NOTA TECNICA N° 07 · l’evapotraspirazione eccessiva indotta dalle alte temperature. L’eccesso...

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02 agosto 2012 NOTA TECNICA N° 07 L’ENDOTERAPIA SU ACTINIDIA: PRIMO APPROCCIO SU UNA SUA POSSIBILE APPLICAZIONE NEL CONTENIMENTO DI PSEUDOMONAS SYRINGAE ACTINIDIAE Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese La batteriosi dell’actinidia spinge ad una costante ricerca di nuove tecniche e strategie di difesa per limitarne la diffusione e consentire la continuità della coltivazione di questa specie nel nostro areale. Nella presente nota viene presa in considerazione la tecnica dell’endoterapia quale possibile metodo di controllo.

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02 agosto 2012

NOTA TECNICA N° 07 L’ENDOTERAPIA SU ACTINIDIA: PRIMO APPROCCIO SU UNA SUA POSSIBILE APPLICAZIONE NEL CONTENIMENTO DI PSEUDOMONAS SYRINGAE ACTINIDIAE

AVVERSITA’ DEL MOMENTO

FRUTTIFERI - LA CONFUSIONE SESSUALE IN PIEMONTE: presentazione dati

relativi alle superfici interessate. MELO

- Andamento maturazione gruppo Red delicious: il test dell’amido (tavola Ctifl) ha evidenziato valori compresi tra 4 – 5. Per l’inizio delle operazioni di raccolta attendere le prossime indicazioni.

- Andamento maturazione gruppo Golden delicious: il test dell’amido ha evidenziato valori compresi tra 5.5 – 6. Valutare con il tecnico di magazzino per l’inizio dello stacco dei frutti.

- Marciumi da conservazione: intervenire sui gruppi Fuji e Braeburn. Ottenuta deroga dal SFR per il 4° trattamento con captano su melo.

- Condizioni favorevoli alla comparsa del riscaldo superficiale in post raccolta

- Carpocapsa: il modello matematico indica la presenza delle larve di 3° GEN in tutte le zone ad esclusione di Caraglio.

PESCO - Batteriosi (Xanthomonas campestris pv. pruni): iniziare la lotta

preventiva nei pescheti colpiti. ALBICOCCO

- Batteriosi (Pseudomonas syringae pv. syringae): iniziare la lotta preventiva negli albicoccheti colpiti.

Consorzio di Ricerca Sperimentazione e Divulgazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese

La batteriosi dell’actinidia spinge ad una costante ricerca di

nuove tecniche e strategie di difesa per limitarne la

diffusione e consentire la continuità della coltivazione di

questa specie nel nostro areale. Nella presente nota viene

presa in considerazione la tecnica dell’endoterapia quale

possibile metodo di controllo.

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Introduzione Fra le numerose e fantasiose proposte che in questi anni

vengono presentate con l’intento di debellare la batteriosi

dell’actinidia, spicca, non fosse altro per la sua

originalità, l’endoterapia. Intanto che cos’è? E’ una

tecnica che consiste nell’introdurre direttamente nel

sistema vascolare della pianta soluzioni atte a controllare

avversità di carattere patologico o entomologico. Come si

applica? Si può attuare o sfruttando la capacità

assorbente dell’apparato radicale, in particolare nel caso

la pianta sia ancora in vaso o comunque nel primo

periodo dopo l’impianto, oppure, attraverso l’iniezione

corticale di una sostanza. Per meglio definire la corretta

modalità applicativa si è proceduto ad effettuare delle

prove “in bianco” per valutare l’effettiva funzionalità del

metodo.

