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Page 1: NON Sono l’Oasi sant’Eusebio - · PDF fileEVAGRIO PONTICO Evagrio era del Ponto, della città di Ibora, ove nac-que vero il 345. Fu promosso lettore dal grande Basilio di Cesarea

EVAGRIO PONTICO

Evagrio era del Ponto, della città di Ibora, ove nac-que vero il 345. Fu promosso lettore dal grande Basilio di Cesarea e ordinato diacono da Gregorio di Nazianzo, quindi affidato al patriarca di Costantinopoli Nettario. “Era abilissimo a confutare tutte le eresie e si di-stingueva nella grande città per i suoi discorsi pieni di giovanile ardore contro ogni errore”, perciò lo fecero partecipare al II Concilio ecumenico, il Concilio Costanti-nopolitano del 381. Era “bello di aspetto e di buon gusto nel vestire” e correva il rischio di essere trascinato nella vita mondana e nella lussuria. Le fonti raccontano che ebbe un sogno terribile sul giudizio e vide il libro degli Evangeli come fonte della sua liberazione. Su di esso in sogno giurò di allontanarsi dalla città, e “alzatosi rifletté:-Sebbene il giuramento sia avvenuto in sogno, tuttavia ho giurato. Perciò gettate tutte le cose sue su una nave, se ne partì per Gerusalem-me”. Qui giunto “ebbe dei dubbi, cominciò ad esitare”, ma sostenuto quindi dalla beata Melania di Roma, si ritirò in Egitto, nel deserto di Nitria, e s’innamorò di quella vita “alla vista di coloro che là filosofavano”, cioè avevano la vera filosofia, il vero amore della sapienza, la vita cristiana per eccellenza. Dopo due anni s’inoltrò ancor più nel deserto, alle Celle, dove visse per 14 anni in grande austerità, guadagnandosi il cibo come copista di manoscritti, consumando 350 grammi di pane al gior-no e 480 grammi di olio ogni tre mesi. Acquistò presto grande fama come uomo straor-dinariamente dotato a discernere i pensieri: “è dall’esperienza che aveva acquisito questo dono”; “acquistò mediante le opere la filosofia, egli che prima era stato filosofo soltanto nella parola”. Non era solo “filosofo” ma esperto di vita spiritu-ale e teorico ad un grado del tutto eccezionale, insolito per i padri del deserto, così che è stato chiamato il “monaco filosofo per eccellenza”. E’ grandissimo il va-lore della sua dottrina spirituale e del fatto che egli è uno dei pochissimi, per così dire, “intellettuali” del de-serto: ha raccolto e costituito in corpo di dottrina l’insegnamento dei padri del deserto; la sua opera asce-

tica è una vera “summa” in cui si trova condensata una gran parte della loro spiritualità. Egli analizza con gran-de acutezza le passioni e i loro meccanismi, l’azione dei demoni che le muovono, la lotta contro i demoni, la vita di estraneità al mondo e di unione con Dio nella solitu-dine. Il suo influsso su tutta la tradizione ascetica suc-cessiva è decisivo, anche se il suo nome, per ragioni di prudenza, viene nominato molto più di rado di quanto in realtà non ci si rifaccia a lui, consapevolmente o in-consapevolmente. Morì poco dopo la partecipazione all’Eucaristia della festa dell’Epifania del 399; aveva 54 anni. PRIMA CLASSIFICAZIONE DEI VIZI CAPITALI A Evagrio si deve la prima classificazione dei vizi capitali, e dei mezzi per combatterli. In particolare, egli individuò otto “spiriti o pensieri malvagi”: gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e superbia. La tristezza appare come vizio a sé, successiva-mente accorpata come già effetto dell’accidia o dell’invidia, stessa cosa accadde per la Vanagloria accor-pata successivamente, nell’unico vizio della Superbia. Gli altri vizi sono gli stessi giunti a noi (ira, lussu-ria, avarizia, gola), mentre l’invidia venne aggiunta suc-cessivamente. ACCIDIA Evagrio chiama l’accidia il “demone del mezzo-giorno”, perché è la tentazione che assale il monaco a metà della giornata, quando l’entusiasmo viene meno, quando l’ardore si è spento. Questo “mezzogiorno” che è anche il mezzogiorno della vita, quando ad un certo punto, l’entusiasmo viene meno, quando non c’è più la gioia profonda di fare una cosa, la gioia di vivere. Ecco perché Evagrio Pontico dice che questo è un demone pericolosissimo. Noi tante volte traduciamo “accidia” con “pigrizia”. Ma non è la pigrizia, è proprio un disgusto, quando non ti va di fare più niente, quando sei svogliato perché ti è passata proprio la voglia di impegnarti, di andare a fondo alle cose. Evagrio dice: “A volte si ha una paura esagerata degli ostacoli che si possono incontrare […] una negligenza nell’osservare l’ordine, le regole”.

