Notiziario per il coordinamento dei proletari e dei lavoratori comunisti · a Milano e Provincia le...

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Wo k W W o o r r r k k Gennaio 2009 G G e e n n n n a a i i o o 2 2 0 0 0 0 9 9 Notiziario per il coordinamento dei proletari e dei lavoratori comunisti “ una magnifica crisi”, ma a condizione di una risposta di classe dei lavoratori La fase attuale del modo di produzione capitalistico è caratterizzato da una grave crisi economica a livello mondiale. Lo sviluppo economico, dagli inizi dal 1970 ad oggi, ha conosciuto tassi di crescita più bassi rispetto alla fase precedente e recessioni generalizzate che hanno elevato il disordine economico del sistema mondiale. Lo sviluppo del sistema del credito, l’intervento estensivo dello Stato nell’economia, la gestione in funzione anticiclica della massa monetaria e dei tassi di interesse hanno concorso a mitigare l’impeto delle recessioni, impedendo che esse imboccassero la strada di una spirale deflattiva di portata devastante. L’immissione di questa massa monetaria che ha facilitato lo sviluppo della “ nuova economia “, l’informatica, la telefonia cellulare, internet, ecc., creando crisi di sovrapproduzione in questi settori, ha , anche, favorito le attività di speculazione che si sono gonfiate in modo abnorme rispetto al capitale impiegato nella produzione. La finanza internazionale ha preso a scommettere con crescente, incontenibile euforia sul proprio futuro, scambiando sui mercati non masse di profitto reali, ma montagne di titoli giuridici di proprietà sul lavoro, sul plusvalore, con aspettative di profitti futuri, aumentando i rischi di un tracollo generale dell’economia. L’espansione drogata di tutta l’economia ha permesso di superare le crisi che si sono determinate in questi ultimi 25 anni, ma ha creato le condizioni perché si presentasse oggi una crisi più profonda e di difficile soluzione per il sistema borghese. Una crisi, quella attuale, che tenderà ad aggravare tutti i capisaldi su cui si regge l’impalcatura capitalistica, e non basterà “pulirsi” dai pescecani della borsa creandone degli altri più grossi e più voraci, perché la base della crisi è nella produzione, perché la crisi finanziaria è l’effetto e non la causa della depressione attuale, anche se a sua volta, l’effetto avrà riflessi sulla causa che è data dalla sovrapproduzione di capitali e di merci. Ogni giorno assistiamo ad una farsa, dove i vari governanti di turno affermano che gli interventi fatti e che faranno placheranno il “toro” infuriato della crisi, ma nei giorni successivi sono costretti a dire il contrario rimangiandosi le parole. 1 E’ comunque certo, che le assicurazioni di Berlusconi sul fatto che il sistema italiano è solido e che nulla hanno da temere le masse per il prossimo futuro, non serve solo ad attenuare la risposta dei lavoratori, ma soprattutto a ristabilire la fiducia tra le stesse banche le quali non si prestano più denaro perché diffidano dei titoli che girano sul mercato ( perché non sanno di che cosa sono composti ).

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Notiziario per il coordinamento dei proletari e dei lavoratori comunisti

“ una magnifica crisi”, ma a condizione di una risposta di classe dei lavoratori

La fase attuale del modo di produzione capitalistico è caratterizzato da una grave crisi economica a livello mondiale. Lo sviluppo economico, dagli inizi dal 1970 ad oggi, ha conosciuto tassi di crescita più bassi rispetto alla fase precedente e recessioni generalizzate che hanno elevato il disordine economico del sistema mondiale. Lo sviluppo del sistema del credito, l’intervento estensivo dello Stato nell’economia, la gestione in funzione anticiclica della massa monetaria e dei tassi di interesse hanno concorso a mitigare l’impeto delle recessioni, impedendo che esse imboccassero la strada di una spirale deflattiva di portata devastante. L’immissione di questa massa monetaria che ha facilitato lo sviluppo della “ nuova economia “, l’informatica, la telefonia cellulare, internet, ecc., creando crisi di sovrapproduzione in questi settori, ha , anche, favorito le attività di speculazione che si sono gonfiate in modo abnorme rispetto al capitale impiegato nella produzione. La finanza internazionale ha preso a scommettere con crescente, incontenibile euforia sul proprio futuro, scambiando sui mercati non masse di profitto reali, ma montagne di titoli giuridici di proprietà sul lavoro, sul plusvalore, con aspettative di profitti futuri, aumentando i rischi di un tracollo generale dell’economia. L’espansione drogata di tutta l’economia ha permesso di superare le crisi che si sono determinate in questi ultimi 25 anni, ma ha creato le condizioni perché si presentasse oggi una crisi più profonda e di difficile soluzione per il sistema borghese. Una crisi, quella attuale, che tenderà ad aggravare tutti i capisaldi su cui si regge l’impalcatura capitalistica, e non basterà “pulirsi” dai pescecani della borsa creandone degli altri più grossi e più voraci, perché la base della crisi è nella produzione, perché la crisi finanziaria è l’effetto e non la causa della depressione attuale, anche se a sua volta, l’effetto avrà riflessi sulla causa che è data dalla sovrapproduzione di capitali e di merci. Ogni giorno assistiamo ad una farsa, dove i vari governanti di turno affermano che gli interventi fatti e che faranno placheranno il “toro” infuriato della crisi, ma nei giorni successivi sono costretti a dire il contrario rimangiandosi le parole.

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E’ comunque certo, che le assicurazioni di Berlusconi sul fatto che il sistema italiano è solido e che nulla hanno da temere le masse per il prossimo futuro, non serve solo ad attenuare la risposta dei lavoratori, ma soprattutto a ristabilire la fiducia tra le stesse banche le quali non si prestano più denaro perché diffidano dei titoli che girano sul mercato ( perché non sanno di che cosa sono composti ).

Di fronte a questa situazione, dove il mercato è pieno di soldi, sono gli Stati ad intervenire immettendo, paradossalmente, liquidità nel sistema finanziario affinchè le banche si prestino il denaro non a tassi proibitivi. In Europa, i vari governi nazionali hanno una diversa opinione sul come intervenire nella crisi che si è aperta, tantè che non sono riusciti a costituire un Fondo Comune di intervento, quello su cui, però, sono d’accordo, come sempre, è sulla necessità di aumentare la produttività del lavoro, prolungando la giornata lavorativa, intensificando i ritmi di lavoro e riducendo i salari, aumentando lo sfruttamento, ritardando i pensionamenti e abbassando le pensioni. Ma ciò non basterà ! Lo Stato, le classi borghesi al potere possono difendere la condizione di concorrenzialità sul mercato, non solo attaccando il lavoro salariato, ma, in una certa misura, anche le frazioni piccolo e medio borghesi. Sanno i capitalisti che “ piccolo e bello “ della struttura economica nazionale, non può garantire in una fase di sviluppo capitalistico mondializzato, un aumento della produttività adeguata a sostenere profitti e rendite del passato. Nella crisi, la contraddizione approfondisce non solo il contrasto tra borghesia e proletariato, ma accentua la lotta all’interno e tra le varie frazioni borghesi. La situazione non lascia molti spazi di mediazione, ed è quella di un’accentuazione di una lotta senza quartiere all’interno dei Paesi imperialisti e tra i Paesi imperialisti per decidere quali porzioni del capitale devono pagare e sparire dal mercato. In Italia, la non soluzione di alcuni problemi strutturali accentuerà gli effetti della crisi attuale e mentre il sistema politico , che negli anni passati era centrato sulla D.C., grazie ad un blocco sociale ampio che andava da Agnelli al piccolo artigiano, dall’impiegato pubblico, all’aristocrazia operaia, in questi anni non è riuscito a darsi un blocco coeso ed esteso dal punto di vista sociale intorno ad un partito come era la DC, perché le crisi non hanno concesso margini per poterlo fare. Il quasi plebiscito delle frazioni borghesi intorno alla nuova esperienza governativa di Berlusconi può assomigliare al canto del cigno, è, se possiamo fare un paragone, come il grido di vittoria lanciato dall’imperialismo occidentale, all’indomani della disgregazione dell’U.R.R.S., faro dello sviluppo del socialismo reale ( capitalismo di Stato ) nel mondo. Come il capitale drogato, manifestava la sua presunta forza con lo sviluppo a dismisura del capitale fittizio, così il sistema capitalistico italiano, ha creato l’illusione, attraverso la politica decisionista del Cavaliere, che era possibile arricchirsi all’infinito, senza curarsi del fatto che parti rilevanti della struttura portante dell’economia sparivano dal mercato, abbassando la concorrenzialità con gli altri paesi capitalisti. La crisi attuale tenderà sempre di più a mettere a nudo queste difficoltà dell’imperialismo italiano e, come storicamente già avvenuto, non sono da escludere tentazioni, da parte della borghesia, di andare verso un sistema politico bonapartista (1) mantenendo in equilibrio un blocco sociale reazionario attraverso un deciso, forte attacco alle condizioni dei lavoratori in nome della salvezza nazionale. Il Governo Prodi ha creato le condizioni migliori perché avvenga questo profondo attacco alle condizioni dei lavoratori. Di fronte a questi possibili scenari i lavoratori si trovano in una situazione di estrema debolezza e questa è misurata anche dalle difficoltà che mostrano tutti gli organismi di opposizione, politici, sindacali, sociali. I lavoratori colpiti dalla crisi, ancora in molti casi, si illudono di poter resistere delegando al PD e alla C.G.I.L. la direzione di questo scontro – confronto con la destra politica e sociale.

