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50 l patria indipendente l 10 dicembre 2006

NORBERTO BOBBIO, NICOLA MATTEUCCI, GIANFRANCO PASQUINO

Il Dizionario di PoliticaUtet Libreria, 2004, pp. 1.042, € 34,00.

E cco un valido sussidio per chi sidedica allo studio della politica.Uscito per la prima volta nel 1976

(un quarto di secolo fa), nuovamenteedito e tradotto negli Anni 80 anche inspagnolo e portoghese (due lingue parla-te in molti Paesi allora nuovi alla demo-crazia), esce ora totalmente svecchiato erinnovato per i tipi della Utet Libreria.Pensiamo alla voce “Resistenza” che si ar-ticola in ben tre paragrafi (“il significatodel termine”; “La Resistenza europea alnazismo”; “il significato politico del ter-mine”). E ci ricorda che Resistenza non èsolo quella ai nazifascisti durante la se-conda guerra mondiale: è anche quelladegli spagnoli all’invasione napoleonica(ricordate il famoso quadro di Goya?).Un concetto che ci riporta alla parola“guerra”, capace, solo dieci anni fa, di su-scitare inquietudine e proteste di piazza.«Secondo studi recenti – afferma proprioalla voce “guerra” Umberto Gori (cin-que pagine, otto con le voci “guerrafredda” e “guerriglia”) – in 3.400 annidi storia l’umanità avrebbe avuto solo234 anni di pace, definibile in termini diassenza di conflitti armati. Secondo i cal-coli del Singer – il filosofo australiano,n.d.r. – dal 1815 al 1980 si sono avuteben novantatré guerre». Sono cifre certa-mente opinabili perché – sottolinea Gori

– se la guerra è per defi-nizione solo militare, inrealtà è anche economi-ca, psicologica. Noi pen-siamo subito al ruolo deimass media, che spessonascondono la realtà (in-vece di denunciarla all’o-pinione pubblica) o ladeformano. Ma anche alfatto che oggi si uccideosservando uno scher-mo, o premendo un pul-sante, si distruggono in-dividui lontani medianteun telecomando, allon-tanandosi così dalla lorosofferenza.Significativa la presenzadi voci nuove, come“Globalizzazione”. Losapevate che in tutto il

mondo, nella seconda metà del Millen-nio appena concluso (per intenderci dal1950 al 1999), le attività produttive so-no cresciute soltanto di sei volte, mentreil commercio è cresciuto di ben dician-nove volte (oltre tre volte tanto!)? Nulladi che stupirsi, verrebbe da commentare,del crollo di regimi – come quello jugos-lavo – dove vigeva il divieto di rivenderela merce acquistata (con buona pace dei“grossisti”, che sappiamo quanto incida-no, ad esempio in Italia – e quel che con-ta: senza produrre assolutamente nulla –sull’andamento dei prezzi al consumo),e dove la vendita era consentita soltantoal produttore.Così (per passare a un’altra voce del Di-zionario) il “conflitto” (oltre cinque pagi-ne divise in quattro paragrafi) non è sol-tanto bellico, ma piuttosto sociale, poli-tico, industriale. «Non esistono cause spe-cifiche del conflitto, neppure del conflittodi classe – scrive Gianfranco Pasquino –.Infatti il conflitto, ogni conflitto è insitonella configurazione stessa della società,del sistema politico, delle relazioni inter-nazionali». Un tema che ci riporta aKant, Hegel, e naturalmente Marx.Esso emerge con l’atavico istinto di stri-tolare i deboli, sia quando si tratta di Sta-ti (ad esempio l’Afghanistan, oppure, at-traverso l’embargo, Cuba), sia quando sitratta di classi di individui (a Milano, sot-tolineiamo noi, gli arabi della discussascuola di via Ventura), o dell’individuostesso in senso generale, come insegna ilcaso del Giappone.Proprio «in Giappone lo stress lavorativo è responsabile di oltre 110 mila mortiall’anno» come denunciano Ann DeSpelder e Albert Lee Strickland in TheLast Dance. L’incontro con la morte e ilmorire, il manuale di tanatologia forsepiù diffuso negli Stati Uniti (in Italia daClueb, 442 pagine, € 30). «Le vittime –e questo in tempo di parità tra i sessi varibadito a chiare lettere, n.d.r. – sono perlo più uomini – afferma il libro dellaClueb – che vivono gli anni più intensidella loro carriera. Appartengono a tuttele categorie professionali e sono vittime delkaroshi, o morte improvvisa da super la-voro».Ogni voce del Dizionario di Politica ècorredata da una ricca bibliografia etratta soltanto concetti (ad esempio “Po-litica” in otto pagine, quante “Rivolu-zione”, “Democrazia” e “RomanticismoPolitico”), mai personaggi. La scrittura,un po’ cerebrale, ne fa uno strumento

