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www.ildirittoamministrativo.it 1 NOTA A CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 15 luglio 2016, n. 179 A cura di GIUSEPPE VISCONTE Gli accordi di diritto pubblico e le ricadute in punto di giurisdizione Sommario: 1. Premessa; 2.1 Gli accordi di diritto pubblico prima della legge n. 241/1990; 2.2 Gli accordi di diritto pubblico dopo la legge n. 241/1990 e la questione della natura giuridica; 3.1 Le trasformazioni del processo amministrativo: dalle origini ai rimedi apprestati dalla giurisprudenza per ovviare alle carenze di tutela; 3.2 Segue: il codice del processo amministrativo e le trasformazioni del diritto sostanziale; 4. L’evoluzione della giurisdizione esclusiva; 5.1 La questione posta al vaglio della Corte: le ragioni del giudice a quo e della difesa erariale; 5.2 Segue: la soluzione della Corte Costituzionale. 1. Premessa La sentenza della Corte Costituzionale n. 179/2016 assume rilievo per il diritto amministrativo contemporaneo in quanto rappresenta l’occasione per il Giudice delle Leggi per prendere atto della trasformazione che il processo amministrativo ha vissuto negli ultimi decenni. L’occasione è rappresentata da una questione che attiene alla legittimità del diritto vivente sviluppatosi intorno ad un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo configurata dall’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, ai sensi del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo … a) le controversie in materia di … 2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni.” Nel presente lavoro verranno descritte le caratteristiche degli accordi ex art. 11 della legge n. 241/1990 coinvolte nelle questioni trattate dalla Corte Costituzionale, le trasformazioni che ha subito negli ultimi tempi il processo amministrativo e l’evoluzione della giurisdizione esclusiva nella giurisprudenza della Corte Costituzionale fino al commento della soluzione approntata dal Giudice delle Leggi al caso proposto.

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NOTA A CORTE COSTITUZIONALE,

SENTENZA 15 luglio 2016, n. 179

A cura di GIUSEPPE VISCONTE

Gli accordi di diritto pubblico e le ricadute in punto di giurisdizione

Sommario: 1. Premessa; 2.1 Gli accordi di diritto pubblico prima della legge n. 241/1990; 2.2 Gli

accordi di diritto pubblico dopo la legge n. 241/1990 e la questione della natura giuridica; 3.1 Le

trasformazioni del processo amministrativo: dalle origini ai rimedi apprestati dalla giurisprudenza

per ovviare alle carenze di tutela; 3.2 Segue: il codice del processo amministrativo e le

trasformazioni del diritto sostanziale; 4. L’evoluzione della giurisdizione esclusiva; 5.1 La

questione posta al vaglio della Corte: le ragioni del giudice a quo e della difesa erariale; 5.2 Segue:

la soluzione della Corte Costituzionale.

1. Premessa

La sentenza della Corte Costituzionale n. 179/2016 assume rilievo per il diritto amministrativo

contemporaneo in quanto rappresenta l’occasione per il Giudice delle Leggi per prendere atto della

trasformazione che il processo amministrativo ha vissuto negli ultimi decenni.

L’occasione è rappresentata da una questione che attiene alla legittimità del diritto vivente

sviluppatosi intorno ad un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo configurata

dall’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, ai sensi del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva

del giudice amministrativo … a) le controversie in materia di … 2) formazione, conclusione ed

esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi

fra pubbliche amministrazioni.”

Nel presente lavoro verranno descritte le caratteristiche degli accordi ex art. 11 della legge n.

241/1990 coinvolte nelle questioni trattate dalla Corte Costituzionale, le trasformazioni che ha

subito negli ultimi tempi il processo amministrativo e l’evoluzione della giurisdizione esclusiva

nella giurisprudenza della Corte Costituzionale fino al commento della soluzione approntata dal

Giudice delle Leggi al caso proposto.

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2.1 Gli accordi di diritto pubblico prima della legge n. 241/19901.

La c.d. amministrazione per accordi ha ricevuto un riconoscimento e una disciplina di carattere

generale con la legge n. 241/1990 e con le successive novelle del 2005.

Le ragioni che hanno spinto il legislatore ad introdurre tale tipologia di accordi non hanno, tuttavia,

fatto venir meno la posizione di privilegio nella quale si trova il provvedimento come strumento con

il quale la pubblica amministrazione può modificare le situazioni giuridiche degli amministrati in

modo unilaterale, senza la ricerca del loro consenso, come, invece, avviene negli accordi. La ricerca

del consenso del cittadino da parte della pubblica amministrazione può trovare giustificazione nella

necessità di ricercare la sua collaborazione per poter assolvere al meglio i propri compiti, nonché

nell’opportunità di evitare possibili contrasti in sede di procedimento amministrativo, se non di

contenzioso.

Già prima della entrata in vigore della legge n. 241/1990 le pubbliche amministrazioni ricorrevano

allo strumento dei contratti di diritto pubblico, che veniva utilizzato anche in assenza di una norma

che espressamente consentisse il ricorso a tale strumento e la cui caratteristica peculiare era la

mancanza della parità tra i contraenti tipica dei contratti di diritto privato. Tale caratteristica faceva

ritenere ad alcuni che fossero dei provvedimenti unilaterali della pubblica amministrazione, ma con

effetti bilaterali vincolanti sia per il privato che per la pubblica amministrazione, la cui volontà

restava, tuttavia prevalente, ad altri che, invece, erano dei veri e propri negozi, dal momento che

non c’era un divieto per le pubbliche amministrazioni di ricorrere agli strumenti negoziali per

esercitare il potere pubblicistico.

