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VANITY I DIMENTICATI UNO SU CINQUE Massimitiano, 39 anni, e il padre Marco, 77, affetto da sindrome di Alzheimer. Solo in Italia, si stima che ci siano 450-500 mila malati: il 20 per cento detta popolazione sopra i 65 anni. NON TI RICONOSCO PIÙ «MA IO SONO SPOSATO? E CON CHI? DICI CHE HO TRE FIGLI, MA COM'È CHE NON LI HO MAI VISTI?». IRMA PRIMA SI È ARRABBIATA, POI SI È SPAVENTATA. PER SUO MARITO ERANO I PRIMI SINTOMI DI ALZHEIMER. È UNA DELLE STORIE CHE RACCONTIAMO QUI, PER PARLARE DI UNA SINDROME CHE IN ITALIA COLPISCE MEZZO MILIONE DI ANZIANI E, DI RIFLESSO, LE LORO FAMIGLIE. UN MALE CHE ANCORA MOLTI NON SANNO COME AFFRONTARE E CHE TROPPI HANNO VERGOGNA DI AMMETTERE di Barbarti Rivoli foto Silvia Morara UNA NUOVA RICERCA Gìsella, 66 anni, e mamma Bruna, 92. Nell'ultimo numero di Science, uscito una settimana fa, viene presentata una ricerca sulla individuazione di una proteina che blocca la malattia. 25.03.2009 VANITY FAIR | 211

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V A N I T Y I D I M E N T I C A T I

UNO SUCINQUE

Massimitiano,39 anni, e il padreMarco, 77, affetto

da sindrome diAlzheimer. Solo in

Italia, si stima che cisiano 450-500 mila

malati: il 20 per centodetta popolazione

sopra i 65 anni.

NON TI RICONOSCO PIÙ«MA IO SONO SPOSATO? E CON CHI? DICI CHE HO TRE FIGLI,

MA COM'È CHE NON LI HO MAI VISTI?». IRMA PRIMA SI È ARRABBIATA,POI SI È SPAVENTATA. PER SUO MARITO ERANO I PRIMI SINTOMI

DI ALZHEIMER. È UNA DELLE STORIE CHE RACCONTIAMO QUI, PER PARLAREDI UNA SINDROME CHE IN ITALIA COLPISCE MEZZO MILIONE DI ANZIANI

E, DI RIFLESSO, LE LORO FAMIGLIE. UN MALE CHE ANCORA MOLTINON SANNO COME AFFRONTARE E CHE TROPPI HANNO VERGOGNA DI AMMETTERE

di Barbarti Rivoli • foto Silvia Morara

UNA NUOVARICERCA

Gìsella, 66 anni, emamma Bruna, 92.Nell'ultimo numerodi Science, uscitouna settimana fa,viene presentatauna ricercasulla individuazionedi una proteina cheblocca la malattia.

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Sono due notti che nondormo: non ne possopiù. Nino è seduto sulbordo del letto, curvo inavanti: di sdraiarsi nonne vuole sapere, figuria-

moci dormire. Mi avvicino, sonoesasperata, grido. Gli urlo: "Mainsomma, che cosa devo fare perfarti dormire? Darti un pugno intesta?". Il pugno me lo da lui, al-l'improvviso, e mi rompe il naso.Grido, sono per terra, sento il san-gue. Nostro figlio arriva di corsadalla camera a fianco, afferra suopadre per il collo e stringe, urla, loscuote. Ho paura che lo ammazzi,e penso che se dovesse succederefinirebbe in prigione per avermidifesa. Invece poi passa, lo lascia

vincia a Nord di Milano dove vi-vevano: lì le rette mensili sarebbe-ro state alla portata delle loro pen-sioni e degli aiuti che i tre figli po-tevano dare loro. Invece Nino èimprovvisamente peggiorato, edè mancato in pochi giorni. Succe-de, con l'Alzheimer.

