queste terre.

Contrario il percorso del colonnello Piergiuseppe Piccin, che nel 1924, per il Pri, è protagonista di un exploit simile a quello di Fedrigo, spaccando l’elettorato sacilese a metà fra repubblicani e fascisti. La sua iniziativa si esplica nell’ambito dell’Associazione Nazionale Combattenti e di quei movimenti, come Italia Libera, che riuniscono combattenti di origine democratica (molto forti nella patria dell’on. Luigi Gasparotto), repubblicani, socialisti unitari e riformisti e massoni e che avranno sviluppo particolare dopo l’uccisione di Matteotti, per poi costituire il riferimento privilegiato di Tito Zaniboni e del suo tentativo di costituire una autodifesa armata contro il fascismo. Non a caso su questi ambienti si appunterà la repressione poliziesca (e le vendette fasciste) dopo il tentativo di tirannicidio di Zaniboni del 4 novembre 1925 131. Piccin, che per altro non viene processato, avrebbe ospitato nella sua casa Zaniboni sulla via di Roma. Nel maggio 1927, subito dopo la conclusione del processo, viene sciolto il direttorio della sezione Anc di Sacile, fino a quel momento presieduto proprio da lui 132.

Tuttavia, Piccin - pur vigilato - viene ritenuto vicino al regime già all’inizio degli anni ‘30. E’ radiato nel 1931, e non subisce conseguenze né per le speranze riposte su di lui dall’esule Facchinetti a Parigi nel 1932 né quando, nel 1935, riceve una busta dall’Argentina contenente un numero di Giustizia e Libertà ed alcuni ritagli 133. Nel 1936 - prima ancora di essere iscritto al Pnf - viene nominato dal prefetto Testa podestà della sua città, incarico che manterrà per ben sette anni, dimettendosi solo nel dicembre 1943. Non per questo smette di frequentare altri massoni francofili e repubblicani, come il giornalista de Il Gazzettino Augusto Meneghetti, con i quali si dedica alla denigrazione del fascismo e della guerra. Confermando però - come faranno altri provenienti dal combattentismo, fra cui lo stesso Zaniboni, quando sarà liberato dal carcere - che se chiamato in guerra, combatterà per la patria e per i fratelli irredenti di Corsica, Nizza e Savoia. Un altro particolare interessante emerge dai rapporti spionistici: l’esistenza di un rapporto privilegiato, all’interno del fascismo, fra Piccin e l’on. Barnaba, l’esponente intransigente che più si era speso contro Zaniboni ed i suoi amici (ma che era anche antitedesco) 134.

Ritroveremo anche Piccin fra i protagonismi dell’antifascismo resistenziale sacilese, alla testa del Cln di Sacile 135. L’indubbia disinvoltura nel ritornare all’antifascismo, dopo ben sette anni passati a gestire il secondo comune del Friuli occidentale, non può che far catalogare la sua scelta (come quella del podestà del confinante comune di Caneva, il generale monarchico Cavarzerani) fra l’antifascismo “dei fascisti”, cioè dei ceti dirigenti che abbandonano il regime al momento del crollo bellico 136. Sarà un altro repubblicano, Ciro Liberali, a guidare la Coalizione popolare repubblicana come sindaco, dal 1946 al 1951, aderendo poi con la sinistra repubblicana di Guido Bergamo al Fronte popolare e diventando senatore del Psi nel 1953. Piccin invece riprenderà il suo posto a capo dell’Associazione combattenti: li ritroveremo insieme ad inaugurare un busto di Mazzini domenica 9 marzo 1947 137.

Soffermiamoci infine sul rapporto fra Gl ed uno dei più importanti politici friulani dei decenni precedenti, l’ex deputato democristiano di Spilimbergo Marco Ciriani. Si tratta di una personalità quanto mai complessa, rappresentativa ad un tempo delle tensioni dei settori più avanzati del movimento cattolico e del pensiero democratico-radicale. Fra gli esponenti della Dc murriana, Ciriani è quello che maggiormente si integra nel mondo della sinistra laica, assumendone gli aspetti prevalenti: l’interventismo democratico, il combattentismo, la contrapposizione con i socialisti e l’adesione al Blocco nel 1921, salvo infine adottare una posizione rigorosamente antifascista, confluendo nelle file del riformismo socialista di Bonomi.

I rapporti fascisti da Spilimbergo segnalano nel 1927 il consenso mantenuto dai seguaci dell’ex deputato in quella che viene definita, con un certo tasso di sgrammaticatura, rocca dell’avventino. Il timore dei triumviri

130 Acs, Cpc, b. 1989, f. 29405, Fedrigo Luigi, Prefettura di Udine, cenno biografico del 20.3.1929. 131 Sul processo Zaniboni e l’ambiente friulano, cfr. PUPPINI, Marco, Il processo Zaniboni, in: PUPPINI, Marco, VERGINELLA, Marta,

VERROCCHIO, Ariella, Dal processo Zaniboni al processo Tomazic. Il tribunale di Mussolini e il confine orientale (1927-1941), Udine, Gaspari, 2003, pp. 13-58; sulla resistenza antifascista nell’ambito del combattentismo friulano, cfr. FABBRO, Mario, Fascismo e lotta politica in Friuli (1920-26), Venezia/Padova, Marsilio, 1974, pp. 135 e segg.

132 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 4, f. 19, 1926-1927, cat. 10.1, lettera della Federazione Friulana dell'Anc dell'11 maggio 1927, prot. n. 4448, alla Prefettura del Friuli.

133 Acs, Cpc, b. 3940, f. 93409: si tratta del n. 8 del 22 febbraio 1935 di Gl, più due ritagli, dedicati alla visita di Carlo Rosselli negli Usa ed all’aggressione italiana all’Etiopia. La busta viene inviata da Buenos Aires da Pietro Del Pino, che non viene rintracciato od identificato dalla autorità fasciste; Pol.Pol., pacco 1014, f. 26, nota da Parigi del 13 giugno 1932 dell’informatore n. 172.

134 Acs, Pol.Pol., pacco 1014, f. 26, nota da Venezia del 28 maggio 1940 dell’informatore n. 316, Alessandro Pozzi, Folgaria (Tn), Toscolano del Garda (Bs), pseudonimo Zipo. Legionario fiumano, finirà la sua carriera come spia della Rsi, giustiziato dai partigiani. Cfr.: FRANZINELLI , Mimmo (a cura di), L’elenco dei confidenti, cit.; CANALI , Mauro, cit., ad indicem.

135 Libertà, n. 3 del 3 gennaio 1946, p. 2, Sacile. Riunione del C.L.N. 136 La definizione di antifascismo di classe “dei fascisti” è di: QUAZZA, Guido, Resistenza e storia d’Italia. Problemi e ipotesi di ricerca,

Milano, Feltrinelli, 19783, p. 91 e seguenti. 137 Libertà di mercoledì 12 marzo 1947, p. 2, Sacile. La solenne ed austera cerimonia dell’inaugurazione del busto a Giuseppe Mazzini.

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pisentiniani che hanno preso in mano il fascio è quello che gli avversari interni - che hanno tesserato decine di persone prive di passato squadrista ed intrattengono, specie il podestà Luigi Zatti, rapporti con gli oppositori - possano giungere a cooptare nel partito Ciriani con i suoi, attuando un radicale rovesciamento politico nel comune. L’analisi fascista della situazione locale è per altro drammatica: la popolazione Spilimberghese è prona all’ex on. Ciriani, sotto il cui ombrello si sono raccolti tutti gli antifascisti locali, creando una situazione in cui il fascismo stenta ad attecchire, nonostante i recenti provvedimenti contro il parroco don Colin, attivista popolare 138.

I fascisti spilimberghesi, decisamente settari e poco perspicaci, lamentano come il prefetto Iraci permetta a Ciriani di andarsene in giro per l’Europa con tanto di passaporto: non capiscono l’astuzia dei servizi di sorveglianza del regime che si approfittano del carattere generoso dell’ex deputato. Dopo il consolidamento del regime, grazie anche ai suoi impegni di lavoro a Milano, Ciriani entra in contatto con la rete di Gl, grazie a rapporti massonici. Sono infatti lui ed un altro friulano, l’avvocato Fabio Luzzatto di Udine, pure residente a Milano 139, a presentare all’organizzazione milanese la spia che venderà il centro interno di Gl: l’avv. Carlo Del Re di Codroipo 140. Indubbiamente i friulani, oltre al poco lusinghiero primato storico nell’aver fornito torme di crumiri al padronato tedesco, da usare contro i movimenti operai indigeni a cavallo fra Ottocento e Novecento, hanno anche quello di aver condiviso i natali con due fra le più note spie del regime. Il primo è il segretario di Zaniboni, Carlo Quaglia, delatore che svela, o più probabilmente indirizza, il fallito attentato al duce che sarà pretesto per un’ondata di provvedimenti liberticidi; il secondo è proprio Del Re, tristemente famoso anche per l’attenzione giustamente dedicatagli da una delle sue vittime, Ernesto Rossi.

Ciriani garantisce successivamente - anche dopo gli arresti di Milano - sulla fedeltà dell’infiltrato. Poi anche un altro provocatore, tale Franchetti, si presenta a Carlo Sforza a Parigi con un biglietto di presentazione dello spilimberghese. Il prezzo di tanta leggerezza è la caduta della rete di Gl in Italia, con l’arresto di Ernesto Rossi, Riccardo Bauer ed altri e la morte di Umberto Ceva in carcere. Del Re, da parte sua, non denuncia in un primo momento Ciriani perché è troppo in contatto con lui e così si scoprirebbe; lo farà successivamente poiché, dopo la sua fuga in Argentina (in quanto bruciato come delatore) ritiene che l’ex deputato abbia fatto avere alla stampa di quel paese una sua foto, denunciandolo così all’opinione pubblica.

Ciriani evidentemente non si rende conto del fatto che il regime gli dedica da anni una sorveglianza personalizzata, controllandone tutte le mosse 141. Ciò è dimostrato dal fascicolo dei controlli sugli oppositori del 1927: quasi tutti i 143 documenti prodotti quell’anno lo riguardano. Se talvolta la segnalazione è negativa, solitamente è possibile seguire Ciriani nel suo frenetico andirivieni fra Spilimbergo e varie città italiane (prevalentemente Milano), località termali, Francia, Svizzera e Gran Bretagna, conoscendone i diversi mezzi di trasporto e gli orari in cui avvengono gli spostamenti. Ciriani in ogni viaggio è seguito passo per passo dagli agenti, che lo attendono nelle località ove giunge, e segnalano immediatamente le perdite di contatto od i cambi di programma. Impossibile che in tal modo ogni sua mossa non venga osservata ed annotata, attivando inoltre puntualmente informatori ed agenti provocatori presenti sul campo 142.

Ovviamente i frequenti infortuni di Ciriani impongono un chiarimento da parte di Gl: Due spie garantite dalla stessa persona erano troppe. Ciriani si sentì sospettato e corse a Parigi per giustificarsi con Salvemini, il quale l’ascoltò e concluse che comunque si era portato con grande leggerezza in entrambi i casi e che avrebbe fatto bene d’allora in poi a non presentare più nessuno, perché tutti avrebbero pensato che anche il terzo venuto sarebbe stato una spia 143. Privato del passaporto, sorvegliato dal regime ed allontanato dai compagni, Ciriani si ritira a vita privata 144. Ritornato all’attività politica con la caduta del fascismo, costituirà un punto di riferimento per il Partito d’Azione a Spilimbergo 145, fin quando, per sottrarsi alla cattura, sarà costretto a fuggire a Milano, dove morirà prima della Liberazione.

Se l’atipica adesione al socialriformismo di Ciriani rimane sempre ancorata nelle file dell’antifascismo, così non è per l’avv. Alberto Mini, principale esponente friulano del partito nato dall’espulsione dal Psi dei riformisti favorevoli alla guerra coloniale di Libia del 1911-1912. Partito che per altro già nell’immediato dopoguerra, dopo la morte del suo leader Leonida Bissolati, è entrato nell’orbita conservatrice, tanto che è il suo principale esponente

138 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 9, f. 35, lettere del Fascio di Combattimento di Spilimbergo alla Federazione

Provinciale Fascista del 27 settembre e del 17 ottobre 1927, Il Fascismo a Spilimbergo. 139 Massone, repubblicano ed esponente del combattentismo, Fabio Luzzatto è uno dei 12 docenti universitari che si rifiutano di giurare

fedeltà al regime. Dopo aver subito un attentato come esponente di “Italia Libera”, sarà arrestato insieme ai giellisti di Milano ma poi assolto. Il figlio Lucio - giurista come il padre - sarà uno dei principali esponenti della nuova generazione socialista formatasi durante la dittatura. Cfr.: CEDARMAS, Adonella, Presenze ebraiche nella Massoneria friulana fra Otto e Novecento, in: Storia Contemporanea in Friuli, anno XXXI, n. 32, Udine, Ifsml, 2002, pp. 132-136 sui fratelli Oscar e Fabio Luzzatto.

140 Il quale entra nel movimento nel 1929 e poi, presentato a Bauer a Milano, svolge attività di trasporto stampa agli ambienti massonici udinesi. Del Re aveva alle spalle un non invidiabile curriculum di squadrista della prima ora, a causa del quale vantava anche una mutilazione: dagli inizi del movimento nel 1919 all’incendio dell’Hotel Balkan di Trieste nel 1920, da Fiume alla Venezia dei “Cavalieri della morte” del capitano Gino Covre, da Treviso nella battaglia contro i repubblicani della Riscossa fino all’assalto della infocata Torre di Pordenone, dove pur ebbi una seconda ferita nel 1921: cfr. ROSSI, Ernesto, Una spia del regime, Milano, Feltrinelli, 19683, pp. 218-219.

141 Le informative vengono inviate telegraficamente al Ministero dell’Interno tutte le settimane, di sabato, anche se alcune Prefetture (che sono invitate ad adeguarsi) tendono a spostare le trasmissioni. La sorveglianza non riguarda solo gli oppositori, ma tutti gli appartenenti alla loro famiglia. Cfr.: Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 6, f. 25, Comitato delle opposizioni. Propaganda, 1927, telegramma del Capo della polizia Bocchini alle Prefetture, del 18 febbraio 1927.

142 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 6, f. 25, Comitato delle opposizioni. Propaganda, 1927 (è l’unica annata conservata con documentazione di questo tipo).

143 ROSSI, Ernesto, cit., pag. 243. 144 MENEGHETTI, Roberto, Marco Ciriani “per il popolo e per la libertà”, Udine, Ifsml, 1985, pp. 48-49. 145 PERINI, Stefano, Il Partito d’Azione in Friuli “1942-1947”, tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, a.a. 1973-1974, pp. 61-63.

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Ivanoe Bonomi, ministro della difesa nel governo Giolitti, ad invitare nell’ottobre 1920 gli ufficiali di complemento che si stanno congedando a presentarsi nelle sedi dei Fasci di Combattimento per arruolarvisi in funzione antisocialista. Le basi di questo partito stanno nell’ala del Psi più fortemente organica con il mondo radicaldemocratico - con cui condivide l’appartenenza massonica - portatrice di tendenze ormai incompatibili con il classismo e l’antimilitarismo socialista. Non c’è da stupirsi che, consumate le speranze di rinnovamento dei primi anni ‘10 146, questo movimento si ripresenti - dopo il fascismo - all’ala destra del movimento resistenziale, su posizioni di subalternità alla monarchia, in quella Democrazia del Lavoro dove confluiscono gli ultimi esponenti del radicalismo storico, come Gasparotto.

L’adesione al socialriformismo in Friuli si limita a pochi esponenti, che non confluiscono nelle file del partito subito dopo la sua costituzione, come il cav. Luchino Luchini di San Giorgio della Richinvelda ed il rag. Giacomo D’Andrea. Quest’ultimo viene anche eletto consigliere provinciale nel mandamento di Spilimbergo nel 1914 nella lista del Psi. Ma mentre Luchini è sicuramente aderente al Psi fin dai primi anni del secolo, D’Andrea è candidato come indipendente e la sua elezione è frutto di un voto incrociato dei radicali, che distribuiscono i loro voti a cavallo della lista democratica e di quella socialista, anche per non far eleggere Giovanni Cosattini. Nel 1920 tutti e due (definiti dai socialisti cooperatori anticlericali) saranno candidati esplicitamente socialriformisti nella lista democratica per il rinnovo della rappresentanza spilimberghese al Consiglio Provinciale, dando un significativo contributo, con la loro elezione, al ridimensionamento elettorale del Psi al di fuori delle roccaforti di Spilimbergo e Pinzano.

Ma è soprattutto l’avvocato Mini, che ha effettivamente un passato socialista, a rappresentare il socialriformismo con la candidatura al Parlamento nel listone bloccardo nel 1921. Per altro questa connotazione politica appare secondaria rispetto al protagonismo nel movimento combattentistico ed in Italia Libera nel 1924, dopo aver aderito inizialmente al fascismo. La relazione con Zaniboni ed i suoi tentativi di organizzazione antifascista appare poi superata, secondo un’informativa della Prefettura, dal successivo ritorno nel Pnf e dall’assunzione di un ruolo di ufficiale della Mvsn, per quanto egli si ritiri successivamente dall’attività politica. D’altronde il ruolo reazionario di Mini è dimostrato dalla sua esperienza amministrativa a Cordovado. Già consigliere fino all’elezione della giunta socialista alla fine del 1920, è uno dei componenti la maggioranza fascista che nel 1923 sancisce il ritorno dei vecchi poteri attraverso il rovesciamento radicale della politica fiscale: ritornando all’esenzione generalizzata per i possidenti, e tassando i contadini 147.

I fili che legano la cospirazione antifascista democratica all’azionismo resistenziale sembrano complessivamente esili in questo territorio, se si eccettuano gli ambienti raccolti attorno alle famiglie Asquini e Rosso, rappresentanti storici della tradizione repubblicana e socialista pordenonese. Altri saranno i percorsi che porteranno il Pd’a ad una relativamente ampia presenza durante la Resistenza nel Friuli occidentale (50 aderenti nella 5a Brg. Osoppo in Valcellina, 250 nella restante Destra Tagliamento) 148. Percorsi che uniranno l’antifascismo sorto a causa della guerra fra molti giovani ufficiali di complemento, l’elaborazione intellettuale del movimento liberalsocialista per alcuni, come il prof. Luigi Cosattini, figlio dell’ex deputato socialista, ed una nuova generazione più giovane, accorsa sulle montagne dalle scuole cittadine. A tessere le fila della prima cospirazione azionista in regione e attraverso le città di mezza Italia, una figura formatasi inizialmente nel socialismo carnico delle origini del secolo, Fermo Solari, futuro vicecomandante del Cvl, che però condivide con i suoi più giovani seguaci il “lungo viaggio attraverso il fascismo”, nel quale ha unito un’attività imprenditoriale di successo con ruoli politici locali nel Pnf 149.

Particolare curioso, ma comprensibile se si tiene conto del suo percorso personale: a fornirgli un aiuto è un parente acquisito, paradossalmente quell’on. Pier Arrigo Barnaba che era stato il grande persecutore di Zaniboni e dei suoi compagni, a capo degli estremisti pronti a farla pagare ai poco vigili “conservatori” pisentiniani, oltre che agli oppositori, soprattutto i socialisti carnici ancora abbarbicati nelle loro cooperative. Ora, a parti rovesciate, il vecchio referente di Farinacci cospira contro i tedeschi, mentre Pisenti assume il ruolo di ministro della Rsi nella tragedia

146 Un romanzo fantapolitico, scritto sotto pseudonimo da un militare di carriera di simpatie radicalriformiste, getta uno sguardo

interessante sul confluire di progetti di rinnovamento sociale del paese, alleanza fra democrazia radicale, laburismo riformista e democrazia cristiana, e guerra democratica contro gli Imperi centrali. Contestualizzando il tutto in un quadro in cui un governo monarchico a guida laburista conduce l’Italia a partecipare ad una guerra europea della quale, grazie alla conoscenza della guerra russo-giapponese di pochi anni prima, si conoscono sia gli aspetti di distruzione di massa che gli (auspicati, ma previsti solo fino ad un certo punto) esiti rivoluzionari. Cfr.: COMANDANTE X**; La guerra d’Europa (1921-1923), Genova, L.E.A.R., 1912.

147 Salvo non si tratti di un’omonimia, in mancanza di carte nell’Archivio storico del Comune di Cordovado che ne indichino esattamente gli estremi anagrafici. D’altronde nell’ordinamento locale dell’Italia liberale è ammesso l’elettorato passivo in più comuni, avendo come requisito l’esservi possidente: Matteotti stesso affinò le sue capacità amministrative rappresentando il Psi in almeno una decina di comuni, dove il padre aveva acquisito piccole proprietà: cfr. GOBETTI, Piero, Per Matteotti. Un ritratto, Genova, Il melangolo, 1994.

148 La forza organizzata del Pd’a nel Friuli e nella Venezia Giulia è valutata da Ercole Miani nelle seguenti cifre: 70 iscritti ad Udine, 15-20 a Cividale, un centinaio in Carnia, 80 a Gorizia, 3-400 a Trieste e 120 in Istria. Cfr.: PERINI, Stefano, cit., p. 127. La cifra di 250 aderenti nella Destra Tagliamento appare esagerata a Fermo Solari, che invece ritiene siano stati complessivamente superiori nel resto della provincia di Udine: cfr. SGUAZZERO, Tiziano, Il contributo azionista alla lotta di liberazione in Friuli, in: Storia contemporanea in Friuli, anno VIII, n. 8, Udine, Ifsml, 1977, p. 143.

149 Sulla storia del Pd’a in Friuli, oltre alla tesi di Perini, che è l’unica a considerare anche il periodo fra la Liberazione e la confluenza nel Psi, ed al saggio di Sguazzero, cfr.: SOLARI, Fermo, L’armonia discutibile della Resistenza. Confronto tra generazioni, Milano, La Pietra, 1979 e la biografia di Solari: DEL BIANCO, Nino, Fermo Solari, Pordenone, Studio Tesi, 1991. Quest’ultima è stata duramente criticata per le sue clamorose imprecisioni da: TOSONI, Mauro, Bisogno di storia. A proposito del volume “Fermo Solari” di Nino Del Bianco, in: Storia Contemporanea in Friuli, anno XXI, Udine, Ifsml, 1991, pp. 207-211. Rimane comunque da valutare adeguatamente una figura politica ed imprenditoriale così significativa, di cui non si può liquidare semplicisticamente la fase di adesione al fascismo (è anche commissario prefettizio e podestà di Campoformido: cfr. Archivio dello Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 19, f. 69, sf. Tolmezzo. Cooperativa Carnica, lettera della Questura alla Prefettura di Udine del 20 luglio 1938, prot. n. 12952 Gab.), così come la rielaborazione che lo porta alla scelta di opposizione. Da questo punto di vista suscitano particolare interesse gli studi universitari che inizia nel 1939, quasi quarantenne, e la possibilità che le relazioni con Riccardo Lombardi siano state create per il tramite della moglie Bianca Marini Solari.

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nibelungica di fine regime (tutti e due per altro si ritroveranno nel dopoguerra nelle file del Msi). A dimostrazione di come, in un piccolo ambiente di provincia, le questioni personali a volte contino molto 150.

10.9 - Popolari e cattolici. Non sono molti i cattolici schedati nel Cpc, a testimonianza degli effetti politici dell’accordo che il fascismo

realizza con il Vaticano nel 1929, risolvendo la “questione romana” ed acquisendo, sul piano interno come su quello internazionale, il sostegno della Chiesa cattolica al regime. Completando quel processo di nazionalizzazione dei cattolici che, soprattutto dai primi del secolo con il papato di Pio X, aveva visto il progressivo ed inarrestabile intervento in politica del movimento clericale a fianco dello schieramento conservatore. Fenomeno simboleggiato tradizionalmente dal “patto Gentiloni” per le elezioni parlamentari del 1913 a suffragio universale, ma in atto da più di un decennio, a partire dalle amministrazioni locali e, sul piano nazionale, con il sostegno a candidati antidivorzisti ed impegnati a favore dell’insegnamento religioso nella scuola a partire dalle elezioni del 1904. Legame consolidato nel sangue di due guerre, quella di conquista della Libia, benedetta dalla Chiesa cattolica nell’ambito del suo espansionismo missionario, e la Prima mondiale, nel quale alla netta condanna profetica di Benedetto XV corrispose la collaborazione delle gerarchie cattoliche italiane con lo sforzo bellico, attraverso la creazione dei cappellani militari e l’impegno nelle strutture assistenziali e ricreative dietro le linee del fronte 151.

L’intervento del Vaticano a sostegno del fascismo si era manifestato fin dal momento della presa del potere, con la delegittimazione del Partito Popolare, ma non aveva potuto ridurre automaticamente all’obbedienza quei settori di sacerdoti che si erano spesi per decenni nell’organizzazione sociale, sindacale, cooperativistica e politica del movimento cattolico. Per questo motivo l’episodio dell’arresto l’8 agosto 1927 di cinque prominenti figure sacerdotali facenti capo alle due diocesi di Concordia e di Udine 152, acquisisce significato nazionale, andando ben oltre la già importante contrapposizione fra il clero popolare e l’arcivescovo di Udine Anastasio Rossi. Un vescovo troppo vicino al potere politico, prima liberale e poi fascista: ma non va trascurato il trauma della sua fuga dell’ottobre 1917, dopo la rotta di Caporetto. A differenza del collega Francesco Isola, che rimarrà nella curia di Portogruaro durante l’occupazione austro-tedesca, e pagherà cara questa scelta con il tentativo di linciaggio da parte dei nazionalisti italiani nel novembre 1918 153, Rossi lascia abbandonato a se stesso un clero che - rimanendo in sede nella sua quasi totalità - si deve sobbarcare la gran parte dell’onere di tutelare una terra invasa e depredata ed una popolazione abbandonata dai suoi ceti dominanti 154.

Che la questione, comunque, sia politica e non si risolva nelle tensioni interne all’Arcidiocesi di Udine, è dimostrato dal semplicissimo fatto che due dei più importanti arrestati siano il vicario foraneo di Prata, mons. Giovanni Maria Concina e l’arciprete di Spilimbergo, don Giovanni Colin, appartenenti alla Diocesi di Concordia. In quel momento il movimento cattolico in Friuli è ancora ramificato e forte: secondo la Prefettura, alla fine del 1926 nel Friuli il Partito Popolare Italiano conta numerosi aderenti e le loro potenti organizzazioni economiche esercitano grande influenza sulla massa rurale. Al Partito aderisce anche l’elemento intellettuale Friulano e quello che ha forte potenzialità economica. In quasi tutto il Friuli e nella bassa friulana numero[si] sacerdoti continuano a predicare dal pulpito le loro dottrine antifasciste che hanno facile presa sulla popolazione che ha molto radicato il sentimento religioso 155.

150 Sulla partecipazione alla Resistenza di Pier Arrigo Barnaba (ma soprattutto del fratello, coerente antifascista morto a Dachau), cfr.

SOLARI, Fermo, pp. 28-30; sul ruolo di Barnaba nella persecuzione parallela al processo Zaniboni, cfr. PUPPINI, Marco, Il processo Zaniboni, cit.; la biografia di P.A. Barnaba è in: RINALDI , Carlo, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, Trieste, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, 1983, primo volume, pp. 143-149; maggiori notizie in: FABBRO, Mario, cit., ad indicem.

151 Sui rapporti fra Vaticano ed Italia, cfr. JEMOLO, Arturo Carlo, Chiesa e stato in Italia dalla unificazione ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 1977; più specificamente sul periodo fascista, MICCOLI, Giovanni, La Chiesa e il fascismo, in: QUAZZA, Guido (a cura di), Fascismo e società italiana, Torino, Einaudi, 1973, pp. 183-208.

152 Mons. Protasio Gori, canonico della cattedrale di Udine ed ex consigliere provinciale, clericale dal 1902 e dal 1920 del Ppi; mons. Giacomo Sclisizzo, arciprete di Gemona, don Camillo Di Gaspero, parroco di Tarcento, don Giovanni Maria Concina, parroco di Prata di Pordenone e don Giovanni Colin, arciprete di Spilimbergo, tutti vicari foranei. Sulla vicenda si sono soffermati successivamente: LOZER, Giuseppe, Ricordi di un prete, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1960, pp. 112-115; FABBRO, Mario, cit., pp. 202-208; CHIANDOTTO, Vannes, Giovanni Maria Concina, una vita per le classi contadine e MORETTI, Aldo, L’arresto di don Concina, in: L’opera sociale politica e pastorale di Giovanni Maria Concina, Prata, Centro Iniziative Culturali, 1989, pp. 77-115; ELLERO, Elpidio, Mons. Anastasio Rossi Arcivescovo di Udine. 1919-1927, in: Storia contemporanea in Friuli , anno XXVI, n. 27, Udine, Ifsml, 1996, pp. 11-68 (alle pp. 43-68 viene riprodotta la relazione conclusiva di mons. Longhin); MARIUZZO, Flavio, Cattolicesimo democratico e Modernismo tra Livenza e Tagliamento. Mons. Giuseppe Lozer (1880-1974), Pordenone, La Voce, 1999, pp. 315-317 ed infine il più recente, e documentato: ELLERO, Elpidio, Chiesa udinese e fascismo. Arresto e confino di cinque sacerdoti (agosto-dicembre 1927), in: Storia contemporanea in Friuli, anno XXXI, n. 32, Udine, Ifsml, 2001, pp. 55-90.

153 Sulla vicenda, che produrrà un’accelerazione nel processo di trasferimento della Diocesi di Concordia a Pordenone, realizzando in breve tempo lo spostamento del seminario, cfr.: CHIANDOTTO, Vannes, Stato e Chiesa nel Friuli occidentale, 1900-1920, Pordenone, Cooperativa Culturale “G. Lozer”, 1981, pp. 95-165.

154 Su mons. Rossi e la vicenda della profuganza, cfr.: ELLERO, Elpidio, Mons. Anastasio Rossi Arcivescovo di Udine. 1919-1927, in: Storia contemporanea in Friuli, anno XXVI, n. 27, Udine, Ifsml, 1996, pp. 11-68; ID., La rotta di Caporetto: l’esodo della popolazione friulana (ottobre 1917), in: CORNI, Gustavo (a cura di), Il Friuli, storia e società, terzo volume, 1914-1925, La crisi dello Stato liberale, Udine, Ifsml, 2000, pp. 183-219 (in particolare a p. 197 il dato sui preti profughi oltre Piave - 79 - su un totale di oltre 600 dell’arcidiocesi udinese); ID., Storia di un esodo. I friulani dopo la rotta di Caporetto 1917-1919, Udine, Ifsml, 2001.

155 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 7, f. 27, sf. Partito Popolare-Clericale-Azione politica del clero. 1927, allegato alla minuta della lettera della Prefettura del Friuli alla Questura ed alle Sottoprefetture del 9 dicembre 1926. Gli aderenti all’associazionismo cattolico sono 19.040 nell’aprile 1927, di cui 7.100 iscritti al disciolto Ppi: cfr. il rapporto della Questura di Udine citato da: FABBRO, Mario, cit., p. 229, nota 82.

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La persecuzione di don Concina - sfuggita finora ai ricercatori, che si sono concentrati sullo studio delle carte dei due archivi diocesani interessati - inizia ben due anni prima dell’arresto. Sacerdote energico, proveniente da quella vera fucina di vocazioni montanare della diocesi che è la sua Clauzetto, forse temporalista ma capace di mantenere una posizione equilibrata di fronte alla invasione austro-tedesca del 1917, riferimento della lotta dei mezzadri della Bassa Pordenonese, don Concina è l’unico sacerdote concordiese a meritarsi il rispetto di socialisti profondamente anticlericali come quelli di Pordenone 156.

Don Concina, significativamente, chiama Casa del Popolo il centro delle iniziative sociali ed ecclesiali della sua parrocchia. Utilizza un termine tipico della sinistra, vuole lanciare un messaggio, coerentemente con quell’impegno sociale che trasforma Prata in una roccaforte del sindacalismo bianco fin da prima della guerra mondiale, erodendo le stesse promettenti basi del socialismo in quel comune. Contro questa istituzione si abbatte la reazione fascista: attraverso l’azione delle autorità, visto che a Prata il consenso attorno a don Concina è tale che non è agibile pensare all’utilizzo degli squadristi.

L’abbondante materiale conservato presso l’archivio del Gabinetto di Prefettura di Udine testimonia di come si susseguano, dalla fine del 1925, ben due chiusure della Casa del Popolo, bloccando così l’attività politica popolare, ma anche l’educazione religiosa dei fanciulli e lo stesso asilo infantile gestito dalle suore, oltre a sciogliere tutte le associazioni cattoliche, maschili e femminili. Le proteste cattoliche presso le autorità, a sostegno della vasta agitazione locale, riescono a far riaprire la Casa del Popolo una prima volta, ma successivamente solo l’asilo nido. Nel 1927, il vescovo Paulini ed il cappellano don Concina, omonimo e nipote del parroco, approfittano dell’arrivo di un nuovo Prefetto, il dott. Agostino Iraci, per sollecitare il suo interessamento: speranza quanto mai mal riposta: al dott. Umberto Ricci, burocrate giolittiano, è succeduto un quadro del Pnf, e per di più proveniente dai settori più estremi: il prof. Iraci, amico del ras di Bologna Leandro Arpinati, che inizia proprio da Udine la sua carriera. L’inevitabile risposta negativa è solo un primo assaggio: i sacerdoti popolari saranno le sue prime vittime 157.

L’arresto dei cinque sacerdoti, tutti accusati di essere i protagonisti della vittoriosa resistenza popolare alla penetrazione fascista nelle loro zone d’influenza, scatena uno scontro di dimensioni nazionali fra il fascismo e la chiesa cattolica, proprio nel bel mezzo delle trattative concordatarie. Causa immediata del provvedimento è la nomina di un visitatore apostolico per l’Arcidiocesi udinese, il vescovo di Treviso mons. Andrea Giacinto Longhin, con il richiamo in Vaticano di mons. Rossi: atto visto dai fascisti come un attacco diretto ad un loro noto sostenitore. Nonostante lo schieramento di rinforzi di polizia appositamente predisposto, nei paesi interessati le parrocchie si mobilitano, i fedeli affollano tutti i giorni le chiese (che vengono tenute illuminate anche durante la notte); a Tarcento pubbliche manifestazioni antifasciste vengono fermate dalla gerarchia cattolica per stemperare la tensione. Viene anche diffusa (non sappiamo con quali mezzi) una poesia in friulano dedicata ai cinque preti confinati, duramente polemica con mons. Rossi e con l’avv. Mario Pettoello - esponente del Centro nazionale italiano, la minoranza uscita dal Ppi su posizioni filofasciste - ed inneggiante a Papa Ratti ed a mons. Longhin 158.

La vicenda si chiuderà con una soluzione di compromesso: dopo aver concesso gli arresti domiciliari nel seminario arcivescovile udinese ai cinque sacerdoti, questi sono liberati all’inizio del 1928 dopo una richiesta di grazia sottoscritta da 460 loro confratelli; mons. Rossi verrà definitivamente trasferito e sostituito da mons. Nogara, non meno acquiescente al fascismo, ma sollecito promotore (a differenza del predecessore) dell’azione cattolica, che avrà un notevole incremento grazie alla sua opera 159.

Fra i testimoni e gli storici di questo duro scontro fra il fascismo ed il clero friulano si è discusso su chi ne sia stato responsabile. Don Lozer, accreditando i resoconti degli incontri con le autorità di mons. Longhin e padre Tacchi Venturi, tende ad escludere la responsabilità del prefetto Iraci, che avrebbe protestato il suo disaccordo con il provvedimento deciso dal governo; sulla sua traccia si muove Mariuzzo. Ellero, invece, rovescia la responsabilità, sulla base del pesante memoriale prefettizio del 24 luglio 1927.

Condividiamo quest’ultima tesi, rafforzata dal complesso della documentazione prefettizia sulle vicende di Prata: le prese di posizione contro don Concina, da ultima la puntuale relazione dell’estate del 1926, inchiodano alle loro responsabilità i carabinieri, la Sottoprefettura di Pordenone e la Prefettura (già con il suo precedente titolare): il governo reagisce per complementarietà logica, viste le premesse che gli sono state formulate. Ma è un altro sgradevole aspetto - che costituisce l’aspetto più infame dell’intensa campagna di stampa orchestrata contro i sacerdoti popolari dal prefetto di Udine - a rivelare il personale e decisivo contributo di Iraci allo svolgimento di questa vicenda.

Dovendo giustificare, buon ultimo, l’inaudita repressione contro ben cinque monsignori, il fascistissimo 160 Giornale del Friuli interviene il 21 agosto 1927 con un vero e proprio colpo basso. Nell’editoriale dedicato alla vicenda non ci si limita all’attacco politico frontale contro i preti popolari, ma si vuole usare anche l’immondizia contenuta

156 Sul comportamento di don Concina durante l’invasione, quando tutela anche i beni dei borghesi anticlericali suoi avversari, cfr. la

documentazione riportata in: CORNI, Gustavo, Il Friuli Occidentale nell’anno dell’occupazione austro-germanica 1917-1918, Pordenone, Concordia Sette, 1992, in particolare alle pp. 48-52.

157 Sul dr. Ricci, cfr.: FABBRO, Mario, cit., p. 166; su Iraci, cfr. i siti internet: http://www.italia-rsi.org/miscellanea/nonaderirono.htm (sui rapporti fra il prefetto di Udine Agostino Iraci e Leandro Arpinati) e http://ssai.interno.it/pubblicazioni/quaderni/12/07_elenco.pdf (elenco dei prefetti non di carriera nominati nel ventennio).

158 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 22, f. 79, Attività del Clero e Azione Cattolica, 1932, dattiloscritti con originale e traduzione annotata della poesia In omaggio ai confinaz. L’inserimento in questo fascicolo, unita a ritagli dal settimanale diocesano La Vita Cattolica, fa pensare ad un’indagine successiva volta ad individuare il sacerdote autore delle pasquinate.

159 PELLIZZONI, Guglielmo, Curia arcivescovile udinese e regime fascista, Udine, Ifsml, 2005. 160 Non solo per l’orientamento costantemente all’estrema destra dell’editoria friulana, ma per essere stato appositamente acquisito -

quand’era ancora Giornale di Udine - alla scuderia del capo fascista Piero Pisenti con il denaro della Sade di Volpi.

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negli interstizi dei faldoni spionistici, utilizzando accuse non provate e non provabili contro uno degli arrestati. L’episodio meriterebbe di essere accantonato, fra le tante pratiche denigratorie che, insieme al vasto armamentario degli strumenti di delegittimazione, pressione, tortura e violenze - fisiche e psicologiche – sono utilizzate dal potere, in particolare totalitario, per piegare gli oppositori e tenere sotto scacco la massa inerte. Ma la gravità e le modalità di diffusione dell’accusa impongono di considerarla attentamente ed analizzarla, pur mantenendo quella stessa soglia di anonimato che perfino le autorità fasciste non ebbero, anche se solo pro forma, l’ardore di oltrepassare 161. Ecco il brano diffamatorio, inserito fra le accuse politiche contro gli arrestati: Ce n’è un altro, che, quale Direttore e “factotum” d’un circolo Giovanile, è rimasto seriamente compromesso per atti contro il buon costume, che in quel sodalizio si commettevano, e che non si sono potuti punire in sede penale, perché il detto parroco, valendosi della sua influenza, è riuscito ad evitare che le famiglie delle parti lese sporgessero denuncia o confermassero le gravi testimonianze già rese. 162

In realtà già dall’autunno del 1926 le forze di polizia hanno potuto conoscere, grazie proprio alla stessa denuncia pubblica fatta dal parroco interessato dal pulpito, il carattere dell’episodio e l’identità del responsabile, un laico incaricato di seguire l’attività giovanile della parrocchia subito allontanato. Purtroppo il sacerdote convince contemporaneamente i genitori a non sporgere denuncia, secondo la discutibile morale di evitare ogni scandalo. Anche grazie alla corretta identificazione giudiziaria del colpevole, la Prefettura ha buon agio nello strumentalizzare la documentazione, usandola per costruire il “caso”, sovrapponendo l’accusa di corruzione di minorenni a quella, questa sì vera e politicamente caratterizzante, di difendere il ruolo dell’associazionismo cattolico, contro l’affermarsi del monopolio educativo del regime, facendo propaganda presso le famiglie contro l’invio dei bambini all’Opera nazionale Balilla 163. Ottenendo così un doppio risultato: quello di alleggerire la posizione di uno stretto collaboratore di mons. Rossi, accusato dai preti popolari di corruzione morale (come documenta Ellero) e di cercare di distruggere, sullo stesso piano, la fama di uno dei più coerenti baluardi dell’impegno antifascista cattolico.

Lo scontro sul controllo dell’educazione dei fanciulli si ripresenterà pochi anni dopo, a dispetto del Concordato firmato nel frattempo: in realtà i cattolici non rinunceranno mai, pur costretti a piegare la testa nuovamente, a perseguire lo sviluppo della loro presenza sociale, che li porterà, al momento del crollo del fascismo, a presentarsi con la più articolata e potente struttura organizzata da far pesare nel governo dell’Italia postfascista.

Uno degli episodi dello scontro del 1931 avviene proprio in un luogo-simbolo: il 7 luglio il giovane fascista Adamo Maronese, ricoverato nell’Ospedale di Motta di Livenza viene investito dall’insofferenza di due suore infermiere. Adriana Pellegrini ed Isaia Mantovani non riescono proprio a trattenersi di fronte alla foto di Mussolini pubblicata sul giornale Giovinezza fascista che dovrebbero consegnare al giovane. Ambedue hanno espressioni poco lusinghiere per il capo del fascismo, ma Suor Adriana, la più giovane, si accanisce anche sull’immagine.

L’episodio mette in rilievo l’opposizione cattolica in uno dei luoghi più amati dalla devozione popolare mariana delle terre a confine fra Friuli e Veneto: il convento francescano di Santa Maria dei Miracoli. Dove Padre Emanuele (Davide Ongaro) è individuato come l’esponente influente di una rigorosa propaganda antifascista a carattere religioso, che però non tocca il clero secolare del territorio. Giunto a Motta da due anni ma dotato di diffuse relazioni, padre Emanuele non ha remore ad esprimere le proprie opinioni avverse al regime. Nelle sue prediche ha tenuto a dimostrare la caducità degli ordinamenti politici e sociali non fondati sulla giustizia e sul timore di Dio. Padre Emanuele non si limita a predicare, ma organizza anche la diffusione di 400 copie del giornale cattolico L’Azione, organo della diocesi di Ceneda-Vittorio Veneto, in particolare per diffondere la protesta cattolica verso il regime che ha chiuso i Circoli Giovanili Cattolici 164.

Una omonimia ci permette inoltre di scoprire un altro significativo caso di resistenza cattolica al fascismo, da parte del capostazione di Lisiera di Bolzano Vicentino. Giuseppe Ellero è giunto dal trevigiano pochi anni prima, dove professava principî socialisti, senza svolgere alcuna attività politica. Nell’agosto 1928 viene interrogato dalla polizia nella sua qualità di presidente della Sezione “Uomini Cattolici” del suo paese e si rifiuta di dare qualsiasi notizia: Piuttosto di dare indicazioni o dire soltanto il numero dei soci, mi lascio tagliare la testa. Non mancano apprezzamenti negativi sul governo, cui segue una perquisizione dell’abitazione, dove vengono trovate numerose riviste e circolari della Federazione Diocesana e copie de L’Osservatore Romano e de L’Avvenire d’Italia. Vengono presi provvedimenti punitivi nei suoi confronti, visto che l’associazione risulta essere composta prevalentemente da antifascisti. Anche se Ellero viene assolto dalla magistratura, è prima trasferito in provincia di Alessandria e poi licenziato per motivi politici, nell’ambito di un provvedimento che riguarda complessivamente 356 ferrovieri vigilati speciali e 97 licenziati 165.

161 In realtà, già uno degli storici che si è occupato della vicenda del processo ai sacerdoti friulani ha riprodotto l’accusa, contenuta negli

atti giudiziari, e quindi con una precisa identificazione personale, senza accompagnarla con alcun commento. Commettendo una doppia leggerezza: innanzitutto quella di aver in qualche modo accolto in modo acritico l’accusa, ed in secondo luogo di non averne rilevato il macroscopico uso pubblico, pur contenuto in un documento utilizzato.

Il materiale d’archivio consultato è rintracciabile nella documentazione contenuta all’Acs, nei fondi Cpc e Confino di polizia, fascicoli personali.

162 Giornale del Friuli, domenica-lunedì 21-22 agosto 1927, p. 1, La lezione di Udine. 163 Pur con mezzi diversi, non potendo più disporre di un tessuto associativo come i cattolici, anche dalla sponda comunista ci si adopera

contro la fascistizzazione dell’infanzia nello stesso periodo, come dimostra la diffusione di un ciclostilato della Fgcd’i nel 1927: Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 7, f. 27, sf. cat. 10, f. 7, Propaganda contro la fascistizzazione dei fanciulli lavoratori.

164 Acs, Cpc, b. 3593, f. 96347, Ongaro Davide. 165 Acs, Cpc, b. 1880, f. 18298, lettera ciclostilata del Ministero delle Comunicazioni al Cpc, prot. n. R/1-1611 del 19 ottobre 1929 e

certificato di servizio delle Fs del 17 ottobre 1929.

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Trasferitosi a Vicenza presso i figli, uno dei quali sacerdote e l’altro impiegato nella Banca Cattolica, continua a svolgere la sua attività nelle associazioni cattoliche della città. Nel 1937, quando viene proposto per la radiazione, si mettono in rilievo l’adesione al regime degli Ellero, ma soprattutto il mutato atteggiamento politico dei dirigenti le organizzazioni di Azione Cattolica. E’ interessante l’evoluzione politica di questo antifascista, sempre che l’incasellamento come socialista non sia solo frutto di un equivoco dovuto all’omonimia con il deputato socialista pordenonese: le prime notizie da Resana lo danno attivista del Ppi 166. Forse si tratta di un’evoluzione del nucleo familiare, più che del singolo, legata alla carriera professionale dei figli, che trovano prima occupazione presso il tempio del paternalismo industriale, l’industria laniera di Alessandro Rossi, e poi direttamente nel sacerdozio e nella banca cattolica. Più lineare l’evoluzione successiva, nella quale sparisce l’antagonismo aperto fra Azione Cattolica e fascismo nel corso degli anni ‘30 167.

Esaminiamo infine il destino di alcuni dei sacerdoti arrestati ad Udine nel 1927. La politica di conciliazione fra Chiesa cattolica e stato fascista produce i suoi effetti, avviando anche a livello locale una politica di gentlemen’s agreement, se non una sincera adesione al regime. Rapporti diplomatici messi in crisi dalle punte polemiche, come il contrasto sull’Azione Cattolica del 1931, ma senza ritornare allo scontro aperto. Quella che appare ormai superata, per ora, è l’esperienza dell’autonomia politica dei cattolici, con l’abbandono delle attività del Ppi.

Don Di Gaspero è un sacerdote considerato abile politico: ed infatti la sua evoluzione segue quella ufficiale della Chiesa cattolica rispetto al fascismo. Se nel 1929 serba tuttora le proprie idee politiche, senza però svolgere alcuna attività, nel marzo 1931 ha aderito all’invito del Segretario Politico per la benedizione della Casa del Fascio di Tarcento ed in tale occasione ha tenuto un breve discorso esaltando l’opera del Regime. In occasione dello scioglimento dei Circoli Cattolici pur dimostrandosi addolorato per questo fatto, ha tenuto contegno riservato. Nell’aprile del 1932 si annota che all’atto della ricostituzione delle organizzazioni giovanili cattoliche ha palesemente manifestato il suo compiacimento. Nel 1934, notato che ha modificato il proprio atteggiamento politico dando palesi segni di resipiscenza ed in questi ultimi anni ha collaborato con i dirigenti locali del P.N.F., al Comitato Ente Opere Assistenziali ed alle altre provvedimente168 del Regime si giunge alla sua radiazione dal Cpc. Ma altre fonti interne al Pnf rilevano come, alla fine del 1939, don Di Gaspero approfitti della loro disattenzione per condurre le proprie iniziative in contrasto con il partito-regime 169.

L’energico Don Concina dimostra fin dalla fine del 1927 di essersi piegato, almeno esteriormente: dall’epoca dell’arresto serba regolare condotta e dà prove palesi di ravvedimento. Perfino lui nel 1929 percepisce il cambiamento nei rapporti fra Chiesa e regime, dimostrando anzi la sua simpatia, che, dopo il Concordato con la S. Sede si è mutata in devozione, pel Regime e pel Governo Nazionale. Viene quindi cancellato dal Cpc già quell’anno, anche se le ricerche citate di Vannes Chiandotto ricordano come i suoi ultimi anni di vita (muore nel 1936) siano comunque esacerbati dalle tensioni con i maggiorenti del paese, suoi avversari di sempre.

Diversa la vicenda di Spilimbergo, dove nel 1927 i fedeli hanno dato vita ad una esplicita manifestazione di resistenza contro il regime: la canonica di Spilimbergo viene per più giorni e notti presidiata da gran numero di donne per impedire l’arresto del parroco (…) I poliziotti riescono ad eseguire poi l’arresto di questo parroco solo approfittando, una mattina sul far dell’alba, di un momento in cui si è rarefatta la presenza della gente 170. Don Colin non vedrà i tempi nuov: è il primo ad andarsene dei sette sacerdoti: muore in giovane età nei primi giorni del 1931. Nonostante i rapporti successivi all’arresto lo indichino come ritirato da ogni attività politica, la fama di antifascista non lo abbandonerà nelle sue ultime primavere. Una nota confidenziale da Parigi lo accusa - proprio nei giorni in cui muore - di essere in continua relazione epistolare con la concentrazione antifascista 171. E’ significativo che l’accusa nei suoi confronti coinvolga il coordinamento delle forze di opposizione socialiste e democratica, a dimostrazione di una fama che pone l’arciprete di Spilimbergo oltre l’ambito ristretto del clericalismo, collocandolo almeno idealmente nelle file dell’opposizione più coerente al regime, in ossequio al clima particolare della rocca cirianea.

10.10 - Due sindacalisti della sinistra migliolina. Nel primo dopoguerra, con la nascita della Confederazione Italiana dei Lavoratori, anche il movimento

sindacale cattolico ha un grande sviluppo. Nel Friuli occidentale, la necessità di acquisire quadri tocca anche le leghe bianche, che altrimenti debbono - come i socialisti - condividere i dirigenti politici oppure basarsi sui sacerdoti: soprattutto don Giuseppe Lozer e don Giovanni Maria Concina. E’ così che giungono in questo territorio due sindacalisti che imprimeranno un forte impulso alla lotta delle leghe bianche: l’umbro Francesco Igi ed il romagnolo Natale Ricchi: su quest’ultimo è rimasta una notevole testimonianza del credito acquisito, attraverso la trasmissione di canti popolari a lui dedicati nella zona di Prata 172.

Tutti e due mobilitati anche nelle liste del Ppi per le provinciali del 1920, non vi rimangono fino alla fine: Ricchi rompe da sinistra con il partito, per condurre agitazioni molto dure a Prata, sconfessato dal Ppi provinciale ed

166 Acs, Cpc, b. 1880, f. 18298, lettera della Prefettura di di Vicenza al Cpc, prot. Gab. P.S. n. 04825 del 3 agosto 1928. 167 Acs, Cpc, b. 1880, f. 18298. 168 Sic. 169 PELLIZZONI, Guglielmo, cit., pp. 50-51. 170 BOSARI, Otello, bozze di uno studio Per una storia del sindacalismo nella Destra Tagliamento, inedito, senza data ma antecedente al

1994. 171 Acs, Pol.Pol., pacco 316, f. 12. 172 CARONE, Bepi, Tradizione orale e humus culturale a Prata tra Ottocento e Novecento, in: L’opera sociale politica e pastorale di

Giovanni Maria Concina, Prata, Centro Iniziative Culturali, 1989, pp. 159-194.

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ormai proiettato nell’ambito delle formazioni che, incubate nella sinistra migliolina del Ppi e della Cil, sono costrette alla scissione dalla maggioranza moderata del partito. Attivo nel Partito Cristiano dei Lavoratori durante la campagna elettorale del maggio 1921, pochi giorni prima dell’invasione fascista del Friuli, Ricchi aderisce nel corso dei mesi successivi al fascismo. Ritornato nella natia Cesena e poi trasferitosi a Torino, scivola nel mondo della delinquenza comune. Non le attività cui si dedica per sbarcare il lunario, ma le sue critiche contro un regime dove prosperano i profittatori gli provocano nel 1929 l’espulsione dal Pnf, contenitore rivelatosi non meno inadatto del Ppi per valorizzare le energie di questo vulcanico sindacalista 173.

Analoga sul piano dello scacco personale, ma ben diversa negli accadimenti è la vicenda politica dell’umbro Francesco Igi, che negli stessi caldi mesi delle vertenze agrarie del dopoguerra fissa la sua dimora presso il capo delle leghe bianche sanvitesi, il vecchio sindaco clerico-moderato Pio Morassutti, agrario diventato capo della sinistra del Ppi e segretario provinciale del partito 174. Igi parte nell’ottobre 1920 da Umbertide per raggiungere Este, dove per due mesi è il segretario delle leghe bianche. E’ costretto ad allontanarsi a causa del suo carattere irruento. Questo almeno secondo il prefetto di Perugia: in realtà Igi è attivo nel Sanvitese già dal luglio precedente, e prima, secondo il viceprefetto di Udine, sarebbe stato attivo a Bergamo come sindacalista socialista 175. Il riferimento a Bergamo è importante, poiché là opera Romano Cocchi ed il Ppi è prevalentemente di sinistra 176.

La vicenda successiva di Igi ci dà di lui un’immagine frastagliata e potenzialmente aperta ad ogni interpretazione: spionaggio, millantato credito, ambiguità, autosuggestione o assoluta mancanza di cautela, oppure forse solo il cul-de-sac della disperazione per la vita grama dell’esule e la frustrazione di tante energie non riconducibili ad una normale esistenza borghese, che solo alla fine riuscirà a raggiungere. Igi è senz’altro indicato come spia del regime da Fucci, sulla base delle pionieristiche indicazioni di Berneri (che però si limita a definire Igi un tipo equivoco). Fucci lo colloca fra gli emissari che, fra il 1924 ed il 1926, costituiscono una rete della polizia politica italiana all’estero, basata sui consolati, gli uffici del turismo, i fasci all’estero e su informatori prezzolati, con lo scopo di raccogliere informazioni sugli antifascisti e fare opera di provocazione. Le fonti di finanziamento di questa rete sono quelle ufficiali, ma anche traffici occulti 177.