Così si distinguevano tre tipologie di contratti di diritto pubblico: 1) i contratti accessivi di

provvedimenti, che erano dei negozi che si limitavano a disciplinare nel dettaglio gli aspetti

patrimoniali inerenti obblighi già assunti dal privato e dalla pubblica amministrazione per effetto

dell’emanazione di un provvedimento amministrativo, al quale accedevano e al quale erano legati

da un rapporto univoco, per cui eventuali vizi che inficiavano il provvedimento amministrativo

facevano decadere il contratto, ma non viceversa; 2) i contratti ausiliari di provvedimenti, che

erano contratti che si inserivano nell’ambito di un procedimento amministrativo, al solo scopo di

definire aspetti peculiari, ai quali la pubblica amministrazione intendeva ricorrere al fine di

obbligare i privati all’adempimento di determinati obblighi, che non sarebbe riuscito ad imporre

mediante il provvedimento; 3) i contratti sostitutivi di provvedimenti, ai quali la pubblica

1 Michele Corradino, Compendio di diritto amministrativo, 2^ edizione aggiornata, Edizioni Atena Alta Formazione.

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amministrazione ricorreva per l’esercizio del potere di pianificazione urbanistica e di

programmazione economica e che trovavano fondamento in un provvedimento amministrativo che

non introduceva obblighi e diritti, ma aveva il solo scopo di autorizzare la conclusione di un

accordo tra pubblica amministrazione e privato che definiva nel dettaglio il contenuto di obblighi

che trovavano fonte nella legge.

2.2 Gli accordi di diritto pubblico dopo la legge n. 241/1990 e la questione della natura

giuridica.

La legge n. 241/1990 ha per la prima volta introdotto una disciplina generale degli accordi di diritto

pubblico, cercando di valorizzare lo strumento convenzionale per l’imposizione di obblighi agli

amministrati mediante l’acquisizione del loro consenso. L’art. 11 prevede due tipi di obblighi: 1) gli

accordi sostitutivi, che si sostituiscono ai provvedimenti amministrativi e che, fino alla novella del

2005, potevano concludersi solo nei casi previsti dalla legge; 2) gli accordi integrativi, che

definiscono il contenuto discrezionale di un provvedimento e possono essere stipulati anche per gli

aspetti dei provvedimenti discrezionali che possono presentare elementi di discrezionalità, a

condizione che ne derivi per entrambe le parti un’utilità maggiore di quella che avrebbero

conseguito dalla mera adozione di un provvedimento amministrativo.

Per individuare le ragioni che sono alla base dell’attribuzione al giudice amministrativo della

giurisdizione esclusiva in materia di accordi ex art. 11, si ritiene necessario, ai fini del presente

lavoro, prendere le mosse dalle questioni che attengono all’individuazione della natura giuridica di

tali accordi e, al riguardo, si contrappongono due teorie: 1) una prima che li considera degli

strumenti di natura negoziale, anche in virtù del richiamo contenuto nell’art. 11 ai principi in

materia di contratti e di obbligazioni; 2) una seconda prevalente li considera degli atti di natura

pubblicistica, espressione di un potere pubblicistico, in quanto: a) la volontà della pubblica

amministrazione non è sullo stesso piano di quella del privato; b) i principi in materia di contratti e

di obbligazioni si applicano in via residuale in quanto compatibili con la disciplina speciale di tali

accordi; c) l’istituto è regolato dalle norme sul procedimento amministrativo; d) questi accordi sono

sottoposti agli stessi controlli del procedimento amministrativo; e) il potere di recesso, con dazione

di un indennizzo all’altro contraente. La soluzione della questione ha rilevanti risvolti applicativi.

Se si attribuisce agli accordi ex art. 11 della legge n. 241/1990 una natura negoziale, ne consegue

l’applicabilità di tutta la disciplina civilistica in materia di patologia del contratto, tra cui le norme

in materia di nullità, annullabilità e rescissione del contratto, e di esecuzione del contratto, tra cui, in

caso di inadempimento, lo strumento previsto dall’art. 2932 c.c., che prevede la possibilità di

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ottenere una sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso. Se si attribuisce natura

pubblicistica, sotto il profilo della patologia ne consegue l’applicabilità delle norme

sull’annullabilità per i vizi dell’atto amministrativo, sotto il profilo dell’esecuzione degli accordi, la

mancata esecuzione da parte della pubblica amministrazione determina la legittimazione del

provato ad agire contra silentium la mancata esecuzione da parte del privato legittima

l’amministrazione ad esercitare i poteri di autotutela.

Una spinta ulteriore in favore del riconoscimento della natura pubblicistica degli accordi ex art. 11

l’ha data il legislatore del 2005 con l’introduzione di due importanti novità: l’eliminazione

dell’inciso “nei casi previsti dalla legge” e l’introduzione della determinazione preliminare.