libri

Norberto BobbioNicola MatteucciGianfranco Pasquino

Il Dizionariodi Politica

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adatto a professionisti e studiosidella materia.«Il Dizionario di Politica è un’ope-ra unica nel suo genere, non soltan-to in Italia, ma anche all’estero», è l’opinione di Giovanni Sartori.Esso si configura come «uno stru-mento istruttivo, utile per gli stu-denti, per i docenti e sicuramenteanche per tutti coloro che di politicavogliono saperne meglio e di più».

Luca Sarzi Amadè

LEONARDO BORGESE

L’Italia rovinatadagli italianiScritti sull’ambiente, la città,il paesaggio 1946-’70A cura di Vittorio EmilianiRizzoli Editore, Milano, 2005, pp. 352,€ 19,00.

N el 1936 al Castello Sforzescodi Milano viene presentato inpompa magna, fresco di re-

stauro, un Cristo morto attribuito aMichelangelo. È Mussolini in per-sona a riconoscere nel dipinto lamano possente del Buonarroti.Ma a smentire il Duce arriva unarticolo di Leonardo Borgese che,sull’Ambrosiano, documenta comel’opera non sia un originale, bensìuna copia realizzata in epoca piùtarda. Clamore, imbarazzo, scan-dalo. L’episodio – ricorda VittorioEmiliani nell’introduzione de L’I-talia rovinata dagli italiani – nonresterà isolato. Con altre stroncatu-re, dettate da coerenza e onestà,Borgese si costruirà la fama di cri-tico “fustigatore”, “puritano in-transigente”, collezionando guai enemici.Figlio dello scrittore e critico Giu-seppe Antonio Borgese, marito del-la maggiore delle sorelle Cederna,Maria Sofia, dopo anni difficili incui sconta la scelta antifascista e lalotta clandestina nella Resistenzaall’avvento della Repubblica di Sa-lò, Leonardo approda nel dopo-guerra al Corriere della Sera. Daquelle colonne inaugurerà il me-stiere di critico d’arte sul campo eavvierà la battaglia in difesa del pa-trimonio artistico e naturale italia-

no. In altre parole, gettò il semeche anni dopo verrà coltivato dalcognato Antonio Cederna, fonda-tore nel 1955 di Italia Nostra.L’operazione messa a punto da Vit-torio Emiliani, già direttore de IlMessaggero, proponendo una seriedi articoli pubblicati tra il 1946 e il 1970 dal quotidiano di via Solfe-rino, va oltre il ritratto di un’epocaalle prese con i problemi della rico-struzione, gli interessi speculativi oi conti mai regolati col fascismo intema di arte e cultura. Intanto, im-pari cose che non troveresti nem-meno nella più sofisticata guida tu-ristica: la vicenda del neoclassicoCaffè Pedrocchi di Padova, luci eombre di restauri celebri comequello del Cenacolo a Milano, la ri-costruzione dello storico PonteCoperto a Pavia, divelto dalle bom-be e rimesso in piedi, chissà perché,a parecchi metri di distanza dall’o-riginale. Poi conosci storie che fa-rebbero impallidire anche un thril-ler come Il Codice da Vinci, perchésono tutte vere e documentate. Unsolo esempio: come regalammo aHitler e Goering tavole e quadri diinestimabile valore, eludendo leleggi di tutela del patrimonio arti-stico italiano. Emergono, insom-ma, le pastoie di una politica miopeche, anche nel dopoguerra, non ècapace di salvare il più grande“museo a cielo aperto” del mondo.Anzi, lo devasta.Gli articoli di Borgese mostranoperò anche il buon lavoro portato a