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Allo sciopero del 12 dicembre hanno partecipato milioni di lavoratori per difendere le proprie condizioni di vita, ma essi lo potranno fare solo se impareranno, nelle lotte, ad essere

protagonisti ( rompendo con le direzioni opportuniste dei sindacati confederali integrati nello Stato borghese e i partiti politici di sinistra del capitale) per la rinascita di un partito ed un sindacato di classe, alternativi al “ riformismo “ della sinistra borghese. In massa, salvo rari casi, i lavoratori si affidano, ancora, alla C.G.I.L., perché pensano sia possibile affrontare la bufera attuale e futura con le armi del riformismo, con l’illusione che sia possibile ritornare al “ bel tempo andato “ della fase dello sviluppo capitalistico del dopoguerra . Questa fase, dove i capitalisti hanno fatto favolosi profitti, ma anche dei settori operai hanno avuto in cambio la “ catena d’oro “ intorno al collo ( piccole somme depositate in Bot bancari, case in proprietà, ecc. ), è ormai tramontata, la crisi evidenzia che vi sono pochi margini perché delle fasce di lavoratori migliorino le loro condizioni di vita. L’attuale sistema che strabocca di capitali e di merci, costringe alla miseria, sempre di più, i lavoratori delle metropoli imperialiste e fa morire per fame intere popolazioni dei Paesi arretrati del mondo capitalistico. Il capitalismo, però, nel suo sviluppo ha degli alti e bassi e quando quest’ultimi si manifestano rovinosamente le borghesie preparano soluzioni che vanno sempre in maniera più accentuata verso le guerre (lo scontro interimperialista anche sul piano militare diventa inevitabile). Gli scioperi, come quello del 12, possono servire solo alla condizione in cui si opera per rendere palese ai lavoratori il fatto che la C.G.I.L. li mette in movimento per utilizzare la loro lotta per legittimarsi di fronte al governo di Berlusconi come parte essenziale nella difesa dell’economia nazionale. Ancora una volta, però, i promotori dello sciopero, alternativo del sindacalismo di base, sono impreparati e divisi allo scontro e questo non solo perché la coscienza dei proletari è al di sotto delle necessità attuali, ma anche perché i dirigenti del sindacalismo di base sono al di sotto delle necessità attuali. C’è una inadeguatezza dell’opposizione politica e diventa sempre più necessario al proletariato darsi un’organizzazione di classe all’altezza della situazione. La nuova ondata di licenziamenti che la crisi determinerà, possono essere contrastati solo se le lotte saranno dirette contro il capitalismo e il suo sistema di sfruttamento. Il sindacalismo di base, le varie opposizioni politiche e sociali, balbettano politiche che risentono ancora di una non totale alternativa al riformismo tradizionale. L’unità ricercata è il più delle volte fittizia, basata sugli accordi artificiali dei dirigenti e non quella che può avvenire a livello di base tra i lavoratori più coscienti. L’unità di azione, per mobilitazioni su obbiettivi concreti va ricercata non solo sul terreno delle rivendicazioni economiche, ma sul terreno politico di opposizione reale alle politiche borghesi. Il nemico è in casa nostra, la nostra borghesia che al pari delle altre borghesie imperialiste mantiene e perpetua questo modo di produzione che si alimenta attraverso lo sfruttamento, la morte di e per il lavoro e la morte per fame di milioni di popolazioni povere del pianeta. Non si esce dalla crisi rivendicando l’unità di interessi tra proletari e “ padroni seri “, ma rivendicando un percorso di alternativa a questo sistema in modo indipendente e classista. Gli operai non hanno nulla in comune con i loro sfruttatori e hanno tutto da guadagnare dalla crisi del sistema in senso rivoluzionario. E’ una magnifica crisi, che mostra il fallimento di un sistema basato sullo sfruttamento dei lavoratori a favore di una minoranza che detiene il potere e pone sempre più la necessità di schierarsi come classe in un partito dei lavoratori, per una società dove non vi sia più lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

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(1) Per Marx, il governo di Bonaparte "era l'unica forma di governo possibile in un periodo in cui la borghesia aveva già perduto la facoltà di governare e il proletariato non l'aveva ancora acquistata ... cioè un governo al servizio del blocco reazionario e non concertativo con i lavoratori e i loro istituzionali rappresentanti.

Corriere della Sera del 4 ottobre 2008 Emma Marcegaglia al convegno dei giovani industriali "serve l'intervento dello Stato- sostiene- perchè è l'unica soluzione possibile in una fase di emergenza"......."non ci sono alternative perchè altrimenti si rischierebbe di estendere la crisi a tutto il sistema finanziario con un impatto inevitabile ed enorme sull'economia reale". Come si legge, niente di nuovo:quando si tratta di spartirsi i profitti delle aziende statali invocano la privatizzazione, quando le aziende vanno male invocano la protezione dello Stato. Governi di Destra e di Sinistra accorrono al capezzale della finanza e dell'industria per soccorrerla. Il giornale "il Manifesto" addirittura si rifà alla politica di Obama a favore dell'industria dell'auto e sostiene : Quando eslose la penultima crisi Fiat , nel 2002.... questo giornale propose l'ingresso l'ingresso dello Stato nel capitale del Lingotto. Nessuno pensava alla nazionalizzazione della Fiat (sia mai detto:nota nostra), ovviamente, ma a un intervento pubblico finalizzato al salvataggio e il rilancio in chiave occupazionale e ambientalista (come sempre, una ricetta a favore di un diverso sviluppo capitalista: nota nostra) .-da il manifesto" dell'11 dicembre-

Il punto:

a Milano e Provincia le cooperative che si occupano di logistica sono circa 3500 e occupano 70/80 mila lavoratori, in molte di esse si attua il lavoro nero, che è tollerato anche dalle aziende committenti (vedi Ortomercato di Milano che è gestito dalla Sogemi, azienda del Comune). Molte di queste cooperative aprono con dei prestanomi, che alle volte sono la lunga mano della criminalità organizzata, che chiudono facilmente le cooperative, fregando i lavoratori ed il fisco. Lo scenario sembra quello di un capitalismo ottocentesco, mentre nei fatti è parte dell’odierno capitalismo, dove è possibile avere manodopera straniera a basso prezzo, gestita da una moderna forma di caporalato , sfruttata, senza godere dei minimi diritti e dove i lavoratori, quando si infortunano o muoiono, possono sparire come fantasmi. E’ un sistema dove i servizi ispettivi sono quasi inesistenti, sindacati confederali e ispettorato del lavoro sono conniventi con i consorzi. E’ una vetrina del sistema capitalistico nell’età moderna, dove l’intermediazione illecita si svolge alla luce del sole, la configurazione dei rapporti di lavoro

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sono fraudolenti, insomma: una deregulation delle aziende committenti regolate dalla filiera cooperativistica che va dal presidente al caporalato e per ultimo la forza lavoro immigrata.

Una magnifica lotta

Dopo 5 scioperi (con partecipazione dei lavoratori agli scioperi generali del 17 novembre e 12 dicembre), con picchetti alle entrate del magazzino Bennet di Origgio, i lavoratori delle cooperative (95% immigrati che lavorano in condizioni pessime) riescono a piegare i loro padroni.

contro l’accordo nazionale, siglato il 10 dicembre 2008 a Roma tra le associazioni padronali e sindacati confederali , che, oltre alla concessione di ulteriore flessibilità sull’orario di lavoro, introduzione dell’apprendistato di durata di 36 mesi con una retribuzione pari al 90%, proroga al 31 dicembre del 2009 l’erogazione della quota una tantum); 5) 30 euro mensili di aumento per tutti ( tra i lavoratori delle diverse cooperative e con diverse mansioni) sul premio di produttività subito e altri 30 euro di aumento a partire dal primo giorno di luglio 2009; 6) costituzione di una sala medica per il primo pronto soccorso; 7) il riconoscimento della rappresentanza sindacale dei delegati Slai Cobas.

Dopo cinque mesi di lotta i lavoratori, quasi tutti iscritti allo Slai Cobas, hanno firmato un accordo che prevede: 1) il rientro in azienda di Dickson, operaio licenziato, dopo una provocazione dei capetti della coop. Leonardo, perché delegato tra i più attivi del nostro sindacato; 2) trasferimento in altri siti di due capetti che in azienda intimidivano ed insultavano con frasi razziste i lavoratori; 3) costituzione di una commissione, dove sono presenti insieme ai responsabili aziendali quattro lavoratori, che ha il compito di ripartire le ore tra i 160 lavoratori presenti nel magazzino Bennet e l’organizzazione delle presenze nei turni; 4) l’attribuzione dell’ultima trance della quota una tantum di 600 euro sulla prossima busta paga (andando

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E’ un accordo che anche nella parte economica, va contro ciò che le associazioni padronali e Filt/CGIL, Fit/CISL e UIL trasporti hanno siglato a Roma il 10 dicembre, che va oltre i confini di Origgio, che: 1) crea la premessa per superare la guerra tra poveri che talvolta si sviluppa in queste aziende; 2)

estende la lotta ad altri luoghi di lavoro; 3) politicamente ha unito, su un percorso condiviso che ha elevando la combattività complessiva, militanti di diversa appartenenza associativa che sono accorsi a sostegno della lotta.

Nell’assemblea tenuta, dopo la firma dell’accordo, nello spazio antistante la portineria principale, è uscita la proposta di una assemblea pubblica da fare a Milano domenica 25 gennaio, su crisi, attacco padronale, risposta dei lavoratori insieme agli studenti e soggetti politici e sociali antagonisti, per costruire un’opposizione organizzata ed intransigente ai padroni e Governo.

Una battaglia vinta al termine di una settimana di blocco del “cottimo”, uno sciopero che ha coinvolto i due turni di lavoro, che ha bloccato i tir e i camion in entrata, intasando le arterie principali intorno alla zona industriale che portano a Milano, Lainate, Varese, e che ha visto coinvolgere, in diverse fasi, dalle 70 alle 120 persone esterne al magazzino Bennet.