L’eliminazione dell’inciso ha posto il problema della eventuale atipicità degli accordi ex art. 11, in

quanto da parte di alcuni si è sostenuto che la mancata predeterminazione del contenuto e della

struttura degli accordi avrebbe consentito all’amministrazione di violare il principio di nominatività

dei provvedimenti amministrativi. Altri invece hanno sostenuto il principio della tipicità derivata,

nel senso che l’amministrazione, dal momento che, ricorrendo allo strumento degli accordi, non può

esercitare poteri maggiori di quelli che poteva esercitare ricorrendo allo strumento tradizionale del

provvedimento, la struttura e il contenuto degli accordi si devono pur sempre collocare nell’alveo

dei poteri della pubblica amministrazione, per cui cambia solo il veicolo attraverso il quale la

fattispecie viene regolata, potendo la pubblica amministrazione, per effetto della eliminazione

dell’inciso scegliere indifferentemente tra accordo e provvedimento, salvo le ipotesi in cui si

esclusa, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 241/1990, la partecipazione del privato o si tratti di

materie che il legislazione nazionale e comunitario individuano come non negoziabili.

Con l’introduzione della determinazione preventiva il legislatore ha voluto far emergere il

momento procedimentale in cui l’amministrazione addiviene alla conclusione dell’accordo e

manifesta le ragioni che l’hanno indotta a preferire l’accordo al provvedimento o le ragioni per le

quali una eventuale proposta di accordo formulata dal privato sia stata rigettata. Una parte della

dottrina ha ritenuto superflua questa precisazione normativa, dal momento che gli accordi possono

produrre effetti solo tra le parti che lo stipulano e non nei confronti di soggetti terzi che possono

sempre impugnarlo se pregiudizievole. Si deve perciò ritenere che il legislatore abbia voluto fornire

al terzo uno strumento di anticipazione della tutela processuale, per consentire ad un soggetto

estraneo l’impugnazione della determinazione preventiva, al fine di impedire la stipula dell’accordo

pregiudizievole.

A sostegno della natura pubblicistica degli accordi ex art. 11 si pongono anche le caratteristiche del

potere di recesso: 1) che può essere esercitato quando l’assetto di interessi sia divenuto

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incompatibile con il sopravvenuto interesse pubblico, che l’amministrazione deve costantemente

assicurare; 2) al quale l’amministrazione può ricorrere, sempre a tutela dell’interesse pubblico,

anche nella fase di esecuzione dell’accordo, non come diritto potestativo riconosciuto dall’art. 1373

c.c., che prevede il recesso unilaterale dal contratto, ma come vero e proprio potere pubblicistico

attribuito all’amministrazione, da intendersi come ius poenitendi da esercitare al fine di assicurare la

tutela dell’interesse pubblico; 3) che implica l’emanazione di un provvedimento amministrativo

sottoposto alla legge n. 241/1990; 4) che andrà esercitato con le stesse formalità previste per la

stipulazione dell’accordo, in virtù del principio del contrarius actus.

Una conferma della natura pubblicistica degli accordi ex art. 11 la si rileva, infine, nell’attribuzione

alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, prima con l’art. 11, comma 5, legge n.

241/1990 e poi con l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 2) c.p.a. delle “controversie in materia di … 2)

formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento

amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni”.

Sull’individuazione del perimetro di applicazione di quest’ipotesi di giurisdizione esclusiva si sono

sollevate una serie di questioni, tra le quali, in primo luogo, quella attinenti la sottoponibilità alla

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie sollevate dal terzo.

Alcuni, sostenendo un’interpretazione letterale del testo dell’art. 133 c.p.a. , hanno ritenuto che

termini quali formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi debbano far propendere per una

giurisdizione esclusiva limitata alle sole controversie sollevate dalle parti dell’accordo stesso.

Altri, invece, sostengono un’interpretazione più estensiva, per cui la giurisdizione esclusiva

riguarderebbe anche le controversie sollevate dal terzo, dal momento che, altrimenti, il terzo che

ritenesse pregiudicato dall’accordo un proprio diritto soggettivo dovrebbe adire il giudice ordinario,

in contrasto con le esigenze di concentrazione della tutela che rappresenta uno dei principi della

legge delega, sulla base del quale è stato predisposto il c.p.a.

La giurisprudenza delle Sezioni Unite, con le sentenze n. 105/2001 e n. 10186/2007, si è

pronunciata a favore della giurisdizione esclusiva per le controversie sollevate dal terzo, in quanto:

a) la giurisdizione del giudice amministrativo va individuata avendo come punto di riferimento non

la materia, ma la tipologia dell’atto utilizzato per il perseguimento dell’interesse pubblico; b) il

legislatore si è appositamente espresso in maniera generica, non distinguendo tra le controversie

sollevate dalle parti e quelle sollevate dal terzo, così da far intendere la preferenza per un raggio

d’azione ampio della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di accordi; c) la scelta del

legislatore è coerente con l’esigenza di evitare eventuali conflitti tra giudice amministrativo e

giudice ordinario che sarebbero insorti qualora si fosse lascito un margine di applicabilità al criterio