Se fosse confermata con assoluta certezza la sua deliberata partecipazione alla rete spionistica fascista, Igi inizierebbe probabilmente la sua azione ancora prima, passando pure lui - come Ricchi - nelle file del fascismo senza soluzione di continuità rispetto alla precedente attività nel sindacalismo bianco. Poco importa quanto la sua adesione sia dimostrata o frutto di una catena di equivoci: certo le stimmate della provocazione o della sconsideratezza sono contenute nel primo atto della vicenda. Il resoconto della sua attività verrà dettato ai due funzionari che lo interrogheranno a Perugia, dopo otto anni all’estero: la chiave di lettura ruota quasi certamente attorno ai due funzionari che gli fanno rilasciare il passaporto, dando un senso ad avvenimenti che altrimenti apparirebbero solo la degenerazione di un sindacalista bianco, votato al fallimento dal non voler accettare la confluenza nella sinistra marxista, non potendo neanche rientrare nei ranghi di un cattolicesimo moderato cui forse non ha mai appartenuto 178. Il 24 dicembre 1922, due mesi dopo la Marcia su Roma, Igi parte per Nizza, con la copertura del gerarca umbro Giuseppe Bastianini, che di lì a poco diventerà responsabile dei Fasci all’estero, e del comm. dott. Giovanni Gasti, Ispettore Generale di P.S. e fondatore nel 1916 dell’Ufficio centrale investigazione, il prototipo dell’Ovra, costituito durante la guerra per lottare contro il pacifismo e lo spionaggio nemico. E proprio in Provenza è protagonista di primo piano di una grande agitazione sindacale degli operai italiani immigrati, di cui assume la direzione dopo averne estromesso i precedenti portavoce: colpito da espulsione, Igi può trattenersi in Francia per molto tempo, a causa di un presunto errore di indirizzo nella notifica del provvedimento 179.

Esule in Francia e Belgio, viene ritenuto dall’infiltrato Serracchioli l’anello di congiunzione tra Miglioli ed il partito comunista in Belgio, ed è l’uomo di fiducia di Miglioli . Ma Igi non segue Guido Miglioli fino in fondo nel suo avvicinamento ai comunisti. Il 4 luglio 1927 gli esprime i suoi dubbi: E tu che sei o sei stato nell’oriente forse avrai visto tante cose, ma oggi fra i giochi terribili delle crisi credimi non saprei dove scegliere fra due regimi. Io ho sempre

173 Acs, Pol.Pol., f. Ricchi Natale. 174 Acs, Cpc, b. 2626, f. 2777; Pol.Pol., b. 671, f. 5, Igi Rag. Francesco; su Morassutti ed il movimenti agrari nel Sanvitese, cfr. MARIUZ,

Giuseppe, Leghe bianche e rosse in un’area rurale friulana. Irruenza e declino delle lotte di massa nel Sanvitese 1919-20, in Storia Contemporanea in Friuli , anno XVIII, n. 19, Udine, Ifsml, 1988, pagg. 67-104.

175 Acs, Cpc, b. 2626, f. 2777, trascrizione dattilografica della nota della Prefettura di Perugia n. 2941 del 14 settembre 1926; la nota della Prefettura di Udine del 5 luglio 1920 è in: PILLOT , Pier Paolo e CAMISA, Livio, Il primo dopoguerra nel Friuli Occidentale (1919-1923), Pordenone, Concordia Sette, 1997, p. 221. Ma la Prefettura di Perugia anche successivamente insiste sul fatto che apparteneva al partito popolare del quale si mostrò acceso e attivo propagandista: cfr. Acs, Cpc, b. 2626, f. 2777, lettera della Prefettura di Perugia al Cpc del 4 agosto 1928, prot. n. 681 Gab. P.S.

176 Esponente della sinistra migliolina, viene prima esautorato dal vescovo e costretto a formare una Unione del Lavoro autonoma, e poi espulso dal Ppi nel febbraio-marzo 1921. Dopo la breve esperienza del Partito cristiano del lavoro, confluisce nel Psi e successivamente (con la corrente terzinternazionalista) nel Pcd’i. Direttore del quindicinale dedicato ai contadini Il seme e membro del Cc (con lo pseudonimo Adami), Cocchi è uno dei principali organizzatori del partito nell’emigrazione e, nel 1937, diventa il segretario generale dell’Unione popolare italiana, l’organizzazione di massa promossa in Francia dai comunisti e poi dai socialisti. La firma del patto tedesco-sovietico del 1939 provoca la rottura fra Cocchi ed il Pcd’i; combattente nella Resistenza francese, è deportato a Buchenwald dove muore nel 1944. Cfr. la biografia, a cura di M.G. Rossi, in: ANDREUCCI-DETTI, cit., secondo volume, pp. 58-61.

177 FUCCI, Franco, cit., pp. 36-37; BERNERI, Carlo, cit. pp. 39, 41 e 81. Va ricordato il commercio di residuati di guerra austroungarici fra la caserma della Comina di Pordenone - dove sono conservati gli immensi depositi di residuati della 2a e della 3a armata - e la Croazia da parte di Dumini, denunciato da Matteotti poco prima della sua uccisione: cfr. FABBRO, Mario, cit., pp. 143-144.

178 Acs, Cpc, b. 2626, f. 2777, verbale dell’interrogatorio del 30 aprile 1930 nella Questura di Perugia. 179 Su Bastianini cfr.: FRANZINELLI , Mimmo, I tentacoli dell’Ovra, cit., p. 47; su Gasti, oltre a Franzinelli, ad indicem, cfr. inoltre CANALI ,

Mauro, Le spie del regime, cit., ad indicem.

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sognato la pace e la libertà. Nel mio sogno sento che vi è qualche cosa di troppo irrealizzabile, ma nel mio animo vi è una forza che grida giustizia. Gli uomini!!! Oh Guido, gli uomini oggi non sono più pronti per gli atti rivoluzionari. Credo che la più grossa stupidaggine che abbiano fatto i partiti estremi, sia quella di fare degli operai con il loro materialismo profondo, dei piccoli viveur. Il cristianesimo si è imposto perché la sua dottrina era basata su un ideale puro, e credo che l’unico mezzo di scuotere il letargo di oggi, è di riportare questa dottrina fra le masse e spingerle di fronte al sacrificio di essi per un qualche cosa di più che un pezzo di pane o un salario. La cosa più difficile caro amico è quella di definire cosa è la libertà. Tutto il popolo in generale à fatto una genesi sbagliata di questa parola. Ma noi ci siamo ingannati. Non bisogna del pane il popolo ma à bisogno di una fede per agire. E che, non è forse vero che i partiti estremi, abbattendo o cercando di abbattere tutte le fedi, ànno distrutto nel popolo il senso dell’onore e della rivolta nello stesso tempo? Deh, ti prego Guido tu che puoi parlare ancora a questo popolo, cerca di ritornarlo ad un campo più vasto che la terra a terra, ed allora quando la sua coscienza sarà ancora piena di una fede profonda, allora, allora solo, avremo un ribelle contro l’assassinio e l’istrionismo 180.

L’esperienza di Igi sembra quindi subire una battuta d’arresto in questa fase, con un rifiuto di superare il diaframma fra la militanza nella sinistra cristiana ed una scelta sofferta in campo comunista, in forma organica come Cocchi o da “compagno di strada” come Miglioli. Fino alla metà del 1927 esiste un gruppo del Ppi a Bruxelles, ma proprio a partire da questo momento si disgrega, forse anche a causa delle minori visite di Miglioli, ma probabilmente proprio per il dissenso politico di fondo che si va manifestando. Rimane alla fine solo Igi, che continua la sua attività scrivendo articoli antifascisti sui giornali belgi, cercando di organizzare un centro stampa per diffondere volantini antifascisti fra gli operai emigranti e discorrendo, come troppi esuli, di ipotetici attentati in Italia.

Focalizziamo gli avvenimenti del periodo: il dissenso fra Igi e Miglioli sul rapporto con il Pcd’i; l’acquisizione del controllo comunista sulle leghe antifasciste (dirette da Sammartino); la collaborazione con Il Riscatto degli Italiani, diretto da Sartor appena arrivato dalla Francia, che muore in luglio; quella con i fascisti, che potrebbe iniziare in questo periodo. Troppi “pordenonesi”, troppe coincidenze.

Dopo ulteriori peregrinazioni fra Belgio ed Olanda, Igi si fa letteralmente rinviare in via coatta in Italia dalle autorità olandesi. Interrogato nella Questura di Perugia, nelle sue dichiarazioni ai funzionari non fa assolutamente alcun riferimento ai principali agenti fascisti che avevano ronzato soprattutto attorno a Miglioli, all’altro esule popolare Giuseppe Donati ed all’anarchico Berneri, montando provocazioni: come Silvio Ghini, Ermanno Menapace, Angelo Savorelli e Giuseppe Serracchioli. Indubbiamente quest’ultimo si era mosso contro Igi, provocandone anche l’arresto da parte della polizia belga nel dicembre 1926: ma ciò non toglie che si trattasse di cordate che, autonomamente l’una dall’altra, operavano con l’obiettivo di seminare la confusione nell’ambiente antifascista, e quindi potenzialmente capaci di colpire in ogni direzione, con l’obiettivo prioritario di delegittimare, dividere ed isolare gli antifascisti 181. Per parte sua, Igi non smentisce l’accusa di appartenere a quegli ambienti, riportata dalla stampa antifascista dell’epoca, oltre che dal libro di Berneri 182.

Dopo l’interrogatorio in Questura a Perugia, momentaneamente la sua vicenda si conclude con una semplice diffida ed il rimpatrio ad Umbertide, presso il padre dipendente comunale. L’anno dopo, Igi - disoccupato nonostante la sua buona volontà e interessamento degli stessi fascisti del paese - richiede il passaporto per il Lussemburgo, con il sostegno del prefetto. Dopo aver fatto perdere le tracce per un po’, Igi riappare in settembre a Bruxelles 183. Nel frattempo, quello stesso mese ha scritto da Ostenda nuovamente ad Arnaldo Mussolini per chiederne il sostegno. L’opinione ufficiale su di lui, contenuta in un appunto della Dpp a Ferrari, è netta: E’ un mascalzone! 184.

Per parte loro, invece, i socialisti diffidano pubblicamente Igi sulle pagine dell’Avanti! di Parigi, notandone la compresenza con i vari Ghini, Savorelli, Cestari, ecc. e definendolo ex popolare e figura molto equivoca, dopo una lunga assenza, perché ritornato in Italia per circa due anni, è rivenuto nel Belgio in questi ultimi tempi con regolare passaporto. Questa volta Igi risponde, ammettendo di aver conosciuto Menapace e le altre spie nominate, ma vantando anche altri meriti inesistenti, come 10 mesi di confino mai effettuati. E ribadendo che era stato naturale per uno come lui, popolare cattolico, non frequentare più ambienti antifascisti che si connotano come massonici o comunisti 185.

Igi rientra da Bruxelles nell’agosto 1932, facendosi buttare fuori dal Ministero dell’Interno, dove si reca per consegnare un memoriale nel quale accusa di leggerezza l’agente Giovanni Rigobello (cui afferma di aver recapitato rapporti settimanali sull’attività antifascista, l’attentato di Sbardellotto ed i prossimi voli di Gl), soprattutto perché si fida dell’amante Claudina Froloff, secondo Igi agente comunista. Rimandato ad Umbertide col foglio di via... viene lasciato ripartire legalmente per l’Olanda, non prima di essersi recato dal federale di Perugia, cui lascia copia del rapporto.

Finalmente Igi si sistema dal punto di vista personale in Olanda, si dichiara fedele al regime ma continua a fare od a voler fare l’agente segreto, frequentando antifascisti anche nei paesi contermini, soprattutto in Belgio. L’11 luglio 1934 Igi scrive a Benito Mussolini, vantando i suoi servizi spionistici e richiedendo nuovamente di essere stipendiato:

180 Acs, Pol.Pol., b. 671, f. 5, lettera del 4 luglio 1927, inviata da Igi da Ostenda, Rue St. Paoul 22 a Guido. 181 Sui rapporti fra Igi e questi ed altri agenti fascisti: cfr. BERNERI, Carlo, cit. ed Acs, Pol.Pol., b. 671, f. 5, nota da Bruxelles

dell’informatore n. 148 (Umberto Ferrari, operativo a Bruxelles e Reggio Emilia, pseudonimo Ferto,) del 22 gennaio 1932, che fa riferimento esplicitamente ai precedenti contatti con Serracchioli (n. 19) e Roberto (Ottavio Angelelli di Parigi, n. 602, pseudonimi Lisippo e Roberto).

182 Acs, Pol.Pol., b. 671, f. 5, ritagli dell’Avanti! allegati alle note da Bruxelles di Ferrari del 25 febbraio e del 4 marzo 1932. 183 La sorveglianza su Igi viene assunta da Umberto Ferrari, referente dell’Ovra nel Granducato, informatore n. 148, e dal dr. Andrea Vari,

pseudonimo Anvar, funzionario della filiale belga del Banco di Sicilia ed informatore n. 173: cfr. FRANZINELLI , Mimmo, I tentacoli dell’Ovra, cit., ad indicem.

184 Acs, Pol.Pol., b. 671, f. 5, note del 3 febbraio 1932, s.n., indirizzata al n. 148. 185 Acs, Pol.Pol., b. 671, f. 5, ritagli dell’Avanti! allegati alle note da Bruxelles di Ferrari del 25 febbraio e del 4 marzo 1932.

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l’accenno a propositi dei fuorusciti di sequestrare i figli del dittatore riesce a sollecitarne le corde più sensibili, ottenendo una qualche attenzione 186. Pochi mesi dopo scrive anche alla moglie del dittatore. Talvolta qualcuna fra le autorità diplomatiche, come il consolato in Olanda o quello di Anversa, caldeggia la sua assunzione, magari in un posto secondario, giustificando il suo operato. Ma Igi non si accontenta, e colpisce sempre più in alto: arriva, in autunno, a mettere sotto accusa il conte Bonarelli, consigliere presso l’Ambasciata a Bruxelles.

Forse consumato da tanto affannarsi senza costrutto e riconoscimenti, Igi - ufficialmente del tutto isolato sia dagli antifascisti che dalle autorità del regime, e probabilmente ormai incapace di gestire un gioco più grande di lui - termina infine le sue peregrinazioni fra Olanda, Belgio, Francia e Lussemburgo il 29 maggio 1935 a L’Aja, con una morte per infarto.

Gli esponenti della sinistra cristiana non reggono un gioco che impone loro di schierarsi: o rinunciando alla loro ideologia di fondo, annullandosi nella sinistra laica (e le stesse vicende di Cocchi e di Miglioli dimostrano con quale sofferenza) oppure accettando la disciplina dell’istituzione ecclesiale, che muove le masse cattoliche solo nei momenti di confronto con il potere, per poi ritornare ad un generalizzato sostegno al regime, mentre si preparano i propri quadri in ambito ecclesiale, in attesa del momento del ricambio che prima o poi verrà. Non appare esistere una terza via, che non sia quella del disorientamento e del cedimento.

10.11 - L’antifascismo popolare spontaneo. Apparentemente insignificanti sul piano politico, le persone definite - nella schedatura per “colore” del Cpc -

come semplicemente antifasciste dimostrano, attraverso lo stillicidio di episodi a volte casuali, la scarsa simpatia per il regime diffusa negli strati popolari. Ma a volte anche fra la piccola borghesia, soprattutto negli anni della Seconda guerra mondiale. Si tratta di 274 persone, pari matematicamente ad un terzo dell’universo considerato, e quindi del secondo gruppo per consistenza dopo i comunisti.

Importante sul piano sociale, emerge il radicamento della tradizione operaia anche in ceti marginali o sottoproletari, come dimostra il caso delle cinque prostitute friulane censite. L’antifascismo non organizzato è diffuso, rilevato dai tanti casi di repressione di atteggiamenti eterodossi, spesso fortemente polemici, e significativi di una resistenza passiva che si dissimula fra le pieghe dell’apparente consenso al regime. Secondo una antica tradizione italiana, portato di secoli di assolutismo delle piccole e soffocanti monarchie locali, lo sberleffo e l'invettiva sostituiscono l'azione politica organizzata.

Lontano dalla dimensione spesso autoreferenziale dei dibattiti politici, l’analisi del comportamento dei privati cittadini perseguitati per singoli episodi di antifascismo apre squarci su una società non omologata, su formazioni ideologiche profonde e su uno spirito ribelle che non riesce a dissimularsi del tutto, nonostante la pervasività dei controlli e la durezza della repressione. Si tratta di comportamenti talvolta lucidi, frequentemente dovuti a casualità, più spesso a temporanea mancanza di autocontrollo. Veri e propri lapsus della psicologia sociale, che possono rivelare quel magma di inquietudini, sofferenze - ma anche coscienza della drammatica sconfitta di classe subita sulla propria pelle - che diventeranno, di fronte allo sfascio della guerra mondiale, irriducibile opposizione, passando il testimone alla nuova generazione.

Le tipologie sono diverse, e risentono anche delle modificazioni temporali. Alcune delle prime sentenze di cui si interessa il neocostituito Tsds nel 1926 (pur rimettendole poi alla decisione della magistratura ordinaria) sono dedicate ad episodi di apologia dei tentati tirannicidii: si tratta di Amabile Bisutti di Domanins e di Luigi Biancat di Aviano 187. In altri casi le bicchierate conviviali all’osteria sono l’occasione per improvvisare canzonieri sovversivi, magari da parte di persone che non hanno assolutamente un passato di sinistra, come quando a San Martino al Tagliamento un ex combattente e consigliere comunale bloccardo, Francesco Ongaro, intona il canto anarchico “discendete vigliacchi [dal] trono, deponete [le] vostre corone” 188.

Atteggiamenti polemicamente estremi vengono dai settori socialmente più marginalizzati, quelli dove la mancanza di un lavoro stabile e di una minima sicurezza alimentare si saldano con l’assenza di abitazione e con la doppia stigmatizzazione dell’essere donna e di dover attingere dalla propria differenza di genere le residue risorse economiche. Nel Friuli occidentale non rimane traccia di prostitute schedate per iniziative antifasciste, per cui abbiamo attinto al restante territorio provinciale i cinque casi verificatisi. Si tratta, prevalentemente, di situazioni di estrema marginalità, in cui il mestiere viene esercitato al di fuori delle strutture ufficiali: quelle case di tolleranza che sono passate alla storia come “case chiuse”, per la condizione di semischiavitù e di obbligata transumanza periodica cui erano costrette le donne di fatto internatevi 189.

I casi esaminati mostrano un ricorso alla prostituzione diversificato ed in qualche modo complementare ad altre condizioni di vita: più che una precisa scelta professionale, sembra trattarsi di una situazione obbligata dallo stato di senza fissa dimora, oppure di una integrazione del reddito familiare. Situazioni che producono una realtà di scontro

186 La preoccupazione principale del capo della polizia Bocchini è la tutela del duce dagli attentati, cui destina risorse ingenti: fr.: FUCCI,

Franco, cit.: la carriera di Bocchini è ricostruita alle pp. 86-119. 187 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

Decisioni emesse nel 1927, Roma, 1980, p. 315, e nel 1929, Roma, 1983, p. 552. 188 Acs, Cpc, b. 3594, f. 4864, Ongaro Francesco. 189 Una descrizione della vita in una casa di tolleranza dell’epoca, con i suoi precisi vincoli burocratico-polizieschi, è data da uno scrittore

con una grande sensibilità per la vita delle istituzioni repressive nell’epoca fascista: cfr. LUCARELLI, Carlo, Via delle Oche, Palermo, Sellerio, 1996. Il libro ha inoltre il pregio di ambientare la vicenda nella fase successiva alla fine della Seconda guerra mondiale, nel momento del trapasso dalla breve estate della coalizione antifascista al regime democristiano, con l’eliminazione delle ultime presenze di origine partigiana nelle istituzioni poliziesche.

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costante con le autorità di polizia, aggravata in qualche caso dall’abuso alcoolico, cronico od acuto, dal dover ricorrere ad altri espedienti per far quadrare il bilancio familiare (frequenti, come per tutte le categorie del lavoro manuale dell’epoca, le condanne per furto ed appropriazione indebita) oppure semplicemente da un carattere orgoglioso e polemico, ulteriormente inacidito dalle continue persecuzioni o stigmatizzazioni. Inevitabile il fioccare di condanne per resistenza alla forza pubblica.

Come per tutto l’universo delle informazioni raccolte dal sistema poliziesco fascista, va presa con cautela la stessa schedatura come prostitute delle persone considerate. In realtà, può trattarsi di un giudizio morale dei poliziotti, che cercano di incasellare nel loro angusto orizzonte analitico una condizione sociale non univoca e continuativa, ma anche comportamenti relazionali eterodossi, a maggior ragione discriminati in una società tanto più bigotta quanto maschilista. Ne è un buon esempio il caso di Vittoria P., che continua ad essere definita prostituta anche molti anni dopo che le stesse relazioni hanno circoscritto agli anni precedenti al 1931 la sua attività nel settore.

Un’altra forma di espressione del dissenso sono gli insulti rivolti a Mussolini, pronunciati in stato di ebbrezza. Il fatto che si tratti di persone marginali, spesso senza fissa dimora ed affette da alcoolismo cronico, e quindi votate a sicuro internamento in manicomio, non può nascondere una condizione sociale comune con quella di ampi settori popolari, nei quali la precarietà è condizione di vita abituale e l’abuso di alcool è spesso l’unico momento di svago e trasgressione. Le accuse a Mussolini sono un fenomeno così strutturato da ispirare un Regio Decreto, il 24 dicembre 1927, finalizzato ad amnistiare le 355 persone condannate in un anno e mezzo (dal maggio 1926) per questo reato, codificato anche con un’apposita timbratura sul frontespizio delle cartelle del Cpc 190.

L’invettiva sconfina però in atteggiamenti inequivocabilmente schierati politicamente, per quanto espressi da persone ufficialmente prive di una precisa militanza alle proprie spalle. Come Teresa C., che in una serata del 1929, in un’osteria di Udine, fu sorpresa a cantare in pubblico l’ “Inno dei lavoratori”. E Maria P., apparentemente apolitica, ma carattere irriducibile e ribelle (anche il mestiere lo esercita da “irregolare”, senza farsi inquadrare nella prostituzione di stato delle case di tolleranza) dà inequivocabile carattere sovversivo alla sua protesta contro un’intollerabile discriminazione subita. Così recidiva le offese al duce in piena stazione ferroviaria del capoluogo friulano: commettendo oltraggio verso il guardasala Bellina Gino, il quale cercava evitarle l’accesso nel ristoratore della stazione. All’atto dell’arresto la P. si lasciava andare in escandescenza contro il Capo Manipolo Gottardo, all’indirizzo del quale pronunciava le seguenti frasi: “Io non parlo con te muso di mona, pigli trenta lire al giorno per mettere in galera la povera gente. I fascisti sono stati la rovina d’Italia, e voi della Milizia siete dei lazzaroni, e se Mussolini sapesse quanto siete mascalzoni vi farebbe fucilare. Rinchiusa in camera di sicurezza la predetta continuava ad inveire contro il Regime, mettendosi poscia a cantare sull’aria di “bandiera rossa” delle strofette offensive alla persona di S.E. il Capo del Governo. Laddove l’ingenua credenza popolare sul fatto che l’autorità suprema sia pura, ma ignara delle bassezze dei suoi rappresentanti viene subito corretta dall’irrisione, sull’aria dell’inno comunista 191.

In altre occasioni, le offese al duce sono condite da espressioni antipatriottiche. Il fatto di averle pronunciate in stato d’ebbrezza non le rende meno rappresentative del diffuso rimpianto per l’amministrazione austroungarica, soprattutto nelle contrade orientali del Friuli. Come quando Vittoria P., senza fissa dimora e prostituta irregolare si mette a gridare in Piazza Verdi a Monfalcone il 12 aprile 1930, in piena crisi economica mondiale, le seguenti frasi: “Viva la Germania” e “che vada a ramengo l’Italia sporca, piena di mangia cipolle e pomodori”! “La Germania mi da lavoro e l’Italia mi fa crepar di fame”!. “Vogliamo i tedeschi e vadano via gli sporchi italiani pieni di miseria e mangia cipolle perché a me piacciono i polli” 192.

In realtà, non sembra si tratti solo di rimpianti passatisti, come dimostra il successivo arresto avvenuto l’anno dopo in provincia di Treviso: ad alta voce diceva: “Vogliamo lavoro; quei vigliacchi di fascisti” (...) Essa allora soggiunse: “Vi sono molti disoccupati”. E poi, all’arrivo della Milizia: “Eccolo il farabutto dei fascisti: gli italiani sono tutti lazzeroni, gli jugoslavi sono gente da rispettare”. A queste parole il milite Genovese invitò la donna ad alzarsi e seguirlo (al che la donna aderì subito senza profferire verbo) e la rinchiuse nella camera di sicurezza in Casale sul Sile. Appena rinchiusa in camera di sicurezza la P. gridò “Mussolini è un lazzerone, fa soffrire la gente perché non dà ad essa lavoro”. Circa venti minuti dopo si mise a cantare “Giovinezza, Giovinezza” intercalando il suo canto con grida di “Viva Mussolini, Viva il Re”.

Anche in questo caso, l’apparente confusione prodotta dall’ebbrezza alcoolica (ma più probabilmente dal realismo che subentra con il suo affievolirsi con il passare del tempo: e P. è ben cosciente di cosa le stia succedendo, vista i ripetuti arresti subiti negli anni precedenti, magari solo per farle scontare pochi giorni di arretrati di pena) non impedisce - checché ci rimanga dei comprensibili giudizi di senso opposto dei carabinieri - alla nostra protagonista di esprimere giudizi netti sulla situazione politica contemporanea 193.

Il caso di Berghi Casarsa, di Feletto Umberto, dimostra come l’elementare insoddisfazione di un ladruncolo vagabondo possa assumere valenze antifasciste anche particolarmente forti, ma poco stabili. Casarsa ferisce a colpi di pistola un carabiniere nel 1926. Pur non avendo mai appartenuto ad organizzazioni politiche, viene schedato come

190 Acs, Cpc, b. 17, f. 8095, Ministero dell’Interno, Gab., prot. n. 200 C.G., Appunto per la Direzione Gen. della P.S., ciclostilato non

datato contenente l’elenco delle persone condannate e graziate per offese al Capo del Governo. 191 Acs, Cpc, b. 935, f. 73648, .lettera Prefettura di Udine a Cpc, prot. Gab. n. 020171 P.S. del 31 ottobre 1930; b. 3832, f. 30200,

Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Divisione Polizia di Frontiera, Sez. IIa a Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Divisione Affari Generali e Riservati, prot. n. 300/81305.11900/71 del 9 dicembre 1930.

192 Acs, Cpc, b. 3855, f. 7583, Prefettura di Udine a Cpc, prot. Gab. n. 0570 P.S. del 22 aprile 1930. 193 Acs, Cpc, b. 3855, f. 7583, Mi-Uc, minuta dattiloscritta del telegramma Prefettura di Treviso n. 56813(2=V del 25 ottobre 1931;

Prefettura di Treviso a Cpc, prot. Gab. n. 05292 del 6 novembre 1931, Offese a S.E. il Capo del Governo ed al Fascismo; minuta dispaccio telegrafico Ministero dell’Interno a Prefettura di Treviso n. 31764 del 15 novembre 1931.

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antifascista. Ma la sua formazione, instillata da emigranti politicizzati, è passiva, e lui è troppo occupato a sopravvivere, a mezzo di piccoli reati. Quando gli si offrirà finalmente una valvola di sfogo in Africa, Casarsa aderisce al regime.

Lo scoppio del conflitto mondiale produce una ripresa delle voci apologetiche del tirannicidio. Il pordenonese Antonio Basso, operaio ad Aosta nello stabilimento Cogne, nell’agosto 1940, mentre si trovava sul lavoro, conversando con altro operaio, pronunziò la seguente frase: “Sarebbe stato meglio che il duce fosse morto”. La decisione di spedirlo al confino per due anni giunge direttamente dal capo della polizia Carmine Senise 194.

Un buon esempio della paranoia bellicista contro il disfattismo è la sentenza n. 131 del Tsds, emessa il 23 maggio 1941 nei confronti di cinque persone per avere, in tempo di guerra comunicato e diffuso voci e notizie false e tendenziose, contenute in una lettera attribuita falsamente ad un'alta personalità militare: gli inquisitori sono costretti ormai a non confrontarsi più solo con irriducibili operai comunisti, ma con un ceto medio finora ossequiente, e perfino con un alto ufficiale, che nel caso concreto diffondono fra i militari un apocrifo di Badoglio nel quale si attribuisce la responsabilità delle sconfitte delle forze armate italiane alle errate indicazioni del potere fascista 195.

Ben più spontanea e concreta l’invettiva dei giovani militari destinati al fronte, che in almeno due occasioni portate al giudizio del Tsds, a Caneva e San Vito al Tagliamento, si dedicano al tiro di bicchieri di vino contro le immagini dei capi del regime e del papato esposte nei locali pubblici 196. Ovviamente di tutti questi atti si rendono spesso responsabili persone che, una volta schedate, si rivelano poi aderenti alle forze politiche della sinistra, anche se agenti in forma isolata per la rescissione dei legami organizzativi dovuti alla repressione.

10.12 - Dissidenti fascisti. Esponente dei combattenti e fascista della prima ora, il geometra Omero Polon si scontra con il regime durante

il grande sciopero dei cotonieri pordenonesi del 1928. Anche lui viene travolto dall’onda lunga dello scontro fra l’ala affaristica, che fa capo al suo ex compagno radicale Pisenti, e quella degli squadristi legati a Farinacci, che dilania alla metà degli anni Venti il fascismo friulano con alterne fortune ed espulsioni reciproche (fra cui quella famosa di Pisenti stesso nel 1926). L’azione di Polon e dei fratelli data ormai dal 1923, quando la sezione dell’Anc di Pordenone assume posizioni di rottura con il fascismo, in collegamento con il dissenso di altri gruppi in Friuli 197.

Quello di Omero Polon e del fratello Arnaldo è il tentativo, probabilmente sincero anche se velleitario, di affermare un ruolo del sindacato fascista in difesa dei lavoratori, in una città dove prevalgono i pisentiniani, rappresentati dal podestà conte Cattaneo e dagli altri gerarchi del regime. Ma nello sciopero il sindacato fascista viene fin da subito spiazzato, schiacciato fra la dura lotta operaia e la repressione fascista. Fra le vittime della repressione ci saranno anche loro, che avranno l’onore di essere fermati insieme a decine di operaie ed operai durante lo sciopero e poi saranno spediti al confino. Ma Polon ha dei santi in paradiso, e nel giro di pochi mesi viene rimandato a casa da Mussolini, per poi rientrare a pieno titolo nell’alveo del fascismo ufficiale 198.

Infatti, nonostante i durissimi giudizi delle autorità nei suoi confronti, Omero Polon, come altri dissidenti, vive la sua opposizione dall’interno del regime, con i metodi tipici degli squadristi: il conflitto fra pisentiniani e farinacciani, per le strade della città e dei paesi del Pordenonese, si esprime con scontri fisici fra le due fazioni, e la Prefettura è costretta a tenere d’occhio le violenze interne al fascismo, che tendono facilmente a degenerare in aggressioni alle autorità. Polon comunque ricopre incarichi di rilevanza pubblica e tiene aperti efficienti canali di dialogo con le istituzioni: ne è un esempio il cordiale scambio di biglietti del gennaio 1927 con il prefetto di Udine 199.

Risolta grazie a Mussolini anche la vicenda dell’ex deputato sindacalista fascista Arturo Ravazzolo, minacciato nel novembre 1929 di trasferimento dal suo impiego nelle ferrovie a Udine ad un compartimento del Sud, per punirlo del suo attaccamento all’on. Farinacci 200. Finisce così, con un compromesso personale, l’avventura di questo ex socialista 201 impegnato per anni a capo della lotta contro l’inarrestabile infiltrazione capitalistica degli agrari e del capitale monopolistico nel fascismo friulano. Un amaro esempio delle pratiche corruttive introdotte nella macchina statale dal regime, in spregio ai teorici del peso dei ceti medi nel movimento fascista.

Il velleitario tentativo dei sindacalisti fascisti, di avviare un percorso diverso da quello disegnato dagli esponenti delle classi dirigenti confluiti nel regime, si conclude con una serie di atti di clemenza del dittatore: dagli agrari sen. Rota ed on. Tullio all’industriale tessile Spezzotti, dagli intellettuali conservatori come lo storico prof. Leicht al nume dell’industria elettrica Volpi, fino al loro docile interprete, l’opportunista avv. Pisenti. In realtà, questi episodi di fine decennio non fanno altro che concludere una vicenda già pregiudicata alcuni anni prima.

All’inizio del 1925, una volta cacciato da Pordenone col foglio di via il segretario della Fiot Infanti, il sindacalismo fascista aveva giocato la sua carta con il ferrarese Romualdo Rossi, che di Farinacci era amico personale e del sindacalismo rivoluzionario era uno dei più prestigiosi quadri a livello nazionale. Ma la sua funzione di

194 Acs, Cpc, b. 395, f. 17694, Basso Antonio fu Alessandro, Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Divisione Affari

Generali e Riservati, Sez. Ia a Prefettura di Aosta, prot. n. 441/023395 del 16 ottobre 1940. 195 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

Decisioni emesse nel 1941, Roma, 1997, pp. 481-484. 196 ID., Roma, 1997, pp. 485-487 e 504. 197 FABBRO, Mario, cit., pp. 135-136. 198 Acs, Cpc, b. 4069, f. 9320, Polon Omero. Diverso destino sarà quello di Arnaldo Polon, che sconterà quattro anni di confino e rimarrà

marginalizzato nonostante un tentativo di reinserimento nel Pnf. 199 Cfr. Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 6, f. 19, sf. Pordenone. Società Mandamentale di Tiro a Segno. 200 Acs, Pol.Pol., b. 1098, f. Ravazzolo Arturo. 201 Il Friuli, n. 99 di domenica 24 aprile 1921, pag. 1, Battute elettorali. La lista bloccarda.

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commissario del sindacato friulano dura pochi mesi, a causa della sua dura agitazione anticapitalistica, con la quale mette sotto accusa lo schiavismo degli agrari e degli industriali. Contro di lui si mobilitano gli esponenti delle classi dirigenti, e soprattutto i due nobili parlamentari ed agrari sanvitesi Rota e Tullio, che trovano ampia udienza nel prefetto Umberto Ricci. La preoccupazione è quella che Rossi, imponendo la revisione del patto colonico, leghi loro le mani nel momento stesso in cui, grazie ai grandi contributi pubblici per le bonifiche, hanno tutto l’interesse ad assumere manodopera mezzadrile a basso costo nei nuovi territori messi a coltura 202.

Le cancellature sulla minuta del 25 febbraio di Ricci a Federzoni testimoniano l’effetto sovversivo dell’azione di Rossi e spiegano non solo i motivi della reazione padronale, ma anche l’assoluta contrarietà del prefetto all’operato del sindacalista: [Il Rossi,] come ho già avuto il pregio di riferire, operando anche contro le direttive di questa Federazione Provinciale Fascista, non trascura occasione per appoggiare la classe lavoratrice nelle richieste di aumento delle mercedi e tale suo atteggiamento giustifica appunto col crescente costo della vita. (...) Sta di fatto che mentre al mio arrivo qui ho trovato che in Provincia non erano pendenti questioni di salario e di lavoro successivamente, per l’intervento del Rossi da poco inviato a Udine quale commissario dei sindacati si sono avute vertenze poi composte a Dignano e Carpacco nei riguardi dei filandieri ed a Udine nei riguardi del personale della Società Friulana di elettricità. Circa quest’ultima vertenza mi permetto richiamare i miei telegrammi ufficiali del 4 e 5 febbraio p.p. N. 280 nei quali il contegno del Rossi in tale occasione è chiaramente lumeggiato.

Dopo aver accennato ai pericoli per l’ordine pubblico derivanti dall’azione del sindacalista, il prefetto scriveva: Infatti, da quando questo Signore lavora in Provincia, si sono avuti a lamentare contrasti fra capitale e lavoro a fondo prettamente classista. Attualmente non vi sono questioni pendenti, ma è certo che, alla prima occasione, il Rossi non mancherà di riaffermare il proprio atteggiamento 203.

In realtà Rossi, con l’appoggio del suo segretario nazionale, ha la necessità di dare rappresentanza agli interessi di operai e contadini, se vuole costruire l’adesione al sindacato fascista. Questo non ha ancora il monopolio della rappresentanza - che gli sarà garantito solo con il Patto di Palazzo Vidoni il 3 aprile 1926 - ed è messo sotto pressione da una ripresa dell’iniziativa sindacale della Cgdl e dei sindacati bianchi. Il 14 marzo 1925 scrive: Merito licenziamento Gragoricchio Società Elettrica, Rossoni mi ha lasciato ampia libertà azione ma necessita agire comune accordo Federazione politica per ottenere revoca provvedimento trasformandolo sospensione o trasloco nel quale caso acquisteremo 250 operai aderenti organizzazione rossa altrimenti sarà dannosamente svalutato prestigio sindacati 204.

Rossi non opera da solo, ed i suoi collaboratori, almeno all’inizio, hanno successo. Il 2 febbraio 1925 un centinaio di operai della coltelleria Coricama di Maniago entra in sciopero per rivendicare aumenti salariali. I sindacati fascisti non solo sostengono l’agitazione, ma addirittura spingono l’acceleratore delle rivendicazioni, sotto la direzione del segretario della 3a zona sindacale, Leonardo Mesto, che riesce ad effettuare un vasto tesseramento fra gli operai. Sempre Mesto sostiene una vertenza delle filandine a San Vito al Tagliamento. Ma i sindacati fascisti si sentono rispondere sprezzantemente dalla proprietà, che rivendica il suo diritto di serrata per rappresaglia contro lo sciopero ed anzi, rincarando la dose, annuncia l’imminente chiusura temporanea di uno stabilimento ritenuto passivo fin dall’apertura nel 1908! La proprietà, con sede a Milano, ha già iniziato a sostituire i dirigenti italiani che hanno operato finora, senza riuscire a piegare una irriducibilità proletaria animata dalla plurisecolare autocoscienza professionale degli operai locali, con dirigenti tedeschi. Ovviamente, la Sottoprefettura, come faranno le autorità in tutte le altre vertenze scatenate da Rossi in Friuli, fa una precisa scelta di classe, contro il sindacato fascista. Nonostante un provvisorio accordo per l’aumento del 10% delle retribuzioni concordato in Sottoprefettura, l’azienda mantiene il suo rifiuto a trattare e gli operai debbono rientrare in fabbrica dopo una settimana di agitazione, senza aver ottenuto nulla.

La situazione, nei mesi successivi, assume caratteri assolutamente particolari, per l’atteggiamento dei dirigenti tedeschi dello stabilimento, che non si limitano ad opprimere gli operai, ma addirittura ne impediscono le manifestazioni patriottiche: il manifesto per il 24 maggio apposto da un mutilato viene tolto, tanto per dimostrare chi comandi veramente nell’Italia dei fascisti e dei nazionalisti. Curioso caso di paradossale rovesciamento della lotta di classe: con i fascisti repressi da un padronato straniero, ed ennesimo episodio di quella tirannia di fabbrica esercitata da proprietari e dirigenti di origine linguistica tedesca, che dalla fine dell’Ottocento ha sedimentato un notevole odio nella classe operaia pordenonese, producendo scritte murarie di protesta ed episodi di violenza. Dopo Caporetto, qualche dirigente del Cotonificio era anche ritornato ad esercitare il suo potere a Pordenone come ufficiale dell’esercito 205.

Ma non c’è spazio per alcuna reale autonomia sindacale sotto il fascismo e Rossi, dopo vari tentativi di ridurlo alla ragione attraverso superiori direttive, uniti ad una puntuale vigilanza da parte delle autorità di polizia sul territorio 206, viene esonerato in giugno.

202 FABBRO, Mario, cit., pp. 181-183; ANDREUCCI-DETTI, cit., quarto volume, pp. 413-415, biografia a cura di G. Isola. 203 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 8, f. 31, Inviato Sindacale Romualdo Rossi, Attività politiche nel Goriziano 1924-

1926, lettera del prefetto Umberto Ricci al Ministro dell’Interno Luigi Federzoni, minuta del 25 febbraio 1925; il testo della lettera del 3 marzo è pubblicato in: FABBRO, Mario, cit., p. 181. La minuta della lettera viene scritta sotto la pressione esercitata dalla visita dei due parlamentari la mattina del 25 febbraio stesso; il testo definitivo sarà poi molto meno ricco di particolari, attribuendo ai due parlamentari le valutazioni principali. Il testo ripreso dalla minuta (e non presente nella versione definitiva) è qui riprodotto in corsivo.

204 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 8, f. 31, Inviato Sindacale Romualdo Rossi, Attività politiche nel Goriziano 1924-1926, copia del telegramma del 13 marzo 1925 di Rossi a Masi Barnaba direzione Partito Fascista Roma; sulla ripresa sindacale cfr.: MISIANI, Simone, La via federale alla “modernizzazione” sindacale. I tessili tra le due guerre, in: MISIANI-NEGLIE-OSTI GUERRAZZI-VASCELLARO, cit., pp. 194-203.

205 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 19, f. 69, sf. Maniago Consorzio proprietari officine fabbrili. 206 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 8, f. 31, Inviato Sindacale Romualdo Rossi, Attività politiche nel Goriziano 1924-

1926, minuta dei telegrammi del 18 marzo 1925, prot. n. 1557 Gab., al Ministero dell’Interno, Gabinetto, ai Sottoprefetti ed al Questore della provincia.

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11 - Antonietta e le altre: le antifasciste senza nome.

Il 13 agosto sul settimanale “La Concordia” n. 33, si leggeva:

“In Cotonificio c’è una vera setta di donne maniache che nelle sale di lavoro

bestemmiano, parlano sconciamente, insultano le cattoliche chiamandole crumire.

Tante buone ragazze forestiere e paesane si dolgono e secretamente piangono per essere

costrette a stare a contatto con chi ha perduto ogni grazia, ogni delicatezza, ogni dignità di donna” 207.

Neanche il più attento esame della stampa socialista friulana rivela la presenza di esponenti politiche o

sindacali donne. Per trovare una friulana socialista, bisogna ricorrere alla letteratura, cioè a quella Maria Zara - ovviamente maestra, costretta a fuggire dai (pre)potenti del paese ed a rifugiarsi a Torino, dove si dedica all’organizzazione delle sarte - che è una delle protagoniste del principale romanzo “socialista” di Edmondo De Amicis 208. Le donne politicizzate friulane appaiono solo sullo sfondo, soggetto di massa, collettivo, come nelle foto del corteo pordenonese del 1° maggio del 1905, anche se quel ruolo se lo sono conquistato, eccome!

Di fatto, l’esclusione delle donne dai gruppi dirigenti della sinistra contrasta con la realtà sociale: dalle fonti giornalistiche esse emergono come uno degli elementi fondanti del movimento operaio pordenonese. Su di loro non ci sono molte biografie, nomi di dirigenti o di attiviste: filatrici e tessitrici appaiono come la turbolenta base materiale del socialismo, ma sono donne - come noterà anni dopo con un certo stupore Teresa Noce - “normali”, che alle riunioni ed alle manifestazioni vanno con il loro codazzo di figli, determinate e coscienti nelle lotte, ma che poi rientrano nelle loro abitazioni, lasciando la politica agli uomini.

Nel 1904 si svolge lo sciopero forse decisivo per la storia della classe operaia pordenonese, che però (per un problema di fonti molto semplice: in quell’anno non escono né il settimanale socialista né il principale quotidiano radicale friulano, e le notizie sono riportate solo dalla stampa borghese; quanto all’altro quotidiano radicaldemocratico che terminerà le sue edizioni di lì a poco, Il Friuli, deve ancora esserne fatto lo studio sistematico) è sfuggito alla gran parte della storiografia. Le operaie della Tessitura di Rorai Grande iniziano una durissima lotta da sole. Poi, progressivamente, trascinano con loro gli uomini, impongono lo sciopero perfino alla roccaforte della Filatura di Torre, fino a bloccare tutta la città nello sciopero generale. Il segretario della Federazione delle Arti Tessili, Riccardo Rho, non può comportarsi come con le operaie di Jesi, abbandonate deliberatamente da parte del sindacato perché non organizzate: qui Giuseppe Ellero e Guido Rosso, insieme al presidente della Società Operaia Francesco Asquini, esercitano un’evidente funzione di mediazione politica, per cui la Fat appoggia questa durissima lotta, cui la presenza femminile dà toni di radicalità e violenza inusitati.

Il pregiudizio contro le donne segna la direzione del sindacato tessile italiano. Al congresso di Biella del 1908, il segretario Rho motiva le difficoltà della Fat con la composizione della classe operaia del settore, fatta prevalentemente di donne ed analfabeti. Sempre Rho, nel 1910 si oppone alla proposta di garantire la presenza di almeno una donna su tre rappresentanti dei lavoratori tessili nel Consiglio Superiore del Lavoro. L’obiezione contro la politica di discriminazione positiva attraverso le quote, per garantire le donne e le altre “minoranze”, è sempre la stessa: secondo Rho gli uomini attivi nel sindacato sono già i migliori difensori degli interessi femminili.

Il suo successore Galli, appena eletto nel 1910 sospende l’agitazione - in atto da alcuni mesi - contro i convitti femminili gestiti da suore, nei quali gran parte delle operaie sono praticamente recluse in condizioni simili a carceri. In questi convitti, nei quali vige una disciplina durissima, le operaie affluite dalle campagne vivono segregate, viene loro impedita ogni forma di libertà sindacale e sono punite con sospensioni dalla retribuzione solo per la partecipazione a balli con i compagni maschi. La motivazione della rinuncia (e della delega del problema al livello politico) è motivata con l’incapacità delle stesse donne di partecipare alla lotta 209.

Mai, proprio mai, una donna entra a far parte di un comitato direttivo, parla in un’assemblea, viene invitata su un palco per un comizio. Vittime principali di un doppio sfruttamento, di classe e di genere, sono spesso chiamate a dure battaglie, ma sembra debbano poter parlare solo per il tramite di mariti, fratelli, compagni di lavoro e di partito.

Eppure, una traccia della loro importanza latente è data dal continuo affluire nel Friuli occidentale di oratrici socialiste di chiara fama, il cui uditorio principale sono proprio loro, le donne. Nel dicembre 1902 la milanese Carolina Annoni parla a Pordenone, Torre e Cordenons sulle Organizzazioni operaie, nell’ambito della campagna per la

207 LOZER, Giuseppe, Ricordi di un prete, cit., p. 23. 208 DE AMICIS, Edmondo, Primo maggio, Milano, Garzanti, 1980, in particolare p. 114. 209 OSTI GUERRAZZI, Amedeo, La Federazione Nazionale Arti Tessili dalla nascita allo scoppio della prima guerra mondiale, in: MISIANI-

NEGLIE-OSTI GUERRAZZI-VASCELLARO, Il filo d’Arianna, cit., pp. 65 e 69-73.

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costituzione della Cdl a Pordenone. Pochi mesi prima, il 31 marzo, sullo stesso tema ha parlato a Pordenone l’avvocato socialista veneziano Cesare Sarfatti, accompagnato dalla moglie Margherita Grassini. Pur non parlando, ella condivide con il marito le contumelie antigiudaiche del quotidiano clericale, ma nel 1901, in occasione della fondazione della lega delle lavoratrici setaiole, è stata la prima donna a parlare in pubblico ad Udine. Nel settembre 1905 parla alle operaie di Pordenone, Torre e Rorai Grande ed a quelle del Cotonificio Rätz di Cordenons Maria Goia, segretaria della Cdl di Suzzara. Nel 1909 la dirigente nazionale del Psi Angelica Balabanov è impegnata in un’autentica tournée dalla Federazione socialista friulana, che la trattiene in provincia dal 22 gennaio al 7 febbraio, portandola anche a Pordenone, Spilimbergo, Fanna, Montereale, Maniago e Sacile per conferenze sulla rivoluzione russa, le rivendicazioni operaie e la condizione della donna (cui viene specificamente dedicato solo il dibattito di Spilimbergo).

E’ quindi certamente una novità quando il 1° maggio 1920 parla a Maniago una donna, Elvira Pomesano, giunta a Pordenone da Torino per lavorare alla Cdl insieme al suo compagno Michele Sammartino. Per la prima volta una donna entra nei ranghi direttivi del movimento operaio friulano, anche se ha dovuto venire da fuori ed il suo ruolo appare ancora strettamente collegato a legami personali. Per altro, la scelta di vita di Pomesano è di quelle che comportano prezzi molto alti. Operaia giornaliera, figlia di emigranti, paga di persona, patendone le conseguenze legali come parte soccombente, la prima rottura con il marito e la successiva con il compagno da cui ha avuto un figlio. In una formula - carica però di una drammatica lacerazione personale, vissuta da altre attiviste donne, che debbono rinunciare ai figli o lasciarli perlomeno in affido a parenti - per Pomesano la scelta politica significa negarsi la possibilità di una vita privata, come ha notato Patrizia Gabrielli. Taglia i ponti con il passato e si trasferisce con Sammartino a Pordenone, e poi nell’esilio in Belgio all’avvento del fascismo, dove lavorerà all’organizzazione delle donne antifasciste.

L’esperienza vissuta con Elvira Pomesano non ha un seguito. Eppure le iniziative non potrebbero avere esito, senza la mediazione, il lavoro ed il rischio delle donne. Quando nel settembre 1924 i socialisti cercano di ricostituire la CdL di Pordenone, è l’ex assessore Luigi Brusadin a tirare le fila della distribuzione delle tessere fra le operaie, ma è la sorella Elena a distribuirne materialmente 380 nel cotonificio dove lavora, svolgendo la propaganda ed il reclutamento nelle ritirate dello stabilimento e facendosi trovare preparata al momento della inevitabile perquisizione 210.

Con il riorganizzarsi del Pcd’i clandestino alla fine degli anni ‘20, il ruolo delle donne risulta ancora più forte, a dispetto del fatto che nessuna di loro venga arrestata nella retata del 1931. Specifica attività viene dedicata alle donne, che sono minoranza fra gli iscritti, ma costituiscono invece l’ossatura dell’organizzazione di fabbrica. Alla fine del 1930 si sviluppano nuove iniziative operaie di lotta contro i licenziamenti nei cotonifici. Queste, insieme ad altre ad Udine, Empoli e Prato, costituiscono i riferimenti utilizzati da Di Vittorio nella sua risposta del 6 gennaio 1931 alla richiesta di informazioni sulla situazione italiana da parte dell’Internazionale Sindacale Rossa, affermando come si tratti dei primi seri tentativi (dopo un lungo periodo di tempo) da parte delle nostre organizzazioni di base, di organizzare e dirigere direttamente dei movimenti proletari 211. Partite spontaneamente, queste agitazioni vedono un successivo intervento dell’organizzazione del partito, con la produzione e distribuzione di stampati, l’attività del sindacato (che conta 40 iscritti, equamente divisi fra il cotonificio di Torre e quello di Pordenone) e lo svolgimento di una decina di conferenze di officina, con la presenza complessiva di alcune decine di partecipanti, rappresentanti di tutti gli stabilimenti e reparti.

In tale ambito, un documento anonimo conservato nell’archivio del Pcd’i, e che attribuisco a Teresa Noce 212, presenta un ampio ed inedito resoconto della politicizzazione delle operaie tessili, meritoria di una apposita trattazione specifica, e che costituisce un aspetto significativo della storia dell’antifascismo friulano. La stessa Noce constata come queste donne (di cui traccia un profilo lusinghiero) non corrispondano alle caratteristiche tipiche di un gruppo di attiviste pronte ad imbracciare la “carriera” di rivoluzionaria professionale 213, ma siano “normali” operaie, la cui vita politica è condizionata dall’aver costituito una famiglia, in cui esse sono gravate dai figlioletti anche in occasione delle stesse riunioni clandestine del partito e del sindacato. Una condizione personale che influenza la loro disponibilità a partecipare alle iniziative nazionali del partito o ad assumersi incarichi di funzionaria: come Ida Brusadin (Antonia-Antonietta), altra sorella di Luigi e moglie di Oliva, per la quale è necessario l’espatrio in quanto “bruciata” perché nota alla polizia dopo l’arresto di parte del gruppo pordenonese, e quindi pericolosa per i suoi contatti con le attiviste rimaste in libertà. Ida opporrà la necessità di pensare prima all’affidamento dei figli, di cui è rimasta il solo sostegno, vista la clandestinità del marito.

210 Acs, Cpc, b. 1880, f. 71697, Ellero Giuseppe di Enea, minuta del 27-9.1924, prot. 2478 Gab. 211 Ifsml, Fondo Pcd'i, b. 4, 1931/33, f. 108, Situazione sindacale. Lettera di Nicoletti (Giuseppe Di Vittorio) al Bureau dell'I.S.R.

(Internazionale Sindacale Rossa) del 31.1.1931. 212 Ifsml, Fondo Pcd'i, b. 4, 1931/33, f. 101, Situazione masse femminili, 1931, Ispezione femminile Udine-Pordenone 25 febbraio-2

marzo '31. Dal riferimento finale alla discussione con i compagni udinesi sul perché le donne non siano iscritte al partito, corrispondente ad un passo delle sue memorie (NOCE, Teresa, Rivoluzionaria professionale, Milano, La Pietra, 1974, pp. 138-139) si evidenzia come si tratti della storica dirigente comunista.

213 Si tratta di un quadro dell’attivista comunista molto diverso da quello disegnato da GABRIELLI , Patrizia, Fenicotteri in volo. Donne comuniste nel ventennio fascista, Roma, Carocci, 1999, che per altro ha studiato soprattutto le dirigenti comuniste formatesi nell’ambito del mondo magistrale, che in Friuli avrà una sua rappresentanza femminile solo nel secondo dopoguerra, con presenze importanti come Teresina Degan e le sorelle Pasquotti. E’ significativo per altro come l’analisi di Gabrielli funzioni, quanto alla riproduzione familiare della cultura dell’antifascismo, pur con il ritardo di una generazione: Teresina Degan, allora bambina, è presente all’incontro con Noce, portatavi dalla zia Rachele Redivo Da Corte; la stessa Rachele, negli anni della Resistenza, non esita a far distribuire i manifestini antifascisti alle giovani figlie Alma e Rita. C’è anche da segnalare lo spostamento politico per via matrilineare dal socialismo (cui rimarranno fedeli fino alla fine i padri, Vincenzo Degan e Lucio Da Corte) al comunismo delle figlie. Stesso discorso per la famiglia Pasquotti, nella quale rimangono socialisti il padre Enrico ed il figlio Piero, di cui riparleremo, mentre diventano comuniste le figlie Evelina e Gualtiera.

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E’ noto come Teresa Noce strigli con non celata durezza i compagni pordenonesi ed udinesi per la loro trascuratezza nei confronti delle donne, che considerano in modo inadeguato, non facendo loro neanche la tessera. Un problema che - insieme con l’anonimato delle attiviste donne, dovuto probabilmente a questa sottovalutazione, unita a quella di un regime che fa del maschilismo uno dei suoi caratteri fondativi - ci pone di fronte all’enormità di un movimento operaio che per tutto il secolo di presenza cotoniera a Pordenone è composto di donne, coscienti e combattive, che non vengono fatte emergere. Una vera e propria struttura profonda della sinistra pordenonese, che supporta una sovrastruttura politica esclusivamente maschile. La mancata promozione di quadri femminili, da parte dei partiti di sinistra e del sindacato, costituisce un limite di fondo allo sviluppo di una struttura capace di consolidare sul lungo periodo un elemento egemonico: la radicalizzazione a sinistra di una popolazione femminile strutturalmente inserita nel processo produttivo, qualificata e politicizzata 214.

