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MENSILE SPED. ABB. POST. 45% D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1, COMMA 1 DCB - ROMA. In caso di mancato recapito rinviare a Ufficio Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito. ISSN 0390-4539 Così don Luigi Giussani a Giovanni Paolo II agli inizi degli anni Novanta www.30Giorni.it MENSILE SPED. ABB. POST. 45% D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1, COMMA 1 DCB - ROMA. In caso di mancato recapito rinviare a Ufficio Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito. ISSN 0390-4539 «Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo per la fede cristiana» Carl Gustav Jung Georg Wilhelm Friedrich Hegel Johann Wolfgang von Goethe ANNO XXIX N.4/5 - 2011 - 5 In allegato I CANTI DELLA TRADIZIONE nella Chiesa e nel mondo Diretto da Giulio Andreotti

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Così don Luigi Giussani a Giovanni Paolo II

agli inizi degli anni Novanta

www.30Giorni.itMENSILE SPED. ABB. POST. 45% D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1, COMMA 1 DCB - ROMA.In caso di mancato recapito rinviare a Ufficio Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito. ISSN 0390-4539

«Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo

è il pericolo per la fede cristiana»

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ANNO XXIX N.4/5 - 2011 - €5

In allegato I CANTI DELLA TRADIZIONE

nella Chiesa e nel mondo Diretto da Giulio Andreotti

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In copertina: «Non lʼagnosticismo, ma lognosticismo è il pericolo per la fede cristiana».Così don Luigi Giussani a Giovanni Paolo II agli inizi degli anni Novanta

EDITORIALE

Giovanni Paolo II beato— di Giulio Andreotti 4

IN QUESTO NUMERO

VITA CONSACRATA

Le pretese degli uomini e la pazienza di Diointervista con João Braz de Aviz — di G. Valente 26

Una proroga ad personam — di G. Valente 29

MEDIO ORIENTE

Un messaggio di convivenza dal Libanointervista con Béchara Raï — di D. Malacaria 34

PASQUA 2011

La risurrezione di Cristo è un avvenimentomessaggio Urbi et orbi di papa Benedetto XVI 50

COLLEGI ECCLESIASTICI DI ROMA

Un ponte tra Oriente e Occidente— di P. Baglioni 56

Fucina di patriarchi, di orientalisti e di futuri santi— di P. Baglioni 57

L’arcipelago maronita— di P. Baglioni 64

CINEMA

Se anche Nanni vuole bene al papa— di P. Mattei 72

NOVA ET VETERA

Introduzione — di L. Cappelletti 78

Il patto con il Serpente — di M. Borghesi 80

LIBRI

Il beato Karol Wojtyla, dall’emozione alla storia— di R. Rotondo 90

SCIENZA

Ricerca o decadenza— di Giorgio Salvini 94

RUBRICHE

LETTERE DAI MONASTERI 8

LETTURA SPIRITUALE 12

LETTERE DALLE MISSIONI 22

LETTERE DAI SEMINARI 24

30GIORNI IN BREVE 42

330GIORNI N.4/5 - 2011

MedioOrienteUn messaggio di convivenza dal Libano.

Intervista con sua beatitudine Béchara Raïnuovo patriarca di Antiochia dei Maroniti

N. 4 / 5 ANNO 2011an

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IXSommario

DIREZIONE E REDAZIONEVia Vincenzo Manzini, 45 00173 Roma - ItaliaTel. +39 06 72.64.041 Fax +39 06 72.63.33.95Internet:www.30giorni.it E-mail: [email protected]

Vicedirettori Roberto Rotondo - [email protected] Cubeddu - [email protected]

RedazioneAlessandra Francioni - [email protected] Malacaria - [email protected] Mattei - [email protected] Quattrucci - [email protected] Valente - [email protected]

GraficaMarco Pigliapoco - [email protected] Scicolone - [email protected] Viola - [email protected]

Ricerca iconograficaPaolo Galosi - [email protected]

CollaboratoriPierluca Azzaro, Françoise-Marie Babinet, Pina Baglioni, Marie-Ange Beaugrand, Maurizio Benzi,Lorenzo Bianchi, Lorenzo Biondi, Massimo Borghesi, Lucio Brunelli, Rodolfo Caporale, Lorenzo Cappelletti, Gianni Cardinale, Stefania Falasca, Giuseppe Frangi, Silvia Kritzenberger, Walter Montini, Jane Nogara, Stefano M. Paci, Felix Palacios, Tommaso Ricci, Giovanni Ricciardi

Ha inoltre collaborato a questo numero: Giorgio Salvini

Segreteria [email protected]

Ufficio legaleDavide Ramazzotti - [email protected]

3OGIORNInella Chiesa e nel mondoè una pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Roma in data 11/11/93, n. 501.La testata beneficia di contributi statali diretti di cui legge 7 agosto 1990, n. 250

Società editriceTrenta Giorni soc. coop. a r. l. Sede legale: Via Vincenzo Manzini, 45 00173 Roma

Consiglio di amministrazioneGiampaolo Frezza (presidente) Massimo Quattrucci, (vice presidente)Giovanni Cubeddu, Paolo Mattei, Roberto Rotondo, Michele Sancioni, Gianni Valente

Direttore responsabileRoberto Rotondo

StampaArti Grafiche La Moderna Via di Tor Cervara, 171 - Roma

Distribuzione in libreriaMessaggero distribuzione srlPadova tel. 0498930922Milano tel. 027490679Roma tel. 0666166173

UFFICIO ABBONAMENTI E DIFFUSIONEVia V. Manzini, 45 00173 RomaTel. +39 06 72.64.041 Fax +39 06 72.63.33.95E-mail: [email protected] lunedì al venerdì dalle ore 9,00 alle ore 18,00e-mail: [email protected]

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Questo numero è stato chiusoin redazione il 31 maggio 2011Finito di stampare nel mese di giugno 2011

3OGIORNInella Chiesa e nel mondo

Direttore Giulio Andreotti

CREDITI FOTOGRAFICI: Paolo Galosi: pp.4,8,9,10,11,18,19,20,21,24,56,57,58,59,60,62,63,64,65,66,67,68;Associated Press/LaPresse: pp.5,24,29,38,39,40,42,43,45,95; Per gentile concessione di monsignor Samir Nassar: pp.22-23; Romano Siciliani: pp.25,27,46; Per gentile concessione di padre Sergio Durigon:p.26; STR New/Reuters/Contrasto: p.34; Epa/Ansa: p.34-35; Osservatore Romano: pp.35,51,58,61;Patriarcato Maronita: p.36; Epa/Corbis: p.37; Afp/Getty Images: p.38; Per gentile concessione dellʼUfficiostampa della Presidenza della Repubblica italiana: pp.43,44; LaPresse: p.44; Per gentile concessionedellʼUfficio Patrimonio IPAB, Vicenza: p.54; Per gentile concessione dellʼUfficio stampa della Curia deiGesuiti: p.59; Archivio del Pontificio Collegio Maronita: pp.61,62,63: Per gentile concessione dellʼOrdineAntoniano Marianita di SantʼIsaia: p. 69; Per gentile concessione dellʼUfficio stampa Fandango: pp.72-76;Cristian Gennari/Romano Siciliani: pp.90-91; Vittoriano Rastelli per gentile concessione della ZètemaProgetto Cultura: p.92; Archivio fotografico Cern: p.94; Infn Photo 2002: p.96.

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Così don Luigi Giussani a Giovanni Paolo II

agli inizi degli anni Novanta

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«Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo

è il pericolo per la fede cristiana»

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In allegato I CANTI DELLA TRADIZIONE

nella Chiesa e nel mondo Diretto da Giulio Andreotti

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4 30GIORNI N.4/5 - 2011

Della grande folla di fedeli – romani e non ro-mani – che il giorno della beatificazione diGiovanni Paolo II gremiva piazza San Pietro ele vie che vi conducono ci resta il sentimento,la venerazione, la gioia di tutta quella gente.Ed è un ricordo che non dobbiamo lasciarspegnere in noi. Ma anche ascoltare la rituale

proclamazione dalla voce di colui che Giovan-ni Paolo II dichiarò “suo fidato amico” è statoparticolarmente toccante, perché mi sonotornate alla mente le parole di Paolo VI quan-do disse che il segreto per essere un buon Pa-store è la novità nella continuità. E la primacaratteristica comune a Giovanni Paolo II e a

di Giulio Andreotti

Giovanni Paolo II beato

Editoriale

La folla in piazza San Pietro durante la cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, il 1°maggio 2011

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530GIORNI N.4/5 - 2011

Benedetto XVI (ma non sempre a tutti i papi)è la loro facilità nell’arrivare al cuore dellagente con discorsi immediati e semplici, tantoda essere comprensibili al popolino come agliintellettuali.

Ho ricordi eccezionali di Giovanni Paolo II emi è capitato in passato di parlarne in conve-gni e interviste, ma stavolta voglio serbarli nelcuore, perché nell’occasione della sua beatifi-cazione si rischia di fare l’apologia di sé stessi enon del beato Wojtyla e questo sarebbe grave.

Il 1° maggio 2011 ci ha anche ricollegatoidealmente al giorno del funerale di papaWojtyla, l’8 aprile del 2005: l’agonia era statavissuta da tutto il mondo con una partecipazio-ne straordinaria e si levò dalla folla, in partico-lare dai giovani, il grido di “santo subito”, chenei giorni scorsi della beatificazione è risuona-to di nuovo molto forte.

La Chiesa ha i suoi tempi ed è assoluta-mente autonoma, le procedure della Congre-gazione sono molto rigorose e se si creanopressioni mediatiche si finisce per sortire l’ef-fetto opposto, però vi è un capitolo specificoche mi sembra importante: l’accertamento sela santità sia avvertita dai fedeli. E questo è in-dubbio, tanto che molti fedeli pregano datempo Giovanni Paolo II non meno che sefosse già santo. L’importante è la sostanza; sein una figura di cristiano si riconosce la santitàe lo si prega, la carta bollata avrà poi tutto iltempo di arrivare. Appartengo a una vecchiascuola di cattolici che insegna che si deve vo-ler bene al papa e non a un papa. Ma non cre-do di uscire da questa linea se mi associo aquanti auspicano una conclusione rapida del-l’iter verso gli altari che segue alla beatifica-zione, come fu per Madre Teresa e Padre Pio,per me le due canonizzazioni più toccanti delpontificato di Giovanni Paolo II. q

Giovanni Paolo II durante la cerimonia di canonizzazione di Padre Pio, il 16 giugno 2002

Appartengo a una vecchiascuola di cattolici che insegnache si deve voler bene al papae non a un papa. Ma non credo di uscire da questa linea se mi associo a quanti auspicano una conclusionerapida dell’iter verso gli altariche segue alla beatificazione, come fu per Madre Teresa e Padre Pio, per me le due canonizzazioni più toccanti del pontificato di Giovanni Paolo II

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ADORATRICI PERPETUE DEL SANTISSIMO SACRAMENTO

DEL MONASTERO DE LA ASUNCIÓN DE MARÍA

Rosarito, Baja California, Messico

Ci piacerebbericevere Quien reza se salva

Rosarito, 24 febbraio 2011

Stimato signor Andreotti, sia lodato il Santissimo Sa-cramento!Riceva la nostra gratitudi-ne per la sua grande caritànell’inviarci la bella rivista30Días, che nutre grande-mente la nostra vita spiri-tuale perché ci informa e cifa sentire la Chiesa unita.La leggiamo con grandeinteresse e amore. Ci piacerebbe tanto ricevere qual-che copia di quel libretto così utile, Quien reza se sal-va, per darlo ad alcune persone molto bisognose.

Che la nostra Madre Santissima di Guadalupe laporti sempre nel suo grembo come figlio prediletto ecolmi di grazie e benedizioni tutta la sua famiglia e isuoi collaboratori.

Riceva un affettuoso saluto dalla nostra reverendamadre superiora e dalla comunità.

suor Rosa María Amezcua, oap

Rosarito, 27 aprile 2011

Stimato signor Andreotti,sia lodato il Santissimo Sacramento!Nella pienezza della gioia pasquale, auguriamo a lei e al-la sua illustre famiglia una felice Pasqua di Risurrezione.

Mille grazie, signor Andreotti, per averci inviato ilibretti Quien reza se salva. La nostra reverenda ma-dre superiora e la comunità la ringraziano per la suagrande bontà e generosità. Siamo certe che questi li-bretti faranno un gran bene ai nostri fratelli più biso-gnosi di istruzione.

I libretti sono arrivati alla porta del nostro monaste-ro dall’Italia! Che meraviglia! Non è facile, perché sia-

8 30GIORNI N.4/5 - 2011

Nelle strette strade del centro di Roma, cam-minando per gli antichi borghi una volta po-polari, in ogni via, in ogni piazza, quasi inogni angolo sono presenti edicole sacrespesso circondate da baldacchini e da lumi.Sono quelle che i romani chiamano “le Ma-donelle”.

Le edicole mariane di Roma

Madonna col Bambino, affresco del 1756,

piazza dell’Orologio, angolo via del Governo Vecchio,

rione Parione

Lettere dai monasteri Lettere dai monasteri

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mo su un piccolo colle circondato da precipizi, ma go-diamo di una bella vista del cielo e del mare e di tantiuccelli canterini che ci invitano a lodare il nostro Diosacramentato.

Che piacere è stato per noi, guardando il video del-la celebrazione, constatare che ha assistito alla beatifi-cazione della nostra madre fondatrice María Magdale-na de la Encarnación, avvenuta a San Giovanni in La-terano il 3 maggio 2008. Grazie per la sua presenza.

La ricordiamo sempre grate e in unione di preghie-ra. Dio continui a benedirla e a darle forza in tutti i suoiapostolati.

suor Rosa María Amezcua, oap

P.S. Scusi il ritardo, dovuto alla Santa Quaresima.

CLARISSE DEL MONASTERO DI NOSTRA SIGNORA

DELLA MERCEDE

São Miguel, Isole Azzorre, Portogallo

Venti copie di Quem reza se salva

São Miguel, 21 marzo 2011

Carissimo signor Andreotti,nella presenza consolatrice dello Spirito Santo, lasalutiamo cordialmente, augurandole ogni bene nelSignore.

Molto riconoscenti, desideriamo ringraziarla perl’invio della sua eccezionale rivista 30Dias.

Infatti, è una rivista rile-vante e straordina-ria per il suo conte-nuto che ci mette alcorrente degli avve-nimenti più impor-tanti della vita dellaChiesa e del mondo.Ogni bene! Il divinoSpirito Santo vi assistasempre.

Chiediamo il favoredi inviarci venti copiedel libretto Quem rezase salva. Vi ringraziamofin d’ora.

Formuliamo gli auguri di una santa Quaresima edi sante e gioiose feste pasquali, con feconde benedi-zioni di Cristo Risorto.

Preghiamo gli uni per gli altri.Sempre uniti per lo stesso Corpo e Sangue del Si-

gnore Gesù.

suor Maria Verónica, osc, e le suore clarisse

930GIORNI N.4/5 - 2011

Lettere dai monasteri Lettere dai monasteri

Madonna col Bambino, altorilievo in ceramica del XIX secolo,

via Sistina, angolo via Francesco Crispi, rione Campo Marzio

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VISITANDINE DEL MONASTERO DE LA VISITACIÓN DE PANAMÁ

Las Cumbres, Panamá

Chi prega si salvaper la comunità cinese a Panamá

Las Cumbres, 3 aprile 2011

Stimato signor Giulio Andreotti,riceva i nostri saluti e il ringraziamento per tutto il la-voro di evangelizzazione che state facendo attraver-so questo mezzo.

Da Panamá, vorremmo chiedervi cento copie diQuien reza se salva, in spagnolo, per la nostra Se-

conda giornata vocazionale, che terremo nei giorni13, 14 e 15 maggio.

Facciamo anche una richiesta speciale, di inviarciduecento copie di Quien reza se salva in cinese. Sia-mo in contatto con padre Pablo Liu, svd, che è statorichiesto alla Cina dal nostro arcivescovo, per pren-dersi cura della comunità cinese a Panamá. Sta fa-cendo questo lavoro da circa due anni nella nostradiocesi. Ci racconta che sta andando alla scuola ci-no-panamense dove ci sono molti bambini cinesi evorrebbe regalare loro il libretto.