Il trasporto dei liquidi all’interno della

pianta:cenni di fisiologia Il sistema dei tessuti vascolari è costituito dallo xilema

(fig.1) e dal floema (fig.1). Il primo, detto comunemente

legno, è il tessuto preposto alla conduzione dell'acqua e

dei soluti dalle radici alle foglie. Il floema o libro, è il

tessuto di conduzione della linfa elaborata che, prodotta

mediante la fotosintesi nella foglia matura, viene poi

trasportata in tessuti che in quel momento richiedono

zuccheri e altri metaboliti o per accumularli come

sostanze di riserva nelle radici.

fig. 1

Il trasporto dell’acqua contenuta nella linfa grezza dal

terreno attorno alle radici fino alle foglie (trasporto

xilematico) necessita di energia in quanto il movimento

da fuori a dentro la radice è contro gradiente di pressione

osmotica (maggiore nella radice rispetto al terreno) e

inoltre, procedendo dal basso verso l’alto, deve

contrastare l’energia gravitazionale. La richiesta di acqua

all’interno della foglia è indotta dall’evapotraspirazione

degli stomi aperti.

Nel periodo estivo la pianta chiude gli stomi per ridurre

l’evapotraspirazione eccessiva indotta dalle alte

temperature. L’eccesso di evapotraspirazione, unita alla

mancanza d’acqua nel terreno, condurrebbe in breve

tempo ad uno stress idrico irreversibile. Diversamente,

nelle ore più fresche (durante la notte), la pianta riapre gli

stomi e il flusso xilematico riprende nuovamente il suo

corso. La conoscenza di questi meccanismi è

importante nel caso si intenda praticare l’endoterapia

nel controllo di avversità, sempre che sussistano le

condizioni per giustificarne l’applicazione. Allo scopo

dunque di definire, nell’ambito della endoterapia, quale

metodologia applicativa risulti efficace, si è provveduto

preventivamente ad utilizzare una soluzione acquosa

contenente un semplice colorante (bleu di metilene)

quale indicatore del flusso seguito all’interno della pianta.

Si sono applicate due diverse metodologie per

l’introduzione del liquido, una per semplice caduta

(gravità) l’altra esercitando una certa pressione

utilizzando una siringa.

Metodo per caduta mediante sacche di

plastica Similmente a quanto avviene nel campo medico, si è

utilizzata la tecnica della fleboclisi, con sacche

contenenti il liquido tracciante e 3 tubicini inseriti

all’interno del tronco della pianta. Si inizia con il praticare

un foro del diametro di mm 3 all’interno del tronco per

una profondità di mm 15 - 20. Il foro non dev’essere

troppo profondo in quanto i vasi linfatici della pianta sono

posti all’esterno del tronco, poco sotto la corteccia, per

cui un foro troppo profondo riverserebbe la soluzione nel

midollo, zona priva di tessuto linfatico. Bisogna inoltre

cercare di indirizzare il foro il più laterale possibile (senso

tangenziale) e non verso il centro del tronco (senso

radiale) in modo da mantenersi il più vicino possibile alla

zona dei vasi linfatici.

A questo punto va inserito nel foro il tubicino collegato

alla sacca. Si sono testati due diverse modalità di

inserimento del tubicino nel foro: la prima servendosi di

un puntale in plastica, la seconda inserendo direttamente

il tubo nel foro (fig. 2).

fig. 2

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fig. 3

Risultati Applicando il prodotto con la sacca nel tardo pomeriggio

(fig. 3), già al mattino successivo, questa appariva

svuotata (fig. 4) e così pure i tubicini senza puntale, a

significare che il liquido era penetrato tutto all’interno

della pianta, mentre i tubicini con il puntale apparivano

ancora pieni di liquido probabilmente perché proprio

questa appendice ostruisce il flusso del liquido

riempendo la camera d’aria creata dal foro (fig. 5).

fig. 4

fig. 5

Allo scopo di verificare il reale avvenuto passaggio del

liquido attraverso i vasi si è proceduto a sezionare il

tronco (fig. 6) e successivamente entrambi i cordoni a

diversi livelli: il primo taglio è stato eseguito a circa 1 m al

di sopra del foro di somministrazione del liquido

direttamente sul cordone constatando la presenza del

bleu di metilene al suo interno a circa 15 h

dall’applicazione (fig. 7). Va notato come la presenza del

tracciante interessi solo il cordone corrispondente al lato

del tronco interessato dall’applicazione, infatti all’interno

dell’altro cordone non si è riscontrata alcuna colorazione,

ciò a dimostrare l’assoluta specificità della conduzione

dei vasi.

fig. 6

Tubicino con puntale plastico non funzionante

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fig. 7

Per il secondo taglio si è scesi a 60 cm al di sopra del

foro, e qui le tracce di colorante sono nettamente più

visibili (fig. 8).

fig. 8

Si è anche osservata la presenza del tracciante al di

sotto del foro eseguendo diversi tagli sino al colletto; il

risultato è che anche a quei livelli vi era presenza del

tracciante e questo dimostrerebbe anche una

traslocazione controcorrente rispetto alla linfa grezza.