UN SEGRETO VERGOGNOSO

II decorso di questa malattia puòessere lento e durare molti anni,oppure conoscere rapidi e travol-genti accelerazioni. In entrambi icasi, non lascia scampo. «La sin-drome di Alzheimer (che prende ilnome da Alois Alzheimer, il primoa documentare un caso, nel 1906,ndr) è un morbo democraticosenza una diagnosi di certezza,

ce indica la morte dei neuroni cheprovoca uno sgretolamento pro-gressivo e inarrestabile di tutte lefacoltà cognitive (memoria, lin-guaggio, pensiero, attenzione) edella personalità del malato».Solo in Uè vivono circa 6,4 milio-ni di persone affette da demenza(dati: Dementia in Europe 2006).Nel suo turno di presidenza del-l'Unione europea, il presidenteNicolas Sarkozy ha sottolineatocome la lotta all'Alzheimer (checolpisce circa il 60% di questi ma-lati) sia una priorità per l'Europa:la Francia investirà 1,6 miliardi dieuro in 5 anni per ricerca, cura epotenziamento di una rete di ser-vizi per l'integrazione dei malati.«Un esempio importante per

«GLI RACCONTO CHE È STATO LUI, MIO MARITO DA 50 ANNI,A ROMPERMI IL NASO CON UN PUGNO. MI GUARDA, STUPITO:

IJIO? È IMPOSSIBILE. NON LO FAREI MÀI"»

andare e Nino - spaventato - sicalma. Due giorni dopo mi chie-de che cos'ho fatto al naso. "Sonocaduta", gli rispondo. "Mi spia-ce", dice lui. "Ma, sai, anche a meè successa una cosa terribile: miocognato mi ha picchiato, a mo-menti mi uccide". Provo a spie-gargli che non è stato il cognato,ma suo figlio; provo a raccontar-gli che è stato lui, mio marito daquasi 50 anni, a rompermi il na-so con un pugno. Mi guarda, sin-ceramente stupito: "Io? Impossi-bile. Non lo farei mai"».Irma ha 74 anni, ma ne dimostradieci di meno. Nino ne aveva 75,un bell'uomo con trasparenti oc-chi azzurri. È morto poco dopoche ho intervistato Irma, per que-sto non abbiamo fotografie di lorodue. Lei gli aveva finalmente tro-vato un posto in una casa di ripo-so. Pazienza che fosse nel Pavese,a un'ora di automobile dalla pro-

possibile solo con un'autopsia»,spiega la dottoressa Paola Man-zoni, direttore sanitario di Villadei Cedri a Merate (www.villadei-cedri.net), dove c'è uno dei primiCaffè Alzheimer d'Italia (vedi boxapag. 216). «È però possibile de-lineare un quadro clinico dei sin-tomi, utilizzare alcuni esami stru-mentali a sostegno della diagno-si, come una risonanza magneti-ca che dimostri l'assottigliamentodella corteccia cerebrale, e in fasediagnostica distinguere l'Alzhei-mer dalla depressione, che peral-tro può essere uno dei sintomi ini-ziali della malattia, e da altre for-me di demenza senile (per esem-pio su base vascolare)».Eccola, la parola proibita, il segre-to vergognoso. Demenza. «C'èuna difficoltà collettiva a parla-re di demenza», continua la dot-toressa, «una parola percepita co-me fosse un brutale insulto. Inve-

l'Italia», dice la presidente del-la Fondazione Alzheimer Italia(www.alzheimer.it) Gabriella Sal-vini Porro, «dove si calcola che imalati siano 450-500 mila: il 20%della popolazione sopra i 65 an-ni». È il numero più alto d'Euro-pa. Le stime dicono anche che en-tro il 2050, con l'invecchiamentodella popolazione, queste cifre sa-ranno raddoppiate.Prima di allora, gli scienziati stan-no cercando un modo per fron-teggiare la malattia. Sul numeroappena uscito della rivista Scien-ce è pubblicato uno studio realiz-zato da ricercatori della fondazio-ne Istituto neurologico Carlo Be-sta, diretti da Fabrizio Tagliavi-ni, e dell'Istituto di ricerche far-macologiche Mario Negri, diret-ti da Mario Salmona. Questa ri-cerca ha identificato una proteinache potrebbe bloccare la forma-zione di amiloide, causa della sin-

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«LO GUARDAVO CHE SI VESTIVA E CAPIVO CHE C'ERA QUALCOSADI STRANO. LUI, COSÌ PRECISO, ALLACCIAVA MALE LA CAMICIA

E Si METTEVA IL MAGLIONE AL CONTRARIO»A CASA CONLA FAMIGLIA

Marco conMassimilianoe la nipotino Emma,di 8 mesi. Expugile,ex calciatoreprofessionista,ex mobiliere, Marcovive a Nord di Milanocon la moglieGiuliana, 71 anni.

drome, e quindi il progredire del-la malattia. Nel frattempo, però, imalati aumentano.