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ordinario del riparto di giurisdizione fondato sulla causa petendi, considerata la natura ibrida di

questi accordi che pienamente integrano il requisito del groviglio inestricabile di situazioni

giuridiche individuato dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 204/2004, per legittimare

l’attribuzione da parte del legislatore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Il tema dell’ambito di applicazione della giurisdizione esclusiva in materia di accordi ex art. 11 ha

riguardato anche le controversie sollevate dalle parti e, in particolare, per ciò che attiene alle

controversie sollevate dalla pubblica amministrazione, che è addivenuta alla conclusione

dell’accordo, in caso di mancata esecuzione da parte del privato. Infatti, nella sentenza n. 179/2016,

oggetto del presente commento, la Corte Costituzionale ha affrontato la questione relativa

all’applicabilità della giurisdizione esclusiva prevista dall’art. 133 c.p.a. anche alle controversie

sollevate dalla pubblica amministrazione, dal momento che, da un lato, la parte remittente ha

ritenuto che il diritto vivente formatosi sulla norma oggetto del giudizio di legittimità, secondo cui

anche le controversie sollevate dalla pubblica amministrazione sarebbero soggette alla giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo, sarebbe in contrasto con la lettura che viene data degli art. 103

e 113 Cost., secondo la quale la Costituzione avrebbe voluto prevedere un sistema di tutela nei

confronti dei provvedimenti amministrativi solo nel caso in cui l’impugnativa provenga da

un’iniziativa del privato, dall’altro l’amministrazione resistente evidenzia il ruolo del giudice

amministrativo che deve ponderare tra l’interesse fatto valere dal singolo e l’interesse pubblico che

la pubblica amministrazione non potrebbe tutelare qualora non fosse soggetta alla giurisdizione

esclusiva la controversie dalla stessa incardinata.

3.1 Le trasformazioni del processo amministrativo: dalle origini ai rimedi apprestati dalla

giurisprudenza per ovviare alle carenze di tutela.

La questione posta è stata l’occasione che ha permesso al Giudice delle Leggi di prendere atto di

una delle più importanti trasformazioni che ha vissuto negli ultimi anni il processo amministrativo.

Il processo amministrativo nasce, infatti, nel 1889, con l’istituzione della IV Sezione del Consiglio

di Stato, come processo di stampo impugnatorio (e tuttora continua fondamentalmente ad esserlo),

in cui il giudice amministrativo, accertata l’illegittimità dell’atto amministrativo impugnato, lo

annulla, con il conseguente ripristino dello status quo ante l’emanazione dello stesso. Alla base del

processo impugnatorio c’è, quindi, l’interesse oppositivo del privato che punta a far rimuovere dal

mondo giuridico l’atto amministrativo pregiudizievole.

Tuttavia, il progressivo intervento dello Stato nei processi economici e la trasformazione dello Stato

in gestore e regolatore dei servizi pubblici, fanno sì che cominciano a diffondersi gli interessi

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pretensivi, ovvero l’interesse del cittadino a ricevere dallo Stato un bene della vita al quale aspira.

La giurisprudenza amministrativa non può far altro che estendere agli interessi pretensivi la tutela

già prevista dal legislatore per gli interessi oppositivi. Ci si accorge, tuttavia, ben presto

dell’insufficienza della mera tutela annullatoria per gratificare l’interesse pretensivo, in quanto, in

caso di diniego da parte dell’amministrazione, anche nell’ipotesi in cui il giudice dovesse ritenere

illegittimo tale diniego, il privato non potrebbe conseguire il bene della vita, perché sarebbe

necessaria una ulteriore attività della pubblica amministrazione, il cui diniego originario era stato

impugnato e annullato.

La giurisprudenza amministrativa cerca di rimediare a queste deficienze strutturali del processo

amministrativo anche e soprattutto per soddisfare le esigenze di tutela giurisdizionale che pone l’art.

24 Cost., per cui ricorre agli strumenti di cui dispone: la tutela cautelare e il giudizio di

ottemperanza.

Nel processo cautelare, infatti, dovendo il giudice, in presenza dei requisiti del fumus boni iuris

(fondatezza della pretesa) e del periculum in mora (il rischio che il trascorrere del tempo possa

pregiudicare il conseguimento del bene della vita), assicurare piena tutela al bene della vita, può

dare al ricorrente un’anticipazione della tutela, mediante l’emanazione di provvedimenti cautelari,

sotto forma di ordinanze o di decreti, la cui esecuzione verrà garantita dal giudizio di ottemperanza,

nel quale il giudice amministrativo, disponendo di una giurisdizione di merito, può sostituirsi

all’amministrazione, tramite un commissario ad acta, esercitando i poteri necessari per l’attuazione

di quanto disposto in sede cautelare.

Nel giudizio di legittimità il giudice si limita soltanto ad intervenire sul provvedimento, senza poter

poi dare esecuzione alle sue decisioni, per cui se, da un lato, ci sono sentenze auto-esecutive, in

relazione alle quali l’annullamento del provvedimento amministrativo determina il ripristino dello

statu quo ante l’emanazione del provvedimento, dall’altro ci sono sentenze che necessitano di

un’ulteriore attività da parte dell’amministrazione resistente. In questi casi l’amministrazione, alla

quale è affidato dal dispositivo della sentenza sempre il compito di dare esecuzione alla sentenza,

non può riproporre lo stesso provvedimento annullato con gli stessi vizi, ma può emanare un

provvedimento che eventualmente neghi per altri motivi il bene della vita al ricorrente, in quanto

altrimenti il medesimo provvedimento incorrerebbe nella nullità per violazione e/o elusione del

giudicato ex art. 21 septies della legge n. 241/1990.