Ida Brusadin risulta, secondo i rapporti di Ernesto Oliva successivi alla sua fuga da Pordenone, il riferimento del Pcd’i a Pordenone dopo gli arresti del 1931. La pensa allo stesso modo la polizia: durante la permanenza in Patria, si palesò una accesa sovversiva, esplicando notevole propaganda antinazionale e partecipando a riunioni sovversive delle quali era l’animatrice e promotrice. Per sottrarsi alle attenzioni della polizia, espatria clandestinamente il 26 ottobre 1931 in Francia raggiungendo Oliva. Dopo la partenza di questi per l’Italia nel gennaio 1932, si trasferisce presso il fratello Marco, lavorando come lavandaia fino al dicembre dell’anno successivo.

Dalla Francia Brusadin, in possesso di un falso passaporto francese intestato a Germaine Toiler, mantiene i contatti con l’Italia, probabilmente di persona oppure a mezzo di corrieri. L’arresto a Pordenone di Antonio Gradolato, Sigismondo Montich e del padre di Brusadin il 31 marzo 1932, intercettando il materiale che il primo deve introdurre in città dalla Francia, fa scoprire l’indirizzo di copertura di cui si serve Brusadin. Il partito teme che l’arresto sia forse dovuto alle corrispondenze fra la dirigente comunista ed i familiari in città, certamente controllate dopo l’arresto di Oliva: è forse il primo dei sospetti che gravano su Brusadin, cui - negli anni successivi - sarà imputato ingiustamente il cedimento in carcere del marito, avvenuto per vie autonome secondo un comportamento adattivo individuale già sperimentato nel passato.

Nel novembre 1932 Ida Brusadin richiede il passaporto, pensando di approfittare dell’amnistia per rientrare in Italia e cambiare lavoro, perché il mestiere le crea forti reumatismi che peggiorano il suo già malandato stato di salute (nello stesso periodo il marito in carcere, forse facendo lo stesso calcolo, richiede per la prima volta clemenza a Mussolini: il blocco della corrispondenza fra i due appare escludere che si sia trattato di un accordo). Ottiene il passaporto per rientrare in Italia l’8 marzo 33, ma nel frattempo si impiega come domestica di un ingegnere inglese. Rientra in Italia il 25 gennaio 1934, avendo perso il lavoro per l’emigrazione dei datori di lavoro e nella prospettiva della scarcerazione del marito. Interrogata più volte dal momento del rimpatrio, nega sempre di aver svolto attività politica in Francia ed i contatti con i corrieri del Pcd’i arrestati a Pordenone. Nel 1936, rientrata al Cotonificio Veneziano di Pordenone come tessitrice, non dà segni di ravvedimento né si iscrive al sindacato fascista (a differenza del marito, che continua a dimostrare una maggior dose di opportunismo) 215.

Intanto nelle fabbriche pordenonesi, dove la gestione della Iri/Sti (in attesa della svendita degli stabilimenti a Volpi) abbatte i costi non solo con riduzioni di organico, ma con il licenziamento del personale maschile e la sostituzione delle operaie anziane con ragazze sedicenni, le operaie di Torre dimostrano il loro malcontento, costringendo la Questura a misure di vigilanza per evitare manifestazioni 216.

Sarà l’organizzazione dello Spilimberghese a dare negli anni successivi un gruppo di “rivoluzionarie professionali” alla federazione comunista di Udine, passando per la cospirazione e l’organizzazione del partito nell’emigrazione. La prima a fare la sua comparsa è Natalia Beltrame, che è coinvolta nel processo all’organizzazione comunista nel 1934 insieme al fratello Pietro, ambedue figli del fabbro Daniele, fondatore del partito a Lestans. Al processo al Tsds fa 14 mesi di carcere preventivo e viene infine assolta per insufficienza di prove, avendo sempre negato le accuse. Natalia dopo il processo al Tsds è stata continuamente sorvegliata. Lavora per conto proprio per il Soccorso Rosso dal 1933 al 1944; riprende i contatti con il partito nel novembre-dicembre 1944 nella Resistenza; dopo essere rientrata in Friuli da Padova. Nel dopoguerra risiede ad Udine, dove è segretaria dell'Udi, con l'incarico della stampa e propaganda 217.

Se Natalia Beltrame in Italia rimane staccata dall’organizzazione, Virginia Tonelli, di Castelnovo del Friuli, passa per l’esperienza dell’emigrazione in Francia, dove entra nell’apparato del Pcd’i e partecipa alla resistenza

214 Anche anni dopo lo smantellamento strategico dei cotonifici da parte della Snia, a partire dal 1954, permane la composizione

eminentemente femminile della base operaia politicizzata nel Pordenonese. Nel 1960 le donne iscritte al Pci nel solo comune di Pordenone sono 270 (pari al 46,3% degli iscritti), su un totale di 336 iscritte in totale alla federazione di Pordenone (10,6%). Mentre la percentuale federale si attesta sui livelli più bassi a livello nazionale, quella cittadina è in testa ai dati percentuali, sia su base provinciale che cittadina (superata solo dall’eccezionale exploit di Enna capoluogo, e comunque attestata su percentuali emiliane, quelle sistematicamente più alte). Cfr.: Organizzazione del Partito comunista italiano. Dati statistici elaborati dalla Sezione centrale di organizzazione della Direzione del P.C.I. - Luglio 1961, Roma, Seti, 1961, in: Ifsml, miscellanea varie Z/g, 20, proveniente dal Fondo Vincenzo Marini “Banfi”, pp. 13-15.

215 Acs, Cpc, b. 869, f. 111650, Brusadin Ida; b. 3585, f. 81509, Oliva Ernesto di Luigi; Ifsml, Fondo Pcd’i, b. 4, 1931/33, f. 115, Documenti e rapporti vari da Udine, 1932, lettera A- sez. Femm. A Comm. Org., datata Udine – Pordenone 13/4/32, firmata Confederazione. Gradolato e Montich, ambedue conoscenti e vicini di casa dei Brusadin, saranno assegnati al confino: cfr. DAL PONT-CAROLINI-MARTUCCI-PIANA -RICCÒ, Antifascisti, cit.; DAL PONT-CAROLINI, L'Italia al confino, cit., vol. II, p. 651.

216 Archivio privato Ruben Colussi, lettere dell’Unione provinciale della Confederazione fascista dei lavoratori dell’industria alla Prefettura di Udine del 21 marzo 1934, prot. n. 1351 O/N e della Questura alla Prefettura di Udine del 17 maggio 1934, prot. n. 9396, Div. I.

217 Archivio Casa del Popolo di Torre, fondo Commissione Quadri della Federazione del Pci, busta non numerata, f. Natalia Beltrame, scheda dattiloscritta della Sezione Quadri della Federazione Pci di Udine, non datata, prot. n. 76, compilata e firmata da Regina Franceschino, e questionario ciclostilato e compilato a macchina, della Sezione quadri della Federazione del Pci di Udine, del 15 novembre 1945.

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francese. Rientrata in Italia nel 1942 per incarico del partito, è una delle organizzatrici della Resistenza friulana, con Regina Franceschino. Arrestata nell’estate 1944 durante una missione a Trieste, scompare nel lager nazista della Risiera di San Sabba 218.

Regina Franceschino, definita la passionaria di Forgaria, l’antifascismo lo ha respirato in casa, essendo figlia di un operaio costretto ad emigrare per motivi politici in Francia: sarà la corrispondenza con il padre a metterla in contatto con il partito comunista, ed a farle avere i primi materiali propagandistici. La sua definitiva politicizzazione (rimarrà iscritta al Pnf fino al 1937, nell’ultima fase con evidente funzione di copertura) avviene con la guerra d’Etiopia e la presa di coscienza che il fascismo sta portando l’Italia alla guerra. Ne conseguono polemiche prese di posizione pubbliche, come l’invito alle donne a non consegnare le fedi nuziali al regime ed il rifiuto di partecipare all’adunata fascista nell’ottobre 1935, in occasione dell’aggressione coloniale. Nel 1937, arriva l’invito a recarsi in Francia per dedicarsi al partito: Regina lavora come domestica e frequenta corsi di formazione politica. Quando rientra in Italia nel marzo 1939, per lavorare nella rete del Centro interno costituito a Genova attorno al friulano Giacomo Pellegrini, viene arrestata a Mestre.

Regina Franceschino in carcere si ammala ma rifiuta di associarsi alla grazia richiesta dalla madre. Maria Bernetic, dirigente comunista triestina arrestata nella stessa operazione, tiene a lei ed alle altre detenute lezioni di storia ed economia. Dopo la scarcerazione, nonostante le precarie condizioni di salute, Regina riprende subito contatto con il Pci, organizzando (con nome di battaglia “Irma”) insieme a Virginia Tonelli e ad altre donne da loro reclutate la rete dei collegamenti fra la Federazione comunista di Udine, il Cln ed i reparti partigiani sorti nel Friuli occidentale, portando informazioni ed ordini e distribuendo la stampa clandestina. Divenuta partigiana, nell’aprile 1944 è responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna friulani. Il suo impegno politico avrà un breve seguito nel dopoguerra presso la Federazione del Pci di Udine, come responsabile della commissione femminile 219.

Nel dopoguerra il processo al Centro interno genovese del Pcd’i avrà una coda polemica significativa, con l’accusa a Giacomo Pellegrini (rivoltagli dal movimento anticomunista Pace e libertà) di essersi prestato alla collaborazione con la polizia fascista, causando la caduta anche degli altri compagni. La questione viene ripresa dal libro di Franco Fucci sulle polizie politiche fasciste: un libro documentato, ma viziato dal fatto di essere un testo basato prevalentemente sulle ricerche altrui (le stesse indicazioni dei documenti consultati non permettono di risalire alla fonte) e soprattutto dalla pervasiva testimonianza dell’agente fascista Luca Osteria, della cui narrazione l’autore diventa consapevole relatore. Seguiamo così il racconto di Osteria - verso le cui gesta di abile agente segreto e doppiogiochista Fucci non riesce a nascondere l’ammirazione - fino alla collaborazione finale con la Resistenza dissimulata nel servizio prestato per i nazisti a Milano. In realtà sembra proprio che Fucci faccia assurgere, non si sa quanto coscientemente, questo agente irregolare ma molto potente (non è mai assunto dal Ministero dell’Interno, potendo così percepire una retribuzione ben più consistente dei tanti travet che collaborano con lui) ad esempio della continuità di un’Italia fedele alle istituzioni, qualsiasi sia il regime di turno, e soprattutto in lotta con quelle “forze estremistiche” che costituiscono l’eterna bestia nera dei conservatori di ogni epoca. In altre parole, per il moderato Fucci, Osteria è un uomo d’ordine, abile e spregiudicato, capace di rendere servigi al suo paese senza farsi irretire nelle transeunti ideologie di stato, e non è un problema per lui credere senza dubbi alla sua versione delle vicende. Tanto più che a farci la figura degli sprovveduti sono quei pasticcioni della sinistra - comunisti, socialisti e gielle - che anche nella clandestinità dimostrano la loro impreparazione come forze di governo: altro che la “professionalità” dei poliziotti di mestiere o di complemento, pronti a passare dal fascismo all’antifascismo senza scomporsi... 220

12 - Nell’emigrazione. 12.1 - Le grandi città industriali italiane. La realtà di una terra che per un secolo ha vissuto una condizione di emigrazione strutturale non può essere

compresa osservando solo quanto accade sul suo territorio, ma tenendo conto delle esperienze che si svolgono nelle terre di emigrazione, sia all’interno che all’estero.

Con la rapida industrializzazione dei primi del Novecento, quote di emigrazione vengono distolte dagli affermati flussi stagionali verso l’Europa centro-orientale, per iniziare ad inurbarsi nelle nuove attività di fabbrica nel “triangolo industriale” italiano.

218 LIZZERO, Mario, Virginia Tonelli “Luisa” partigiana, Tricesimo, Comitato Regionale Anpi Friuli-Venezia Giulia, 1972; DOMENICALI,

Ines, “Oscura parlò, convinse, lottò”. Virginia Tonelli medaglia d’oro della Resistenza friulana, Padova, Il Poligrafo, 2000. Sulla funzione dirigente di Tonelli e Franceschino nella Resistenza, cfr. la testimonianza di Rosina Cantoni in: TESSITORI, Luigi, I ricordi di Giulia, cit.

219 Acs, Cpc, b. 2146, f. 138247; MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Decisioni emesse nel 1940, Roma, 1994, pp. 49-74; DOMENICALI, Ines, Regina Franceschino “Irma”, in: Storia contemporanea in Friuli, anno XXV, n. 26, Udine, Ifsml, 1995, pp. 201-203.

220 FUCCI, FRANCO, Le polizie di Mussolini, cit. Militare di carriera (è maggiore all’8 settembre 1943), dopo aver aderito alla Resistenza Fucci è caporedattore del quotidiano democristiano Il Popolo e poi del milanese Il Giorno, fondato nel 1956 dall’Eni dell’ex comandante delle democristiane Brigate del Popolo Enrico Mattei. Nell’introduzione, a p. 7, Fucci ringrazia Osteria, per il poderoso contributo di informazioni su personaggi e avvenimenti. La parte del libro dedicata alla vicenda di Luca Osteria è alle pp. 208-393. Per altro, lo studio della vicenda è reso difficoltoso dalla sparizione della maggior parte del voluminoso carteggio processuale, di cui sopravvive solo la b. 686, f. 7333 presso il fondo Acs, Tsds. Le altre buste (407-409) relative a questo procedimento, inviate alla Corte di Appello di Roma nel 1956 e restituite nel 1957, risultano vuote, come annotato in una nota del 15 novembre 1990.

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Un caso - più che di inurbamento, di trasferimento di risorse umane nell’ambito dello stesso ciclo industriale - è quello di Beniamino Sartor di Torre di Pordenone, che secondo il Ministero dell’Interno risulta in corrispondenza col Comitato Centrale della Federazione Giovanile Socialista, a scopo specialmente di propaganda antimilitarista e secondo la Prefettura di Udine sarebbe un fervente socialista antimilitarista, piuttosto esaltato. Sartor è assunto a Legnano nel cotonificio Frua e Banfi, dove lo zio Giosuè Furlan lavora come caposala. Siamo quindi in un ambito industriale tradizionale per i pordenonesi, ma che rivela un dato interessante: non c’è solo l’afflusso di tedeschi e svizzeri che da sempre dirigono l’industria cotoniera locale, provocando spesso manifestazioni di fastidio e anche rivolte violente; non ci sono solo i lombardi che arriveranno alla Tessitura di Rorai Grande qualche anno dopo, al seguito del nuovo direttore Zanini. Ci sono anche i pordenonesi che, impratichiti dell’arte tessile, vanno a lavorare in altre regioni, magari esportando il socialismo appreso nella città natia. Il caso non è isolato, come dimostra la vicenda personale che anni dopo porterà il padre di Silvino Poletto - storico esponente della Resistenza e del Pci isontino - a trasferirsi come tecnico dalla Tessitura di Rorai a Gorizia.

Se nel caso di Beniamino Sartor l’impegno politico sembra essere stato messo in secondo piano rispetto al perseguimento della crescita professionale, nel caso del clautano Venanzio Parutto, figlio di emigranti montanari dediti tradizionalmente al commercio ambulante, il lavoro di fabbrica sarà la base per la formazione di una precisa identità di classe. Arrivato sedicenne a Milano presso una sorella, diventa dapprima apprendista da un fabbro, poi dal 1916 è tornitore di proiettili all’Alfa Romeo. Fra la fine del 1916 e gli inizi del 1927 Parutto con un buon gruppo di giovani di questo stabilimento partecipa ad uno sciopero per aumenti salariali. La manifestazione (che davanti allo stabilimento viene caricata dalla cavalleria) è organizzata dai sindacalisti interventisti di Filippo Corridoni, ma dopo alcune riunioni Parutto ed altri si staccano dalla Uil perché i suoi esponenti denigrano continuamente i socialisti accusandoli di austriacantismo: ormai odiavo la guerra e chi la voleva.

Nel 1917 va a lavorare alla Stiler, fabbrica di proiettili, dove conosce un vecchio socialista che lo porta alle riunioni semilegali che si svolgono alla Cdl e lo fa iscrivere alla Fiom, cui rimarrà aderente fino al 1921, quando se ne andrà da Milano. Proprio i discorsi contro la guerra pronunciati alla CdL trovano il suo consenso. Si rifiuta pure, dopo Caporetto, di sottoscrivere una petizione per la prosecuzione della guerra, fatta girare fra gli operai del suo stabilimento. Dopo la Stiler, Parutto lavora in altre piccole officine. Da quell'anno partecipai a tutte le manifestazioni e riunioni sindacali e politiche, manifestazioni di piazza come quella contro d'Annunzio per Fiume, ecc. Chiede di iscriversi alla Fgs nel 1919, dopo lo sciopero generale, domanda accolta sei mesi dopo: da quel momento divengo uno dei più attivi giovani locali, mi occupo sopratutto [del]la vendita dei giornali della frazione di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti Ordine Nuovo a quel tempo rivista, e altri opuscoli e giornali sempre della medesima frazione. Nel 1920 i compagni, che come lui hanno optato prevalentemente per il gruppo torinese de l'Ordine Nuovo, lo eleggono a segretario del Fascio Giovanile Socialista. Sempre quell'anno Parutto, che in quel momento lavora alla Ernesto Breda, partecipa all'occupazione delle fabbriche, lavorando sia all'organizzazione politica che a quella della produzione 221.

Significativa è la presenza di friulani condannati al confino di polizia o dal Tsds in province diverse da quella di nascita o di residenza. Il flusso migratorio interno produce fenomeni di diffusione di atteggiamenti antagonisti, oppure di acculturazione nei nuovi luoghi di soggiorno, soprattutto a contatto con l’ambiente politicizzato dei complessi industriali delle grandi città.

Per quanto riguarda il confino, le persone originarie dal Friuli occidentale sono molte di più di quelle condannate solamente dalla commissione di Udine: facendo riferimento alle località di nascita, si riscontrano numerose condanne comminate dalle commissioni provinciali dei vari luoghi di emigrazione interna. I condannati nati nei comuni del Friuli occidentale e residenti o presenti in altre province sono circa un quarto degli assegnati al confino residenti negli stessi comuni, testimoniando in tal modo la gemmazione di atteggiamenti ed attività antifasciste degli emigranti nei vari luoghi ove si sono trasferiti. E’ poco significativa, all’inverso, la presenza di persone residenti e condannate in Friuli, ma native di altri comuni del territorio nazionale: alcuni, visti i cognomi, sono evidentemente nati durante precedenti periodi di emigrazione delle famiglie 222.

La casistica del Tsds vede un quasi assoluto monopolio dei comunisti, a testimonianza dell’intensità della loro attività cospirativa e del richiamo di questa nei confronti della nuova generazione operaia immigrata. I mestieri degli incriminati rappresentano lo spettro delle attività ausiliarie nelle quali si occupano i recenti inurbati: dal lavoro come operaio di fabbrica alla tradizionale attività edilizia, fino alle attività nel terziario, come fattorino e cameriere.

Un caso di presunte attività di sabotaggio e ricostituzione del Pcd’i è quello registrato a Milano nel 1927, a carico di un gruppo di quattro giovani: Mosè Populin, diciottenne originario di Azzano Decimo e tre (probabilmente fratelli) nativi di Borghetto Lodigiano (Milano) 223.

Fra le ordinanze di proscioglimento del Giudice Istruttore del Tsds, troviamo quella relativa al muratore Anselmo Cattarinussi di Tramonti di Sotto, accusato di avere, in Riva Trigoso (Genova), in epoca imprecisata dall'agosto all'ottobre 1927, fatto propaganda delle dottrine e dei programmi del Partito Comunista 224.

Egidio Sellan, originario di San Vito al Tagliamento, è sottoposto a procedimento per cospirazione nel 1928 insieme ad altri 8 imputati residenti a Trieste, in Istria e nel Goriziano per avere, in Monfalcone in epoca anteriore e

221 Archivio Casa del Popolo di Torre, fondo Commissione Quadri della Federazione del Pci, busta non numerata, f. Parutto Venanzio. 222 Elaborazione sui dati forniti in: DAL PONT-CAROLINI, L'Italia al confino, cit. 223 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

Decisioni emesse nel 1927, Roma, 1980, pp. 508-510. 224 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

Decisioni emesse nel 1928, Roma 1981, p. 1255.

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sino al 7.10.1927, concertato fra loro e con altri, appartenendo a segreta associazione comunista, di commettere fatti diretti a suscitare la guerra civile e la insurrezione armata contro i Poteri dello Stato 225. Siamo di fronte al maggiore caso di urbanizzazione industriale nel Friuli del Ventennio, quello dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone, che attirano migliaia di operai da tutto il territorio regionale, producendo un’aggregazione proletaria particolarmente politicizzata e radicalizzata. Da qui nel settembre 1943 si produrrà l’eccezionale passaggio in massa alla lotta armata di oltre mille operai che, riuniti nella Brg. Proletaria, saranno impegnati per settimane nella battaglia di Gorizia, il primo scontro campale fra forze partigiane (italiane e soprattutto slovene) e nazifascisti. Sellan poi, dopo la scarcerazione, emigrerà clandestinamente in Francia e poi, espulso, nel Belgio, dove viene segnalato insieme a molti altri antifascisti (tra cui il massimo dirigente comunista triestino di nazionalità slovena Ivan Regent, Michele Sammartino, il trozkista Domenico Sedran ed il comunista pordenonese Egidio Sacilotto) 226. Nel 1936 si arruola nelle Brigate Internazionali in Spagna: tenente della Brigata Garibaldi, cade nella battaglia di Huesca il 16 giugno 1937 227.

Umberto Del Tin, cameriere originario di Maniago, viene coinvolto nel processo all'organizzazione comunista milanese attiva fra l'agosto ed il dicembre 1929 228. Nell'ottobre 1930 sarà Giacomo Zanetti di Pinzano al Tagliamento ad essere coinvolto nel gruppo comunista che viene scoperto nella stessa città 229.

Nell’aprile 1931 l’Ispettorato Generale di Milano della P.S. arresta numerose cellule comuniste clandestine negli stabilimenti industriali e nella periferia torinese, facenti capo al Centro interno diretto dall’ex segretario della Fgcd’i Pietro Secchia, proveniente dal centro estero di Parigi, che assume su di sè ogni responsabilità. La caduta del centro è il frutto del lavoro di un infiltrato, Alessandro Mileti (pseudonimo Mario) 230.

Fra gli arrestati, il sanvitese Antonio Nonis: fino all’emigrazione a Torino nel 1925, ha manifestato idee socialiste, non facendo però politica attiva 231. Questo il resoconto del suo interrogatorio: Nonis Antonio, operaio delle Ferriere Fiat, svolse la sua attività specialmente nella organizzazione femminile, distribuendo stampe negli stabilimenti. Era uno dei destinati ad andare all'estero per frequentare la scuola dei funzionari del partito ed, a tale scopo, aveva dato la sua fotografia al Secchia per apporla sul passaporto 232.

Nonis viene liberato dal carcere per amnistia alla fine del 1932: due anni dopo, in una circolare ciclostilata diffusa dal Pcd’i per denunciare i nominativi dei compagni espulsi per vari motivi dal partito, lo ritroviamo nell’elenco relativo al Piemonte, fra gli espulsi per tradimento. A conferma del fatto che non si tratta di un caso, secondo una nota dell’Ispettore Generale Nudi, nell’elenco sono stati compresi oltre l’individui che hanno avuto rapporti fiduciari con questo ufficio, anche coloro che sono stati coinvolti in operazioni di polizia politica compiute dallo ufficio stesso 233.

Quale sia il significato delle parole del comm. Nudi, lo svela l’episodio seguente. Durante la carcerazione preventiva, l’11 giugno 1931, Nonis, ed i coimputati Nerino Mucci e Giovanni Avanzato erano stati uditi discutere delle modalità di svolgimento degli attentati a Mussolini. Una volta aperta la porta, la scena che si presenta al sottocapo ed all’agente che stavano origliando è la seguente: tutti e tre mi chiedevano perdono inginocchiandosi e mi piangevano di non rovinarli anzi per dimostrarmi che non erano pericolosi mi dichiarava il Mucci che dopo il processo lui deve andare a Milano; Nonis a Trieste e Avanzato a Parigi in servizi all’Ovra. L’Avanzato mi presentava poi il libretto facendomi vedere che era sovvenzionato da un Commissario di Pubblica Sicurezza. Deferiti alla commissione disciplinare delle carceri torinesi i tre, oltre a giustificarsi per le affermazioni fatte in merito agli attentati, confermano le versioni che vengono fatte dal Sottocapo, che loro debbono andare in diversi posti per ordine della Pubblica Sicurezza, e che l’Avanzato avesse avuto la somma di lire cento da Commissario di Pubblica Sicurezza Mambrini. Particolare importante: i tre, lasciati insieme in cella, erano i componenti della stessa cellula comunista, quella della Ferriera B 234.

225 Ivi, pp. 1009-1010. La fonte indica data e luogo di nascita errati nel caso di Sellan (come per altri quattro degli imputati di questo

processo). Sul processo, cfr. inoltre: PATAT , Luciano, Il Friuli orientale fra le due guerre. Il ruolo e l'azione del P.C.d'I, Udine, Ifsml, 1985, p. 282. 226 Acs, Cpc. b. 4558, f. 45172, ciclostilato dattiloscritto di otto pagine di Di Stefano del 6 dicembre 1933, prot. n. 441/030472. Dal Friuli

e dalla Venezia Giulia provengono: REGENT Jean né a Trieste le 14-1-84-expulsé de France-Comuniste. REMIGNANI Umberto né a Udine le 11-5-99-exp. de Belgique le 28-11-30. RODDARO Alexandre né a Cicidale [Cividale] le 2-2-82 tenancier d’une cantine à Beverloo-comuniste. SACILOTTO Egidio né a Pordenone le 16-4-04 rue Molinay 136 Seraing-comunista. SANMARTINO Michele né a Torino le 23-12-90 exp. de Belgique en 1931. SEDRAN Dominico né a S. Giorgio [della Richinvelda] le 4-3-05- exp. France le 10-3-26-comuniste. SELLAN Egidio né a S. Vito-Tagliamento le 10.9.04 exp. Fr. Belg. 2-7-29-24-3-30.

227 PUPPINI, Marco, In Spagna per la libertà. Antifascisti friulani, giuliani e istriani nella guerra civile spagnola 1936/39, Udine, Ifsml, 1986, p. 216.

228 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Decisioni emesse nel 1930, Roma, 1984, pp. 66-67.

229 Sentenza n. 48: ivi, pp. 207-221. 230 CANALI , Mauro, cit., pp. 458-460. Mileti era stato processato ed assolto in un processo ad una cellula di ferrovieri comunisti a Torino

nel 1928 (sentenza n. 71 del 21 luglio 1928): cfr. DAL PONT-LEONETTI-MAIELLO-ZOCCHI, Aula IV, cit., p. 88. Nel luglio 1932 Mileti sarebbe stato ferito al viso da un operaio comunista, atto indicato come esemplare dalla stampa comunista: cfr. FRANZINELLI , Mimmo, I tentacoli dell’Ovra, cit., p. 315 (in questo caso Franzinelli attribuisce a Mileti lo pseudonimo di Egeo). Acs, Cpc, b. 3287, Mileti Alessandro Rosario, nato nel 1899 a Specchia (Le), residente in Africa, comunista, meccanico, radiato.

231 Acs, Cpc, b. 3557, f. 93459. 232 Sentenze nn. 4 e 5 del 28.1.1932, in: MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale

Speciale per la Difesa dello Stato. Decisioni emesse nel 1932, Roma, 1986, pp. 43-58. 233 Acs, Cpc, b. 3557, f. 93459, copia lettera ispettore Nudi al Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Divisione Affari

Generali e Riservati, Sez. 1a, del 5 marzo 1935, prot. n. 441/09013. 234 Acs, Tsds; b. 347, f. riservato; f. personale. Renzo Mambrini è il nuovo capo della sottozona torinese dell’Ovra, dipendente

dall’Ispettorato di Milano: cfr. CANALI , Mauro, cit., p. 459. Ricorda Pietro Secchia come viene arrestato grazie al cedimento di uno dei compagni: (Giovanni Avanzato), componente della segreteria della federazione di Torino, da alcuni giorni era stato arrestato e sotto le minacce e le blandizie

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Trasferiti a Roma al Tsds, l’8 luglio, nell’interrogatorio di fronte al giudice istruttore dr. Giuseppe Montalto Nonis dichiara infine: E’ vero che il Commissario di P.S. Mambrini, mi fece dire, a mezzo dell’Avanzato, se io ero disposto, dopo il giudizio, ad andare a lavorare in una fabbrica per aver modo così di scoprire se eventualmente si organizzasse, dagli operai, qualche cosa contro lo Stato. Io risposti che accettavo, e sono ancora disposto a fare quanto ho promesso. Non mi si disse la Città dove sarei dovuto andare, forse l’avrà detto, il Commissario stesso, al Mucci. Versioni coincidenti danno Mucci ed Avanzato, con l’unica precisazione di quest’ultimo, che afferma che il suo impiego sarebbe stato in una fabbrica torinese, per individuare i comunisti provenienti dalla Francia, e non all’estero. Il 19 agosto, di fronte a Montalto, dichiara nuovamente: Ho chiarito di essere sentito dalla S.V. perché desideravo confermare che sono disposto a lavorare per scoprire altri eventuali comunisti, attualmente non conosciuti dall’autorità 235. Null’altro sappiamo delle successive attività di Nonis, che comunque non viene assolto, anche se la condanna si riduce tutto sommato a poco più di un anno e mezzo.

Nel marzo 1932 l’Ovra scopre a Milano il ricostituito Centro interno del Pcd’i, diretto da Luigi Frausin (Aristide) e da Carmelina Succio. Fra essi Ernesto Oliva (Antonio), da due anni componente del Comitato centrale del partito e, in quel momento, funzionario della Cgdl con il compito di riorganizzare il sindacato nelle fabbriche della metropoli lombarda. La maggior parte degli imputati viene prosciolta per amnistia in istruttoria, mentre i sei imputati principali sono processati nel settembre dell’anno successivo per due reati non ricompresi nell'amnistia: la riorganizzazione del Partito Comunista e, per alcuni fra cui Oliva, il mancato pagamento della tassa sui passaporti. E' significativo come quest'ultimo fatto, che costituisce semplicemente una contravvenzione, venga considerato di tale gravità da non poter essere amnistiabile: colpendo in un solo momento sia l'espatrio per motivi politici che l'emigrazione clandestina.

Come quasi tutti gli altri imputati, Oliva ammette le sue responsabilità, senza coinvolgere nelle sue dichiarazioni altri compagni che quelli appartenenti al ristretto novero di arrestati in flagranza di reato. A partire però dal novembre successivo inizia ad indirizzare al dittatore una serie di missive nelle quali dichiara il suo pentimento ed il proposito di non dedicarsi più all’attività politica. Subito dopo la condanna, richiede la grazia, venendo scarcerato all’inizio del 1934. Per questo motivo, verrà espulso dal partito, come ogni compagno che commette questo atto di cedimento 236. Il Ministero dell’Interno, a differenza delle forze di polizia locali, sceglie di accettare il suo atto, per capitalizzare come un significativo indebolimento dell’opposizione la violazione della severa disciplina del Pcd’i. In realtà Oliva non è nuovo a queste forme di soluzione individuale: già nel 1927, cercando di ottenere il passaporto per l’espatrio, non si fa problemi nello scrivere direttamente a Mussolini, dichiarando di ritrattare le sue opinioni politiche, di volersi solo dedicare al lavoro e vantando le proprie decorazioni di guerra. Lettera che non gli impedirà certo di riorganizzare il Pcd’i pordenonese negli anni successivi, e di diventare un dirigente nazionale. Il comportamento di Oliva appare tutt’altro che eroico, volto a minimizzare i costi umani del suo impegno politico, ma non viene attuato a scapito degli altri compagni, né scopre mai quelli ancora celati nella clandestinità. Se il suo cedimento fa uscire Oliva dai ranghi dell’organizzazione, non gli impedisce - come testimonia Ardito Fornasir, commissario politico della “Brg. Ippolito Nievo B” - di continuare comunque la sua opera antifascista in Pordenone unitamente, ad esempio, a Toni De Simon la cui officina artigiana era il recapito non solo di comunisti, ma di tutti coloro che avversavano l’odiato regime. Realtà confermata dagli stessi rapporti di polizia, che continuano a classificarlo come pericoloso da arrestare in determinate circostanze, e che sfocerà nell’impegno clandestino durante la Resistenza 237.

Di diverso tenore la vicenda che vede condannato nel 1934 il minatore Domenico De Re di Caneva per avere, in territorio di Bardonecchia, il 15.8.1933, pubblicamente istigato alcuni militari a disobbedire alle leggi ed a violare il giuramento dato, incitandoli a disertare all'estero, asportando quadrupedi ed armi 238. In questo caso ci troviamo di fronte ad una persona apparentemente priva di un passato politico, che esprime con forza la sua ribellione all’ordinamento, nelle vicinanze di un confine che rappresenta per gran parte d’Italia la soglia della libertà politica e da una vita di miseria e disoccupazione.

della polizia aveva parlato rivelando l’appuntamento che aveva con me e dando i miei connotati. Cfr.: SECCHIA, Pietro, L’azione svolta dal partito comunista in Italia, cit., p. 382.

235 Acs, Tsds; b. 347, f. riservato; f. personale. 236 A volte però il partito comprende scelte dovute alle pesanti condizioni inflitte come pena accessoria alle famiglie dei carcerati: come

nel caso di Ernesto Modotto, condannato nel corso del terzo processo ai comunisti friulani del 1934, quello al gruppo operante nella zona Pradamano-Buttrio-Manzano. Modotto, pur negando ogni addebito, viene incastrato dalle testimonianze di alcuni coimputati ed è condannato a 5 anni di reclusione. Durante la carcerazione la moglie Maria, gravata dai carichi familiari e dalla difficile convivenza con i suoceri, inizia una serie di ricoveri in ospedale psichiatrico. Per questo motivo Modotto è costretto a presentare una istanza di grazia a Mussolini, che però viene respinta, a dispetto della grave situazione familiare. Il collettivo del Pcd’i a Civitavecchia, dove è recluso da anni il dirigente comunista udinese Mauro Scoccimarro, è solidale con lui. Modotto pensa anche di partecipare ad un’evasione collettiva organizzata dai detenuti comunisti, ma potrà uscire solo dopo aver scontato 3 anni di pena. MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Decisioni emesse nel 1934, Roma 1989, pp. 173-184; testimonianza del figlio Ariero, raccolta da: DONATO, Gabriele, Cospirazione comunista e comportamenti operai nel Friuli centrale, cit., pp. 254-255.

237 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Decisioni emesse nel 1932, Roma, 1986, pag. 414-419; ID., Decisioni emesse nel 1933, Roma, 1987, pagg. 86-97; Acs, Cpc, b. 3585, f. 81509; Acs, Tsds, b. 443, f. 4338; Ifsml, Fondo diari e testimonianze, b. 1, f. 15, Storia della Resistenza nella Destra Tagliamento ad opera di Fornasir Ardito “Ario” e b. 14, f. 4, Bg. Ippolito Nievo B, sf. 5, Testimonianza di Favot Rino “Sergio” comandante della Brg. Unificata Garibaldi Osoppo di pianura “Ippolito Nievo B; Acs, Cpc, b. 3585, f. 81509.

238 DAL PONT-LEONETTI-MAIELLO-ZOCCHI, Aula IV, cit., p. 256.

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Giovanni Zol, operaio figlio di emigranti da Fiume Veneto, viene arrestato il 12 agosto 1936 insieme ad un gruppo di comunisti triestini. Assolto in istruttoria 239, viene condannato a cinque anni di confino, che sconta alle Isole Tremiti ed a Cerchiara in Calabria.

Caratteristica di tanti operai e contadini protagonisti dei movimenti popolari è quella di non lasciarci una diretta testimonianza documentaria, ma di affidare la memoria della propria attività alla tradizione orale, con la conseguenza di lasciarla progressivamente stemperare nell’oblio. Non è stato questo il caso di Zol, grazie ai familiari che ne hanno conservato gelosamente le corrispondenze dal confino e dal carcere per decenni, permettendone la pubblicazione 240. Una corrispondenza ovviamente mancante delle tante lettere inviate in carcere dai familiari, e di quelle sequestrate dai carcerieri fascisti, ma che copre il periodo del confino dal 1936 al 1939, ed i mesi di arresto nel 1943, fino alla liberazione in extremis da parte dei partigiani l’8 settembre. La lettura della corrispondenza di quello che sarà il primo comandante della Brg. partigiana “Trieste” ci permette così di conoscere di prima mano le preoccupazioni, le esperienze, l’acculturazione nel collettivo comunista al confino di questo giovane protagonista della Resistenza, che brucia letteralmente la sua esistenza fra le persecuzioni del Ventennio e la morte prematura durante la feroce repressione nazifascista del primo movimento partigiano istriano.

Zol è una figura certamente antieroica. La sua principale preoccupazione è rivolta alla famiglia, priva del suo sostegno economico e del suo ruolo di capofamiglia tradizionale. Insistente è la preoccupazione per la formazione e l’inserimento professionale dei fratelli e delle sorelle, così come la riconoscenza per il contributo alla sopravvivenza fornito dai futuri cognati. Ma - tra le maglie della censura - emergono le rivendicazioni di chi ha deciso di anteporre la propria dignitosa scelta di resistenza alle pur drammatiche urgenze personali. Grazie alla riproduzione di alcune lettere e buste, è possibile anche riconoscere l’acquisizione di una maggiore scorrevolezza nella scrittura, frutto di quella “università del carcere” che forma tanti quadri dell’antifascismo e della futura vita politica repubblicana. I tanti episodi di vita quotidiana, le semplici richieste dal carcere di avere i cambi di biancheria e calzature, ci danno un’immagine vivace dell’alienazione carceraria e delle vessazioni subite dai prigionieri politici. Il carteggio si conclude con l’ultima lettera inviata in ottobre alla madre, circa un mese prima della morte, per rassicurarla sulla sorte del fratello e della sorella più giovani, incontrati fugacemente dopo anni di separazione, proprio nel reparto partigiano da lui comandato. Se la responsabilità privata ha imposto a Zol di rassicurare la madre sulla sorte dei più giovani congiunti e compagni di lotta, dispersi durante il rastrellamento tedesco, è il senso civico a dettare le sue ultime parole: Sono contento e soddisfatto di mettere o di poter mettere a disposizione della causa tutte le mie forze fisiche e spirituali 241.

Il Tsds nel 1942 si trova ad affrontare una singolare esperienza di movimento socialista internazionalista e rivoluzionario, sviluppatasi autonomamente a Milano (il Movimento Antifascista Socialisti Italiani) e che si caratterizza, oltre che per la figura del medico Cavallotti 242, per una base sociale singolare, costituita soprattutto da venditori ambulanti, oltre ad artigiani, operai, commessi, casalinghe e due vigili urbani. Gli imputati sono 28, oltre ad altri 12 prosciolti in istruttoria. Fra i più impegnati Graziano Arreghini, operaio originario di Pravisdomini, il comune agricolo dove nel 1920 l'amministrazione socialista guidata da Carlo Marinato aveva proclamato il soviet durante l'agitazione contro i nobili feudatari del territorio. Proprio lui, insieme a Guido Romei 243, definito dai giudici la figura principale dell'organizzazione è anche accusato di avere (...) tenuto armi e munizioni, senza averne fatto denunzia alla competente autorità 244.

12.2 - Alla testa della Fgcd’i in Piemonte e Lombardia: l’apprendistato del comandante Sergio La famiglia Favot di Chions emigra per motivi politici nel gennaio 1924. Il padre Erminio, mezzadro in Italia,

si occupa dapprima come contadino nel sud della Francia (a Fronton, a 20 km. da Tolosa), ma poi la famiglia si trasferisce a Reims, dove il figlio maggiore Ermete Alfonso trova lavoro come autista, e poi a Parigi, dove rimane fino al 1934, quando rientra in Italia con uno solo dei figli. La mancanza di precedenti politici per i figli, rilevata dai successivi controlli polizieschi, potrebbe essere solo il frutto naturale della loro giovane età: ma Antonio Marco, durante il servizio militare, si era fatto cacciare dai Carabinieri, sintomo perlomeno di indisciplina. Si tratta comunque di ragazzi che hanno assorbito in casa il clima di rifiuto della dittatura, che assumeranno in prima persona nell’ambiente francese, pur non trasformandolo tutti in attivismo politico. Seguendo un percorso di crescita sociale impensabile nel loro paese d’origine, il figlio Bruno Clemente Rino frequenta prima la Scuola Regionale d’Arte di Reims, e poi la Scuola di Belle Arti nella capitale. Qui prende contatti con i comunisti italiani: conosce Giancarlo Pajetta, Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Ruggero Grieco, ma anche il vecchio capo socialista Filippo Turati, ed il corregionale Lino Zocchi che, col nome di battaglia di Ninci, sarà più tardi il suo comandante supremo nella Resistenza friulana.

239 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

Decisioni emesse nel 1937, Roma, 1994, pp. 88-93. 240 DEGAN, Teresina, Un combattente per la libertà. Giovanni Zol, Pordenone, Geap-Comune di Fiume Veneto, 1991; ROSSET, Agostino,

Giovanni Zol. Lettere dal confino, Fiume Veneto, Comune di Fiume Veneto, 2001. 241 Lettera del 18 ottobre 1943 da Calcizze, sul Carso: cfr. ROSSET, Agostino, Giovanni Zol, cit., pp. 43-44. 242 Chirurgo e nipote del capo radicale Felice Cavallotti, sfugge all'arresto e continua l'attività clandestina a Firenze. Nel 1943 si iscriverà

al Pci, svolgendo importanti incarichi nel movimento partigiano lombardo e ricoprendo anche cariche parlamentari nel dopoguerra. Cfr. la voce relativa in: SECCHIA, Pietro e poi – dal 1973 - NIZZA, Enzo (a cura di), Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza, Milano, La Pietra, 1968-1988.

243 Acs, Cpc, b. 4391, nato il 5.9.1889 a Prato (Fi), residente a Milano, venditore ambulante, antifascista, documenti relativi al 1942. 244 MINISTERO DELLA DIFESA, STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO – UFFICIO STORICO, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

Decisioni emesse nel 1942, Roma 1997, pp. 143-150.

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L’educazione politica del giovane Rino è a cura di uno dei massimi dirigenti comunisti: Giuseppe Berti, che gli è maestro di politica e filosofia.

Assunto il nome di battaglia di Talete, Rino Favot entra nel Cc della Federazione Giovanile Comunista francese, in rappresentanza dei gruppi di lingua italiana; scrive su La vie proletarienne e, per mantenersi, fa il pittore di insegne e di scene teatrali. Fino a quando, nel 1930, diventa funzionario della Fgcd’i e viene inviato in Italia per compiervi tre anni di lavoro politico 245.

Quanto al fratello Antonio Marco, nel 1932 viene individuato dall’Ovra come uno studente della Scuola Leninista di Mosca, con lo pseudonimo di Enardi. Antonio Favot sarebbe iscritto al corso fondamentale di due anni, nell’intento di conseguire una carica direttiva in seno al partito. La notizia si rivela poi frutto della fantasia degli informatori, ma nel frattempo Antonio è stato schedato come comunista da arrestare, e gli vengono perfino negati dal podestà di Chions i certificati per potersi sposare. E’ tutto il nucleo familiare ad essere tenuto sotto controllo, visto che la polizia italiana non conoscerà le attività clandestine di Rino in Italia fino all’arresto nel 1933. Inattivo politicamente, come il fratello maggiore Ermete Alfonso (che aveva anticipato la famiglia emigrando nel 1922) Antonio, giudicato di sentimenti antifascisti, rimarrà in Francia nel 1934, assumendo la gestione di un’attività artigianale con la moglie, quando i genitori ed il fratello maggiore decidono di ritornare a Chions 246.

E Rino? Il giovane alto e moro, poco più che ventenne, che il 19 giugno 1933 prende alloggio all’albergo “Promessi Sposi” di Brescia si presenta come uno studente triestino, Michele Prada. Le verifiche notturne nello schedario dei forestieri in Questura rivela che lo stesso nominativo (o simile: c’è pure uno svizzero Arturo Prada, con quasi gli stessi dati anagrafici) è stato segnalato nel 1932-33 a Cremona, Milano e Piadena, in contatto con elementi comunisti locali poi arrestati. La mattina dopo, attese inutilmente eventuali visite di altri compagni, viene arrestato.

Nella perquisizione gli vengono trovati, in un doppiofondo della borsa, documenti intestati al rappresentante udinese Carlo Monti ed al coltivatore francese Phelemon Simeon Mioch, oltre ad un cospicuo campionario di materiale di propaganda comunista: copie di vari numeri di Bandiera rossa, l’Unità, Stato Operaio, Battaglie sindacali, Bollettino del Partito Comunista d’Italia ed Avanguardia, di clichés di quest’ultimo giornale, di numerosi opuscoli e di fogli di istruzioni dattiloscritti. E’ molto presente la tematica della lotta alla provocazione, cioè contro le correnti di sinistra comunista, sottolineata da questa nota a matita: L’Avanti di Nenni pubblica gli articoli di Trotski contro il P.C.T. 247 allo stesso modo che pubblica gli articoli di Tasca. A completare il quadro, una tessera dell’Opera Nazionale Dopolavoro, l’immancabile ricevuta per un bagaglio depositato alla stazione ferroviaria di Genova Porta Principe e denaro italiano e francese.

Il comportamento di Prada è molto controllato, fedele ad una linea di modesto ed austero riserbo che conserverà per tutta la sua vita: dopo essersi riservato - al momento dell’arresto - di parlare successivamente, nel pomeriggio acconsente di rivelare ai poliziotti della Questura di Brescia quanto gli era possibile dire. E’ così che racconta forse per la prima volta in pubblico la sua biografia, ovviamente in forma quanto mai succinta, ammettendo solo le frequentazioni già note alla polizia. Racconta anche nei minimi particolari le modalità dell’incontro con un compagno della Fgcd’i a Venezia in Piazza San Marco, che avrebbe dovuto aver luogo quel giorno stesso... ma ormai è troppo tardi, l’ora è passata. E poi basta, niente nomi, se non il proprio, quello vero, ma solo due giorni dopo, e pure rimangiandosi buona parte delle stesse lacunose ammissioni 248.

In tal modo, Rino Favot riesce a celare la sua attività dei tre anni precedenti, che lo ha portato, col nome di battaglia di Talete, a svolgere dal 1930 la funzione di responsabile della Fgcd’i per la Lombardia ed il Piemonte, le più importanti regioni per l’organizzazione durante gli anni della svolta. Fu a Milano, ove prese contatto con comunisti e antifascisti; tenne riunioni ovunque a operai e dirigenti di fabbrica. Fu a Monza e nel Biellese (Novara e Biella). Portava con sè i clichés dell’Unità e dell’Avanguardia che servivano per stampare dei fogli nei cascinali, fogli che venivano distribuiti e lanciati da moto durante la notte. Nelle zone del Vercellese organizzò scioperi delle mondariso per ottenere dei miglioramenti nelle condizioni di vita e di lavoro. Fece parecchie volte la spola tra Italia e Francia 249.

Nel luglio successivo, preso atto che non c’è null’altro su di lui che quanto scoperto a Cremona e Brescia, Bocchini ordina personalmente di inviarlo al confino a Ponza per cinque anni. Qui Rino è giudicato uno fra gli elementi più pericolosi della Colonia, sempre a fianco dei confinati più politicizzati e non mostrando assolutamente di voler rinunciare alle proprie idee 250. Fra gli altri, frequenta Sandro Pertini e Giorgio Amendola 251. A Ponza, Rino fu a capo di un gruppo clandestino di giovani che studiavano politica (erano 15/20 giovani che, a gruppi di tre, seguivano le sue lezioni di carattere politico). Fece pure parte di un gruppo ristretto che studiava strategia, tattica militare e topografia, guidato da ex ufficiali dell’esercito, quali Menconi, Walter Audisio, ecc.

Liberato nell’aprile 1939 (non senza aver provato anche il carcere di Poggioreale) e ritornato a Chions presso i genitori, Rino - secondo la Prefettura - nel febbraio 1943 non ha rinunciato alle sue idee, ma non sembra svolgere

245 Ifsml, Fondo diari e testimonianze, b. 14, f. 4, Brg. Ippolito Nievo B, sf. 5, Testimonianza di Favot Rino “Sergio”, cit., pp. 1-2;

Pramaggiore nella Resistenza. Avvenimenti e testimonianze della lotta di liberazione nel Veneto Orientale, Pramaggiore, Comune, 2005, p. 327; Acs, Cpc, b. 1980, f. 116341, Favot Bruno Clemente Rino, relazione sull’arresto della Prefettura di Bs a Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Divisione Affari Generali e Riservati del 27 giugno 1933, prot. P.S. n. 441-08886.

246 Acs, Cpc, b. 1980, f. 112598. 247 Partito Comunista Tedesco. 248 Acs, Cpc, b. 1980, f. 116341, Favot Bruno Clemente Rino, relazione sull’arresto della Prefettura di Brescia a Ministero dell’Interno,

Direzione Generale della P.S., Divisione Affari Generali e Riservati del 27 giugno 1933, prot. P.S. n. 441-08886. 249 Ifsml, Fondo diari e testimonianze, b. 14, f. 4, Bg. Ippolito Nievo B, sf. 5, Testimonianza di Favot Rino “Sergio”, cit., pp. 1-2. 250 Acs, Cpc, b. 1980, f. 116341. 251 Pramaggiore nella Resistenza, cit., p. 327.

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attività politica. Sotto traccia, approfittando dell’attività di tinteggiatore cui si dedica per vivere, Rino intanto gira fra Friuli e Veneto, riprendendo i contatti con i compagni conosciuti in Francia. Dopo l’8 settembre, i fascisti avranno modo di accorgersi di quanto bisognasse temere quel giovane irriducibile dall’animo di artista, diventato (coi nomi di battaglia di Giorgio e poi Sergio) il comandante della Resistenza di pianura a cavallo di due regioni e quattro province 252.

12.3 - Atôr pal mond.

E mi insegnò che l’emigrato è un lavoratore non uno straniero.

In un paese che considera soltanto il profitto e la produttività, tutti i lavoratori sono stranieri 253.

La prima guerra mondiale cambia i flussi migratori eliminando, fra le tante cose, le decine di migliaia di

tradizionali posti di lavoro dei friulani in Germania, Austria-Ungheria, Russia ed Impero Ottomano. La Francia, bisognosa di manodopera per le necessità della ricostruzione ed il gap demografico causati dalla guerra, diventa contemporaneamente la terra d’elezione per l’emigrazione del primo dopoguerra, e quella d’asilo per gli oppositori del regime. Per gli emigranti provenienti dalle classi popolari, i due aspetti vengono di solito a saldarsi 254.

C’è una quota di emigrazione friulana stabilmente presente in Francia fin dal secolo precedente: sono i rappresentanti di professioni qualificate, come i mosaicisti ed i terrazzieri, presenti dall’Ottocento nella realizzazione di grandi opere, come l’Opéra di Parigi, i cui impianti musivi sono realizzati da maestranze di Sequals. Proprio uno di loro completa la serie delle glorie risorgimentali paesane, cadendo nella Comune di Parigi del 1871 255. Nel 1909, un compagno di Arzene interviene all’assemblea di fondazione del sindacato dei mosaicisti di Parigi. La categoria continua ad avere i suoi rappresentanti, inurbati per le stesse caratteristiche di una professione che prevede l’impegno in lavorazioni di pregio, si tratti di opere pubbliche o di abitazioni private. Ne è un rappresentante lo sfortunato comunista anarchico sequalsese Dante Bisaro 256.

La maggioranza degli emigranti friulani si concentra in Francia però nel primo dopoguerra: si trasferiscono qui dunque le tradizionali professionalità dell’edilizia, ma anche contadini e, progressivamente, operai di fabbrica. Un’emigrazione che assume prevalentemente caratteri non più stagionali, sia per l’ostacolo al rientro dovuto alla persecuzione politica, sia per quello strutturale costituito dalle politiche del regime fascista, che tende ad aprire e chiudere la valvola migratoria, costringendo i flussi a spostarsi sul piano della clandestinità (carattere mantenuto anche negli anni del secondo dopoguerra). Viceversa, negli anni ‘30 un flusso di ritorno sarà imposto dalla crisi internazionale e dalla diminuzione delle occasioni di collocamento in questo come negli altri paesi di emigrazione.

Il carattere di massa dell’emigrazione è testimoniato dallo spostamento di interi gruppi familiari. Come nel caso dei fratelli Basso, originari di Provesano, frazione di San Giorgio della Richinvelda. Sei, due falegnami e gli altri quattro contadini. Cinque su sei, socialisti; il sesto, tanto per dare un tocco di varietà al dibattito politico familiare, ma senza esagerare nella differenziazione dello spettro cromatico, comunista (anche se l’unica notizia che provoca la modifica di “colore politico” sulla sua scheda è generica). Se i Basso si trovano dispersi fra l’Ile-de-France ed il nord-est, la famiglia Marzot-Pasquotti è invece collocata nel sud-est, altra zona di massiccio insediamento italiano: ed è qui che Enrico, ex assessore comunale socialista a Pordenone, insieme ad un fratello ed al nipote Pierino Pasquotti, è attivo nella federazione del Psi guidata da Filippo Amedeo. Nei loro fascicoli conservati al Cpc, ed in quello del sindacalista di Roveredo Pietro Babille (ricercato come comunista, ma socialista massimalista), “grazie” al rigoroso lavoro di documentazione di agenti infiltrati nelle file dell’organizzazione socialista, possiamo leggere interi verbali di riunioni di sezione e di federazione, con tanto di incarichi e di resoconto delle polemiche interne. Pasquotti è il tesoriere della sezione di Grenoble, mentre Babille è il segretario di quella di Chambery, tutti e due anche attivi nella Lidu, oltre che in altri associazioni, come il Gruppo Turistico Operaio cui si dedica Pasquotti. Per altro, se la massa di materiale fornito è rilevante, non bisogna credere gli infiltrati siano onnipotenti, come mi sembrano ritenere gli studiosi della polizia fascista (forse per troppa affezione all’oggetto del loro lavoro): è clamoroso il caso di Pasquotti, di cui gli informatori continuano a spergiurare il distacco dall’attività politica... mentre con Filippo Amedeo sta organizzando il trasferimento nelle file delle Brigate Internazionali in Spagna.