DOV'È ANDATO?«Sono sempre di più, eppurespesso i familiari arrivano da noiprivi di qualsiasi informazione,con mille dubbi ma timorosi dichiedere», spiega Paola Manzo-ni. «Sono oppressi dalla vergo-gna e dalla rabbia per i compor-tamenti improvvisamente "stra-ni" del congiunto, non capiscono;sono stremati dalla fatica di gesti-re quotidianamente una personache non riconoscono più perchéla malattia ne ha completamentealterato la personalità, e dal sen-so di colpa perché lo inserisconoin una struttura. Pesa su di loro ilgiudizio della comunità (abban-doni tua madre, tuo padre, un co-niuge), e invece questa scelta an-drebbe sostenuta: si arriva a unpunto in cui un malato di Alzhei-mer non può oggettivamente es-sere più accudito in casa: perchéspesso ha comportamenti aggres-sivi e pericolosi, perché non dor-me più, perché dipende dall'altro24 ore su 24 e anche le più picco-le operazioni quotidiane, come la-

varsi o vestirsi, diventano difficol-tà insormontabili». C'è un mo-mento in cui serve aiuto.L'Alzheimer entra in famiglia contutto il peso di una malattia fero-ce, che lascia intatto il corpo men-tre la mente va alla deriva. Ognistoria è a sé, anche quelle che ab-biamo raccolto, ma qualcosa leaccomuna: quel senso struggen-te di perdita che compare all'im-provviso, quasi a tradimento, nel-le parole di chi racconta. Dietroall'acccttazione faticosa della ma-lattia da parte dei familiari, restalo smarrimento di una personache ne amava un'altra, e si chiede- inutilmente - dove sia ora.

DALLA RABBIA ALLA PAURA«Lo guardavo che si vestiva e capi-vo che c'era qualcosa di strano»,racconta Irma. «Lui così precisosi metteva il maglione al contra-rio, allacciava male la camicia. Imiei figli però mi tranquillizzava-no: gli esami erano negativi. Fi-no a quando - un giorno grigiodi primavera, in cucina - Nino michiese gentilmente se poteva far-mi una domanda: "Ma io sonosposato? E con chi? Dici che hotre figli, ma com'è che non li ho

mai visti?". Prima mi sono arrab-biata, poi mi sono spaventata».Quando arriva la diagnosi, lei nonsi sorprende. E ritorna indietro diqualche anno, a certi comporta-menti strani che aveva imputato aun carattere duro, non sempre fa-cile, e che invece erano le avvisa-glie di qualcos'altro. «Oggi resta-no odio e amore insieme. Ci sonostati giorni buoni: allora riuscivoa fargli quelle carezze che prima,burbero com'era, non voleva. E cisono stati giorni cattivi, quandonon potevo nemmeno a lavarlo.A volte minacciava di picchiarmi,e io non lo sopportavo. Ho avutotanta paura, tanta; adesso invecemi viene il magone. Qualche voltami domandava: "Ma dov'è anda-ta la Irma?". Oramai sapevo cheera la malattia; avevo imparato asorridere, e a rispondergli che eraandata via un attimo, ma tornavapresto».

UN NONNO BAMBINO11 giorno delle foto è stata una fe-sta. Marco, che da giovane è statopugile e calciatore, ha un grandenaso e lo sguardo mite. Massimi-liano, suo figlio, gli mette in brac-cio la piccola Emma, 8 mesi e 8

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«C'ERANO MOLTI SUOI ATTEGGIAMENTI CHE NON ANDAVANO,COME LE PRIME COLAZIONI DOPO IL PISOLINO POMERIDIANO,