Potete inviarli al nostro indirizzo e noi glieli faremoavere, perché la sua casa è molto vicina alla nostra.

Vi ringraziamo di tutto cuore e preghiamo pertutti voi. Chiediamo alla Vergine Santissima di con-cedervi molte benedizioni con la sua Segreta Visita.

Dio vi ricompensi.

suor Margarita María, vsm

Las Cumbres, 12 aprile 2011

Carissimo signor GiulioAndreotti,siamo molto grate per i li-bri Quien reza se salvache abbiamo ricevuto ierimattina.

Avreste dovuto vederela gioia di padre Pablo Liudavanti ai libri nella sua lin-gua! Si è messo a leggerli emi ha detto: «Questa è unapresentazione del vescovoAloysius Jin Luxian». Cre-do che la sua gioia aumen-terà quando comincerà a distribuirli fra i cinesi che vi-vono a Panamá e soprattutto fra i bambini della scuolacino-panamense.

Nostro Signore continui ad animarvi per l’eccellen-te lavoro che fate distribuendo questo libro e la rivista30Días che è molto interessante.

Chiediamo al nostro santo fondatore Francesco diSales di concedervi abbondanti benedizioni in questoapostolato.

suor Margarita María, vsm

10 30GIORNI N.4/5 - 2011

Madonna col Bambino, altorilievo in ceramica del XIX secolo,

via del Buon Consiglio, rione Monti

Lettere dai monasteri Lettere dai monasteri

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1130GIORNI N.4/5 - 2011

CLARISSE CAPPUCCINE

DEL MONASTERO

DI SANTʼAPOLLINARE IN VECLO

Ravenna

Grazie per la meditazione sulla santa Pasqua

Ravenna, 14 aprile 2011

«Il Signore è risorto, come avevapredetto, rallegriamoci tutti edesultiamo, perché Egli regna ineterno. Alleluia».

Gentilissimo senatore Andreotti,mentre desideriamo porgerle il no-stro fraterno augurio di una santa Pasqua colma di pa-ce e di amore, la ringraziamo tanto per il libro che ci èappena arrivato «Il Figlio da se stesso non può farenulla». Sarà anche questo uno strumento utile per vi-vere più intensamente questi pochi giorni che ci sepa-rano dal grande giorno della Risurrezione del Signo-re. A lei assicuriamo la nostra preghiera affinché il Si-gnore le sia guida, conforto e la ricolmi dei suoi doni.

Con tanta riconoscenza per il bene che compie,

le sorelle clarisse cappuccine

CARMELITANE DEL MONASTERO NOSTRA SIGNORA DEL

MONTE CARMELO

Haifa, Israele

Richiesta di aiuto a Piccola Via onlus

Haifa, 20 aprile 2011

Siamo molto riconoscenti per l’invio di 30Giorni initaliano e in francese.

È un soffio della vita della Chiesa e del mondo checi raggiunge per farne oggetto di preghiera. Ci è ca-duto l’occhio sull’iniziativa Piccola Via.

In questi mesi in cui santa Teresina è pellegrina inTerra Santa le chiediamo di ispirarvi un dono per noi.

Preghiamo affinché molti siano coloro che offrono,affinché la vostra carità possa raggiungere tanta povertà.

Auguriamo una santa Pasqua ricca di luce, di con-versione, di fede operosa.

In questo tempo di Quaresimaci permettiamo di venire a esporreuna necessità impellente, che èsorta all’improvviso.

Il pavimento della nostra gran-de cucina (circa cento metri qua-drati) si è improvvisamente solle-vato in vari punti, a causa delle in-filtrazioni d’acqua durante i set-tantacinque anni dalla costruzio-ne del monastero.

Dopo consulti e attese ci siamodecise a rifare il pavimento com-pletamente, perché un rifacimen-to parziale rischiava di essere inu-tile, anche se meno costoso.

La spesa ammonta a più di cin-quemila euro ed è per questo che veniamo a chiede-re un contributo, con molta fiducia.

Ringraziamo per l’attenzione e assicuriamo la no-stra preghiera per le intenzioni degli offerenti.

suor Angela dell’Eucaristia e comunità

Regina Apostolorum, bassorilievo del XIX secolo,

via dell’Umiltà, angolo via di San Marcello, rione Trevi

Lettere dai monasteri Lettere dai monasteri

continua a p. 18

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Lettura spirituale Lettura spirituale

Lettura spirituale/42

3. Se qualcuno afferma che questopeccato di Adamo, che è uno nella suaorigine e, trasmesso per propagazionee non per imitazione, è in tutti e in cia-scuno come proprio, viene tolto con leforze della natura umana o con un rime-dio diverso dal merito dell’unico media-tore, il Signore nostro Gesù Cristo, checi ha riconciliati con Dio per mezzo delsuo sangue, «diventato per noi giustizia,santificazione e redenzione» (1Cor 1,30); o afferma che lo stesso merito diCristo Gesù non viene applicato sia agliadulti che ai bambini col sacramento delbattesimo, rettamente conferito secon-do la forma della Chiesa, sia scomunica-to. Perché «non vi è altro nome dato agliuomini sotto il cielo nel quale è stabilitoche possiamo essere salvati» (At 4, 12).Da cui l’espressione: «Ecco l’agnello diDio, ecco colui che toglie i peccati delmondo» (Gv 1, 29); e l’altra: «Quanti sie-te stati battezzati, vi siete rivestiti di Cri-sto» (Gal 3, 27).

3. Si quis hoc Adae peccatum, quodorigine unum est et propagatione, nonimitatione transfusum omnibus inestunicuique proprium, vel per humanaenaturae vires, vel per aliud remediumasserit tolli, quam per meritum uniusmediatoris Domini nostri Iesu Christi,qui nos Deo reconciliavit in sanguinesuo, «factus nobis iustitia, sanctificatioet redemptio» (1Cor 1, 30); aut negat,ipsum Christi Iesu meritum per bapti-smi sacramentum, in forma Ecclesiaerite collatum, tam adultis quam parvu-lis applicari: anathema sit. Quia «nonest aliud nomen sub caelo datum homi-nibus, in quo oporteat nos salvos fieri»(At 4, 12). Unde illa vox: «Ecce agnusDei, ecce qui tollit peccata mundi» (Gv1, 29). Et illa: «Quicumque baptizatiestis, Christum induistis» (Gal 3, 27).

* Denzinger 1513

Decreto sul peccato originaleDecretum de peccato originali*

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Lettura spirituale Lettura spirituale

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La cacciata dal Paradiso terrestre, sullo sfondo dell’Annunciazione, Beato Angelico, Museo del Prado, Madrid

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Il terzo canone del decreto sul peccato originale del Concilio di Trento, che proponiamo come letturaspirituale di questo numero, ci ha suggerito di pubblicare, a mo’ di commento, due brani di papa Paolo VI.

Il primo brano è tratto dal discorso di apertura della seconda sessione del Concilio ecumenico Vatica-no II, il 29 settembre 1963, nel quale Paolo VI indica lo scopo di tale ventunesimo Concilio ecumenico.

«Donde parte il nostro cammino?»; «Quale via intende percorre-re?»; «Quale meta vorrà proporsi?».

«Queste tre domande, semplicissime e capitali, hanno, ben lo sap-piamo, una sola risposta, che qui, in quest’ora stessa, dobbiamo a noistessi proclamare e al mondo che ci circonda annunciare: Cristo! Cri-sto, nostro principio, Cristo, nostra via e nostra guida! Cristo, nostrasperanza e nostro termine.

Oh! Abbia questo Concilio piena avvertenza di questo molteplice eunico, fisso e stimolante, misterioso e chiarissimo, stringente e beati-ficante rapporto tra noi e Gesù benedetto, fra questa santa e vivaChiesa, che noi siamo, e Cristo, da cui veniamo, per cui viviamo, e acui andiamo. Nessuna altra luce sia librata su questa adunanza, chenon sia Cristo, luce del mondo; nessuna altra verità interessi gli animinostri, che non siano le parole del Signore, unico nostro Maestro;nessuna altra aspirazione ci guidi, che non sia il desiderio d’esser aLui assolutamente fedeli; nessuna altra fiducia ci sostenga, se nonquella che francheggia, mediante la parola di Lui, la nostra desolatadebolezza: “Et ecce Ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad con-summationem saeculi” [“Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fi-ne del mondo”] (Mt 28, 20).

Oh! Fossimo noi in quest’opera capaci di elevare a nostro SignoreGesù Cristo una voce degna di lui! Diremo con quella sacra liturgia:“Te, Christe, solum novimus; – te mente pura et simplici – flendo etcanendo quaesumus – intende nostris sensibus!” [“Te solo, Cristo, co-nosciamo; Te supplichiamo, con cuore puro e semplice, nel pianto enella gioia; vieni in aiuto ai nostri sensi!”]».

Lettura spirituale Lettura spirituale

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1530GIORNI N.4/5 - 2011

Lettura spirituale Lettura spirituale

Gesù e Pietro, particolare della Vocazione di Pietro e Andrea, predella della Maestà,Duccio di Buoninsegna, National Gallery of Art, Washington;

a destra, Paolo VI durante i lavori del Concilio ecumenico Vaticano II

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Il secondo brano è tratto dal Credo del popolo di Dio del 30 giugno 1968, nel quale Paolo VI cita let-teralmente il terzo canone del decreto sul peccato originale del Concilio di Trento.

«Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significache la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura uma-na, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conse-guenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all’ini-zio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e incui l’uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umanacosì decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sueproprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che vienetrasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nascenel peccato. Noi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che ilpeccato originale viene trasmesso con la natura umana, “non perimitazione, ma per propagazione”, e che esso pertanto “è proprio aciascuno”.

Noi crediamo che Nostro Signore Gesù Cristo mediante il Sacrifi-cio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccatipersonali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che – secondola parola dell’Apostolo – “là dove aveva abbondato il peccato, ha so-vrabbondato la grazia” [cfr. Rm 5, 20]».

Dal 29 settembre 1963 al 30 giugno 1968 non erano trascorsi neppure cinque anni. Eppure, neisuoi due interventi, ci sembra di intravvedere come la vicenda di Paolo VI in quegli anni sia la medesimaesperienza vissuta dal primo degli apostoli, Pietro, nel modo in cui il Vangelo ce la do cumenta. Un cam-mino che, partendo dall’entusiasmo umanissimo per il riconoscimento di Gesù – che è dono del Padre(«Beato te, Simone, […] perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta neicieli», Mt 16, 17), in cui si gioca tutta l’iniziativa di Pietro –, giunge all’esperienza reale della «nostra de-solata debolezza»; così che tutta l’iniziativa è lasciata al Signore e Pietro umilmente «insegna soltanto ciòche è stato trasmesso» (Dei Verbum, n. 10).

Senza equivalenti è, a questo proposito, il commento di sant’Agostino alle parole rivolte da Gesù aPietro, dopo che, a Cesarea di Filippo, l’apostolo Lo aveva riconosciuto (cfr. Mc 8, 27-33): «DominusChristus ait: “Vade post me, satanas” / E Cristo Signore disse: “Va’ dietro a me, satana”. / Quare sa-tanas? / Perché satana? / Quia vis ire ante me / Perché vuoi andare davanti a me» (Sermones 330, 4).

Pietro e il suo successore hanno imparato così a lasciare tutta l’iniziativa all’agire del Signore. Hannoimparato che a noi è dato solo riconoscere e seguire quello che il Signore opera.

16 30GIORNI N.4/5 - 2011

Lettura spirituale Lettura spirituale

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Gesù e Pietro, particolare dell’incontro tra Gesù risorto e gli apostoli sul lago di Tiberiade,Maestà, Duccio di Buoninsegna, Museo dell’Opera del Duomo, Siena;

a destra, Paolo VI mentre pronuncia il Credo del popolo di Dio, il 30 giugno 1968

30GIORNI N.4/5 - 2011 17

Lettura spirituale Lettura spirituale

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Haifa, 25 maggio 2011

Grazie infinite all’associazione Piccola Via onlus!Ieri, 24 maggio, sono arrivati i soldi per ristrutturare ilpavimento della nostra cucina.

Ogni benedizione celeste per tutto il vostro apo-stolato,

suor Angela dell’Eucaristia

CLARISSE DEL MONASTERO SAINT CLARE

Yangyang, Corea del Sud

La meditazione sulla santa Pasqua sembra infusa di grazia

Yangyang, 28 aprile 2011

Gentile direttore Andreotti e amici tutti di 30Giorni,insieme al mio sentito saluto di pace, vi porgo l’auguriodi abbondanti benedizioni del Signore Gesù risorto inquesto tempo di Pasqua! Grazie ancora una volta peraver continuato a inviare alla nostra comunità 30Daysin the Church and in the world in abbonamento omag-gio. Il Signore vi benedica tutti per quest’opera di veraevangelizzazione e per la diffusione di articoli tanto sug-gestivi e di importanti informazioni da tutto il mondo.

L’indirizzo per il nostro abbonamento è stato cor-retto, così ora riceviamo le due copie della rivista, po-tendo in tal modo condividerne una con i sacerdoti ocon i missionari che celebrano la messa per noi e chepossono trarre grande beneficio dagli articoli.

Vi ringraziamo poi per l’invio delle dieci copie delsupplemento Who prays is saved in cinese: pensiamodi darle ad alcuni missionari coreani che sappiamo almomento attivi in Cina. Inoltre, padre Francis Mun JuLee, direttore della clinica Saint Joseph per i poveri egli emarginati di Seoul, che ha anche fatto apostolatoin Viet Nam, ha ricevuto l’abbonamento omaggio chevi avevo chiesto per lui e vi è estremamente grato.

Che il vostro lavoro continui a essere benedetto conabbondanza di grazie e l’ispirazione dello Spirito Santo!

Con riconoscenza, vostra in Cristo,

suor Mary Diane Ackerman, osc

P.S. Allegato all’ultimo numero di 30Days, abbia-mo con immensa gratitudine ricevuto anche il supple-mento pasquale della meditazione di don GiacomoTantardini. La meditazione è un vero nutrimento spiri-tuale per l’anima, sembra infusa di grazia! Grazie infi-nite per questo tesoro. Sappiamo che è una grande ri-chiesta, ma sarebbe possibile inviarci cinque copie ininglese e due in italiano del supplemento? Se la cosanon vi crea problemi, il nostro indirizzo è allegato.

Ancora grazie!

Yangyang, 11 maggio 2011

Cari amici di 30Giorni, non so come esprimere la mia profonda gratitudineper la spedizione così veloce, in risposta alla mia richie-sta, delle cinque copie in inglese e delle due copie in ita-liano della meditazione di don Giacomo Tantardini,

18 30GIORNI N.4/5 - 2011

Lettere dai monasteri Lettere dai monasteri

Immacolata Concezione, affresco del XVIII secolo,

piazza della Rotonda, rione Colonna

segue da p. 11

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1930GIORNI N.4/5 - 2011

Lettere dai monasteri Lettere dai monasteri

«The Son cannot doanything on his own».Questa bella meditazione èqualcosa da ponderare len-tamente e permette di im-mergersi profondamentenella preghiera; mi piace-rebbe mandare il supple-mento a qualche prete e aqualche persona che possaapprezzarlo e beneficiarneprofondamente.

Sono molto grata di ri-cevere 30Days in regalo,lo aspetto tutti i mesi. Hocondiviso alcuni articoli e

alcune notizie con le mie sorelle coreane e con altrepersone – ad esempio, ultimamente, l’articolo sull’u-mile frate cappuccino, Leopoldo Mandic, che haspeso molti dei suoi giorni nel confessionale. Nonconoscevamo molto su di lui, e domani, 12 maggio,celebreremo il suo anniversario; conoscerlo megliorende la nostra memoria più significativa! Di nuovo,molte grazie!