Per concludere, ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato ai picchetti e sostenuto la lotta anche al di fuori di Origgio, in particolar modo siamo orgogliosi per l’apporto dato da tutti i militanti Slai che hanno, non solo , fatto enormi sforzi per fornire un adeguato sostegno logistico ed organizzativo (legna da ardere, bevande, chili di roba da mangiare, fornelli a gas, impianto fonico, ecc.), ma, nel periodo della lotta, mantenuto il presidio nei posti di lavoro dove sono, partecipato alla manifestazione operaia e studentesca di Termoli, alle manifestazioni in occasione degli scioperi generali del 17novembre, 12 dicembre e alle varie iniziative, riunioni in preparazione del Congresso che terremo agli inizi di marzo 2009.

Pioggia, neve e freddo non hanno fermato la solidarietà di quanti hanno sentito come propria questa lotta, che non è stata ristretta nei confini del magazzino di Origgio (Varese), ma ha coinvolto lavoratori di altre cooperative (di Olgiate, Pieve Emanuele, Lodi, Cremona, Corte Olona, Ortomercato di Milano), numerose realtà politiche e sociali (studenti dell’Università Statale e Bocconi di Milano, militanti di Rovigo e Torino, quest’ultimi, il 19 dicembre hanno manifestato di fronte alla Bennet di Via Orvieto, il Centro Sociale Vittoria, il Comitato antirazzista milanese, il comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e dei territori di S. San Giovanni, il Centro Sociale Cox, la “panetteria” di Lambrate, il centro “la forgia” di Cremona, “la fucina” di Sesto San Giovanni, il Coordinamento dei proletari e lavoratori comunisti e militanti dei vari gruppi politici).

Per l’Esecutivo Slai Cobas Aldo Milani

E’ stata una magnifica lotta, portata avanti in modo autorganizzato dal basso, rispondendo a provocazioni di ogni genere (nel magazzino, durante gli scioperi) e anche scontri fisici , che non solo ha unificato i lavoratori srilankesi, maghrebini, albanesi, equadoregni, e i pochi italiani presenti, ma ha creato le premesse per allargare il conflitto alle altre cooperative lombarde (dove sono presenti 70‐80 mila “stranieri” e dove negano i minimi diritti dando paghe da fame).

Dickson

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DAL COMUNICATO / APPELLO del comitato antirazzista milanese LA REPRESSIONE NON DEVE FERMARE LE LOTTE Il 2 dicembre la digos di Milano, ha notificato a un compagno del comitato antirazzista milanese, mentre usciva dal cantiere di lavoro con altri operai, un atto volto a colpire le persone discrezionalmente considerate “socialmente pericolose”. Con esso si informa “l’avvio, nei suoi confronti, di un procedimento amministrativo volto all’irrogazione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio (Art. 1 e 2 della legge 1423/56) dal Comune di Milano”. Il provvedimento minacciato segue un’operazione compiuta non molto tempo fa sulle pagine del Corriere della Sera,

quando si confermò con chiarezza quanto taluni ‘giornalisti’ possano essere docili strumenti di veline della Questura. Esso si rifà a una legge emanata dal ministro dell’interno degli anni ‘50, il democristiano Mario Scelba, (responsabile, tra l’altro, dell’uccisione di contadini, studenti ed operai in lotta), e fa parte di un ricco armamentario di procedimenti con cui lo stato tenta di intimidire ed isolare i singoli militanti per criminalizzare e meglio colpire interi collettivi e la loro iniziativa politica, e cercare di isolarla dal movimento di massa. il coordinamento dei proletari e dei lavoratori comunisti da la sua solidarietà a questo compagno.

Intervista ai lavoratori delle cooperative Leonardo e Giava 31 dicembre 2008 realizzata per Work da Michele Michelino e Daniela Trollio (l’intervista è la fedele copia registrata con i compagni e i familiari che hanno partecipato alla festa organizzata nella sede dello Slai Cobas). Domanda: Che giudizio date di questa lotta di cui siete stati protagonisti? Risposta: (Hamzaoui, Tunisia, immigrato dal 1997) La vittoria è frutto dell’unità di tutti i lavoratori, ma per primo vogliamo ringraziare il nostro sindacato Slai Cobas, che sinceramente ci ha dato una grossa mano e un grande aiuto e il grande sacrificio che tutti hanno fatto per noi. Prima del Cobas siamo stati iscritti ad altri sindacati da tanti anni, però i risultati sono sempre stati negativi perché i sindacalisti si mettevano d’accordo con i padroni. E’ stata una lotta durissima, veramente, però alla fine abbiamo

ottenuto tanti, tanti risultati buoni. Adesso dopo questa lotta siamo sulla strada giusta, di contrattazione seria tra datore di lavoro e operai. Non ci possiamo lamentare, sinceramente questa è la prima volta che abbiamo ottenuto un risultato da tanti e tanti anni, nonostante il fatto che siamo stranieri ed extracomunitari. D.: Questa lotta vittoriosa è riuscita anche a far riassumere un vostro compagno che era stato licenziato: ci potete spiegare cosa ha significato questo per voi e per i lavoratori delle altre cooperative, la riassunzione del compagno licenziato e i vantaggi economici raggiunti con la lotta? R.: (Zarrouki Abderraihm, Marocco) La riassunzione del nostro compagno Dickson è stata un bel risultato, tutti noi siamo molto contenti. Adesso stiamo tutti bene e aspettiamo che il nostro compagno ritorni con noi.

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D.: Perché avete voluto a tutti i costi che Dickson fosse riassunto, mettendo la sua riassunzione come pregiudiziale alla trattativa economica, prima dei soldi e delle condizioni contrattuali? R.: (Ratna, Sri Lanka) Noi abbiamo lottato non solo per soldi. Sei mesi fa i responsabili della cooperativa hanno fatto una provocazione affermando che Dickson aveva minacciato loro con un taglierino dicendo che voleva tagliargli la gola, così lo hanno licenziato. Ma non era vero niente, eravamo presenti in 4 ragazzi e siamo testimoni. Questa cooperativa vuole buttare fuori i lavoratori scomodi. Quando, un anno fa, abbiamo scioperato con la CGIL c’era un operaio, delegato come Dickson, si chiamava Mustafà, e anche lui è stato licenziato. Questa cooperativa (la Leonardo) ha sempre cercato di eliminare i delegati dei lavoratori buttandoli fuori. In questo modo la cooperativa vuole che i lavoratori siano come schiavi. Con tutte queste lotte abbiamo fatto molti sacrifici, ma adesso penso che si può lavorare, come lavoratori e non come schiavi e chi come i due capi ci hanno trattato senza dignità oggi siamo riusciti a farli trasferire in altre sedi, con la gioia di tutti noi. E’ questa la nostra grande vittoria e io ringrazio lo Slai Cobas, Aldo (il coordinatore che ha seguito tutta la lotta) e tutti i compagni che ci hanno aiutato. D.: Chi ha parlato adesso è uno dei due o tre compagni che si sono presentati nella sede dello Slai Cobas per cominciare questo tipo di lotta ed è stato, tra l’altro, uno dei primi tartassati dal padrone. Dato che ha vissuto anche una vicenda particolare ( perché di fronte al fatto che si voleva organizzare, Ratna è stato, in pratica, punito tremendamente dai capi subendo un infortunio che ancor oggi, dopo sei mesi di convalescenza, gli paralizza una parte del corpo), vorremmo che riportassi la tua esperienza, dal primo giorno in cui hai cominciato a organizzarti

e dopo, quando ti hanno cambiato lavoro mettendoti provocatoriamente a fare le pulizie negli scantinati e perché sei finito in ospedale…. R.: (Ratna) Noi abbiamo cominciato a organizzarci, prima eravamo iscritti alla Cisl, poi, dopo un anno e degli scioperi, ci hanno venduto. Ogni volta che noi volevamo lottare, andare avanti, loro si tiravano indietro. E questo vuol dire che qualcosa non andava. Poi io e Dickson abbiamo pensato “cambiamo questo sindacato”. Prima siamo stati organizzati con la CGIL, poi la Cisl, senza ottenere niente e oggi siamo con il Cobas, anche se essi non hanno politici dietro. Dopo l’iscrizione al Cobas ci hanno trattato sempre peggio. Intanto noi abbiamo nominato due delegati, io e Dickson. Da allora ci hanno maltrattato… vai di qua, lavora qui, cambia turno, vai di là, pulisci lì e dopo mi hanno mandato sotto, al magazzino: più di 200 metri, pieno di polvere che nessuno aveva mai pulito. Io gli ho detto va bene, ma con che cosa pulisco? E’ vero, io ho firmato per lavorare, io pulisco, però come farlo? In Italia c’è un sistema per pulire, ho bisogno di un aspirapolvere, maschera e anche un cappello per la testa. Loro hanno risposto che non c’era niente: aspettavano che io rifiutassi per mandarmi la lettera e cacciarmi via. Io ho lavorato e pulito senza che mi dessero i mezzi adeguati; intanto ero diventato nervoso, prima non avevo problemi, adesso già al mattino ho la pressione alta. Una volta, fra giugno e luglio, sono svenuto, caduto per terra rompendo una finestra. Sono stato soccorso dagli altri lavoratori, è arrivata l’ambulanza. Poi ho saputo dai soccorritori che sarebbe bastati altri 20 secondi di ritardo e io sarei morto.