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3.2 Segue: il codice del processo amministrativo e le trasformazioni del diritto

sostanziale.

Nonostante i rimedi apprestati dalla giurisprudenza per assicurare tutela all’interesse pretensivo, il

legislatore si è accorto dell’insufficienza degli stessi rispetto ai parametri imposti dall’art. 24 Cost.,

dall’ordinamento comunitario e dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ragion

per cui ha posto come principio fondamentale nell’art. 1 c.p.a. il principio di effettività e pienezza

della tutela giurisdizionale: “ La giustizia amministrativa deve dare una tutela piena ed effettiva

secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”. L’affermazione da parte del legislatore

del principio di effettività e pienezza della tutela ha un significato forte e si ricollega alla necessità,

ravvisata dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 204/2004, che il giudice

amministrativo, pur disponendo di strumenti di tutela diversi rispetto a quelli del giudice civile,

fornisca lo stesso livello di effettività della tutela alle situazioni giuridiche soggettive che il

legislatore ha affidato alle sue cure. Così si è scoperta la necessità che venga assicurata non una

tutela formale alle situazioni giuridiche soggettive, ma una tutela sostanziale che permetta il

conseguimento del bene della vita.

Il legislatore delegato, che ha introdotto il codice del processo amministrativo, per realizzare questo

obiettivo della tutela piena ed effettiva ha, da un lato, sancito il principio della atipicità delle azioni,

che si sostanzia per il giudice amministrativo nella disponibilità di ogni misura idonea ad assicurare

la tutela delle situazioni giuridiche soggettive, e, dall’altro, ne ha ampliato il corredo per il

ricorrente, introducendone alcune nuove che ricordano le azioni del processo civile (azioni

dichiarative e di condanna) e che si sono aggiunte all’azione annullatoria, denominata azione

costitutiva, la quale non è più la sola azione di cui dispone il ricorrente, ma una delle tante,

sancendo la trasformazione del processo amministrativo in processo non più sull’atto, ma sul

rapporto.

A questa trasformazione del processo amministrativo corrisponde una correlata trasformazione sotto

il profilo del diritto sostanziale. Infatti, rappresentano due esempi di trasformazione del diritto

amministrativo, nell’ottica di una sua dimensione più sostanziale che formale, l’introduzione,

avvenuta con la riforma del 2005, dell’art. 21 octies della legge 241/1990, che ha previsto,

normativizzando un orientamento giurisprudenziale particolarmente diffuso, il divieto per il giudice

amministrativo di annullare quegli atti amministrativi, il cui contenuto sarebbe rimasto lo stesso,

anche se emendati dei vizi per i quali sarebbero stati annullati, e dell’istituto del soccorso istruttorio,

già presente nell’ambito della disciplina del codice degli appalti previgente, che prevede l’obbligo

per le stazioni appaltanti di consentire alle ditte la dimostrazione di un requisito necessario per la

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partecipazione ad una gara, qualora queste ne siano effettivamente in possesso e siano state escluse

per non averlo correttamente dichiarato.

La natura impugnatoria del processo amministrativo aveva come conseguenza che la parte

ricorrente era inevitabilmente il privato, che impugnava l’atto amministrativo per lui

pregiudizievole emanato da una pubblica amministrazione, che, quindi, era sempre la parte

resistente. L’opera modellatrice degli istituti realizzata dalla giurisprudenza, al fine di assicurare

maggiore tutela giurisdizionale al privato ricorrente, ha determinato negli ultimi dieci anni una

trasformazione del processo amministrativo da processo sull’atto in processo sul rapporto, pur

restando il processo impugnatorio.

A questa trasformazione della struttura del processo amministrativo si è accompagnata anche una

trasformazione della nozione di pubblica amministrazione provocata dall’ordinamento comunitario.

Infatti, la privatizzazione degli enti pubblici e la conseguente trasformazione in società per azioni

aveva posto il problema se questi soggetti dovessero osservare le regole dell’evidenza pubblica e,

quindi, indire delle gare d’appalto, qualora avessero voluto acquistare dei beni o ricevere

prestazioni di servizi, dal momento che la loro natura sostanzialmente pubblicistica, nonostante

avessero acquisito una forma privatistica, avrebbe potuto determinare una distorsione del mercato e

avrebbe inevitabilmente alterato la concorrenza. Così la Corte di Giustizia, configurò questi soggetti

come “organismi di diritto pubblico” tenuti ad osservare le norme sull’evidenza pubblica per

scegliere i soggetti con i quali dovranno stipulare contratti per acquistare beni o ricevere prestazioni

di servizi, in quanto, anche se privati, quando acquistano beni, rischiano di alterare il mercato,

perché o non hanno paura di subire delle perdite, in quanto sanno che verranno rifinanziati dallo

Stato, anche se in perdita, o non hanno interesse a realizzare un profitto, in quanto il loro obiettivo è

quello di acquisire consenso politico.

La conseguenza sotto il profilo processuale è l’attribuzione delle controversie relative

all’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica da parte di tali soggetti alla giurisdizione

esclusiva del giudice amministrativo. Poteva così accadere che un soggetto escluso dalla

partecipazione alla gara o che non si era aggiudicato alla gara impugnasse i provvedimenti di

esclusione o di aggiudicazione emanati da un organismo di diritto pubblico cioè un soggetto

formalmente privato, cosa che fino ad un decennio fa era impensabile.