Vi chiedo, per favore, di comunicare la mia specia-le gratitudine a don Giacomo, le cui letture e medita-zioni toccano il mio cuore e la mia anima profonda-mente e mi aiutano ad abbandonarmi di più nella me-ravigliosa grazia e nell’amore del nostro Dio miseri-cordioso! Augurando a lei, caro direttore, e a tutti isuoi collaboratori l’amore e la pace di nostro Signorerisorto, rimango sinceramente in Cristo Gesù,

suor Mary Diane Ackerman, osc

CLARISSE DEL MONASTERO SAINT CLARE

Mission, British Columbia, Canada

La meditazione sulla santa Pasquaaiuta a entrare in questo grande mistero della nostra fede

Mission, 1° maggio 2011

Caro signor Andreotti, il Signore è veramente risorto, alleluia! In questa gioio-so tempo di Pasqua desideriamo ringraziarla per il do-no della sua rivista 30Days. La apprezziamo molto.

La copia del supplemento «The Son cannot doanything on his own» aiuta a entrare in questo grandemistero della nostra fede.

Preghiamo il Signore risorto di continuare a ispi-rarla per condividere la Buona Novella.

Con devota gratitudine e preghiera,

suor Marie-Céline Campeau, osc

MONACHE MINIME DI SAN FRANCESCO DI PAOLA

Saltillo, Coahuila, Messico

30Giorni ci mantiene in comunione con tutta la Chiesa

Saltillo, 4 maggio 2011

Stimatissimo senatore Giulio Andreotti,con immensa gratitudine voglio ringraziarla della rivistamensile 30Giorni che anche quest’anno ci fa giungerefin nel lontano Messico, dove con la provvidenza di

Madonna del Rosario, affresco del XVII secolo,

via dell’Umiltà, angolo via dell’Archetto, rione Trevi

¬

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Dio abbiamo fondato una nuova comunità di MonacheMinime di san Francesco di Paola.

Grazie alla generosità sua e di tutta la redazione, stia-mo ricevendo gratuitamente questo prezioso strumentodi informazione che, per noi claustrali, è di vitale impor-tanza, perché ci mantiene in comunione con tutta laChiesa e con il mondo attuale.

Infatti, spesso vi attingiamo motivazioni e stimoliper offrire con più entusiasmo la nostra vita a Dio, co-me sacrificio di soave odore, per le necessità più ur-genti della Chiesa e del mondo, secondo il nostro ca-risma di oranti e penitenti.

Consapevoli del grande dono che riceviamo, vor-remmo che anche i nostri confratelli, i frati dell’Ordi-ne dei Minimi, presenti nella nostra città di Saltillo, inMessico, potessero usufruirne, giacché apprezzanomolto la sua rivista, ammirandone la profondità deicontenuti e l’obiettività delle informazioni.

Anch’essi sono venuti dall’Italia a fondare una lorocomunità per testimoniare in Messico il carisma di ca-rità, di conversione e di riconciliazione del nostro fon-datore san Francesco di Paola, mettendosi al serviziodella gente più povera e bisognosa del posto.

Per questo hanno tanto desiderio di avere a lorodisposizione la rivista 30Giorni in italiano, quale sus-sidio di sicura informazione e di costante aggiorna-mento.

Ringraziandola anticipatamente per la sua sensibi-lità e comprensione, le assicuro le preghiere di tutta lamia comunità.

Con gratitudine e stima, in Cristo,

madre Maria Margherita Bichi, responsabile della comunità di Saltillo

CLARISSE DEL MONASTERO SANTA CLARA

Bolinao, Filippine

Vi siamo grate per la meditazione sulla santa Pasqua

Bolinao, 4 maggio 2011

Caro signor Andreotti e staff di 30Giorni,vi mandiamo i nostri saluti oranti per questo tempo diPasqua e vi manifestiamo la nostra gratitudine perl’abbonamento a 30Giorni... e per la copia specialecon la meditazione sulla santa Pasqua di don GiacomoTantardini. È sicuramente un bel testo per la letturaspirituale di questo tempo.

Che Dio ricompensi tutti voi per la vostra genero-sità nel diffondere l’opera della Chiesa. Siate certi del-le nostre preghiere per il successo del vostro ministe-ro. Dio vi benedica.

Buona Pasqua! Alleluia!

le clarisse

P.S. Siamo anche felici di informarvi che il nostroOrdine di santa Chiara festeggia gli ottocento anni dal-la fondazione. Le celebrazioni sono iniziate la Dome-nica delle Palme (17 aprile 2011) e si concluderanno ilprossimo anno in occasione della festa della santa ma-dre Chiara (11 agosto 2012). Vi terremo nelle nostrepreghiere durante questo anno giubilare. Pregate an-che voi per noi. Grazie.

20 30GIORNI N.4/5 - 2011

Immacolata Concezione, mosaico del XX secolo,

via dei Serpenti, rione Monti

Lettere dai monasteri Lettere dai monasteri

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CARMELITANE DEL MONASTERO DEL

CORAZÓN DE JESÚS

Ibarra, Ecuador

La meditazione sulla santaPasqua per il nostro ritiromensile

Ibarra, 4 maggio 2011

Sia lodato Gesù risorto!Signor direttore Giulio Andreotti,Gesù risorto, che vive e camminavicino a noi, le conceda in abbon-danza i doni e i frutti dello SpiritoSanto.

Grazie per l’invio della rivista 30Días. La leggiamocon interesse perché ci aiuta a pregare con maggior in-tensità per la Chiesa e per il mondo intero.

Le siamo anche grate per il libretto «El Hijo no pue-de hacer nada por su cuenta», molto utile per il nostroritiro mensile. Il Signore la ricompenserà.

Preghiamo per le sue intenzioni e, in questo mesedi maggio, la raccomandiamo alla Santa Vergine, chele conceda salute, amore e gioia nel Signore.

Saluti,

la comunità delle carmelitane scalze

SUORE DEL MONASTERO

DELLA VISITAZIONE

Washington, D.C., Stati Uniti

Una copia in italiano della meditazione sulla santa Pasqua

Washington, 4 maggio 2011

Carissimi signori,scrivo per chiedervi una copia in ita-liano della vostra pubblicazione inti-tolata in inglese «The Son cannotdo anything on his own», di don

Giacomo Tantardini. Se poteste mandarcela, vi sa-remmo riconoscenti.

Tante grazie! Buona Pasqua!In Cristo risorto,

suor Maria Roberta Viano

CLARISSE DEL MONASTERO SAINT CLARE

Duncan, British Columbia, Canada

«The Son cannot do anything on his own» è molto utile

Duncan, 12 maggio 2011

Spettabile redazione di 30Days,siamo estremamente grate per il fatto che 30Daysgiunge al nostro monastero da molti anni

Nell’ultimo numero c’era un supplemento, «TheSon cannot do anything on his own» che abbiamotrovato molto utile. Vorremmo ordinarne dieci copiee vorremmo sapere quanto costa.

Grazie, e Dio vi benedica per il vostro ministero.

suor Wylie Aaron

2130GIORNI N.4/5 - 2011

Lettere dai monasteri Lettere dai monasteri

Madonna in ceramica del XIX secolo,

piazza Madonna dei Monti, angolo via dei Serpenti,

rione Monti

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22 30GIORNI N.4/5 - 2011

ARCIVESCOVADO MARONITA

Damasco, Siria

Un grazie ai rifugiati iracheni

Damasco, 30 marzo 2011

Signor Giulio Andreotti,sottopongo a 30Giorni la testimonianza di unpopolo perseguitato, esiliato, che predica laSperanza e conta sulla preghiera della nume-rosa famiglia di 30Giorni.

La Siria ha facilitato l’accoglienza dei rifu-giati iracheni. Sono venuti a migliaia, soprat-tutto a Damasco, e continuano a venire a de-cine e centinaia per sfuggire alla morte e alleviolenze di cui sono vittime dal 2003.

Il personale delle Nazioni Unite organizza illoro esodo verso altri luoghi più clementi…Aspettando di ottenere un visto, questi rifu-giati iracheni restano a Damasco general-mente due o tre anni, a volte anche di più.

Questi cristiani ben formati, devoti e prati-canti, si rifugiano nella fede e nella speranzacristiane. Riempiono le nostre chiese, anima-no le nostre parrocchie portandovi un “vento”nuovo che rinforza la fede cristiana in Siria.

– Praticanti quotidiani, i rifugiati irachenipartecipano assiduamente alla messa tutti igiorni, venendo anche da lontano, a piedi ocon i mezzi pubblici.

– Chiedono la confessione prima della co-munione: hanno contribuito al ritorno alconfessionale, che ritrova le file d’attesa.

– La loro devozione per i santi e la venera-zione della Vergine rilancia la fabbricazionedelle candele, dalle quali le cappelle dei santi,all’interno e all’esterno delle chiese, sono illu-minate giorno e notte.

– I loro bambini sono numerosi nelle classi delcatechismo della prima comunione. I loro ragaz-zi sono impegnati nelle corali delle diverse chie-se e liturgie.

– La guerra ha diffuso velocemente l’infor-matica in Iraq. I rifugiati che vengono a Dama-sco spesso sanno usare bene internet. Hannogenerosamente messo le loro conoscenze alservizio delle parrocchie e delle comunità. Cosìgrazie a loro le nostre parrocchie si sono munitedi siti internet, strumenti d’avanguardia al servi-zio dell’evangelizzazione su scala universale.

– Spinti da una grande carità, essi si impe-gnano a decine, due o tre volte alla settima-

Lettere dalle missioni Lettere dalle missioni

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2330GIORNI N.4/5 - 2011

na, per fare le grandi pulizie della Cattedralee della piazza della chiesa. Quando ottengo-no il visto, prima di ripartire si assicurano chealtri continuino queste opere.

– Sono presenti alle serate di preghiera, al-l’adorazione eucaristica, ai pellegrinaggi e alleprocessioni per le strade di Damasco durantela Settimana Santa e soprattutto nel mese dimaggio. Il loro dinamismo spirituale attira lealtre comunità; uno dei nostri sacerdoti dà unamano alla parrocchia caldea.

– Malgrado la loro povertà e la loro condi-zione di vita precaria, sono generosi e vivonola condivisione. Bisogna vederli, all’uscita dal-

la messa, offrire e dare con gioia,sorrisi e lacrime…

– Vivono i momenti più intiminel silenzio davanti al SantissimoSacramento, faccia a faccia col Si-gnore. Per ore… Piangono i cariscomparsi e si interrogano sul fu-turo; cercano di capire il perché diquanto accade.

– Si presentano numerosi al-l’arcivescovado ogni settimanaper salutare prima di partire ver-so l’ignoto, a volte in ordine spar-so: i genitori verso l’Australia, i fi-gli verso il Canada. Neanche interra d’esilio possono più viverecome una famiglia… Uno strap-po ancora più doloroso.

Questi rifugiati iracheni chepassano continuamente a Da-masco sono missionari ambu-lant i che hanno segnato laChiesa in Siria la quale li guardapassare e s’interroga sul pro-

prio futuro…Il Sinodo dei cristiani d’Oriente ha rappre-

sentato un’opportunità e una speranza senzatuttavia arrestare l’emorragia e l’esodo. Que-sti rifugiati missionari dispersi nei quattro an-goli del mondo sono legati fra loro solo dallapreghiera e da internet. Privati delle loro radi-ci e davanti al crepuscolo della loro Chiesa,non potrebbero, questi rifugiati iracheni, conla loro vitalità religiosa, portare un soffio nuo-vo alle Chiese d’Occidente che li accolgono?

Samir Nassararcivescovo maronita di Damasco

Rifugiati iracheni in preghiera in una chiesa

di Damasco, in Siria

Lettere dalle missioni Lettere dalle missioni

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24 30GIORNI N.4/5 - 2011

SEMINARIO SÃO CAMILO

Iomerê, Santa Catarina, Brasile

30Giorni semplicemente “eccellente”

Iomerê, 28 marzo 2011

Egregi signori, riceviamo regolarmente l’eccellente rivista 30Giorniin portoghese. Semplicemente “eccellente”!

Dio vi benedica sempre per il grande bene che fate.Chiediamo le vostre buone preghiere, ne abbiamo

molto bisogno. Non dimenticateci.Rispettosamente,

Alberto Pigatto

SEMINARIO MAGGIORE CATTOLICO DI SAINT JOSEPH

Yangon, Myanmar (da Lampang, Thailandia)

Per il nostro seminario maggiore cattolicodi Saint Joseph, a Yangon, in Myanmar

Lampang, 22 aprile 2011

Caro direttore, saluti da Lampang. Sono padre Clement Angelo, delMyanmar. Mi trovo ora qui in Thailandia per un breveperiodo assieme ai sacerdoti del Pime impegnati conle popolazioni appartenenti alle tribù delle colline.

Durante questa mia breve permanenza ho cono-sciuto la vostra rivista 30Days e personalmente l’hotrovata interessante e di valore.

Se possibile, grazie alla vostra generosità, vorrei ri-ceverne una copia per me e una per il nostro semina-rio maggiore cattolico di Saint Joseph, a Yangon (inMyanmar), dove svolgo il mio ministero d’insegnante.

Credo che possa essere una buona ispirazione per iseminaristi maggiori per conoscere gli avvenimentireligiosi nel mondo.

Buona Pasqua.

padre Clement

PARROCCHIA DʼADIDOGOMÉ

Lomé, Togo

Qui prie sauve son âmeper novanta catecumeni

Lomé, 2 maggio 2011

Sia lodato Gesù Cristo!Sono un seminarista del Togo. Mi è piaciuto molto illibretto Qui prie sauve son âme. Durante le prossimevacanze estive, nel mese di luglio, la mia parrocchiaorganizzerà un campo per i catecumeni (circa novan-ta). Il mio parroco mi ha incaricato di organizzare e didirigere questo campo di bambini. Vorrei chiedervi,come aiuto per la recita delle preghiere in quei giorni,il libretto Qui prie sauve son âme da mettere a dispo-sizione dei catecumeni che parteciperanno. Sarebbeanche un santo e bel ricordo che questi bambini po-tranno portare con sé una volta che il campo si con-cluderà, e che potranno utilizzare per la loro preghie-ra personale.

Sperando in una risposta favorevole, ricevete l’as-sicurazione delle mie preghiere, e l’espressione dellamia gratitudine.

In unione di preghiera.Fraternamente,

Romain Semenou

Madonna col Bambino, affresco del XVII secolo,

via del Gesù, rione Pigna

Lettere dai seminari

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basta scrivere il codice fiscale dell’ASSOCIAZIONE PICCOLA VIA ONLUS

9 7 5 9 0 9 9 0 5 8 2nel CUD o nel Modello 730 o nel Modello Unico

e firmare nell’apposito rigo

COME SI EFFETTUA LA DONAZIONE DEL CINQUE PER MILLE:

La redazione di 30Giorni suggerisce un piccolo gesto di carità che non costa nulla:

devolvere il cinque per mille all’Associazione Piccola Via onlus

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26 30GIORNI N.4/5 - 2011

Dai palazzi avveniristici diBrasilia a quelli carichi distoria d’Oltretevere il viag-

gio è lungo. Dom João Braz deAviz, 64 anni, arcivescovo emeritodella capitale brasiliana, ha com-piuto il salto da poche settimane.Lo scorso 4 gennaio il Papa lo hachiamato a Roma per guidare laCongregazione per gli Istituti di vitaconsacrata e le Società di vita apo-stolica e per aprire una nuova sta-gione nei rapporti – sempre vivaci etalvolta agitati – tra la Sede aposto-lica e la galassia delle congregazionie degli ordini religiosi.

Dom João, come è cambia-ta la sua vita da quando è arri-vato a Roma?

JOÃO BRAZ DE AVIZ: Certo, ilcambiamento è stato grande. ABrasilia c’erano più di due milioni emezzo di fedeli, con 380 sacerdotie 128 parrocchie, che visitavospesso. Qui, il popolo non c’è, si

vede solo quando ci sono le grandiadunate in piazza San Pietro...

E qualche volta, nei primigiorni, le è capitato di mangia-re da solo...

