NON SOLO BASKET I canestri di Jabbar suonano jazz per le ......Abdul-Jabbar è il narratore ideale...

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SABATO 20 OTTOBRE 2018 LA STAMPA VII tuttolibri Kareem Abdul-Jabbar (con Raymond Obstfeld) «Sulle spalle dei giganti» (trad. di Alessandra Maestrini) ADD Editore pp. 352, € 19 L a storia di Harlem rimbalza. Non è line- are, non è un’evolu- zione. Harlem è pri- ma un’occupazione e poi un risveglio, un movimento cul- turale nascosto in una rivolta. È boxe, veloce e potente, è im- prevedibile basket e Karim Abdul-Jabbar è il narratore ideale per un quartiere che si nutre di ritmo. Sulle spalle dei giganti offre mille passaggi, mille spunti, le emozioni e i ricordi vanno cercati, quasi scoperti, tra le lunghe liste di libri e musicisti con cui è cresciuto Jabbar. Lui e la sua generazione che ora cerca di tramandare un po’ di quell’aria satura di cambia- mento e possibilità, «di istiga- re i giovani a scaricare i classi- ci del jazz». Jabbar dà un appuntamen- to preciso: «Andate all’incro- cio tra Malcom X e il Martin Luther King jr boulevard che prendono il nome da due uo- mini con metodi diversi e una visione condivisa, vi troverete al crocevia tra la storia degli afroamericani e il loro futu- ro». Ci si muove da lì e si va avanti e indietro di continuo, a ritroso fino all’inizio del se- colo scorso, agli albori della Harlem Rennaisance con la voce di Bessie Smith e l’urgen- za di Zora Neale Hurston, la più citata da Jabbar. Semina massime della scrittrice, nera, ovvio, ma soprattutto donna e quindi costretta a faticare due volte per farsi sentire. Jabbar la segue: «afferra la scopa della rabbia e caccia via la bestia della paura». Un otti- mo consiglio quasi impossibi- le da seguire soprattutto da chi si autodefinisce «femmina negra, il mulo del mondo per quel che ho visto». E per quel che ha vissuto. Hurston trova la popolarità nel 1937 quan- do scrive Con gli occhi rivolti al cielo», libro in cui parla più della questione di genere che della razza. Libro con cui al- l’epoca infastidisce tutti. Per Jabbar è una rivelazio- ne: lui va in cerca di eredità, da cogliere e da lasciare, e in lei trova una traccia indelebi- le. Viene arrestata poco dopo il successo con l’accusa di mo- lestia su un minore, un bam- bino di 10 anni. Estranea al fatto, è subito rilasciata, con la reputazione compromessa e il cuore pesante che infatti non reggerà. Muore sola, ma negli Anni Settanta diventa autrice di culto per i giovani neri e nel 2005 risorge in un filmprodotto da Oprah Win- frey e interpretato da Halle Berry. Jabbar ne parla per ca- pitoli e non è subito chiaro il perché, solo dopo molti rim- balzi spiega che proprio sulle tracce di certi modelli ha de- ciso di cambiarsi il nome. O meglio di scegliersene uno. Da Lew Alcindor a Kareem Abdul Jabbar, dio della palla- canestro, talento strappato al baseball e mancato professo- re di storia. Alcindor, futuro Jabbar, aveva altri sogni da bambino, ma un film gli cambia la vita, anzi una scena di Go man go, con Sidney Poitier. Siamo nel 1954 e si parla degli Harlem Globetrotters, Marques Hay- nes, uno dei migliori palleg- giatori di sempre, viene ripre- so mentre in uno strettissimo corridoio supera un gigante senza perdere il contatto con la palla: «volevo la sua ele- ganza, la sua agilità». Solo in quel momento sa a che gioco deve giocare, anche se Har- lem non gli è ancora entrata nelle vene. Succederà quan- do Jack Donahue, coach alla Memorial Academy (scuola cattolica a maggioranza bian- ca) lo chiamerà «nigger». Jabbar non lo perdonerà mai e non si sentirà più a casa in quella squadra: avrà bisogno di tornare ad Harlem per ri- trovarsi. I genitori si erano trasferiti ma lui riprende a bazzicare il distretto dove è nato nel 1947 «quando Har- lem non era più la mecca del nuovo negro». L’adolescente Jabbar impa- ra tutto da capo e trova il suo- no di casa, il jazz del padre di- plomato alla Juilliard: «sta ancora attraversando a passo di carica la giungla. Miles Da- vis mi ha insegnato a essere disinvolto, Thelonius Monk mi ha permesso di trasferire l’esuberanza sul campo». Pro- prio davanti a Miles Davis, tra la 135esima strada e la setti- ma avenue, Jabbar scopre di essere famoso. Davis lo rico- nosce, gli fa i complimenti per «la dedizione, dote che avevo imparato da lui». Indietro veloce: Jabbar, che ancora non si chiama co- sì, ha 9 anni, è al cinema a ve- dere Alta società con Bing Crosby, Frank Sinatra e so- prattutto Louis Armstrong. Prima del basket c’è lo sparti- to. Si tratta sempre di tempo: quello inventato da Art Blakey con la batteria hip hop, quello dettato da Lang- ston Hughes con il personag- gio B. Semple, detto Simple, che dà opinioni dirette su questioni razziali. Jabbar ne ricorda il funerale, «la cele- brazione della Harlem Re- naissance, la cultura senza cui non avrei mai giocato a basket». Un’ode a Harlem, un pezzo di New York diventato nero per dispetto in una di- sputa immobiliare che il ce- stista evoca con filologica iro- nia in lunghi giri di parole e atti, finte continue e scatti im- provvisi fino alle dichiarazio- ni d’amore. Le dediche a chi gli ha dato modo di essere Ka- reem Abdul Jabbar. Gente che merita diversi grazie. — c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI GIULIA ZONCA NON SOLO BASKET I canestri di Jabbar suonano jazz per le strade di Harlem Il grande cestista ripercorre la sua vita e la storia del quartiere dove è cresciuto Da colonia olandese di New York a centro di riscossa degli afroamericani Un giovanissimo Lew Alcindor (Kareem Abdul Jabbar) nel febbraio 1965 durante una partita di basket al college ARCHIVIO AP che si fanno ombra col loro unico piede), è forse il Libro dei mostri (Liber Monstrorum) at- tribuito ad Aldelmo di Malme- sbury (640-709). È qui che tro- viamo per la prima volta l’im- magine delle Sirene come cre- ature femminili con la coda di pesce (nell’antica Grecia erano invece donne con le zampe d’uccello). I Bestiari attingono alle fantasie pagane creando un nuovo immaginario che ispira le immagini delle catte- drali romaniche e alimenta le credenze popolari (come quel- la che l’elefante abbia paura dei topolini). Il loro fascino, in fondo, non si è mai offuscato, come testimoniano il Bestiario poetico di Guillaume Apollinai- re o il Manuale di zoologia fan- tastica di Jorge Luis Borges. Anche se, come scriveva già Al- delmo di Malmesbury, l’uni- corno e le sirene non si incon- trano più così facilmente: «Ora che gli uomini, enormemente moltiplicatisi, hanno popolato il mondo intero, è assai dimi- nuito il numero dei mostri che nascono sotto il sole. Essi sono stati definitivamente sradicati da ogni nascondiglio in tutto il pianeta e sconfitti: ormai strappati via dalle spiagge s’ag- grovigliano, prostrati, nello spumeggiare delle onde e nelle aspre estremità polari». — c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Un pezzo di città diventato nero per dispetto in una disputa immobiliare Ex stella del basket Usa e ora allenatore Kareem Abdul-Jabbar, nato Ferdinand Lewis Alcindor jr, (New York, 1947), è diventato una delle voci più autorevoli sui temi dell’integrazione e delle lotte per la libertà dei neri Usa. Ha scritto saggi e due romanzi sul fratello di Sherlock Holmes