NON Sono l’Oasi ! Il Papa rispondendo in duomo a suor Paola così diceva: “E il sentimento che è sotto qual è? La rassegnazione. Cattivo sentimento. Senza accorgerci, ogni volta che pensiamo o constatiamo che siamo pochi, o in molti casi anziani, che sperimentiamo il peso, la fragilità più che lo splendore, il nostro spirito comincia ad essere corroso dalla rassegnazione. E la rassegnazione conduce poi all’accidia… Mi raccomando, se avete tempo leggete quello che dicono i Padri del deserto sull’accidia: è una cosa che ha tanta attualità, oggi. Credo che qui nasce la prima azione alla quale dobbia-mo fare attenzione: pochi sì, in minoranza sì, anziani sì, rassegnati no! Sono fili molto sottili che si riconoscono solo davanti al Signore esaminando la nostra interiorità.”. E allora!!

Comunità pastorale sant’Eusebio

Anno I - aprile 2017 n. 6

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Evagrio parla dell’incapacità di resistere alle tentazio-ni; la perdita di tempo prezioso oppure la libertà che viene concessa ai sensi, alla curiosità, al piacere di di-vertirsi, di usare tutto. Un’altra immagine del pigro a livello accidioso, è quella di colui che nasconde i talenti sotto terra, o la persona non troppo buona né troppo cattiva alla qua-le si applicano le parole tremende dell’Apocalisse: “Conosco le tue opere, non sei né freddo né caldo, ma-gari tu fossi freddo o caldo, ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca”. Evagrio pone un criterio di discernimento che è l’intenzione, dice: “Invoca il Signore nella notte con lacrime e nessuno si accorga che stai pregando, e tro-verai grazia” Qui il richiamo alle lacrime è fondamentale per-ché le lacrime sono l’espressione di un passaggio da una tristezza negativa ad una tristezza secondo Dio. Le lacrime segnano questo passaggio da una tristezza senza Dio a una tristezza secondo Dio. E’ la famosa contrizione del cuore, che è un’esperienza spirituale fortissima, perché le lacrime ci fanno prendere co-scienza delle nostre ferite più intime. La contrizione del cuore, la tristezza secondo Dio: il frutto delle lacrime nasce proprio dall’esperienza della misericordia che faccio su di me.

L’acedia da Evagrio L’acedia è una debolezza dell’anima che insorge quando non si vive secondo natura né si fronteggia nobilmente la tentazione. Infatti la tentazione è per un’anima nobile ciò che è il cibo per un corpo vigoro-so. Il vento del nord nutre i germogli e le tentazioni consolidano la fermezza dell’anima. La nube povera d’acqua è allontanata dal vento come la mente che non ha perseveranza dallo spirito dell’acedia. La rugia-da primaverile accresce il frutto del campo e la parola spirituale esalta la fermezza dell’anima. Il flusso dell’acedia caccia il monaco dalla pro-pria dimora, mentre colui che è perseverante se ne sta sempre tranquillo. L’acedioso adduce quale pretesto la visita degli ammalati, cosa che garantisce il proprio scopo. Il monaco acedioso è rapido a svolgere il suo ufficio e considera un precetto la propria soddisfazio-ne; la pianta debole è piegata da una lieve brezza e immaginare la partenza distrae l’acedioso. Un albero ben piantato non è scosso dalla violenza dei venti e l’acedia non piega l’anima ben puntellata. Il monaco girovago, secco fuscello della solitudi-ne, sta poco tranquillo e, senza volerlo, è sospinto qua e là di volta in volta. Un albero trapiantato non fruttifi-ca e il monaco vagabondo non dà frutti di virtù. L’ammalato non è soddisfatto da un solo cibo e il mo-naco acedioso non lo è da una sola occupazione. Non basta una sola femmina a soddisfare il voluttuoso e non è abbastanza una sola cella per l’acedioso.