A Brasilia, in casa, c’era semprecompagnia. Avevo come segretariedue mamme di famiglia, c’era lacuoca, eravamo una piccola comu-nità. Anche qui però, il raggio diamici si va allargando col tempo.

Lei, anche da piccolo, in fa-miglia, era abituato alle tavo-late numerose.

I miei genitori erano del sud, iosono nato nello Stato di Santa Cata-rina. Ma quando avevo due anni imiei si sono trasferiti nello Stato delParaná, in una zona che, come si di-ceva a quel tempo, cominciava a es-sere “colonizzata”. Il mio papà lì hacominciato a lavorare come macel-laio. Ho un fratello più grande, an-che lui sacerdote, e poi ne sono natialtri sei. In tutto siamo cinque ma-schi e tre femmine. La più piccola,

che ha la sindrome di Down, adessoha 47 anni. Ricordo che quandonacque – allora eravamo a Borrazó-polis – i miei per farla battezzare pre-sero una carrozza coi cavalli e per-corsero più di quaranta chilometri,perché non volevano aspettare.

Un bel viaggio, a quei tempi.Dove vivevamo, all’inizio non

c’erano sacerdoti. Il prete passavaogni tanto, una volta al mese. Era-no i leader laici popolari a guidarele comunità, a tenere il catechismoe a favorire le pratiche della vita difede come il Santo Rosario e la de-vozione al Sacro Cuore di Gesù. Inquel tempo la Chiesa locale si basa-va molto su gruppi come l’apostola-to della preghiera, o i figli di Ma-ria… Anche papà e mamma aiuta-vano a tenere aperte le cappelle.

E poi, lei come è diventatoprete?

Io, anche se ero ancora un bam-bino, già a sette anni, al tempo dellaprima comunione, ho percepito la

V

Le pretese degli uomini e la pazienza di Diodi Gianni Valente

Suore missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta nella Basilica dell’Immacolata Concezione di Washington

ita consacrata

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2730GIORNI N.4/5 - 2011

vocazione, che poi è stata coltivatadalle suore di Santa Catarina, doveero stato mandato per seguire lescuole. Quando avevo undici annientrai nel seminario minore di Assis,nello Stato di São Paulo, a quattro-cento chilometri dalla capitale. Loavevano aperto i missionari del Pi-me. Alcuni di loro erano stati missio-nari in Cina, da dove erano statiespulsi dopo l’avvento al potere diMao. Ci raccontavano le loro storie.Ricordo che erano persone profon-dissime, era bello crescere avendolidavanti agli occhi. E poi, da adole-scente, incontrai anche la spiritua-lità del Focolare.

Come avvenne?Conobbi un pittore ateo che do-

po essersi convertito parlava di Dioin maniera viva e concreta. Fececolpo su di me, che ero un ragazzo.Pensavo: guarda un po’ questo ateoche adesso racconta con tanta forzadell’amore di Dio, e di come questoamore si scopre amando il fratello...

Per me erano cose nuove. Io fino aquel momento pensavo all’educa-zione, che bisognasse essere gentilicon gli altri per una questione dibuone maniere. Mai pensavo chel’altro potesse essere servito comeGesù stesso.

Poi, il suo vescovo la mandòa studiare teologia a Roma.Era il ’67, il Concilio appenafinito… Come ricorda queglianni?

Studiai alla Gregoriana e poi unanno all’Ateneo Salesiano, per se-guire i corsi di psicopedagogia. Ri-cevetti il diaconato a Roma, e tor-nai in Brasile solo nel 1972. Eranotempi segnati da tanti stimoli e datante difficoltà. Tutto sembrava inmovimento. Iniziava il travaglioportato dal Concilio. Si aggiorna-vano i vecchi ordinamenti, si ri-strutturavano i corsi, ma c’era an-che l’incertezza che segna tutte lefasi di passaggio e di revisione.

E in America Latina vi tro-vavate anche davanti all’e-mergere della Teologia dellaliberazione.

Eravamo idealisti, volevamo da-re la vita per qualcosa di grande. Lascelta di guardare ai poveri ci da- ¬

A sinistra, frati domenicani nel chiostro della Basilica di Santa Sabinaa Roma

In basso, frati francescaniad Assisi

«Dicevo a Brasilia: se voi dei carismi più grandi mortificate e annullate i carismi più piccoli perché avete come solo criterio quello di allargarvi e di prendere più spazio, questo non è da Dio». Incontro con il nuovo prefetto della Congregazione vaticana per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica

Intervista con l’arcivescovo João Braz de Aviz

Page 28: «Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo n 4-5... · In copertina: «Non lʼagnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo per la fede cristiana». Così don Luigi

va una speranza grandissima, so-prattutto a noi che venivamo da fa-miglie povere. Eravamo pronti amollare tutto, anche il seminario, sequell’impeto non fosse stato accol-to e abbracciato nella realtà eccle-siale in cui vivevamo.

Lei ha già spiegato che inquel passaggio, l’esperienzadel Focolare la aiutò a supe-rare il pericolo che tutto sidissipasse.

Dio mi ha custodito così. L’espe-rienza spirituale del Focolare è fortee semplice. Già alla fine degli anniSessanta, Chiara Lubich ci invitavaa rivedere il nostro modo di vivere,alla luce dell’amore di Dio. A volteanche a me sembrava che sottova-lutasse l’esigenza della trasforma-zione sociale. Fu un passaggio diffi-cile per molti. Ma così rimaneva lafiducia che c’era una strada, occor-reva aver pazienza, ma si cammina-va insieme e non ci si perdeva. Sia-mo diventati sacerdoti con questagrande luce interiore, accompagna-ta da questo senso di inquietudine,di sospensione. Non ho mai volutonascondere a me stesso la compre-senza di questi due fattori. Pensavo:questa è la condizione in cui mi è

toccato di vivere. Col tempo, que-sto mi ha aiutato a vedere che esse-re sacerdote non vuol dire esercita-re un “dominio” religioso sulla pro-pria vita e sulla vita degli altri.

Col tempo passato, qualebilancio fa della stagione ec-clesiale legata alla Teologiadella liberazione?

Si possono dire diverse cose. InBrasile, alcuni dei gruppi pastoralia quel tempo più spinti in quella li-nea oggi si sono trasformati in Ongcon molti soldi, uscendo dalla Chie-sa. Dicevano di voler cambiare laChiesa, poi la fede è venuta menoed è rimasta la sociologia. Questonon può non suscitare tristezza.Eppure rimango convinto che inquella vicenda è passato comunquequalcosa di grande per tutta laChiesa. Come la constatazione cheil peccato degli uomini crea struttu-re di peccato. E che la predilezione

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V

In Brasile, fin dall’indipendenza, è stato sempre forte un potere che chiamerei “il potere dei soldi”. È quel potere che, ad esempio,continua a resistere a una vera riforma agraria. E che non ha mai avuto un grande rapporto di prossimità con la Chiesa e nemmeno con la gerarchia ecclesiastica

ita consacrata

Sopra, dom João Braz de Aviz con un gruppo di religiosi brasilianinel Pontificio Collegio PioBrasiliano, Roma; sotto, nella Cattedrale di Brasilia

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per i poveri è una scelta di Dio, co-me si vede nel Vangelo. Nelle pri-me comunità le quattro colonneportanti erano la fedeltà alla dottri-na degli apostoli, l’eucaristia, lapreghiera e poi quella comunionefraterna che non era un sentimen-talismo, ma una cosa pratica, vole-va dire aiutare le vedove e gli orfa-ni, mettere i beni in comune. Daquesto si vedeva che la comunità vi-veva davanti al suo Signore. Ades-so, noi i beni li nascondiamo chiu-dendoli a chiave con sei mandate,anche nelle comunità religiose.

Al’interno della generazio-ne dei preti “liberazionisti”,

uno dei punti di differenziazio-ne era l’atteggiamento davantialla devozione del popolo.

In quel tempo alcuni pensavanoche la devozione popolare fossealienazione. Dicevano che la purez-za della fede si era corrotta con ledevozioni. Un’idea che si può con-futare anche dal punto di vistaschiettamente storico. Da noi la cri-si venne con l’abolizione delle con-gregazioni religiose voluta dal Mar-chese di Pombal, che fu un disastroe compromise anche tutta l’espe-rienza pastorale iniziata con gli in-dios. E comunque anche adessonon capisci come mai il Brasile sia

cattolico al 75 per cento, anche sepoi solo il 10 per cento si accostaordinariamente ai sacramenti. Laragione storica è questa: proprio ladevozione popolare è stata unostrumento per trasmettere e man-tenere la fede, in tante comunitàguidate per tanto tempo dai laici.

A volte, c’è chi agita ancorala Teologia della liberazione co-me un “pericolo” incombente.

Sì, certe volte la Teologia della li-berazione sembra un fantasma chesi tira fuori a comando. Tante cosesono cambiate. In tanti Paesi quelliche erano contro il potere, comeLula, o che addirittura erano

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Intervista con l’arcivescovo João Braz de Aviz

A lmeno un primato, a monsignor Braz de Aviz, nonglielo toglie nessuno. Lʼattuale prefetto del dicastero

vaticano per i religiosi è lʼunico vescovo che vive da quasitrentʼanni portandosi dietro 130 pallini di piombo disse-minati nel corpo.

João a quel tempo era un giovane prete di 36 anni, equel giorno stava viaggiando dalla sua parrocchia aquella di un villaggio vicino per aiutare il parroco che ce-lebrava i suoi venticinque anni di sacerdozio. A metàstrada, su un ponticello, vede unʼauto ferma. Si avvici-na per vedere se serve una mano. E si accorge che nonsi tratta di campesinos rimasti con la macchina in pan-ne. Nel vecchio maggiolino ci sono due ragazzi che glispianano contro le loro armi pesanti, gli tolgono le chia-vi della macchina e lo costringono a seguirli dallʼaltraparte del torrente, senza dire una parola. Dopo mezzʼo-ra, sbuca dalla curva il furgone blindato della banca.Era venerdì pomeriggio, loro stavano aspettando il fur-gone con la raccolta degli incassi, e João capisce alloradi essersi trovato nel posto sbagliato allʼora sbagliata.

Poi la situazione precipita. I rapinatori sparano subitoalle gomme del blindato. Ma anche quelli del carro dellabanca sono armati, e rispondono al fuoco. Ricorda oggimonsignor Braz de Aviz: «A un certo punto, visto che lasituazione era bloccata, i due ragazzi mi hanno puntatodi nuovo le armi in faccia: vai tu a parlare con i poliziotti,o ti ammazziamo. Che potevo fare? Ho mosso soloqualche passo e subito dal blindato i poliziotti mi hannosparato addosso». João sente bruciare per tutto il corpoi pallini partiti dal fucile a canne mozze. Ha pure un oc-chio perforato, sente il sangue che gli cola a fiotti sul vi-so. Sta disteso a terra. Non riesce ad alzarsi. Unʼimmo-bilità impotente che gli salverà la vita: «Dopo mi hannoconfermato che se mi fossi mosso mi avrebbero finito».Intanto i due banditi sono scappati. João sente il respirofarsi affannoso, sente il sangue che gli sale dai polmoninella bocca. «Dicevo dentro me stesso: Gesù, ma per-

ché devo morire a trentaseianni, avevo tanto da fare.La risposta mi è sgorgatadentro così: “Io sono mortoa 33 anni. Tu hai avuto giàtre anni più di me…”». Joãointuisce allora che anche lasua generosità, il suo slan-cio a fare cose buone puòcadere nel vuoto, se non èun abbandonarsi nellebraccia di Gesù. «Allora misono sentito in pace. Hodetto le mie ultime preghie-re, ho fatto le mie offerte, hochiesto perdono, ma poi ho anche aggiunto: Signore,dammi dieci anni in più. Non so perché ho chiesto pro-prio dieci anni».

In effetti, dom João quella volta lʼha scampata. Ipiombini sono rimasti anche nei polmoni e nellʼintestino,senza provocare infezioni. Perfino lʼocchio si è salvato ei medici si chiedono come sia stato possibile.

Dopo quellʼesperienza, oggi monsignor Braz de Avizricorda di essere anche entrato in un periodo di depres-sione. «Non riuscivo più nemmeno a uscire di casa. Nesono uscito solo dopo un anno, piano piano, comincian-do col fare piccole cose, ad esempio piccole passeggia-te, fin dove mi era possibile. Anche questa specie di pa-ralisi della volontà è stata per me unʼesperienza impor-tante, per abbracciare il mio limite e la mia fragilità».Quando stavano scadendo i dieci anni di “proroga” ri-chiesti, è arrivata la nomina a vescovo. «È come se il Si-gnore mi avesse voluto dire: fin qui tu mi hai chiesto la vi-ta, dʼora in poi quello che viene io ti chiedo di donarlo ame…». Dom João lo dice ridendo. Ma intanto, il sopras-salto dei ricordi gli inumidisce gli occhi.

G.V.

La morte scampata per miracolo

Una proroga ad personam

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guerriglieri, adesso governano. C’èstato tutto un cammino, ed è tempoche anche nella Chiesa tutti neprendano atto.

In Brasile, fin dall’indipendenza,è stato sempre forte un potere chechiamerei “il potere dei soldi”. Èquel potere che, ad esempio, conti-nua a resistere a una vera riformaagraria. E che non ha mai avuto ungrande rapporto di prossimità con laChiesa e nemmeno con la gerarchiaecclesiastica. La Chiesa non ha so-stegni finanziari da parte dello Stato,e anche le chiese si costruiscono coisoldi del popolo, e di solito ad aiuta-re di più sono i più poveri.

Cosa pensa della causa dibeatificazione di Óscar Ro-mero?

Nei processi di beatificazione cisono dettagli che vanno vagliaticon cura, come quelli anche scien-tifici implicati nel riconoscimentodel miracolo richiesto. Ma credoche come vita di santità Romerosia stato un esempio grande. Unvescovo che con l’episcopato rice-ve in maniera manifesta anche lagrazia di diventare pastore del suopopolo, in quella situazione cosìstravolta dalla violenza. Lo stessoaccadde in Brasile a dom HélderCâmara. Quando lo ascoltavamoparlare, durante il regime militare,ci faceva tremare dall’emozione.Era una persona che ci incantava.Un uomo di preghiera. Penso checi sono tante figure che piano pia-no, col tempo, capiremo meglio. Esi vedrà che tutta la loro vita era im-pregnata da questo. Altrimenti nonavrebbero offerto la loro vita così.Câmara ha sempre vissuto avendodavanti la possibilità di essere ucci-so. Non lo hanno ucciso solo per-ché il popolo avrebbe reagito trop-po male. E allora mandavano av-vertimenti abbastanza chiari: inve-ce dei vescovi, uccidevano i segre-tari dei vescovi, come accadde alsegretario di dom Hélder.

Lei ha citato Lula. Come ar-civescovo di Brasilia, avràavuto a che fare con lui. Chebilancio fa della sua stagionealla guida del Paese?

In sette anni a Brasilia non l’homai visto in Cattedrale... [sorride].E a volte faceva affermazioni un po’sorprendenti, come quando dicevadi avere una morale come persona

privata e una morale come presi-dente… Ma certo la percezione delsuo contributo è molto positiva, econdivisa dalla maggioranza deibrasiliani. Ha amato il suo popoloe, essendo stato un operaio, ha ca-pito la condizione dei brasiliani percome essa è nella realtà concreta.Con lui il Brasile ha avuto una cre-scita impressionante, e c’è stata an-che una certa redistribuzione delreddito. Ha combattuto la corruzio-ne, senza approfittare della posizio-ne di presidente per difendere i cor-rotti che stavano anche all’internodel suo partito.

E Dilma, la nuova presi-denta?

Dilma è molto diversa. Lula è unoperaio, la sua forza è il sindacali-

smo. Lui è un sindacalista umani-sta, un fortissimo lottatore. Dilma èun’intellettuale, e per altri versi èpiù pragmatica. Ma dicono che ab-bia sostegno popolare ancor più diLula. Interessante, questo dato.

Come è iniziato il suo lavo-ro alla Congregazione per iReligiosi?