Spesso però l’emigrazione avviene in forma individuale, a causa della costrizione imposta dal fascismo, lasciando a casa tutta la famiglia oppure le donne con i figli piccoli, assoggettandosi alla partenza i maschi adulti. E’ il caso di Vincenzo Tonelli di Castelnovo, che emigra con il padre, dopo aver abbandonato la scuola per non aderire ai rituali del regime. Tonelli poi rimane in Francia da solo, aderendo al Pcd’i ed iniziando una serie di peregrinazioni che lo portano in Spagna, di nuovo in Francia e poi in Italia, tipico esponente di una Resistenza europea internazionalista

252 Ifsml, Fondo diari e testimonianze, b. 14, f. 4, Bg. Ippolito Nievo B, sf. 5, Testimonianza di Favot Rino “Sergio”, cit., pp. 1-2. 253 Ezio Canonica, presidente dell’Unione Sindacale Svizzera, parla del suo maestro di sindacato, il friulano Augusto Vuattolo:

AESCHBACH, Karl, ROBBIANI, Dario, “Ciao Ezio!”, Canobbio (Ch), Scoe-Aurora, 1979, p. 17. 254 Sull’emigrazione regionale e nazionale in Francia in questo periodo, cfr. GROSSUTTI, JAVIER e M ICELLI, FRANCESCO (a cura di),

L’altra Tavagnacco. L’emigrazione friulana in Francia tra le due guerre, Tavagnacco, Amministrazione Comunale, 2003; L’Italia in esilio. L’emigrazione italiana in Francia tra le due guerre, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1984; MILZA , Pierre e PESCHANSKI, Denis (sous la directions de), Exils et migration. Italiens et Espagnols en France 1938-1946, Paris, L’Harmattan, 1994.

255 POGNICI, Luigi, Spilimbergo e suo distretto, Pordenone, Antonio Gatti, 1872, pagg. 582-584. 256 Acs, Cpc, b. 662, f. 78302.

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257. Ed individuale è anche l’adesione al partito: se Tonelli finisce a lavorare a Tolosa per un impresario friulano, Angelo Polacco, che è stato dirigente della federazione friulana del Pcd’i, altri percorsi sono più complicati. Un altro comunista, Venanzio Parutto, una volta congedato nel febbraio 1923 non può fermarsi a Claut, perché è informato che i carabinieri perquisiscono ogni due settimane la sua casa, in cerca delle armi che avrebbe portato da Milano. In marzo parte per la Francia, dove lavora in un cantiere idroelettrico nel dipartimento del Jura. Dopo alcuni mesi organizza con altri compagni uno sciopero chiedendo l'aumento delle paghe di 40 centesimi l'ora: lo sciopero si conclude con una sconfitta, con un aumento di soli 10 centesimi, a prezzo dell'espulsione di due compagni dal dipartimento: Parutto osserva che lì non c'era organizzazione di P.[artito] e per due anni rimane privo di altri contatti che qualche giornale che gli arriva da Milano. Per dieci anni Parutto gira la Francia, senza mai entrare in contatto con il partito, perché non esistevano dei compagni italiani: evidentemente prevale, sull’appartenenza politica, quella nazionale. Nel marzo 1925, stabilitosi ad una ventina di chilometri da Parigi, a Vaires (nel dipartimento della Seine-et-Marne) inizia ad acquistare l'Humanité. Sul quotidiano comunista trova l'indirizzo del settimanale dei gruppi comunisti italiani in Francia, e si abbona. Parutto si ferma nella regione fino al 1931, lavorando come manovale nei lavori ferroviari; non c'è alcun gruppo antifascista italiano, e quindi non prende contatto con i compagni francesi. Nel 1925 e nel 1929 ritorna a Claut per brevi soggiorni, approfittando del fatto di non essere sorvegliato fino al 1938. Nel 1931 si trasferisce a Ville Parisis (sempre ad una ventina di chilometri da Parigi): lavora in una cava di gesso, in un ambiente nel quale vigeva il terrore padronale, ma c'è un gruppo di antifascisti italiani, che organizzano feste e rappresentazioni teatrali, che servono per finanziare le sottoscrizioni per le vittime politiche in Italia. Nel 1932-1933 Parutto viene avvicinato dai connazionali, che lo iscrivono ai gruppi italiani del Pcf (il segretario è Adriano Rossetti da Biella) e lo incaricano della propaganda fra gli immigrati (fornendogli una trentina di giornali in lingua italiana). Partecipa a riunioni semilegali del Pcf a Parigi, come segretario di un secondo gruppo di lingua italiana che si costituisce a Ville Parisis: la condizione di maggiore o minore legalità, o di totale illegalità, dipende dall'orientamento dei governi francesi che si susseguono. Nel 1935 è licenziato per aver tentato di organizzare i lavoratori polacchi, cinesi ed italiani della cava, insieme a due altri italiani e due polacchi. Nel 1936 – ancora disoccupato - partecipa all'organizzazione dell'occupazione delle fabbriche durante il Fronte Popolare: nella sua ex azienda – una delle più compatte nel movimento - erano iscritti al Pcf 40 operai di tutte le nazionalità, e 200 al sindacato; organizza il Fronte Popolare italiano della località 258.

Oltre all’azione politico-sindacale fra gli emigranti e di sostegno alla rete clandestina in Italia, ci sono altre forme di propaganda antifascista. Una è l’invio di materiale per posta, che frequentemente viene però intercettato dalla polizia una volta arrivato in Italia. In tal modo circola l’informazione, senza necessità di una rete clandestina nel paese, spesso senza che la polizia riesca ad individuare i mittenti. Spesso frutto di ondate propagandistiche generiche, l’invio di stampa è anche indirizzato a conoscenti e rappresenta la possibilità di realizzare stabili contatti informativi alternativi a quelli ufficiali, secondo modalità tipiche della stampa socialista internazionale del periodo dell’emigrazione prebellica, che raggiunge gli emigranti nei luoghi di residenza nel paese d’origine. Solitamente gli indirizzi sono fittizi, oppure ci si serve di prestanome sia per la spedizione che per la ricezione, per cercare di eludere i controlli: ovviamente l’uso di parenti stretti rende più facile l’individuazione della corrispondenza da parte della polizia, controllando questa tutta le persone in relazione con i sorvegliati. Quando la comunicazione invece si rivolge a persone non schedate, l’unica possibilità è che venga intercettata dal locale Ufficio Revisione Postale, come succede nel caso di Maurice Babille, che invia stampa comunista ad un emigrante fascista di Torre, senza essere poi successivamente individuato dai confidenti in Francia 259.

A causa delle frequenti espulsioni degli antifascisti italiani da parte dei paesi di emigrazione, abbiamo assistito al trasferimento dell’attività politica dalla Francia al Belgio di ben tre dirigenti sindacali operanti a Pordenone nel primo dopoguerra: Sartor, Sammartino ed Igi. Le prime notizie su Michele Sammartino dal Belgio ci pervengono il 31 luglio 1926, quando viene segnalata la sua espulsione dalla Francia. A dispetto delle sue funzioni politiche non è un funzionario: come gran parte dei “rivoluzionari professionali” deve adattarsi a svolgere i lavori più umili. Vista la sua origine di operaio siderurgico, Sammartino lavora dapprima come fucinatore a Bruxelles, e poi dal 1927, stabilitosi con la compagna Elvira Pomesano ad Anderlecht, in officine di apparecchi radiotelegrafici arrivando, nel 1930, alle funzioni di capomastro aggiustatore alla Societé Belge de Radiotélegrafie di Forest. Fino alla fine del decennio le spie fasciste non si accorgono della sua attività politica. Secondo la testimonianza di Francesco Igi, rappresentante del Ppi nelle Leghe antifasciste, Sammartino ne è da subito a capo insieme a Saverio Roncoroni, dirigendo la manovra comunista che porterà all’assunzione del controllo delle Leghe all’inizio del 1928 260. Anche in questo caso in tandem con Pietro Sartor, che assume la direzione de Il riscatto e dell’organizzazione comunista italiana in Belgio, fino alla morte prematura.

Infine la polizia fascista si mette sulle tracce di Sammartino, non a caso subito dopo la confessione di Igi al rientro in Italia. Viene individuato il gruppo comunista di Anversa, che comprende attualmente una ventina di membri. Questo gruppo tiene di solito le sue riunioni nei giorni di domenica o in un caffè cinese dei dintorni del porto o nella “Banlieaue” (sic) della città. I comunisti Sammartino Michele (...) e Marconi Guglielmo, nato a Dicaso il 18 settembre

257 TONELLI, Vincenzo (a cura di MINAZZI , Fabio), Un comunista, combattente dell’antifascismo europeo, Napoli, La Città del Sole, 2005;

la sua testimonianza è parzialmente ripresa in: BRAMBILLA Onorina (Nori), FERRO, Mario, MORENZONI, Eolo, PESCE, Giovanni, POMA, Anello, TONELLI, Vincenzo (a cura di Fabio MINAZZI ), La lotta antifascista dei comunisti in Europa. Dalla guerra di Spagna alla Resistenza: testimonianze orali, Napoli, La Città del Sole, 2005.

258 Archivio Casa del Popolo di Torre, fondo Commissione Quadri della Federazione del Pci, b. non numerata, f. Parutto Venanzio. 259 Acs, Cpc, b. 228, f. 83721, Babille Maurice. 260 Acs, Cpc, b. 2626, f. 2777, Igi Francesco, testimonianza resa alla Questura di Perugia il 30 aprile 1930.

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1903, dimorante a Couillet 261 si recano a spesso ad Anversa e per assistere alle riunioni suddette 262. Argomento presunto delle riunioni un’azione contro il Padiglione italiano di Anversa, che dovrebbe essere realizzata da emigrati già colpiti da decreto di espulsione. Il gruppo comunista italiano di Anversa ha tenuto il giorno 9 giugno una riunione al N. 119 di Rue Dambrouge. Sammartino si recherebbe di frequente ad Anversa per cercare, con il segretario di quella sezione comunista, di ricomporre la squadra volante antifascista, denominata “Squadra della Morte” o “Senza paura” 263. Componente della direzione del Comitato proletario antifascista 264, manterrebbe rapporti con i dirigenti del partito comunista belga e Italiano a Bruxelles, elementi con i quali s’incontrerebbe di nascosto, a volte, presso la sede del “Drapeau Rouge”. Sammartino sarebbe molto prudente e la sua attività comunista consisterebbe specialmente in lavori amministrativi 265.

A testimonianza della collaborazione fra la polizia fascista e quella “democratica” belga, il 23 aprile 1931 si ha la notizia dell’espulsione dal Belgio di 44 italiani, fra cui Sammartino. Esecuzione per altro sospesa, almeno nei suoi confronti 266. Nel dicembre 1933, da ambienti della polizia belga viene compilato (la fonte produttrice è rivelata dal testo rigorosamente ancora in francese) un elenco di tutti gli antifascisti residenti nella zona di Liegi. Sammartino partecipa - a nome della Lega antifascista - al Congresso antifascista di Parigi del 1933, insieme ad Aldo Castelli del Pcd’i di Bruxelles e di Montanari per gli anarchici italiani in Belgio 267.

L’ennesimo presunto tentativo di costituzione di una squadra di difesa antifascista ad Anversa produce una curiosa polemica fra la rappresentanza diplomatica di Bruxelles e quella della città portuale, che in passato ha già dato segnali di non aver troppa voglia di dedicarsi prioritariamente alla sorveglianza degli antifascisti. Il Consolato di Bruxelles comunica il 9 febbraio 1934 che in una riunione che sarebbe avvenuta qualche giorno fa alla sede della sezione del partito comunista in questa città – 81 Rue de Flandre – si sarebbero gettate le basi per la formazione di una squadra volante antifascista, la cui sede credesi debba essere ad Anversa. I promotori per Brusselle della formazione della squadra di cui sopra sembrerebbero essere i noti Sammartino e Vedovato. Il 2 giugno il Consolato generale di Anversa risponde polemicamente che nonostante le accurate indagini eseguite non si è potuta accertare l’esistenza in questa città di una squadra volante antifascista. Del resto se si è voluto dire che la squadra volante antifascista, di cui si sarebbero gettate le basi a Bruxelles, doveva avere la sua sede ad Anversa, non si capisce troppo bene perché si sarebbe scelto Bruxelles, per organizzarla: se si è voluto dire che a Bruxelles si è costituita una squadra volante antifascista facente parte di una più vasta associazione il cui centro sarebbe ad Anversa, si può contestare l’esattezza della asserzione, poiché in questa città manca l’elemento che possa costituire un centro direttivo di attività antifascista, che possa dare vita ad un’organizzazione vera e propria di tale attività 268. Risposta quanto mai netta, che fa pensare alla sopravvivenza, nelle file della diplomazia di carriera, di qualche funzionario - se non antifascista - almeno alieno dalle fobie del regime e dotato anche di un certo carattere indipendente.

Parallelamente alla scoperta dell’attività di Sammartino, viene individuata anche la sua compagna, Elvira Pomesano. Ella, insieme a Teresa Bosco 269, si dedica più volte alla spedizione in Italia delle assicurate contenente denaro, ricevuto del S.R.I., e ricavato dalla vendita di cartoline antifasciste. Risulterebbero, sempre dalla stessa fonte, che il denaro è stato spedito al P.S. Italiano-centrale di Livorno, e che in diverse assicurate siano state inviati circa 10.000 Frs.b. in favore dei confinati politici e per fomentare tentativi di rivolta e di evasione 270. Alla fine del 1932 è attivo a Bruxelles un patronato femminile pro vittime del fascismo, composto, oltre che da Elvira Pomesano, dalle comuniste Teresa Reversi ed Ida Zecchini e dall’anarchica Paolina Caporali. Patronato che in tre mesi ha raccolto 1250 franchi. Il 29 ottobre si tiene alla Brasserie Rayka di Bruxelles un’assemblea della Lega delle donne contro la guerra e contro le dittature, che nomina le delegate per il prossimo congresso. Per le italiane sono presenti Teresa Bosco, comunista e Teresa Roberti, comunista anarchica, oltre alla comunista Giuseppina Puleri e ad Elvira Pomesano, che sono nominate delegate.

261 Esistono iscritti al Cpc due Guglielmo Marconi, i cui dati non corrispondono a quelli del comunista qui citato. 262 Acs, Cpc. b. 4558, f. 45172, dattiloscritto in carta velina, contenente un riassunto di varie informative: Copia della nota della Sezione I°

N° 441/011996 in data 12 luglio 1930 VIII°. Vedi Originale in Tonicelli Aurelio N. 63832 del 18 Agosto 1930. 263 Acs, Cpc. b. 4558, f. 45172, nota del console di Bruxelles al Ministero dell’Interno del 3 dicembre 1930, prot. n. 10569/A. 63. 264 Insieme a 1) Tiburzo, a Seraing, 2) Rossi, a Charleroi, 3) Gorelli, a Anversa, 4) Testa, a Bruxelles, 5) Marengo, a Bruxelles e 7)

Rinaldi, a Bruxelles: cfr. Acs, Cpc. b. 4558, f. 45172, lettera del direttore capo della Divisione Polizia Politica Di Stefano al Cpc del 26 novembre 1930, prot. n. 441/022607.

265 Acs, Cpc. b. 4558, f. 45172, appunto dattiloscritto del direttore capo della Divisione Polizia Politica per la Divisione Affari Generali e Riservati del 3 febbraio 1931, prot. n. 500.

266 Acs, Cpc. b. 4558, f. 45172, copia dattiloscritta di un appunto della Divisione Polizia Politica del 12 aprile 1931, prot. n. 500/8071(accompagnata dalla richiesta di omettere il controllo all’estero, visto che si brucerebbero gli informatori belgi), successiva lettera di Di Stefano al Cpc e nota del Consolato di Bruxelles del 17 giugno 1931, prot. n. 1039/A.63. L’espulsione riguarda fra l’altro il bracciante anarchico Luigi D’Agaro, nato a Prato Carnico il 27.8.1886 ed ivi residente, confinato politico (Acs, Cpc, b. 1571), il bracciante comunista Fioravante Ruggero Fantin, nato a Barcis il 26.10.1912 e residente a Milano (Acs, Cpc, b. 1948) ed il minatore socialista Massimino Gasparini nato a Barcis il 12.2.1900 ed ivi residente (Acs, Cpc, b. 2301).

267 Acs, Cpc. b. 4558, f. 45172, telespresso del Ministero degli Esteri al Ministero dell’Interno. del 22 giugno 1933, prot. n. 316834/5655. 268 Acs, Cpc. b. 4558, f. 45172, copia del telespresso del Ministero degli Esteri al Ministero dell’Interno del 16 febbraio 1934 prot. n.

303725/867, inviata l’8 marzo al Cpc; comunicazioni del consolato di Bruxelles del 5 luglio 1934, prot. 3384/A.63 e del consolato generale di Anversa del 2 giugno 1934.

269 Acs, Cpc, b. 781, Bosco Teresa Ludovica, nata a Buttigliera d’Asti (At) nel 1898, ivi residente, comunista, casalinga, sarta, moglie del comunista Teresio Testa, iscritta in Rubrica di frontiera, documenti dal 1928 al 1941.

270 Acs, Cpc, b. 4073, f. 86506, Pomesano Elvira, note del Consolato di Bruxelles al Ministero degli Esteri del 29 ottobre 1930, prot. n. 8906/A.63 (un’annotazione rinvia all’originale in Testa Teresio fu Stefano, n. 82195 del 7 Nov. 1930) e del 28 gennaio 1931, prot. n. 197/A.63 (estratto dattiloscritto dall’originale in Verdina Marcello di Pietro).

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Poi Sammartino e Pomesano sfuggono alla vigilanza della polizia fascista. Nel 1937 Pomesano è segnalata come residente a Droogenbosch/Drogenbos, a pochi chilometri da Forest/Vorst e da Anderlecht. Ancora nel 1941 la polizia fascista non riesce ad individuare l’indirizzo e le attività di Sammartino, e così nel 1942 di Pomesano, pur continuando a supporne la presenza in Belgio.

Altri antifascisti oltrepassano l’Atlantico. Come Giovanni Gobbo, che ritorna negli Usa, dove aveva soggiornato prima della guerra. Suo figlio Leo, sfuggito alla retata contro la Fgcd’i di Torre nel 1931, lo raggiunge: nel 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, si arruolerà nell’esercito statunitense per partecipare (come indicato dall’Internazionale comunista) alla battaglia contro il fascismo 271.

Ma è in Argentina che continua l’emigrazione italiana in massa, come nei decenni precedenti. E’ qui che si trova dal 1913 l’anarchico Andrea Tomsich, segnalato in una lettera di Luigi Degan, fratello del dirigente socialista pordenonese: ambedue sono costruttori di aeroplani. Poi i loro percorsi si divideranno: Luigi, si naturalizza ed entra nell’aviazione argentina, mentre Tomsich si trasferisce nel 1935 in Bolivia, dov’è ancora attivo nell’organizzazione antifascista negli anni della seconda guerra mondiale 272. Pure in Argentina emigra Lucio Da Corte, muratore, che nel 1920 ha avuto la prudente intuizione di costituire la società e registrare l’acquisto del terreno su cui sorge la Casa del Popolo di Torre (esistente da un decennio ma senza alcun atto legale che ne dimostri la proprietà), giusto in tempo prima dell’arrivo dell’ondata di violenza fascista: solo grazie a questa iniziativa l’istituzione non viene sottratta ai suoi proprietari durante la campagna di esproprio delle istituzioni operaie negli anni ‘50. Perseguitato e licenziato per l’accusa di aver partecipato alle barricate di Torre del maggio 1921, Da Corte emigra in Argentina nel 1928 con Angelo Russo, come lui antifascista e fondatore della Casa del Popolo: ambedue non sono schedati al Cpc, ma rientrano evidentemente nelle ben più radicate schedature del regime, visto che la sua abitazione, dove rimangono la madre, la sorella, la moglie e le figlie (che non rivedrà fino al 1950) viene continuamente perquisita dai carabinieri. Che per altro non si accorgono come, dietro il ritratto del padre, ci sia quello di Carlo Marx esposto precedentemente nella sala della Casa del Popolo, dove tornerà nel dopoguerra. Ritornato a casa senza pensione, costretto a lavorare in età avanzata, il socialista Da Corte continuerà a partecipare a manifestazioni politiche fino agli anni ‘60 273.

In Argentina, dov’era nato figlio di emigranti, ritorna il muratore Carlo Marinato, sindaco socialista di Pravisdomini dal 1920 al 1922. Lo stringersi delle maglie della repressione fascista, che si accanisce anche contro l’anziano padre, lo costringe all’espatrio: temendo d’essere sottoposto ad un provvedimento di polizia, si arruolò nell’esercito argentino, ed ottenuto con quel[lo] la cittadinanza, con passaporto rilasciatogli dal Console di quella repubblica in Venezia, riuscì nel 1927 ad espatriare, recandosi a Buenos Aires. 274 Se le prime indagini a carico di Carlo Marinato sono collegate all’ira paterna verso il dittatore, causa delle disgrazie della famiglia e del popolo italiano, il suo ritorno alla politica attiva dopo l’inizio della guerra di Spagna viene confermato dai sequestri della corrispondenza inviata alla moglie Caterina Fantin, rimasta nella natia Pravisdomini in frazione Barco insieme alla figlia ventottenne Ines. Ovviamente entrambe risultano di buona condotta morale e politica, anche se né noi, né i censori, possediamo la testimonianza delle loro sensazioni di fronte alle chiare corrispondenze del loro congiunto esiliato oltreoceano. Le lettere intercettate si susseguono dal gennaio 1937 al 1941. 275

Moderno Menocchio 276, il sindaco che proclamò il soviet contadino subito dopo la sua elezione (pur essendo esponente dell’ala riformista del partito: infatti poi aderirà al Psu) scarica sulle congiunte, seguaci bigotte del prete e del regime, un linguaggio popolaresco immaginoso, da grande polemista autodidatta, come dimostra questo breve passo: Voi che siete del paradiso terrestre (ciò grazie al vostro Duce) non vi potete dar ragione della vergogna e beffa che passate, a causa che vi piace vivere nella oscurità. Però... non vi dice niente la miseria in cui siete caduti? Consta che l’80% dei piccoli proprietari vivono in affitto, e ciò vuol dire che si vive in un paradiso d’inferno. Ora poi vi è giunto l’ordine di stringere un po’ di più il cinturone, è una manna che vi cadde dal cielo per opera e volontà del vostro santo padre e signore Duce; e non andrà molto tempo che dovrete mangiare il pane di sorgo, ciò, per completare il paradiso della Mussolandia. Sia detto, che in compenso vi ha dato un Impero, che a tutt’oggi non si sa qual fine avrà. Ora, il supremo filibustiero vi manda al macello per conquistare il Mare nostrum, e in questo mare nostrum incontrerete ciò che vi siete meritati per tutto il bene che avete proporzionato all’umanità massacrando donne, bambini, vecchi e infermi, e per avervi conquistato con tante prodezze il titolo di pirati 277.

La lettera del 14 agosto è accompagnata da numerosi ritagli di giornale: si tratta soprattutto di vignette satiriche, rivolte in gran parte ai due dittatori fascisti alleati, Mussolini ed Hitler, ma anche di una tabella sui 10.709 bambini spagnoli uccisi, ed i 15.320 feriti dai bombardamenti delle aviazioni italiana e tedesca sulle città spagnole, accompagnata da un commento autografo di Marinato: Gesta eroiche del fascismo. Un bell’esempio dell’uso

271 Testimonianza di Teresina Degan. 272 Acs, Cpc, b. 5140; f. 64617, Tomsich Andrea; archivio privato Teresina Degan, Pordenone. 273 Su Lucio Da Corte cfr.: DEGAN, Teresina, La Casa del Popolo nella storia di Torre, Pordenone, Ed. Euro92, 2003, pp. 92-94. 274 Acs, Cpc, b. 3064, f. 430, Marinato Carlo di Agostino, minuta della lettera del Cpc al Ministero degli Esteri ed a Prefettura di Udine,

del 15 maggio 1942, prot. n. 28309/430. 275 Acs, Cpc, b. 3064, f. 430, Marinato Carlo di Agostino, lettere della Prefettura di Udine al Cpc del 18 gennaio 1937, prot. Gab. P.S. n.

01209, dell’8 luglio 1938, prot. Gab. P.S. 031768 e del 12 ottobre 1938, stesso protocollo. 276 Mugnaio di Montereale Valcellina, Domenico Scandella detto Menocchio elabora una sua originale concezione del mondo di tipo

riformato, e finisce sul rogo per eresia: a lui è dedicato: GINZBURG, Carlo, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500, Torino, Einaudi, 1976.

277 Acs, Cpc, b. 3064, f. 430, Marinato Carlo di Agostino, lettera della Prefettura di Udine al Cpc del 30 luglio 1938, prot. Gab. P.S. n. 031768 ed allegata copia dattiloscritta della lettera.

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propagandistico dei disegni satirici, moderna forma di comunicazione popolare fin dai tempi de l’Asino di Podrecca, uno dei più efficaci strumenti di diffusione del socialismo in Italia 278.

L’effetto delle notizie della stampa straniera a proposito dell’imperialismo italiano, e come in tal modo si crei un percorso molecolare di scomposizione della propaganda fascista, è testimoniato anche da una lettera inviata al padre dall’operaio Vittorio Brusadin: Quando mandate le vostre lettere non mandate giornali di la perché quelli solo tengono puro patriottismo non dicono nulla della verità, vi da intendere quello che vogliono, che la guerra dell’Africa è un giuoco per l’Italia i morti che tengono sono pure Ascari ho Eritrei, però non vi anno detto che nella presa della città di Adua l’Italia ha perduto 1200 uomini. Vero loro avanzano però seminano la morte a cada passo. Anch’io sono Italiano però contro la guerra, e a me mi piace morire con quella che mi riserva il destino ho la naturalessa. Leggete questi due piccoli articoli che vi mando in questa lettera se pur vi arriva a destino, se non credete che la pace sia vicina, l’anno venturo ci guarda molte sorprese, che la pensarei diventeremo pazzi prima che l’ora 279.

Anche in Argentina troviamo emigranti italiani che assumono ruolo di dirigenti nelle organizzazioni dell’antifascismo e nel sindacato. Orazio Infanti 280, fin dal suo arrivo a Buenos Aires nel 1925 è uno degli organizzatori del Psi massimalista, assumendo la carica di segretario della sezione “Gaetano Pilati”, dedicata al deputato fiorentino ucciso dagli squadristi (le sezioni del Psi nella capitale argentina sono 4), scrivendo su L’Italia del popolo e partecipando a tutti i congressi del partito e della sezione argentina della Concentrazione antifascista. Partecipa come oratore ad iniziative pubbliche, come in occasione della commemorazione delle vittime dello squadrismo organizzata nel 1928. In continuità con la sua esperienza di sindacalista della Federterra in Italia, Infanti è impiegato dalla Federazione Agraria Argentina, come conferenziere sui temi di natura agraria. Nel 1937, rimasto disoccupato, richiede di poter rientrare in Italia, ma gli è negato il permesso dalle autorità fasciste.

Al contrario i fascisti si interessano vivamente al destino di cinque dirigenti italiani del sindacato edile argentino, fra i quali i fratelli Pietro ed Emilio Fabretti di Nimis. Ambedue figli (insieme ad altri 7) di Micca Pietro, crescono lavorando con il padre 281. E non solo lavorando: il padre, dimostrando un’attenzione notevole per l’educazione dei figli, oltre a comprare sempre il quotidiano per sè compra il Corriere dei piccoli per i bambini. Micca Pietro, fornaciaio comunista, è indicato come il capo storico dei socialcomunisti di Nimis, ma non è schedato al Cpc fino al 1937, quando viene intercettata una lettera dei figli dall’Argentina: anche in questo caso si possono riscontrare i diversi piani poco comunicanti su cui opera la repressione fascista. Infatti Fabretti padre era già stato confinato per antimilitarismo a Mugnano del Cardinale durante la prima guerra mondiale, e poi è arrestato nel 1926 a Masnago (allora provincia di Como 282) per il possesso di materiale di propaganda comunista: successivamente era stato liberato per l’intervento del proprietario della fornace presso cui i Fabretti lavoravano, che fece pressione - approfittando del suo essere un gerarca fascista - perché gli servivano le capacità professionali dell’arrestato. E’ questo episodio che spinge Pietro ed Emilio ad emigrare in Argentina 283.

Pietro fa parte del Comitato esecutivo dell’Alleanza antifascista, l’organizzazione di massa di orientamento comunista. Arrestato durante la manifestazione del 1° maggio 1931 a Rosario, è espulso ed imbarcato con altri 24 antifascisti italiani (ed altri stranieri, per un totale di circa un centinaio) sulla nave da guerra “Chaco” per essere inviato in Italia dalla dittatura militare del generale Uriburu, che ha preso il potere nel 1930. Ma, grazie al rovesciamento di governo avvenuto nel frattempo, 14 di essi, fra cui Fabretti, non vengono consegnati all’Italia e possono rientrare in Argentina. Assunto lo pseudonimo Adolfo Elena, diventa il segretario dell’Unione operaia friulana, associazione antifascista. Nel gennaio 1936 viene di nuovo arrestato, nel corso di un duro sciopero generale degli edili di Buenos Aires, nel quale avvengono violenti scontri con la polizia, la quale pure conta vari morti nelle sue fila. Lo sciopero è motivato dall’insopportabile comportamento padronale: gli impresari usano scappare senza pagare i già magri salari. Il sostegno popolare allo sciopero è dimostrato dall’appoggio prestato anche dai negozianti, che contribuiscono all’allestimento di cucine popolari per gli operai. Ritenuto l’organizzatore dello sciopero ed arrestato una seconda volta, in suo favore intervengono i deputati socialisti argentini. Durante la detenzione nei campi di concentramento argentini, i detenuti vengono continuamente spruzzati d’acqua, facendoli ammalare.

Pietro Fabretti interviene più volte sulle questioni sindacali dell’edilizia sui numeri dell’Italia del Popolo e partecipa ad una delegazione che si incontra con il governo; Emilio - anche lui con tre arresti alle spalle per la sua attività - è eletto segretario organizzativo ed una sorella, Vincenzina, è impegnata nel comitato di solidarietà con la Spagna repubblicana. Il sindacato, nella sola area bonaerense, conta 30.000 iscritti. Per la loro attività i Fabretti, insieme ad altri tre compagni, vengono arrestati nell’ottobre di quell’anno ed espulsi dall’Argentina, consegnandoli alle autorità italiane con l’imbarco sul piroscafo “Regina Giovanna”. In difesa dei cinque dirigenti sindacali edili, si

278 Acs, Cpc, b. 3064, f. 430, Marinato Carlo di Agostino, lettera della Prefettura di Udine al Cpc del 12 ottobre 1938, prot. Gab. P.S. n.

031768 ed allegati la copia dattiloscritta della lettera ed 8 ritagli dal giornale argentino Critica. Lettera firmata Carlos Marinat, datata Alberti 14 agosto 1938.

279 Acs, Cpc, b. 869, f. 124805, copia di una lettera revisionata diretta a “Agostino Brusadin=Borgo S. Giugliano 19=Pordenone= (timbro postale “Me[n]doza 23/12/1935”) a firma “tuo figlio Vittorio Brusadin”, su carta velina, allegata. Il testo è stato riprodotto solo parzialmente nel documento originale. Allegati al carteggio due ritagli di giornali argentini.

280 Acs, Cpc, b. 2633, f. 22953. 281 Acs, Cpc, b. 1915, ff. 126519 (Micca Pietro), 45088 (Pietro Giulio Ottone) e 115377 (Emilio Giovanni); testimonianza di Emilia Bellot

Fabretti, Pordenone, febbraio 2006. 282 Nel 1927 vengono ridisegnate numerose circoscrizioni provinciali. La provincia di Varese nasce dal territorio occidentale di quella di

Como, e dal territorio nordoccidentale di quella di Milano. Cfr.: Le vie d’Italia. Rivista mensile del Touring Club Italiano, Milano, anno XXXIII, n. 5, maggio 1927, Fra nuove Province e rinnovate, pp. 531-541. La cartina che illustra gli apporti delle province contermini alla nuova provincia di Varese è a p. 532.

283 Nelle cartella di Pietro la notizia dell’arresto è invece riferita al quasi omonimo figlio.

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muovono l’Internazionale socialista e quella sindacale, ad iniziare dal segretario dell’Unione internazionale dei lavoratori edili e del legno, l’olandese van Achterbergh. Il deputato argentino Perez Reiros vola a Rio de Janeiro per cercare di ottenere lo sbarco in Brasile; il governo del Messico offre l’asilo politico e le spese di trasporto.

Fallito il tentativo di bloccare la nave italiana sulla sponda americana dell’Atlantico, gli antifascisti italiani in Argentina inviano telegrammi ai dirigenti della sinistra francese, dal socialista Leon Blum al comunista Maurice Thorez al segretario della Cgt Jouhaux, per far sbarcare i deportati a Dakar. A questo punto i fascisti decidono di saltare questa tappa e di puntare su Gibilterra. Giunti in Italia, i Fabretti negano ogni accusa, e rifiutano la proposta di aderire al sindacato fascista. Sono condannati a 5 anni di confino: inizialmente tutti e due a Ponza, da cui Pietro viene poi trasferito a Lagonegro. Saranno prosciolti il 26 novembre 1942, praticamente ad un mese dalla fine pena: poi le loro strade si separeranno. Pietro rimane al sud, e rientrerà a Nimis, distrutta completamente dai nazifascisti durante l’attacco alla zona libera del Friuli orientale nel 1944, assumendosi il gravoso compito di sindaco della ricostruzione, che manterrà fino al 1951 insieme ad incarichi di direzione sindacale nella CdL di Udine. Emilio invece verrà inviato dal Pci a Pordenone durante la Resistenza, assumendo il compito di rappresentante del partito nel Cln dopo l’arresto di Pamio e curando l’organizzazione nelle fabbriche, dalla quale passerà quasi naturalmente, nell’immediato dopoguerra, alla segreteria della CdL.

Uno solo dei pordenonesi emigra stabilmente in Urss: si tratta di Costante Masutti. Ma la sua attività, testimoniata da una notevole documentazione personale, non è stata finora studiata, lasciandola in ombra rispetto alla vicenda del genero Emilio Guarnaschelli, giovane comunista torinese morto nella repressione staliniana 284. Inoltre grava su Masutti l’attività, lodevole ma non sempre dotata di cautela, di Dante Corneli, un altro comunista italiano sopravvissuto ai gulag che, lavorando sulle sue memorie e sul materiale dell’Acs, ha elaborato una notevole serie di opuscoli, prevalentemente autoprodotti. Ecco che nella sua analisi tagliata con l’accetta Masutti - inserito nel capitolo Ravveduti, informatori, agenti fascisti e staliniani così come il genero, il quale aveva ottenuto i documenti per il rientro in Italia dall'ambasciata poco prima di essere arrestato - diventa un odioso stalinista. Masutti quindi dovrebbe essere il padre spietato che non ha aiutato la giovanissima figlia ed il genero, ma pure il correo di Guarnaschelli nell’ovvio gesto di ricorrere all’unica autorità che a Mosca può garantire una via di fuga: l’ambasciata dell’odiato regime fascista. Inutile commentare che tutto ciò è esagerato, soprattutto in un contesto in cui ogni scelta dev’essere soppesata attentamente, a prezzo della vita 285. Seguendo acriticamente Corneli, Fucci indica Masutti fra gli informatori della polizia fascista nell’Urss, in quanto appartenente alla categoria dei rimpatriati, cioè di quelli che, per sfuggire alle repressioni staliniane, si rivolgono all’ambasciata italiana e sono costretti a riferire le loro informazioni in cambio dell’ottenimento del passaporto 286.

Al contrario, la documentazione pubblicata dalla Fondazione Feltrinelli testimonia del fatto che Masutti è indicato in più di un interrogatorio come un elemento polemico con la linea del partito, e quindi nella condizione di doversi mettere in salvo dalla repressione staliniana 287. Masutti si trasferisce in Urss nel 1932, proveniente dalla Francia, da cui deve fuggire, poiché il fallimento della impresa edile - avviata sotto falso nome - ha svelato la sua vera identità: risiede successivamente nel Donbass, a Kiev, Stalingrado e Mosca.

Al periodo sovietico della sua vita Masutti dedica numerosi quaderni di appunti. Fra i quali, a dimostrazione della grande esperienza professionale compiuta, alcune bozze di manuale di lavorazioni edili, che tenta invano di farsi pubblicare ritenendo necessario un migliore utilizzo delle risorse materiali ed umane nei cantieri, dove egli opera con funzioni direttive. L’impegno professionale è impegno politico per la costruzione del socialismo, ai cui sviluppi torrenziali in campo industriale Masutti, che si autodefinisce intonacatore stakhanovista, dedica appassionate lettere conservate nel suo fascicolo all’Acs. Masutti è impegnato profondamente nel campo politico, di cui ci lascia testimonianze che attestano il suo non rassegnarsi alla chiusura del dibattito ed alla repressione del dissenso, oltre al racconto dello scontro interno al partito, e degli attacchi subiti da Robotti, agente della repressione staliniana nella colonia comunista italiana che - vera nemesi storica - sarà una delle vittime dello stesso meccanismo da lui costruito e potrà salvarsi solo grazie al fatto di essere cognato di Togliatti. A smentita del suo apparente disinteresse per la figlia ed il genero, Robotti in un interrogatorio racconterà di come Masutti avesse accusato il Pcd’i di essere responsabile dell’arresto di Guarnaschelli. Fra i documenti politici, un’eccezionale testimonianza delle battaglie antifasciste del 1921 a Pordenone, trasformate in una pièce teatrale inedita in Italia e realizzata per una rappresentazione del collettivo di fabbrica 288.

Masutti si presenta all’Ambasciata italiana a Mosca nell’agosto 1936, dopo i contatti intrapresi dalla figlia Nella in giugno per ottenere aiuto per sè ed Emilio Guarnaschelli, che stava per raggiungere nell’esilio di Pinega sul

284 Allo stato della documentazione, non appare confermata l’origine pordenonese di Nicolò Martini, come indicato da: SPRIANO, Paolo,

Storia del Partito comunista italiano, Torino, Einaudi, 1978, terzo volume, pag. 243 e da CORNELI, Dante, Lo stalinismo in Italia e nell'emigrazione antifascista, volume sesto, Elenco delle vittime italiane dello stalinismo (Dalla lettera "M" alla "Z"), Tivoli, giugno 1982, p. 17. Seguendo la documentazione del Cpc, dove è registrato come Nicola, Martini risulta originario della provincia di Pesaro: accusato di attività spionistica a favore di un paese straniero, muore in un gulag nel 1943. Cfr.: DUNDOVICH, Elena, GORI, Francesca e GUERCETTI, Emanuela, Reflections on the gulag. With a documentary appendix on the italian victims of repression in the Ussr, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Annali, anno XXXVII, 2003, pp. 417-418. Su Guarnaschelli, cfr.: GUARNASCHELLI, Emilio, Una piccola pietra, Milano, Garzanti, 1982.

285 CORNELI, Dante, Lo stalinismo in Italia e nell'emigrazione antifascista, volume quarto, Il dramma dell'emigrazione italiana in Unione Sovietica, Tivoli, dicembre 1980, pp. 68-70.

286 FUCCI, Franco, Le polizie di Mussolini, cit., p. 42. 287 DUNDOVICH, Elena, GORI, Francesca e GUERCETTI, Emanuela, cit., ad indicem. 288 Centro Studi Piero Gobetti, Fondo Masutti; la testimonianza di Robotti su Masutti e Guarnaschelli in: DUNDOVICH, Elena, GORI,

Francesca e GUERCETTI, Emanuela, cit., pp. 614-615.

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Mar Bianco. Nella Masutti deve risolvere le complicazioni create al suo matrimonio dal fatto di aver usato fino a quel momento il cognome fittizio assunto dalla famiglia, Garatti. Ovviamente Costante Masutti - che chiede un passaporto per sè e la famiglia per trasferirsi in Francia o Belgio, oppure per rientrare in Italia, qualora la sua condanna per l’uccisione del fascista Salvato fosse stata amnistiata - dichiara di non avere più interessi politici, anzi non nasconde di essere entrato in rotta di collisione con i dirigenti del Pcd’i nell’emigrazione e di optare per un trasferimento in modo da non accogliere la richiesta di cittadinanza sovietica che gli viene rivolta dalle autorità (e che è l’anticamera dei successivi provvedimenti repressivi da parte del regime stalinista). La pratica si trascina, con l’altrettanto ovvia richiesta di “ravvedimento”, cioè di diventare un informatore, cui Masutti risponde negativamente: non vede come potrebbe dar prova del suo ravvedimento prima di lasciare l’URSS, poiché ogni sua sporadica manifestazione politica in questo Paese non avrebbe ora, date le peculiarità dell’ambiente e quelle del momento, altro risultato che il suo arresto ed il conseguente confinamento in Siberia; che d’altra parte, la sua coscienza non gli consentirebbe di divenire un informatore di questo Regio Ufficio. Effettivamente Masutti, nel tanto parlare (gli incontri saranno ben 11) si lascia sfuggire informazioni, relativamente a dirigenti centrali del Pcd’i come Dozza od a dissidenti bisognosi di espatriare, anche se questo non sembra determinante per stabilire una relazione positiva con l’ambasciata. In ogni caso, Masutti con grande cautela presenta un resoconto degli incontri all’organizzazione del Pcd’i, mentre conduce la trattativa con la compagna Stassova dell’Ufficio stranieri dell’Urss per ottenere l’espatrio. Nel maggio 1937 i Masutti si trasferiscono finalmente in Francia, forse con l’aiuto di un architetto sovietico che gli trova occupazione all’Esposizione Internazionale di Parigi, più probabilmente grazie alla richiesta di Costante di essere inviato a combattere in Spagna: certo è che il trasferimento sfugge al controllo delle autorità fasciste, che si mettono in cerca del nostro nelle Brigate Internazionali 289.

Masutti comunque rimane in Francia, da dove nel luglio 1938 comunica la sua delusione per l’esperienza sovietica con una lettera al vecchio compagno Ernesto Oliva a Pordenone: non ha perso il suo spirito combattivo, e rivendica non solo la parte positiva della sua esperienza personale, ma anche la sua volontà di denunciare le storture di quel sistema che è stato costruito nel nome del socialismo ed è retto da traditori. La solidarietà fraterna permette a Masutti di affidare ad Oliva il compito di informarlo sulle dicerie sul suo conto che circolano nel paese d’origine, e che evidentemente sono arrivate alle sue orecchie anche nell’esilio 290. Nel frattempo, riprende i contatti con Giuseppe Ellero, chiedendogli di assumere la sua tutela legale. Circa gli esiti sul piano politico dell’esperienza sovietica, Masutti nel 1939 è definito da un’informativa della polizia politica come anarchico: ma, a differenza del più giovane compagno Durigon, il destino del combattivo dirigente sindacale degli edili lo riporta nelle file del socialismo italiano, pur conservando un’impostazione classista che lo manterrà in stretto rapporto con i comunisti, alla guida della ricostituzione del Psi nel Friuli occidentale del dopoguerra e poi della federazione del Psi in Francia negli anni ‘50. Nel 1956 commenterà duramente l’incontro fra Nenni e Saragat a Pralognan, giudicandolo un cedimento socialdemocratico: la sua è una eccezionale testimonianza di come la critica radicale dello stalinismo non abbia come esito scontato l’anticomunismo e lo spostamento nel campo ideologico borghese 291.

E’ comunque ai compagni comunisti italiani rimasti in Urss e perseguitati dal regime che Masutti si dedica fin da subito, realizzando un corposo memoriale in italiano al momento del suo arrivo in Francia, che sarà poi tradotto in francese dal figlio, nel quale indica decine di esponenti del Pcd’i uccisi o da salvare dalla repressione. Tanto che il fatto di aver avuto contatti con lui (definito trozkista) sarà causa di successivi processi in Urss, come per Ugo Ziterio, in convalescenza dal fronte spagnolo 292.

La Spagna della guerra civile costituisce il penultimo capitolo dell’emigrazione antifascista italiana, prima del rientro per combattere l’ultima battaglia contro il regime. Tramontate le speranze di una sconfitta del regime in Etiopia, dove i gas asfissianti e la crudeltà razzista hanno effimero successo sui combattenti dell’ultimo stato libero dell’Africa, lo sforzo dell’antifascismo italiano ed europeo si sposta sul terreno della difesa della Repubblica governata dal Fronte popolare, contro i generali golpisti appoggiati dai governi fascisti italiano e tedesco. Antifascisti emigranti all’estero e nuovi fuorusciti dall’Italia si arruolano nei vari reparti e colonne, che poi in gran parte confluiscono nelle Brigate Internazionali, o nelle colonne anarchiche o del Poum. Si spostano intere organizzazioni, interi paesi: basti pensare ai 9 volontari, 2 dei quali caduti, provenienti da Castelnovo del Friuli, oppure all’incontro che unisce vecchi e giovani pordenonesi: Pierino il figlio del maestro Pasquotti, ed anche altri compagni da Pordenone come uno dei fratelli Corai ed il vecchio segretario della camera del lavoro e De Gottardo ed un’altro che è morto si chiamava Magoga., riferito mesi dopo, nel marzo 1937, da Achille Durigon. Ed in un’altra lettera di poche settimane dopo, nella quale annuncia la grande vittoria garibaldina di Guadalajara contro le truppe fasciste italiane: Insomma fate sapere che di Pordenone che lotta contro la reazione internazionale sono 6 o 7 che siamo decisi di lottare fino a fondo. Il gruppo pordenonese viene così “fotografato” dalla polizia fascista: Pierino Pasquotti, Ruggero Luigi Corai, il segretario della CdL Umberto De

289 Acs, Cpc, b. 3149, f. 25804, telespresso n. 772/370 del 2 marzo 1937 dell’Ambasciata d’Italia a Mosca al Ministero dell’Interno;

Centro Studi Piero Gobetti, Fondo Masutti, fascicolo non rilevato, con fotocopie di lettere, fra cui una indirizzata al Comandante Carlos Contreras (Vittorio Vidali) del V Reggimento di Madrid; quaderno 9 e frammenti sparsi in altri fascicoli non ordinati.

290 Acs, Cpc, b. 3149, f. 25804, copia di una lettera, dattiloscritto su carta velina, allegata alla lettera della Prefettura di Udine al Cpc, prot. Gab. P.S. 02088 del 10 agosto 1938.

291 Centro Studi Piero Gobetti, Fondo Masutti, quaderno I, Non si può esser socialisti quando non si rifletta i principi Marxisti e quindi la Lotta di classe.

292 Centro Studi Piero Gobetti, Fondo Masutti, quaderno 3 e fascicolo non rilegato, datato e firmato, riproducente un opuscolo in francese con Un ardent appel a toutes les personnes de coeur eprises de justice; DUNDOVICH, Elena, GORI, Francesca e GUERCETTI, Emanuela, cit., pp. 481, 496

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Gottardo (che lo è stato in effetti nel 1919) ma indicato in Costante Masutti per un errore di trascrizione, ed Antonio Magoga 293.

L’esauriente studio di Marco Puppini ha fornito un ampio resoconto documentario sugli antifascisti combattenti di Spagna provenienti da Friuli e dalla Venezia Giulia, comprendenti anche territori istriani, sloveni e dalmati. Con 415 internazionalisti, queste terre hanno dato un contributo pari o superiore a regioni ben più popolose, contribuendo in maniera significativa al contingente di oltre 4.000 combattenti italiani. Se l’alto contributo degli antifascisti delle terre slovene e croate è comprensibile, va rilevato come i 145 combattenti della sola provincia di Udine di allora (comprendente Pordenone) spiccano vicino ai 217 dell’intera Lombardia. Continue verifiche delle biografie di persone studiate da ambedue mi portano a ritenere lo studio di Puppini corretto e sostanzialmente esente da errori, se si escludono i piccoli refusi comprensibili in opere di grande respiro 294.

E’ possibile in questa sede integrare l’elenco di Puppini con la figura di Antonio Magoga, non rilevato perché non è stata annotata nelle carte di polizia la sua residenza in Friuli. Appartiene ad una famiglia di Breda di Piave (Tv) trasferitasi a Pordenone nel 1915 (nella frazione cotoniera di Rorai Grande) e la sua vicenda illustra la presa dell’ambiente operaio sulla nuova popolazione inurbata dalle campagne. Inizialmente Antonio lavora come contadino ed aderisce al movimento socialista, poi nel 1924 emigra in Savoia con il fratello Angelo - pure lui schedato come antifascista - dove lavorano come muratori. Si ritrovano nella stessa zona dove operano la famiglia Marzot-Pasquotti, Pietro Babille e pure Umberto De Gottardo, anche lui muratore, l’assessore socialista che aveva preso il posto di Enrico Marzot ma poi (all’inverso del compagno) diventato comunista dopo l’avvento del fascismo. Antonio Magoga, definito comunista dalla schedatura, inizialmente è attivista della Lidu ed appare in contatto con ambienti socialisti e repubblicani, come la Federazione delle Alpi promossa da Alceste De Ambris. La sera del 23 corrente [novembre 1930] in Annemasse nell’Hotel du Commerce raccontava pubblicamente che al suo paese di Pordenone e dintorni erano stati licenziati in pochi giorni circa tre mila operai e che in Italia si muore di fame. Poi aggiunse che a Trieste, Pola, Gorizia, Torino, Milano e Como è già cominciata l’azione contro il Fascismo e che presto si vedrà scorrere del sangue nelle vie d’Italia...” Due mesi dopo, disse di essere fiero di appartenere al Comune di Pordenone, che “i fascisti non poterono espugnare se non con l’aiuto dell’esercito”. Aggiunse che spera di andare presto in Italia ad innalzare la bandiera rossa dove sventolò tanti anni, ossia sui cotonifici di Pordenone ed anche sul Municipio di Pordenone. Irrequieto, Magoga ripete in ogni occasione che, non appena scoppierà in Italia la rivoluzione, egli sarà il primo a piantare sulla torre di Pordenone la bandiera rossa 295. Non è un parolaio ma un uomo d’azione ed aggredisce più volte esponenti fascisti presenti fra gli emigrati. Nel periodo successivo, Magoga è attivo nella locale sezione comunista, nel Soccorso Rosso, nel Fronte Unico e nella costituzione di un circolo di cultura ad Annemasse (salvo un trasferimento per un periodo ad Aix-les-Bains in Provenza per lavorare alla costruzione di un albergo) e partecipa alle iniziative sia nell’Alta Savoia che a Ginevra. Il 25 agosto 1936 parte per la Spagna, dove muore il 18 ottobre a Chapineria. Gli antifascisti italiani di Annemasse lo commemorano, insieme con Fortunato Basso, partito dalla stessa città, il 29 giugno 1937 in coincidenza con l’accoglienza di bambini spagnoli profughi ad Annemasse ed Annecy 296.

L’anno successivo muore un altro dei protagonisti dell’incontro di Albacete: Pierino Pasquotti. Giovane socialista, in Italia aveva dovuto abbandonare gli studi, ripresi in Francia fino al punto di diventare il capo ricercatore di uno stabilimento chimico, posto perso in seguito all’adesione ad uno sciopero durante il periodo delle lotte del Fronte popolare. Per non voler rinunciare alle sue idee politiche, Pasquotti viene demansionato a manovale. Lo Stato Maggiore delle Brigate Internazionali assegnò Piero alla fabbrica di esplosivi di Albacete. Lavoratore instancabile e buon chimico, fu promosso Sottotenente e gli venne affidata la direzione di un reparto 297.

Morì il 29 luglio 1937, all’età di 27 anni, per tifo ed è sepolto nel cimitero di Albacete. Secondo un prospetto del Ministero dell’Interno a proposito di 30 antifascisti che hanno combattuto per la Repubblica spagnola, Pierino non è l’unico morto per tifo in quella città: un altro volontario muore pochi giorni dopo per la stessa patologia ed altri due muoiono negli stessi giorni per cause ignote 298, probabile testimonianza di una situazione epidemica. La sorveglianza nei suoi confronti da parte del Consolato italiano di Chambery aveva coinvolto anche il padre Enrico, maestro elementare di scuola sacilese e redattore da Torre de Il Lavoratore Friulano prima del fascismo. Enrico si è dovuto iscrivere al Pnf, come il collega Francesco Fiorot, uno dei capi della resistenza di Torre del 1921, che sarà esponente socialdemocratico a Sacile nel dopoguerra: ma questo - lungi da essere un esempio del tanto citato “consenso” al fascismo di marca revisionistica - è solo il frutto della necessità di continuare a lavorare. Enrico Pasquotti è il segretario del Consiglio di Amministrazione della Cooperativa di Consumo di Borgomeduna, e deve patire le conseguenze

293 Acs, Cpc, b. 1873, f. 94211, Durigon Achille, copia di una lettera proveniente dalla Francia dirette a Furlan Margherita Via Piave

Torre di Pordenone e datate dalla Spagna 6 e 23 marzo 1937, indirizzate a Mamma e Bruno e firmate da Achille Durigon; copia della lettera della R. Prefettura di Udine, in data 2/6/1937, N. 07491, diretta al M°Interno P.S.-AG.R.-Sez.I^-C.P.C.

294 PUPPINI, Marco, In Spagna per la libertà, cit., in particolare pp. 26 e 37. 295 Acs, Cpc, b. , f. 17985, Magoga Antonio, comunicazioni del Consolato d’Italia a Chambery al Cpc del 25 novembre 1930, prot. n.

3474-Schedario, del 26 gennaio 1931n. 252-Stralcio e del 29 aprile 1931 n. 1122 Sch. 296 Acs, Cpc, b. , f. 17985; Pol.Pol., pacco 754, f. 50. 297 STEFFÈ, Bruno (a cura di), La famiglia Pasquotti di Pordenone. Il prezzo della coerenza agli ideali democratici, in: Quaderni di storia.

Cose nostre, cose di tutti, Pordenone, Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età contemporanea, n. 12, 2002, pp. 31-35. Il testo raccoglie la testimonianza della sorella di Pierino, Gualtiera Pasquotti.

298 Acs, Cpc, b. 3765, f. 121461, telespresso del Ministero degli Esteri al Ministero dell’Interno, n. 320166 del 14 agosto 1939; lettera del Ministero dell’Interno alle Prefetture del Regno ed alla Q. di Roma, prot. n. 441/030452 del 12 settembre 1939. Diversa è la versione della morte conosciuta dalla famiglia: Nell’estate 1937, causa le esalazioni venefiche di certi esplosivi plastici, Piero fu colto da malore e ospedalizzato. Malgrado le cure, il 29 luglio decedette. Cfr.: STEFFÈ, BRUNO, cit., p. 35.

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dell’attività del figlio, che ha visitato in Francia; quanto a Fiorot, educa già allora il figlio maggiore al disprezzo del fascismo 299.

12.4 - Il Segretariato dell'emigrazione, dal Friuli ai Centri esteri del Psi. Primo a sorgere in Italia, sulla base dell’intuizione dei socialisti friulani, primo fra tutti Giovanni Cosattini, il

Segretariato dell’Emigrazione di Udine è per tutta l’età giolittiana il modello dell’opera socialista di assistenza ed organizzazione degli emigranti. Con la prima guerra mondiale, il rientro in massa degli emigranti ed il cambio delle destinazioni nel dopoguerra, fino all’avvento del fascismo, questa esperienza cambia completamente di segno, ma non sparisce. Se la contrapposizione fra socialisti pacifisti e democratici interventisti ha creato un solco, interrompendo la collaborazione politica che assicurava il sostegno al Segretariato, il cambiamento del quadro generale produce la fine dell’istituzione, ma non muta la ragione dell’impegno dei suoi dirigenti, che trasferiscono l’asse della loro attività nelle comunità dell’emigrazione antifascista.