termine da esperti che hanno acuore il destino dell’arte italiana,alla Pinacoteca di Brera per esem-pio, e non mancano di dare contodei movimenti che protestano con-tro lo scempio delle ville venete odei centri storici di Firenze e Pe-rugia. Borgese, per primo, difese ilvalore artistico del paesaggio e delverde, combattendo per moltotempo una battaglia isolata control’invasione del cemento. Storie chesembrerebbero troppo stupide peressere vere.Tra le battaglie vinte dalla passionecivile di Borgese, ne citiamo solouna. Postuma. Rendere statale,cioè di tutti, Palazzo Barberini, l’e-dificio romano disegnato dal Berni-ni per la famiglia di Urbano VIIIche, secondo un antico accordo colParlamento italiano, deve diventarela più grande galleria d’arte anticadel Belpaese. Borgese caldeggial’intervento dello Stato fin dal1949 ma, di rinvio in rinvio, ben50 sale restano a disposizione delCircolo Ufficiali del ministero dellaDifesa. Che le utilizza per feste pri-vate e, dal ’56, non paga nemmenol’affitto. Finalmente, poche setti-mane fa, a vent’anni dalla morte diBorgese, la vertenza è risolta. I mi-litari traslocheranno e dal 2007 tut-ti potremo ammirare oltre 1.500dipinti di artisti prestigiosi: Raffael-lo, Tintoretto, Tiziano, Caravag-gio. Finora esuli, dispersi in variesedi o accatastati in magazzino.

Natalia Marino

SILVIA DELZOPPO

Dal confino al carcere: ricordi e memorie

Alba Spinauna vita per un idealeEdizioni Leone&Griffa, Cossila San Gio-vanni, Biella, 2005, pp. 304, € 16,00.Prefazione di Piero Fassino

U na donna straordinaria, fuoridal comune. Ma è riduttuvo,largamente inadeguato defi-

nire così Alba Spina. Parlo per co-gnizione diretta avendola cono-sciuta all’inizio degli Anni 70 qualepreziosa testimone (con BiancaDiodati e Velia Sacchi) sul ruolo

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determinante assolto da EugenioCuriel nella costruzione del Frontedella Gioventù nella Resistenza.Anche per questo, appaiono appro-priate le parole di Piero Fassinoquando afferma che quella di Albaè «una vita che sembra un romanzoma non lo è. È una memoria, quel-la delle sue battaglie e delle sue sof-ferenze, che deve essere conosciutae tramandata, perché racchiude unmessaggio di libertà e di dignitàche, proprio perché così intima-mente figlio di quel tempo, diquella storia, non conosce confinidi tempo o di spazio». Anni, lotte,sacrifici eccezionali, decisioni di vi-ta, motivazioni che ora la più gio-vane nipote rievoca – con affettoma con rigore – attingendo soprat-tutto agli scritti, ai ricordi, ai docu-menti lasciati dalla zia: 200 paginedattiloscritte, con allegati vari, noteed informazioni. Per riscontrare ecollegare i due periodi del dattilo-scritto – utilizzando volutamente“la forma discorsiva” usata dallaSpina – la Delzoppo ha fatto ricor-so opportunamente alle cartelle re-gistrate dal Centro di documenta-zione della Camera del Lavoro diBiella, consultando gli Archivi diStato di Biella e di Vercelli, gli Isti-tuti storici della Resistenza di Biel-la e Borgosesia.Un vissuto personale e, al tempostesso, corale nel variegato mondodell’antifascismo e nella lotta parti-giana, che impressiona per dedizio-ne assoluta alla causa prescelta. An-che – va detto – sacrificando e re-primendo moti e sentimenti intimi