Abbiamo dovuto affrontaremolte difficoltà. C’era parecchiasfiducia da parte dei religiosi pervia di alcune posizioni prese inprecedenza. Adesso, il punto fo-cale del lavoro è proprio quello diricostruire un rapporto di fiducia.Col segretario della Congregazio-ne, Joseph William Tobin, lavoria-mo insieme, parliamo molto, in

modo che le decisioni siano presein comune.

Come sta procedendo la vi-cenda delle ispezioni alle con-gregazioni religiose femminilidegli Stati Uniti?

Anche quella non è una vicendafacile. C’era sfiducia, contrapposi-zione. Abbiamo parlato con loro, leloro rappresentanze sono anchevenute qui a Roma. Abbiamo rico-minciato ad ascoltare. Non si trattadi dire che i problemi non esistono.Ma si può affrontarli in un altro mo-do. Senza condanne preventive.Ascoltando le motivazioni. Adessoabbiamo tanti rapporti di indaginesu cui dobbiamo lavorare. Poi c’è ilrapporto di suor Clare Millea [la re-ligiosa designata dal Vaticano co-

me visitatrice apostolica, ndr] chesarà importante.

Sono legittimi e utili i con-fronti tra gli ordini religiosipiù antichi e i nuovi movimen-ti? A volte c’è chi li mette inconcorrenza, o addirittura incontrasto.

I carismi che fioriscono nel tem-po presente vengono donati allaChiesa di oggi. Forse tra vent’anninon avranno la stessa rilevanza. Equesto non dovrebbe urtare con icarismi più antichi. Se vivono in fe-deltà al carisma iniziale donato alloro fondatore, troveranno anche ilmodo di dare qualcosa in questotempo. Il pericolo è quando si per-de lo spirito dei fondatori.

30 30GIORNI N.4/5 - 2011

V ita consacrata

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In questo senso, che cosaha rappresentato per lei la vi-cenda del fondatore dei Legio-nari di Cristo?

Certo, è un dolore quando si ve-de l’espandersi di una realtà che sipresenta come carismatica, e poi siscopre l’indegnità del suo iniziato-re. Come sia possibile, rimane unmistero. Quello dei Legionari non èl’unico caso. In Brasile abbiamoavuto il caso della Toca de Assis.Una comunità che vestiva un abitodi foggia francescana che richiama-va l’attenzione, e che si era messanel filone della Canção nova [co-munità-network nata in Brasile e le-gata al movimento carismatico,ndr]. Davano di sé un’immagineforte, con frati che dicevano di ren-dere gloria a Dio cantando e ballan-do. Avevano coinvolto circa seicen-to ragazzi. Finché si è scoperto cheil fondatore aveva anche lui com-portamenti moralmente indegnicoi suoi seguaci. Quanto ai Legio-nari, nella loro struttura non miconvinceva già da prima la man-

canza di fiducia nella libertà dellepersone che vedevo al loro interno.Un autoritarismo che cercava didominare tutto con la disciplina.Avevo già tolto i seminaristi di Bra-silia dai loro seminari, perché vede-vo che così le cose non potevanoandare avanti.

Non crede che in passato cisia stata troppa enfasi sui nuovimovimenti, che a volte ha na-scosto aspetti problematici?

Nelle nuove comunità e neinuovi movimenti non tutto è bello egiusto a priori. In alcune realtà sivede che ci sono aspetti davverosquilibrati. Certo, non si può nega-re che in molte di queste realtà sisono viste cose grandissime. In

molti luoghi hanno portato fre-schezza, gioia, novità, gioventù.Credo che comunque il tempo at-tuale non sia più il tempo in cuiognuno fa per sé, in cui tutti sonoseparati fino a entrare in contrastogli uni con gli altri e sono uniti solonel riferimento comune al Papa.

Dicevo a Brasilia: se voi dei carismipiù grandi mortificate e annullate icarismi più piccoli perché avete co-me solo criterio quello di allargarvie di prendere più spazio, questonon è da Dio. Se c’è un “carismet-to” piccolino, per esempio in unaparrocchia, aiutatelo a crescere, in-vece di contrastarlo.

Oltre al suo legame con ilFocolare, è nota anche la suaamicizia con la Comunità diSant’Egidio.

Sì. Ho molta stima di AndreaRiccardi. Spero di andarli a trovarepresto.

Negli ultimi tempi, un feno-meno diffuso è quello di nuoviistituti di vita consacrata che a

volte vivono situazioni di con-trasto coi vescovi e con le pro-prie Chiese nazionali.

Io ho sempre un po’ pauraquando un gruppo comincia apensare e a dire: noi siamo gli unicia difendere la vera Chiesa e la Tra-dizione. Noi possediamo la luce diDio, e gli altri no. Nella Chiesa nonfunziona così. E Dio non lavora co-sì. Lui distribuisce i suoi doni, nonha mai dato tutta la sua grazia auna sola persona. Se pensiamo al-l’esperienza di Dio con il suo po-polo, anche nella Bibbia quello cherisalta non è l’esclusivismo elitario,ma piuttosto la pazienza e la mise-ricordia verso quel popolo pieno dilimiti, che si perdeva lungo il cam-mino. Quanto ha aspettato, quan-te volte è stato deluso... E se poi siguarda anche ai santi, si vede che iveri santi sono sempre amici fra lo-ro. Sono diversi, magari a volte liti-gano, ma poi chiedono perdono elavorano insieme. Anche quelli diadesso, come don Giussani e Chia-ra Lubich. q

3130GIORNI N.4/5 - 2011

Intervista con l’arcivescovo João Braz de Aviz

Il presidente brasiliano uscente Luiz Inácio Lula da Silva solleva il braccio del neopresidenteDilma Rousseff a Palazzo Planalto,Brasilia, il 1° gennaio 2011

Quando ascoltavamo dom Hélder Câmara, durante il regimemilitare, ci faceva fremere dall’emozione. Non lo hanno ucciso soloperché il popolo avrebbe reagito troppo male. E allora mandavanoavvertimenti abbastanza chiari: invece dei vescovi, uccidevano i segretari dei vescovi, come accadde al segretario di dom Hélder

Dom Hélder Câmara durante una visitapastorale a Morro da Conceição,Recife, nel 1968; a sinistra, Óscar Romero con i seminaristi a Playa el Majahual, nel 1978

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I l 15 marzo i vescovi maroniti,riuniti a Bkerké (nei pressi diBeirut), la sede del Patriarcato,

hanno eletto Béchara Raï, vescovodi Jbeil, Byblos dei Maroniti, nuovopatriarca di Antiochia dei Maroniti.Sua beatitudine Béchara Boutros

Raï, 71 anni, ordinato sacerdotenel 1967 e diventato vescovo nel1986, conosce bene Roma e il Vati-cano, in quanto qui ha studiato,presso il Pontificio Collegio Maro-nita, e qui, per anni, anche in qua-lità di membro del Pontificio Consi-

Medio Oriente

Sopra, Béchara Raï subitodopo la sua elezione

a patriarca di Antiochia dei Maroniti, il 15 marzo 2011; a destra, la folla di fedeli giunti

presso la sede del Patriarcato a Bkerké per salutare

il nuovo patriarca

di convivenza dal LibanoUn messaggio

Il dialogo con l’islam, un nuovo confronto con i politici cristiani, la necessità di un rapporto con Hezbollah, la tragedia del conflittoisraelo-palestinese: intervista con sua beatitudine Béchara Raï, nuovo patriarca di Antiochia dei Maroniti

di Davide Malacaria

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glio delle Comunicazioni sociali, èstato il responsabile del programmaarabo della Radio Vaticana. Suabeatitudine Béchara Raï succede aNasrallah Pierre Sfeir, che lo scorsofebbraio, a novant’anni, ha dato ledimissioni. Lo scorso 14 aprile, ri-cevendo in udienza il nuovo patriar-ca, Benedetto XVI ha concesso laecclesiastica communio.

Da alcuni anni in Libano, Paesecruciale per la stabilità del MedioOriente, la solennità dell’Annun-ciazione è stata dichiarata festanazionale, con gioia dei cristiani,ovviamente, e degli islamici, chevenerano in Maria la madre delprofeta Gesù. Una festa nata al-l’insegna di quella convivenza tracristiani e islamici che, pur nellealterne e a volte dolorose vicendedella storia, è stata la caratteristicadi questo Paese. Béchara in arabovuol dire “Annunciazione”. Unbuon auspicio.

Che cosa ha pensato al mo-mento dell’elezione?

BÉCHARA RAÏ: Durante il Si-nodo, gli altri possibili candidati alpatriarcato, a un certo momentohanno fatto un passo indietro per-ché si arrivasse a un’elezione una-nime. È stato in quel momento chemi è venuto in mente il motto delmio mandato: «Comunione e amo-re», che poi ho scritto sulla schedaelettorale. Così, durante lo scruti-

nio, mentre veniva ripetuto il mionome, a un certo momento è statoletto anche questo motto. Era unmodo per dire che accettavo quan-to deciso nel Sinodo, ma all’inse-gna, appunto, della comunione edell’amore.

La Chiesa maronita, di ritoorientale e da sempre in comu-nione con Roma, gioca un ruo-lo di ponte tra la cristianità oc-cidentale e quella ortodossa?

Per storia i maroniti hanno rap-porti fecondi sia con le Chiese ditradizione greca e siriaca sia con laSanta Sede. Anche per questo han-no giocato un ruolo importantequando sono avvenute unioni traChiese di rito orientale e Roma –mi riferisco alle Chiese chiamateuniate. Per storia e tradizione il no-stro ruolo è quello di essere ponte

tra Chiesa cattolica e Chiesa orto-dossa. Un compito ecumenicomolto prezioso per la cristianità.

Sempre a proposito dei rap-porti con l’Ortodossia, il cardi-nale Levada, prefetto dellaCongregazione per la Dottrinadella fede, nel suo intervento alSinodo per le Chiese orientaliha detto di voler interpellare ipatriarchi d’Oriente per racco-gliere pareri per una possibileriforma del ministero petrino...

Una cosa analoga è stata fattagià al tempo di Giovanni Paolo II.Io ero membro della Commissioneche doveva raccogliere le rispostedei patriarchi e riferire al Santo Pa-dre. In quella sede avevamo raccol-to i contributi di vari patriarchi e ve-scovi orientali, ma poi questo lavo-ro è rimasto incompiuto.

Tra le varie proposte giuntealla Commissione ce n’eraqualcuna che aveva attirato piùdi altre la sua attenzione?

Tra le altre, vi era la propostache i patriarcati orientali potesseroestendere la loro giurisdizione suifedeli della diaspora, quindi fuoridal territorio tradizionalmente chia-mato territorio patriarcale. Questaproposta, purtroppo, non è stataaccolta. Ricordo che se ne parlò nel2000, in occasione di un convegnoper il decennale della promulgazio-ne del Codice di diritto canonicodelle Chiese orientali, e, in quellasede, il segretario di Stato vaticano,parlando a nome del Papa,

3530GIORNI N.4/5- 2011

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Intervista con il patriarca di Antiochia dei Maroniti

A destra, Benedetto XVIriceve in udienza sua beatitudine

Béchara Raï, il 14 aprile 2011

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spiegò come non fosse possibileestendere la giurisdizione dei pa-triarcati, per due ordini di motivi. Ilprimo riguarda il principio di terri-torialità: per tradizione il territoriopatriarcale ha un limite geograficolimitato all’ambito orientale, né ilprincipio di territorialità può diven-tare principio di soggettività. Il se-condo motivo, ci fu riferito, è che ilpatriarcato è un’istituzione eccle-siastica e, come tale, può anchesparire, mentre l’episcopato e il pa-pato sono, all’opposto, istituzionidivine e non caduche. Poiché il pa-pa è vescovo di tutti i cattolici e poi-ché ci sono vescovi locali che han-no il potere pastorale giurisdiziona-le anche sui fedeli della diasporaorientale, non c’è bisogno di esten-dere la giurisdizione del patriarca.Questa in estrema sintesi la rispo-sta che fu data.

Quanto è importante il rap-porto tra il Patriarcato di An-tiochia dei Maroniti e i fedelidel la diaspora sparsi nelmondo?

Per il patriarca di Antiochia deiMaroniti è importante avere curaanche di questi fedeli. È un compitosvolto già dalle diverse diocesi ma-ronite sparse nel mondo; altrove,invece, a tale cura provvedono co-munità organizzate, cioè parrocchiemaronite, che dipendono dall’ordi-nario locale, che poi è quello latino;infine ci sono comunità senza sacer-doti. Quindi è nostro compito prov-vedere a livello pastorale: inviare sa-cerdoti, religiosi e religiose e, doveci sono comunità organizzate, prov-vedere alle diocesi. Ma il legame tragli emigrati e la madrepatria è man-tenuto anche a livello ecclesiale e disocietà civile, attraverso le tante or-

ganizzazioni che conservano vitalitali rapporti. Un aspetto rilevante diquesto legame è il mantenimentodella cittadinanza libanese da partedei discendenti di famiglie maronite.È importante perché, in un sistemapolitico come quello libanese, fon-dato sulla demografia, consente aicristiani di mantenere immutato illoro numero e, conseguentemente,il loro peso politico. Si tenga contoche il nostro sistema politico vedeuna partecipazione paritetica allagestione della cosa pubblica di cri-stiani e musulmani, in quanto la po-polazione è composta per metà dacristiani e per metà da musulmani:se i numeri dovessero mutare mol-to, cambierebbe anche tale equili-brio. Ma il legame con i nostri emi-grati è importante anche perché ilLibano rappresenta per i maroniti laloro patria spirituale, le loro tradizio-ni, la loro storia. Inoltre tale legamepermette agli emigrati di sostenereeconomicamente le famiglie rima-ste in patria e anche la “causa” liba-nese. Infine la diaspora può faremolto a livello di progetti di sviluppoe di progetti sociali.

Dopo la sua elezione, lei havoluto incontrare i quattro piùimportanti leader dei partitipolitici cristiani presenti in Li-bano...

In Libano adesso c’è una grandedivisione tra quello che si chiama il“Blocco del 14 marzo”, che vededei partiti cristiani alleati con i mu-sulmani sunniti (che hanno rapporticon Arabia Saudita, Egitto e StatiUniti), e il “Blocco dell’8 marzo”,che vede altri cristiani alleati con glisciiti ed Hezbollah, i quali, a lorovolta, hanno rapporti con Iran e Si-

30GIORNI N.4/5 - 2011

Medio Oriente

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I vari leader cristiani hanno parlato delle lorodiverse opzioni politiche e, pur ribadendo le proprie posizioni, sono arrivati allaconclusione che le loro visioni politiche sono complementari e non in conflitto. La molteplicità di opzioni politiche, piuttostoche causa di scontri, può invece essere una ricchezza e garanzia di democrazia

Il patriarca Béchara Raï, al centro dellafoto, e, da sinistra: Amin Gemayel, leader delle Falangi libanesi; Samir Geagea,leader del partito Forze libanesi; Michel Aoun, ex generale ed ex primoministro libanese, leader del Liberomovimento patriottico libanese, la formazione politica maronita alleata di Hezbollah; Suleiman Franjieh, figlio del premier assassinato nel 1978,oggi parlamentare e leader del movimento Marada, in occasione di un incontro, presso il Patriarcato, tra i capi storici dei principali partitipolitici cristiani, il 19 aprile 2011

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ria. Ciò crea tensione, anche per-ché tra sciiti e sunniti c’è grandeconflittualità. Questa situazione hacreato distanze anche tra cristiani,tanto che i leader politici cristianinon riuscivano a incontrarsi. Cosìho organizzato questo incontro alPatriarcato nella speranza di favori-re una distensione nei rapporti tracristiani e, di conseguenza, anchenella nazione. Ed è quello che è suc-cesso. I vari leader cristiani hannoparlato delle loro diverse opzionipolitiche e, pur ribadendo le pro-prie posizioni, sono arrivati allaconclusione che le loro visioni poli-tiche sono complementari e non inconflitto. La molteplicità di opzionipolitiche, piuttosto che causa discontri, può invece essere una ric-chezza e garanzia di democrazia.Nell’incontro si è registrata una bel-la intesa, che ha creato distensionea livello pubblico. Ora, dopo che si èrotto il ghiaccio, gli incontri tra poli-tici cristiani proseguiranno, ma piùallargati, per ampliare le basi deldialogo. Oltre a questo incontro, alPatriarcato si è tenuto un vertice tradiversi capi religiosi, musulmani ecristiani. Ad esso ha fatto seguitouna dichiarazione comune sui prin-cipi e i fondamenti della nazione neiquali tutti i libanesi, al di là della lororeligione, si riconoscono, e sul fatto

che la politica, in quanto tale, deveessere lasciata ai politici. Credo chetutto questo possa dare nuovo im-pulso all’unità del Paese. Spero, in-fine, che presto si possano realizza-re incontri tra politici musulmani ecristiani, nell’ambito dei quali con-frontarsi sui temi più caldi della vitasociale e politica del Paese.