Giuseppe Ernesto Napoleone Piemonte, agronomo di Canelli (At), si trasferisce in Friuli nel 1903 300, per assumere la direzione del Segretariato, divenendone l’anima insieme con Giovanni Cosattini e svolgendo un’intensa opera assistenziale e promozionale, con centinaia di conferenze per gli emigranti in tutt’Italia. Espulso dal Friuli durante la guerra mondiale, vi rientra nel dopoguerra. Viene eletto deputato del Psi nel 1919 e nel 1921, aderendo nell’ultima fase come tutti gli altri parlamentari locali al Psu. Durante la sua attività alla Camera, Piemonte diventa l’elaboratore della proposta socialista sulla questione agraria. Ma nel 1923, nonostante il mandato parlamentare, deve emigrare in Francia, con l’incarico della Federazione Italiana Operai Edili di organizzare un ufficio di assistenza per gli emigranti. A partire dal giugno di quell’anno inizia ad uscire La Voce del Profugo, periodico antifascista prodotto dall’impegno congiunto della Cooperativa Parmense diretta dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, della Cooperativa Piemonte, diretta dal segretario della Fioe Felice Quaglino e dell’Ufficio di collocamento diretto da Piemonte.

A Parigi Piemonte è fra i principali dirigenti del Psli, della Lidu e della Concentrazione antifascista (dove nel 1929 entra come rappresentante del Psli al posto di Pallante Rugginenti) e partecipa alle attività di Giustizia e Libertà; dopo la riunificazione del 1930 è il tesoriere del Psi. E’ uno fra i promotori della riorganizzazione cooperativa all’estero, in diretta concorrenza con il tentativo fascista, di cui è protagonista Piero Pisenti, di mettere sotto controllo l’emigrazione friulana. Lavora come dirigente dell’Unione des Cooperatives pour travaux publiques a l’étranger insieme ad altri esponenti cooperativi e sindacali dirigenti del Psli, come Nullo Baldini, già presidente della Federazione delle Cooperative di Ravenna, Felice Quaglino della Cgdl e segretario aggiunto dell’Ufficio della mano d’opera straniera della Cgt e Guido Giacometti, già responsabile della Lega delle Cooperative nel Veneto. Essa dipende dalla Confederazione del Lavoro italiana (del Buozzi) e si occupa di lavori di costruzione, della vendita di merci in genere e del collocamento di operai in cerca di lavoro. Nei primi anni di vita dell’organizzazione, con sede in Rue Lafayette 211, presso la Cgt, funzionava presso gli uffici dell’Unione anche una mensa, chiamata popote, frequentata dai massimi esponenti dell’antifascismo, come Turati e Modigliani, costretta poi a chiudere dalle lagnanze degli inquilini dello stabile, infastiditi dal rumore proveniente dalle discussioni fra i commensali 301. In altre informative si parla invece di una ditta Piemonte-Giacometti, il cui carattere appare comunque evidente. Il legame fra queste attività e le funzioni di tesoreria svolte per il Psi e la Cgdl da Piemonte e Rugginenti è chiaro: è attraverso questo canale, oltre che con l’aiuto dei partiti e dei sindacati fratelli, che si garantiscono i fondi per mantenere in piedi le associazioni del fuoruscitismo socialista, e si riesce a fornire salario e vitto a molti compagni.

Nel 1930 apre la libreria-tipografia S.F.I.C., che produce stampati antifascisti, quali i quaderni di Gl e l’organo del Psi Il Nuovo Avanti! Piemonte esprime con chiarezza le proprie opinioni, discordanti con il cullarsi in facili illusioni di rivincita dell’ambiente dei fuorusciti. La sua previsione secondo la quale la liberazione dell’Italia dal giogo fascista non potrà avvenire prima del 1950 vale a dire fra venti anni fa infuriare Turati e Treves e crea disorientamento nella colonia italiana. Nonostante il suo realismo, Piemonte non si sottrae certo all’impegno: nel 1933 partecipa al congresso della II Internazionale e, dopo l’entrata dei socialisti nell’Unione Popolare Italiana a fianco dei comunisti, fa parte del Consiglio nazionale dell’associazione, nonostante la perplessità di gran parte dei compagni. Nel 1937-1938 promuove il periodico L’alba friulana-L’aube du Frioul. Periodico dell’Emancipazione friulana, i cui pochi numeri (riscoperti da Javier Grossutti e Francesco Micelli) rappresentano un buon esempio di giornale di un’emigrazione regionale, fitto di notizie locali dai paesi di provenienza 302. Lo scoppio della guerra ed il passaggio alla clandestinità lo mettono in grandi difficoltà personali 303. E’ costretto a dedicarsi ad ogni tipo di lavoro per sopravvivere sotto l’occupazione nazista, non

299 Acs, Cpc, b. 3765, f. 121461; su Fiorot, testimonianza del figlio Antonio. 300 In mancanza di documenti certi, le varie indicazioni biografiche, appaiono discordanti di qualche anno. Cfr.: ALATRI, Paolo, Giovanni

Cosattini, cit., ad indicem; ANDREUCCI-DETTI, cit., quarto volume, pp. 136-139, biografia a cura di S. Caretti; CANTARUTTI, Novella, L’emigrante Ernesto Piemonte e il suo periodico “L’alba friulana”. Testimonianza, in: GROSSUTTI, Javier e MICELLI, Francesco (a cura di), L’altra Tavagnacco. L’emigrazione friulana in Francia tra le due guerre, Tavagnacco, Amministrazione Comunale, 2003, pp. 233-238; RINALDI , Carlo, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, cit., secondo volume, pp. 535-544. Non fornisce una datazione l’articolo de Il Lavoratore Friulano del 19 giugno 1921, p. 1, I nostri deputati. Ernesto Piemonte.

301 Acs, Cpc, b. 3953, f. 27615, copia del telegramma n. 3568 dell’Ambasciata italiana a Parigi del 14 febbraio 1929. Recentemente Ruben Colussi, segretario generale regionale della Cgil del Friuli-Venezia Giulia ed appassionato collezionista, ha acquisito una fotografia che ritrae nella mensa il gruppo dirigente socialista riformista stretto attorno a Filippo Turati appena fuggito dall’Italia.

302 GROSSUTTI, Javier e MICELLI, Francesco (a cura di), L’altra Tavagnacco, cit., pp. 62-88. 303 Acs, Cpc, b. 3953, f. 27615; Pol.Pol., pacco 1018, f. 3.

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disdegnando le più faticose attività manuali, nonostante l’età avanzata. Nel dicembre 1945 la federazione friulana del Psiup lo richiama in patria per assumere l’incarico di segretario provinciale del partito.

Per lunghi anni, dalla Germania come direttore de L’Operaio Italiano, periodico della Federazione sindacale degli edili tedeschi e poi da Milano come responsabile dell’Ufficio emigrazione della Società Umanitaria, l’interfaccia di Piemonte e degli altri organizzatori degli emigranti è un cittadino svizzero, formatosi in gioventù in Toscana ma discendente da emigranti friulani anticamente stanziatisi a Pontresina nei Grigioni: Giovanni Valär 304. Nel dopoguerra, Valär si trasferisce a Palermo ed in altre città del sud Italia, come organizzatore del movimento cooperativo ed interviene nel 1921 come rappresentante del Psi per il congresso di riorganizzazione della federazione friulana dopo la scissione comunista. Poi, grazie al Commissario Generale dell’Emigrazione Giuseppe De Michelis, viene assunto negli uffici governativi, dove lavora fino al 1930 quando, a causa della soffocante sorveglianza poliziesca, decide di trasferirsi a Berlino, città natale della moglie.

E’ nella capitale tedesca che nell’agosto del 1930, dopo una visita dalla Francia di Dino Rondani - uno dei deputati socialisti che più avevano seguito le tematiche dell’emigrazione - presenti dirigenti della Spd e del sindacato tedesco (fra cui Georg Kappler, il dirigente degli edili tedeschi e svizzeri con cui aveva lavorato per lunghi anni) Valär viene incaricato di costituire l’associazione antifascista Gesellschaft der Freunde der Freiheit Italiens (Amici della Libertà Italiana) alla quale aderiranno anche molti tedeschi. Valär coinvolge nel suo lavoro - per svolgere il quale il sindacato tedesco gli mette a disposizione un modesto ufficio - l’ex corrispondente da Berlino dell’Avanti!, Giovanni Fassina, ed il fiduciario della Concentrazione antifascista, il pubblicista argentino Iso Brante Schweide. Fra le persone coinvolte, il dirigente della sinistra popolare Guido Miglioli, ora in contatto con il Pcd’i ed il Soccorso Rosso. Valär si concentra soprattutto (con l’aiuto del socialista polese Gustavo Merzel, impiegato presso l’amministrazione del periodico sindacale Freie Wort) sulla spedizione in Italia di propaganda postale della Concentrazione e di Gl, indirizzata soprattutto nella Venezia Giulia ed Istria. Valär, incaricato di rappresentare la Concentrazione antifascista in Germania, tiene i rapporti fra Parigi e la Spd e cura l’assistenza dei dirigenti antifascisti di passaggio 305.

La Gesellschaft ipotizza un programma di conferenze e la stampa di un giornale bilingue, con l’impiego di vari oratori: ma quanto possibile deve venir realizzato con mezzi inadeguati, visti gli scarsi finanziamenti che vengono sia dai socialdemocratici tedeschi che dalla Concentrazione antifascista. Nel giugno 1931, Valär approfitta del congresso internazionale dei sindacali edili, che si tiene a Berlino, per discutere con il segretario della Federazione generale del lavoro tedesca, Leippert, ed il deputato Otto Wels, minacciando le dimissioni dall’incarico di responsabile della Gesellschaft der Freunde der Freiheit Italiens se non vengono messi a disposizione adeguati finanziamenti: i dirigenti tedeschi dichiarano di non avere fondi, vista la crisi economica e la grande disoccupazione 306.

L’azione di Valär non si limita alla propaganda: in contatto con i socialdemocratici tedeschi e grazie ad un funzionario della Camera di commercio italiana a Berlino che collabora segretamente con lui, raccoglie un dossier sulle relazioni fra i fascisti italiani ed i nazisti, per organizzare una campagna contro le infiltrazioni degli agenti del Pnf nella politica tedesca e permettere ai rappresentanti della Spd di procedere all’espulsione delle spie fasciste. Spinto da Miglioli, Valär inoltre convince il quotidiano socialdemocratico Vorwärts a difendere Alberto Tarchiani di Gl dalle accuse del Tsds (che gli imputa di essere il mandante del fallito attentato a Mussolini dell’anarchico Sbardellotto). Valär interviene presso i rappresentanti della Spd per proteggere dalle espulsioni gli antifascisti italiani, ai quali nel contempo fornisce passaporti olandesi per favorirne gli espatri illegali.

Nel maggio 1933 Valär ed altri esponenti della Concentrazione antifascista, come l’ex ufficiale della marina austriaca Alfredo Perco (diventato nel frattempo segretario della Gesellschaft), Gustavo Merzel e Renato Spiombi abbandonano la Germania passata sotto il controllo nazista, e si trasferiscono a Parigi. In realtà poi Valär raggiunge il figlio Otto che risiede in Turchia, forse attraversando in treno l’Italia. In una lettera intercettata dalla polizia, Otto Valär informa il padre che è attesa la sua visita da più d’uno dei vecchi dirigenti socialisti italiani rimasti nella penisola. Anche se non sappiamo se Valär abbia effettivamente attraversato il territorio italiano, è certo che - da Cabrini e Vergnanini a Roma a D’Aragona a Milano - tutto il vecchio vertice riformista del sindacato e della cooperazione lo attende, nonostante si tratti di personalità che hanno aderito o raggiunto un compromesso con il regime.

Non si sa quanto si fermi in Turchia e se rientri poi a Parigi: ma nel 1936 Valär è in Svizzera, a Zurigo, dove lavora con i socialisti italiani per organizzare il Fronte unico antifascista. Ricercato presso la Cooperativa e Ristorante della Militarstrasse (sede officiale socialista italiana) 307, inizialmente viene confuso con Erich 308. L’anno dopo, sempre alla Cooperativa Italiana, Giovanni Valär - nuovo segretario federale per la Svizzera del partito socialista

304 Su Giovanni Valär ed il suo lavoro in Germania, cfr.: BETTOLI, Gian Luigi, Gli emigranti italiani nell’organizzazione sindacale

tedesca, cit. Giovanni ha due fratelli: Antonietta ed Ermanno. La prima, firmando solo con la sigla, invia nel 1938 una sottoscrizione a Giustizia e Libertà a Parigi (forse per conto del figlio Paolo, avvocato di sinistra: cfr. Acs, Pol.Pol., pacco 1397, f. 34, Valar A. res. a Zurigo), creando una tempesta fra gli informatori fascisti, che non si raccapezzano facilmente fra i tanti Valär con cui hanno a che fare. In un caso, confondono anche Ermanno con Erich, tipografo grigionese residente a Zurigo ed esponente socialista attivo nel sostegno agli antifascisti italiani, che altrove è chiaramente identificato come figlio di Giovanni e segretario della Cooperativa.

305 Acs, Pol.Pol., pacco 1397, f. 34, Valar Giovanni; Cpc, b. 3953, f. 27615, Piemonte Giuseppe di Luigi, informativa allegata alla circolare del Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Divisione Polizia Politica, del 25 agosto 1931, prot. n. 500/18661.

306 Acs, Cpc, b. 3570, f. 4887, Vuattolo Augusto, copia del telespresso n. 316924.7416 del 9 settembre 1931 dal Ministero degli Affari Esteri al Ministero degli Interni.

307 Tuttora esistente, con i suoi oltre 100 anni di vita è il centro della numerosa comunità italiana di Zurigo, sede della Federazione Socialista Italiana in Svizzera e de L’Avvenire dei Lavoratori, pure ultracentenario quotidiano oggi diffuso via internet. Forse infastidita da questo attualissimo patrimonio storico, l’amministrazione comunale ha recentemente dato lo sfratto alla Cooperativa.

308 Un articolo di Erich su Il Nuovo Avanti del 3 settembre 1938 (Il destino delle scienze sotto il regime socialnazionalista) è conservato in Acs, Pol.Pol., pacco 1397, f. 34, Valar A.

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italiano 309 - annuncia che secondo Pietro Nenni l’auspicata vittoria repubblicana in Spagna aprirà la marcia socialista su Roma per cacciare il regime fascista. Valär si dedica ad un’intensa campagna di propaganda per rafforzare il partito, tenendo conferenze in vari centri nelle quali attacca Gl, che chiama disgregatore delle forze antifasciste e dichiarando che Nenni ha svolto il lavoro più efficace in favore della Spagna del popolo e per ottenere un completo accordo tra la seconda e la terza internazionale. In una riunione, ha dichiarato che senza una unione compatta coi comunisti non ci sarà più nulla da fare per impedire lo svilupparsi dell’ondata di ultranazionalismo che colpisce il mondo intero. Valaer sosterrà questa tesi al prossimo congresso del partito socialista italiano, federazione svizzera. Come nel caso di Piemonte, non si può mancare di sottolineare come i vecchi quadri riformisti siano particolarmente disciplinati e rigorosi nel sostenere pubblicamente la linea frontista di Nenni.

Nel 1938 Valär, insieme con Giuseppe Faravelli, partecipa al convegno antifascista dei socialisti tedesco-austriaci, che si svolge a Parigi. Contemporaneamente, la direzione del Partito Socialista Svizzero crea a Zurigo un segretariato permanente locale ed affianca Giovanni Valär al nuovo segretario Ernst Lang, come responsabile per i compagni di lingua italiana. Valär, dimostrando la stessa grande cautela usata a Berlino nella campagna contro lo spionaggio fascista (gli informatori della polizia politica avevano impiegato quasi un anno per capire chi fosse la talpa alla Camera di commercio, quando ormai era superfluo per l’avvento del nazismo) blocca l’iscrizione di nuovi iscritti al Psi in Svizzera, per evitare le infiltrazioni dell’Ovra. Dalla Svizzera, Valär riprende la propaganda postale (con mittenti, ovviamente, gli alberghi dei luoghi di villeggiatura).

Sul piano interno, Valär sostiene una linea più critica di quanto dimostri pubblicamente. Ritornando dal Consiglio nazionale del Psi tenutosi a Parigi alla fine del 1938 è entusiasta per il buon clima politico e per il sostegno trovato dal partito nelle socialdemocrazie europee e negli Stati Uniti (soprattutto nelle comunità ebraiche), ma critica lo stile di vita dispendioso dei dirigenti che sottrae risorse al partito, e ritiene che Nenni dovrebbe essere sostituito, anche se purtroppo è l’unico dirigente italiano a godere della fiducia dei vertici del socialismo internazionale. Sostiene inoltre che al congresso previsto per il l939 il partito deve incaricare un componente della direzione proveniente da Svizzera e Savoia, per mantenere i collegamenti con i compagni di queste zone. Si impegna comunque, subito dopo, nella campagna per sconsigliare gli emigranti italiani dal cadere nel trucco della campagna della dittatura italiana per il rimpatrio, finalizzata alla preparazione bellica. Le ultime notizie su Valär sono del 1942 310.

Soprattutto nella Confederazione Elvetica, il cividalese Augusto Vuattolo compie durante l’arco della sua vita il percorso che lo porta, primo fra i friulani, da fornaciaio emigrante a dirigente nazionale del sindacato svizzero. Quale sia il ruolo acquisito da questo operaio autodidatta è dimostrato dalla sua costante presenza alla presidenza dei congressi socialisti dell’emigrazione 311. Organizzatore della più maltrattata fra le categorie di emigranti, diventa funzionario del segretariato operaio di Monaco di Baviera nel 1910 e due anni dopo direttore de L’Operaio Italiano. Espulso nel 1913 dalla Germania, passa nel 1914 in Svizzera dove diventa segretario centrale della Federazione muraria, prima a Berna e poi a Zurigo, seguendo inizialmente gli operai impegnati nei grandi trafori (nella sua carriera sindacale seguirà in particolare i lavoratori stranieri, il Canton Ticino - dove si saldano la comunanza linguistica con l’alta concentrazione di immigrati - e le categorie dei muratori e piastrellisti). Convinto assertore della necessità di superare il corporativismo per costruire forti federazioni di industria, partecipa al processo di fusione che porta in tre tappe, dal 1915 al 1922, i cinque sindacati di mestiere dell’edilizia e del legno ad unificarsi nella Flel, di cui diventa segretario centrale. E’ segretario del Psi in Svizzera e, dal 1917 al 1922, fa parte dell’esecutivo dell’Unione Sindacale Svizzera. Si impegna nella propaganda pacifista e fa parte di un comitato di sostegno ai disertori e renitenti alla leva, insieme a Francesco Misiano: per questo motivo è ritenuto dalle autorità svizzere ed italiane un sovversivo anarchico, bolscevico e massimalista, ed è sorvegliato da informatori del Comando Supremo italiano come agente nemico. Nel 1919 viene colpito - in conseguenza dello sciopero generale del 1918, l’unico della storia svizzera - da un decreto di espulsione, che però verrà tenuto sospeso, fino all’annullamento nel 1944.

Vuattolo è esponente del Psi massimalista, dirige il giornale L’Edilizia svizzera ed appartiene a vari organismi antifascisti, che a Zurigo fanno capo alla Cooperativa italiana che, sotto la direzione di Enrico Dezza (gerente de L’Avvenire del Lavoratore 312) funge da centro di smistamento dei primi soccorsi per i profughi dall’Italia. Gira infaticabile per la Svizzera, unendo il lavoro di organizzazione e le agitazioni sindacali alla propaganda presso i lavoratori italiani, in particolare stagionali, alla denuncia delle infiltrazioni della polizia fascista, ai contatti con gli esponenti del fuoruscitismo (oltre ai socialisti massimalisti e riformisti, il repubblicano Pacciardi ed il giellista Lussu) ed alla stesura di articoli per vari organi di stampa. Nel 1935, alla Cooperativa italiana di Zurigo, e poi in altri centri svizzeri interviene anche il sindacalista tessile italoamericano Luigi Antonini, uno dei principali finanziatori dell’antifascismo socialista (e, dopo la guerra, della scissione socialdemocratica).

Si impegna nello sviluppo dell’organizzazione del Psi, sostenendo la linea della riunificazione con i riformisti del Psuli. E’ in collegamento con la Cgdl di Parigi, ed interviene al convegno con cui nel novembre 1927 si rivendica dall’Internazionale sindacale di Amsterdam il riconoscimento, disconoscendo l’altra Cgdl organizzata in Italia dai

309 Secondo altrea informativa, nell’assemblea tenutasi il 28 maggio 1937 alla Cooperativa italiana di Zurigo, sarebbe stato eletto

segretario della Federazione del Psi in Svizzera Erich Valär, figlio di Giovanni: cfr. Acs, Cpc, b. 3570, f. 4887, Vuattolo Augusto, copia del telespresso n. 4571 del 6 luglio 1937 della Legazione d’Italia a Berna al Ministero degli Esteri.

310 Acs, Pol.Pol., pacco 1397, f. 34, Valar Giovanni. 311 ARFÈ’ Gaetano (a cura di), Il Partito Socialista Italiano nei suoi Congressi, quarto volume, Milano, Edizioni Avanti!, 1963. 312 Originario di Scandiano (Re), risiede a Zurigo da circa 40 anni ed ha sempre svolto attività sovversiva; è gerente del ristorante

cooperativo socialista alla Militarstrasse e cassiere del partito socialista italiano per la Svizzera. Cfr.: Acs, Cpc, b. 3570, f. 4887, copia del telespresso n. 5163 della Legazione d’Italia a Berna del 27 luglio 1937, “Commissione Esecutiva del P.S.I.”; www.cooperativo.ch.

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comunisti. L’orientamento socialdemocratico - come Vuattolo si definirà successivamente in una nota autobiografica - ed interno all’impostazione del sindacato svizzero, è chiaramente delineato, rispetto all’atteggiamento rivoluzionario degli anni precedenti: Il Vuattolo, per ragioni del suo mestiere, viaggia continuamente anche fuori della Svizzera, si occupa particolarmente di questioni sindacali ed essendo di idee socialiste è ovvio che i suoi discorsi nelle riunioni operaie siano di carattere antifascista. Egli peraltro non è un elemento violento o pericoloso ed anzi viene spesso attaccato dagli organi comunisti per il suo atteggiamento alquanto moderato. In altre informative si sostiene che le posizioni di Vuattolo siano così moderate da entrare in contrasto anche con settori dello stesso Partito socialista.

Un confidente della polizia politica fascista nel Ticino informa sugli interventi di Vuattolo presso i dirigenti sindacali in Francia (Buozzi della Cgdl e Jouhaux della Cgt) e quelli svizzeri per salvare dall’espulsione, dovuta a crisi economica e disoccupazione dilagante, almeno gli esiliati politici: di fronte al rifiuto del leader socialista svizzero Robert Grimm riparte per Zurigo manifestando il suo sdegno. Vuattolo utilizza i fondi inviatigli dall’Internazionale socialista per coprire le spese sostenute localmente dai compagni per assistere non solo i profughi, ma anche gli operai che vagano senza lavoro, facendoli inviare a Zurigo, oppure accogliendoli in località isolate per sottrarli all’espulsione. La stessa fonte accusa il sindacalista di discriminazioni ai danni di comunisti e fascisti, anche se dà l’impressione di ritenere tali il restringere i sussidi economici agli iscritti nella Flel e nel Psi e l’utilizzo dei lavoratori italiani organizzati come veicolo di penetrazione del socialismo in regioni dov’esso è debole, come i Grigioni. Vuattolo si esprime con Buozzi contro l’unificazione delle due internazionali sindacali di Mosca e di Amsterdam, non volendo fare concessioni ai comunisti. A partire dal 1934, delineandosi il dialogo fra comunisti e socialisti, Vuattolo appare disponibile ad iniziative unitarie, e si impegna a dare rifugio ad esponenti clandestini del Pcd’i come Bibolotti; ma le polemiche, mai sopite, riesplodono a partire dal 1936. In particolare le vicende spagnole inducono Vuattolo a ritenere i comunisti meri esecutori di un regime antipopolare come quello sovietico, e responsabili dell’indebolimento del Fronte popolare francese con il loro atteggiamento opportunistico.

Con l’aggressione italiana all’Etiopia, Vuattolo promuove una campagna per ostacolare fra gli emigranti italiani la sottoscrizione dell’ “oro alla patria”. Propone alla direzione del Psi di non smobilitare i combattenti di Spagna, una volta finita quella guerra, ma di mantenerli in efficienza, anche se non armati, per preparare il nucleo della milizia popolare italiana che combatterà le battaglie della libertà. Nel 1937 si segnala un aumento dell’attività di propaganda antifascista e dei tentativi, coordinati da Vuattolo, di introdurre dal Canton Ticino grazie ai contrabbandieri, i quali non sono trattenuti nella loro opera neppure dagli scontri cruenti che in due anni hanno dato sei vittime, materiale di propaganda in Italia. Il passaggio è intensissimo ed è anche la strada dei profughi politici. I pacchi di volantini vengono introdotti da colonne di contrabbandieri numerose, composte fino a 50/80 persone, utilizzando per il transito anche teleferiche. Il reggente del Consolato di Bellinzona, dott. Carlo Pedrazzini, ritiene giunto il momento di eliminare il pericoloso organizzatore antifascista, ed avverte (sul modello utilizzato anni prima per togliere dalla circolazione il pericoloso dissidente fascista Cesare Rossi): ho pronti uomini fidatissimi e macchine velocissime per prelevarlo e consegnarlo ai carabinieri di Campione: proposta respinta in quanto Vuattolo è cittadino svizzero, e si creerebbe un grave incidente diplomatico.

Capita pure che i comizi domenicali di Vuattolo nel Ticino siano ascoltati da italiani, che passano il confine col pretesto di trascorrere la giornata in Svizzera per turismo. Il dirigente sindacale, nell’estate 1938 dichiara ormai pubblicamente che la battaglia in Spagna è persa, e che si è fatto male a concentrare là le energie dell’antifascismo, abbandonando l’impegno in Italia, cui ora bisogna tornare con maggiore forza. Tali valutazioni sono unite a quelle sull’eccessiva influenza comunista nell’emigrazione operaia, ed alle critiche che giungono dal Centro interno socialista alla subordinazione della direzione del Psi nenniano ai comunisti, ad esempio nell’Upi. Con lo scoppio della guerra, Vuattolo moltiplica i suoi interventi antifascisti pronunciati alla Cooperativa italiana di Zurigo, verbalizzati e conservati nel fondo della Polizia Politica all’Acs. Sono gli anni del Centro estero socialista di Zurigo, guidato da Ignazio Silone, cui fa capo quanto rimane dell’organizzazione del Psi dopo l’occupazione nazifascista della Francia. Nel dopoguerra, Vuattolo opera nella Flel e nel Comitato della Federazione internazionale dei lavoratori edili e del legno fino al pensionamento nel 1948. Dedica gli anni successivi a scrivere i tre ponderosi volumi della storia del sindacato di categoria svizzero 313.

Se Augusto Vuattolo è il primo italiano a diventare segretario di un sindacato svizzero grazie alla naturalizzazione, nel dopoguerra un altro friulano potrà prendere il suo posto: si tratta di Romeo Burrino di Moruzzo 314. In realtà, Burrino non può ancora assumere l’incarico - in quanto la legge lo vieta per gli stranieri 315 - e quindi

313 Acs, Cpc, b. 3570, f. 4887; Pol.Pol., pacco 1454; nota biografica a p. 77 del terzo volume de: VUATTOLO, Augusto, Storia della

Federazione Svizzera dei Lavoratori Edili e del Legno. 1873-1953, Zurigo, Flel, 1953-1956. La documentazione relativa a Vuattolo deve ancora essere studiata sistematicamente: oltre alla mole di suoi interventi e di notizie sulla stampa sindacale e socialista svizzera, si segnalano sue corrispondenze in un fascicolo del fondo Balabanov all’Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis di Amsterdam.

314 Partigiano, sindacalista della Fiom e segretario della CdL di Maniago, comunista. Nel 1950 e nel 1951 viene condannato due volte per manifestazione non autorizzata ed occupazione di una fabbrica e deve rifugiarsi in Svizzera per evitare l’arresto. Qui opera con vari incarichi sindacali e politici, fra cui quelli di componente dell’esecutivo dell’Unione Sindacale Svizzera, segretario regionale della Flmo (Federazione Lavoratori Metallurgici ed Orologiai, poi Sindacato dell’industria, della costruzione e dei servizi) ed infine segretario centrale della Sel. Cfr.: Emigrazione notizie, anno XX, 4 marzo 1998, n. 8, Il cordoglio della Filef per la morte del presidente dell’Alef Romeo Burrino, scaricato il 28 settembre 2006 dal sito www.fiei.org/en1998/en8.pdf.

315 Per la forte presenza di lavoratori immigrati dalla Penisola, il sindacato edile svizzero ha sempre avuto un segretario italiano ad affiancare il segretario generale: cfr. AESCHBACH, Karl, ROBBIANI, Dario, “Ciao Ezio!, cit., pp. 57-58. Contemporaneamente l’intreccio fra socialisti italiani e svizzeri ha portato Canonica a presiedere la Cooperativa Italiana di Zurigo ed il giornale L’Avvenire dei Lavoratori, e Burrino ad esserne segretario: lettera elettronica del 26 settembre 2006 del prof. Andrea Ermano.

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opera all’ombra di Ezio Canonica, il socialista ticinese segretario centrale della Sel 316 che, cresciuto alla scuola di Vuattolo, diventa il principale interprete nel sindacato svizzero (di cui diverrà presidente dal 1973 alla morte nel 1978) delle istanze dei lavoratori immigrati. Solo negli anni ‘60 Burrino potrà diventare segretario, quando gli stranieri ormai sono diventati la maggioranza nel sindacato 317.

13. Una Resistenza stratificata. Il periodo resistenziale non è oggetto di ricerca sistematica in questo ambito, per la scelta di concentrarsi su

altri meno studiati: la bibliografia sulla Resistenza friulana è molto amplia, anche relativamente a questo territorio, e mi è quindi apparso lecito rinviare le comunque opportune esigenze di approfondimento. Ritengo infatti che vada individuata proprio in questa fase l’origine di alcune problematiche caratterizzanti il lungo periodo successivo.

La Resistenza nel Friuli occidentale, pur collegata al movimento di liberazione friulano e veneto, presenta alcune caratteristiche particolari. I reparti partigiani sono inseriti in un’organizzazione militare che progressivamente si struttura a livello provinciale e regionale, con una catena di comando che deriva dal Clnai di Milano per scendere, sia per via politica che militare, attraverso il Cln regionale veneto ed il Cln provinciale di Udine, fino ai singoli reparti. La stessa formazione dei quadri della Resistenza non è pensabile in termini locali, e la rete organizzativa prevede spostamenti sia nei comandi, che nella disposizione dei reparti e nella loro collocazione geografica, imposta dalle ragioni della lotta e della sopravvivenza. Alla rete unitaria dei Cln corrispondono parallelamente quelle dei partiti e delle loro formazioni militari, che condizionano e sopravvivono anche all’interno dei reparti unificati.

Le influenze della vicenda confinaria, con i delicatissimi rapporti fra i movimenti di liberazione italiano ed jugoslavo, non possono non farsi sentire, con l’aggregazione in senso antislavo - e conseguentemente anticomunista - delle altre forze politiche nelle formazioni “Osoppo” 318. D’altro canto, l’occupazione di terre slovene e croate nel 1918, e l’estensione dell’occupazione italiana nel 1941 ad altri territori jugoslavi, produce un fenomeno unico entro i confini del Regno: la nascita di una resistenza antifascista nel 1941, che dall’anno successivo penetra entro lo stesso territorio friulano. Una resistenza tributaria dell’esempio e del collegamento con le formazioni partigiane slovene e croate. Le ragioni della geografia fisica complottano con quelle della geopolitica, ed è proprio ad ovest del Tagliamento, fra la Valle d’Arzino e la Val Tramontina, che si collocano per quasi tutta la lotta di liberazione i comandi centrali osovani e garibaldini, portando in questo lembo di terra contrasti che hanno la loro ragione non molto più ad oriente. Questo produce una curiosa coincidenza fra teorici confini amministrativi, orografia e catene di comando: la Val Cellina e la Val Colvera rimangono collegate a Pordenone, seguendo i confini del conoide di deiezione del Cellina-Meduna ed in qualche modo il territorio del circondario della Sottoprefettura di Pordenone; le altre valli più orientali e Spilimbergo gravitano invece verso Udine.

Nella maggioranza del territorio occidentale del Friuli, quella di competenza del Cln di Pordenone, le relazioni fra i vari settori della Resistenza sono qualitativamente diverse, giungendo fin dall’estate del 1944 alla precoce unificazione fra i reparti garibaldini ed osovani, con l’esperienza delle due brigate gemelle “Ippolito Nievo” A (in Valcellina) e B (in pianura), mentre a pochi chilometri di distanza di consumano scontri politici durissimi fra Garibaldi ed Osoppo ed all’interno di questa formazione (la “crisi di Pielungo”). L’esperienza della Valcellina risente della presenza di quadri eccezionali, come i comunisti Mario Modotti (Tribuno) e Giulio Contin (Riccardo) e l’osovano Pietro Maset (Maso), ma anche di giovani azionisti, che rendono la futura “5a Brg. Osoppo” un reparto con una forte politicizzazione. Più significativa l’esperienza della Brg. “Ippolito Nievo B”, che costituisce un esempio importante di organizzazione guerrigliera di pianura, basata su reparti stabili con propri acquartieramenti sia nei boschi, nelle paludi e nelle zone coltivate della bassa pianura, che nel difficile ambiente dei magredi. Una esperienza con una forte capacità espansiva, che produce una gemmazione di nuovi reparti nella bassa pianura oltre Tagliamento (mandamenti di Codroipo e Latisana), ma anche nella parte orientale delle province di Venezia (Sandonatese e Portogruarese) e di Treviso (Opitergino-Mottense). Un terzo aspetto della Resistenza pordenonese è la continua conflittualità negli stabilimenti industriali. Non solo nei grandi cotonifici, ma anche in aziende medio-piccole, e che si estrinseca sia nella presenza di gruppi armati per la difesa degli impianti da possibili distruzioni da parte degli occupanti (le Sap) sia in una articolata attività sindacale, sul piano propriamente contrattuale e su quello dell’azione politica, come nel caso degli scioperi del 1944.

Parafrasando Solari, si tratta però di una “armonia discutibile”, segnata da vivaci dibattiti e tensioni insolute, che torneranno a riproporsi nel dopoguerra. La questione della violenza, innanzitutto, in una guerra di liberazione nazionale vissuta come unitaria esperienza patriottica, ma che si interseca inestricabilmente con la lotta di classe dei contadini e degli operai e con comportamenti tipici di una guerra civile. In questo ambito, spicca il problema della relazione fra partigiani e civili, complicata dalla implacabile azione repressiva dei nazifascisti, ma anche dai comportamenti passivi od opportunistici di quella parte di popolazione che non partecipa alla lotta resistenziale. E che

316 L’evoluzione sindacale del settore, che vede l’aggregazione progressiva di più categorie industriali e dei servizi, vede la progressiva

trasformazione della Flel/Bhv (Federazione dei Lavoratori Edili e del Legno) in Sel/Gbh (Sindacato dell’Edilizia e del Legno) nel 1974, poi in Sei/Gbi (Sindacato Edilizia e Industria) nel 1993 in infine Unia dal 2005. Cfr. siti internet del Dizionario storico della Svizzera, www.hls-dhs-dss.ch/index.php e dell’Unia, www.unia.ch, scaricati il 29 settembre 2006.

317 Testimonianza di Bruno Cannellotto, Zurigo, 16 marzo 2006. 318 A dispetto della gestione unitaria come Cln, e della direzione affidata al socialista Felice Feruglio, lo stesso quotidiano Libertà dal 1945

al 1947 mantiene una linea rigorosamente nazionalista sulle problematiche del confine orientale, sostenendo l’italianità del Tarvisiano, della Benecija ed ovviamente della Venezia Giulia, senza alcuna riflessione critica sulla presenza di consistenti comunità di lingua tedesca, slovena e croata all’interno dei confini italiani e sul significato di vent’anni di repressione fascista nei loro confronti.

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segna malcelati elementi di diversificazione anche all’interno delle stesse formazioni politiche, come rivela il dibattito, in ambito comunista, sul rapporto fra guerriglia di montagna e di pianura, e fra queste e il ruolo della classe operaia pordenonese 319.

Durante la Resistenza appare evidente il passaggio di generazione: i quadri protagonisti dell’antifascismo durante la dittatura rimangono in gran parte sullo sfondo della lotta armata, si dedicano all’organizzazione politica, sono rimasti all’estero, comunque non appaiono alla testa dei reparti partigiani e delle lotte sociali. I protagonisti sono quadri che hanno vissuto l’esperienza della guerra di Spagna (tipica la situazione di Castelnovo) e delle prime battaglie resistenziali, come i goriziani e monfalconesi passati dal cantiere alla battaglia di Gorizia ed i friulani che hanno iniziato nel 1942-1943 a collegarsi con i reparti partigiani sloveni. Ma sono i militari sbandati ed i giovani che fuggono alle chiamate di leva repubblichine ad alimentare la guerriglia: una massa non politicizzata, educata solo al clima di violenza del fascismo, improvvisamente maturata nella crudele disillusione della guerra, spesso difficile da controllare. Sono estremamente duri, ma rivelatori alcuni passi di un memoriale di Defragé Santin, il segretario del Cln di Pordenone, che denuncia come più volte di quanto fosse lecito la forza armata partigiana si sia imposta sulla popolazione civile, ingenerando un clima di diffidenza che, per quanto mai risoltosi in collaborazione con l’occupazione nazifascista, contribuisce a costruire le basi per una memoria antipartigiana nel dopoguerra, soprattutto nelle zone di pianura dove sono diffusi fenomeni di banditismo e settarismo, pur repressi con durezza a volte spietata dai comandi.

Il male si è che la gran parte dei partigiani operanti in campo militare, si qualificava “comunista”, mentre noi siamo fermamente convinti che di comunista non aveva che il fazzoletto rosso attorno al collo. Qui si obbietterà: “Perché i capi non hanno mutato questo stato di cose e non si sono opposti?” Noi li abbiamo visti lavorare questi capi e possiamo dire che di sforzi per imbrigliare la massa scomposta e indisciplinata dei partigiani ne hanno fatti, e parecchi. L’esito non è stato buono e anche qui per più ragioni. Prima e sempre resta l’assoluta mancanza di senso politico di quasi tutti i partigiani, alla quale mancanza non si poteva sopperire con una superficiale istruzione su due piedi, fra l’incalzare degli avvenimenti e delle azioni. Un fatto altresì importante, scaturito dall’azione partigiana, si è che la popolazione locale - quella di questo centro industriale, specialmente - che per la sua inclinazione naturale è portata al comunismo, ha subito un tale disinganno che ora son molti coloro che identificano il comunismo nell’azione partigiana e cioè nel settarismo, nella violenza, nell’interesse egoistico strettamente personale. Niente di più deleterio poteva nascere da un’azione militare che doveva avere la sua base politica e che si è invece risolta nella incosciente demolizione di quella stessa base politica che era già creata nella massa popolare 320

Questo passo - duro e privo di opportunismi politici, come sempre nella prosa del partigiano anarchico - illustra chiaramente le problematiche con cui debbono confrontarsi nella realtà, prima che nella riflessione storiografica dei decenni successivi, soprattutto Favot e Fornasir, e fa comprendere la valutazione critica del primo sulla assenza della classe operaia pordenonese (a differenza dei cantierini monfalconesi) nelle file della resistenza armata. La prevalenza di partigiani di origine contadina significa anche mancanza di quadri politicamente formati, capaci di assicurare una direzione corretta ai reparti, sulla linea unitaria di stampo togliattiano di cui Favot è un coerente interprete. Ma dalle memorie di Favot emergono altri due aspetti. Il primo è una valutazione diversa da quella dei comandi di montagna, che ritengono che la resistenza di pianura debba essere solo una struttura di servizio per quella dei reparti strutturati nelle valli prealpine (ed inviano in pianura un distaccamento che deliberatamente pratica una linea di pressione sulla popolazione civile).

Il secondo è il rapporto con le fabbriche, e qui appare corretta l’osservazione di Guido Quazza sulla scelta del Pci di abbandonare la lotta operaia, per concentrarsi su una guerra partigiana basata su grandi reparti, sul modello sovietico e jugoslavo 321. Spostare i giovani quadri operai emersi nelle lotte di fabbrica (in stabilimenti industriali che occupano in grande maggioranza donne con famiglie a carico, non va mai dimenticato) avrebbe voluto dire decapitare il sindacato risorto durante la resistenza; viceversa la scelta “operaista” dei quadri sindacali pordenonesi - che ritroveremo sempre nei decenni successivi, sostanzialmente fino ad oggi - privilegiando la lotta di fabbrica rispetto al rapporto con il territorio (salvo i momenti eccezionali di rottura), permette di registrare una conflittualità per tutto il periodo della lotta partigiana, non limitato solo agli stabilimenti principali 322. Gli scioperi nei cotonifici, connotati da un forte contenuto economico, iniziano fin dal momento dell’occupazione, e giungono fino alla vigilia dell’insurrezione dell’aprile 1945. Il fatto che venga privilegiato l’aspetto sindacale su quello politico non impedisce la repressione, ma ne limita i danni (non ci sono deportazioni in massa in Germania, ma solo arresti temporanei delle operaie) e costituisce una relazione contrattuale fra il sindacato clandestino e le autorità tedesche, che delegittima direzioni aziendali ed autorità fasciste. Contrattazione che non esclude l’organizzazione delle Sap e la raccolta di fondi per il sostegno ai reparti partigiani. Oltre che al Cotonificio Veneziano, la protesta antifascista scoppia a Cordenons al Cotonificio Cantoni ed alla Cartiera Galvani. Al Cantoni gli operai, guidati da Nella Carli, figlia di un condannato nel processo del 1931 al Tsds e sorella del comandante del reparto partigiano operante nella zona 323, scioperano contro la riduzione di

319 Essenziali a tal proposito le testimonianze del comandante e del commissario politico della Brg. “Ippolito Nievo B”, Rino Favot

(Sergio) e Ardito Fornasir (Ario). Cfr. rispettivamente: Ifsml, Diari e Testimonianze, b. 14, f. 4, Brg. Ippolito Nievo B, sf. 5; b. 1, f. 15, Storia della Resistenza nella Destra Tagliamento. Cfr. inoltre: Antifascismo e Resistenza nel Friuli Occidentale, Pordenone, Provincia, 1985.

320 Archivio privato Teresina Degan, Pordenone, fotocopia di un frammento non datato di memoriale di Defragé Santin. 321 QUAZZA, Guido, Resistenza e storia d’Italia, cit. 322 Diversamente da Favot, Degan sostiene che nell’estate 1944 le Sap del Veneziano di Pordenone avevano chiesto di poter essere

spostate ai reparti partigiani di montagna: richiesta respinta dai comandi partigiani e dal Cln, interessati alla difesa degli impianti. Cfr.: DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie, cit., p. 171

323 Mario Carli, prosindaco comunista di Pordenone nel 1945-1946.

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personale, in un clima pesantissimo segnato da un rastrellamento tedesco in paese. Sarà il comando partigiano ad imporre la riassunzione delle operaie licenziate per aver bloccato l’accesso della fabbrica con un picchetto. Nella Carli, ricercata, deve fuggire mentre la casa della famiglia è distrutta dai fascisti 324. L’organizzazione non si limita agli stabilimenti principali: esiste nell’azienda di produzione di cucine Zanussi, dove l’amministrazione è tenuta dal segretario del Pci Eugenio Pamio, rappresentante del partito nel Cln, che utilizza la sua posizione per sottrarre gli operai alla leva, permettendo così l’impegno di alcuni di essi nella lotta clandestina 325. Ma la conflittualità operaia si manifesta anche nei centri minori della provincia: a Maniago 150 operai coltellinai scioperano già durante i primi giorni dell’occupazione tedesca, astenendosi dal lavoro il 9 e 10 settembre 1943 per rivendicazioni salariali, dando sfogo ad una conflittualità compressa per diciotto anni dalla dura disciplina industriale della Coricama, dalla concorrenza creata dal subappalto delle produzioni ad industrie prive di regole e dalla crisi generale del settore 326.

E’ in questo ambiente operaio che il Pci invia ad operare Emilio Fabretti (nome di battaglia Arturo), forte della sua esperienza sindacale argentina. Impegnato nel servizio militare dopo il confino, Fabretti si è ammalato: fugge dall’ospedale e passa alla Resistenza. Nell’estate 1944 è vicesindaco di Nimis durante la Zona libera del Friuli orientale; poi viene inviato a Pordenone a sostituire Pamio che è stato arrestato. Fabretti abita a casa di un compagno e si tiene in contatto con i dirigenti di fabbrica del partito, in particolare Del Mul del Cotonificio Cantoni, che lo ospita e Domenico De Benedet, capo sala del Cotonificio Veneziano di Pordenone e futuro sindaco comunista di Cordenons. Fabretti per ben tre volte viene arrestato dai nazifascisti: una prima volta - arrestato per la delazione di un repubblichino che sarà fucilato dai partigiani come rappresaglia - è rilasciato grazie all’intervento della madre, di origine tedesca; le altre due volte riesce a fuggire 327. Secondo uno studio nazionale sulla Cgil, è in quest’epoca che nasce la prima segreteria della CdL, con segretario generale Domenico De Benedet e segretari Umberto Grizzo, della Corrente Sindacale Cristiana, Corrado Barbesin del Psiup e Nilo Gobbo del Pci 328.

In questo clima va per altro rilevato come, a dispetto della sistematica repressione antipartigiana dell’ultimo inverno di guerra, che falcia i reparti di pianura e di montagna eliminando gran parte degli stessi gruppi dirigenti, e nonostante le contraddizioni rilevate, il sostegno popolare non venga meno, permettendo la sopravvivenza in condizioni a dir poco precarie di quanto rimane dei reparti, a dispetto dei rastrellamenti, dello spionaggio e delle stesse proibitive condizioni naturali. Attraverso questa esperienza ricominciano a funzionare pratiche democratiche, dalle modalità di formazione e discussione nei reparti alla democrazia nelle zone liberate: in montagna la Repubblica della Carnia arriva a coprire praticamente tutte le Prealpi Carniche, ma anche in pianura vaste zone di territorio sono liberate nella stessa estate 1944. Si ricostituiscono forme di servizio fra la politica e la vita comunitaria, dalla raccolta delle risorse per il movimento partigiano alla lotta agli ammassi, che comporta anche azioni massicce contro i rastrellamenti di bestiame e prodotti agricoli. E si formano nuovi quadri politici: se il movimento cattolico sostiene in forma generalizzata l’Osoppo, precostituendo il salto politico del dopoguerra dal fiancheggiamento del regime al protagonismo diretto nella repubblica democristiana, la sinistra forma i suoi quadri del futuro. Gl, dopo la breve esperienza del Partito d’Azione friulano e del suo scioglimento di fatto nell’Osoppo, ripartisce i suoi quadri fra il Psli (soluzione prevalente nel Friuli occidentale) e soprattutto, grazie a Fermo Solari, il Psi. Le formazioni Garibaldi forniscono i loro quadri soprattutto al Pci: con una significativa dislocazione. I quadri della resistenza di pianura e nelle fabbriche vanno a costituire il gruppo dirigente della CdL di Pordenone: Emilio Fabretti, Ardito Fornasir, Rino Favot, Adolfo Bresin. A dirigere il partito, con l’eccezione della breve segreteria di Antonino Scaini, sono invece i quadri esterni, solitamente goriziani, che hanno avuto incarichi di grande responsabilità nella resistenza in montagna, nei reparti non unificati come la Div. Garibaldi “Natisone”, che nell’inverno 1944-1945 passa nel IX Corpus dell’Esercito di liberazione jugoslavo: Giovanni Padovan, Vincenzo Marini, Sergio Visintin, cui si aggiungeranno altri quadri provenienti dalla Venezia Giulia, come Ferrer Visentini che cura la costituzione della federazione di Pordenone nel 1949. Si pongono così le basi politiche per un lungo conflitto nella sinistra.

14 - Un sindacato resistente. 14.1 - Rifare tutto da capo: un secondo dopoguerra. Il secondo dopoguerra appare come una disperante ripetizione del primo. Distruzioni materiali e morali,

eserciti e masse di profughi che affollano le vie di comunicazione, disoccupazione accompagnata ad inflazione e penuria di ogni bene necessario. Vanno ricostruite tutte le strutture della vita civile, dalle amministrazioni locali alle forme sociali ed associative, mentre i rumori della guerra risuonano ancora per mesi dagli altri fronti e, al confine orientale, a poca distanza, si apre la contesa sul destino di una parte del territorio nazionale.

In Friuli la vita riprende con difficoltà: l’approvvigionamento alimentare e la riparazione dei danni di guerra appaiono i problemi più urgenti. Si commemorano e si seppelliscono i caduti partigiani e le vittime civili dei massacri

324 Sugli scioperi nelle fabbriche pordenonesi: DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie, cit., pp. 166-171; testimonianza del

dirigente sindacale del Cotonificio Veneziano di Pordenone, Adolfo Bresin, che sarà poi segretario della Fiot, Pordenone, 18 gennaio 2066. 325 Archivio privato Agostino Rosset, Fiume Veneto, dichiarazione della Fabbrica cucine economica Antonio Zanussi di Pordenone al

Deutsche Berater di Udine, 29 febbraio 1944, firmata Pamio. 326 Archivio di Stato di Udine, Prefettura, Gabinetto, b. 19, f. 69, sf. Maniago Coltellerie. 327 Testimonianza di Emilia Bellot Fabretti, Pordenone, febbraio 2006. 328 BIAGIONI, Eligio, PANTILE , Francesco, PONTACOLONE, Claudio, Cgil anni ‘80. L’evoluzione delle strutture organizzative, Roma, Esi,

1981, p. 135. Ma la notizia non è confermata da altre fonti, ed è inserita in un contesto nel quale gli organici delle segreterie camerali di Pordenone ed Udine del primo decennio postbellico sono poco attendibili, a causa dell’approssimazione degli informatori locali di questo pur utilissimo repertorio.

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nazifascisti. Si inseguono le informazioni riguardanti gli sfollati, i militari rimasti al Sud e quelli prigionieri delle truppe alleate, mentre cominciano a pervenire le prime notizie sui sopravvissuti ai campi di concentramento tedeschi, che di lì a poco iniziano a transitare con mezzi di fortuna per la strada statale Pontebbana, imponendo di organizzare punti di sosta per curarli e rifocillarli. Le notizie più frequenti, che dureranno poi per decenni, sono quelle sui civili, spesso bambini, morti o feriti per lo scoppio di residuati bellici.

La precarietà della situazione induce ad atteggiamenti di austerità, ad esempio contro il diffondersi dei festeggiamenti danzanti, con iniziative del Clnp di Udine e dalla Giunta comunale di Pordenone, in quanto si ritiene che la legittima esigenza dei giovani di trovare sfogo dopo i lunghi anni di guerra non debba contrastare con il dolore delle vittime e delle loro famiglie e con la pesantezza della situazione 329.

Inizia il tentativo di epurazione degli esponenti fascisti, che nell’arco di pochi mesi si trasforma nella rivincita della burocrazia del vecchio regime, che si può permettere clamorose irrisioni alle vittime del fascismo, grazie alle claques mobilitate per imporre assoluzioni provocatorie o agli ancor più scandalosi applausi al pordenonese ministro della giustizia di Salò, quel Pisenti a cui viene anche assegnato l’encomio della corte.

La vita democratica riprende con un pesante condizionamento esterno, che limita l’esercizio della vita pubblica, non solo politica ma anche associativa (fino al rilascio delle licenze per i pubblici spettacoli): il Governo Militare Alleato, che in Friuli rimarrà fino al 31 dicembre 1947, per esigenze strategiche dovute alla gestione delle vicende del confine orientale ed alla definizione dello status internazionale della Venezia Giulia.

Il movimento sindacale libero si organizza dalla metà del maggio 1945, con la costituzione di un Comitato Sindacale Unico provvisorio formato dai rappresentanti dei tre “partiti di massa” firmatari del Patto di Roma che ha dato vita alla Cgil (Dc, Pci e Psiup) che ottiene la sede udinese del sindacato fascista dell’industria grazie ad una petizione di migliaia di firme e promuove l’elezione delle Commissioni Interne nelle aziende 330. Su proposta del Comitato Sindacale Unico il Cln provinciale decide la corresponsione di un premio straordinario a tutti gli operai ed impiegati per la Liberazione, alla quale le masse operaie hanno dato così decisivo contributo. Il premio, cui sono obbligati tutti gli imprenditori privati e le pubbliche amministrazioni, è fissato nell'equivalente di 144 ore per gli operai e di due terzi della mensilità per gli impiegati, calcolati al 30 aprile 1945, fatti salvi i trattamenti di miglior favore concordati localmente od aziendalmente, e dovrà essere versato entro il 31 maggio. Ma l'iniziativa viene però bloccata un mese dopo dal Governo Militare Alleato, evidentemente sottoposto alla pressione dei padroni ed in esplicita difformità dalle disposizioni del governo italiano. La sovranità del Cln della provincia di Udine ne viene immediatamente delegittimata, dimostrando l'evidente schieramento di classe dei "liberatori" alleati.

Acquisito subito questo dato dei rapporti di forza imposti dagli occupanti, inizia la costituzione dei vari sindacati di categoria: nel caso di quelli che fanno capo alla città di Udine si tratta di una realtà molto frammentata, rappresentante soprattutto il pulviscolo del lavoro artigianale tradizionale ed il pubblico impiego. Fin dal principio l’organizzazione delle varie categorie rivela una suddivisione fra la CCdL e le principali CdL territoriali. Mercoledì 18 luglio si svolge uno sciopero generale dei lavoratori friulani che, in vari cortei, manifestano ad Udine e a Pordenone. I dimostranti recavano grandi cartelli le cui scritte dicevano che cosa si voleva ottenere: pane, lavoro, adeguamento dei salari, controllo sugli enti di pubblico interesse, epurazione. Dopo l'esame delle richieste dei rappresentanti dei lavoratori e gli impegni del governatore col. Bright, questi dichiara che, se questa volta non ha voluto prendere provvedimenti repressivi verso una manifestazione non autorizzata, non ne permetterà altre in futuro. L'agitazione comporta una prima presa di distanza da parte della Democrazia Cristiana, che afferma in un suo comunicato che essa è avvenuta al di fuori delle direttive della CdL, da parte di comitati di agitazione esterni. In questa occasione, viene reso noto da parte del governatore alleato l’esonero del comunista dott. Gino Beltrame da viceprefetto, anche se viene sostituito dal compagno di partito geom. Aldo Cuttini.