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D.: Uno dei motivi della vostra vittoria, da quello che dite, è stata l’unità fra le varie nazionalità. Come siete riusciti a mettervi

d’accordo e a fare la lotta, pur provenendo da tanti Paesi diversi? R.: (Hamzaoui) Noi abbiamo avuto questa grande unità e una grande vittoria, primo perché il Cobas ci ha dato una mano politicamente, fisicamente, anche parlando con la gente su come si fa ad unirsi e ad andare d’accordo. Questa è stata la prima scuola per noi e un grande vantaggio, una grande strada è stata aperta, perché siamo molto, molto d’accordo tra noi stranieri, perché siamo una quindicina, una ventina di razze tutte diverse, ognuno ha la sua lingua, il suo dialetto. La conquista è stata fatta grazie all’aiuto del Cobas anzi, io approfitto di questo caso per invitare tutti i nostri colleghi di lavoro, ma non solo quelli della cooperativa dove noi lavoriamo per Bennet, in tutta Italia di rivolgersi al sindacato Cobas che per noi e per loro è un grande aiuto, una grande mano e un gran sindacato veramente serio, severo, pulito… Poi, sul come siamo andati d’accordo…. Per forza siamo obbligati ad andare d’accordo, senza unità non succede niente, perché una mano sola non può lavare la faccia, anche se lava, si farà sempre molta fatica a pulirla. Noi ringraziamo molto, ma molto, il nostro sindacato Cobas in tutta Italia, non solo in Lombardia perché ha dimostrato grande sacrificio. E’ una grande vittoria e noi oggi siamo qui a parlarne, per questo siamo contenti, siamo felici, andiamo avanti con tutti i nostri compagni, siano italiani o stranieri ….. non vuol dire niente, siamo tutti uguali. (Hanif Kamxan, Pachistan) Ringrazio tutti i compagni che ci hanno aiutato e un grazie ad Aldo e a tutti i ragazzi del Cobas. Noi siamo di tante nazionalità, come ci siamo uniti abbiamo trovato la strada. Avevamo paura perché siamo stranieri. Quando abbiamo trovato la strada giusta con lo Slai Cobas, tutti i lavoratori hanno cominciato a capire e quelli di tutte le

nazionalità hanno cominciato a iscriversi e a lavorare tutti insieme, tunisini, del Bangladesh, pachistani, marocchini, albanesi ecc. Per cinque volte abbiamo fatto sciopero, tutte le volte vedevamo i lavoratori dello Slai Cobas e i compagni di altre organizzazioni, tanti altri lavoratori come noi, che venivano ai picchetti con noi, che si sacrificavano tutta la notte, fino al mattino; tutti si sono svegliati, non ci siamo sentiti abbandonati. Noi siamo una mano, un anello di una catena con gli italiani e questa vittoria dimostra qual è la strada da fare. (Sebastian Fernando, Sri Lanka) Ho lavorato 9 anni al magazzino, 6 anni a fare pulizie e da 3 anni sono con questa cooperativa. Io non ho mai detto “questo lavoro non lo faccio” perché ho bisogno dello stipendio. Poi noi ci siamo uniti, d’accordo, nel sindacato Cobas ed è andato tutto bene. D. (a Dickson, Sri Lanka): I tuoi compagni hanno detto che la lotta è stata vittoriosa grazie all’unità che avete realizzato fra tutti i lavoratori di diverse etnie, dimostrando che la lotta paga. Vorremmo sapere tu - che eri la pregiudiziale per lo sbocco di questa lotta, prima dei soldi e degli aumenti - cosa pensi della lotta, degli scioperi e del risultato raggiunto? R.: Io sono molto contento perché la vittoria ci fa rispettare come Cobas. Adesso gli amici, i lavoratori, i parenti sono tutti venuti a felicitarsi della vittoria. Io rispetto molto lo Slai Cobas e Aldo. Aldo dice una parola e una parola è, non due parole e questo è rispettare i lavoratori. (Yakgaha, Sri Lanka)

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Questa lotta l’abbiamo vinta grazie al Cobas, veramente. Il Cobas ha fatto per noi tanti sacrifici, tutti noi lavoratori ci siamo uniti in questa lotta. Cinque mesi fa il nostro compagno, mio paesano,

Dickson è stato buttato fuori: meno male che grazie al Cobas, a tutti quelli che ci hanno aiutato e a noi tutti uniti abbiamo vinto e siamo riusciti a far rientrare Dickson. La cooperativa non ci voleva dare l’una tantum di 600 euro: noi abbiamo fatto un accordo e abbiamo ottenuto anche questo e un aumento mensile, dal prossimo mese, di 30 euro e al primo luglio 2009, altri 30 euro. Abbiamo ottenuto tante cose grazie all’unità di tutti quelli che ci hanno aiutato, lavoratori del Cobas, ragazzi dei Centri Sociali e tanti altri. Anche noi abbiamo fatto molti sacrifici, sotto la neve, la pioggia, il freddo. Grazie a tutti quelli che ci hanno aiutato. D. (a Dickson): I tuoi compagni hanno fatto questa lotta e per prima cosa hanno chiesto la tua riassunzione. Perché gli sei simpatico o per altro? Qual è la ragione vera? R.: La gente mi ha sempre rispettato perché io ho scelto sempre una strada: quella dell’unità dei lavoratori. Io ho cambiato due sindacati, ma ho sempre seguito una sola strada. Con il Cobas mi sono trovato benissimo perché ho visto che ha una strada, una parola che è la stessa, che ho verificato quando sono andato a Termoli a manifestare con gli operai della Fiat e questo ha unito tutti i lavoratori e reso il Cobas più credibile. Adesso, dopo la lotta, piano piano, molti lavoratori di altri magazzini vogliono venire al Cobas e questo per me significa molto. Molti lavoratori vengono da me, perché sanno che anch’io ho una sola parola e questo per me è rispettare i lavoratori. D. (a Dickson): Hanno cercato anche di corromperti? R.: (Dickson) Si, prima del licenziamento il sig. Chiari (il responsabile della cooperativa) mi ha proposto di abbandonare i lavoratori. Mi

ha detto “vieni con noi, prendi i soldi”. Io gli ho risposto di no. Voglio rispetto e la mia vita. (Yakgaha) Anche a me hanno dato un assegno da portare a Ratna. Io gli ho detto “Ratna non prende il tuo assegno”. Una volta Chiari parlava con me dicendo “Voglio aiutare Ratna”. Questa è una cosa falsa per dare un segnale. Io mi sono rifiutato dicendo “se vuoi, l’assegno daglielo tu”. Gli ho anche detto “al cento per cento, Ratna non prende i tuoi soldi!”. Quando bisogna pagare, si pagano tutti, ho detto. D. (a Dickson): Cosa pensa tua moglie del fatto che ritorni a lavorare? Lei è appena arrivata in Italia con i bambini. E’ molto contenta e ringrazia tutti quelli che ci hanno aiutato. Se non ci sono più interventi vi ringraziamo per l’intervista. Vogliamo solo dire che voi , lavoratori stranieri da anni in Italia, che fate i lavori peggiori, dopo questa lotta avete conquistato dei diritti. Questa lotta oltre ad un insegnamento per voi lo è anche per i lavoratori italiani, perché dimostra non solo che la lotta paga, ma che uniti si vince. Se voi siete riusciti a fare questo, ci viene spontaneo pensare che, se tutti i lavoratori del mondo fossero uniti, si potrebbe sì lottare insieme per conquistare un mondo dove non ci siano più sfruttati e sfruttatori e crediamo che voi con la vostra lotta un contributo l’abbiate dato. Alle 20.30 interrompiamo l’intervista: adesso si fa festa e si mangia con mogli, bambini e amici.

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(Riceviamo e pubblichiamo il volantino) Atene - Il 23 Dicembre 2008, Constantina Cuneva, immigrata dalla Bulgaria che lavora come spazzina nella metropolitana di Atene, ha subito un attentato contro la sua vita mentre stava rincasando dopo una giornata di lavoro. Constantina era nota per la sua attivita sindacale e per questo motivo si era trovata nel mirino della ditta appaltatrice delle pulizie nella metropolitana di Atene che era il suo diretto datore di lavoro. Come prima risposta all'attentato contro la vita di Constantina, un gruppo di compagni-e ha occupato la sede di ISAP ( La ferrovia elettrica di Atene-Pireo) il 27 dicembre 2008. Ciò che segue è il volantino distribuito. L'occupazione è terminata ieri, domenica 28 dicembre 2008.

QUANDO ATTACCANO UNO DI NOI, CI ATTACCANO TUTTI Oggi 27 Dicembre abbiamo occupato la sede centrale di ISAP (Ferrovia Elettrica di Atene-Pireo) come prima risposta all´attentato contro la sua vita che ha subito Constantina Cunova il 23 dicembre 2008 mentre stava rincasando dal suo lavoro. Constantina è ricoverata in gravi condizioni nel reparto di terapia intensiva dell´ospedale "Evangelismos" riportando gravi lesioni agli occhi ed all´apparato respiratorio. Chi è Constantina? Per quale motivo è stata attaccata? Constantina è una delle centinaia di lavoratrici immigrate che lavora da anni come lavoratrice interinale nel settore delle pulizie. È segretaria generale dell´Unione Panattica degli spazzini-e e dei lavoratori domestici, sindacalista militante, nota per la sua combattività. La settimana scorsa si era scontrata con il padronato di "ICOMET", rivendicando la tredicesima per lei e per le sue colleghe e denunciando le irregolarità riguardo alla loro busta paga. Tutto ciò è venuto dopo il licenziamento vendicativo di sua madre dalla medesima ditta, il suo trasferimento in un altro posto di lavoro, mentre pende la sua denuncia all´Ispettorato del Lavoro che sarà esaminata il 5 gennaio 2009. Tutto ciò costituisce la norma e non l´eccezione nel settore delle pulizie e del lavoro interinale. I contratti fuori norma, le ore di lavoro e gli straordinari non pagati, lo scarto tra i soldi per i quali firmano i lavoratori e quelli che effettivamente ricevono, l´assunzione di immigrati e di immigrate che sono più ricattabili, il non versamento dei contributi dell´INPS costituiscono le pratiche abituali degli appaltatori nel settore delle pulizie. Naturalmente tutto ciò avviene grazie ai dirigenti degli enti pubblici che danno copertura alle irregolarità e promuovono la precarietà del lavoro. Specialmente per quanto riguarda "ICOMET", una ditta che opera nel settore delle pulizie e del lavoro interinale che opera su scala nazionale, proprietà di Nikitas Iconomakis, dirigente del partito socialista (Pasok), che impiega "ufficialmente" 800 lavoratori (gli stessi lavoratori parlano di almeno 1500, mentre gli ultimi 3 anni sono "passati" dalla ditta più di 3000 lavoratori) gli abusi da parte del padronato sono all´ordine giorno. I lavoratori sono costretti a firmare contratti "in bianco" di cui non ricevono mai la copia. Lavorano 6 ore e vengono pagate per 4,5 ore (salario e contributi) in modo da non raggiungere mai le 30 ore settimanali (in questo modo il loro lavoro non è considerato lavoro usurante e non traggono i benefici della legge). Vengono terrorizzate, vengono trasferite e, quando vogliono licenziare una lavoratrice, la minacciano per costringerla a dare le dimissioni (una lavoratrice è stata trattenuta per quattro ore nei locali della ditta affinché firmasse le sue dimissioni). Il padronato sta cercando di creare un sindacato giallo per sottomettere i lavoratori mentre tramite licenziamenti cerca di bloccare i canali di comunicazione tra i lavoratori e la loro azione collettiva. Cosa c´entra "ICOMET" con ISAP?