(fig. 9)

fig. 9

Metodologia a pressione (con siringa)

Si è anche testato il metodo caldeggiato da alcuni che

prevede, molto più sbrigativamente, l’introduzione del

liquido sotto pressione attraverso cioè l’uso di una siringa

(fig. 11). In questo caso, praticando, un foro con

diametro di 8 mm per una profondità di 4 - 5 cm si è

proceduto ad una differente tipologia di esecuzione e

cioè in un caso in direzione centripeta (fig. 10, foro

radiale), mentre nell’altro procedendo lateralmente (fig.

10, foro tangenziale), iniettando 30 ml di liquido.

fig. 10

tronco

foro

radiale

foro

tangenziale

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fig. 11

Risultati

Sezionando anche in questo caso il tronco, a seguito

delle osservazioni effettuate in 3 tempi diversi

precisamente a 30 minuti, a 24 h e a 48 h dall’iniezione

del liquido si è osservato che:

a 30 minuti dal trattamento la tesi con immissione

del liquido con foro radiale non mostrava tracce

del colorante (fig. 12) mentre era presente in

quella con immissione tangenziale.

solo a 48 h dal trattamento è avvenuto un

trasferimento significativo nei vasi del liquido

iniettato ma solo ad una distanza di non oltre 35-

40 cm dal foro (foto 13) mentre in quella a foro

radiale non vi era traccia del colorante.

fig. 12

fig. 13

Conclusioni L’endoterapia realizzata con la metodologia per caduta

(sacche per flebo) è risultata funzionale ed ha permesso

al liquido test (bleu dimetilene) di essere completamente

assorbito dalla pianta trasportandolo sino ai cordoni.

Questa modalità d’applicazione risulta ben sopportata

dalla pianta la quale risponde in modo ottimale al

trattamento. Gli unici accorgimenti da tenere in

considerazione sono:

innanzitutto vanno inseriti più tubicini per pianta

(almeno 3)

solo nelle ore notturne avviene l’assorbimento

del liquido dalle sacche

il tubicino va inserto direttamente nei primi strati

(primi vasi legnosi) senza alcuna protezione

ulteriore

la realizzazione di piccoli fori nella pianta è

essenziale al fine di evitare perdite di liquido

L’endoterapia eseguita con la tecnica a pressione, a

parità di tempo esaminato, non ha fornito risultati che ne

dimostrassero l’avvenuto trasporto del liquido iniettato in

quanto evidentemente arreca lesioni allo stesso sistema

di conduzione.

Ciò premesso resta ancora da dimostrare l’ipotesi

più importante: cioè che esista una sostanza in

grado di contrastare il batterio presente nei vasi della

pianta. A tale proposito il CReSO sta operando anche

in questo senso e, non appena scaturiranno dei

risultati, verranno comunicati. Da una prima indagine

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preliminare, raccolta dall’esperienza neozelandese

emerge comunque che tale pratica deve essere

assunta con estrema cautela in quanto risulta che

tale sistema determina un significativo livello

residuale del liquido iniettato nei frutti e alcuni

prodotti , come i rameici, causerebbero comunque

gravi fenomeni di fitotossicità.

La presente nota è stata realizzata da :

Graziano Vittone (CReSO)

Luca Nari (CReSO)

Michele Giraudo (CReSO)

Chiara Morone (Settore Fitosanitario della Regione

Piemonte) e si ringrazia inoltre per la preziosa

collaborazione Davide Mondino (Soc. L’Agrotecnico)