A Pordenone lo sciopero si è svolto il 16 luglio, organizzato dalla CdL, rivendicando il caro vita per operai ed impiegati, la revisione del contratto di mezzadria, l’inizio d’opere d’utilità pubblica per impiegare gli operai; tra le rivendicazioni politiche principali: epurazione, sostituzione dell’attuale polizia con una partigiana e libertà di stampa e riunione. Di fronte ai 5.000 manifestanti, il governatore alleato fa affluire truppe, ma accetta la trattativa con una delegazione dei lavoratori 331. La CdL mandamentale si costituisce 332 rivendicando pubblicamente la sua autonomia dalle iniziative di singoli partiti, che organizzano riunioni di categoria. A sostegno della posizione unitaria interviene

329 Libertà, Anno I, nn. 102, di giovedì 30 agosto 1945, p. 2, Deliberazioni del C.L.N. Provinciale. In merito ai conti bloccati – Una

deplorazione per il dilagare dei balli e 104, di domenica 2 settembre 1945, p. 3, Pordenone. La Giunta comunale contro le feste da ballo. Una energica delibera per una sospensione almeno temporanea; Il Lavoratore Friulano, n. 6 del 18 agosto 1945, Pordenone. Ballo. Attribuisce invece la campagna contro il ballo alla polemica cattolica contro le iniziative ricreative del Fronte della Gioventù: BOSARI, Otello, bozze di uno studio Per una storia del sindacalismo nella Destra Tagliamento, testo inedito, s.d. ma antecedente il 1994.

330 Ma un primo appello firmato come Comitato Sindacale Unico viene emesso al momento della liberazione di Udine: cfr. Il Lavoratore Friulano, n. 1, 1-2 maggio 1945, p. 1.

331 Lotta e lavoro, Anno I, n. 1 del 26 luglio 1945, p. 2, A Pordenone. Sciopero generale e dimostrazione. 332 Il segretario è Elso Gasparotto (Pci), affiancato da Umberto Grizzo (Dc) e Corrado Barbesin (Psiup): cfr. BIAGIONI, Eligio, PANTILE ,

Francesco, PONTACOLONE, Claudio, Cgil anni ‘80, cit., p. 135. L’anno dopo Gasparotto passerà alla CCdL di Udine, e più tardi emigrerà a Torino. Il segretario della Fiot, la categoria più importante, è Ferruccio Bomben, operaio del Cotonificio di Pordenone, consigliere comunale del Psi nel 1920 e promotore della scissione dello Svot nel 1921: cfr. Lotta e lavoro, Anno II, n. 22 di lunedì 1 aprile 1946, p. 2, Cordenons, Assemblea generale operai tessili; lettera della Fiot di Pordenone al Cotonificio Veneziano di Venezia del 14 settembre 1946, conservata in archivio privato Ruben Colussi. Nel febbraio 1947 la segreteria della Fiot pordenonese è costituita dal segretario Adolfo Bresin, dal vicesegretario Russolo e dal segretario amministrativo Riccardo Barbesin, che nel 1954 figurerà come il primo esponente della Camera Sindacale Uil di Pordenone: cfr. Libertà del 26 febbraio 1947, p.2, Il Congresso dei lavoratori tessili di Pordenone.

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Emilio Fabretti, segretario mandamentale del Pci, che però viene subito dopo sostituito da Giovanni Padovan 333. Pure a Spilimbergo, il 4 agosto si tiene una manifestazione di disoccupati del mandamento, che riunisce altre 5.000 persone: durante il comizio Angelo Mirolo, che parla a nome del Cln mandamentale, richiede lavori pubblici pagati da chi si è arricchito con il regime, l’epurazione dei fascisti, la revisione dei patti di mezzadria, la distribuzione di generi alimentari nei paesi della montagna saccheggiati dagli occupatori ed il controllo dei prezzi, che a Spilimbergo sono più alti che a Udine 334.

Ma, nonostante il freno alle rivendicazioni posto dalle autorità militari (che tendono, in sintonia con gli imprenditori, a ridimensionare le risultanze degli accordi sindacali siglati per il nord Italia), le agitazioni esplodono nelle varie categorie, come lo sciopero generale di tutti i dipendenti statali che inizia l’11 agosto, con l’astensione totale ad Udine e Pordenone, e quello del personale delle esattorie che inizia il 30 dello stesso mese. Si avvia una fase convulsa di vertenze in materia salariale, conclusesi vittoriosamente, sulle indennità di contingenza e carovita. In molti casi si è riusciti ad ottenere miglioramenti rispetto ai risultati del Patto di Milano, anche se non tutti i proprietari corrispondono correttamente le spettanze concordate.

Preoccupazioni del sindacato, oltre alla mancanza di carbone per fornire energia agli impianti industriali che aumenta la disoccupazione, sono la lotta al mercato nero e la difesa del potere di acquisto dei salari, attraverso accordi sulla contingenza con le categorie economiche, e con le stesse autorità militari per quanto riguarda il pubblico impiego. La CdL ha propri rappresentanti in varie commissioni: per la disciplina dei prezzi, l'alimentazione, i bozzoli, i danni di guerra, le cooperative, ecc., costituite presso la Prefettura, la Camera di Commercio e la Sepral, la società pubblica per gli approvvigionamenti alimentari: ci si trova ad affrontare gli effetti dell’abolizione del prezzo politico del pane e la lievitazione dei prezzi degli altri generi fondamentali. L'obiettivo di questa diffusa presenza di rappresentanti sindacali è quello della democratizzazione delle istituzioni e del loro avvicinamento agli interessi dei lavoratori. Particolarmente importanti sono ritenuti la commissione dei bozzoli (attività che interessa molte decine di migliaia di contadini e filatrici) e l'ufficio per la distribuzione degli zoccoli ed utensili d'alluminio per la cucina, cui si aggiungeranno presto le calzature, stoffe e le gomme di bicicletta, funzionante presso la Camera Confederale del Lavoro di Udine (ma anche, con ridotta gamma merceologica, presso le CdL mandamentali o le sedi dei partiti politici). Inoltre le CdL sono impegnate a dare risposte alla questione del reperimento degli alloggi e del combustibile prima dell’inverno.

E’ passata solo una stagione dalla Liberazione, ma la segreteria della CCdL, nelle persone del socialista Alessandro Galli, del democristiano Gualtiero Driussi e del comunista Primo Romanutti, si trova già a dover replicare all’accusa di chi, con la scusa della fame di alloggi, vuole sgomberare i macchinosi apparati burocratici sindacali. Questo primo critico del libero sindacato fornisce alla Cgil l’occasione per descrivere la reale situazione della Camera del Lavoro perché probabilmente alla Camera del Lavoro non c'è mai stato. Non c'è stato durante le ore del giorno quando i volonterosi nuovi dirigenti sindacali si vedono assaliti (è la vera parola) da centinaia di lavoratori che affollano gli uffici in cerca di protezione o di aiuto; non c'è stato dopo le ore di lavoro quando i lavoratori, nei quali abbiamo cercato di far rivivere quella coscienza sindacale che il sindacato fascista aveva spenta, si trovano per discutere i problemi della loro categoria. Non sa forse il dottor Dorta che di categorie organizzate in sede provinciale che mantengono il contatto con le consorelle della Provincia ne abbiamo ben 24 e che nelle stanze della Camera del Lavoro (dove trovano posto gli organizzati facenti parte agli ex sindacati fascisti della Industria, del Commercio, dell'Agricoltura, del Credito che si sono visti privare delle loro vecchie sedi) hanno la loro sede in uno stesso ufficio anche sei categorie. Non sa forse il dott. Dorta che la attività della Camera Confederale del Lavoro non si limita soltanto alla stipulazione di accordi e alla soluzione di vertenze, ma esce da questi superati limiti per entrare nel più vasto campo sociale rivendicandosi il diritto di essere presente in ogni iniziativa che riguardi i lavoratori. Non sa perciò che alla Camera del Lavoro c'è un piccolo magazzino nel quale si distribuiscono ai lavoratori, prelevandoli direttamente dai produttori, zoccoli, tute da lavoro, utensili da cucina, scarpe; non è al corrente che la Camera del Lavoro ha preso l'iniziativa di istituire una Commissione Vigilanza Prezzi approvata dal Prefetto e che la sera raccoglie i lavoratori per i rapporti sulle loro richieste; come pure forse non sa di quella Commissione per la ricostruzione composta di spassionati tecnici che si raccolgono la sera per studiare i piani per la rapida ripresa della vita economica provinciale e dànno a noi dirigenti il prezioso contributo della loro esperienza 335.

In realtà la condizione delle sedi sindacali è assai precaria, soprattutto a livello locale. La CdL di Latisana ne fornisce un buon esempio: Per molto tempo, purtroppo anzi, la nostra Camera Mandamentale del Lavoro è stata in forte crisi. L'unico impiegato che c'era aveva dato le dimissioni sin dagli ultimi giorni del mese scorso e da allora la Camera del Lavoro è stata sempre praticamente chiusa. Gli operai che venivano ogni giorno per chiedere lavori o informazioni se ne ritornavano protestando giustamente e brontolando. Oggi, finalmente, si è trovato un nuovo impiegato, il sig. Virgilio Simonin, il quale si è assunto il compito di far funzionare in pieno questa organizzazione, con l'aiuto e la stretta collaborazione dei tre segretari responsabili. Per il buon funzionamento della Camera del Lavoro è indispensabile che si mettano immediatamente i vetri che mancano, che si aggiustino le porte, le quali sono sempre

333 Lotta e lavoro, Anno I, nn. 2 del 4 agosto 1945, p. 2, Vita di Pordenone, Una lettera della Camera del Lavoro e 14 del 4 ottobre 1945,

p. 2, Notizie da Pordenone. Vanni e Bertolini parlano a S. Quirino. 334 Ivi, Spilimbergo. Manifestazione di disoccupati; Il Lavoratore Friulano, n. 6 del 18 agosto 1945, p. 4, Spilimbergo. Dimostrazione

operaia. 335 Libertà, Anno I, nn. 105, di martedì 4 settembre 1945, p. 2, Il grande comizio per "Udine risorta" al "Puccini". Dalle rovine e dalle

distruzioni la nostra città risorgerà più bella di prima, 106 di mercoledì 5 settembre 1945, p. 2, Echi del comizio per la ricostruzione, 110 bis di domenica 9 settembre 1945, p. 2, Echi del Comizio per la ricostruzione, articolo firmato I. Dorta.

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aperte giorno e notte, insomma che si provveda a tutto il necessario per un ufficio (...) 336. La stessa CdL di Pordenone è angusta e ristretta dove non si può entrare più di due o tre persone per volta poiché è formata da due piccole stanzette occupate per la maggior parte da tavoli, scaffali e sedie, e così come in tante cose l’operaio è costretto a far coda nella strada, esposto al sole ed alla pioggia 337.

In Friuli ci sono decine di migliaia di persone disoccupate ridotte sul lastrico, che si aggiungono alle centinaia di migliaia delle altre province; solo a Pordenone superano ormai i 5.000 e si prevede che aumenteranno con la fine di settembre, per lo sblocco dei licenziamenti. La CdL è contraria e propone come alternativa il lavoro su turni e la riduzione dell'orario, oltre alla rimessa in efficienza delle attività industriali, interpretando in tal senso anche l’accordo nazionale Cgil-Confindustria raggiunto in settembre: ma si tratta di buone intenzioni, a fronte di una situazione drammatica. Il risultato è il dilagare della criminalità, ovvia conseguenza in presenza di tante braccia inutilizzate e stomaci da sfamare 338. I giornali ed i rapporti delle forze dell’ordine segnalano il ripetersi di episodi di delinquenza e la presenza di gruppi di sbandati, disertori ed anche ex partigiani che si danno al banditismo: l’unica cosa che sembra non mancare sono le armi.

L’amministrazione comunale di Pordenone, guidata dall’azionista ing. Asquini, realizza il riatto degli edifici pubblici, per permettere la ripresa delle attività amministrative e scolastiche, anche come risposta alle necessità occupazionali. Ma l’iniziativa pubblica, diretta dall’ing. Mior, il progettista delle grandi opere realizzate dall’amministrazione socialista nel primo dopoguerra (come il porto fluviale e le nuove scuole elementari) è insufficiente, ed è necessario fare appello alla debole iniziativa privata. Purtroppo i lavori non hanno assorbito che una modesta aliquota delle maestranze locali. Per alleviare almeno in parte l'incombente disoccupazione, è indispensabile che tutti i privati che ne hanno la possibilità, provvedano alla sistemazione delle loro case danneggiate dalle incursioni. Abbiamo visto che son parecchi coloro che stanno facendolo, anche incontrando notevoli sacrifici. Molte case non sono poi irriparabili. Con qualche adattamento e riparazione possono nuovamente ospitare, almeno in via provvisoria per l'inverno, delle famiglie. Ora chi ha denaro e magari ha fatto il sordo all'appello della Patria per il Prestito Nazionale, senta il dovere civico e di solidarietà umana di spenderlo nella ricostruzione delle sue proprietà. Oltre a dare lavoro e pane a tanti operai, contribuirà a risolvere il difficile problema degli alloggi ed a rendere meno disagevole la vita a tante famiglie nel prossimo inverno 339.

Gli scioperi, spesso spontanei, si susseguono in tutte le categorie. In novembre parte dagli insegnanti liceali di Pordenone, giunti all'estremo limite della resistenza e della sopportazione e dopo vane e frequenti sollecitazioni presso le Autorità scolastiche, lo sciopero provinciale della categoria, che non vede stipendi da 4/6 mesi 340. Il compito del sindacato e delle amministrazioni locali è quello di trattare con le aziende industriali per verificare ogni spazio occupazionale individuabile, soprattutto attraverso il ripristino degli stabilimenti cotonieri, la difesa dell’occupazione nei lavori pubblici ed il rifiuto dello smantellamento delle fabbriche impegnate in produzioni belliche (il Silurificio Whitehead di Fiume Veneto, qui trasferito da Fiume nel Carnaro durante la guerra, e le officine Galileo di Rorai Grande), proponendone la riconversione a produzioni pacifiche. Inizia l’organizzazione della Federterra nelle campagne e si formulano i primi progetti di bonifica per impiegare i disoccupati, imponendone l’assunzione come braccianti agli agrari, in sostituzione delle giornate di lavoro gratuito imposte ai mezzadri.

La situazione di miseria viene affrontata anche con iniziative solidaristiche, per esempio ospitando i bambini dei paesi montani, ed in particolare di quelli distrutti dai nazifascisti durante la guerra partigiana, nei paesi della Bassa, secondo una tradizione che aveva visto analoghe iniziative a favore dei bimbi austriaci nel precedente dopoguerra.

14.2 - Settarismo del Pci e caduta del mito di “Pordenone rossa”. A dispetto della forza operaia pordenonese, il congresso della Federazione comunista provinciale che si tiene il

19 ottobre 1945 trascura questa componente, mentre elegge un nutrito gruppo di dirigenti di origine spilimberghese nel Comitato Federale: Luigi Bortolussi, responsabile della stampa, Alfio Tambosso (coinvolto successivamente nel processo del Porzus, fuggirà in Jugoslavia e sarà espulso dal Pci per titoismo) rappresentante di Spilimbergo, Regina Franceschino e Natalia Beltrame, incaricate del lavoro femminile. Il rappresentante di Pordenone è il goriziano Giovanni Padovan, mentre Emilio Fabretti è ad Udine come responsabile del lavoro sindacale e Rino Favot è solo membro candidato 341. Niente meglio di questo dato illustra la condizione di minorità in cui viene tenuto il partito nell’unica città industriale della provincia, dove conta un radicamento difficilmente ipotizzabile altrove: non ci si può quindi stupire che da quel numero la rubrica pordenonese sul settimanale comunista friulano perda la periodicità di corrispondenze dei primi mesi.

336 Libertà, Anno II, n. 1 di martedì 1 gennaio 1946, p. 4, Latisana. Nella Camera del Lavoro. 337 Il Lavoratore Friulano, n. 6 del 18 agosto 1945, Pordenone. Camera del Lavoro. 338 Lotta e lavoro, Anno I, n. 15 del 3 ottobre 1945, p. 2, Vita di Pordenone, Situazione sociale in Pordenone. 339 Libertà, Anno I, n. 98, di domenica 26 agosto 1945, p. 3, Pordenone. Lavori pubblici in corso. Il ripristino degli edifici e delle vie

danneggiate. 340 Libertà, Anno I, n. 167 di giovedì 15 novembre 1945, p. 2, I professori attendono gli stipendi!, lettera firmata Gli insegnanti del Regio

Liceo Scientifico di Pordenone e commento redazionale, 169 di sabato 17 novembre 1945, p. 2, Agitazione professori non di ruolo, 170 di domenica 18 novembre 1945, p. 2, Un'azione di protesta dei professori medi della città, 171 di martedì 20 novembre 1945, p. 2, L'agitazione dei professori medi. Stupefacente lettera del Provveditore agli Studi, compresa la riproduzione della lettera del Provveditore, 172 di mercoledì 21 novembre 1945, p. 2, A proposito dell'agitazione dei professori. Chiarimento del Sindacato della Scuola media.

341 Lotta e lavoro, Anno I, n. 19 del 25 ottobre 1945, p. 1, Il nuovo Comitato Federale.

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Nel dicembre 1945 rientra dalla Francia Umberto De Gottardo, che tiene una conferenza alla Casa del Popolo di Torre sul contributo italiano alla guerra di Spagna ed alla Resistenza francese, richiedendo a nome degli emigranti il diritto di voto all’estero nelle prossime elezioni italiane 342. Il cambio di linea avvenuto fra la segreteria Fabretti e quella Padovan non stenta a rivelarsi: se il primo aveva difeso l’autonomia sindacale, la manifestazione organizzata il 13 dicembre contro la speculazione e la disoccupazione viene conclusa dal segretario zonale del Pci e da De Gottardo, che assume la responsabilità della Filea, il sindacato edile. Iniziativa che provoca la polemica delle altre forze politiche del Cln, ad iniziare dal rappresentante azionista Luigi Bisol (vicesegretario provinciale del partito). I rappresentanti di Dc e Psiup notano polemicamente che non si trattava di manifestanti eccitati dalla fame, ma di operai delle fabbriche portati disciplinatamente in piazza dal Pci senza aver coinvolto le altre forze politiche 343.

Il Pci cerca di dare diretta espressione al movimento popolare: la manifestazione pordenonese viene immediatamente seguita da un’altra a Spilimbergo, nella quale si richiedono lavori pubblici per impegnare i disoccupati. In questa città il Pci attacca frontalmente l’amministrazione comunale, diretta dal socialista Ezio Cantarutti, creando un clima di dura polemica proprio fra le due forze di sinistra 344. Queste polemiche locali avvengono a dispetto dell’accordo politico fra i due partiti, e dello stesso dibattito nel Psiup sull’unificazione con il Pci, dell’esistenza delle Giunte d’intesa Pci-Psiup e delle frequenti iniziative unitarie, annunciate anche nella stampa del partito fratello, e che vedono i dirigenti intervenire generalmente insieme nelle iniziative locali. A Castelnovo del Friuli il 25 febbraio 1946 si tiene una manifestazione di disoccupati che raccoglie più di 600 persone; ma se in questo comune collinare di emigranti politicizzati i movimenti tendono sempre ad assumere dimensioni e stati d’animo eccezionali, le manifestazioni di disoccupati si ripetono un po’ ovunque, legate alle richieste di lavori pubblici e di distribuzioni di sussidi, pasti e viveri a basso costo. Agitazioni alle quali, come a Sacile, aderiscono gli operai degli stabilimenti cittadini, prevalentemente appartenenti all’industria del legno 345.

L’accelerazione settaria del Pci porta ad un atto che avrà conseguenze gravissime per la roccaforte rossa del Friuli: nella convinzione di poter vincere, i comunisti, quasi all’unanimità secondo tutte le testimonianze raccolte (manca ogni documentazione scritta della scelta compiuta) decidono di concorrere da soli alle elezioni comunali, non accettando la lista unitaria con i socialisti, che ripropongono come candidato sindaco Guido Rosso, spodestato dai fascisti nel 1922 346. In realtà, la sinistra ha già avuto occasione di accorgersi dei pericoli dell’intransigenza democristiana nel gennaio 1946, quando il rifiuto di un contributo all’Istituto “Vendramini”, gestito dalle suore elisabettine, provoca le immediate dimissioni dei due assessori Dc, che abbandonano gli uffici senza neanche garantire la consueta continuità amministrativa ed iniziano la campagna elettorale con un durissimo attacco al sindaco Asquini. Evidentemente a sinistra non si mette in conto una vittoria Dc, con le conseguenze che questo avrebbe per una città governata da sempre da un’élite laica e che conosce la presenza di istituzioni cattoliche solo dopo la sanguinosa offesa del 1918 al vescovo Isola ed il trasferimento del seminario a Pordenone.

La decisione comunista di concorrere con una propria lista è inoltre in contrasto con la linea unitaria del partito, ben inquadrata da un successivo documento della direzione nazionale del Pci, che dovrà constatare il grande consenso della Dc e lo stesso prevalere nel voto di sinistra del Psiup 347. La scelta egemonica del Pci, inaccettabile per un partito socialista che aveva espresso la classe dirigente della sinistra per decenni, è esplicitata da Giovanni Padovan in un comizio a Vallenoncello, dove sostiene che il sindaco spetti al Partito Comunista, come quello che più ha contribuito, sia prima, che durante la lotta di liberazione e anche dopo ha dato nella nostra città il maggior contributo all’organizzazione delle masse in tutti i campi per accelerare il processo di normalizzazione e di ricostruzione 348. La

342 Lotta e lavoro, Anno I, n. 35 di venerdì 21 dicembre 1945, p. 2, Pordenone. Il diritto di voto agli emigrati. 343 Lotta e lavoro, Anno I, nn. 35 di venerdì 21 dicembre 1945, p. 1, Non è possibile continuare così. Grande manifestazione contro la

speculazione e la disoccupazione a Pordenone e 36 di lunedì 24 dicembre 1945, p. 2, Discussioni su una manifestazione determinata dalla fame e dalla disoccupazione.

344 Il Lavoratore Friulano, n. 22 dell’8 dicembre 1945, p. 2, Spilimbergo. L’assemblea straordinaria della Sezione del P.S.I. Il movimento di protesta appare spegnersi nei mesi successivi: in maggio la CdL di Spilimbergo, rappresentata dal segretario democristiano Rino Papaiz e dal segretario degli Edili locali Giovanni Carminati, invita - insieme al Comune, al Cln ed ai partiti - i maggiorenti della città ad un incontro per chiedere loro di contribuire ad alleviare la condizione dei 1491 disoccupati locali, ma con sconforto se ne presentano solo 22 su 120. Ai sindacalisti non rimane che organizzare una visita personale agli abbienti, per far loro assumere almeno 1-2 operai ciascuno. Cfr.: Libertà di domenica 19 maggio 1946. Spilimbergo. Attività della Camera del Lavoro.

345 Il Lavoratore Friulano, n. 9 del 2 marzo 1946, p. 4, Castelnuovo del Fr. Manifestazione disoccupati; Libertà di martedì 9 luglio 1946, p. 2, Disoccupati in agitazione a Sacile ed Aviano e di domenica 28 luglio 1946, p. 4, Sacile. L’agitazione dei disoccupati è cessata.

346 Inizialmente i socialisti erano stati perfino esclusi dalla Giunta comunale costituita dal Cln, nonostante fossero stati gli ultimi amministratori comunali democratici: cfr. Il Lavoratore Friulano, n. 17 del 3 novembre 1945, p. 2, Pordenone. Una erogazione. Ma un vecchio socialista, Gino Rosso, è presidente dell’Ospedale: cfr. GASPARDO, Paolo, Vita in città. Il tempo, i luoghi, le persone: cronache del quotidiano dai diari 1942-1946, Pordenone, Provincia e Somsi, 1995, pp. 312-313.

347 I risultati elettorali... sono... risultati mediocri o addirittura cattivi... dove la politica del partito non è stata largamente compresa e applicata e ha trovato resistenze più o meno aperte nelle nostre file... Deve essere denunciata con forza, dinanzi alle nostre organizzazioni, la persistenza di posizioni settarie che sono un gravissimo ostacolo allo sviluppo dell’influenza del partito e al suo successo elettorale. Il settarismo si nasconde dietro l’accettazione puramente formale della linea politica del partito... il settarismo si è espresso anche nella... intolleranza verso certe correnti politiche con noi concorrenti... la tendenza assai diffusa a disturbare i comizi convocati da altri... la lacerazione o l’imbrattamento dei manifesti avversari... canti con parole di cattivo gusto ed esprimenti una posizione politica diversa da quella del partito, la troppo frequente uscita anticipata degli operai dalle fabbriche per assistere ai comizi elettorali del partito, l’impiego in massa di autotrasporti e il loro superfluo scorazzare sovraccarichi di compagni e di bandiere rosse; l’uso di bandiere prive del nastro tricolore, questi e altri sono sintomi... che occorre al più presto distruggere. Così pure dobbiamo condannare certe espressioni di volgarità anticlericale... segni evidenti e deplorevoli di deviazione dalla linea politica del partito. Cfr.: GALLI , Giorgio, Storia del Partito Comunista Italiano, Milano, Il Formichiere, 1976, pp. 268-271; la citazione (a p. 269) è tratta da La politica dei comunisti dal quinto al sesto congresso: risoluzioni e documenti raccolti a cura dell’ufficio di segreteria del Pci, la stampa moderna, Roma, s.d. ma [1947].

348 Lotta e lavoro, Anno II, n. 14 di lunedì 4 marzo 1946, p. 2, Notizie da Pordenone. I rapporti con i compagni socialisti.

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coscienza di aver guidato la lotta partigiana e di esercitare un’indubbia egemonia sulla classe operaia si confonde con l’analisi del consenso sociale: premessa arbitraria che verrà duramente smentita dai fatti. L’analoga scelta del Pd’a di correre solitario per il comune, pur in regime maggioritario, completa il quadro con il quale le nuove forze emergenti si assumono la responsabilità del suicidio della sinistra pordenonese. Inutili sono le pressioni delle federazioni provinciali dei partiti, che non riescono ad imporre una lista unitaria.

Mentre la composizione sociale delle due liste dei maggiori partiti della sinistra è analoga, con una forte presenza operaia (diversa invece la lista del Pd’a, essenzialmente formata da esponenti del ceto medio), è significativo il rapporto simbolico con il passato fra la lista socialista, che mette ai primi posti Guido Rosso, Giuseppe Ellero, Romano Sacilotto e Vincenzo Degan, amministratori comunali nel 1920-1922, e quella comunista, nella quale si sottolinea con enfasi l’impegno antifascista e resistenziale dei candidati, ma non si fa cenno al passato di amministratori prefascisti come Umberto De Gottardo ed Ernesto Oliva (che viene candidato come indipendente, ma sarà il secondo degli eletti comunisti, dimostrando la sua grande credibilità). I comunisti confermano la loro intuizione di essere il partito più forte della sinistra in città, ottenendo il 24 marzo 1946 4.285 voti contro i 3.313 del Psiup ed i 328 del Pd’a; ma i democristiani con 4.664 voti conquistano il controllo del Comune. Sintomo dell’intuitiva valutazione popolare è lo scarto fra le votazioni conseguite alle comunali ed alle successive elezioni per la costituente del 2 giugno, con il Pci che cala a 3.636 voti, mentre il Psiup aumenta a 3.617, favorito dal fatto di aver candidato Rosso ed Ellero, mentre i comunisti non hanno candidati locali (a differenza dello Spilimberghese, che conta in lista Luigi Bortolussi e Regina Franceschino, il Pci pordenonese è rappresentato da Emilio Fabretti, presente in città da poco tempo) 349.

Si può affermare che la sinistra pordenonese ha conservato tutto il suo insediamento nonostante vent’anni di fascismo. Al suo interno i socialisti, che dimostrano ancora un significativo consenso popolare, ripresentano il vecchio gruppo dirigente riformista. Ma non c’è solo quello: fra i candidati ci sono delegati sindacali protagonisti nei vari stabilimenti, a fianco dei comunisti, delle lotte operaie, ed inizia a fare capolino qualche giovane intellettuale. I comunisti presentano un’articolazione delle varie generazioni dell’antifascismo: a fianco dei vecchi dirigenti, che assumono comunque un ruolo importante nel rapporto con la gente (De Gottardo a capo degli edili, Bomben alla guida dei tessili ed Oliva che riemerge come leader naturale), ci sono quelli che hanno partecipato all’organizzazione clandestina (come Aldo Bortoluzzi, arrestato nel 1931 350, e Rino Favot) e tutta la nuova generazione dei ventenni formatisi nella Resistenza.

In aprile, dopo le elezioni amministrative, rientra un altro esule: Costante Masutti, segretario della sezione del Psiup di Parigi, che si impegna subito con entusiasmo nel lavoro di propaganda per le elezioni politiche ed il referendum istituzionale, a fianco dei candidati Ellero e Rosso. Il suo apporto organizzativo si fa sentire tanto da far auspicare pubblicamente al partito la possibilità che possa prolungare la sua permanenza in città 351. Infatti il 1° maggio i socialisti tappezzano la città di manifesti per la prima edizione della celebrazione dopo il fascismo, insieme a quelli della Cgil e del Cln e Masutti è uno degli oratori ufficiali, insieme al segretario della CdL Elso Gasparotto, al democristiano Lorenzo Biasutti, segretario provinciale dei bancari, ed al comunista Mario Fortuna, segretario degli statali 352.

Le elezioni per la Costituente, oltre a dare la maggioranza nel collegio Udine-Belluno alla Democrazia Cristiana, che elegge sei deputati fra cui il neosindaco pordenonese Giuseppe Garlato - unico parlamentare del Friuli occidentale - vedono la schiacciante prevalenza socialista sui comunisti, che eleggono il solo Mauro Scoccimarro (cui subentra Giacomo Pellegrini) rispetto ai quattro parlamentari socialisti (tre dei quali, Giovanni Cosattini, Ernesto Piemonte ed il bellunese Oberdan Vigna, lo erano già prima del fascismo). In Friuli il dato elettorale segna (a differenza della provincia confinante) un sostanziale equilibrio fra la Dc e la sinistra 353.

Subito dopo il risultato elettorale viene sostituito il segretario della CdL: Gasparotto lascia per motivi di salute e di studio (in realtà viene trasferito alla CCdL di Udine come vicesegretario 354). I socialisti propongono immediatamente un loro dirigente per assumere questa carica: si tratta di Costante Masutti 355, candidatura ovviamente inaccettabile per i comunisti, che non hanno ancora riabilitato Oliva e non potrebbero sopportare un dirigente, per quanto schierato a sinistra, uscito dal partito su posizioni antisovietiche. Viene quindi richiamato da Udine Emilio

349 La lista del Pci è pubblicata in Lotta e lavoro, anno II, n. 13 di venerdì 1 marzo 1946, p. 2, Pordenone. Ecco la lista dei candidati che il

Partito Comunista Italiano presenta alle elezioni amministrative e in: PARTITO COMUNISTA ITALIANO , SEZIONE DI PORDENONE, Programma per le elezioni comunali amministrative 1946, Pordenone, Cosarini, 1946; quella del Psiup è in Il Lavoratore Friulano, n. 9 del 2 marzo 1946, p. 4, Pordenone. Lista dei candidati socialisti al Comune di Pordenone; quella del Pd’a (insieme a tutte le altre presentate) in Libertà, n. 51 del 28 febbraio 1946, p. 2, Pordenone. Le elezioni del Consiglio Comunale. Le cinque liste dei candidati. Il risultato elettorale in: DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie, cit., p. 174.

350 Sul suo fascicolo (Acs, Cpc, b. 774, f. 93898) l’ultimo documento annotato - ovviamente non disponibile - risale al prot. n. 1065 del 17 giugno 1958: evidente prova della continuazione in epoca repubblicana delle schedature a carico dei “sovversivi”.

351 Il Lavoratore Friulano, nn. 17 del 27 aprile 1946, p. 2, Pordenone. Atteso ritorno e 18 del 4 maggio 1946, p. 2, Pordenone. Propaganda.

352 Libertà di sabato 4 maggio 1946, p. 2, Pordenone. La manifestazione del I° maggio. Masutti Biasutti e Fortuna esaltano l’unità sindacale dei lavoratori.

353 Libertà, n. 129 di venerdì 7 giugno 1946, p. 2, Collegio Udine-Belluno. Dati della Costituente: Dc Psiup Pci Pd’a Uomo Qualunque Pli Pri Totale voti

Udine 200.845 137.055 60.509 11.986 11.912 8.141 5.344 435.792 Belluno 61.144 33.707 11.893 4.238 3.111 2.121 1.814 118.058

354 Libertà del 26 febbraio 1947, p.2, Il Congresso dei lavoratori tessili di Pordenone. 355 Il Lavoratore Friulano, n. 40 del 13 ottobre 1946, p. 2, Costante Masutti candidato socialista alla Camera del Lavoro.

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Fabretti, cui si affianca il nuovo segretario Sigfrido Pavan 356. Giovanni Padovan invece viene trasferito alla Federazione di Udine, dove entra in segreteria con la responsabilità dell’organizzazione 357. Nei mesi successivi, ritenendo inadeguata la collocazione ad Udine, si inizia a rivendicare una sede della Fiot a Pordenone, dove la categoria ha la sua base 358.

14.3 - Lotte sociali e tensioni nel sindacato unitario. Sul sindacato unitario iniziano a farsi sentire le pressioni in senso scissionistico degli ambienti cattolici, e non

a caso il primo luogo dove vengono allo scoperto è il Cotonificio di Torre, dove dietro alle Acli agisce don Giuseppe Lozer, che sta per rientrare a reggere la parrocchia 359. Pressioni indotte dalla divergenza fra le linee contrapposte della Dc, protagonista di una politica di stabilizzazione moderata, e della sinistra che deve rispondere ai movimenti sociali. La rottura è ormai segnata sul terreno delle amministrazioni locali: a Pordenone la sinistra si colloca nettamente all’opposizione, mentre in altri comuni ha conquistato la maggioranza con coalizioni unitarie. Solo a Spilimbergo sopravvive ancora una giunta di unità ciellenistica, che verrà superata nelle elezioni del 13 ottobre, dove pure vince una coalizione di sinistra 360. Segno dei tempi, e della ormai consumata fine dell’unità resistenziale, è un episodio legato alla morte prematura del direttore del settimanale comunista Lotta e lavoro Luigi Bortolussi: quando la salma viene trasportata a Lestans, il suo paese natale, il parroco è costretto dalla curia udinese a rifiutare i funerali religiosi, chiesti dai familiari del maggiore esponente dell’antifascismo e della lotta di liberazione dello Spilimberghese. La morte di Bortolussi è purtroppo esemplificativa del destino della generazione dell’antifascismo: le privazioni ed i maltrattamenti della lotta clandestina, della carcerazione e della Resistenza minano la salute di gran parte degli attivisti, destinati ad una morte precoce 361. Le condizioni di accoglienza in sanatori e tubercolosari degli ex partigiani e reduci sono una delle preoccupazioni costanti della sinistra nel dopoguerra 362.

La durezza delle lotte per il lavoro inizia ad essere affrontata dalle forze dell’ordine con la repressione: in quei giorni ad Aviano tre manifestanti sono arrestati dai carabinieri, su denuncia di un ex squadrista, pallida anticipazione delle pesanti repressioni che, a partire dagli anni successivi, vedranno diventare sistematico l’uso dei reparti celeri della polizia contro le manifestazioni operaie a Pordenone e quelle contadine a San Vito al Tagliamento ed a Codroipo e gli arresti dei dirigenti sindacali 363.

La situazione occupazionale è esplosiva e fin dall’inizio del 1946 la prospettiva dell’emigrazione è ormai matura per gran parte dei lavoratori disoccupati. Mentre in alcuni articoli fanno il resoconto delle lotte per il lavoro e contro la miseria e la fame in patria, gli stessi giornali della sinistra cominciano a ragionare sulle possibilità di spostare milioni di lavoratori italiani in Brasile, Argentina, Francia (avviando nel caso di quest’ultimo paese politiche unitarie fra Pci e Pcf, ambedue forza di governo, per garantire accoglienza e tutela agli emigranti italiani). Molti fra i protagonisti della Resistenza, dopo aver tentato di organizzare cooperative di lavoro, riprendono la strada

356 Lotta e lavoro, anno II, n. 42 di domenica 28 luglio 1946, p. 2, Pordenone. Cambiamento alla Camera del Lavoro; risulta non

modificata la composizione della segreteria in: BIAGIONI, Eligio, PANTILE , Francesco, PONTACOLONE, Claudio, Cgil anni ‘80, cit., p. 135. Sigfrido Pavan è componente della segreteria dall’agosto 1946 secondo: Lotta e lavoro, anno II, nn. 53 di domenica 13 ottobre 1946, p. 2, Chi langue nella miseria chiede fatti e non parole. Oltre diecimila lavoratori del Mandamento di Pordenone manifestano il loro malcontento in una imponente manifestazione e 3 di domenica 19 gennaio 1947, p. 2, Da Pordenone città operaia. La riunione del Consiglio generale dei Sindacati.

357 Lotta e lavoro, anno II, n. 53 di domenica 13 ottobre 1946, pp. 1-2, Deliberazioni del Comitato Federale. 358 Il Lavoratore Friulano, n. 39 del 1° ottobre 1946, p. 2, Pordenone. F.I.O.T. 359 Lotta e lavoro, anno II, n. 43 di domenica 4 agosto 1946, p. 2, Pordenone.Operai! Non badate a chi vuol dividerci, articolo di Adolfo

Bresin. La precoce funzione scissionistica delle Acli friulane, come pure la volontà conservatrice di rottura dell’unità ciellenistica da parte della Dc locale, sono evidenziate da: FABBRONI, Flavio, Friuli 1945-1948. Linee di interpretazione, in: Storia contemporanea in Friuli, anno VI, n. 7, Udine, Ifsml, 1976, pp. 15-97.

360 In una serie di comuni collinari e montani del Maniaghese e dello Spilimberghese la sinistra è rappresentata solo dal Psiup, mentre il Pci non presenta sue liste: a Barcis, Meduno e Pinzano al Tagliamento (dove il Psiup prevale sulla Dc) ed a Clauzetto, Tramonti di Sotto e Travesio (dove avviene il contrario). La sinistra si presenta unita a Spilimbergo, Frisanco, Castelnovo e Forgaria (dove vince sulla Dc o su liste indipendenti) ed a Maniago, Cimolais, Sequals e Tramonti di Sopra (dove avviene il contrario). In altri comuni la sinistra deve confluire in liste definite indipendenti, o sconta la sua assenza. Cfr.: Libertà di martedì 15 ottobre 1946, p. 2, Elezioni amministrative. I risultati di domenica. Tenendo conto che questa tornata elettorale si svolge tutta nei mandamenti delle Prealpi Carniche, ne nasce un interrogativo sui limiti della politicizzazione dei paesi indotta da una Resistenza unitaria e particolarmente avanzata. Alcuni dei giovani esponenti azionisti della V Brg. Osoppo, che costituiscono anche sezioni del Pd’a nei paesi della Valcellina dove si fermano nel periodo successivo alla Liberazione, spiegano credibilmente il mancato successo della sinistra con il tradizionalismo dei montanari: cfr. PERINI, Stefano, Il Partito d’Azione in Friuli “1942-1947”, tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, a.a. 1973-1974 (copia conservata presso Ifsml), pp. 92-100. Viceversa va notato il tradizionale insediamento socialista fin dai primi anni del Novecento nei paesi dove la sinistra si afferma.

361 Lotta e lavoro, anno II, nn. 54 di domenica 20 ottobre 1946, p. 1, La salma di Luigi Bortolussi riceve il commosso estremo saluto del popolo Friulano. Le onoranze funebri a Udine-Spilimbergo e Lestans e 55 di domenica 27 ottobre 1946, p. 1, I funerali di Bortolussi. Risposta a “Vita Cattolica”.

362 Non solo le condizioni fisiche assumono dimensioni rilevanti, ma lo stesso disagio psicologico e sociale. Quello derivante dalla difficoltà di reinserimento in una società devastata dalla guerra in cui agli ex combattenti non viene offerto nulla, se non nuove frustrazioni e, presto, discriminazioni. Vedasi le ripetute segnalazioni - per quanto sicuramente in parte strumentali - delle forze dell’ordine contro partigiani dediti al banditismo, ma anche le polemiche giornalistiche contro comportamenti prepotenti ed insofferenti nei confronti delle lungaggini burocratiche di cui sono vittime giovani che, in cambio del loro sacrificio, non riescono spesso ad ottenere non un lavoro, ma neanche adeguate assegnazioni di capi di abbigliamento e calzature. E poi il disagio che sfocia nell’alienazione: Mario Tommasini - l’assessore provinciale di Parma protagonista della lotta per la chiusura dei manicomi, recentemente scomparso - ricordava come il suo impegno contro le istituzioni psichiatriche nacque dall’incontro con i suoi vecchi compagni di lotta, ritrovati nel manicomio di cui lui doveva interessarsi come amministratore. Cfr.: TOMMASINI, Mario, Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui medesimo, Roma, Editori Riuniti, 1987.

363 Lotta e lavoro, Anno II, n. 44 di domenica 11 agosto 1946, p. 2, L’arresto di 3 operai a Aviano in seguito a una manifestazione di disoccupati.

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dell’emigrazione, spesso clandestina, ricreando quel vuoto sociale, ma anche politico, che il Friuli aveva vissuto nei decenni fra la nascita del movimento operaio ed il fascismo: come alcune giunte socialiste nel 1921-1922, anche la nuova amministrazione comunale di sinistra di Spilimbergo cadrà prima del 1951 per il venir meno del numero legale dei consiglieri a causa dell’emigrazione. Già nel dicembre 1946 Teresina Degan denuncia sulle pagine del settimanale comunista le condizioni di sfruttamento degli emigranti venduti dal governo italiano alle miniere del Belgio in cambio di forniture di carbone, ma la stessa cosa succede a 506 operai friulani inviati in Austria a lavorare in cambio non di salari, ma di cemento da importare in Italia 364.

Il 4 ottobre a Pordenone convergono oltre diecimila manifestanti da tutto il mandamento. Oltre alle rivendicazioni sociali, viene denunciata la politica di ostacolo al dispiegamento dell’organizzazione sindacale, attraverso assunzioni e licenziamenti arbitrari. Il sindaco democristiano on. Garlato, che promette lavori pubblici e l’apertura di spacci e di una mensa comunali, parla tra vivaci contestazioni. Stessa sorte subisce Gualtiero Driussi, segretario democristiano della CCdL di Udine: che si tratti di una contestazione politica e non diretta alla segreteria udinese è dimostrato dai consensi che successivamente riceve il suo collega comunista Primo Romanutti. Non si tratta solo di uno scontro fra le due maggiori componenti del movimento sindacale: fra gli interventi fa spicco anche quello, duramente anticapitalistico, di un delegato di base: l’anarchico Achille Durigon. Fra gli impegni presi dall’amministrazione comunale, a fronte di un consistente finanziamento statale per opere pubbliche, la costruzione della ferrovia Pordenone-Aviano, vecchio obiettivo del movimento socialista, accantonato dalla dittatura: non se ne farà nulla, mentre verrà al contrario smantellata la darsena del porto fluviale - costruito nel primo dopoguerra su progetto dell’ing. Augusto Mior, tecnico comunale che entra anche nella giunta nominata dal Cln per riavviare i lavori - utilizzandone il materiale per costruire la “strada rivierasca” 365.

Un altro terreno di crisi occupazionale, che lega profondamente il mondo contadino all’industria, è quello delle filande per la lavorazione del prodotto del baco da seta. E’ in questo settore che si impegna in particolare, vista la sua precedente esperienza ai vertici della Fiot, Alessandro Galli. Di fronte al contrasto fra gli agrari venditori del prodotto grezzo e gli imprenditori, che rende possibile la mancata riapertura delle filande, la Camera Confederale del Lavoro di Udine arriva a chiedere la requisizione degli stabilimenti in tutta la provincia 366. A Palmanova ed a Codroipo le operaie delle filande iniziano a bloccare i camion che arrivano dalle altre province per ritirare i bozzoli, finché il Governatore alleato fissa per decreto il prezzo dei bozzoli ed obbliga gli essiccatoi a vendere il prodotto solo alle industrie locali 367.

Un’ombra conosciuta si protende sui maggiori stabilimenti industriali pordenonesi: quella della cessione della proprietà del Cotonificio Venenziano da parte di Volpi - che dal rifugio svizzero riprende le sue manovre finanziarie con Cini e Gaggia sul Cotonificio Veneziano - alla Snia di Marinotti, altro industriale favorito dal fascismo. Iniziative viste con comprensibile allarme da chi ha assistito alla chiusura di questa grande industria durante il fascismo, a causa delle spregiudicate manovre finanziarie dei gruppi economici favoriti dal regime. La risposta a queste operazioni è la richiesta di costituzione dei Consigli di Gestione, rivendicando per questi quel diritto all’informazione sulle vicende aziendali oggi negato alle Commissioni Interne. Ma la Camera del Lavoro esprime anche la sua opposizione alla vendita ad un monopolio, mettendo 4.500 posti di lavoro e l’economia pordenonese in mano a capitale straniero. Una denuncia che è anche un presagio di quanto accadrà di lì a pochi anni 368.

14.4 - Una nuova provincia, nel Veneto, o la regione autonoma? Di fronte al dibattito all’Assemblea Costituente sulle regioni, le forze politiche pordenonesi si schierano

compattamente per l’inserimento del Friuli (suddiviso, oltre che nelle province di Gorizia ed Udine, in quella nuova di Pordenone) all’interno della regione Veneto. La regione Friuli viene vista come una realtà economicamente non autosufficiente, che verrebbe ulteriormente gravata dai costi di una nuova sovrastruttura burocratica, mentre la più vasta regione Veneto appare come una realtà più solida, all’interno della quale realizzare quegli interventi che possono dare risposta ai grandi bisogni occupazionali del Friuli. La provincia di Pordenone viene giustificata dal gravitare su Pordenone della gran parte della popolazione dei centri del Friuli occidentale, oltre che dall’essere l’unico polo industriale.

Dopo un documento firmato dalle sezioni pordenonesi di Pci, Pd’a, Dc, Pli, Pri e Psiup, si costituisce un Comitato per l’inclusione del Friuli nella Regione Veneto, cui aderiscono tutte le forze politiche, dagli azionisti Sandro

364 Lotta e lavoro, Anno II, n. 61 di domenica 8 dicembre 1946, p. 2, Lo sfruttamento del lavoro italiano nelle miniere del Belgio. Che ha

fatto il Ministro De Gasperi per proteggere i nostri operai?; Libertà di mercoledì 30 ottobre 1946, p. 2, Entro novembre. Altri mille minatori friulani saranno avviati alle miniere carbonifere del Belgio e giorni seguenti; di mercoledì 6 novembre 1946, p. 2, Inchiesta di “Libertà” sull’emigrazione. La triste istoria del cemento austriaco pagato con il lavoro degli operai friulani e giorni seguenti.

365 Lotta e lavoro, Anno II, nn. 53 di domenica 13 ottobre 1946, p. 2, Chi langue nella miseria chiede fatti e non parole. Oltre diecimila lavoratori del Mandamento di Pordenone manifestano il loro malcontento in una imponente manifestazione e 5 di domenica 26 gennaio 1947, p. 2, Da Pordenone città operaia. Disoccupazione; testimonianza di Giuseppe Asquini raccolta in CHIANDOTTO, Vannes, Il C.L.N. e i partiti politici nella Resistenza del Pordenonese, in: Antifascismo e Resistenza nel Friuli Occidentale, cit., p. 134.

366 Libertà di sabato 26 ottobre 1946, p. 2, La Camera Confederale del Lavoro chiede all’Autorità la requisizione delle filande del Friuli. 367 Libertà di giovedì 31 ottobre 1946, p. 4, Le filandiere di Palmanova si oppongono all’esportazione di una partita di bozzoli. L’efficace

intervento del Prefetto; di venerdì 1 novembre 1946, p. 2, Lo spettro della disoccupazione. Anche a Codroipo le filandiere impediscono l’esodo di un carico di bozzoli. L’intervento del Prefetto risolve la situazione e di martedì 5 novembre 1946, p. 2, Le filande della provincia hanno assicurato il lavoro.

368 Libertà di giovedì 31 ottobre 1946, p. 4, Il Cotonificio Veneziano verrebbe rilevato dalla SNIA?; Lotta e lavoro, anno II, n. 56 di domenica 3 novembre 1946, p. 1, Oscure manovre capitalistiche. Che cosa accade al Cotonificio Veneziano? Le maestranze di Pordenone in allarme. I consigli di gestione invocati come garanzia.

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Rosso e Luigi Bisol ai socialisti Giacomo Serafini e Guido Rosso (che si rifà alla proposta del 1921 della sua amministrazione per la creazione della provincia di Pordenone), dal democristiano avv. Cassini al vecchio sindaco democratico avv. Carlo Policreti, fino al comunista Eugenio Pamio. Nel comizio di presentazione del 3 novembre 1946 solo l’avv. Tomè, pure democristiano ma di San Vito al Tagliamento ed autonomista, interviene per sostenere la regione friulana, presentandola però in un’ottica assistenzialistica (i sussidi della Cassa d’Integrazione per riequilibrare le risorse a favore delle regioni più deboli) che viene rifiutata da tutti gli intervenuti 369.

Giovedì 16 gennaio il Consiglio Comunale di Pordenone si esprime quasi all’unanimità per la regione Veneto, con il solo voto contrario di un assessore democristiano. La minoranza comunista richiede al sindaco di riunire i colleghi del mandamento per giungere ad una votazione comune, iniziativa vietata dalla Prefettura: la riunione si svolge comunque pochi giorni dopo 370. La settimana successiva è il Consiglio Comunale di Sacile ad esprimersi con un maggioranza costituita da comunisti, socialisti ed azionisti, ed il voto contrario o l’astensione di democristiani e repubblicani 371.

Appoggia le rivendicazioni pordenonesi il vicepresidente della Costituente, il comunista Umberto Terracini, ritenendo sentimentali le posizioni friulaniste, ma la cosa non ha evidentemente seguito, vista la decisione a maggioranza della seconda sottocommissione della Costituente per l’istituzione della regione Friuli-Venezia Giulia. La questione diventa l’oggetto di articoli di opposta opinione, scritti da Sandro Rosso da un lato, e dall’altro dal giovane Pier Paolo Pasolini (che ha aderito al movimento autonomista friulano) e dell’autonomista Gianfranco D’Aronco, che si fanno portavoce di chi ritiene i partiti pordenonesi non rappresentativi del Friuli occidentale. Rosso esprime la sua posizione contraria alla nuova regione innanzitutto per motivi politici, notando come i friulanisti facciano un gioco ideologico pericoloso, nel quale sottolineano la diversità linguistica dei friulani dai veneti ed esprimono posizioni antislave, rischiando di favorire rivendicazioni già viste negli anni precedenti - quando l’amministrazione nazista aveva tentato di blandire gli autonomismi locali, friulani e slavi, l’uno a discapito dell’altro - e mettendo pericolosamente il Friuli in mezzo alla contesa sul confine giuliano. Pasolini prende le distanze da D’Aronco, ma senza preoccuparsi di analizzare seriamente il peso della questione nazionale incombente, accantonandola come un aspetto secondario. Ma il prosieguo dell’argomentazione è un ripetere vieti luoghi comuni, come il contrapporre la “provinciale” borghesia pordenonese, che usa il dialetto veneto degli antichi dominatori contro la lingua autentica delle masse contadine: un esempio della fascinazione conservatrice pasoliniana per il mondo contadino friulano, spontaneo e sincero come tutti i “buoni selvaggi”. Lo scrittore casarsese appare ancora immaturo, non il potente critico della corruzione del capitalismo consumistico che si rivelerà nei decenni romani.

Sono però i friulanisti come D’Aronco a porre la questione cruciale, dopo aver suggerito ai seguaci della regione Veneto il quesito se siano maggiori i rischi di emarginazione dell’industria pordenonese in Friuli o in Veneto. Il Friuli non è sottosviluppato per destino: l’emigrazione friulana all’estero è causata non dalla povertà della nostra terra, ma dall’incuria del governo preoccupato negli anni decorsi di condurre guerre in Eritrea e in Spagna, invece di irrigare la nostra campagna e di costruire ferrovie, ed è causata altresì dall’incomposta emigrazione interna, risoltasi a tutto svantaggio della nostra popolazione. Rincara la dose Luigi Ciceri, che ricorda la colonizzazione del territorio da parte del capitale finanziario che gira attorno a Giuseppe Volpi: entrano in gioco i capitali veneti della Società Elettrica Friulana dipendente dalla Adriatica, lo sfruttamento degli enormi bacini idrici del Cellina, Lumiei, Sauris, foci del Tagliamento, ecc., bacini sfruttati dalla Adriatica di Elettricità. I cementi del Veneto, i cotonifici Pordenonesi, le Ferrovie Venete, la Telve, ecc., tutte società dagli enormi capitali che agiscono e sfruttano il Friuli senza che il Friuli le abbia mai potute controllare. Esse domani, con la creazione della Regione Autonoma Friulana dovrebbero lasciare parte dei loro utili in Friuli. Inserito in un contesto semplicisticamente ottimistico, per il quale il solo spostamento ad Udine dei centri di potere amministrativo ora a Venezia risolverebbe miracolosamente ogni contraddizione (sfiorando in tal modo l’illusione secessionistica spesso accarezzata anche da autonomisti di generazioni successive, insieme a tanto ciarpame ideologico come l’eredità del Patriarcato di Aquileia) Ciceri attribuisce la contrarietà all’autonomia friulana alla tutela di precisi interessi economici rappresentati dall’avv. Guido Rosso che ne ha assunto la rappresentanza nei suoi anni veneziani: Per esempio non si avrebbero più ostacoli alla creazione di Porto Nogaro che ora dà tanta ombra al Magistrato delle Acque di Venezia ed ecco perché l’avv. Rosso di Pordenone che ha studio legale a Venezia e che è legale di Società con capitale veneto, ci è avverso. Anche quando pongono problemi seri, gli autonomisti non riescono ad evitare pesanti cadute di stile, dalle accuse ad uno dei politici che più si sono battuti contro i gruppi di potere monopolistici, ad offese gratuite all’insieme della popolazione pordenonese, dimostrando di non avere lo spessore culturale di un gruppo dirigente regionale ma di rappresentare solamente le aspirazioni di un nuovo ceto dirigente locale che vuole sostituirsi ai vecchi “dominatori” veneziani. Sul piano del pragmatismo, Luigi Bisol replica ad un nuovo intervento di D’Aronco ricordandogli che, se l’attenzione dei gruppi dirigenti udinesi per il Friuli

369 Libertà di mercoledì 30 ottobre 1946, p. 4, Pordenone. Si vuol costituire la provincia di Pordenone nell’ambito della regione veneta.