L’occhio dell’acedioso fissa le finestre continua-mente e la sua mente immagina che arrivino visite: la porta cigola e quello balza fuori, ode una voce e si sporge dalla finestra e non se ne va da lì finché, sedut-tori, non si intorpidisce. Quando legge, l’acedioso sbadiglia molto, si la-scia andare facilmente al sonno, si stropiccia gli occhi, si stiracchia e, distogliendo lo sguardo dal libro, fissa la parete e, di nuovo, rimessosi a leggere un po’, ripeten-do la fine delle parole, si affatica inutilmente, conta i fogli, calcola i quaternioni, disprezza le lettere e gli ornamenti e infine, piegato il libro, lo pone sotto la testa e cade in un sonno non molto profondo, e infat-ti, di lì a poco, la fame gli risveglia l’anima con le sue preoccupazioni. Il monaco acedioso è pigro alla preghiera e di certo non pronuncerà mai le parole dell’orazione; co-me infatti l’ammalato non riesce a sollevare un peso eccessivo così anche l’acedioso di sicuro non si occu-perà con diligenza dei doveri verso Dio: all’uno infatti difetta la forza fisica, all’altro viene meno il vigore dell’anima. La pazienza, il far tutto con molta assiduità e il timor di Dio curano l’acedia. Disponi per te stesso una giusta misura in ogni attività e non desistere pri-ma di averla conclusa, e prega assennatamente e con forza e lo spirito dell’acedia fuggirà da te.

IL PAPA: ANDATE IN GALILEA”

Passo a un’ultima cosa. Non oserei dirvi a quali perife-rie esistenziali deve dirigersi la missione, perché normalmen-te lo Spirito ha ispirato i carismi per le periferie, per andare nei luoghi, negli angoli solitamente abbandonati. Non credo che il Papa possa dirvi: occupatevi di questa o di quella. Ciò che il Papa può dirvi è questo: siete poche, siete pochi, siete quelli che siete, andate nelle periferie, andate ai confini a incontrarvi col Signore, a rinnovare la missione delle origini, alla Galilea del primo incontro, tornare alla Galilea del primo incontro! E questo farà bene a tutti noi, ci farà crescere, ci farà moltitudine. Mi viene alla mente adesso la confusione che avrà avuto il nostro Padre Abramo: gli hanno fatto guardare il cielo: “Conta le stelle!” - ma non poteva -, così sarà la tua discendenza”. E poi: “Il tuo unico figlio” - l’unico, l’altro se n’era andato già, ma questo aveva la promessa – “fallo salire sul monte e offrimelo in sacrificio”. Da quella moltitudine di stelle, a sacrificare il proprio figlio: la logica di Dio non si ca-pisce. Soltanto, si obbedisce. E questa è la strada su cui do-vete andare. Scegliete le periferie, risvegliate processi, accendete la speranza spenta e fiaccata da una società che è diventata insensibile al dolore degli altri. Nella nostra fragilità come congregazioni possiamo farci più attenti a tante fragilità che ci circondano e trasformarle in spazio di benedizione. Sarà il momento che il Signore vi dirà: “Fermati, c’è un capretto, lì. Non sacrificare il tuo unico figlio”. Andate e portate l’“unzione” di Cristo, andate. Non vi sto cacciando via! Sol-tanto dico: andate a portare la missione di Cristo, il vostro carisma. Non sopravvivere, vivere!