Quindi il problema non ètanto creare un unico partitopolitico dei cristiani, quantocercare un’intesa tra i varipartiti.

Il Libano è un Paese democrati-co e pluralista, quindi ben venganodiversità di opinioni e di vedute.Però ci sono due cose che ci unisco-no: i fondamenti della nazione e icomuni obiettivi. Il Libano si fondasu alcuni principi politici che, fin dal-la nascita dello Stato, ne costituisco-no una costante mai venuta meno:cioè che il Libano è un Paese demo-cratico, parlamentare, basato sullaconvivenza tra musulmani e cristia-ni, sui diritti dell’uomo, sulla libertà,sul patto nazionale che vede cristia-ni e musulmani partecipare in ma-niera egualitaria alla gestione dellacosa pubblica. Questi sono i fonda-menti del nostro Paese, indispensa-bili proprio per la natura della nostranazione: perché in Libano, data lapresenza storica di cristiani e islami-

ci, esistono due tradizioni diverse,due culture diverse e via dicendo.Per quanto riguarda gli obiettivi co-muni, invece, s’intende: come con-servare il Libano come entità stata-le, come conservare la sua identità ecome agire per il bene comune e,per quanto riguarda in particolare icristiani, come conservare la loropresenza nel nostro Paese. Per pre-servare i principi fondamentali delnostro Stato e per raggiungere taliobiettivi non si tratta di unificare levarie opzioni politiche, anzi. Si diceche «tutte le strade portano a Ro-ma»: ben vengano le diversità di opi-nioni, di scelte politiche, di alleanzeperché non c’è una fazione politicache possa pretendere di essere quel-la “vera”, tutte hanno un aspetto diverità. Il nostro compito è quello difavorire questo approccio costrutti-vo e non conflittuale.

Come si rapporterà il pa-triarca con Hezbollah?

In passato esisteva una Commis-sione in cui il Patriarcato ed Hezbol-lah dialogavano sui problemi delPaese, ma questo confronto profi-cuo si è fermato. Quando, dopo lamia elezione, una delegazione diHezbollah è venuta a rendereomaggio al nuovo patriarca, ho det-to loro che si doveva riprendere ildialogo, in particolare attraverso il

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Intervista con il patriarca di Antiochia dei Maroniti

Da sinistra, il muftì sunnita Mohammed Rashid Qabbani, il patriarca Béchara Raï, il muftì sciita Abdel Amir Kabalan e il muftì druso Naim Hassan in occasione del vertice tra capi religiosi cristiani e musulmani organizzato dal Patriarcato a Bkerké, il 12 maggio 2011

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ripristino di questa Commissione,perché non possiamo lasciarlo ca-dere nel vuoto. I conflitti tra uomini,tra gruppi nascono da incompren-sioni o pregiudizi. Non è che dob-biamo dialogare su tutte le scelte po-litiche, però ci si può provare a chia-rire su molti punti. In passato, ri-guardo a Hezbollah, c’è stato il pro-blema della natura di questo partitoperché, in particolare, c’era chi nonaccettava che possedesse delle ar-mi. Oggi, però, tale discussione si èesaurita, perché sterile. Adesso siparla di strategia comune di difesa,cioè di come il Libano debba orga-nizzare il possesso e l’uso delle armi.Non è accettabile il fatto che Hez-bollah possa usare le armi quandovuole, possa dichiarare guerra otrattare la pace con Israele senzanessun rapporto con il governo delPaese. Si parla allora di una strate-gia di difesa che riguarda insieme loStato, Hezbollah, l’esercito regola-re, le milizie di Hezbollah e così via.Non siamo ancora arrivati a un chia-rimento sul punto, però il concetto èstato accettato un po’ da tutti. Alcontrario, invece, è stata rifiutata alcento per cento la tesi secondo laquale Hezbollah dovrebbe conse-gnare le armi. È una richiesta chenon può essere accettata e, tra l’al-tro, rende critico il rapporto conHezbollah. Dobbiamo confrontarci,

anche per ottenere garanzie sul fat-to che Hezbollah non usi le armi sulpiano interno, per rivalersi sui pro-pri avversari politici, né dichiariguerra a Israele a prescindere daogni riferimento al legittimo poterelibanese. Non è accettabile uno Sta-to dentro lo Stato. Sono temi chesintetizziamo con l’espressione“strategia comune di difesa”.

Più volte ha parlato del-l’importanza della convivenzatra cristiani e musulmani inLibano...

La convivenza nel nostro Paeseè stata sancita con il Patto naziona-le del ’43, quando musulmani e cri-stiani hanno espresso due negazio-ni: no all’Oriente e no all’Occiden-te. Vuol dire che i musulmani liba-nesi non possono lavorare a unprocesso di integrazione con la Si-ria o con qualsiasi altro Paese ara-bo a regime islamico, né i cristianicon l’Occidente e, nello specifico,con la Francia. Allo stesso tempo imusulmani hanno rinunciato aogni pretesa riguardo alla possibi-lità di instaurare una teocrazia isla-mica mentre i cristiani, a loro vol-ta, hanno rinunciato al laicismo distampo occidentale. Così in Liba-no si è costruito uno Stato che èuna via di mezzo tra la teocraziaorientale e i regimi secolarizzati oc-cidentali. È un Paese civile, che ri-

spetta la dimensione religiosa ditutti i cittadini; non può essere im-posto un sistema teocratico, néuna religione di Stato. La convi-venza tra cristiani e musulmani èstabilita dalla Costituzione, la qualeafferma, all’articolo 9, che il Liba-no è un grande omaggio a Dio, ri-spetta tutte le religioni, riconosce iloro statuti, garantisce la libertà re-ligiosa e la pratica religiosa di tutti.Lo Stato libanese non legifera inmaterie che riguardano la religio-ne, in materia di matrimonio o al-tro, come invece accade in Occi-dente dove si fanno leggi in contra-sto con la legge naturale: ad esem-pio, quella sui matrimoni tra perso-ne dello stesso sesso. In queste ma-terie le diverse comunità religiosehanno una loro autonomia legisla-tiva.

Reputa che il Libano sia unesempio virtuoso di conviven-za anche a livello internazio-nale?

Certo. Vediamo che in Occiden-te la religione è messa da parte equesto l’islam non può accettarlo.D’altro canto vediamo come nelmondo orientale si siano instauratisistemi politici in cui la religione haun’importanza fondamentale, machiusi. E ciò riguarda sia i Paesi isla-mici che Israele. In Libano, invece,c’è uno Stato democratico, plurali-

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A sinistra, un ragazzo sotto la statua della Vergine Maria nel santuario di Harissa; a destra, fedeli durante la santa messa domenicale nella chiesa di San Giorgio, nel villaggio di Qoleia

edio Oriente

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sta, che rispetta la dimensione reli-giosa di tutti i cittadini e i diritti del-l’uomo. È la bellezza del nostro Pae-se, che ha fatto affermare a Giovan-ni Paolo II che il Libano più che unanazione è un messaggio e un esem-pio, un esempio virtuoso per l’O-riente rispetto ai regimi fondati sullareligione, e per l’Occidente rispettoa sistemi politici informati alla seco-larizzazione.

Qual è la sua opinione suimovimenti di rivolta che sistanno propagando nei Paesiarabi e che, tra l’altro, toccanoun Paese, come la Siria, moltoimportante per il Libano?

Il problema è complesso. In Siriagoverna una minoranza alawita,mentre la grande maggioranza dei

musulmani siriani è sunnita. I sunni-ti, che non sono affatto fondamen-talisti, governavano il Paese primache arrivassero gli Assad e ora chie-dono riforme... In Egitto invece cisono i Fratelli musulmani che pos-sono dare un’impronta fondamen-talista al nuovo corso politico. Biso-gna considerare che l’islam è dila-niato da diversi conflitti: tra sciiti esunniti in Iraq e altrove, tra alawiti esunniti in Siria in altri Paesi. Non sodove porterà tutto questo, ma èpreoccupante: c’è il pericolo che inqualcuno di questi Stati s’instauri unregime islamico fondamentalista oun regime dittatoriale peggiore deiprecedenti; oppure che si giunga al-la partizione di questa regione inpiccoli Stati confessionali, secondo

quello che alcuni osservatori inter-nazionali chiamano “progetto perun nuovo Medio Oriente”. Il futuroè incerto. Noi auspichiamo chequesti Paesi trovino la pace nel ri-spetto dei diritti umani dei popoli,perché sappiamo che quelli che so-no stati messi in discussione sonoregimi di impronta dittatoriale, neiquali vigono un sistema politico-reli-gioso chiuso e il partito unico. SonoPaesi con grandi risorse, ma le cuiricchezze non sono distribuite e incui la gente è molto povera. Tuttequeste rivolte, queste manifestazio-ni di massa sono state condotte, ge-neralmente, senza armi, con Face-book: è gente che reclama i propridiritti e libertà. Alcuni Paesi hannofatto le riforme, altri non le han-

Intervista con il patriarca di Antiochia dei Maroniti

In passato, riguardo a Hezbollah, c’è stato il problema della natura di questo partito perché, in particolare, c’era chi non accettava che possedesse delle armi. Oggi, però, tale discussione si è esaurita,perché sterile. Adesso si parla di strategia comune di difesa, cioè di come il Libano debba organizzare il possesso e l’uso delle armi

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I sostenitori di Hezbollah manifestano a Beirut il 19 marzo 2011 in favore delle sollevazioni popolari contro i regimi di Egitto, Tunisia, Yemen, Libia e Bahrein

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no fatte. Dove non si è trovata unarisposta positiva alle attese dellagente, la situazione va peggiorandoe questo ci preoccupa sempre dipiù, anche perché questa crisi si ri-percuote molto negativamente sullecomunità cristiane, com’è avvenutoin Iraq, perché purtroppo a subire leconseguenze di certe situazioni so-no i cristiani. Siamo molto preoccu-pati anche per il Libano, che si tro-va in questo ambito e risente di tuttequeste crisi. Noi ci rivolgiamo allacomunità internazionale perchéaiuti questi popoli.

L’ultima domanda riguardala pace tra Israele e Palestina…

All’origine di tutte le crisi e ditutti i problemi del Medio Orientec’è il conflitto israelo-palestinese.

È il “peccato originale”, la matri-ce che nutre tutte le crisi della no-stra regione. Purtroppo la comu-nità internazionale non sta agen-do come dovrebbe: bisogna appli-care le risoluzioni del Consiglio disicurezza, a cominciare da quellache prevede il ritorno dei profu-ghi nella propria terra. L’Onu èstata creata per favorire la pacenel mondo e invece non fa nulla,perché, purtroppo, è ostaggiodelle grandi potenze. I palestinesidevono avere il loro Stato e i pro-fughi devono poter far ritorno allapropria terra. Il Libano ospitamezzo milione di profughi su untotale di quattro milioni di abitan-ti, un numero esorbitante... Unapresenza che costituisce un pro-

blema per la sicurezza, dal mo-mento che hanno armi e le usanoal di fuori di ogni controllo, maanche un dramma politico e so-ciale. I conflitti che hanno tor-mentato il Libano, dal ’75 fino adoggi, sono stati causati dalla pre-senza di questi profughi, che pre-mono per tornare nelle loro terre.Se si risolvesse questo conflittoanche Hezbollah perderebbe lasua ragion d’essere... È che legrandi potenze giocano sulla sor-te dei popoli. Basta vedere quelche è successo in Iraq, dove si èintervenuti, si è detto, per instau-rare la democrazia e, in un decen-nio, sono state uccise più personedi quante ne abbia mai ucciseSaddam Hussein... q

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Medio Oriente

All’origine di tutte le crisi e di tutti i problemi del Medio Oriente c’è il conflitto israelo-palestinese. È il “peccato originale”, la matrice che nutre tutte le crisi della nostra regione. Purtroppo la comunitàinternazionale non sta agendo come dovrebbe: bisogna applicare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, a cominciare da quella che prevede il ritorno dei profughi nella propria terra

Palestinesi nel campo profughi di Ein el-Hilweh, alla periferia della città di Sidone, in Libano

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Spicchi Spicchi SpicchChiesa/1Etchegaray, papa Benedetto XVI e i nuovi inizi del cristianesimo

«Di papa Benedetto si ha tal-volta la sensazione di cono-scere tutto, a partire dallasua enorme e densa produ-zione teologica. Ma a dire ilvero si comincia appena ascoprirlo, o piuttosto a sco-prire cos’è un Papa nell’e-sercizio della sua funzionepastorale, nel senso che èun pastore che guida il suogregge soprattutto nelletempeste. Eletto Papa, Be-nedetto è diventato parro-co; la Chiesa ha scoperto unpastore e non solo un teolo-go, e il mondo un suo irri-nunciabile punto di riferi-mento [...]. Sì, proprio così.Non ha forse esordito defi-nendosi un “operaio nellavigna del Signore”? La suaomelia della Domenica dellePalme è stata, in questo sen-so, esemplare: ha parlatodell’umiltà di Dio, che hascelto la via della Croce permanifestare in forma estre-ma il suo amore. Il pontifica-to di papa Benedetto va perqueste strade». Così il cardi-nale Roger Etchegaray suAvvenire del 19 aprile. Pro-

segue il porporato: «Nellaconversazione con PeterSeewald, c’è un passaggiofondamentale: “Il Papa vuo-le oggi che la sua Chiesa sisottometta a una purifica-zione fondamentale... Sitratta di far vedere Dio agliuomini, di dire loro la verità.La verità sui misteri dellaCreazione. La verità sull’esi-stenza umana. E la veritàsulla nostra speranza, al di làdella sola nostra vita terre-na” [...] Tutto potrebbe sin-tetizzarsi in questo pensiero:“il cristianesimo è in peren-ne stato di nuovo inizio”».

Chiesa/2Bartolomeo I, le calamità naturali ele perversità spirituali

«Le distruzioni della naturaprovocate dai terremoti edalle onde oceaniche, insie-me con la minaccia di deva-stazione proveniente daun’esplosione nucleare, allostesso modo dei sacrificiumani derivanti dai conflittimilitari e dalle azioni terrori-stiche, rivelano che il mon-do vive un terribile tormentoe angoscia per la pressionedelle forze naturali e spiri-tuali del male [...]. Cionono-

stante, la risurrezione di Cri-sto è veramente reale e ga-rantisce al fedele cristiano lacertezza, e al resto dell’uma-nità la possibilità, di trascen-dere le conseguenze avversedelle calamità naturali e del-la perversità spirituale». È unpassaggio dell’omelia dellanotte di Pasqua di sua san-tità Bartolomeo I, patriarcaecumenico di Costantino-poli, riportata su Avveniredel 26 aprile scorso.

Sacro CollegioLa morte dei cardinali Saldarinie García-Gasco

Il 18 aprile, a 86 anni, è ve-nuto a mancare il cardinaleGiovanni Saldarini, arcive-scovo di Torino dal 1989 al1999. Il 1° maggio è poimorto il porporato spagno-lo Vicente Agustín García-Gasco, 80 anni, dal 1992 al2009 arcivescovo di Valen-cia. Al 31 maggio – dopoche hanno compiuto 80 an-ni i cardinali Bernard Pana-fieu (il 26 gennaio), RicardoJ. Vidal (il 6 febbraio), Ca-millo Ruini (il 19 febbraio),William H. Keeler (il 4 mar-zo) e Sergio Sebastiani (l’11aprile) – il Sacro Collegio ri-sulta composto da 198 por-porati di cui 115 elettori.