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All´"ICOMET" è stato aggiudicato l´appalto per le pulizie dell´ISAP e di altri enti pubblici, perché ha potuto fare l´offerta più bassa con i più alti tassi di sfruttamento e deprezzamento della forza-lavoro. Questo regime di sfruttamento è stato organizzato per soddisfare le esigenze di vari enti

pubblici, tra cui anche l´ISAP. L´ISAP è complice di questo regime di sfruttamento selvaggio, nonostante le numerose denuncie fatte dal sindacato dei lavoratori. L´attentato contro la vita della nostra collega era vendicativo e intimidatorio. Il bersaglio non era casuale: donna, immigrata, militante sindacale, madre di un minorenne, agli occhi dei padroni costituiva un bersaglio facile. Il modo non era casuale: il suo scopo era di lasciare il suo segno, di intimidire e di terrorizzare. Il tempo non era casuale: mentre i mass-media, i partiti, la chiesa, i padroni e i dirigenti sindacali cercano di ingiuriare la rivolta sociale; mentre l´assassinio a sangue freddo di Alexis Grigoropoulos viene presentato come "morte accidentale" all´attentato contro Constantina viene dedicato pochissimo spazio. L´attentato contro la vita di Constantina è stato preparato dal padronato con diligenza. Constantina è una di noi. La lotta per la DIGNITÀ e la SOLIDARIETÀ è la NOSTRA LOTTA.! L´attentato contro Constantina ci ha segnati tutti. Ha segnato la nostra memoria e il nostro cuore che è pieno di dolore e di rabbia. GLI ASSASSINI PAGHERANNO TUTTO NON CI FAREMO INTIMIDIRE DAL PADRONAT0

Assemblea di solidarietà con Costantina Cuneva

LICENZIAMENTI POLITICI: ANCHE LA CASSAZIONE CONDANNA LA FIAT POWERTRAIN DI TERMOLI PER IL LICENZIAMENTO DI STEFANO MUSACCHIO CHE AVEVA ESPOSTO LA BANDIERA DELLA PACE ALLE PORTINERIE DELLO STABILIMENTO La corte di cassazione, con sentenza n. 29/257, ha dato ragione e Stefano Musacchio che il 1° marzo 2003, in segno di protesta contro l’invio dei soldati italiani in Iraq, aveva esposto la bandiera della pace all’ingresso dello stabilimento Fiat Powertrain di Termoli ed era stato per questo poi licenziato dall’azienda. La recente decisione della Cassazione - cui la Fiat aveva chiesto il giudizio impugnando le precedenti sentenze di 1° e 2° grado che già avevano condannato l’azienda - ha, nel caso specifico, ancora una volta rilevato e censurato la “pretestuosità del licenziamento comminato dall’azienda all’evidente scopo di liberarsi di un sindacalista scomodo”. Non è un caso che il licenziamento avveniva a tre mesi dal voto in fabbrica per il rinnovo dei delegati RSU e Stefano, nelle precedenti elezioni sindacali, era stato il delegato più votato tra tutte le liste sindacali in lizza.

SCONFITTA ANCHE LA CASSA INTEGRAZIONE “POLITICA” A

TERMOLI.

Sull’onda del rilancio della mobilitazione messa in moto dalla manifestazione di Termoli del 22 novembre scorso e che ha visto in piazza importanti momenti di concreta unita-

operai/studenti la Fiat Powertrain si è dovuta rimangiare buona parte della cassa integrazione prevista in gennaio 2009 (dal 5 all’11 gennaio per i 407 addetti all’unità motore “16 V”, dal 12 al 18 gennaio per i 693 addetti e collegati al reparto unità cambio “C 510”, dal 12 al 25 gennaio per i 92 addetti e collegati all’unità cambio “C 548”). Infatti, lo scorso 10 dicembre, a differenza dei sindacati confederali, lo Slai Cobas si rifiutò di sottoscrivere il verbale di riunione con l’azienda relativo alla comunicazione dell’annunciato periodo di ‘cassa’ denunciando l’uso politico-strumentale della crisi mondiale da parte della Fiat per realizzare ingiustificate sospensioni lavorative e preannunciando inotre una denuncia in procura. L’immediata ‘retromarcia’ della Fiat che ha dimezzato di fatto la prospettata cassa integrazione la dice lunga sulla logica strumentale e politica della cassa integrazione di gennaio in tutto il gruppo Fiat (che tra l’altro chiude i bilanci con profitti alle stelle) e riguardante circa 50.000 addetti che si vedono falcidiate le buste paga: ancora la Fiat chiede miliardi di finanziamenti pubblici per dimezzare gli organici e massimizzare la selezione antisindacale con i licenziamenti -ed reparti confino - come quello di Nola.

SLAI COBAS

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COORDINAMENTO NAZIONALE

____________________________________________________________________________________________ (Riceviamo e pubblichiamo il volantino distribuito dai compagni del Comitato)

Il capitalismo continua a uccidere i lavoratori Un anno fa morivano 7 operai alla ThyssenKrupp di Torino: 4 bruciati vivi, altri 3 dopo giorni di terribile agonia. Nella fabbrica in smobilitazione della multinazionale tedesca il padrone, con la complicità dei sindacati confederali, aveva imposto turni di lavoro di 12 ore. Alcuni degli operai uccisi lavoravano con più di 4 ore di straordinario alle spalle. Così ThyssenKrupp incrementava i propri profitti risparmiando sulla manutenzione e sulla sicurezza. L’“incidente” alla ThyssenKrupp colpì fortemente l’opinione pubblica per come avvenne: operai bruciati vivi come se fossimo ancora nell’800, nascondendo che questa, invece, è la “modernità” del capitalismo. Tanti allora piansero lacrime di coccodrillo. I padroni, definendo questa ennesima strage un “fatale incidente”; i politici borghesi (di centro-destra e di centro-sinistra) parlando di “piaga inaccettabile”; i sindacati confederali, che accettano come legittimo il profitto siglando in ogni accordo il peggioramento delle condizioni di lavoro. Tutti, così, rendendosi parte integrante e complici di quel sistema di sfruttamento dei lavoratori che si chiama capitalismo. Nonostante il “nuovo” Testo unico sulla sicurezza, le morti operaie sono continuate e continuano da un capo all’altro della penisola. Secondo le stime ufficiali sono 4 al giorno, 1.500 all’anno. In realtà, se ai dati Inail si aggiungono gli incidenti dei 3 milioni 500mila lavoratori, italiani e stranieri, che lavorano in nero e le morti diluite nel tempo causate dalle malattie professionali, non è azzardato sostenere che il numero dei morti sul lavoro e di lavoro è superiore ai 10 al giorno. Per gli operai e i lavoratori - divisi, disorganizzati, senza nessuna rappresentanza politica e sindacale - portare a casa un salario nella guerra quotidiana fra capitale e lavoro è sempre più rischioso. I morti sul lavoro non sono mai una fatalità: sono il costo pagato dagli operai alla realizzazione del profitto. I morti sul lavoro sono parte della brutalità e della violenza del sistema capitalista. Protetti da leggi che tutelano la proprietà privata dei mezzi di produzione, lo sfruttamento e il profitto, i capitalisti hanno impunità e licenza di uccidere. Quindi non si tratta di “destino”. Sono l’aumento dello sfruttamento e il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro la causa principale degli infortuni e dei morti sul lavoro e di lavoro. GLI OPERAI NEL SISTEMA CAPITALISTA NON SONO ALTRO CHE FORZA-LAVORO: CARNE DA MACELLO. Noi continuiamo a lottare contro tutte le morti “innaturali”, anche se siamo coscienti che solo abolendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la classe operaia può liberarsi. Il 6 dicembre, anniversario della strage della ThyssenKrupp, noi manifesteremo a Torino per ricordare tutti i morti sul lavoro e di lavoro. A perenne ricordo degli operai della ThyssenKrupp e di tutte le vittime dello sfruttamento capitalista, ora e sempre resistenza!

Sesto San Giovanni, dicembre 2008

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

LA “LORO CRISI” LA PAGHEREMO TUTTI, SE NON CI ORGANIZZIAMO PER LOTTARE UNITI

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La crisi finanziaria attuale è riuscita a creare strani consensi tra la destra e la cosiddetta “sinistra” in tutto il mondo, consensi che rivelano più di ogni altra cosa l’identità di vedute dei diversi rappresentanti delle frazione del capitale: tutto pur di salvare il capitalismo.