che destano, oggi, qualche perples-sità. Dunque, una donna d’acciaio?Forse sì; ma i tempi erano quelli;qui descritti con sobria sostanza edovizia di particolari. Che vedonouna ragazza di 13 anni già in fab-brica a lavorare, indi la scelta asso-luta per l’ideale comunista, l’ade-sione al Pci clandestino, l’arresto el’assegnazione al confino di prigio-nia, l’impegno successivo tra i par-tigiani, il nuovo arresto nel giugno’44 a Milano, i maltrattamenti nel-la caserma fascista di via Asti, la sal-vezza insperata attraverso unoscambio di prigionieri («Penso aicompagni fuori – scrive – che devo-no sapere dove sono finita... Nonso che mi aspetta o piuttosto temodi sapere. Sono stanchissima e do-lorante»). È la staffetta partigianache sa molte cose ma non cede,non dice nulla; è la ragazza che la-vora alla redazione clandestina del’Unità con personaggi ovunquericercati dai tedeschi e dai fascisti:Curiel, Giorgio Amendola, ArturoColombi, Pietro Secchia. Imparanon poco avendoli a fianco nella ri-schiosa clandestinità, come lei stes-sa annota. Anche per questo – manon solo – il libro porge alla me-moria storica e alla riflessione un la-scito meritevole di attenzione e, sì,bisogna dirlo, quasi unico nel suogenere. La ministoria di questacombattente costituisce – forse perla sua stessa cifra di donazione allamilitanza, nella singolarità cercata eperseguita – un tassello importanteanche nella macrostoria del contra-stato incedere dell’emancipazionefemminile.Quindi, un documento di rilevantespessore umano; fino all’ultima pa-gina. Nella quale, con qualche sor-presa, si apprende che «Alba Spinafu tenuta sotto osservazione almenofino alla metà degli Anni 70, quan-do nelle relazioni del commissaria-to di P.S. si legge che aveva dimi-nuito la partecipazione a cortei emanifestazioni per problemi di sa-lute. Per non pochi aspetti, i tempierano ancora quelli. Qualche annodopo, l’Esercito italiano – visti iDecreti relativi vigenti – determinaper l’osservata la concessione dellaCroce al Merito di Guerra in segui-to ad attività partigiana».

Primo de Lazzari

RENZO FRANCESCOTTI

Lo spazzacaminoe il duceLoGisma editore, Firenze, 2006, pp. 272,€ 13,00.Prefazione di Isabella Bossi Fedrigotti

C hi sono i veri protagonistidella storia? I Mussolini, gliHitler, i re e i papi di turno,

i generali che si gloriano di avervinto le guerre, i personaggi arrivatialla celebrità? Niente affatto. Sonole persone del popolo che vivonodel lavoro onesto, che soffrono,sono felici, amano con la ricchezzadella semplicità. La grandezza del-l’uomo è la pulsione insopprimibiledella libertà. Benito Mussolini è untragico fantoccio, “en torobét” dellastoria. “Nino Donino spazzacami-no”: è lui che incarna i valori delprogresso libertario e sociale. Ninoè amico del Mussolini-socialista,ma convocato di fronte al Mussoli-ni-Duce, gli dice in faccia: «No vòipu véderte. Ti te sèi el traditor delsocialismo!». Il piccolo Davide ab-batte il gigante Golia. La staturamorale e ideale del gracile spazza-camino schiaccia quella potente delDuce. Nino è il carisma dell’utopiasocialista, è la forza della resistenzaal nazifascismo. “Basco” è il giova-ne eroe-antieroe che per la libertàcombatte nelle Brigate Internazio-nali in Spagna, poi nella resistenzafrancese e italiana. È la figura em-blematica di centinaia, migliaia diuomini e donne, che nell’anonima-to quasi assoluto, hanno incarnatola lotta per la libertà e la giustiziasociale. Persone del popolo chenella lotta armata e nella resistenzacivile hanno dato tutto loro stessi.Un ennesimo libro sulla Resisten-za? No! Il libro di Renzo France-scotti è molto di più. È un gioiellocon tanti riflessi. Parole, immagini,colori, profumi, sapori, emozioni sipossono gustare con tutti i sensidel nostro corpo e nelle radici piùprofonde della nostra anima. Il ri-gore di una ricerca storica certosinaè modulato dalla sensibilità dell’au-tore. Come una macchina del tem-po, ci riporta a vivere la Trento delprimo ’900. Quella di Cesare Bat-tisti, dell’anticlericale-sindacalista-giornalista-socialista Mussolini, conla parentesi dei suoi delittuosi amo-