Un ordine del giorno dei Partiti locali e di martedì 5 novembre 1946, p. 2, Regione veneta o friulana? Con un grande comizio al “Verdi” i pordenonesi si pronunciano per la prima ed auspicano l’autonomia della destra Tagliamento; Il Lavoratore Friulano, n. 44 del 9 novembre 1946, pp. 1, Regione Veneta nell’interesse di tutti, articolo di G. Serafini e 2, Pordenone. Comizio al Verdi.

370 Libertà di domenica 19 gennaio 1947, p. 2, Pordenone. La Regione veneta auspicata dal Consiglio Comunale e di martedì 21 gennaio 1946, p. 2, Il problema regionale. Una riunione dei Sindaci del mandamento.

371 Libertà di domenica 26 gennaio 1947, p. 2, Sacile. Il Consiglio si pronuncia per la Regione Veneto e di martedì 28 gennaio 1947, p. 2, Sacile. La Regione Friulana.

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occidentale si dovesse valutare dallo stato delle strade provinciali, si capirebbe il motivo delle diffidenze pordenonesi 372.

Di tutt’altro segno è il gesto della CdL mandamentale di Pordenone, che - facendo pesare i suoi 10.000 iscritti a favore della regione veneta - inaugura un capitolo che vedrà impegnato il sindacato nel ventennio successivo a schierare la forza dei lavoratori del Friuli occidentale a favore dell’autonomia provinciale e regionale (che sarà, se si esclude questa fase transitoria, quella del Friuli-Venezia Giulia), dando basi di massa ad un progetto che mira a significativi spostamenti di risorse pubbliche a favore dello sviluppo dell’economia e della società locale 373.

14.5 - Scissioni del Psiup e della Cgil e riorganizzazione della sinistra all’opposizione. Nel gennaio 1947 Saragat ed altri dirigenti socialisti provocano la scissione del Psli, cui inizialmente aderisce

non solo la vecchia anima riformista (fin dall’inizio del dibattito congressuale, è Giuseppe Ellero a dichiarare che la scelta fusionista con il Pci è già stata esclusa nel precedente congresso e che la ripetizione del dibattito è un’intollerabile imposizione di Nenni 374) ma anche giovani insofferenti della subordinazione del partito alle posizioni moderate della direzione del Pci, derivanti dalla linea di compromesso fra le potenze vincitrici della guerra sostenuta dall’Urss. Alcune scelte comuniste, come l’amnistia verso i fascisti elaborata dal ministro della giustizia Togliatti, creano una vivace polemica da parte socialista: e non è ancora stato votato dai comunisti l’art. 7 della Costituzione, che include nella legge fondamentale della Repubblica il Concordato mussoliniano con la Chiesa cattolica. La maggioranza dei socialisti friulani sceglie ancora, come nel 1922, di aderire alle posizioni più moderate, alimentando la scissione. Questa volta però il Psi rimarrà maggioritario, lasciando al Psli solo le aree dove pesa il consenso creato nel passato dal lavoro del Segretariato dell’Emigrazione: prevalentemente la Carnia e lo Spilimberghese.

Si tratta però di un processo che avrà bisogno di alcuni anni per sedimentarsi, tenendo conto dell’alterno movimento costituito dalla seconda scissione romitiana del 1949 e dal più consistente ritorno di consensi al Psi negli anni successivi, speculare al fallimento dell’autonomismo socialdemocratico, schiacciato dalla succube alleanza di governo centrista con la Dc. All’inizio, la scissione è maggioritaria e priva il Psi di quasi tutti i suoi quadri, oltre che del consenso della maggioranza della base, come dimostreranno i dati elettorali del 1948, quando il Psli sopravanza il Fronte popolare in tutto il Friuli occidentale, con la sola esclusione della “isola” elettorale di Pordenone.

I socialisti friulani appaiono inizialmente disorientati dallo scontro interno al partito. Il gruppo dirigente pordenonese cerca, come in passato, di attestarsi su una posizione pragmatica, presentandosi al congresso provinciale con una mozione locale che si colloca al di sopra delle parti. Simile (e non a caso vede la confluenza in essa dei 128 voti dei “pordenonesi”) la mozione “Carnia”, che con 5.833 voti ottiene la maggioranza congressuale, contro i 3.927 voti della mozione di sinistra, i 113 dei fusionisti ed i soli 64 della destra di “Critica sociale” 375. E’ evidente che i settori moderati del partito cercano di riaffermare la linea autonomistica salvando l’unità socialista, e questo atteggiamento viene confermato da un documento sottoscritto da gran parte del gruppo dirigente (primi firmatari Giovanni Cosattini ed Ernesto Piemonte) che rifiuta la scissione, ritenendola non condivisa dalla base 376. Posizione che si rivela velleitaria di fronte al consolidarsi del Psli, cui aderiscono poi gran parte dei firmatari di quello stesso documento, con l’importante eccezione di Cosattini, che rimarrà nel Psi fino alla nuova scissione romitiana del 1949.

Mentre per alcune settimane la federazione rimane in una situazione di stallo, le diverse componenti iniziano ad organizzarsi, utilizzando come tribuna il settimanale del partito e, gli esponenti della sinistra, il quotidiano del Cln. E’ il sindacalista Rota a denunciare come l’autonomia della Federazione friulana dal Psi nasconda in realtà la simpatia per le ragioni degli scissionisti 377. L’on. Gino Pieri tenta un’ultima mediazione, proponendo di fissare una scadenza all’esperimento autonomista (fino alle successive elezioni politiche) in modo da fermare la disgregazione del partito indotta dalle scelte che si moltiplicano da un lato e dall’altro: la sua scelta infine sarà per il Psi 378. La sinistra del partito, forte del 40% dei voti congressuali, rivendica la continuità fra il Psiup ed il Psi, ed alla fine prende possesso della sede e del settimanale del partito 379. Fra le prime conseguenze della costituzione a livello locale del Psli, c’è la

372 Libertà di sabato 9 novembre 1946, p. 4, Il problema regionale. L’on. Terracini appoggierà le aspirazioni dei pordenonesi, n. 299 di

venerdì 27 dicembre 1946, p. 1, Dove ci porterebbe l’autonomia friulana?, di Sandro Rosso e 300 di martedì 31 dicembre 1946, p. 1, Le opinioni valide sull’autonomia friulana, di Pier Paolo Pasolini, n. 1 dell’1 gennaio 1947, p. 1, Pordenone e il Friuli di Gianfranco D’Aronco, n. 13 di mercoledì 15 gennaio 1947, p. 1, La battaglia per l’Autonomia Regionale Friulana, di Luigi Ciceri, di mercoledì 27 gennaio 1947, p. 2, Autonomia friulana. Risposta per fatto personale dell’avv. Sandro Rosso e di venerdì 14 marzo 1947, p. 2, Pordenone. La sedicente Regione friulana. Commento ad una lettera aperta ai pordenonesi del segretario del M.P.F.

373 Libertà di sabato 25 gennaio 1947, p. 2, La Camera del Lavoro auspica la Regione Veneto. Un messaggio alla Costituente a nome di 10 mila lavoratori.

374 Il Lavoratore Friulano, n. 49 del 14 dicembre 1946, p. 1, Verso il XXV Congresso del Partito. Parliamoci chiaro. 375 Lotta e lavoro, anno III, n. 2 di domenica 12 gennaio 1947, I risultati ottenuti dalle varie mozioni al Congresso Provinciale del P.S.; Il

Lavoratore Friulano, n. 2 di sabato 11 gennaio 1947, p. 2, intervento di Rosso di Pordenone. 376 Il Lavoratore Friulano, n. 3 di sabato 25 gennaio 1947, p. 1, Per le vie maestre del Socialismo. I Socialisti Friulani al di sopra delle

tendenze disgregatrici e per l’unità del Partito. Salviamo il Partito nell’autonomia dell’azione locale. Mozione per l’unità del Partito e l’autonomia della Federazione Socialista Friulana.

377 Libertà di martedì 4 febbraio 1947, p. 1, La voce dei partiti. Inutilità di certe iniziative, articolo di Remigio Rota. 378 Libertà, n. 31 di mercoledì 5 febbraio 1947, p. 1, La voce dei partiti. Tener duro, articolo di Gino Pieri. 379 Libertà, nn. 32 di giovedì 6 febbraio 1947, p. 1, Dopo la scissione socialista. La situazione del Partito in Friuli secondo il punto di

vista del geom. Di Varmo del P.S.I. e di giovedì 26 febbraio 1947, p. 2, Comunicato della Federazione Provinciale del P.S.I.

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sostituzione di Alessandro Galli al vertice della Camera Confederale del Lavoro di Udine, cui subentra il dirigente della Confederterra Remigio Rota 380.

Nel caso particolarmente documentato di Sacile, dove governa una giunta unitaria, è la sinistra del partito a prevalere, sostituendo il segretario Francesco Fiorot (che si schiera per l’autonomia, e poi aderirà al Psli) con Francesco Ortolan, dirigente della Confederterra locale il quale, d’accordo sul piano del metodo con gli esponenti scissionisti, decide di superare l’incertezza fissando un termine alla scelta. Al referendum indetto dalla Federazione provinciale, il risultato è netto: su 200 votanti, 179 optano per il Psi e solo 15 per l’autonomia 381.

La sezione di Pordenone, appoggiando la proposta provinciale di scegliere con un referendum, rinvia la decisione fino al 9 marzo. La conclusione si svolge in un clima di grande correttezza, dedicando il massimo dell’attenzione alla modalità di ripartizione più equa dei beni del partito locale, cioè un paio di tavoli, alcune panche e poche sedie. Le dichiarazioni di adesione al Psli, che hanno in comune il rifiuto della gestione nenniana e della sua subordinazione al Pci, sono motivate da come l’epurazione sia finita in modo fallimentare e come l’amnistia non abbia fatto certamente onore a chi l’ha concordata (Ellero) ma anche dal fatto di vedere nella scissione una rivolta contro l’abulia delle direzioni del vecchio partito di cui era esponente Nenni, abulia che ha portato a riflussi delle masse operaie (Serafini). Alla fine, su 49 presenti 28 rimangono fedeli al Psi, 18 aderiscono al Psli e 4 non si pronunciano: la riunione si scioglie fra strette di mano, augurandosi di ritrovarsi un giorno nuovamente uniti. Il clima fraterno prosegue in una riunione fra i due partiti cittadini che si tiene due settimane dopo, e con la comune commemorazione di Giacomo Matteotti il 15 giugno, con la netta prevalenza fra gli oratori degli esponenti socialdemocratici on. Ellero e Zanfagnini 382.

Non sempre le cose andranno civilmente come a Sacile e Pordenone. A Spilimbergo, dove le elezioni dell’ottobre 1946 hanno portato all’elezione del sindaco socialista Giuseppe Del Gobbo, Cantarutti si dedica ad una sistematica critica pubblica del suo successore e del gruppo dirigente del Psi locale. Non stupisce ritrovare poi il leader storico del socialismo spilimberghese alla testa del Psli locale, mentre il suo successore, sotto il fuoco delle polemiche democristiane, dà le dimissioni il 1° luglio successivo. Del Gobbo presenta a mezzo stampa una dettagliata relazione sull’attività dei pochi mesi della sua amministrazione, ma - dopo il commissariamento seguito al venir meno della maggioranza dei consiglieri - alle successive elezioni del 1949 la lista di sinistra si riduce solo a comunisti ed indipendenti, i socialisti non riescono ad esprimere candidature ed i socialdemocratici concorrono autonomamente, consegnando così alla Dc l’amministrazione 383.

Il contraccolpo della scissione nei movimenti popolari è evidentissimo, soprattutto nella CdL mandamentale di Pordenone, dove i socialisti praticamente spariscono 384. La nuova segreteria camerale è di tre componenti, con l’affiancamento a Fabretti di Adolfo Bresin (pure comunista) come primo vicesegretario e di Alberto Pignattin; nell’esecutivo, su 11 componenti, 8 sono comunisti, mentre socialisti e democristiani sono ridotti ad un rappresentante per corrente. Il risultato delle rotture a sinistra ha già trasformato, ben prima della scissione democristiana dell’anno dopo, la Cgil pordenonese in un sindacato comunista: come testimonia pure il rituale dei comizi - non solo nel Friuli occidentale - nei quali gli oratori principali sono quelli del sindacato e del Pci, affiancati dai democristiani (su cui si scarica il dissenso politico dei manifestanti) e talvolta da qualche socialista 385. La situazione a livello provinciale è più equilibrata e, pur dando per scontata la maggioranza relativa comunista fra gli iscritti, il Psi distanzia gli scissionisti nel voto interno alla CdL 386.

380 Libertà di sabato 23 febbraio 1947, p. 2, La costituzione della Federazione Provinciale del P.S. dei Lavoratori Italiani; Il Lavoratore

Friulano, n. 7 di sabato 1 marzo 1947, p. 2, Nella segreteria della Camera del Lavoro. Da questo numero il periodico diventa organo della Federazione del Psi.

381 Poco tempo dopo, Ortolan sarà delegato a rappresentare la sezione a livello provinciale ed il 26 febbraio diventerà segretario Guido De Sandre, che nel 1964 sarà il primo consigliere regionale del Psi per il collegio di Pordenone. Cfr.: Il Lavoratore Friulano, nn. 4 di sabato 1 febbraio 1947, p. 2, Sacile. Nella Sezione Socialista e 12 del 5 aprile 1947, Sacile. L’assemblea della sezione e Libertà di mercoledì 12 febbraio 1947, p. 2, Sacile. L’assemblea della Sezione del Partito socialista, del 14 febbraio 1947, p. 2, Sacile. La Sezione Socialista aderisce al P.S.I., di domenica 16 febbraio 1947, p. 2, Sacile. Il referendum della Sezione Socialista e domenica 2 marzo 1947, p. 2, Sacile. Nella Sezione del P.S.I. Una curiosità che apre squarci interessanti su un mondo popolare troppo spesso ritenuto ingiustamente sonnecchiante nella tradizione: Francesco Ortolan, contadino, è possessore di uno dei primi diplomi di volo assegnati in Italia. Testimonianza di Mario Bettoli.

382 Il Lavoratore Friulano, n. 5 di sabato 8 febbraio 1947, p. 2, Pordenone. Solidarietà; Libertà di giovedì 13 marzo 1947, p. 2, Pordenone. L’assemblea della Sezione del Partito Socialista, n. 73 di mercoledì 26 marzo 1947, p. 2, Pordenone. Riunione collettiva delle due Sezioni socialiste, di domenica 15 giugno 1947, p. 4, Pordenone. L’odierna commemorazione di Giacomo Matteotti e di mercoledì 18 giugno 1947, p. 2, Pordenone. La commemorazione di Giacomo Matteotti.

383 Libertà di giovedì 30 gennaio 1947, p. 2, Spilimbergo. Doverose rettifiche, del 24 aprile 1947, p. 2, Spilimbergo. Assemblea della Sezione del P.S.L.I. Guido Sedran commemorato e di venerdì 4 luglio 1947, Spilimbergo. Dimissioni del Sindaco. A guidare la lista comunista sarà, da iscritto al partito, l’ing. Domenico Pievatolo, dirigente della cooperazione di lavoro ed assessore della giunta guidata da Cantarutti e Sedran prima del fascismo: cfr. Lotta e lavoro, anno V, n. 11, di domenica 13 marzo 1949, p. 2, Elezioni comunali a Splimbergo. La lista democratica cittadina è quella dei lavoratori.

384 Su 6358 votanti, di cui 4029 della Fiot, 4466 (70,24%) si esprimono per la Corrente di Unità Sindacale (comunista), 1004 (15,79%) per la Corrente Socialista ed 834 (13,11%) per la Corrente Sindacale Cristiana: cfr. Libertà di martedì 1 aprile 1947, Pordenone. Elezioni sindacali. Mandamento Pordenone. Sono significativi due altri dati: la mancata presentazione della lista socialdemocratica, che testimonia di una complessiva debolezza organizzativa di questa forza politica fra la classe operaia del Pordenonese; e la concentrazione della forza comunista fra le operaie tessili, dove la Corrente di Unità Sindacale ottiene il 73% dei voti (le correnti socialista e democristiana recuperano voti nelle altre categorie minori), ed i 3/4 del voto operaio comunista complessivo.

385 Lotta e lavoro, anno III, n. 3 di domenica 19 gennaio 1947, p. 2, Da Pordenone città operaia. La riunione del Consiglio generale dei Sindacati e la Commissione Esecutiva e la nuova segreteria.

386 I risultati delle elezioni per il 1° congresso provinciale della Cgil, che si tiene il 17-18 maggio, danno 18.875 voti (49,57%) alla Corrente di Unità Sindacale (comunisti), 9.680 (25,42%) alla Corrente Socialista, 7.575 (19,89%) alla Corrente Sindacale Cristiana, 1.430 (3,75%) alla Corrente Unitaria dei Lavoratori (Psli), 510 (1,34%) agli Indipendenti. Cfr.: Libertà di martedì 20 maggio 1947, p. 2, Il Congresso della C.d.L..

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La manifestazione per la strage di Portella della Ginestra, che si tiene il 2 maggio 1947 a Pordenone, è un ulteriore momento di inasprimento, mentre il governo di unità nazionale consuma le sue ultime giornate di vita. Nella piazza XX settembre ricolma di manifestanti parlano i due segretari della CdL (Bresin e Fabretti), quello dell’Anpi Fornasir, Teresina Degan per l’Udi ed Umberto De Gottardo per la Filea: nessun oratore rappresenta forze diverse dai comunisti 387. Una leadership pericolosamente monocolore per un movimento la cui capacità di resistenza inizia ad essere saggiata da troppi avversari. Come un padronato che non si rassegna ad accettare come acquisito lo spirito dei tempi nuovi: il 2 giugno, prima festa della Repubblica, tutte le aziende industriali pordenonesi propongono ai lavoratori di utilizzare la giornata per recuperare le ore non lavorate precedentemente. L’occasione è troppo ghiotta per don Lozer che distribuisce a Torre un volantino contro la Commissione Interna, responsabile di aver impedito ai lavoratori di andare a lavorare in un giorno di festa nazionale: settarismo clericale e scissionismo sindacale si legano in questa pesante manovra di delegittimazione, ad un tempo, del sindacato e della repubblica democratica stessa 388.

Si pone quindi, anche ai comunisti, la questione di come evitare l’isolamento, aiutando il Psi a riorganizzarsi, soprattutto nella realtà pordenonese dove l’azione settaria del primo periodo ha di fatto spinto verso la socialdemocrazia tutto il suo gruppo dirigente e distrutto il partito. E’ in questa fase che rientra dalla Francia Costante Masutti, cui viene affidata la ricostituzione del Psi, che diventerà anche la fase costituente della Federazione socialista pordenonese, che avviene parallelamente a quella del Pci. Un’azione organizzativa che porrà le basi per una presenza socialista di sinistra di lunga durata, testimoniata dalla diuturna presenza nelle sezioni locali del Psi, ricostruita meticolosamente nei diari di Masutti del 1947-1949 e dai resoconti settimanali de Il Lavoratore Friulano 389. Non si tratta di un’assunzione come funzionario, ma di attività volontaria: Masutti continua a fare il muratore: un partito come il nostro, che per la povertà francescana dei mezzi è costretto a contare sulla passione e la incondizionata dedizione degli esponenti locali 390. Nonostante i vuoti importanti nella compagine del partito (in particolare nello Spilimberghese, dove i socialisti passano in massa al Psli), ci sono segnali incoraggianti: come il clima di dialogo fra Psi e Psli in alcune località 391, la confluenza della maggioranza degli azionisti nel Psi 392, la vittoria socialista alla CdL mandamentale di Maniago 393 ed anche alcuni successi elettorali della sinistra, fra cui quello nel ricostituito comune di San Martino al Tagliamento, dove il Psi trionfa da solo contro comunisti e democristiani 394. Un anno dopo Masutti, rientrerà dalla Francia un altro dirigente socialista, l’udinese Azzo Rossi, ex combattente nella Resistenza francese. Assunto inizialmente alla Confederterra, Rossi è destinato di lì a poco ad assumere la vicesegreteria della Federazione socialista e successivamente quella della CCdL al posto di Rota 395.

Il 20-21 dicembre 1947 il 4° congresso provinciale del Pci friulano riequilibra la rappresentanza territoriale, inserendo nel Comitato Federale, oltre ad Emilio Fabretti e Rino Favot, Antonio Scaini, Antonio Zorzetto di Sacile (proveniente dall’emigrazione in Francia e dalla guerra di Spagna) ed infine Angelo Galante di San Vito al Tagliamento. Se ci si è posti il problema di una adeguata rappresentanza del Pordenonese, spariscono del tutto, rispetto al precedente organismo, gli spilimberghesi. Nell’intervento di Scaini, che in poco più di un anno diventerà il segretario della nuova federazione di Pordenone 396, si sentono parole autocritiche sulla gestione del partito. Vengono posti al

Netta affermazione della corrente di unità sindacale. Nella CdL mandamentale di San Vito al Tagliamento, il voto si distribuisce fra i 997 (67,82%) consensi alla Corrente di Unità Sindacale, i 260 (17,68%) della Corrente Socialista ed i 213 (14,49%) della Corrente Sindacale Cristiana: Il Lavoratore Friulano, n. 14 del 19 aprile 1947, p.2, I risultati definitivi delle elezioni sindacali di 8 mandamenti.

387 Libertà di domenica 4 maggio 1947, p. 2, Dopo l’eccidio di Portella della Ginestra. L’imponente manifestazione di protesta dei lavoratori pordenonesi.

388 Libertà di venerdì 6 giugno 1947, p. 2, Spirito repubblicano di certi industriali, comunicato della Segreteria del P.C.I. di Pordenone e giovedì 12 giugno 1947, p. 2, Pordenone. Lettera aperta a Don Lozer, del dott. Nino Scaini, Segretario della Sezione del P.C.I., Pordenone.

389 Il Lavoratore Friulano, nn. 15 del 26 aprile 1947, p. 2, Pordenone. Assemblea generale e 40 del 23 novembre 1947, p.2, Pordenone. Esaminiamo le nostre coscienze, articolo di Masutti. Molti protagonisti della ricostituzione del Psi in questo periodo saranno poi gli organizzatori della scissione di sinistra del Psiup nel 1964: Andrea Piccinin a Pasiano, Giuseppe Tondat a Fiume Veneto, Guglielmo Busetto a Pordenone, Attilio Alberghetti a Torre, Isidoro Venier a Tiezzo, Lino Viel a Sarone (definita sul settimanale socialista la “Molinella del Friuli”), Ernesto Gaspardo a Fontanafredda.

390 Così sarà definita la vita del socialismo pordenonese da Il Lavoratore Friulano, n. 6 del 12 febbraio 1949, p. 2, Notiziario Destra Tagliamento. Costituenda Federazione del P.S.I. Destra Tagliamento.

391 Che a Pordenone riesce ad evitare le polemiche e si estende agli azionisti che stanno separatamente confluendo nei due partiti socialisti: cfr. Il Lavoratore Friulano, n. 28 del 26 luglio 1947, Pordenone. Un ordine del giorno del P.d’A. P.S.I. e P.S.L.I.

392 A Pordenone confluiscono dal Pd’a nel Psi il vicesegretario provinciale Luigi Bisol, che sarà il braccio destro di Masutti nella riorganizzazione del partito (fino alla sua adesione nel 1949 alla scissione romitiana) ed il maestro Rocchetti: cfr. Il Lavoratore Friulano, n. 43 del 13 dicembre 1947, Pordenone.

393 I socialisti conquistano la maggioranza in sei CdL mandamentali friulane: Il Lavoratore Friulano, n. 38 di sabato 11 ottobre 1947, L’animatissima discussione.

394 Il Lavoratore Friulano, n. 23 del 21 giugno 1947, p. 2, Il Convegno precongressuale di domenica ha mostrato che il Socialismo friulano è risorto e n. 24 del 28 giugno 1947, p. 2, I primi risultati delle amministrative in Friuli segnano nette vittorie delle sinistre sulla democrazia cristiana. Fin dai primi mesi dopo la Liberazione il Clnp si esprime a favore della ricostituzione dei comuni sciolti dal fascismo con il Regio Decreto Legge 18 marzo 1927, n. 383: gli accorpamenti arbitrari vengono individuati come uno degli aspetti della politica liberticida della dittatura, in questo caso contro le autonomie comunali. Si tratta di più di trenta enti in tutta la provincia, e la Deputazione Provinciale mette un apposito ufficio a disposizione dei comuni richiedenti. Cfr.: Libertà, Anno I, n. 84, di giovedì 9 agosto 1945, p. 2, Una seduta del C.L.N. Provinciale e 102, di venerdì 31 agosto 1945, p. 2, A proposito di Comuni soppressi dal fascismo.

395 Il Lavoratore Friulano, nn. 11 del 27 marzo 1948, E’ tornato il compagno Azzo Rossi, 27 di sabato 24 luglio 1948, p. 1, Atti della Federazione. Il nuovo Comitato Esecutivo.

396 Conta sicuramente, nella parabola del dirigente comunista pordenonese, il rapporto personale con Mauro Scoccimarro: infatti la sua segreteria si concluderà nel 1954 con il rimescolamento organizzativo conseguente al ricambio politico-generazionale governato da Giorgio Amendola, con l’emarginazione della corrente “tradizionalista” di cui sono esponenti nazionali i friulani Scoccimarro e Pellegrini. Paradossalmente rispetto alle premesse di “rinnovamento del Pci” rivendicate da Amendola, nella riorganizzazione del partito governata da Mario Lizzero - che rientra

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congresso due problemi fondamentali: quello del rapporto con la popolazione pordenonese (occorre fare una azione per impedire un pericoloso isolamento della classe operaia.) e quello della burocratizzazione della vita del partito, a partire dalle sezioni. E’ in quest’ambito che viene decisa la costituzione della Federazione di Pordenone 397. Il ruolo centrale giocato dalla direzione comunista della CdL è evidenziato dalla candidatura di Emilio Fabretti alla Camera dei Deputati per il Fronte Popolare, mentre al Senato viene candidato Costante Masutti per il Psi.

Se le prime indicazioni del 4° Congresso ipotizzavano la costituzione della Federazione di Pordenone nell’ambito di una politica di semplice decentramento organizzativo del partito, un anno dopo - approssimandosi il congresso costitutivo - l’obiettivo viene riempito di contenuti politici, collegandolo a quello della istituzione di una nuova provincia, per dare risposta ad un territorio distante da Udine che non sempre ha saputo sentire i bisogni delle Destra Tagliamento 398. Il 1° febbraio sono i socialisti ad iniziare il percorso di costituzione del loro Comitato di zona del Pordenonese, cui per altro non aderisce l’organizzazione mandamentale dello Spilimberghese, nella quale prevale il legame con Udine: ma il processo si trascina per mesi e contrasti avvengono anche in altre sezioni, portando ad esempio al passaggio di Francesco Ortolan dalla sezione di Sacile a quella di Caneva 399.

La vittoria democristiana del 18 aprile 1948 avviene in un clima di pressioni politiche e sociali, che si aggravano dopo il voto: licenziamenti nelle fabbriche, per distruggere la rappresentanza sindacale e, nelle campagne, la generalizzazione delle disdette dei patti colonici. I disoccupati friulani ammontano ormai a 70.000, e la polizia aggrava la situazione provvedendo all’arresto in patria degli emigranti clandestini in partenza per l’estero. La repressione arriva nelle case dei militanti di sinistra; iniziano le incarcerazioni di partigiani, fra cui quella di Ostelio Modesti, segretario della Federazione del Pci di Udine durante la Resistenza, per i fatti del Porzus.

La federazione comunista di Pordenone si costituisce il 24 giugno, in contemporanea con il Comitato regionale del Friuli-Venezia Giulia distinto da quello del Veneto, con il compito di coordinare le tre federazioni di Pordenone, Udine e Gorizia. Ma l’organizzazione pordenonese non viene ancora lasciata crescere da sola: è trasferito come segretario da Trento il triestino Ferrer Visentini 400. La prima dura prova del nuovo organismo avviene poche settimane dopo, con l’attentato a Togliatti del 14 luglio, che vede l’immediata occupazione delle fabbriche e la costituzione di Comitati di agitazione, con la funzione di garantire il coordinamento della lotta ed il mantenimento dell’ordine pubblico, dopo aver respinto la Celere, che durante la seconda giornata di sciopero carica la manifestazione. In serata si svolge una imponente assemblea popolare; il movimento - controllato dalle organizzazioni di sinistra - cessa in seguito all’arrivo dell’ordine della Cgil di interrompere lo stato di agitazione. Manifestazioni si svolgono nei centri della provincia in un clima di ordinata protesta: unico episodio di violenza è a San Vito al Tagliamento la provocazione armata, bloccata dalla polizia, di un iscritto all’Apo (l’organizzazione scissionistica distaccatasi dall’Anpi che accoglie una parte degli osovani). Nei giorni successivi la polizia provvede ad arrestare numerosi lavoratori ed i dirigenti sindacali, e contemporaneamente la direzione del Cotonificio Veneziano tenta di impedire l’accesso del segretario della CdL agli stabilimenti per tenervi una riunione sindacale: decisione che provoca un compatto sciopero dei 4.000 operai cotonieri, cui partecipano gli aderenti alla Corrente sindacale cristiana 401.

Lo sciopero politico provoca la scissione della corrente democristiana della Cgil: il 6 agosto la riunione del Consiglio sindacale mandamentale decide l’espulsione del democristiano Achille Bianchettin dalla Commissione esecutiva della CdL, per non aver partecipato allo sciopero di luglio ed essere impegnato nell’organizzazione della scissione 402. Altri tre sindacalisti sono espulsi dalla CdL di Maniago 403. Per quanto si smentiscano passaggi significativi di iscritti, si nota la diffusione della loro organizzazione nel territorio 404. Alla fine del mese, come risposta alla scissione della Cgil e come segnale della ripresa di iniziativa socialista, viene cooptato un esponente di questo partito, Domenico Moras, nella segreteria alla CdL mandamentale, ma i socialisti hanno anche la responsabilità della Confederterra del mandamento di Pordenone con Ferruccio De Michelis (oltre che di quella provinciale con Umberto Chiappolino) 405.

Le elezioni per le Commissioni Interne degli stabilimenti industriali che si tengono alla fine dell’anno sembrano premiare ampiamente la Cgil, con risultati che confermano il suo consenso sia nei grandi stabilimenti cotonieri, sia nelle medie aziende metallurgiche come la Safop e la Zanussi. Nelle filande la situazione è invece controversa: alla Valdevit di Porcia si afferma la Cgil, mentre i Sindacati Liberi prevalgono alla filanda Zava di

in Friuli come segretario regionale lasciando la segreteria della Federazione di Venezia - alla segreteria di Scaini succede quella di Vincenzo Marini, che impone un più stretto controllo del partito sul movimento sindacale.

397 Lotta e lavoro, anno IV, n. 1, domenica 4 gennaio 1948, pp. 1-3, Il nuovo Comitato Federale, I lavori del Congresso. Gli interventi della prima giornata e Costituire a Pordenone una nuova Federazione.

398 Lotta e lavoro, anno IV, n. 43, domenica 24 ottobre 1948, p. 1, Preparativi per il Congresso della Federazione di Pordenone. 399 Il Lavoratore Friulano, n. 5 del 7 febbraio 1948, Pordenone. Costituzione di zona. 400 Lotta e lavoro, Anno IV, n. 26 di domenica 27 giugno 1948, p. 1, Costituita la Federazione comunista di Pordenone. 401 Lotta e lavoro, Anno IV, nn. 29-30 di domenica 25 luglio 1948, pp. 1-2, Le vigorose giornate dello sciopero generale nel loro fremente

svolgimento in tutto il Friuli e 32 di domenica 8 agosto 1948, p. 2, Vittoria al Cotonificio Veneziano e Cessati gl’interrogatori. 402 Lotta e lavoro, Anno IV, n. 32 di domenica 15 agosto 1948, p. 2, Dalla redazione di Pordenone. Via i crumiri e i traditori dell’unità

sindacale. 403 Lotta e lavoro, Anno IV, n. 35 di domenica 29 agosto 1948, p. 2, Dalla redazione di Pordenone. Maniago. Via i traditori. 404 La presenza della Corrente Sindacale Cristiana, ad esempio nelle filande, è tutt’altro che irrilevante: nelle elezioni per la Fiot della CdL

mandamentale di Sacile di un anno prima, i risultati avevano dato 4 delegati per i comunisti, 4 per la Csc ed 1 per i socialisti: cfr. Libertà di venerdì 30 maggio 1947, p. 2, Sacile. Nel sindacato tessili.

405 Il Lavoratore Friulano, nn. 32 di sabato 4 settembre 1948, p. 2, Pordenone. Nella C.M. d. L., 4 del 29 gennaio 1949, p. 2, Notiziario Destra Tagliamento. Riunione e 5 del 5 febbraio 1949, p. 2, Notiziario Destra Tagliamento. Commissione Sindacale.

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Spilimbergo 406. Ma il dato generale del tesseramento dimostra una crisi dell’insediamento sindacale, che evidentemente risente, oltre che della scissione democristiana, della più generale crisi occupazionale, come dimostra per esempio il calo di quasi cinquemila iscritti nel solo settore edile (da 11.848 iscritti a 7.014) fra 1949 e 1950, che supera di gran lunga l’arretramento segnato fra i metallurgici (da 3.926 a 2.767), i tessili (da 7.548 a 5.222), i chimici (da 1.220 a 961), le industrie estrattive (da 1.025 a 871), i poligrafici e cartai (da 1.263 a 971), le industrie del legno (da 1.478 ad 853), i mezzadri (da 3.034 a 2.000). Altre categorie rimangono stabili, in particolare nel pubblico impiego, come i ferrovieri (da 2.418 a 2.404), gli autoferrotramvieri, gli statali, i dipendenti degli enti locali (che contano ciascuna poche centinaia di iscritti) ed i braccianti (da 1.027 a 1.050) 407.

La scissione comporta da quel momento un grave cambiamento del clima sindacale: i picchettaggi con gli scontri fra sindacalisti della Cgil e quelli dei Sindacati Liberi che non aderiscono allo sciopero; la repressione generalizzata da parte delle autorità; una forte reazione padronale che mette in discussione la rappresentatività delle Commissioni Interne e nuove forme di lotta: dai brevi scioperi generali di solidarietà - che a Pordenone permettono di far pesare la classe operaia cotoniera a favore delle aziende minori - alla “non collaborazione”, forma di irrigidimento al mansionario produttivo che viene svolta sul luogo di lavoro senza giungere allo sciopero 408.

14.6 - Il 1949, l’anno dell’autonomia possibile. Nel gennaio 1949 Pci e Psi costituiscono le federazioni autonome del Friuli occidentale anche se, fino

all’entrata in funzione dell’ente provincia ed agli anni ‘70, la definizione convenzionalmente usata per le istituzioni di questo territorio è quella idrologica di Destra Tagliamento. Il Psi organizza, il 19 dicembre 1948, il suo esecutivo provvisorio da cui rimangono escluse le sezioni dello Spilimberghese, che continuano a fare riferimento ad Udine. Le motivazioni sono legate alle distanze con il capoluogo di provincia, alla mancanza di risorse ed alla necessità di massimizzare i risultati di un lavoro totalmente volontario: ma emerge anche un problema di legittimazione politica, a fronte dell’autonomia federale già raggiunta dai comunisti e di quella cui dovrebbe essere elevata la CdL, nonché dell’imminente entrata in vigore dell’ordinamento regionale, con la conseguente costituzione della nuova provincia.

La questione dell’autonomia provinciale riemerge dopo due anni, con prese di posizione del Pci, del Psi e della Democrazia Cristiana. Sull’argomento intervengono con lunghi scritti i comunisti Antonino Scaini e Teresina Degan ed il socialista Luigi Bisol, che pongono sul tappeto i motivi che rendono necessaria l’autonomia. La rivendicazione della nuova provincia deriva da un atto di accusa verso le classi dirigenti udinesi presenti e passate: strade in abbandono o mancanti, scuole accentrate solo nel capoluogo di provincia, bonifiche ed acquedotti da realizzare, il sottosviluppo della montagna, ed in particolare della Val Cellina. Inoltre è sottolineata la lontananza degli uffici provinciali e statali dai cittadini e dai problemi dei comuni del Friuli occidentale (problema che secondo Bisol per qualche anno era stato risolto con la presenza delle Sottoprefetture). I cittadini debbono compiere viaggi che, stante il sistema dei trasporti, durano anche 4 o 5 ore, costringendo le persone a dover pernottare ad Udine prima del ritorno; viceversa la lontananza dei comuni significa una diminuzione dell’attenzione del centro per le loro problematiche e minori finanziamenti assegnati.

Si affaccia un’argomentazione politica che avrà la sua importanza in fase di costituzione della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia: lo squilibrio territoriale costituito dalle dimensioni della provincia di Udine. Fra i nemici dell’autonomia provinciale sono indicati i ceti dirigenti locali, come gli agrari sanvitesi (che hanno i loro interessi in tutto il Friuli), ma anche dirigenti politici provenienti dalla sinistra, come il sindaco socialdemocratico Ciani di San Vito 409, oppure intere comunità, come quella spilimberghese che si sente staccata dal Pordenonese per mancanza di collegamenti fisici fra i due territori (a tal proposito, Scaini sembra dare per scontato che questo mandamento resterà con la provincia di Udine, mentre ipotizza che della nuova provincia entrino a far parte i comuni del Portogruarese e, dalla provincia di Treviso, quelli di Motta e Meduna di Livenza, secondo la logica dei “confini naturali” fissati dai fiumi). Secondo Bisol, le convergenti prese di posizione delle varie forze politiche, di maggioranza ed opposizione, dovrebbero permettere di costruire un organismo interpartitico unitario che operi al di sopra degli schieramenti politici, visto l’interesse comune del territorio 410.

406 Lotta e lavoro, anno IV, n. 51 di domenica 26 dicembre 1948, p. 2, Dalla Federazione di Pordenone. Incrollabile spirito unitario dei

lavoratori pordenonesi ed anno V, n. 7 di domenica 13 febbraio 1949, p. 2, Elezioni alla filanda Zava di Spilimbergo. 407 Archivio Cgil nazionale, Ufficio organizzazione, Amministrazione tesseramento 1949-1973, b. 63, ciclostilato della Cgil, Ufficio

Organizzazione, Tesseramento per categorie e settori. Anni 1949-1950. Riepilogo generale anni 49-50 (gli iscritti sono analizzati per categorie e per province); b. 9, f. 5, 1962, Camere del Lavoro, Triveneto andamento 1949-1951 (gli iscritti sono analizzati per CdL):

1949 1950 1951 1952 1953 1954/55 Udine 42.421 30.717 34.196 29.291 18.166 18.177 Pordenone - - - - 8.205 9.070 Totale 42.421 30.717 34.196 29.291 26.371 27.247 1956/57 1958 1959 1960 1961 Udine 11.439 9.172 9.441 9.746 10.785 Pordenone 5.828 3.869 4.318 4.754 5.083 Totale 17.267 13.041 13.759 14.500 15.868

408 Il Lavoratore Friulano, anno XXVI, n. 9 di sabato 5 marzo 1949, p. 1, La non collaborazione. 409 Che presiede una giunta di sinistra insieme al comunista Culos. 410 Lotta e lavoro, anno IV, nn. 48 di domenica 5 dicembre 1948, p. 2, Avremo la Provincia di Pordenone? ed anno V, n. 2, di domenica 2

gennaio 1949, p. 2, stesso titolo, articoli di Antonino Scaini, 3 di domenica 6 gennaio 1949, p. 2, Pordenone provincia della Destra Tagliamento? e 6

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Il 29-30 gennaio 1949 si tiene il congresso costitutivo della Federazione comunista di Pordenone. Il nuovo gruppo dirigente del Pci è totalmente locale, anche se non riuscirà a completare il suo breve mandato, venendo sostituito al congresso successivo. A fianco del nuovo segretario Scaini l’organizzazione è diretta da Rino Favot; insieme con il sindacalista Emilio Fabretti e con Angelo Mirolo, segretario di Spilimbergo, sono gli unici quattro membri del Comitato federale che abbiano vissuto la fase della cospirazione antifascista. Gli altri 19 componenti, quasi tutti sotto i trent’anni, vengono dalla generazione che ha fatto la guerra partigiana; il responsabile giovanile Giovanni Migliorini, già attivo nel sindacato, è il primo che ha iniziato a far politica dopo la Liberazione 411.

In realtà lo spazio di manovra della nuova federazione rimane ristrettissimo, come dimostra un caso emblematico, che segnerà come un “peccato originale” la vita di questa organizzazione: l’espulsione di Pier Paolo Pasolini. Lo scandalo creato dall’accusa di corruzione di minorenni, in un procedimento orchestrato dagli ambienti conservatori infastiditi dall’originale attività di Pasolini come segretario del Pci di Casarsa, getta ovviamente in crisi i comunisti. Il poeta viene immediatamente escluso dal partito, con una decisione cui si oppone Teresina Degan, la sola dirigente che rivendica il rispetto della presunzione d’innocenza (che sarà poi confermata dall’assoluzione al processo). Per altro, le circostanze documentali (e la stessa mancanza di documentazione, sia presso l’archivio dell’Ufficio Quadri della Federazione del Pci, sia presso l’Istituto Gramsci di Roma), fanno pensare ad una decisione di apparato, presa senza vera consultazione democratica: la stessa opposizione di Degan può essere stata espressa solo la sera, quando i compagni si recavano in sede dopo la fine dell’orario di lavoro 412. La decisione viene in realtà imposta dall’alto. Secondo una versione con una telefonata di Mario Lizzero, trasferito nel luglio 1949 dalla segreteria regionale friulana a quella del Veneto come vicesegretario, ma che continua ad occuparsi delle vicende del partito friulano; in ogni caso, secondo Nico Naldini, cugino e biografo di Pasolini, con una decisione presa ad Udine, e non a Pordenone. Probabilmente da Ferdinando Mautino, che sarà poi la persona cui si rivolgerà polemicamente lo scrittore in una lettera 413.

La riorganizzazione socialista procede alacremente nel territorio, grazie all’attivismo dei dirigenti della nuova federazione: il segretario Carmelo Jacopino, il vicesegretario Gino Ellero, l’amministratore Trani, il responsabile sindacale Luigi Bisol, oltre al responsabile organizzativo Masutti. Il successo nelle elezioni per la Commissione Interna della grande industria di serramenti cittadina Zanette galvanizza i socialisti pordenonesi. Nell’assemblea del 13 febbraio essi pongono con forza a Remigio Rota la questione di una loro presenza stipendiata nella Camera del Lavoro 414. Nel frattempo però, in attesa dell’autorizzazione nazionale a costituire la nuova federazione, al 7° congresso provinciale del 23-24 aprile 1949 vengono ancora eletti organismi dirigenti unici, nei quali il Friuli occidentale è rappresentato da Costante Masutti (che entra anche nell’Esecutivo) e Luigi Bisol, oltre che dai responsabili di zona Antonio Camoli per Spilimbergo e Francesco Ortolan per Sacile 415.

La soluzione alla questione della presenza socialista al vertice della CdL di Pordenone viene individuata nell’ambito della politica della “doppia tessera”, utilizzata negli anni del Fronte Popolare per sostenere con il travaso di quadri comunisti il Psi: viene individuato come vicesegretario camerale un esponente comunista, Mario Bettoli. Siamo in una fase in cui il Psi nazionale è sull’orlo del tracollo organizzativo, ed avviene al suo interno una svolta politica: dopo la breve gestione centrista avviata dal congresso di Genova dell’anno precedente, il XXVIII congresso del maggio 1949 segna il ritorno della segreteria alla sinistra. Non può costituire un caso che a rappresentare i socialisti nel sindacato sia scelto un giovane ex comandante partigiano emigrato a Milano che, avviato alla formazione sindacale nei primi mesi di quell’anno, figura ancora fra i componenti del nuovo Comitato federale eletto al congresso costitutivo della federazione del Pci di Pordenone in marzo. Pur in mancanza di riscontri certi, non si può non rilevare il passaggio di quadri comunisti al Psi nei mesi in cui Nenni e la sinistra riconquistano il controllo del partito con un risicato 51% dei voti. Nel luglio successivo il vicesegretario socialista udinese Rossi propone Bettoli anche come segretario della Federazione di Pordenone, irritando alquanto Masutti che (in continua frizione con il segretario socialista della CCdL) fa notare come lo statuto del Psi non preveda la possibilità di affidare incarichi ad un compagno iscritto da pochi giorni. 416.

di domenica 6 febbraio 1949, p. 2, Per la realizzazione della Provincia di Pordenone, articoli siglati T.D.; Il Lavoratore Friulano, nn. 8 del 26 febbraio 1949, p. 2, Dalla Destra Tagliamento. La Provincia di Pordenone, 9 del 5 marzo 1949, p. 2 e 10 del 12 marzo 1949, p. 2, stesso titolo, articoli di Luigi Bisol. Per capire i motivi basta guardare una carta geografica: l’arida alta pianura del Friuli occidentale è solcata da un cuneo desertico costituito dalla confluenza degli estesi invasi dei torrenti Cellina, Colvera e Meduna che, con lo stretto ed irruento solco del Cosa, hanno costituito da sempre un ostacolo insormontabile per le comunicazioni. Solo nei primi anni del Novecento è iniziata la costruzione di ponti per varcare questi corsi d’acqua irregolari, opera non ancora conclusa a tutt’oggi, per il peso delle servitù gravate sull’area, destinata ad esercitazioni militari di ogni tipo. Sarà poi la CdL mandamentale il primo organismo ad esprimersi a Spilimbergo per la creazione della nuova provincia: cfr. Lotta e lavoro, anno VI, n. 16 di domenica 16 aprile 1950, p. 2, La C.d.L. di Spilimbergo per la provincia di Pordenone, lettera del geom. Ellero.

411 Oltre ai resoconti della fase congressuale su Lotta e lavoro, cfr. in particolare Per la pace e il lavoro. Bollettino sul Primo Congresso della Federazione Comunista di Pordenone, numero unico, Pordenone, Arti Grafiche F.lli Cosarini, marzo 1949, in archivio privato Teresina Degan.

412 Cfr. Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Milano, Garzanti, 1977, p. 43, lettera di Teresina Degan. 413 l’Unità di sabato 29 ottobre 1949, Espulso dal P.C.I. il poeta Pasolini; testimonianze di Teresina Degan, di Eugenia Bellot Fabretti,

Pordenone, febbraio 2006, di Bruna Feltrin Scaini, Pordenone, 3 maggio 2006 (che chiama in causa Lizzero) e di Nico Naldini, Treviso 2013. Per la lettera di PPP a Mautino, cfr. Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte,cit. pp. 44-45.

414 Il Lavoratore Friulano, nn. 3 del 22 gennaio 1949, p. 2, Notiziario della Destra Tagliamento. Prima adunanza dell’Esecutivo costituenda Federazione Destra Tagliamento, 6 del 12 febbraio 1949, p. 2, Notiziario Destra Tagliamento. Costituenda Federazione del P.S.I. Destra Tagliamento e n. 7 del 19 febbraio 1949, p. 2, Notiziario Destra Tagliamento. Adunanza del Comitato Direttivo della costituenda Federazione “Destra Tagliamento”.

415 Il Lavoratore Friulano, nn. 14 del 30 aprile 1949, p. 2, Le votazioni per le elezioni del Consiglio Direttivo hanno dato i seguenti risultati e 19 di sabato 4 giugno 1949, p. 1, I nuovi organi esecutivi della Federazione.

416 Sul Psi, cfr.: MATTERA, Paolo, Il partito inquieto. Organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo

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Sono gli ultimi mesi di frenetica attività di Masutti in Friuli: grazie al suo impegno, la nascente federazione del Psi di Pordenone è in controtendenza rispetto alla situazione nazionale ed è riuscita a dare alla base operaia e contadina socialista un riferimento organizzativo. Dopo il congresso di maggio, escono ancora alcuni compagni, come Bisol a Pordenone, ma questo non influisce su una ripresa dell’iniziativa socialista che porterà il partito all’espansione nel decennio successivo. In novembre Masutti è nuovamente a Parigi, dove prende immediatamente contatti con i compagni per riorganizzare la federazione socialista in Francia. Negli anni successivi ritornerà a Pordenone per votare, protestando con i compagni locali che non gli danno più spazio per intervenire nelle iniziative pubbliche né lo aiutano nell’assegnazione di un alloggio popolare per permettergli il rientro in patria 417.

14.7 - La costruzione della nuova classe operaia nell’industria manifatturiera.

... la classe lavoratrice ha dimostrato di non essere per lo sciopero

ma per la ricostruzione italiana. Il che non è stato sempre tenuto presente

dai rappresentanti dei datori di lavoro. Elso Gasparotto,

segretario della CdL di Pordenone nel 1945-1946 418. Il sindacato pordenonese nel secondo dopoguerra deve affrontare la realtà di nuovi settori industriali che,

ancora allo stadio di gestazione, costituiranno la spina dorsale dell’economia del territorio, tanto da riuscire nel decennio successivo (almeno sul piano quantitativo) a riassorbire quasi senza scosse le migliaia di posti di lavoro distrutti nell’industria cotoniera. Si tratta di tre settori essenzialmente: l’industria metallurgica, che si sviluppa attorno ad alcuni stabilimenti come la Safop, che produce macchine utensili, la Savio, che produce macchine tessili e la Zanussi, che dalla produzione di cucine economiche si espanderà poi nei decenni successivi a tutta la gamma degli elettrodomestici di consumo e dell’elettronica, sostituendo i cotonifici nel ruolo di grande industria che presiede alle principali dinamiche economiche ed occupazionali del territorio. Il settore chimico vede l’affiancarsi alla antica fabbrica di stoviglie Galvani di nuovi stabilimenti nel campo della ceramica sanitaria, in particolare la Ceramica Scala. Il settore del legno, partendo dallo sviluppo di alcune aziende collocate a Sacile, vede l’espandersi della produzione in tutto il territorio al confine con il Trevigiano, con la costituzione della “Zona del mobile”.

Questi settori, evolvendosi dall’artigianato, forniscono nuova occupazione ad una manodopera di origine essenzialmente agricola: per questo solo superficialmente si può parlare di una sostituzione dell’occupazione tessile con quella nei nuovi settori manifatturieri. In realtà la gran parte delle lavoratrici cotoniere, fulcro di una classe operaia fortemente politicizzata, saranno semplicemente espulse dai processi produttivi, mentre la nuova manodopera è generalmente priva di tradizioni sindacali e soggetta a forme di sfruttamento generalizzate, che solo con fatica verranno combattute dall’organizzazione sindacale. Fanno eccezione alcune medie aziende che sviluppano produzioni fortemente specializzate, dove la manodopera qualificata tende a mantenere una costante sindacalizzazione: la Safop e, fino agli anni ’70, lo stabilimento di serramenti Zanette di Pordenone nel settore del legno, nato all’inizio del secolo dall’indotto dei cotonifici.

E’ in questi settori che avviene il decollo economico del Friuli occidentale negli anni ‘50, in una situazione di bassi redditi che colloca la futura provincia di Pordenone al di sotto di quelli nazionale e friulano fino al 1970. Il paradosso è dato dal basso reddito industriale complessivo del Friuli occidentale, che ancora nel 1951 è inferiore alla media provinciale e nazionale. Il settore tessile, nonostante alcune conquiste della classe operaia pordenonese, è comunque quello a più basso reddito fra i salari industriali, anche a causa della discriminazione salariale a scapito delle donne, ma evidentemente non c’è un recupero grazie agli altri settori, neanche con le rimesse degli edili migranti. A ciò va aggiunta la perversione delle “gabbie salariali”, che permangono fino al 1969, per cui i “mitici” edili friulani si trovano ad essere pagati meno di quelli giuliani e di quelli di Milano, meta di massiccia emigrazione 419. Negli anni ‘50 inizia nel Friuli occidentale il grande balzo in avanti dell’industria, la cui percentuale nella composizione del reddito complessivo schizza in dodici anni dal 28% al 39,7%, superando nel 1963 la media nazionale. C’è però un dato che spiega come i valori complessivi continuino a basarsi su una condizione di sfruttamento della manodopera: in quello stesso anno il reddito per abitante della futura provincia è ancora più basso della media provinciale e nazionale, sintomo che - come nella fase di prevalenza del tessile e dell’edile - i salari sono bassi, gli orari di lavoro sono lunghi ed i rapporti di lavoro sono irregolari. Ed infatti il balzo del reddito oltre quelle soglie avviene solo nel 1970, dopo anni di crescenti agitazioni sindacali: per questo motivo lo studio dell’organizzazione operaia nei settori manifatturieri che

economico, Roma, Carocci, 2004. Su Mario Bettoli ed il suo passaggio dal Pci al Psi, cfr.: Per la pace e il lavoro, cit., p. 4; Quaderno V di Costante Masutti, annotazione sul Comitato Esecutivo Psi Destra Tagliamento del 24 luglio 1949, p. 39, in Centro Studi Pietro Gobetti; testimonianze di Mario Bettoli, di Mario Maschio (il partigiano Pipetto, pure lui passato dal Pci al Psi e poi al Psiup) ed intervista di Guglielmo Bettoli, Melbourne, 30-31 agosto 2005: il fratello maggiore di Mario ricorda inoltre che lui stesso, negli anni precedenti, era stato indotto dal Pci pordenonese ad iscriversi al Pd’a, per fornire informazioni sulla politica di questo partito.

417 Archivio privato Teresina Degan, lettera di Costante Masutti Ai Compagni Consiglieri del Comune di Pordenone ed a tutti i Compagni, L’Hay Les Roses 24 Agosto 1958 e quaderno V in Centro Gobetti, To.

418 Libertà di giovedì 24 aprile 1947, p. 2, Felicemente concluse le trattative del Cotonificio Veneziano. 419 Archivio della Fillea-Cgil di Pordenone, L'Edile, anno I, n. 8, dicembre 1968, pag. 1, Lo sciopero regionale del 13 dicembre.

Significato e valore della battaglia contro le “zone salariali”.

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sostituiscono quelli tradizionali è importante, per capire il contributo degli organizzatori sindacali che, negli anni bui successivi alla Liberazione, hanno costruito le premesse di quel grande movimento che si colloca convenzionalmente nel 1968-1969 420.

Emersa dal mondo dell’artigianato e delle professionalità operaie formatesi nei cotonifici (dove nasce la prima Fiom nel 1919, così come nel decennio precedente era successo alla Federazione Edilizia) l’industria metallurgica ha iniziato la sua lunga incubazione all’inizio del secolo, e si è sviluppata in condizioni di minorità sotto il regime, sostituendo la mancanza di infrastrutture con forme di sfruttamento della manodopera che continueranno anche nei decenni successivi. Ecco come nel 1935 riferisce le modalità organizzative della Zanussi un giovane operaio comunista emigrante in Francia, in quella che è forse la prima descrizione del futuro colosso dell’industria dell’elettrodomestico: Occupa una ventina di giovani operai. Vengono assunti all'età di 14-15 anni con una paga di poche lire alla settimana. L'apprendistato varia da uno a due anni a piacere del padrone. Allorché la conoscenza della professione è raggiunta le paghe variano da 3 a 5 lire al giorno. Questi giovani vi lavorano in generale fino alla partenza al reggimento. Al loro ritorno non sono più assunti perché il padrone mantiene regolarmente alcuni operai istruttori che permettono di far subire la stessa sorte ad altri giovani. Suo fratello che lavora alle macchine prende 25 lire alla settimana 421.