Santa SedeFiloni prefetto di Propaganda Fide e Becciu sostituto alla Segreteria di Stato

Il 10 maggio l’arcivescovopugliese Fernando Filoni, 65anni, è stato nominato pre-fetto della Congregazioneper l’Evangelizzazione deipopoli in sostituzione del car-dinale indiano Ivan Dias cheha compiuto 75 anni. Sacer-dote dal 1970 nella diocesi di

Nardò, è entrato nel serviziodiplomatico vaticano nel1981 e nel 2001 è stato elet-to arcivescovo e nunzio apo-stolico in Giordania e Iraq. Di-ventato nunzio nelle Filippinenel 2006, dal 2007 era sosti-tuto per gli Affari generali del-la Segreteria di Stato. In que-sto ultimo incarico, sempre il10 maggio, è stato nominatol’arcivescovo sardo GiovanniAngelo Becciu, 63 anni, dal1972 sacerdote nella diocesidi Ozieri. Entrato nel serviziodiplomatico vaticano nel1984, nel 2001 Becciu è sta-to eletto arcivescovo e nunzioapostolico in Angola. Dal2009 era rappresentantepontificio a Cuba.

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Bartolomeo I

Fernando Filoni

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hi Spicchi Spicchi SpicchiMedio Oriente/1Peres, l’accordo tra Hamas e Fatah e la pace tra israelianie palestinesi

Per Shimon Peres negoziarecon Hamas è possibile. Inuna serie di interviste rilascia-te alla stampa israeliana, ilcapo dello Stato ebraico hacommentato l’accordo fir-mato il 4 maggio scorso alCairo tra i due principali par-titi palestinesi: Hamas, chegoverna a Gaza ed è indicatodagli israeliani come un’or-ganizzazione terroristica, eFatah, al potere in Cisgiorda-nia. «Se vogliono unirsi, chesi uniscano. Quando iniziai anegoziare con Arafat», ha ri-cordato Peres, «tutti mi dice-vano: “Non c’è speranza”.Oggi lo stesso vale per Ha-mas. Il nome non mi interes-sa, contano i contenuti. Tut-to può succedere». È meglioperò che le trattative avven-gano lontano dai riflettori: «Inpubblico ciascuna parte devedimostrare alla sua gente diessere forte e aggressiva, manel loro cuore i leader sannoche non c’è alternativa allapace. Per questo dobbiamotenere distinte le apparenzedal potenziale nascosto».

Medio Oriente/2La fine dell’embargo a Gaza e la politicadegli Stati Uniti

«Gaza, la striscia palestinesedei senza terra, da ieri non èpiù una prigione. Dopoquattro anni il passaggio diRafah, al confine con l’Egit-to, è stato riaperto. Il Cairodi Hosni Mubarak l’avevachiuso come ritorsione allarivolta dei fondamentalisti diHamas contro l’Anp del pre-sidente laico Abu Mazen. Ieri

la giunta militare egiziana,nata dalla cosiddetta “prima-vera araba”, ha deciso dicancellare il divieto». Questol’inizio di un articolo apparsosul Corriere della Sera del29 maggio, che si conclude-va così : «È anche chiaro cheil segnale di Gaza si coniugacon quella spinta internazio-nale, guidata da Obama, perpoter giungere ai due Stati,Israele e Palestina, che viva-no in pace e sicurezza».

Mediterraneo/1Bettiza e la guerraneocolonialista in Libia

«Comunque vadano a finirele cose, la storia non potrànon ricordare la pessima riu-scita dell’intervento neocolo-nialista in Libia, ammantatadalla fraseologia del Tigellinobuonista dell’Eliseo, Ber-nard-Henri Lévy, gran stimo-latore in ogni senso di “bom-be umanitarie”. Già il prece-dente intervento franco-bri-tannico a Suez nel 1956 erastato controproducente,rafforzando il panarabistaNasser, fornendo a Kruscevun ottimo alibi per stroncare

in parallelo con le armi la ri-voluzione ungherese e favo-rendo in sostanza l’insedia-mento sovietico nel MedioOriente». Così l’editorialedella Stampa dell’11 aprile,firmato da Enzo Bettiza.

Mediterraneo/2Todorov: la guerra in Libia, il messianismopolitico e il peccatooriginale

«Credo che purtroppo laguerra abbia una sua logicainterna, che le impedisce direstare così circoscritta e chi-rurgica come sostiene chi lapropone. Prima del 19 mar-zo le truppe di Gheddafi sta-vano per eseguire un massa-cro a Bengasi, ci ha ripetutoil presidente Sarkozy perconvincere l’Occidente a in-tervenire. Sono stati alloralegittimi i primi bombarda-menti, quelli che hanno fer-mato l’avanzata del regime.Ma poi l’intervento pseudo-umanitario si è trasformatoin un’altra cosa». Così il filo-sofo Tzvetan Todorov sulCorriere della Sera del

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Shimon Peres e Giorgio Napolitano a Gerusalemme il 15 maggio

2011. Il presidente della Repubblica Italiana ha ricevuto

il premio Dan David

«La morte di Osama binLaden, per alcuni versi, ri-porta la memoria a ses-sant’anni fa, a un uomoasserragliato in un bunkertra le macerie della Berli-no in sfacelo. Adolf Hitlerpose fine alla propria vitail 30 aprile 1945 e l’an-nuncio della sua fine ven-ne dato il primo maggio.Anche la morte di Bin La-den è stata annunciata unprimo maggio». Dal laStampa del 3 maggio.

MONDOLa morte di bin Laden e quella di Hitler

continua a pag 45

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ITALIA/2Napolitano, Obama e “il momento di opportunità”

«L’Europa deve guardare in faccia a nuove realtà e nuovesfide e deve dimostrare di essere capace di far fronte alleproprie responsabilità in un mondo globalizzato. Tra taliresponsabilità, vi sono quelle che sorgono dagli avveni-menti di portata rivoluzionaria che hanno investito NordAfrica e Medio Oriente. E a questo proposito stimoli im-portanti, e seri interrogativi, ci sono stati posti dal recenteaddress del presidente Obama “A Moment of Opportu-nity”, e dal suo discorso qui stasera. È essenziale che comeeuropei anche noi vediamo nei cambiamenti in Africa e inMedio Oriente “un momento di opportunità”, non sem-plicemente una fonte di incertezze e preoccupazioni». Co-sì il presidente della Repubblica Italiana in riferimento a unincontro con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama,avvenuto a margine del summit dei capi di Stato dell’Euro-pa centrale che si è tenuto a Varsavia. Le parole del presi-dente Napolitano sono state riportate dal Corriere dellaSera del 28 maggio.

Pisapia, da studente, affascinato da don Giussani. È iltitolo di un piccolo articolo del 14 maggio apparso sullacronaca di Milano del Corriere della Sera. Nell’articolo, ilnuovo sindaco di Milano racconta del suo rapporto condon Giussani, suo insegnante di religione al liceo Berchet;in particolare dei pranzi a casa con il sacerdote ambrosia-no, ai tempi del liceo, tutti intorno al tavolo con la mam-ma, il papà e gli altri (sei) fratelli «a parlare di Dio, del mon-do, del ruolo che ognuno di noi avrebbe avuto».

Del rapporto con don Giussani, Pisapia aveva parlatoanche in un’altra intervista, rilasciata a Giuseppe Frangiper il settimanale Vita, il 28 febbraio del 2005, a comin-ciare dal primo, sorprendente, incontro: «Entrò in classe eci chiese se ritenevamo giusto che un genitore cattolicoeducasse i propri figli secondo quei principi. Uno di noi glirigirò la domanda: lei ritiene giusto che un genitore comu-nista educhi il proprio figlio secondo i principi in cui crede?Don Giussani non ebbe un attimo di esitazione. E rispose

di sì». Da allora, prosegue Pisapia nell’intervista su Vita,iniziò a frequentare il sacerdote e il gruppo di ragazzi chegli ruotava attorno: «Ogni domenica andavamo nella Bas-sa milanese, una zona economicamente depressa. Nellecascine facevamo vita di condivisione, si mangiava e si gio-cava. Poi parlavamo anche di fede, ma senza nessuna pre-tesa di indottrinamento [...]. Don Giussani aveva una cari-ca umana enorme. E bandiva tutte le formalità. La sua for-za era il dialogo. Voleva che fossimo noi stessi, che avessi-mo il coraggio di difendere il nostro pensiero, anche se eracontrario al suo. Non partiva mai dai dogmi, come faceva-no gli altri preti. Ci voleva liberi. Così con lui potevamoparlare di tutto, anche di questioni nostre che non c’entra-vano con la fede». La strada del giovane avrebbe preso poialtre direzioni: il ’68, l’impegno nella politica, in particola-re nella sinistra italiana. Eppure Pisapia annette a quell’in-contro giovanile un’importanza fondamentale, come rico-nosce sempre nell’intervista a Giuseppe Frangi: «SenzaGiussani non so se avrei capito il senso di stare dalla partedei deboli. E poi mi ha insegnato che l’esperienza conta dipiù di qualsiasi lettura. È un valore che ho ritrovato nella si-nistra. Ma la pri-ma volta che mi fuchiara fu in queicortili della Bassamilanese».

Don Luigi Giussani

Giorgio Napolitano e Barack Obama a Varsavia, il 27 maggio 2011

ITALIA/1Pisapia e don Giussani

Giuliano Pisapia

mentre vota

al liceo Berchet,

per le recenti

amministrative,

Milano,

29 maggio 2011

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12 aprile, che aggiunge:«Siamo davanti a una nuovafase di messianismo politico.La prima è, appunto, quellanapoleonica, dipinta daGoya. La seconda ondatamessianica è stata quella delcomunismo [...]. E ora assi-stiamo a un terzo risvegliodel messianismo politico: laprima guerra del Golfo è sta-ta un rodaggio, l’interventodel Kosovo, senza mandatodell’Onu, la prova generale,ed ecco poi Afghanistan,Iraq». E, alla domanda se siapossibile un no assoluto allaguerra, risponde: «No, e noncredo sarebbe un bene.L’ambizione di estirpare to-talmente il Male sarebbe an-cora più dannosa: è la funzio-ne del peccato originale di ri-cordarci, come diceva Ro-main Gary, che esiste una“parte inumana dell’uma-nità”. Dobbiamo però cerca-re di limitare al massimo leguerre non inevitabili. Comequella in Libia, per esempio».

EuropaPatten, la crisidell’Unione europea e la Turchia

Una lucida analisi sulla situa-zione dell’Unione europea èapparsa sulla Stampa del 5aprile, in un articolo a firmadi Chris Patten, ex governa-tore bri tannico di HongKong, ex commissario euro-peo per gli Affari esteri erettore dell’Università diOxford. A tema la fragilitàdell’Unione europea nelcontesto politico internazio-nale. Come rispondere a ta-le crisi, si chiede Patten?«Per me la risposta», si leggenell’articolo, «si trova inTurchia. Un’Europa con laTurchia come membroavrebbe naturalmente un’e-conomia più dinamica. LaTurchia è un riferimentoenergetico regionale. Ha

peso e rispetto nella propriaregione grazie a formidabiliforze di combattimento. E,soprattutto, la Turchia è og-gi un modello per altre so-cietà islamiche che cercanodi fare i conti con la demo-crazia, le libertà civili, lo Sta-to di diritto, un’economiaaperta, il pluralismo e la reli-gione. In qualità di membrodell’Ue, la Turchia dovrebbeaggiungere una nuova di-mensione di enorme impor-tanza storica. Gli europei di-mostrerebbero che è possi-bile abbracciare una demo-crazia islamica e costruireun solido ponte tra Europa eAsia occidentale. Questo, asua volta, potrebbe creareuna nuova identità e imma-gine europea, dare all’Ue unnuovo motivo per esistere in

questo secolo, un modo direspingere la politica di divi-sione del vecchio».

RussiaPutin cita san Francesco

In un intervento pubblico, ilpremier russo Vladimir Putinha dichiarato che non è anco-ra giunto il momento di can-didarsi per le prossime elezio-ni presidenziali, né per lui néper l’attuale presidente dellaFederazione Russa DmitrijMedvedev, perché, ha spie-gato, «se noi ora daremo deisegnali sbagliati, metà del-l’amministrazione e più dimetà del governo smetteran-no di lavorare in attesa deicambiamenti». Invece, ha ag-

giunto, «tutti sul loro postoconcreto devono, come face-va san Francesco, zappareogni giorno il proprio orticel-lo». Le dichiarazioni di Putinsono state riportate da Avve-nire del 14 aprile.

ItaliaNomine a Orvieto,Vigevano, Nocera,Catanzaro, Vicenza,Nuoro e Vallo

Il 5 marzo il Papa ha accetta-to la rinuncia al governo pa-storale della diocesi di Orvie-to-Todi (Italia), presentatadall’agostiniano GiovanniScanavino, 72 anni da com-piere a dicembre, e ha nomi-nato amministratore aposto-lico ad nutum Sanctae Sedisdella medesima diocesi Gio-vanni Marra, 80 anni, arcive-scovo emerito di Messina.

Il 12 marzo BenedettoXVI ha accettato la rinuncia algoverno pastorale della dio-cesi di Vigevano (Italia), pre-sentata da monsignor Clau-dio Baggini, 75 anni ad ago-sto. Gli succede monsignorVincenzo Di Mauro, 60 annia dicembre, originario diMonza, dallo scorso novem-bre coadiutore con il titolo adpersonam di arcivescovo. ¬

Le bandiere della Turchia

e dell’Unione europea

davanti alla Moschea

Nur-u Osmaniye a Istanbul

Vladimir Putin

segue da pag. 43

Page 46: «Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo n 4-5... · In copertina: «Non lʼagnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo per la fede cristiana». Così don Luigi

Spicchi Spicchi SpiccIl 24 marzo il Papa ha ac-

cettato la rinuncia al governopastorale della diocesi di No-cera Inferiore-Sarno, pre-sentata da monsignor Gioac-chino Illiano, 76 anni a lu-glio. Gli subentra monsignorGiuseppe Giudice, 55 anni,ordinato sacerdote nel 1986per il clero della diocesi diTeggiano-Policastro, attual-mente parroco delle parroc-chie di Sant’Anna e diSant’Antonio da Padova, inSala Consilina, e direttoredell’Ufficio catechistico e del-l’Ufficio scuola della medesi-ma diocesi.

Il 25 marzo BenedettoXVI ha accettato la rinuncia algoverno pastorale dell’arci-diocesi di Catanzaro-Squilla-ce, presentata da monsignorAntonio Ciliberti, 76 anni.Prende il suo posto monsi-gnor Vincenzo Bertolone, 65anni, originario di San BiagioPlatani, provincia e arcidioce-si di Agrigento, ordinato sa-cerdote nel 1975, appartienealla congregazione dei Servidei Poveri. Membro dell’Isti-tuto internazionale del SantoVolto di Cristo, Bertolone dal1988 al 2001 è stato officialedella congregazione per i Re-l igiosi, divenendone nel2003 sottosegretario. Dalmarzo 2007 era vescovo diCassano allo Ionio.

Il 16 aprile BenedettoXVI ha nominato vescovo diVicenza monsignor Beniami-no Pizziol, 64 anni, sacerdo-te dal 1972, dal 2008 ausilia-re di Venezia.

Il 21 aprile il Papa ha no-minato vescovo di Nuoromonsignor Mosè Marcia, 68anni, sacerdote dal 1973, dal2006 ausiliare di Cagliari.

Il 7 maggio il Papa ha no-minato nuovo vescovo di Val-lo della Lucania monsignorCiro Miniero, 53 anni, delclero napoletano, sacerdotedal 1982, dal 1999 al 2008economo diocesano dell’ar-cidiocesi partenopea.