E’ stato davvero istruttivo vedere un giorno i cosiddetti rappresentanti dei lavoratori chiedere a gran voce la nazionalizzazione delle banche e il giorno dopo Bush, Sarkozy e Merckel farlo, almeno in parte. I ministri dell’Eurogruppo hanno chiesto che il “pubblico” – lo Stato ‐ acquisisse partecipazioni nel capitale delle grandi banche e, a bassa voce, che ricominciasse a fare investimenti in infrastrutture di interesse pubblico. Si trattava, con la massima urgenza, di evitare il peggio e per questo si spera che il sacrificio di grandi quantità di denaro pubblico nei buchi neri della finanza permetta di ristabilire la fiducia e il credito. Il capitalismo e l’economia sono diventati una questione di “fede”, non più un fatto materiale, un insieme di ferree leggi naturali a cui non si può far altro che obbedire. In questa voragine sta spuntando di nuovo una vecchia idea, comune a destra e “sinistra”: l’idea di una “economia capitalista reale” opposta ad una “sfera finanziaria virtuale”. A questa distinzione si aggiunge un giudizio di valore: l’economia reale sarebbe virtuosa, perché basata sul lavoro e rispondente a necessità reali, mentre l’economia finanziaria sarebbe un insieme di vizio e corruzione. Questo moralismo è riflesso dalla stampa, che si scandalizza per i 440.000 dollari spesi in festeggiamenti dai dirigenti di AIG, società di assicurazioni appena salvata dal governo USA (un esempio fra altri). A questo va aggiunto lo scandalo prodotto dagli elevatissimi stipendi dei dirigenti delle società finanziarie o i “paracadute” che si sono assegnati da soli in caso di fallimento. Certo, questi esempi rappresentano casi di abuso, almeno da un punto di vista morale, ma attenzione a fare la morale al capitalismo; lo ricordava Mackie Messer, il gangster e re dei mendicanti dell’Opera da Tre Soldi di Brecht, più di 70 anni fa: “Che sarà mai svaligiare una banca rispetto a fondarne una?!”. Il problema del capitalismo non è la trasgressione delle sue stesse norme giuridiche o morali – trasgressione assolutamente possibile e decisamente frequente – ma il funzionamento normale di un sistema basato sull’espropriazione e sullo sfruttamento del lavoratore, individuale e collettivo. La normale rapina del capitale, rispettosa delle leggi, dello stato di diritto e persino dei diritti umani è un fenomeno molto meno vistoso degli eccessi degli zar della finanza, ma infinitamente più grave. Valgano come dimostrazione la precarietà, la miseria, la mancanza di un futuro degno di intere generazioni e – per parlare solo dell’Italia ‐ i 1.500 morti sul lavoro e le decine di migliaia di morti e ammalati di lavoro, che sono i figli legittimi del capitalismo reale, il capitalismo “buono”. Per questo cercano oggi di distoglierci da questa realtà per seguire la predica morale di coloro che, artefici e complici, hanno contribuito a fissare questi presunti limiti. La situazione normale è il capitalismo, obbligatorio e imposto non dal mercato ma dalla violenza di pochi esercitata dallo Stato democratico, che impedisce ai cosiddetti “cittadini” dei nostri stati “democratici” di decidere democraticamente cosa, quanto e quando produrre. Il “cittadino” non può decidere neppure cosa consumare, in questo mercato tanto democratico (definizione di Milton Friedman e dei suoi Chigago Boys, che infatti democraticamente lo sperimentarono nella sua nuova versione di neoliberismo nel Cile di Pinochet), perché nel I° mondo può scegliere solo di acquistare debiti nella gigantesca e ripetitiva offerta dei mercati finanziari o qualche cosa di inutile nel mercato “reale” per sopravvivere alla solitudine e alla noia, con buona pace delle risorse dell’intero pianeta che, ci dicono in questi giorni, sono ormai finite. Il resto del mondo, che possiede ancora materie prime e fonti di energia, può aspettarsi un’accresciuta rapina delle sue risorse e continuare a morire di fame: tanto l’esercito industriale di riserva è ormai immenso. Lo sfruttamento, la sottomissione della forza lavoro, della capacità fisica e intellettuale degli esseri umani a un comando estraneo che si appropria della ricchezza da essi prodotta è qualcosa di normale. Dopo secoli di manipolazioni e propaganda, quello che agli albori del capitalismo appariva alla maggioranza degli sfruttati come un sistema dispotico oggi ci viene presentato come il paradigma della libertà.

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Lo sfruttamento è l’essenza del capitalismo: in esso non c’è produzione di valore ma estrazione di plusvalore. La produzione capitalista presenta se stessa come il processo in cui il “coraggioso” rischio di alcuni personaggi che possiedono ricchezza viene combinato con il “nobile” sudore di chi non ce l’ha, dando come frutto merci destinate a soddisfare le esigenze di tutti. Per entrare nel paradiso del “capitale produttivo” basta chiudere gli occhi all’espropriazione e allo sfruttamento.

Così oggi Emma Marcegaglia può chiedere, con somma faccia di bronzo e senza che nessuno dei cosiddetti “rappresentanti dei lavoratori” la smentisca, che si ritorni al capitalismo “reale”: più produttività e salveranno il mondo. Il capitale finanziario gode invece – oggi più che mai – di una cattiva fama. Eppure non ha fatto altro che liberare il capitale produttivo dalle sue limitazioni di tempo e di spazio. In altre parole lo ha “globalizzato” (la globalizzazione, altro concetto con cui per anni ci hanno bombardato togliendogli ogni significato di classe). Il capitale finanziario ha dato le ali allo sfruttamento. Se ora gliele taglieranno, non per questo sparirà lo sfruttamento capitalista. Sbaglia chi pensa che questa crisi sia la fine del capitalismo e – ancor più – sbaglia chi pensa che “la loro crisi non la pagheremo noi”. In realtà la stiamo già pagando da tempo, perché la crisi non è scoppiata il giorno X del mese di settembre 2008. Tant’è vero che i capitalisti si sono già attrezzati da tempo: delocalizzazioni, licenziamenti, aumenti dei tempi e dei carichi di lavoro, precarietà estrema, fame, guerra. Il parlamento europeo ha già votato la “direttiva delle 65 ore” e si prepara a restringere ulteriormente i flussi migratori perchè saranno i lavoratori europei buttati sulla strada in sempre maggior numero a sostituire gli immigrati (la Spagna del “progressista” Zapatero ha redatto nel mese di ottobre la lista degli immigranti a cui sarà permesso l’accesso: ricercatori, scienziati e lavoratori super‐specializzati; gli altri possono continuare a morire nel Mediterraneo). La risposta del capitale sarà la stessa di altre crisi: socializzare le perdite (negli USA ci sono già stati, in pochi mesi, 80.000 licenziamenti nel settore finanziario, nell’edilizia e nel settore dell’auto; il denaro investito per salvare le banche nei paesi industrializzati avrebbe consentito – secondo i calcoli della FAO – di raggiungere uno degli “obiettivi del millennio”, lo sradicamento della fame nel mondo) e garantire ad una cerchia più ristretta i benefici. La guerra resta l’altra grande opzione. Il capitalismo cadrà – come sono caduti altri sistemi economici e sociali che l’hanno preceduto – solo per l’azione cosciente e organizzata del suo nemico: il proletariato e le classi sfruttate e oppresse. E le crisi sono sempre grandi maestre nella storia, perché rendono chiara l’essenza di ogni sistema. Oggi più che mai, oggi che si è strappato il velo di “civiltà e progresso per tutti” con cui si mascherava lo sfruttamento, è necessario agire per unire e organizzare l’unico soggetto politico in grado di proporre un’alternativa economica, sociale, politica e ecologica alla natura intrinsecamente sfruttatrice e predatoria del capitalismo. Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Sesto S.Giovanni e-mail: [email protected]

MONDO DEL LAVORO - settembre/ottobre/novembre 2008

Panama – 5 settembre Sciopero generale nazionale “di avvertimento” di 24 ore in tutta Panama per chiedere al governo misure contro l’inflazione, oltre ad un aumento generalizzato del salario del 20% e al congelamento dei prezzi dei prodotti di prima necessità. Secondo il SUNTRACS, sindacato dei lavoratori delle costruzioni, hanno partecipato allo sciopero il 98% dei lavoratori del settore e l’85% dei lavoratori del trasporto. Ci sono stati scontri con la polizia. Germania, Berlino – 11 settembre Le autorità di 12 stati federali hanno condannato la catena di supermercati Lidl a pagare 1,5 milioni di euro di multa per aver spiato i propri dipendenti e raccolto informazioni su di loro attraverso telecamere e investigatori privati. Francia – 11 settembre Fermate di protesta negli stabilimenti della Renault in tutta la Francia, dopo la pubblicazione del piano della direzione che prevede 4.000 licenziamenti.