Nel dopoguerra fino al 1948 non ci sono ridimensionamenti di organico, sia perché la produzione è ridotta, sia per il blocco dei licenziamenti generale. Ma ci sono riduzioni di orario, che vengono fatte gravare dall’azienda sull’Inps: nel 1947 (dal 2 gennaio al 31 marzo e dal 25 al 27 dicembre) per mancanza di materie prime; nel 1948 (dal 29 dicembre 1947 al 7 febbraio 1948 e dal 9 febbraio al 29 maggio) per le restrizioni dei consumi di energia elettrica, cui segue un'imprevista mancanza di lavoro alla fine dell'inverno; nel 1949 (dal 7 febbraio al 30 aprile e dal 1° al 27 agosto) per carenza energetica; nel 1950 (dal 6 febbraio al 29 aprile) per il calo della richiesta di mercato. Praticamente, l’azienda diminuisce significativamente il costo del lavoro - quando non può licenziare - facendolo gravare sull’assistenza pubblica.

La situazione esplode nel 1949, quando in marzo la Zanussi licenzia 120 operai, pari al 34% delle maestranze, senza avvertire la Commissione Interna, provvedimento che produce lo stato di agitazione da parte della Cgil in tutte le fabbriche pordenonesi, che però non riesce a risolvere la vertenza: la Zanussi procede quindi alla riassunzione di operai, stipulando con questi contratti individuali in deroga al contratto collettivo. L’anno dopo la Zanussi ripropone 183 licenziamenti, pari al 42% dell’organico, ed a questo punto il 28 febbraio la fabbrica viene occupata dai 400 operai. Dopo una trattativa durata l’intera giornata, la proprietà è costretta ad assumere 93 operai e ad impegnarsi ad assumerne successivamente altri 99 in accordo con i sindacati, abolendo inoltre lo straordinario per facilitare al più presto il rientro. Si tratta di una clamorosa vittoria della Cgil, strappata grazie al sostegno popolare all’occupazione ed al rifiuto di quasi tutti i 120 iscritti ai Sindacati Liberi di dissociarsi dalla lotta.

Nel 1951 la Zanussi riduce l’orario per l'incertezza del mercato internazionale, sia per il reperimento di materie prime che per le prospettive di vendita. Durante l'inverno, inoltre, l'azienda mantiene in servizio solo il personale minimo per la manutenzione degli impianti, licenziando quello assunto a tempo determinato: a questo punto l’Inps mette in discussione i disinvolti metodi aziendali. Il 16 marzo la Commissione provinciale di Udine per la Cassa integrazione guadagni accoglie a maggioranza dei voti la richiesta della Ditta Antonio Zanussi – Fabbrica cucine “Rex” di Pordenone, relativamente alla totalità dei suoi 317 operai, lavoranti 24 ore settimanali dal 26 febbraio al 31 marzo a causa della “stasi temporanea di lavoro in attesa di nuove commesse dalla clientela”, ma l’Inps ricorre, denunciando il fatto che le sospensioni dal lavoro sono strutturali ed accertate fin dal 1947, in quanto le commesse cessano verso la metà di gennaio per riprendere poi verso la metà di aprile.

Analogo provvedimento e motivazioni riguardano la Società p.a. Industria Cucine “Nova” di Porcia, esercente la fabbricazione e vendita di cucine economiche a legna, a gas ed elettriche e di articoli casalinghi, società pure promossa da Antonio Zanussi e che riduce l'orario dal 5 al 31 marzo 1951. La riduzione, pure a 24 ore lavorative settimanali, riguarda 37 operai, numero raggiunto nel novembre 1950, dopo l'assunzione dei primi 7 operai nel luglio 1950, passati ad 11 in settembre ed a 16 in ottobre.

Il ricorso dell’Inps viene portato al Comitato Speciale dell'Integrazione di Roma, dove avviene un fatto curioso: solo i rappresentanti nazionali della Cgil sostengono la linea della Zanussi, che però viene respinta. Non i Sindacati Liberi, non la Confindustria sostengono l’azienda pordenonese, ma il sindacato antagonista che - dopo aver strappato con una dura lotta il primo accordo per stabilizzare il personale, superando la precarietà diffusa, si assume il compito di aiutare l’azienda a far quadrare il bilancio. Un atteggiamento responsabile, che smentisce i facili luoghi comuni sulla Cisl sindacato realista ed attento alla dimensione aziendale e sulla Cgil massimalista, sposati recentemente anche da un ex segretario regionale della Cgil diventato storiografo aziendale 422.

Unica via rimasta, consigliata dalla segreteria della Cgil alla CdL, è quella del ricorso al Ministero del Lavoro. Cosa che la Zanussi fa il 13 luglio, sostenuta anche questa volta dalla Cgil. Le motivazioni sindacali sono basate sul semplice fatto che la mancata corresponsione dell'integrazione danneggia fortemente i 340 dipendenti. Come dichiara una lettera del segretario Fabretti, in febbraio e marzo di ogni anno la Ditta riduce il ritmo di produzione (si afferma che ciò avviene per un rallentamento nelle vendite, ma noi pensiamo che lo facciano anche per non trovarsi, all'inizio

420 Per i dati, cfr. i capitoli 2 e 3 in: GRANDINETTI, Pierluigi e Roberto, Il caso Friuli, cit. 421 Ifsml, Fondo Pcd'i, b.5, 1933/38, f. 142, Relazioni di funzionari e di compagni locali sulle condizioni dei giovani e sul lavoro svolto

dalla Fgc in Friuli (Udine e Pordenone) e nella Venezia Giulia, febbraio 1935, lettera dattiloscritta, datata Tolone febbraio 1935, Per la F.G.C.d'I., firmata Gioberti.

422 PADOVAN , Giannino, Da Pordenone a Stoccolma. La Storia e i Protagonisti del Gruppo costruito da Lino Zanussi, Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2005.

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della nuova stagione, con i magazzini pieni di cucine di tipo superato), licenziando temporaneamente una parte del personale e facendo lavorare il resto a ritmo ridotto. Questa consuetudine ha sempre dato origine ad azioni decise da parte nostra; azioni che hanno permesso di ridurre al minimo i licenziamenti temporanei e le sospensioni. Quest'anno l'azienda, in data 15 gennaio, aveva licenziato soltanto una ventina di operai e tutti gli altri lavoravano ad orario ridotto, ma la crisi, contrariamente ad ogni previsione si è prolungata fin verso la metà del mese scorso e solo attualmente sembra ci sia una fase di faticosa ripresa. Ma il ricorso, nonostante il riconfermato sostegno della Cgil, nulla può di fronte al fatto che Inps ed Ispettorato del Lavoro riescono facilmente a dimostrare come la Zanussi abbia strutturalmente abusato dell'istituto dell'integrazione salariale. Alla Cgil nazionale non rimane che consigliare alla CdL di ricorrere alla via della contrattazione sindacale nei confronti dell'azienda, in quanto è chiaramente precluso, da oggi, ogni ricorso alla Cassa Integrazione alle maestranze della Ditta Zanussi per il periodo febbraio-maggio 423.

Se questa è la situazione dell’azienda che di lì a poco diventerà la seconda industria privata italiana, osserviamo le dinamiche di una media azienda ad alta specializzazione. All’inizio del 1946 la Cgil pone alle autorità il problema della gestione della Safop, una industria che produce macchine utensili di proprietà della famiglia Coran, che da mesi costringe gli operai ad entrare in agitazione per ottenere la regolarità delle retribuzioni. In un incontro con la Prefettura e l’Associazione Industriali, il segretario della CdL Gasparotto ed i delegati della Commissione Interna Corrado Burin e Luigi De Marchi accusano l’azienda di stare spostando gli investimenti dallo stabilimento pordenonese a quello di Milano 424. I Coran perseverano con il loro comportamento: all’inizio di marzo, dopo un mese di mancata retribuzione, gli operai sono costretti a cinque giorni consecutivi di sciopero, dopo i quali il viceprefetto conte di Varmo giunge alla conclusione, d’accordo con il sindacato, di commissariare l’azienda. L’amministratore Antonio Coran è costretto a versare un anticipo delle retribuzioni dopo che, oltre a di Varmo, interviene duramente a sostegno delle ragioni degli operai un maggiore dei carabinieri. Infine l’azienda è dichiarata fallita e si arriva alla chiusura l’11 maggio, lasciando senza lavoro duecento operai. La CdL è costretta a richiederne l’assunzione alle altre aziende della zona 425.

La Safop riapre in esercizio provvisorio dopo qualche settimana, assorbendo alcune decine di operai: la ripresa della produzione giunge al punto che la CdL riesce ad ottenere dalla curatela miglioramenti salariali per tutti gli operai, il riconoscimento dei passaggi di qualifica per gli specializzati e l’impegno a nuove assunzioni. L’esempio dei lavoratori e del sindacato alla Safop appare il punto di riferimento della categoria dei metalmeccanici 426. Nella primavera del 1947 gli operai scendono nuovamente in sciopero, per richiedere di essere coinvolti nella soluzione della vicenda relativa alla proprietà della loro azienda. Si profila l’acquisto da parte di una società costituita dagli impiegati del Cotonificio Veneziano, i quali hanno ottenuto una consistente indennità (i cosiddetti “milioni del Veneziano”) per il servizio prestato in gravose condizioni durante la guerra: vertenza che ha creato un indubbio risultato economico, a costo però di seminare polemiche fra impiegati ed operai ed all’interno di questi ultimi 427. Gli operai richiedono agli impiegati-investitori di riunirsi in un’assemblea comune: i lavoratori sono certi, che se i sopracitati impiegati del Cotonificio Veneziano saranno animati della dovuta comprensione, unitamente ad una dovuta intuizione del problema, e da una altrettanta coscienza sindacale, accetteranno il punto di vista dei lavoratori, punto di vista che porterebbe l’industria a quelle augurabili fortune volute, speriamo da tutti e con il benessere di tutti 428.

In realtà il cambio gestionale, affidato ad un capace dirigente tecnico di origine svizzera, Herliker, comporta una continua conflittualità sindacale, come dimostra ad esempio la richiesta di licenziamento di 107 operai presentata dall’azienda nel gennaio 1950, che viene respinta ottenendo una riduzione di orario con integrazione salariale. Il direttore riesce progressivamente ad infliggere colpi all’organizzazione sindacale (mai decisivi, essendo questo stabilimento ancor oggi una storica roccaforte della Fiom-Cgil), costringendo all’emigrazione molti operai, ma ottenendo infine un risultato paradossale: la carenza di manodopera professionalizzata. La proprietà sarà costretta infine a richiamare gli operai allontanati 429.

Condizioni peggiori infine alla Ceramica Scala, azienda diretta da Locatelli, nipote di uno dei fondatori dell’industria cotoniera. Le radici di questa industria che produce sanitari, pure destinata ad un grande sviluppo, nascono dalla lunga tradizione della ceramica locale ma, a differenza dell’alta professionalità della manodopera della Galvani, la condizione della Scala è, e sarà per decenni, quella di uno stabilimento dove la gestione del personale è proverbiale per la sua scorrettezza: non si rispetta il salario minimo contrattuale, l’indennità di contingenza, i diritti

423 Archivio Storico Cgil, 1952, b. 13, f. 262, Udine. Cassa integrazione salari, corrispondenze fra la Ditta Antonio Zanussi, la ditta Nova

di Porcia, il Servizio gestioni speciali dell'Inps, le CCdL di Udine (a firma Antonio Ruffino) e Pordenone (a firma Emilio Fabretti), l'Ufficio contratti e vertenze della Cgil nazionale (a firma Rossi), dal 29 marzo 1951 al 29 ottobre 1951; Lotta e lavoro, anno V, n. 11 di domenica 13 marzo 1949, p. 2, Gli operai in lotta contro i licenziamenti effettuati alla Zanussi e numeri seguenti; l’Unità di venerdì 3 febbraio 1950, Alla “Zanussi” e alla “Safop” di Pordenone si riaccende la lotta contro i licenziamenti e numeri successivi.

424 Lotta e lavoro, Anno II, n. 10 di lunedì 13 febbraio 1946, p. 2, La seconda riunione per la questione della S.A.F.O.P. 425 Libertà, nn. 62 di mercoledì 13 marzo 1946, p. 2, Pordenone. Alla S.A.F.O.P. è stato ripreso il lavoro, del 20 aprile 1946, p. 2,

Pordenone. La situazione della S.A.F.O.P., di giovedì 16 maggio 1946, p. 2, Il fallimento della Safop e di domenica 9 giugno 1946, p. 2, Riunione delle Commissioni interne delle Ditte Industriali del Pordenonese.

426 Libertà di domenica 11 agosto 1946, p. 4, Pordenone. Incremento lavorativo alla S.A.F.O.P. e Lotta e lavoro, Anno II, n. 61 di domenica 8 dicembre 1946, p. 2, Da Pordenone città operaia. I metallurgici della S.A.F.O.P. all’avanguardia nelle rivendicazioni della propria categoria.

427 DEGAN, Teresina, Industria tessile e lotte operaie, cit., pp. 176-177. 428 Libertà di domenica 25 maggio 1947, p. 2, Pordenone. Echi dello sciopero della Safop. Un ordine del giorno dei lavoratori. 429 l’Unità di sabato 7 gennaio 1950, Preavviso di licenziamento a 107 operai della S.A.F.O.P. e numeri seguenti; testimonianza di Mario

Bettoli.

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delle lavoratrici gestanti 430. Si tratta di una metodica particolarmente diffusa: precariato, bassi salari e lavoro nero costituiscono le basi per lo sviluppo di una delle province più industriali dell’Italia moderna. Il lavoro del sindacato cambia completamente la sua natura, deve abbandonare la dimensione aggregata - ma spesso autoreferenziale - della grande azienda, ponendosi il problema del rapporto con il territorio, come facevano un tempo gli organizzatori dei contadini e degli edili. Un lavoro difficile, cui i quadri sindacali e politici formatisi nell’ambito della grande azienda faticano ad adattarsi: il decentramento territoriale della piccola e media azienda della “terza Italia” sembra fatto apposta per creare ostacoli ad un’organizzazione di classe concepita sul modello della fabbrica tradizionale.

14.8 - Il sogno di una cosa: dalle lotte agrarie agli scioperi a rovescio nell'era del Piano del Lavoro. Il movimento sindacale non si limita alle fabbriche cittadine, ma si estende con forza nelle campagne,

iniziando con la vertenza per il patto colonico. Il movimento contadino nel 1947-1948 unisce i mezzadri agli affittuari ed ai braccianti disoccupati, su una piattaforma basata sulle rivendicazioni contrattuali (l’applicazione del “lodo De Gasperi” sulla ripartizione dei prodotti per i mezzadri, la proroga degli affitti, le indennità di disoccupazione) e sull’imponibile di manodopera a carico degli agrari, per realizzare lavori di miglioramento fondiario e di bonifica. Movimento che si legherà ad esperienze cooperativistiche, anche di durata temporanea, come quella realizzata per la raccolta del “quadro”, una pianta spontanea usata per la costruzione di spazzole, che avviene in un territorio esteso a tutte le aree golenali del Friuli centrale fin quando c’è disponibilità del prodotto. Come nel precedente dopoguerra, sono interessate dal movimento contadino le aree umide del sud del Friuli, come la Bassa a sinistra del Tagliamento, il Portogruarese (Ve) ed il Sanvitese sulla destra. Qui, sotto la guida di un giovane ex comandante partigiano, inizialmente socialista e poi comunista - Angelo Galante (detto Ciliti) - il movimento si sviluppa in un’area che nel primo dopoguerra era stata uno dei punti di forza delle leghe bianche, e raccoglie l’eredità politica di quel sindacalismo e cooperativismo socialista che si era dispiegato - con qualche ritardo rispetto al “biennio rosso” - attorno ad Orazio Infanti 431. Ci sono poi altri punti di forza della iniziativa sindacale della Confederterra nell’area irrigua del Friuli occidentale : Sacile e Fiume Veneto 432.

La vertenza, durissima, si sviluppa con varie forme di lotta: dal blocco del conferimento dei prodotti agli agrari all’azione diretta, che soprattutto nel Sanvitese vede (usando metodi utilizzati più di vent’anni prima dalle leghe bianche) l’invasione consecutiva delle proprietà degli agrari e l’imposizione degli accordi azienda per azienda. Questo comporta una fortissima repressione da parte della polizia, che a San Vito al Tagliamento ed a Cordovado aggredisce con reparti celeri i manifestanti. Battaglia corale di un intera comunità, che viene resa con grande carica evocativa dalla prima fatica letteraria di Pier Paolo Pasolini, scritta in quegli anni anche se pubblicata molti anni dopo 433. Nel novembre 1948, nel clima di rivincita agraria seguito alla vittoria democristiana del 18 aprile, Angelo Galante viene arrestato. Se la sua persecuzione provoca un vasto movimento di protesta, che dura fino alla liberazione dopo 45 giorni di carcere, diversi episodi riguardano altri dirigenti del movimento contadino, come il capolega della Federmezzadri di Fiume Veneto Giuseppe Tondat, che viene multato dai carabinieri per sobillazione degli animi dei mezzadri locali con grave pericolo per l’ordine pubblico, per aver organizzato il 14 novembre 1948 una pubblica assemblea sindacale della categoria 434.

Diventato dirigente della Federmezzadri provinciale nel 1948, Galante diventa il principale organizzatore di nuove agitazioni per imporre agli agrari l’assunzione di braccianti disoccupati, che culminano nel 1950 in manifestazioni a San Vito al Tagliamento 435 e nell’epico “sciopero a rovescio” del Cormor nella Bassa friulana (dove vengono avviati in regime di autogestione lavori di bonifica 436). Archiviato il successo sanvitese, le agitazioni tendono tutte a trasformarsi in scioperi a rovescio 437: così avviene a Sacile 438 e a Fiume Veneto 439. Tutte queste manifestazioni

430 Lotta e lavoro, Anno III, n. 48 di domenica 30 novembre 1947, p. 2, Dalla redazione di Pordenone. Probabile una azione

dell’organizzazione operaia? Sulla storia del sindacato alla Scala, nei primi decenni repubblicani, cfr.: MAZZOTTA, Antonella e Angelo, Dal telaio al tornio. Storia e ruolo del sindacato nello sviluppo industriale del Friuli Occidentale (1950-1970), Pordenone, Concordia Sette, 1994, pp. 57-72. Nel 1967 la Cgil pubblicherà un dossier sull’azienda: CAMERA CONFEDERALE DEL LAVORO, PORDENONE, Libro bianco sulla condizione di lavoro negli Stabilimenti “Scala”, Pordenone, 1967, in Archivio privato Giovanni Migliorini.

431 Lotta e lavoro, anno III, n. 9 di domenica 2 marzo 1947, p. 1, “La giornata del contadino”. Migliaia di contadini di S. Vito manifestano sotto la pioggia. Le lotte agrarie nel Sanvitese nel secondo dopoguerra sono trattate in: ARGENTON, Lino, Angelo Galante (1920-1962). Biografia di un sindacalista di San Vito al Tagliamento, in Storia Contemporanea in Friuli, anno XIX, n. 20, Udine, Ifsml, 1989, pagg. 57-79; VIDAL , Luigi, Le lotte contadine del secondo dopoguerra fattore decisivo per lo sviluppo economico e sociale del Sanvitese, in Storia Contemporanea in Friuli, anno XXI, n. 22, Udine, Ifsml, 1991, pagg. 185-195.

432 Libertà di domenica 19 gennaio 1947, p. 2, Sacile. L’agitazione dei mezzadri e seguenti. Purtroppo l’archivio della Flai-Cgil nazionale (dove ho visto il materiale relativo alla Federbraccianti, categoria che però nel Friuli occidentale - sia sotto l’aspetto produttivo che sotto quello della sindacalizzazione - ha uno sviluppo solo nei decenni successivi) non conserva la documentazione relativa alla Federmezzadri. L’archivio della Federmezzadri-Cgil - dalla costituzione nel 1944 fino alla confluenza, con Alleanza Contadina ed altre associazioni minori, nella Confcoltivatori nel 1977 - è conservato invece presso l’Istituto Alcide Cervi di Reggio Emilia, che non ho consultato.

433 PASOLINI, Pier Paolo, Il sogno di una cosa, cit. 434 Il Lavoratore Friulano, n. 5 del 5 febbraio 1949, p. 2, Notiziario Destra Tagliamento. Fiume Veneto. E’ di scena il Brigadiere Rocco

De Nicolò. 435 l’Unità di venerdì 24 febbraio 1950, Dopo il compatto sciopero generale. Assunti nel Sanvitese duecentoventi disoccupati e numeri

seguenti. 436 Sullo sciopero a rovescio nella Bassa, cfr. Gaspari, Paolo, Le lotte del Cormôr. Un garbato sciopero simbolico, Udine, Gaspari, 20022

(1a ed. 1980). 437 l’Unità di venerdì 7 aprile 1950, Nuove forme di lotta. Lo sciopero a rovescio, di Gianni Rodari. 438 l’Unità di giovedì 2 marzo 1950, In agitazione a Sacile trecento disoccupati e numeri seguenti. 439 l’Unità di sabato 25 marzo 1950, Sciopero a rovescio da lunedì a Fiume Veneto? e numeri seguenti.

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si trasformano in battaglie campali a causa della repressione della onnipresente Celere, che inizia la lunga serie di massacri di manifestanti operai e contadini in tutt’Italia, e si accompagnano ad agitazioni industriali contro i licenziamenti ed alla generalizzata persecuzione scatenata contro i comandanti partigiani, cui vengono imputati episodi connessi alle vicende belliche 440.

Siamo nell’epoca in cui la Cgil dà il via al “Piano del lavoro”, un ambizioso progetto di programmazione dal basso delle necessità occupazionali dei lavoratori e delle possibilità produttive del sistema economico italiano, che impegna a lungo tutta la struttura sindacale per elaborare indicazioni articolate per settore e per area. In quest’ambito, gli scioperi a rovescio riprendono la pratica dei lavori autogestiti del primo dopoguerra, pur assumendo un carattere maggiormente spontaneo: forse il loro punto debole è la mancanza di un diffuso tessuto di cooperative di lavoro che sedimentino professionalità e progetti.

Ma le realizzazioni sono ugualmente ambiziose: se nella Bassa si inizia la costruzione di canali di bonifica, a Caneva si realizza la strada per il Cansiglio che sale da Sarone, primo elemento di una serie di interventi di bonifica e lavori pubblici in questi paesi di emigranti a monte di Sacile. Il 15 maggio 195 disoccupati di Caneva, Sarone, Fiaschetti e Polcenigo, in buona parte ex partigiani organizzati dalla Camera del Lavoro di Sacile e diretti da Galdino Soranzo, iniziano i lavori della strada, che può assumere funzioni di potenziamento delle attività di coltivazione forestale e della zootecnia dell’altipiano. Dopo alcuni giorni altri disoccupati avviano i lavori di bonifica delle paludi di Caneva, ma ad una settimana dall’inizio dello sciopero a rovescio la polizia circonda i paesi per impedire che i lavoratori salgano nei boschi, arrestandone 12. La comunità, compresi il parroco don Erminio Lorenzet e la piccola borghesia di Sarone, si stringe attorno ai manifestanti, che riprendono la loro attività. Sono imitati a pochi chilometri di distanza da 120 operai che riprendono illegalmente i lavori di costruzione della strada che da Dardago di Budoia e da Pedemonte di Aviano sale al Piancavallo, appoggiati dalla Camera del Lavoro e dai loro sindaci. Ormai tutta la Pedemontana occidentale è in lotta: al decimo giorno la polizia abbandona la zona (mentre nel Cormor continuano gli attacchi agli scioperanti), anche se successivamente cercherà di allontanare Soranzo. La Prefettura concede 110 posti per quattro mesi in cantieri scuola per disoccupati. A Sacile i 200 operai dell’industria del mobile Lacchin di Sacile sottoscrivono un’ora di lavoro a favore dei manifestanti, che continuano la loro attività.

Il 10 giugno la questione arriva in Parlamento, mentre si annuncia l’inizio dello sciopero a rovescio a Vittorio Veneto, sul versante trevigiano del Cansiglio. Proprio durante i giorni dello sciopero, domenica 11, muore a Pordenone l’avvocato Giuseppe Ellero, uno dei protagonisti dei movimenti popolari di trent’anni prima. Come a quei tempi ormai lontani politicamente, ma così vicini nella vita quotidiana di questi combattivi lavoratori, il 13 giugno giunge l’accordo che risolve la vertenza. La Forestale assume un centinaio di operai, regolarmente stipendiati, per completare la realizzazione della strada; verranno pagati gli arretrati per i 25 giorni di sciopero a rovescio. Altri 80 vengono assunti in altri corsi di formazione, in un cantiere di forestazione a Polcenigo e lavori di canalizzazione e bonifica. La vendetta poliziesca non mancherà, con cento imputazioni verso gli scioperanti ed una multa per cinque saronesi che avevano raccolto generi alimentari per sostenerli.

La vittoria del Cansiglio galvanizza i paesi circostanti, ed induce il 10 giugno 40 dei 77 operai licenziati a riprendere i lavori della strada per il Piancavallo. Anche nei loro confronti iniziano, dopo due settimane di lotta, le intimidazioni dei carabinieri. Il 3 luglio tutte le attività di Aviano e Budoia sono interrotte da uno sciopero generale a loro sostegno, mentre il giorno dopo parte lo sciopero a rovescio a Vittorio Veneto, con 200 disoccupati che iniziano a costruire una strada dal capoluogo alla frazione di Vizza, e che vede anche in questo caso i manifestanti proseguire per settimane la loro attività. Anche se dal punto di vista economico tutte queste iniziative si esauriranno insieme con i fondi stanziati (che Zamparo, il direttore dell’Ufficio Provinciale del Lavoro di Udine, sospende già durante l’estate) e non rimarrà che l’antica via dell’emigrazione, le strade tracciate da questi ex partigiani verso il loro antico bastione - una “zona libera” spesso attraversata dagli occupanti ma mai espugnata - costituiscono una bella e finora negletta pagina di storia della classe operaia. 441.

Chiunque, in una bella giornata spazzata dalla bora osservi i tracciati di queste strade che salgono il massiccio del Cavallo, oppure in una notte serena noti casualmente il baluginare delle auto di turisti domenicali di ritorno dalle stazioni sciistiche, dovrebbe poter conoscere la storia di quei lavori, per i quali non sono stati necessari padroni.

14.9 - Uno sguardo sugli anni ‘50. La storia degli anni successivi oltrepassa l’obiettivo immediato di questa ricerca. Ormai la generazione

dell’antifascismo - quella di chi ha subito il sorgere violento dello squadrismo e non si è rassegnato, di chi ha imparato ad opporsi sotto la dittatura, di chi ha scavato sotto le sue fondamenta per farla un giorno rovesciare - ha terminato la sua funzione. Solo alcuni esponenti di quel mondo rimangono ancora in attività con funzioni di primo piano, circondati da una generazione di giovani nati politicamente durante la Resistenza armata. Il loro destino sarà - di lì a poco - quello dell’emarginazione, ma il segno politico di questo ingeneroso passaggio di testimone non sarà, almeno nel caso della Federazione di Pordenone, quello descritto, a propria autocelebrazione, dal maggiore esponente della “destra” comunista, Giorgio Amendola che ne è l’artefice 442.

440 Nel febbraio 1950 viene arrestato Spartaco Serena di Pinzano al Tagliamento: cfr. l’Unità di sabato 25 febbraio 1950, Un altro

partigiano arrestato a Pordenone. 441 l’Unità di domenica 9 aprile 1950, Per tutta la giornata di ieri. Sciopero generale a Caneva di Sacile e numeri seguenti. 442 AMENDOLA, Giorgio, Il rinnovamento del Pci. Le vicende di una battaglia politica. Intervista di Renato Nicolai, Roma, Editori Riuniti,

1978. Il dirigente comunista colloca nella fase culminata con la IV Conferenza di organizzazione del Pci, all’inizio del 1955 - ma già avviata

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La segreteria di Scaini non riesce a consolidarsi, e già dal novembre 1950 viene assunto dalla Federazione un nuovo responsabile dell’organizzazione, che prende il posto di Favot. Si tratta di Sergio Bortolutti, originario del Monfalconese: dopo la Resistenza ha lavorato nel Triestino, rientrando nella zona A dopo la rottura fra il Cominform ed il Partito Comunista Jugoslavo. Ovviamente, ed è bene chiarirlo in quest’ambito, “assunzione” è un termine molto relativo. Se i socialisti vivono di volontariato, i comunisti alimentano la loro organizzazione (incomparabilmente più strutturata e con maggiori capacità di autofinanziamento) grazie a scelte di vita sostanzialmente monastiche dei loro funzionari. La federazione del Pci degli anni di Scaini è ospitata in locali di sua proprietà, i funzionari si ammassano nelle stesse stanze, vivono con poche lire - quando ci sono - e spesso mangiano per la generosità dei compagni che li ospitano nei loro giri di propaganda. Stessa cosa per il sindacato: la enorme sede della Casa del Popolo in cui è stata trasformata la Casa del Fascio di Pordenone ospita un numero ristrettissimo di funzionari ed impiegati, ed è l’affluire pomeridiano dei lavoratori, alla fine del turno, ad affollarne gli uffici. L’austerità e la dirittura morale della scelta di vita degli attivisti politici e sindacali di quegli anni non deve mai essere dimenticata, quando se ne giudica l’agire politico 443.

Il fascicolo di Bortolutti, di grande importanza conoscitiva ma di ancor più grande impatto emotivo - soprattutto per chi ha potuto conoscerne la non comune umanità - rivela due aspetti fondamentali ai nostri fini: il primo è che iniziano ad essere inviati dal Pci nelle varie federazioni quadri che sono stati spesi in una “guerra politica a bassa intensità” contro i comunisti jugoslavi, ma che si sono formati in quella temperie, con grandi capacità di lotta e poche di mediazione. Il secondo aspetto è ancora più drammatico: queste valutazioni ci vengono date da Bortolutti stesso, in una sorta di scrittura autocritica che è la cosa più vicina si possa immaginare ad un testo penitenziale di qualsiasi inquisizione. Sapere che queste pagine sono state scritte da una persona di grandissima modestia, correttezza ed autonomia di pensiero, lungi dal diminuirne la statura induce a riflettere profondamente sui processi di controllo ed autocontrollo imposto ai quadri del partito in epoca staliniana 444.

Gli anni ‘50 sono anni durissimi, nei quali le premesse dello sviluppo nazionale sono realizzate a spese delle masse lavoratrici e, sul piano internazionale, lo scontro fra i due blocchi formatisi alla fine della seconda guerra mondiale sperimenta forme di guerra che, proprio perché collocate geograficamente fuori d’Europa, e quindi cariche di significati di razzismo coloniale, assumono aspetti di violenza generalizzata tali da rendere prevedibile, grazie alla presenza delle nuove armi nucleari, lo scoppio di un conflitto distruttivo per tutta l’umanità. La guerra di Corea, quella nel Vietnam, i massacri coloniali - come in Malesia e nei paesi del Maghreb - con i loro corredi di stermini generalizzati di popolazioni civili, di guerra batteriologica e chimica, con la sperimentazione di armi convenzionali sempre più potenti, fanno vivere il mondo sempre sull’orlo del baratro. Sono anni di guerra, interna ed internazionale, contro la sinistra, che vede i suoi massimi dirigenti uccisi o gravemente feriti in molti paesi, generalizzando quello che in Italia si è vissuto con l’attentato a Togliatti del 1948; in vari paesi i partiti comunisti sono messi fuori legge, in Italia le lotte sono messe al bando dalle forze dell’ordine repubblicane, che trattano i manifestanti come i Savoia trattavano i briganti.

Ma gli anni ‘50 sono anche, sull’altro fronte, gli anni soffocanti della cappa di piombo dello stalinismo e della campagna contro la Jugoslavia, che a Nordest assume le caratteristiche di una singolare forma di nazionalismo italiano antislavo e sciovinista. Il culto della personalità, la celebrazione dei gruppi dirigenti oltre ogni decenza, assumendo forme tipiche dell’antica regalità e del moderno divismo, si accompagna con una campagna propagandistica delle meraviglie del mondo sovietico. L’internazionalismo anticolonialistico ed il pacifismo convivono in un ambiente inquinato dalle falsità della propaganda filosovietica, creando un clima politico favorevole all’opportunismo ed ostile al pensiero critico. Ci vorranno decenni per liberarsi almeno dalla maggior parte di questa camicia di forza imposta al marxismo.

Che la linea del “partito nuovo” togliattiano fosse acquisita, e ben rappresentata dall’intervento congressuale di Scaini sopra richiamato, è indubbio. Il ricambio che avviene nel Friuli occidentale ai primi del 1954 non assume queste caratteristiche, ma rappresenta al contrario un salto all’indietro. In gennaio Mario Lizzero riprende la segreteria del Pci regionale del Friuli: alcuni mesi prima della caduta di Secchia, il che pone un problema relativamente alle reali motivazioni di questa scelta, che appaiono - a mio avviso - ricollegabili alla soluzione che si sta delineando del contenzioso per Trieste, e che rende necessario avere ad Udine un dirigente di grande energia, che ha la legittimazione per riprendere i contatti con i dirigenti sloveni ed jugoslavi e può gestire la relazione con l’intrattabile segretario del Partito Comunista del Territorio Libero di Trieste, Vittorio Vidali. Lizzero è il dirigente che impersona la battaglia per la costituzione della regione autonoma, ma non è solo questo. Formatosi nella disciplina della clandestinità e nella direzione di una guerra partigiana combattuta di fatto su due fronti, contro i nazifascisti ma dovendo badare a vista agli alleati jugoslavi, il nuovo segretario regionale impone per mezzo dei suoi quadri una inflessibile disciplina interna, che nel caso di Pordenone fa scoppiare contraddizioni già in essere.

dall’assunzione della segreteria organizzativa da parte sua, al posto di Secchia nel 1954 - il rinnovamento del partito, con la sostituzione dei quadri provenienti dall’antifascismo con quelli della generazione della Resistenza, allineati sulla linea del “partito nuovo” togliattiano. Per quanto riguarda il Friuli e Trieste, Amendola non fornisce indicazioni specifiche, collocando - nel caso del ricambio in Veneto - Giacomo Pellegrini nella vecchia generazione e Gianmario Vianello, il successore di Lizzero al vertice della federazione veneziana, fra i rinnovatori. Sulla storia del Pcd’i/Pci ho utilizzato, oltre al citato testo di Giorgio Galli: AGOSTI, Aldo, Storia del PCI, Roma-Bari, Laterza, 1999.

443 Alma Da Corte, delegata della Commissione Interna del Cotonificio di Torre, licenziata per rappresaglia sindacale nel 1954 e poi diventata sindacalista della CdL di Pordenone, dava un giudizio severo invece sullo stile di vita del tutto diverso della sede nazionale, presso la quale aveva passato qualche tempo: testimonianza della cugina Teresina Degan.

444 Archivio Casa del Popolo di Torre, fondo Commissione Quadri della Federazione del Pci, b. non numerata, f. Bortolutti Sergio, Autobiografia del comp. Sergio Bortolutti. Non datata, è attribuibile alla fine del 1953-inizio 1954.

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Con l’arrivo di Lizzero, segue un generale ricambio dei quadri nella Federazione di Pordenone: Scaini viene fatto dimettere dopo avergli imposto di scegliere fra la segreteria come funzionario o la conservazione del suo lavoro di insegnante 445. La segreteria viene assunta dal goriziano Vincenzo Marini, che la terrà fino al 1956, quando diventerà segretario nella sua provincia. I verbali della segreteria Marini, conservati presso l’Ifsml, evidenziano fin da subito una situazione di crisi nei rapporti con la CdL, che in alcuni interventi nelle riunioni di partito diventano pesantissimi attacchi personali ai sindacalisti. Fabretti ha già abbandonato la segreteria da qualche tempo, sfinito da anni di impegno senza risparmio, così come farà negli anni successivi Fornasir 446. Il segretario della CdL è Angelo Galante, che si troverà a gestire, durante quell’anno terribile, una durissima vertenza nella quale si giocano le sorti del Cotonificio Veneziano a Pordenone, e che avrà termine solo alla fine dell’anno. In questa situazione il Pci fa dimettere Galante, in un processo interno al partito che preconfeziona la decisione imposta alla Cgil, adducendo motivazioni risalenti ai tempi della guerra partigiana e già chiarite allora: i verbali testimoniano di come la pubblica accusa sia sostenuta da Mario Lizzero 447. Si tratta di una pesante intromissione nel sindacato, nel bel mezzo di una vertenza di rilievo nazionale 448. La CdL - secondo Vincenzo Marini - vuole mantenere la sua autonomia dal partito, il che appare intollerabile per un Pci che ha già un complesso di inferiorità nei confronti di un Psi più forte (anche se meno organizzato e combattivo) e non riesce più a tollerare l’autonomia dei suoi sindacalisti 449. Non si tratta per altro di metodi del tutto nuovi: tre anni prima, nel settembre 1951, Francesco Spagnol, operaio del mobilificio Viotto di Sacile e segretario responsabile dal 1949 duella Camera del Lavoro mandamentale (quella che ha guidato lo sciopero a rovescio del Cansiglio) viene costretto a dimettersi dopo uno scontro con i funzionari della federazione. Anche in quel caso, Spagnol rassegna le dimissioni da sindacalista al partito 450.

Fabretti, che con Lizzero ha un passato di scontri piuttosto duri, subirà richiami disciplinari per il suo allontanamento dalla politica attiva; due anni dopo sarà Adolfo Bresin a lasciare la segreteria della Fiot 451. Sostituito per breve tempo da un sindacalista reggiano, Silvio Bonsaver, e poi dal responsabile della Federmezzadri Vittorio Orenti, con Galante termina il ciclo dei sindacalisti protagonisti delle grandi lotte operaie e contadine del dopoguerra, e la CCdL di Pordenone, divenuta autonoma nel 1951, entra in un ciclo di crisi fortemente accelerata rispetto alla Cgil nazionale. La Cgil crolla - a causa della repressione, dell’attacco padronale e delle conseguenze della grande migrazione (da Sud a Nord e verso l’estero) di quegli anni, ma anche ad errori di strategia sindacale - dai 4.194.235 iscritti del 1955 ai 3.118.936 del 1956 e poi, dopo un anno di stabilizzazione, a 2.600.656 del 1958, su cui si assesta fino alla ripresa post-’69. Perde cioè il 38% dei suoi iscritti in tre anni, dato rispetto al quale mancano ancor oggi risposte adeguate 452. A Pordenone, la CdL perde il 57,35%° degli iscritti nello stesso lasso di tempo 453. La relazione di un ispettore della Cgil nazionale nel luglio 1956 descrive un’organizzazione allo sbando, dove i sindacalisti rimasti sono sul piede di partenza, e formula una ipotesi organizzativa che - per quanto inattuata - rappresenta un giudizio spietato sull’azione comunista nel sindacato pordenonese di quegli anni: la direzione della CdL va lasciata ai socialisti. Che nel 1958, a fronte della perdita del 5,25% dei voti comunisti nell’hinterland pordenonese, aumentano il loro consenso del 5,52% 454. Chi assume la segreteria della CCdL quell’anno si trova di fronte ad un compito ricostruttivo complesso. E’ Giovanni Migliorini, il giovane segretario della CdL mandamentale di Spilimbergo e della Fiom costretto a passare un periodo detentivo a Gaeta dal 1954 al 1956 per aver diffuso un opuscolo pacifista sulla militarizzazione del territorio friulano 455.

Si tratta di un decennio quanto mai complesso, nel quale avvengono grandi trasformazioni sociali ed economiche, finora oggetto di attenzione solo relativamente ad episodi pur importanti (come la storica vertenza del 1954, al termine della quale esce salva, ma ridimensionata significativamente, l’industria cotoniera), ma sul quale mancano indagini di grande respiro, sia relativamente alla condizione dei lavoratori che alla vita associativa. Un lavoro

445 Testimonianza di Bruna Feltrin Scaini, cit. La “scelta” di lavorare per il partito si è conservata per decenni, e sopravvive ancor oggi

nella diaspora comunista, per quanto avulsa dal contesto nel quale nasce la figura del “rivoluzionario professionale”, trasformata ormai in passo decisivo della carriera politica ma ancora intrisa di valori fiduciari fra l’eletto e la sua immediata base di consenso sociale.

446 Su Fabretti, testimonianza di Eugenia Bellot Fabretti, cit., e di Mario Bettoli; su Fornasir, cfr. Archivio Storico Cgil nazionale, 1956, b. 4, f. 79, Udine, Nota informativa sulla Camera Conf. del Lavoro di Pordenone di A. Cortesi del 25 luglio 1956.

447 Archivio Casa del Popolo di Torre, fondo Commissione Quadri della Federazione del Pci; Ifsml, Fondo Vincenzo Marini “Banfi”, b. 27; Archivio Storico Cgil nazionale, b. 21, f. 334, Tessili, verbale dattiloscritto della riunione del Consiglio delle leghe e dei sindacati della Camera confederale del lavoro di Pordenone del 29 ottobre 1954. Vincenzo Marini, intervistato il 5 gennaio 2006, conferma che le motivazioni del provvedimento contro Galante non sono quelle formalmente annotate, ma non ha chiarito i veri motivi, che probabilmente sono legati alla conduzione della vertenza cotoniera in atto, oppure più in generale alla gestione dell’organizzazione sindacale.

448 Il quindicinale Notiziario Cgil del 1954 dedica alla vertenza del Cotonificio Venezia uno spazio pari a quello delle più grandi aziende nazionali, per il suo carattere di battaglia generale contro i monopoli: cfr. nn. 18, 19, 21 e 23 in Archivio Storico Cgil nazionale.

449 Intervista a Vincenzo Marini, cit. 450 Archivio Casa del Popolo di Torre, fondo Commissione Quadri della Federazione del Pci, b. non numerata, f. Francesco Spagnol. 451 Su Fabretti, testimonianza di Eugenia Bellot Fabretti, cit. ed Archivio Casa del Popolo di Torre, fondo Commissione Quadri della

Federazione del Pci, cit.; su Bresin, cfr. Archivio Storico Cgil nazionale, 1956, b. 4, f. 79, Udine, Nota informativa sulla Camera Conf. del Lavoro di Pordenone di A. Cortesi del 25 luglio 1956.

452 DI NICOLA, Patrizio, Quarant’anni di tesseramento Cgil 1949-1988, Roma, Ediesse, 1989, pp. 26. Quanto alle spiegazioni, il libretto di PEPE, Adolfo, IUSO, Pasquale, MISIANI, Simone, La CGIL e la costruzione della democrazia, Roma, Ediesse, 2001, p. 88, oltre a fornire dati diversi - nella misura del milione! - collega semplicisticamente il crollo sindacale alla vicenda ungherese del 1956. Per un’analisi articolata, anche se tutta da sviluppare, cfr. TURONE, Sergio, Storia del sindacato in Italia (1943-1969), Roma-Bari, Laterza, 19753.

453 La percentuale è ricavata dalla tabella sugli iscritti alle CdL di Udine e Pordenone riportata sopra; Archivio Storico Cgil nazionale, 1956, b. 4, f. 79, Udine, Nota informativa sulla Camera Conf. del Lavoro di Pordenone di A. Cortesi del 25 luglio 1956.

454 Cfr. sopra la tabella sui risultati elettorali tratta da: ZILLI , Sergio, cit. 455 Giunta Giovanile dei Partigiani della Pace di Pordenone, Il Friuli terra senza legge aperta allo straniero, Pordenone, Tipografia

Commerciale, [1953], in Archivio privato Giovanni Migliorini (copia anche presso Ifsml).

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in gran parte da svolgere, cui dovrebbero poter dare un contributo importante le carte depositate con grande disponibilità da Mario Lizzero e Vincenzo Marini, ma anche gli archivi pubblici ora non disponibili, e quelli dei partiti e sindacati nazionali ancora in gran parte da studiare. Un periodo su cui dovrebbe ancora essere possibile realizzare ricerche di storia orale utilizzando un’adeguata platea di testimonianze.

15 - Conclusioni? Quanto scritto rappresenta una storia collettiva, che però non può cancellare le tante individualità che la

compongono come un mosaico, anche quando ancor oggi non siamo capaci di dar loro un nome. Si tratta di storie che hanno tutte una loro dignità, un loro valore interpretativo, una loro importanza storiografica, solo emersa nei pochi esempi utilizzati in questo testo, che non aveva l’obiettivo di realizzare un lavoro che dovrebbe invece successivamente riunire in un dizionario biografico le centinaia di persone incontrate in questo percorso, ed altre sulle quali si è appuntata l’attenzione strada facendo. Per quanto il lavoro abbia utilizzato i canoni tradizionali della storia politica, risente del fascino per le vere e proprie avventure di Achille Durigon che attraversa in bicicletta l’Europa, di Costante Masutti che cerca di impersonare diligentemente l’homo sovieticus, per la scatenata fantasia epistolare di Carlo Marinato, i voli sulle Ande di Andrea Tomsich, gli epici scioperi capitanati dai fratelli Fabretti a Buenos Aires, per le storie delle delegate clandestine della Cgdl che sopravvive all’arresto di tutti i suoi propagandisti, occultatesi così bene da essere quasi tutte sfuggite anche alla schedatura della memoria. Merita ricercare, e comunicare, queste e tante altre storie che non sono singolari, ma costituiscono il mutevole paradigma della eccezionale normalità della vita di tante persone comuni: che per il loro essere in fondo alla scala sociale non sono per niente tenute a riprodurre gli schemi del grigiore del pregiudizio. La trasparenza dei destini individuali delle persone “comuni” davanti allo sguardo del potere non equivale all’inconsistenza di esperienze tutte eccezionali nella loro umana finitezza. Fra le tante storie, rimane la speranza di trovare forse quelle di chi è sfuggito alla sconfitta ed alla violenza sconfinando all’estremo limite della libertà del proprio pensiero, pagando questo fuoruscitismo dell’anima con una detenzione manicomiale durata anche dopo l’insurrezione dei corpi. E forse, se Giovanni De Luna ha indicato percorsi di recupero della dimensione dell’antifascismo esistenziale, non è scorretta, pur con l’avvertenza di non mischiare sacro e profano, l’idea di Alberto Prunetti di ricostruire con la fantasia della creatività quello che il delirio paranoico dei burocrati della repressione non è riuscito a coprire di sbaffi d’inchiostro e di strati di polvere 456.

Quanto ad una conclusione, è presto detta, solo per riassumere quanto evidente dalle pagine che precedono. I grandi movimenti popolari del primo dopoguerra sono stati sconfitti dal fascismo, ma non eliminati. Il dissenso - considerando i dati centrali della polizia, le segnalazioni locali, le adesioni testimoniate ai movimenti di protesta, le tracce, i ricordi, le coincidenze sparse qua e là senza nessi in letteratura - è certamente molto più ampio di quello censito. E poi, ci sia concesso, se l’adesione al regime è quella che emerge da centinaia o migliaia di rapporti di polizia compilati da burocrati ottusi e confidenti ignoranti, stiamo freschi! C’è una continuità, ovviamente relativa, ma tutt’altro che irrilevante, fra la generazione che si è immersa nell’apnea del Ventennio e quella successiva, anche se i traumi di una seconda guerra mondiale rendono inevitabile un ricambio generazionale e l’entrata in campo di nuovi soggetti. Ma, a ben guardare, in mezzo a tanti giovani con le braghe curte del partigiano, si ritrovano allo stesso posto, come non fossero mai usciti di scena dopo la chiusura del sipario, quasi tutti i protagonisti dell’atto precedente: Masutti, Oliva, De Gottardo, Rosso, Ellero, Cantarutti, Galli... e via discorrendo, certo invecchiati e con le loro idiosincrasie, ma non avendo sicuramente sprecato il loro tempo. Sì, c’è anche Pisenti, e confessiamo sinceramente di avere imparato, da studiosi obiettivi fino al limite delle umane emozioni, ad odiarlo come si odiano tutti i cattivi delle storie di carta, come capita di tifare per Corto Maltese contro il barone von Ungern, anche se poi ci si ricorda che il marinaio è un prodotto della fantasia, ma il generale bianco di stirpe germanica invece c’era sul serio, con la sua armata controrivoluzionaria di russi, tungusi e giapponesi, angelo sterminatore dei bolscevichi siberiani e mongoli fino a che Sukhebator e Choibalsang si misero a dargli la caccia... 457

Intanto la Chiesa cattolica, sviluppando le sue strutture sotto la dittatura, usufruendo degli spazi permessi dal Concordato, si organizza, pronta a presentarsi come il candidato designato ad ereditare la funzione centrale nello schieramento moderato, sostituendo sia il liberalismo prefascista che il fascismo. E fa riapparire i suoi uomini migliori, come don Giuseppe Lozer che, non avendo ancora vinto la sua battaglia sindacale con Santa Madre Chiesa per il diritto alla pensione dei lavoratori-sacerdoti, viene nuovamente inviato a Torre, a completare una vita dedicata a marcare a vista il più pericoloso insediamento rosso. In attesa di scrivere le sue memorie che, vera nemesi storica, da quasi mezzo secolo hanno compiuto sul piano ideologico quel “miracolo” che in vita non gli era mai riuscito. Intanto il gruppo dirigente del Pci in cerca di legittimazione fa di tutto per accreditarsi presso una struttura guidata da uomini che non avevano mai avuto dubbi su quale fosse il male minore, fra il nazismo con cui avevano firmato un concordato ed il comunismo ateo: salvo poi risvegliarsi quando è troppo tardi, fuori del governo nazionale a gridare al clericofascismo.

La sinistra riemerge bene dalla dittatura, ma non riesce a meritarsi il consenso di chi l’aveva attesa: la rottura dell’altro dopoguerra viene riproposta e congelata dalle opposte ortodossie staliniana e socialdemocratica, impedendo il consolidarsi di un blocco sociale alternativo fra classi proletarie e ceti medi. In questa situazione l’eccezione positiva, ritenuta di solito un elemento marginale, è l’esistenza di un socialismo di sinistra classista e di un sindacato che per

456 DE LUNA, Giovanni, Donne in oggetto. L’antifascismo nella società italiana 1922-1939, Torino, Boringhieri, 1995; PRUNETTI, Alberto,

Potassa. Storie di sovversivi, migranti, erranti, sottratti alla polvere degli archivi, Viterbo, Stampa Alternativa, 2004. 457 Su di lui ed i rivoluzionari mongoli, cfr.: CARR, Edward Hallet, La rivoluzione bolscevica 1917-1923, Torino, Einaudi, 1964. La storia

a fumetti citata è Corte sconta detta arcana di Hugo Pratt.

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tutta la durata dell’Italia repubblicana deve assumersi anche la responsabilità di fare da supplente alle forze politiche. Forse bisogna riprendere l’indicazione di Turone sull’importanza dei socialisti della Cgil nel coltivarne l’autonomia e la dialettica interna, e nell’aver così preservato il maggior sindacato italiano (anche se parliamo di una fase chiusa con gli anni ‘70). Ma non si può dimenticare il ruolo svolto dai dirigenti comunisti della CdL di Pordenone, i “vecchi” capi della Resistenza di pianura e di fabbrica, così diversi dalla semplificazione militarista dei quadri che controllano il partito.

Ed infine, un’ultima indicazione di ricerca: che fine fa la dimensione internazionale del movimento operaio friulano in questo secondo dopoguerra? Non c’è più un Segretariato, mancano i propagandisti che attraversano le frontiere... ma poi negli anni ‘70 ci troviamo di fronte alla figura dell’emigrante che rientra al suo paese e ne sconvolge i consolidati equilibri politico-sociali. In realtà, al minimo scavo emergono storie nuove, che meriterebbero anch’esse la loro attenzione. Quanti sanno del partigiano che dopo un’occupazione di fabbrica a Pordenone scappa in Svizzera e prende il posto che fu di Vuattolo? E cosa dire di Antonio Pizzinato, che nella storia della Cgil sarà sicuramente ricordato come un “segretario di transizione”, ma che in fondo era un ragazzo di Fiaschetti di Caneva, uno dei paesi dello sciopero a rovescio del Cansiglio, che emigra a Milano per fare l’apprendista ? Nostra patria è il mondo intero.....

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Indice

1. Domande, risposte, domande p. 2 2. Verso una storia “glocale” di lungo periodo? p. 3 3. Le fonti p. 5 4. Il Friuli prefascista: una regione in pieno sviluppo economico p. 7 5. Le origini del socialismo pordenonese p. 8 6. I movimenti del primo dopoguerra e la nuova generazione di dirigenti della sinistra p. 9 7. Federazioni nazionali e sindacato friulano p. 11 8. La strage dimenticata p. 13 9. La breve parabola di un dirigente nazionale del Pcd’i p. 15 10. Gli antifascisti nel Friuli occidentale p. 17

10.1 - I socialisti p. 17 10.2 - I cooperatori p. 23 10.3 – L’entrismo p. 24 10.4 – I comunisti p. 25 10.5 - La violenza armata nel dibattito e nella pratica antifascista p. 28 10.6 - A sinistra del Pcd’i p. 29 10.7 - Gli anarchici p. 30 10.8 - Repubblicani, socialriformisti, Italia Libera e Giustizia e Libertà p. 32 10.9 - Popolari e cattolici p. 36 10.10 - Due sindacalisti della sinistra migliolina p. 39 10.11 - L’antifascismo popolare spontaneo p. 42 10.12 - Dissidenti fascisti p. 44

11 - Antonietta e le altre: le antifasciste senza nome p. 46 12 - Nell’emigrazione p. 49

12.1 - Le grandi città industriali italiane p. 49 12.2 - Alla testa della Fgcd’i: l’apprendistato del comandante Sergio p. 53 12.3 - Atôr pal mond p. 55 12.4 - Il Segretariato dell'emigrazione, dal Friuli ai Centri esteri del Psi p. 63

13. Una Resistenza stratificata p. 67 14 - Un sindacato resistente p. 69

14.1 - Rifare tutto da capo: un secondo dopoguerra p. 69 14.2 - Settarismo del Pci e caduta del mito di “Pordenone rossa” p. 72 14.3 - Lotte sociali e tensioni nel sindacato unitario p. 75 14.4 - Una nuova provincia, nel Veneto, o la regione autonoma? p. 76 14.5 - Scissioni del Psiup e della Cgil e riorganizzazione della sinistra all’opposizione p. 78 14.6 - Il 1949, l’anno dell’autonomia possibile p. 82 14.7 - La costruzione della nuova classe operaia nell’industria manifatturiera p. 84 14.8 - Il sogno di una cosa: dalle lotte agrarie agli scioperi a rovescio p. 87 14.9 - Uno sguardo sugli anni ’50 p. 88

15 - Conclusioni? p. 91