Come anche, in una fase successiva, è accaduto che una pubblica amministrazione dovesse

impugnare provvedimenti di un soggetto formalmente privato, un organismo di diritto pubblico, che

gestiva l’erogazione di servizi pubblici.

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Un’ipotesi di pubblica amministrazione che agisce contro un privato è proprio quella trattata dalla

Corte Costituzionale, quando una pubblica amministrazione, che ha aderito ad un accordo ex art.

11, agisce in via giurisdizionale contro il privato inadempiente, anziché esercitare i poteri di

autotutela esecutiva.

4. L’evoluzione della giurisdizione esclusiva.

La nostra Costituzione conosce tre tipi di giurisdizione amministrativa: 1) la giurisdizione generale

di legittimità, in cui il giudice amministrativo accerta l’illegittimità dell’atto amministrativo ed

eventualmente lo annulla, rimuovendolo dall’ordinamento giuridico; 2) la giurisdizione esclusiva,

che si può avere solo per particolari materie nelle ipotesi previste dalla legge; 3) la giurisdizione di

merito, in cui il giudice amministrativo, in particolari ipotesi, esercita gli stessi poteri della pubblica

amministrazione, potendosi sostituire ad essa.

A differenza della giurisdizione di legittimità, che è generale, perché il giudice amministrativo può

sempre esercitarla, non essendo necessaria una esplicita previsione di legge per ogni singola ipotesi,

la giurisdizione esclusiva è una giurisdizione, per così dire, eccezionale, in quanto l’art. 103 Cost.,

se, da un lato, ha costituzionalizzato il criterio di riparto della giurisdizione tra giudice

amministrativo e giudice ordinario della causa petendi, dall’altra, ha previsto, come eccezione al

criterio della causa petendi, la devoluzione, da parte del legislatore, alla giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo di particolari materie, nonostante si fosse in presenza di controversie

sollevate a tutela di un diritto soggettivo, il cui giudice naturale è il giudice ordinario.

La giurisdizione esclusiva ha di recente avuto una amplia applicazione da parte del legislatore, il

quale negli anni ’90, per compensare la perdita da parte del giudice amministrativo della

giurisdizione esclusiva su tutto il pubblico impiego, ad eccezione di quello non privatizzato, passato

alla giurisdizione del giudice ordinario, ha individuato tre ipotesi molto importanti di giurisdizione

esclusiva in materia di servizi pubblici, di edilizia e urbanistica.

Tuttavia la Corte Costituzionale, con le storiche sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006, ha dichiarato

l’illegittimità delle normative che nel 1998 hanno attribuito la giurisdizione esclusiva al giudice

amministrativo in materia di servizi pubblici, di edilizia e urbanistica, ritenendo il criterio dei

“blocchi di materie” in contrasto con l’art. 103 Cost.

Così la Corte Costituzionale ha precisato che, perché sia legittima la devoluzione della giurisdizione

esclusiva al giudice amministrativo, occorre fare riferimento a tre criteri: 1) al criterio secondo cui

le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva devono essere della medesima natura delle materie

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attribuite alla giurisdizione di legittimità, nel senso che in quelle materie l’amministrazione deve già

agire come autorità e il giudice amministrativo deve intervenire come giudice degli interessi

legittimi; 2) al criterio secondo cui deve esserci un nesso talmente inestricabile tra i diritti

soggettivi e gli interessi legittimi coinvolti in quella materia che è necessario affidarli alla

giurisdizione esclusiva, nel senso che è talmente difficile distinguerli tra loro che risulta utile ed

opportuno attribuirli ad un unico giudice; 3) al criterio secondo cui non rileva la natura pubblica di

una delle parti, nel senso che non si ha giurisdizione del giudice amministrativo per il fatto che nella

controversia è coinvolta una pubblica amministrazione.

Infatti, oramai da tempo, il giudice amministrativo non è più un giudice domestico, non è più il

giudice della pubblica amministrazione, ma è il giudice del potere dello Stato, nel senso che la

giurisdizione esclusiva si giustifica solo in quei casi nei quali l’attività della pubblica

amministrazione si riconduce in maniera diretta o indiretta ad una situazione di potere, in cui

l’amministrazione si trova rispetto al privato in una posizione di sovraordinazione, nel senso che

agisce come autorità, mentre, quando si trova in una posizione di equiordinazione, la giurisdizione

esclusiva non si giustifica e si ha la giurisdizione del giudice ordinario.

Così la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo che ci fosse la giurisdizione esclusiva, in materia

di servizi pubblici, quando l’amministrazione si trovasse in controversia con il privato per questioni

riguardanti, ad esempio, i rapporti contrattuali di utenza, o, in materia di edilizia e urbanistica, ha

escluso che fossero soggette alla giurisdizione esclusiva quelle controversie, ad esempio, che

riguardavano comportamenti meramente materiali di occupazione di un terreno non riconducibili ad

alcun esercizio del potere.

5.1 La questione posta al vaglio della Corte: le ragioni del giudice a quo e della difesa

erariale.