MA VOLEVAMO CREDERE FOSSE COLPA DELL'ETÀ»

dentini, e un cellulare-giocatto-lo da contendersi con la nipotina.Lei lo guarda intenta, lui un po'perplesso; ogni tanto la apostrofacon un saggio «Eh!» che sembrachiudere un dialogo intcriore, e leigli tocca il viso.«Quando nel 2005 gli hanno dia-gnosticato l'Alzheimer ero in viag-gio di nozze», racconta Massimi-liano. «Sapevamo che c'era qual-cosa che non andava — pastigliecontro l'ipertensione prese piùvolte, colazioni fatte dopo il piso-lino pomeridiano — ma volevamocredere che fosse l'età. Poi lui nonè mai stato violento; si irritava seveniva contraddetto troppo, matutt'al più è volata qualche cia-batta. Alle visite mediche andavacon mia madre, guidava lui: nonoso pensare ai pericoli che han-no corso. Anche quel giorno era-no loro due; sono bastati un paiodi test perché arrivasse il verdetto.Mia madre è scoppiata a piange-re; lui, per consolarla, l'ha portataa mangiare una pizza: capiva soloche qualcosa non andava».

Di lì iniziano altre visite - «inuti-li e umilianti: in ospedale ti fan-no aspettare anche per ore e in-tanto lui si fa ogni bisogno ad-dosso, mentre nelle visite privategli fanno due test in croce, sem-pre gli stessi: che senso ha?» - ecomportamenti sempre più biz-zarri: si perde, esce in biciclet-ta e non sa tornare, passa la not-te a smontare e rimontare i mobi-li di casa. Non è aggressivo, nonlo è mai stato, ma non puoi maiabbassare la guardia: «Basta po-co perché si spaventi, e allora nonsai come può reagire. Non moltotempo fa aveva Emma in braccio;lei si dimenava, io gli dico: "Pa-pa, adesso dammela", ma lui siirrigidisce, e comincia a stringe-re. Lei piange, penso che con unniente può spezzarle un braccì-no. Gli mordo la mano fino a chelui non la lascia, e mi viene dapiangere».Marco ha sempre adorato i bam-bini; il più grande rimpianto delfiglio è che non riconosca sua ni-pote: «Poi li vedo giocare insie-

me, ed è anche la gioia più gran-de». Damiana, la moglie di Mas-similiano, è cresciuta in casa loro,erano amici di famiglia. Marcoogni tanto la riconosce, ma è con-vinto che sia ancora una bambi-na; e lei, 40 anni e una figlia, sem-bra quella che soffre di più: «Mimanca, soprattutto quando loguardo negli occhi e mi pare di ri-trovarci tutta la sua ironia». Mas-similiano abbraccia suo padre, lobacia forte; lui si schermisce, co-me un bambino.

SOLO UN INVOLUCRO

A vederla, sembra la nonninadi Cappuccetto Rosso: picco-la, dritta, coi capelli candidi fre-schi di piega e gli occhialetti ton-di. Invece, assicura la figlia Gisel-la, questo donnine di 92 anni è dasempre un vero generale. Fino al2002 Bruna vive da sola, poi la fi-glia capisce che fatica a fare tuttoda sé e decide - con il marito - diportarla a vivere con sé. Quattroanni più tardi lui le da Vaut aut. olei o me. «Difficile spiegare come

VIENE A PRENDERE UN CAFFÈ DA NOI?tt I 'Alzheimer café è una via informale per stare\n gli altri, avere un consulto e al tempostesso sentirsi a casa», sintetizza Bere Miesen, lopsichiatra olandese che ha aperto il primo Alzheimercafé a Leida nel 1997. «Il paziente sente che,finalmente, esiste un posto concepito per le sueesigenze. Sia lui che la sua famiglia possono usciredalle mura di casa senza dover più negare o sfuggirela malattia». In Italia i primi Caffè Alzheimer sonoarrivati fra il 2004 e il 2005: prima in qualche città,poi in alcuni piccoli paesi. Come a Seveso, provinciamilanese, dove la onlus Natur& (www.nafureseveso.org) è una «veterana» al suo terzo anno di CaffèAlzheimer. «Il bisogno delle famiglie è evidente»,

spiega la coordinatrice del progetto ChiaraZuanetti. «Lo dimostra la costanza con cui lofrequentano. Qui i familiari si sentono meno soli,trovano una équipe multispecialistica(psicoterapeuta, operatore socio sanitario,arteterapeuta) che li aiuta a risolvere i problemi piùcomuni che l'Alzheimer comporta, e a elaborare letensioni e i dolori più profondi che ha generato.Ritrovano la possibilità di frequentare altre personesenza paura di essere giudicati, mentre i malati sirilassano (riducono, per esempio, il tipico wandering,l'andare qua e là), riescono a sedersi a un tavolo per"fare cose". E ritornano volentieri, come ci raccontanogli stessi parenti: già questo è un risultato».