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ri trentini, della Grande Guerra,della nascita del fascismo. E poi, laguerra di Spagna, quella mondiale,la resistenza in Francia, in Italia, inTrentino... il ritorno alla stagionedella normalità, della fine della tra-gedia ma anche dell’utopia liberta-ria. Nella Trento del primo ’900incontriamo persone “vere”, cono-sciamo i loro nomi, i loro mestieridi operai e artigiani della Portèla, lelavandaie “con i diàolini nei dedi”.Sono gli amici-compagni di Nino“spazzacamino - tutto - nero - dalle -scarpe-alla-beréta”. Riscopriamo levecchie osterie, gustiamo gli antichisapori, sentiamo le loro discussioni“socialiste”, come quelle animateda Mussolini nella Sala Rossa deiTre Garofani, e poi quelle clande-stine antifasciste ascoltando RadioMosca. Alla Portèla, entriamo nellacasa sotto i tetti di Nino, con i rita-gli di giornale al posto della cartaigienica, ma con i gerani sul balco-ne, sentiamo parlare Mussolini, chein quella casa amica un bicchiere divino, un minestrone e un pezzo delmitico strudel della Dorina lo ri-mediava volentieri. Poi la storia sisdoppia e si intreccia con quellatravagliata del giovane “Basco” chedal Trentino va a combattere inSpagna con le Brigate Internazio-nali. Massacri, morti, feriti comelui, flamenco, paella, prigioni a pa-ne acqua e baccalà salato, amoredolcissimo... e il ritorno con mo-glie e figlio per rivedere Nino. Ilritmo del libro è incalzante. Travol-

gente quando ti fa vivere il bom-bardamento che ha cancellato laPortèla. Le bombe te le senti ad-dosso, ti rompono i timpani, l’an-goscia ti serra la gola più della pol-vere e, poi... tutti quei morti, i vol-ti e i corpi martoriati di tanti amicicon cui avevi parlato fino a qualcheminuto prima. Emozioni pesanti,ma anche emozioni leggere, pienedi poesia. Il libro è come un gran-de mosaico di storie e personaggisullo sfondo di tanti colori. Il nerodi Nino spazzacamino in contrastocon il bianco dei suoi denti e il can-dore della sua anima. Quei coloricaldi, dei coppi giallo-rossi o delleardesie verdi, dei vecchi tetti dellaPortèla, o delle merlature rosse del-la Torre Vanga. L’esplosione di co-lore della festa Andalusa, i tramon-ti infuocati nel giallo del grano onel verde dell’avena, la pennellatadelicata del rosso delle zampe dellacicogna nel verde-blu del lago diMolveno. Ma il libro è anche unconcerto di suoni. La voce magne-tica e baritonale di Mussolini, loschioccare delle nacchere e le mi-tragliate dei tacchi del flamenco,accanto al crepitio delle mitraglievere, dei fragori delle bombe a ma-no, dei boati dei bombardamenti edei lamenti dei feriti. Nino spazza-camino ha un ideale forte comeuna roccia, ma è leggero. Vola sul-l’onda magica della sua filastroccache traversa tutto il libro. Come in un quadro di Chagall,piccolo, minuto, tutto nero e con identi bianchi, è sospeso nel cielo,sopra i tetti e i camini della Portèla-che-non-c’è-più, con il suo gattobianco dalla gamba steccata e gliuccelli che gli volano attorno. Ilsuo amore impossibile è comequello di “una farfalla nera e unarosa come l’aurora”. La leggerezzadel suo ultimo respiro ti entra nelcuore. Lo Spazzacamino e il Duceè come un grande vino di una bot-tiglia impolverata dalla storia. Vaaperto e versato con riguardo, os-servato nelle trasparenze cromati-che che, odorato nei profumi, assa-porato in tutti gli aromi e... va“meditato”. Lo bevi, alla fine nevorresti ancora, ma devi acconten-tarti del sapore intenso che hai rac-colto nell’anima.