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Colombia, Valle del Cauca – 15 settembre 12.000 tagliatori di canna da zucchero nel dipartimento del Valle del Cauca hanno iniziato uno sciopero generale, dichiarando assemblee e picchettando l’ingresso degli stabilimenti di trasformazione. Altri 7.000 stanno decidendo, più a nord, la partecipazione alla mobilitazione. Reclamano migliori condizioni di lavoro: la maggioranza lavora per finte cooperative, per 14 ore al giorno con un salario inferiore a 200 dollari al mese. La polizia e l’esercito hanno ricevuto direttamente da governo Uribe l’ordine di occupare militarmente gli stabilimenti. Ci sono già stati duri scontri, con un saldo di 25 feriti. Francia, Parigi – 25 settembre Il gruppo Renault annuncia altri 2.000 licenziamenti che colpiranno soprattutto la rete commerciale in Spagna, Italia, Inghilterra e Germania. Nel frattempo costruirà una nuova fabbrica nella città di Tangeri. All’annuncio gli operai della sede di Sandouville (Normandia) hanno bloccato per protesta l’accesso al porto di Le Havre. Colombia, Valle del Cauca – 30 settembre I lavoratori della canna da zucchero, in sciopero da 2 settimane per migliori condizioni di lavoro e un salario degno, denunciano il “terrore di stato” attuato nei loro confronti. L’esercito colombiano e gli Squadroni Mobili Antidisturbi (ESMAD) hanno attaccato i lavoratori in lotta in località Tumaco, causando vari feriti. Lo sciopero continua. Svezia, Stoccolma – 8 ottobre Volvo Cars, società del gruppo Ford, ha annunciato oggi il licenziamento di 3.000 persone nei suoi stabilimenti svedesi. Si tratta del terzo taglio al personale in pochi mesi. Francia, Parigi – 11 ottobre Più di 5.000 persone in corteo per esigere una giustizia più veloce per le vittime e l’istituzione di un “processo nazionale” all’amianto. Organizzati dall’Andeva (associazione nazionale di difesa delle vittime dell’amianto), i manifestanti protestavano perché le indagini sulle morti, iniziate nel 1996, dovrebbe concludersi solo (!) nel 2014. Una delegazione è stata ricevuta al Ministero del Lavoro. Stati Uniti, Portland – 14 ottobre La Daimler annuncia che taglierà 3.500 posti di lavoro nei suoi stabilimenti di Portland (Oregon) e di St. Thomas in Canada. Spagna, Barcellona – 16 ottobre La Nissan licenzierà 1.680 operai (il 37,5% degli occupati) nei suoi stabilimenti in Catalogna. Lo ha comunicato il direttore generale F. Matsumoto. Contro i licenziamenti oggi sono in piazza più di 1.500 lavoratori. Grecia, Atene – 21 ottobre Uno sciopero generale di 24 ore contro la politica economica antisociale del governo sta paralizzando tutta le Grecia. Voli cancellati, sospesi i collegamenti con le isole, scuole, uffici e ospedali chiusi, trasporti bloccati sono la risposta dei lavoratori greci, che protestano anche contro la riforma delle pensioni e la privatizzazione di imprese statali. Spagna, Barcellona – 23 ottobre Più di 10.000 lavoratori hanno sfilato per le vie della città protestando contro i licenziamenti annunciati da Nissan. Insieme agli operai della Nissan c’erano lavoratori di altre imprese colpiti da licenziamenti, lavoratori dei trasporti, studenti e organizzazioni sociali. A giorni verranno convocate altre manifestazioni. Colombia, Bogotà – 23 ottobre 500.000 lavoratori hanno partecipato in tutto il paese alla giornata nazionale di protesta proclamata dalla CUT (Central Unica de Trabajadores de Colombia). I lavoratori chiedono l’applicazione delle norme salariali, un aumento del 15% del salario minimo, il rifiuto del Trattato di Libero Commercio con gli USA, sostengono la lotta di questi giorni degli indigeni e quella dei tagliatori di canna da zucchero. Germania – 30 ottobre Iniziati scioperi in molti stabilimenti metalmeccanici in tutta la Germania. Dopo i lavoratori della Osram di Berlino e della Johnson Controls in Bassa Baviera, entrano in sciopero - nel giorno in cui scadono i precedenti accordi salariali - i 4.000 lavoratori della Audi di Ingolstadt e i 1.000 di Neckarsum. Lunedì sciopereranno i lavoratori della Mìele e quelli della siderurgica Salzgtter. Il sindacato IG Metall chiede un aumento salariale dell’8%.

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Spagna, Barcellona – 11/12 novembre Circa 1.500 operai della Nissan, che aveva chiesto la cassa integrazione per lo stabilimento di Barcellona, hanno bloccato la Ronda Litoral all’altezza della Zona Franca dov’è ubicato la fabbrica. Più tardi hanno bloccato altre due strade. I lavoratori rifiutano la cassa e sostengono che non ve n’è bisogno. Domani è previsto un corteo alla sede commerciale della Nissan. Duri scontri davanti alla sede della multinazionale Nissan, dopo le richieste di licenziamenti e cassa integrazione. Circa 1.000 operai hanno preso d’assalto il grattacielo della Nissan lanciando uova, pietre e transenne di ferro. Sono stati bersaglio dei lanci anche gli agenti della polizia catalana, ce hanno poi disperso la manifestazione, senza che si siano registrati feriti. Precedentemente più di 4.000 lavoratori avevano manifestato davanti al Parlamento catalano. Portogallo, Lisbona – 12 novembre Più di 120.000 professori (l’80% della categoria) hanno nuovamente manifestato oggi nelle strade di Lisbona – dopo lo sciopero del marzo scorso che portò in piazza 100.000 persone - contro le politiche di distruzione dei diritti e di tentativi di privatizzazione dell’educazione del governo Stati Uniti, New York – 12 novembreMorgan Stanley, ex seconda banca d’affari statunitense, ha annunciato una nuova ondata di licenziamenti: dopo il salvataggio da parte del governo nel mese di settembre, la banca ridurrà del 10% il suo personale. Spagna, Madrid – 13 novembre Circa 20.000 persone sono scese in piazza questa sera per protestare contro la privatizzazione della sanità pubblica. La manifestazione era stata convocata dal Coordinamento dei Lavoratori della Sanità Pubblica contro la Privatizzazione. Tra le richieste dei manifestanti quella di uno sciopero generale, dato che i sindacati istituzionali non hanno fatto nulla contro il Piano di Infrastrutture Sanitarie 2007-2011. Stati Uniti, New York – 17 novembre Citigroup annuncia il licenziamento di 53.000 impiegati nel prossimo trimestre, dopo le forti perdite dovute a prestiti non rimborsati. Inghilterra, Londra – 17 novembre Secondo la CBI (Confederazione dell’Industria Britannica) la recessione sarà “più lunga e profonda di quel che si pensava” solo due mesi fa. Lo ha detto il vice-direttore John Cridland, che ha aggiunto che l’associazione prevede che i disoccupati arrivino a 2,9 milioni entro il 2010, cioè 2 su ogni 5 posti di lavoro. Paraguay, Asunciòn – 19 novembre Più di 5.000 contadini della zona organizzati nella OLT (Organizzazion di Lotta per la Terra) hanno bloccato oggi la strada 10 Las Residentas, mentre in altre zone venivano bloccate altre strade. I manifestanti chiedono l’attuazione della riforma agraria promessa da tempo, la riparazione delle strade, la costruzione di ponti, di presidi sanitari e di scuole in 4 comunità. Francia, Bordeaux – 20 novembre Sciopero totale a sorpresa di tram e autobus: lo hanno deciso i lavoratori del settore, preoccupati perché la Comunità Urbana ha decisodi sostituire l’attuale gestore Veolia Transport, con un’altra società. I lavoratori chiedono quindi garanzie sulle loro future condizioni di lavoro. Francia, Parigi - 20 novembre Nella Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia, migliaia di manifestanti (professori e studenti) hanno sfilato dai Giardini del Lussemburgo al Ministero dell’Educazione nazionale per protestare contro i piani di privatizzazione e i tagli alla scuola pubblica. Manifestazioni si sono svolte in tutta la Francia: a Marsiglia, Amiens, Digione, Nizza, Brest, Strasburgo, Tolosa. Francia, Strasburgo – 20 novembre Il Parlamento Europeo ha approvato oggi l’istituzione della “Carta Blu” che regolerà l’immigrazione “qualificata”. Gli immigrati a cui sarà concessa potranno chiedere un salario superiore solo di 1,7 volte il salario lordo che ricevevano nel loro paese (ad esempio 3.800 euro per un francese, ma solo 325 per un bulgaro). Saranno previste deroghe per i settori in cui scarseggia la mano d’opera. Costa Rica, San José – 24 novembre

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Il Ministero della Salute ha ordinato all’impresa spagnola RIU di fermare i lavori di costruzione di un hotel di lusso sulla costa del Pacifico a causa delle pessime condizioni in cui vivono e lavorano gli operai addetti alla costruzione. I 1.500 addetti vivono ammassati in baracche, in condizioni igieniche disastrose che –

probabilmente – sono la causa della morte di un operaio nicaraguese avvenuta la scorsa settimana, oltre che dei problemi di salute denunciati da altre decine di lavoratori Canada, stato dell’Ontario – 26 novembre Magna International, il maggior fabbricante mondiale di parti per auto, a annunciato oggi la chiusura delle succursali nelle città di Aurora e Newmarket, con il licenziamento di 850 lavoratori. Gli stabilimenti che verranno chiusi producono parti di carrozzeria per General Motors e Chrysler. L’85% della produzione di Magna, che ha stabilimenti in Canada, Stati Uniti e Messico, serve – oltre a General Motors e a Chrysler – alla Ford.

Deportati 65 anni fa partiva da Roma il primo treno di deportati. Destinazione Dachau. Erano 300 cittadini comuni presi a caso dalle affollate carceri di Regina Coeli: antifascisti, giovani che erano sfuggiti alla leva, comunisti, rom, anche qualche ebreo. Ricordiamolo oggi, mentre nel campo di sterminio di Gaza si accumulano montagne di cadaveri. Nessuno ha il diritto di appropriarsi di quella tragedia e di farne alibi e scudo per le proprie nefandezze di oggi. Men che meno gli eredi di quel sionismo che coi nazisti trattava e che guardava con occhio benevolo e interessato la violenza antisemita che avrebbe "convinto" gli ebrei riluttanti a trasferirsi in Palestina. (1) Una terra che apparteneva a un popolo nei confronti del quale è stata perpetrata la più crudele delle ingiustizie. Ma così va il mondo. Non c'è diritto che tenga, non ci sono leggi che tutelino i popoli che l'imperialismo ha deciso di cancellare dalle cartine geografiche, non c'è giustizia e nemmeno organismi preposti a farla rispettare (la storia delle decine di sanzioni inflitte a Israele e mai applicate sta lì a dimostrare quanto conta la "comunità internazionale" e la sua legalità).