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«ERA OSSESSIONATA DAL DENARO, ACCUMULAVAMONTAGNE DI FAZZOLETTI, STAVA A TAVOLA SENZA MANGIARE

E CI GUARDAVA CON DISPREZZO»LA STESSAMALATTIA

Ancora Bruna,con la figlia Gisella.

In famiglia, anchepapa Cioncarlo

si è ammalatodiAlzheimer.

La malattìa non èstata diagnosticata

ed è mononel 1990, a 80 anni.

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siamo arrivati lì, perché non ci so-no mai stati scontri eclatanti conlei. È stato piuttosto un accumu-lo di piccole esasperazioni: la suaossessione per il denaro, la maniadi accumulare montagne di fazzo-letti di carta, svuotare e riempirecontinuamente gli armadi, sederea tavola con noi senza mangiare,guardandoci con disprezzo, e do-po qualche ora divorare qualcosadi nascosto, davanti al frigorifero.E poi i problemi in bagno: sporca-va ovunque. Ma pensavo fosseromalesseri passeggeri».La diagnosi arriva solo dopo il ri-covero a Villa dei Cedri: due gior-ni e viene trasferita al reparto pro-tetto per i malati di Alzheimer, eper Gisella - dopo la decisionesofferta di inserirla in una struttu-ra — è il trauma più grande: «Ave-vamo capito ormai da tempo cheera malata, quindi lo shock non èstato la diagnosi. A Villa dei Ce-dri gli anziani hanno una loro vi-ta sociale e libertà di movimento;il momento peggiore è stato sco-prire che questa vita non sareb-be più stata possibile per mia ma-dre». Oggi, dopo 3 anni, è serena,sa che ha preso la decisione mi-gliore: per la madre e per sé.

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«La mia generazione è convintache mettere i genitori in una ca-sa di cura sia una colpa, invecenon è vero: sono seguiti e accudi-ti molto meglio che a casa, dovemancano le competenze e le ca-pacità necessarie, e la fatica alte-ra ogni equilibrio fra le persone».Gisella è tranquilla, ma accettarequesta malattia non le è stato faci-le. Se le domandi che cosa restadi sua madre, ti risponde che nonc'è più nulla, solo un involucroben tenuto. «Solo quello, perchénon c'è più dialogo». E all'im-provviso la sua voce si spezza.

LA GENTE NON VUOLE SAPERE

Le famiglie restano sole: le strut-ture attrezzate, anche quelle diur-ne, sono poche e spesso costanomolto, i medici di base non sem-pre fanno visite a domicilio, nontutti gli ospedali possono ricove-rare questi malati, che vanno co-stantemente controllati e protet-ti come bambini. «La gente nonvuole sapere: per paura, credo,perché sai che potrebbe tocca-re anche a te», dice Massimilia-no. «Ma la cosa più grave è chespesso nemmeno i medici di basesanno granché, né esistono riferi-

menti per le famiglie: che non san-no affrontare, anche negli aspettipratici, questa malattia. Eppure,in qualche modo devi fare». E inqualche modo fai: come e fin do-ve puoi.Chissà in quale universo paral-lelo sono sospesi, i malati di Alz-heimer. Chissà se a volte ricor-dano, e se rimpiangono qualco-sa. Cary Smith Henderson aveva55 anni quando, con una biopsiacerebrale, gli venne diagnosticatocon certezza l'Alzheimer. Sapen-do che cosa lo aspettava decise,tra l'autunno del 1991 e l'estatedel 1992, di tenere un diario (Vi-sione Parziale. Un diario dell'Al-zheimer, pubblicato dall'associa-zione Goffredo de Banfield nel2002) che raccontasse il suo viag-gio nella malattia. Scrive: «Vor-rei che i malati di Alzheimer noncontinuassero a starsene semprein disparte, ma dicessero, acci-denti, anche noi siamo persone.E vogliamo che ci rivolgano la pa-rola e ci rispettino, perdio, comeesseri umani».Anche quando non avremo piùvoce per chiedere. Q

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