Sandro Schmid

Atlante storicodella lotta di Liberazionenel Friuli-VeneziaGiuliaUna Resistenza di confine 1943-1945Ed. Regione Autonoma Friuli-VeneziaGiulia, 2006, pp. 200, € 45,00

L a storia della Resistenza è insostanza la storia di una sceltadi dignità e di responsabilità,

e dei suoi esiti. La scelta concerne-va, nel 1943, i valori su cui fondareil futuro, non solo individuale, mapolitico e sociale; riguardava i prin-cìpi che dovevano regolare, a guer-ra finita, la vita della comunità na-zionale e, più in generale, del po-polo italiano, nonché l’organizza-zione dello Stato, chiamato a ga-rantire ciò che da lungo tempo eravenuto a mancare: la libertà in tut-te le sue forme, l’uguaglianza deicittadini di fronte alla legge, la de-mocrazia nell’organizzazione poli-tica e amministrativa, e tutti i dirit-ti civili fondamentali del popoloitaliano, senza distinzione alcuna dirazza, di religione, di credo politi-co. La Resistenza fu, in definitiva,l’affrancamento del popolo italianoda una dittatura di coercizione nonsolo della volontà del popolo ma sisostituiva ad esso in tutte le manife-stazioni del suo vivere. Il nuovoStato, repubblicano, democratico epopolare ebbe origine soprattuttoda quel vasto movimento popolaredi donne e uomini liberi che è sta-to la Resistenza. Che la vicendabalcanica, quella in particolare cheinvestiva il confine orientale, fosseun fallimento è già dal 1942 nellaconsapevolezza di non pochi diri-genti fascisti comprimari in queglieventi. Intanto indeboliva ulterior-mente la presenza italiana, la pole-mica che divideva autorità politichee militari (a Zara, a Lubiana, maanche a Gorizia, raggiunte ormaidal ribellismo armato) circa le re-sponsabilità sull’origine dell’insta-bile controllo italiano nelle zoneinteressate e sugli scarsi risultati ot-tenuti dall’opera repressiva. Infatti,nel luglio 1942 il generale Armelli-ni, responsabile del contingentemilitare in Dalmazia, è oltremodopolemico nei confronti del Gover-

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natore Giuseppe Bastianini. Inuna relazione indirizzata ai Co-mandi Superiori, definiva “colos-sale errore” quello compiuto inAdriatico, dove “si è voluto”,bruciando le tappe, proclamarel’annessione e la costituzione del-le tre Province (Lubiana, Zara,Spalato) e proclamare, successiva-mente, il sollecito procedere ver-so la “normalizzazione”. Tale fat-to incentivò la ribellione perchéeravamo andati ad occupare ter-ritori stranieri che non ci eranomai appartenuti, annettendoli allaMadre Patria italiana; così, pensa-vamo erroneamente, con un sem-plice regio decreto del re italiano.Mussolini tenne un rapporto aGorizia alla fine di luglio 1942;disse di voler far cessare il mito del-l’italiano incapace di essere duro econcluse a proposito degli sloveni:«questa popolazione non ci ameràmai».L’Atlante storico del Friuli-VeneziaGiulia è un documento elaboratodai bravi compagni friuliani e giu-liani, attraverso riscontri obiettividei documenti da essi reperiti neiluoghi dove avvennero i fatti, eattraverso le testimonianze orali,riscontrabili facilmente nei siti diconfine. Ma la pubblicazione è sa-tura di belle fotografie e di cartegeografiche e topografiche di gran-de interesse che rendono il volumemolto apprezzabile, appunto per laricerca effettuata. L’Archivio ANPIdi Udine, l’Archivio ANPI di Mon-falcone, l’Archivio Istituto Regio-nale Storia del Movimento di Libe-razione di Trieste hanno contribui-to in particolar modo, mettendo adisposizione degli autori del volu-me le loro raccolte fotografiche dacui sono state tratte le foto ripro-dotte; alcune foto sono raccapric-cianti per la veridicità dei soggettirappresentati.Resta certo che i deportati dellaVenezia Giulia furono inizialmentecirca 17.000 (compresi i militariprovenienti da altre regioni italia-ne), di cui 8.000 rilasciati in brevetempo, altri rientrati in periodi di-versi fino ai primi Anni 50, nonsempre segnalando il proprio rien-tro. Le liste dei deportati e scom-parsi sono molteplici e di diversaprovenienza fino alle indagini piùrecenti di Istituti di ricerca, quali il