La questione vagliata dalla Corte Costituzionale attiene alla legittimità dell’art. 133, comma 1, lett.

a), n. 2 c.p.a. nella parte in cui viene interpretato, secondo il diritto vivente, come norma che

riconosce la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo anche nelle controversie in materia di

accordi ex art. 11 sollevate dalla pubblica amministrazione per inadempimento del privato.

In particolare, il TAR Puglia – Lecce, investito, quale giudice a quo, di una controversia inerente

l’inadempimento da parte del privato di obbligazioni imposte da una convenzione urbanistica, pur

riconoscendo che dottrina e giurisprudenza ritengono estesa la giurisdizione esclusiva sugli accordi

ex art. 11 anche alle ipotesi in cui l’iniziativa giurisdizionale è intrapresa da una pubblica

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amministrazione, manifesta dei dubbi di compatibilità del diritto vivente formatosi con gli artt. 103

e 113 Cost., i quali sembrerebbero limitare la giurisdizione alla tutela del privato.

La difesa dell’Avvocatura Generale dello Stato rigetta l’idea che il diritto vivente formatosi sull’art.

133 cit. sia in contrasto con le norme costituzionali vigenti in materia di giustizia amministrativa, in

quanto queste non delineano una struttura processuale vincolante, che preveda che l’iniziativa

processuale possa essere intrapresa solo dal privato e non dalla pubblica amministrazione.

Quest’idea, infatti, deriva più che altro da una visione tradizionale del processo amministrativo

come processo di natura impugnatoria, in cui il giudice interviene solo sull’atto, ragion per cui

l’iniziativa processuale non potrebbe, secondo questa visione, che provenire dal privato. Invece,

come rileva la difesa statale, la disciplina del concreto svolgimento del processo amministrativo non

è predeterminata a livello costituzionale, dal momento che l’art. 113 Cost. ultimo comma, rimette al

legislatore ordinario il compito di stabilire quali organi, in quali casi e con quali effetti possano

pronunciare l’annullamento degli atti amministrativi, non imponendo che debba essere sempre il

privato ad essere l’attore della controversia. Da questa lettura ne deriverebbe un sistema di giustizia

amministrativa che appresta una garanzia bilaterale, in quanto il giudice amministrativo è per il

privato giudice naturale del potere amministrativo, in quanto ha il compito di accertare il legittimo

esercizio del potere e, allo stesso tempo, è giudice dell’interesse pubblico, di cui l’amministrazione

è interprete autentico anche quando esercita il potere in maniera mediata attraverso le forme

convenzionali, come è accaduto nella controversia sollevata. Così il giudice amministrativo non è

più giudice domestico della pubblica amministrazione, come lo erano i tribunali del contenzioso

amministrativo degli Stati preunitari, ma giudice che assolve ad un ruolo di ponderazione sui

rapporti amministrativi, cercando di realizzare una sintesi tra l’interesse del singolo privato e il

generale interesse pubblico di cui è interprete la pubblica amministrazione.

Oltre al carattere non vincolante delle norme costituzionali in merito alla struttura del processo

amministrativo, la difesa erariale pone a sostegno della propria interpretazione l’argomento secondo

cui le norme costituzionali hanno come obiettivo quello di assicurare una tutela giurisdizionale al

privato, ma non per questo vietano all’amministrazione di potersi rivolgere al giudice

amministrativo, ciò in quanto gli art. 24 e 111 Cost. garantiscono a tutti i soggetti il diritto ad agire

in sede giurisdizionale per la tutela delle proprie posizioni soggettive e tra questi c’è anche la

pubblica amministrazione che deve poter tutelare l’interesse generale di cui è portatrice e autentico

interprete, anche quando si avvale dello strumento convenzionale per la sua realizzazione. Se fosse

consentito solo al privato di adire il giudice amministrativo in caso di inadempimento della pubblica

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amministrazione e non viceversa verrebbe violato il principio del giusto processo e sarebbe preclusa

alla pubblica amministrazione la possibilità di tutelare l’interesse generale che rappresenta.

Rileva, altresì, la difesa erariale come quella di agire in via giurisdizionale in caso di

inadempimento da parte del privato degli accordi ex art. 11 sia una scelta strategica, dal momento

che l’opzione per lo strumento convenzionale non fa perdere all’amministrazione la possibilità di

esercitare i poteri di autotutela esecutiva, in quanto l’applicazione dei principi in materia di

obbligazioni e contratti richiamata dall’art. 11 della legge n. 241/1990 assume un carattere

residuale, nel senso che è possibile nella misura in cui l’amministrazione non intenda esercitare le

proprie potestà pubbliche, stante la natura pubblicistica degli accordi ex art. 11 sostenuta

dall’opinione di maggioranza, come sopra si è rilevato.

Rileva, infine, la difesa erariale come l’interpretazione proposta dal giudice a quo negherebbe

all’amministrazione la possibilità di scegliere tra l’esercizio dell’azione giurisdizionale per

inadempimento degli accordi e l’esercizio dei poteri di autotutela esecutiva, con la conseguenza che

l’amministrazione, per ottenere l’accertamento giudiziale dell’inadempimento da parte del privato,

sarebbe costretta ad esercitare il potere di autotutela esecutiva ed attendere l’eventuale iniziativa del

privato contro l’esercizio di tale potere, mentre, a parti invertite, il privato si troverebbe in una

posizione privilegiata, in quanto potrebbe agire in via giurisdizionale per l’accertamento

dell’inadempimento da parte della pubblica amministrazione.