C'è una sola legge, quella del più forte. E i bambini arabi è meglio ammazzarli da piccoli perché da grandi ci sono buone possibilità che pretendano di riavere indietro quello che ai loro nonni e ai loro padri è stato strappato con la violenza e il terrore: la casa, la terra, l'acqua, la libertà. Nessuno vedrà in tv o sui giornali le immagini di quei corpi maciullati, e frotte di giornalisti ben pagati continueranno a vomitare menzogne sul diritto all'esistenza di uno stato che ha la stessa "dignità" del diritto all'esistenza dello stato hitleriano e del suo criminale progetto razzista di conquista del mondo da parte dell'ariano "popolo eletto".

C'è una sola legge, quella del più forte. E' la lezione che impareranno i sopravvissuti di Gaza, e la lezione che dovremmo imparare tutti. Non si discute con un predone. Lo si combatte con ogni mezzo. E ogni mezzo - per un popolo occupato minacciato di genocidio - è giusto. Siamo troppo vecchi, o troppo abituati alle nostro comodo quotidiano, per andare lì - a Gaza - a combattere come fecero i nostri padri in una Spagna allora violentata e bruciata nell'indifferenza complice delle democrazie occidentali. Ma abbiamo ancora voce per gridare tutto il nostro disgusto nei confronti di uno stato criminale e illegale la cui storia e costellata di furti e omicidi di massa.

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Bruciare la bandiera di questi predoni è un crimine così barbaro da turbare la coscienza (!) bipartisan degli amici italiani dei nazi-sionisti? Bene, continueremo a bruciarle, in faccia alle canaglie che ritengono che bruciare una famiglia palestinese è solo un effetto secondario del "diritto alla autodifesa" di un governo "democratico" a cui tutto è permesso.

In faccia a coloro che pensano che l'impunità per i potenti è garantita da armi sempre più sofisticate e più devastanti. In faccia a coloro che, complici coscienti dell'aggressione, nascondono con le menzogne l'opera del macellai israeliani. La loro responsabilità è peggiore di quelli che attorno a Dachau videro i treni arrivare e voltarono lo sguardo da un'altra parte. Almeno loro se ne stettero zitti.

4 gennaio 2009 emmegi

note: 1. Mauro Manno - Antisemitismo e antisionismo

Articolo - modificato solo nella forma linguistica- pubblicato da “ Nuova Unità” n. 8, dicembre 2008

La crisi capitalista e le conseguenze per i lavoratori Dopo che il governo USA ha stanziato 700 miliardi di dollari per salvare dalla bancarotta le banche di Wall Street e l’economia americana, anche i governi europei hanno varato un piano anti-crisi di 200 miliardi di euro. 170 miliardi saranno però messi dai governi dei singoli paesi membri a seconda delle loro possibilità. I 27 paesi della UE potranno anche sforare lievemente i limiti di Maastricht per un anno senza subire la procedura di infrazione, che però sarà pesante per i singoli paesi nel caso non venga rispettato il vincolo deficit/pil del 3%. Dai primi dati gli aiuti stanziati dal governo Italiano sarebbero così divisi: 16 miliardi per infrastrutture, cioè ai padroni-costruttori, 10 miliardi alle banche e alla finanza, 0,45 miliardi ai pensionati sotto i 500 euro. E’ stata inoltre istituita la “social card” per coloro che non ce la fanno ad arrivare a fine mese e muoiono di fame, un contributo aggiuntivo di 40 euro al mese, pari a 1 euro e 33 centesimi al giorno. Più che nelle parole, in queste cifre è già evidente il carattere di classe del governo e quali interessi sostiene. Intanto - con il crollo delle borse - i fondi integrativi del TFR dei lavoratori, gestiti da padroni e sindacati sono andati a picco. Fondo Enel: -27,6%; Fonchim (Chimici ) -24,89%; Pegaso (servizi di pubblica utilità) -18,07%; Cometa (metalmeccanici) -16,43%. Di fronte alla paura del crac del capitalismo i borghesi cercano di salvare il sistema capitalistico e finanziario cercando di introdurre nell’opinione pubblica alcuni concetti, come “economia reale” che si opporrebbe ad una “economia finanziaria virtuale”, invocando nuove regole in grado di controllare il mercato, come se il mercato capitalista non fosse un tutt’uno. Non è un fatto nuovo. La crisi impone sempre cambiamenti e alcuni pensano che basti cambiare alcune regole o darsene di nuove per evitare in futuro altre crisi. Far finta di cambiare tutto per non cambiare nulla è una vecchia tattica. Nella società borghese, sotto il dominio del capitale, nessuna legge stabilisce che l’operaio è uno schiavo salariato però – dato che la proprietà dei mezzi di produzione è in mano a pochi, il lavoratore lo è nei fatti. In momenti di difficoltà, quando il sistema capitalista traballa dalle fondamenta, sotto i colpi delle crisi e delle lotte proletarie, settori borghesi “illuminati” sarebbero disposti anche a contrattare un minore tasso di sfruttamento o l’eliminazione degli “abusi” del capitalismo, a patto però che non si intacchi il sistema del lavoro salariato basato sull’espropriazione e sullo sfruttamento dei lavoratori che continua a riprodurre sfruttati e sfruttatori. I sostenitori del libero mercato e dell’”economia reale”, del “capitale produttivo” - che hanno sempre nascosto dietro una parvenza di libertà formale lo sfruttamento e il carattere dittatoriale della violenza e della brutalità capitalista – oggi, sono i primi a richiedere ai loro governi misure “socialiste” a favore dei padroni.

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Mentre i governi intervengono a favore delle banche e della finanza, cioè dei capitalisti, con i soldi pubblici tolti dalle tasche di tutti i cittadini, in particolare dei proletari e delle fasce più povere della popolazione, che pagano le tasse alla fonte sul reddito di lavoro o

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pensione, negli USA in pochi mesi ci sono stati 100.000 licenziamenti nel settore finanziario, dell’auto, nell’edilizia. La Morgan Stanley, la seconda banca d’affari americana prima della crisi, dopo il salvataggio da parte del governo americano, in settembre, ha annunciato che ridurrà di un ulteriore 10% il suo personale. La Citigroup ha preannunciato 53.000 licenziamenti, dovute a prestiti non rimborsati e, nel settore automobilistico, sono già avvenuti i primi massicci licenziamenti.

In Europa si prevedono, per effetto della recessione, licenziamenti massicci; in Italia (dati CISL) per i prossimi due anni sono previsti circa 900.000 di posti di lavoro in meno. Intanto il Parlamento Europeo ha approvato l’istituzione della “Carta Blu” per regolare l’immigrazione “qualificata”. Gli immigrati, titolari della carta, potranno richiedere un salario superiore solo di 1,7 volte il salario lordo che ricevono i loro connazionali nel loro paese ( ad esempio:In Francia 3800 euro per un natio, ma solo 325 per un bulgaro). In questo modo si aumenta la concorrenza fra lavoratori (facendo lo stesso lavoro con salari diversi) e i salari continueranno a scendere a tutto vantaggio dei profitti. Ma la crisi non colpisce tutte le classi sociali nello stesso modo, c’è una polarizzazione sociale: mentre diminuiscono i consumi della maggioranza proletaria e più povera della popolazione, di chi non arriva a fine mese, crescono a dismisura i consumi di lusso che il 2% della popolazione può permettersi, mentre un altro 12% di borghesi - pur non ostentando gli status symbols della ricchezza sfrenata - vede aumentare il suo capitale e i suoi consumi. Dopo anni di contenimenti salariali e aumento dei profitti la Confindustria ed il governo ripropongono la solita ricetta: gli operai devono continuare a farsi sfruttare pacificamente, o tutto il sistema capitalista rischia di saltare. Il capitalismo, l’imperialismo , nei periodi pacifici dell’abbondanza, dietro la facciata “civile e democratica”, nascondono il più spietato sfruttamento. Licenziamenti, morti sul lavoro e di lavoro, precarietà, fame e guerra sono ora sempre più all’ordine del giorno, la borghesia, il sistema basato sullo sfruttamento di miliardi di persone portano il mondo verso la catastrofe, e la crisi dimostra che nessuna mediazione è possibile fra sfruttati e sfruttatori. I partiti rappresentanti delle varie frazioni della classe borghese (sia di centrodestra che di centro sinistra) e i sindacati confederali, facendosi sostenitori della logica del profitto e della concorrenza capitalista, dividono i lavoratori mettendoli gli uni contro gli altri, disposti ad accettarne tutte le conseguenze, compresi i licenziamenti di massa che a parole dicono di voler combattere. Solo l’azione organizzata e cosciente della classe operaia e proletaria può mettere un argine a questa deriva. Solo distruggendo quel cancro dell’umanità che si chiama capitalismo, eliminando lo sfruttamento capitalistico dell’uomo sull’uomo, è possibile eliminare la fame, la sete, le guerre e avanzare verso l’emancipazione dei lavoratori e di tutta l’umanità.

Per contatti: [email protected]

RICORDIAMO A TUTTI I COMPAGNI/E CHE LA PROSSIMA RIUNIONE DI COORDINAMENTO DEI PROLETARI E DEI LAVORATORI COMUNISTI SI TERRÀ DOMENICA 18 GENNAIO ALLE ORE 9.30, PRESSO IL DOPOLAVORO FERROVIARIO DELLA STAZIONE CENTRALE DI MILANO. 17 gennaio ore 20.00 presso il C/o Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” - Via Magenta 88 - Sesto S. Giovanni MI, si farà una cena con i compagni e le compagne, il ricavato va in sottoscrizione per l'attività del coordinamento "WorK" Il coordinamento lancerà nei prossimi mesi la campagna di raccolta di fondi per costituire una CASSA DI RESISTENZA per i lavoratori.

Fotocopiato in proprio Milano 06.01.09