Centro Studi Adriatici, la Società diStudi Fiumani e l’Istituto Friulanoper la storia del Movimento di Li-berazione. Quest’ultimo ha pubbli-cato gli esiti di un’indagine durata6 anni, allo scopo di individuarecon estremo rigore tutte le vittimeper cause di guerra sul territoriodelle province del Friuli-VeneziaGiulia. In base ai dati raccolti, gli scompar-si a seguito dell’intervento jugosla-vo a maggio e giugno 1945 furono601 nella provincia di Trieste (185civili e 416 appartenenti a diverseForze Armate, tra cui 19 partigia-ni) e 412 nella provincia di Gorizia(235 civili e 177 militari); l’indagi-ne prende in considerazione l’am-bito territoriale delle province nel-l’estensione attuale e non in quelladel 1945, e questo limite dichiara-to esclude dal computo sia personeresidenti in Comuni annessi alla Ju-goslavia nel 1947, sia quanti si tro-vavano in servizio nelle provinceattuali, ma non vi risiedevano sta-bilmente. Recentemente è statapubblicata una rigorosa indaginesulla consistenza delle vittime ita-liane nella zona di Fiume, grazie adun impegno comune tra le societàdi Studi Fiumani di Roma e ilHrvahschi Institut za Povjiest diZagabria. La collaborazione italo-croata ha rilevato che la guerra haprovocato dal 1940, complessiva-mente 2.741 vittime tra gli italiani(1.281 militari e 1.400 civili), mor-ti per mano tedesca, italiana, jugos-lava o per bombardamenti alleati;le vittime soppresse dagli jugoslavi

per esecuzioni e deportazioni nelcorso della guerra ammontano a698, di questi 516 risultano ucci-si dopo il 3 maggio 1945, datadella conquista di Fiume da partedegli jugoslavi. Mancano peròdati attendibili per gli anni 1944-1947 sulle vittime in territorioistriano e in alcune città dalmateamministrate dagli jugoslavi.In conclusione, le vittime, a re-sponsabilità jugoslava, si possonovalutare in migliaia dopo il 1°maggio 1945; gli elementi più at-tendibili arrivano a 4.000-4.500vittime (tra infoibati e morti indeportazione), a cui si aggiungo-no le vittime presunte che in al-cune pubblicazioni superano le5.000, ma sempre con molti dub-

bi. Ufficialmente il Territorio Libe-ro di Trieste venne istituito il 15settembre 1947 e prevedeva ungovernatore nominato congiunta-mente da Italia e Jugoslavia, men-tre il Consiglio di Sicurezza ONUgarantiva la sua integrità territorialee la sua indipendenza. Il TLT rimase, per tutta la sua du-rata, diviso in due parti: la Zona Asotto l’amministrazione provvisoriadel Governo Militare Alleato(GMA) e la Zona B sotto l’ammi-nistrazione del Governo MilitareJugoslavo (Vuja). Il confine tra ledue zone era fissato lungo la partemeridionale della “Linea Morgan”,poco a sud del Comune di Muggia.Nella Zona A si trovava il centrourbano principale (Trieste) e 5 co-muni minori: Muggia, S. Dorligodella Valle (Dolina), Morrupino,Gonico, Duino Aurisina. Nella zo-na B del TLT i centri urbani mag-giori sono Capodistria e Buie, se-guiti da Isola, Pirano, Città Nova,Umago e Verteneglio. Il memoran-dum di Londra del 5 ottobre 1954stabilì un accordo tra Italia e Jugo-slavia per il trasferimento della Zo-na A all’amministrazione italiana edella Zona B a quella jugoslava fis-sato per il 26 ottobre 1954. Lascomparsa del TLT fu definitiva-mente confermata nel 1975 con ilTrattato di Osimo.L’Atlante Storico è fonte di notizieimportanti e definitive.Il costo di € 45.00 vale comple-tamente il contenuto dell’Atlantestesso.

Avio Clementi