5.2 Segue: la soluzione della Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale rileva l’infondatezza della questione.

Il Giudice delle Leggi fa notare come dagli accordi procedimentali abbiano anch’essi una natura

sinallagmatica, in quanto, se, da un lato, prevedano dei vincoli a carico dell’amministrazione,

dall’altro, impongono degli obblighi anche a carico del contraente privato. Ad esempio, in caso di

convenzioni di lottizzazione, come nella controversia in questione, al rilascio del permesso di

costruire da parte dell’amministrazione corrisponde il correlativo obbligo del privato di realizzare le

opere di urbanizzazione primaria e secondaria, con riferimento al quale nella fattispecie per cui è

causa il privato contraente è risultato inadempiente. Al sinallagma di diritto sostanziale corrisponde,

secondo il ragionamento della Corte Costituzionale, un sinallagma di diritto processuale, che

implica inevitabilmente la possibilità per entrambe le parti aderenti agli accordi procedimentali di

adire il giudice amministrativo in caso di inadempimento della controparte, dal momento la Corte

Costituzionale ha rilevato che l’art. 133 cit. ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo “tutte le controversie che trovano titolo negli accordi che sostituiscono o integrano

i provvedimenti amministrativi” e che la giurisprudenza di legittimità sia ordinaria che

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amministrativa fa rientrare tra tali controversie anche quelle in cui la pubblica amministrazione è

parte attrice.

La Corte Costituzionale condivide anche le argomentazioni della difesa erariale in merito al ruolo

del giudice amministrativo di giudice sul rapporto amministrativo, in quanto afferma che gli artt.

103 e 113 Cost. non vanno interpretati nel senso che il sistema di tutela apprestato da queste norme

può essere attivato solo dal privato e non possono ricorrervi le pubbliche amministrazioni,

soprattutto per il fatto che il giudice amministrativo è storicamente e istituzionalmente preposto,

oltre che alla tutela degli interessi legittimi, anche alla tutela dell’interesse pubblico, tant’è che la

giurisdizione esclusiva è legittimamente devoluta dal legislatore al giudice amministrativo solo in

quelle particolari materie nelle quali vi sono le condizioni richieste dalla Corte Costituzionale nelle

sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006, ovverosia l’inestricabile groviglio di diritti soggettivi e

interessi legittimi, nonché il ruolo di supremazia esercitato dalla pubblica amministrazione, che

deve agire come autorità e quindi come soggetto chiamato ad esercitare un potere, sia mediante

provvedimenti che mediante moduli convenzionali, e a farsi interprete autentico dell’interesse

pubblico alla cui cura è preposto dalla legge.

La Corte Costituzionale, in questa sentenza del luglio 2016, ci spiega che un classico esempio di

giurisdizione esclusiva si ha in materia di accordi ex art. 11, nella parte in cui ci dice che: ““In sede

di regolazione della giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato il collegamento

funzionale delle convenzioni urbanistiche al procedimento di rilascio dei titoli abilitativi. In

quanto inserite nell'ambito del procedimento amministrativo, le convenzioni e gli atti di obbligo

stipulati dall'Amministrazione con i privati costituiscono pur sempre espressione di un potere

discrezionale della P.A.”. Così la pubblica amministrazione, anche quando agisce sulla base delle

convenzioni urbanistiche, sta comunque mediatamente esercitando il potere sul governo del

territorio.

La Corte Costituzionale quindi, in conclusione: a) condivide l’orientamento interpretativo formatosi

sull’art. 133 cit., oramai divenuto diritto vivente, in quanto in linea con l’evoluzione della giustizia

amministrativa, che sempre più spesso da giurisdizione sull’atto è divenuta giurisdizione sul

rapporto; b) rileva come nel nostro ordinamento non esistano materie “a giurisdizione frazionata”,

in cui cambia il giudice della controversia a seconda del soggetto che intraprende l’azione

giurisdizionale, ragion per cui esigenze di coerenza e di parità di trattamento impongono che

l’amministrazione debba avvalersi della concentrazione delle tutele e le si debba riconoscere la

legittimazione attiva a convenire il privato inadempiente di un accordo procedimentale; c) fa notare

come la concentrazione delle tutele e l’adeguamento agli orientamenti delle giurisdizioni superiori e

della giurisprudenza costituzionale erano criteri direttivi imposti dalla legge delega n. 69/2009,

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ragion per cui il d.lgs, n. 104/2010 (codice del processo amministrativo), se avesse esercitato

un’opzione contraria, sarebbe stato illegittimo per violazione dell’art. 76 Cost.; d) condivide, infine,

l’argomentazione della difesa erariale secondo cui, qualora si riconoscesse alla pubblica

amministrazione solo la possibilità di esercitare il potere di autotutela amministrativa,

l’accertamento giudiziale dell’inadempimento da parte del privato sarebbe condizionato

dall’instaurazione del contenzioso da parte del privato medesimo, con la conseguenza che l’oggetto

del giudizio verrebbe da lui stesso unilateralmente determinato, senza che la pubblica

amministrazione possa modificarlo o ampliarlo mediante una domanda riconvenzionale.