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SABATO 20 OTTOBRE 2018 LA STAMPA VIItuttolibri

Kareem Abdul-Jabbar(con Raymond Obstfeld)«Sulle spalle dei giganti»(trad. di Alessandra Maestrini)ADD Editorepp. 352, € 19

L a storia di Harlemrimbalza. Non è line-are, non è un’evolu-zione. Harlem è pri-

ma un’occupazione e poi un risveglio, un movimento cul-turale nascosto in una rivolta.È boxe, veloce e potente, è im-prevedibile basket e KarimAbdul-Jabbar è il narratore ideale per un quartiere che sinutre di ritmo.

Sulle spalle dei giganti offremille passaggi, mille spunti,le emozioni e i ricordi vannocercati, quasi scoperti, tra lelunghe liste di libri e musicisticon cui è cresciuto Jabbar. Luie la sua generazione che oracerca di tramandare un po’ diquell’aria satura di cambia-mento e possibilità, «di istiga-re i giovani a scaricare i classi-ci del jazz».

Jabbar dà un appuntamen-to preciso: «Andate all’incro-cio tra Malcom X e il Martin Luther King jr boulevard cheprendono il nome da due uo-mini con metodi diversi e unavisione condivisa, vi trovereteal crocevia tra la storia degli afroamericani e il loro futu-ro». Ci si muove da lì e si va avanti e indietro di continuo,a ritroso fino all’inizio del se-colo scorso, agli albori della

Harlem Rennaisance con lavoce di Bessie Smith e l’urgen-za di Zora Neale Hurston, la più citata da Jabbar. Seminamassime della scrittrice, nera,ovvio, ma soprattutto donnae quindi costretta a faticaredue volte per farsi sentire.Jabbar la segue: «afferra la scopa della rabbia e caccia viala bestia della paura». Un otti-mo consiglio quasi impossibi-le da seguire soprattutto da chi si autodefinisce «femminanegra, il mulo del mondo perquel che ho visto». E per quelche ha vissuto. Hurston trovala popolarità nel 1937 quan-do scrive Con gli occhi rivolti alcielo», libro in cui parla più della questione di genere chedella razza. Libro con cui al-l’epoca infastidisce tutti.

Per Jabbar è una rivelazio-ne: lui va in cerca di eredità,da cogliere e da lasciare, e inlei trova una traccia indelebi-le. Viene arrestata poco dopoil successo con l’accusa di mo-lestia su un minore, un bam-bino di 10 anni. Estranea al fatto, è subito rilasciata, conla reputazione compromessae il cuore pesante che infatti non reggerà. Muore sola, manegli Anni Settanta diventa autrice di culto per i giovani neri e nel 2005 risorge in unfilmprodotto da Oprah Win-

frey e interpretato da Halle Berry. Jabbar ne parla per ca-pitoli e non è subito chiaro ilperché, solo dopo molti rim-balzi spiega che proprio sulletracce di certi modelli ha de-ciso di cambiarsi il nome. Omeglio di scegliersene uno. Da Lew Alcindor a KareemAbdul Jabbar, dio della palla-

canestro, talento strappato albaseball e mancato professo-re di storia.

Alcindor, futuro Jabbar,aveva altri sogni da bambino,ma un film gli cambia la vita,anzi una scena di Go man go,con Sidney Poitier. Siamo nel1954 e si parla degli HarlemGlobetrotters, Marques Hay-nes, uno dei migliori palleg-giatori di sempre, viene ripre-so mentre in uno strettissimo

corridoio supera un gigantesenza perdere il contatto conla palla: «volevo la sua ele-ganza, la sua agilità». Solo inquel momento sa a che giocodeve giocare, anche se Har-lem non gli è ancora entratanelle vene. Succederà quan-do Jack Donahue, coach allaMemorial Academy (scuola cattolica a maggioranza bian-ca) lo chiamerà «nigger». Jabbar non lo perdonerà maie non si sentirà più a casa inquella squadra: avrà bisognodi tornare ad Harlem per ri-trovarsi. I genitori si eranotrasferiti ma lui riprende a bazzicare il distretto dove è nato nel 1947 «quando Har-lem non era più la mecca delnuovo negro».

L’adolescente Jabbar impa-ra tutto da capo e trova il suo-no di casa, il jazz del padre di-plomato alla Juilliard: «sta ancora attraversando a passodi carica la giungla. Miles Da-vis mi ha insegnato a essere disinvolto, Thelonius Monk mi ha permesso di trasferire l’esuberanza sul campo». Pro-

prio davanti a Miles Davis, trala 135esima strada e la setti-ma avenue, Jabbar scopre diessere famoso. Davis lo rico-nosce, gli fa i complimenti per«la dedizione, dote che avevoimparato da lui».

Indietro veloce: Jabbar,che ancora non si chiama co-sì, ha 9 anni, è al cinema a ve-dere Alta società con Bing Crosby, Frank Sinatra e so-prattutto Louis Armstrong.Prima del basket c’è lo sparti-to. Si tratta sempre di tempo:quello inventato da ArtBlakey con la batteria hip hop, quello dettato da Lang-ston Hughes con il personag-gio B. Semple, detto Simple,che dà opinioni dirette su questioni razziali. Jabbar nericorda il funerale, «la cele-brazione della Harlem Re-naissance, la cultura senzacui non avrei mai giocato abasket». Un’ode a Harlem, unpezzo di New York diventatonero per dispetto in una di-sputa immobiliare che il ce-stista evoca con filologica iro-nia in lunghi giri di parole e atti, finte continue e scatti im-provvisi fino alle dichiarazio-ni d’amore. Le dediche a chigli ha dato modo di essere Ka-reem Abdul Jabbar. Genteche merita diversi grazie. —

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GIULIA ZONCA

N O N S O L O B A S K E T

I canestri di Jabbar suonano jazzper le strade di Harlem Il grande cestista ripercorre la sua vita e la storia del quartiere dove è cresciuto Da colonia olandese di New York a centro di riscossa degli afroamericani

Un giovanissimo Lew Alcindor (Kareem Abdul Jabbar) nel febbraio 1965 durante una partita di basket al college ARCHIVIO AP

che si fanno ombra col lorounico piede), è forse il Libro deimostri (Liber Monstrorum) at-tribuito ad Aldelmo di Malme-sbury (640-709). È qui che tro-viamo per la prima volta l’im-magine delle Sirene come cre-ature femminili con la coda dipesce (nell’antica Grecia eranoinvece donne con le zampe d’uccello). I Bestiari attingonoalle fantasie pagane creando un nuovo immaginario cheispira le immagini delle catte-drali romaniche e alimenta lecredenze popolari (come quel-la che l’elefante abbia pauradei topolini). Il loro fascino, infondo, non si è mai offuscato,come testimoniano il Bestiariopoetico di Guillaume Apollinai-re o il Manuale di zoologia fan-tastica di Jorge Luis Borges. Anche se, come scriveva già Al-delmo di Malmesbury, l’uni-corno e le sirene non si incon-trano più così facilmente: «Orache gli uomini, enormementemoltiplicatisi, hanno popolatoil mondo intero, è assai dimi-nuito il numero dei mostri chenascono sotto il sole. Essi sonostati definitivamente sradicatida ogni nascondiglio in tutto ilpianeta e sconfitti: ormaistrappati via dalle spiagge s’ag-grovigliano, prostrati, nello spumeggiare delle onde e nelleaspre estremità polari». —

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Un pezzo di città diventato nero

per dispetto in una disputa immobiliare

Ex stella del basket Usa e ora allenatoreKareem Abdul-Jabbar, nato Ferdinand Lewis Alcindor jr, (New York, 1947), è diventato una delle voci più autorevoli sui temi

dell’integrazione e delle lotte per la libertà dei neri Usa.Ha scritto saggi e due romanzi sul fratello di Sherlock Holmes