Curia romana/1Nomine al Consiglioper la Nuovaevangelizzazione.Carriquiry segretarioalla Cal

Il 13 maggio il Papa ha com-pletato l’organigramma delPontificio Consiglio per laPromozione della Nuovaevangelizzazione, l’organi-smo creato nel 2010 conpresidente l’arcivescovo Ri-no Fisichella, 60 anni; vice-presidente è stato nominatol’arcivescovo colombianoJosé Octavio Ruiz Arenas,66 anni, dal 2007 vicepresi-dente della Pontificia Com-

missione per l’America Lati-na, segretario il monsignorescozzese, ordinato sacerdo-te nella diocesi di Roma,Graham Bell, 47 anni, dal2009 coordinatore di segre-teria della Pontificia Accade-mia per la Vita.

Il 14 maggio il professorGuzmán Carriquiry, 67 anni,è stato nominato segretariodella Pontificia Commissioneper l’America Latina. Uru-guajano, sposato con quattrofigli e otto nipoti, Carriquiry èil primo laico a diventare se-gretario di un organismo del-la Curia romana. Dal 1991era sottosegretario del Ponti-ficio Consiglio per i Laici (fu ilprimo non chierico a rag-giungere questo incarico).

Curia romana/2Nuovo uditore della Rota Romana e nuovosottosegretario al clero

Il 9 maggio il francescanoDavid Maria Jaeger, nato aTel Aviv, in Israele, 56 annifa, sacerdote dal 1986, do-cente di Diritto canonico al-l’Antonianum di Roma, èstato nominato uditore dellaRota Romana. Gli ultimi dueuditori nominati erano stati,il 2 agosto 2010, monsi-gnor Giovanni Vaccarotto,veneto, 71 anni, e il france-scano Settimio Maroncelli,riminese, 68 anni.

Il 28 maggio monsignorAntonio Neri, 49 anni, sa-cerdote dal 1991 della dio-cesi di Molfetta, è stato no-minato sottosegretario allaCongregazione per il Clero.Dal 2008 era officiale nelmedesimo dicastero.

Diplomazia/1Nuovi nunzi apostoliciin Indonesia, Filippine,Ucraina, Svizzera e Macedonia

Il 23 marzo Benedetto XVIha nominato nunzio aposto-lico in Indonesia l’arcivesco-vo Antonio Guido Filipazzi.Il presule, 48 anni, origina-rio di Melzo (Milano) e ordi-nato prete dal cardinale Giu-seppe Siri nel 1987, era sta-to eletto titolare di Sutri l’8gennaio e consacrato vesco-vo il 5 febbraio da Benedet-to XVI. La destinazione diGiakarta è stata ufficializza-ta solo dopo che in Vaticanoè pervenuto il previsto gra-dimento formale del gover-no. Monsignor Filipazzi, nelservizio diplomatico dellaSanta Sede dal 1992, negliultimi sette anni curava an-che il “desk” Italia nella se-zione per i rapporti con gli

Stati della Segreteria di Sta-to. E in quest’ultimo incari-co gli è subentrato monsi-gnor Carlo Alberto Capella,44 anni, proveniente dalla“missione di studio” vatica-na di Hong Kong.

Il 10 maggio l’arcivesco-vo pugliese Giuseppe Pinto,59 anni, è stato nominatonunzio nelle Filippine. Dal2007 era rappresentantepontificio in Cile.

Il 21 maggio l’arcivesco-vo statunitense Thomas E.Gullickson, 61 anni, è statonominato nunzio in Ucrai-na. Dal 2004 era rappre-sentante in Trinidad e To-bago e in altri Stati delleAntille.

Il 28 maggio l’arcivesco-vo friulano Diego Causero,71 anni, è stato nominatonunzio in Svizzera. Dal2004 era rappresentantepontificio nella RepubblicaCeca.

Intanto il 4 maggio l’arci-vescovo polacco Janusz Bo-lonek, 72 anni, dal 2008nunzio in Bulgaria, è statonominato nunzio anche inMacedonia.

Diplomazia/2Nuovi ambasciatori di Croazia e Spagnapresso la Santa Sede

L’11 aprile il Papa ha rice-vuto le credenziali del nuovoambasciatore di Croaziapresso la Santa Sede. Sitratta di Filip Vucak, 60 an-ni, diplomatico di carriera,già rappresentante in Spa-gna dal 2003 al 2008.

Il 16 aprile è stata la vol-ta del nuovo ambasciatoredi Spagna, María Jesús FigaLópez-Palop, 60 anni, pri-ma donna a ricoprire questoincarico. Diplomatica di car-riera, negli ultimi quattro an-ni era stata sottosegretariodel Ministero degli AffariEsteri di Madrid. q

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Guzmán Carriquiry

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Messaggio Urbi et orbi di papa Benedetto XVI

PASQUA 2011

L’incredulità di san Tommaso, Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, Pinacoteca vaticana

La risurrezionedi Cristo

è un avvenimento50 30GIORNI N.4/5 - 2011

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La risurrezione di Cristo non è il frutto di una speculazione, di un’esperienza mistica:

è un avvenimento, che certamente oltrepassa la storia, ma che avviene in un momento preciso della storia

e lascia in essa un’impronta indelebile

«In resurrectione tua, Christe, caeli etterra laetentur / Nella tua risurrezione, oCristo, gioiscano i cieli e la terra» (LiturgiaHorarum).

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondointero!

Il mattino di Pasqua ci ha riportato l’annun-cio antico e sempre nuovo: Cristo è risorto!L’eco di questo avvenimento, partita da Ge-rusalemme venti secoli fa, continua a risuona-re nella Chiesa, che porta viva nel cuore la fe-de vibrante di Maria, la Madre di Gesù, la fededi Maddalena e delle altre donne, che per pri-me videro il sepolcro vuoto, la fede di Pietro edegli altri Apostoli.

Fino ad oggi – anche nella nostra era dicomunicazioni ultratecnologiche – la fededei cristiani si basa su quell’annuncio, sullatestimonianza di quelle sorelle e di quei fra-telli che hanno visto prima il masso rovescia-to e la tomba vuota, poi i misteriosi mes- Benedetto XVI

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saggeri i quali attestavano che Gesù, il Cro-cifisso, era risorto; quindi Lui stesso, il Mae-stro e Signore, vivo e tangibile, apparso aMaria di Magdala, ai due discepoli di Em-maus, infine a tutti gli undici, riuniti nel Ce-nacolo (cfr. Mc 16, 9-14).

La risurrezione di Cristo non è il frutto diuna speculazione, di un’esperienza mistica:è un avvenimento, che certamente oltre-passa la storia, ma che avviene in un mo-mento preciso della storia e lascia in essaun’impronta indelebile. La luce che abba-gliò le guardie poste a vigilare il sepolcro diGesù ha attraversato il tempo e lo spazio. Èuna luce diversa, divina, che ha squarciatole tenebre della morte e ha portato nel mon-do lo splendore di Dio, lo splendore dellaVerità e del Bene.

Come i raggi del sole, a primavera, fannospuntare e schiudere le gemme sui rami de-gli alberi, così l’irradiazione che promanadalla Risurrezione di Cristo dà forza e signi-ficato a ogni speranza umana, a ogni attesa,desiderio, progetto. Per questo il cosmo in-tero oggi gioisce, coinvolto nella primaveradell’umanità, che si fa interprete del mutoinno di lode del creato. L’alleluia pasquale,che risuona nella Chiesa pellegrina nelmondo, esprime l’esultanza silenziosa del-l’universo, e soprattutto l’anelito di ognianima umana sinceramente aperta a Dio,anzi, riconoscente per la sua infinita bontà,bellezza e verità.

«Nella tua risurrezione, o Cristo, gioisca-no i cieli e la terra». A questo invito alla lode,che si leva oggi dal cuore della Chiesa, i “cie-li” rispondono pienamente: le schiere degli

angeli, dei santi e dei beati si uniscono una-nimi alla nostra esultanza. In Cielo tutto èpace e letizia. Ma non è così, purtroppo, sul-la terra! Qui, in questo nostro mondo, l’alle-luia pasquale contrasta ancora con i lamentie le grida che provengono da tante situazio-ni dolorose: miseria, fame, malattie, guerre,violenze. Eppure, proprio per questo Cristoè morto ed è risorto! È morto anche a causadei nostri peccati di oggi, ed è risorto ancheper la redenzione della nostra storia di oggi.Perciò, questo mio messaggio vuole rag-giungere tutti e, come annuncio profetico,soprattutto i popoli e le comunità che stan-no soffrendo un’ora di passione, perché Cri-sto Risorto apra loro la via della libertà, dellagiustizia e della pace.

Possa gioire la Terra che, per prima, è sta-ta inondata dalla luce del Risorto. Il fulgore diCristo raggiunga anche i Popoli del MedioOriente, affinché la luce della pace e della di-gnità umana vinca le tenebre della divisione,dell’odio e delle violenze. In Libia la diplo-mazia e il dialogo prendano il posto delle ar-mi e si favorisca, nell’attuale situazione con-flittuale, l’accesso dei soccorsi umanitari aquanti soffrono le conseguenze dello scon-tro. Nei Paesi dell’Africa settentrionale e delMedio Oriente, tutti i cittadini – e in partico-lare i giovani – si adoperino per promuovereil bene comune e per costruire società, dovela povertà sia sconfitta e ogni scelta politicarisulti ispirata dal rispetto per la personaumana. Ai tanti profughi e ai rifugiati, cheprovengono da vari Paesi africani e sonostati costretti a lasciare gli affetti più cari arri-vi la solidarietà di tutti; gli uomini di buona

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PASQUA 2011

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volontà siano illuminati ad aprire il cuore al-l’accoglienza, affinché in modo solidale econcertato si possa venire incontro alle ne-cessità impellenti di tanti fratelli; a quanti siprodigano in generosi sforzi e offrono esem-plari testimonianze in questa direzione giun-ga il nostro conforto e apprezzamento.

Possa ricomporsi la civile convivenza trale popolazioni della Costa d’Avorio, dove èurgente intraprendere un cammino di ri-conciliazione e di perdono per curare leprofonde ferite provocate dalle recenti vio-lenze. Possano trovare consolazione e spe-ranza la terra del Giappone, mentre affron-ta le drammatiche conseguenze del recenteterremoto, e i Paesi che nei mesi scorsi so-no stati provati da calamità naturali chehanno seminato dolore e angoscia.

Gioiscano i cieli e la terra per la testimo-nianza di quanti soffrono contraddizioni,

Fino ad oggi – anche nella nostra era di comunicazioniultratecnologiche – la fede dei cristiani si basa su quell’annuncio, sulla testimonianza di quelle sorelle e di quei fratelli che hanno visto prima il masso rovesciato e la tomba vuota, poi i misteriosi messaggeri i qualiattestavano che Gesù, il Crocifisso, era risorto; quindi Luistesso, il Maestro e Signore, vivo e tangibile, apparso a Maria di Magdala, ai due discepoli di Emmaus, infine a tutti gli undici, riuniti nel Cenacolo (cfr. Mc 16, 9-14)

La risurrezione di Cristo è un avvenimento

Noli me tangere, Federico Barocci, Galleria degli Uffizi, Firenze

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o addirittura persecuzioni per la propria fedenel Signore Gesù. L’annuncio della sua vit-toriosa risurrezione infonda in loro coraggioe fiducia.

Cari fratelli e sorelle! Cristo risorto cammi-na davanti a noi verso i nuovi cieli e la terranuova (cfr. Ap 21, 1), in cui finalmente vivre-mo tutti come un’unica famiglia, figli dellostesso Padre. Lui è con noi fino alla fine dei

tempi. Camminiamo dietro a Lui, in questomondo ferito, cantando l’alleluia. Nel nostrocuore c’è gioia e dolore, sul nostro viso sorrisie lacrime. Così è la nostra realtà terrena. MaCristo è risorto, è vivo e cammina con noi. Perquesto cantiamo e camminiamo, fedeli al no-stro impegno in questo mondo, con lo sguar-do rivolto al Cielo.

Buona Pasqua a tutti!

Camminiamo dietro a Lui, in questo mondo ferito, cantando l’alleluia. Nel nostro cuore c’è gioia e dolore, sul nostro viso sorrisi e lacrime. Così è la nostra realtà terrena. Ma Cristo è risorto, è vivo e cammina con noi. Per questo cantiamo e camminiamo, fedeli al nostro impegno in questo mondo, con lo sguardo rivolto al Cielo

Incontro sulla via di Emmaus, Domenico Tintoretto, Ospizio Proti-Vajenti-Malacarne, Vicenza

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C’è un bel viavai al numero18 di via di Porta Pincia-na, sede del Pontificio

Collegio Maronita a Roma: pelle-grini con tanto di bandiera prove-

nienti dal Libano e dalle eparchiemaronite del Medio Oriente. Maprovenienti anche dalla diasporasparsa ai quattro angoli del mondo– Stati Uniti e Canada in testa –,

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Collegi ecclesiastici di Roma

Fondato nel 1584 da Gregorio XIII per favorire i rapporti tra la Santa Sede e la Chiesa maronita, oggi il Pontificio CollegioMaronita si propone come luogo di dialogo tra culture e religioni diverse

In alto, l’affresco nell’atrio del Collegio Maronita raffigurantel’Incoronazione della Madonna, ispirato alla raffigurazione del santuario di Qannoubine; qui sopra, l’ingresso del Collegio in via di Porta Pinciana

di Pina Baglioni

Un ponte traOriente e Occidente

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che rappresenta i due terzi dei tremilioni e mezzo degli eredi di sanMarone. La domenica mattina,verso le 10 e 30, è facile incontrarei maroniti residenti nella Città eter-na che si incamminano, con grap-poli di bambini al seguito, verso lachiesa di San Marone annessa alCollegio, in via Aurora – strada checorre sul lato est dell’edificio –, do-ve si celebra la messa in rito siro-antiocheno, frequentata anche damolte famiglie musulmane. Poi,dopo la messa, ci si mette a chiac-chierare attorno all’unica panchi-na fuori della chiesa, o nel giardinointerno, mentre altri preferisconofrequentare i corsi di lingua arabaorganizzati per i bimbi nati in Italia.

Tutto questo accade attorno alsignorile edificio del Rione Ludo-visi, incuneato tra albergoni extra-lusso, banche e negozi per turistiricchi.

Il Collegio Maronita da cui i sa-cerdoti studenti lì residenti, ognimattina, sciamano verso le Pontifi-cie Università, rappresenta l’anellodi congiunzione tra la Santa Sede ela Chiesa maronita, antichissimaChiesa sui iuris di rito siro-antio-cheno, l’unica tra tutte le Chiese cri-stiane del Medio Oriente a vantareda sempre piena comunione colsuccessore di Pietro. Le sue originisono stabilite dalla tradizione stori-

ca tra il IV e il V secolo, quando, allamorte dell’anacoreta siriano Maro-ne, i suoi seguaci cominciarono aedificare monasteri accanto alla suatomba, ad Apamea, in Siria, sullesponde del fiume Oronte.

A via di Porta Pinciana peraltronon c’è solo il Pontificio Collegio

Maronita per sacerdoti studenti maanche la Missione con cura d’ani-me presso l’annessa chiesa di SanMarone e la Procura del Patriarca-to di Antiochia dei Maroniti pressola Santa Sede. Istituzioni che, negliultimi mesi, si sono trovate al cen-tro di un vortice di avvenimenti: ¬

30GIORNI N.4/5 - 2011 57

Nella sala dʼingresso della Curia generalizia dei Ge-suiti, a Roma, è possibile ammirare una mappa anti-

ca dove compaiono i primi cinque Collegi nazionali, edi-ficati, nel corso del XVI secolo, tutti nelle vicinanze delCollegio Romano (lʼUniversità Gregoriana di allora). Inmodo tale che i seminaristi potessero arrivare in fretta al-le lezioni: erano lʼInglese, il Germanico-Ungarico, lʼAr-meno, il Greco e, appunto, il Maronita. Che a differenzadi tutti gli altri era il Collegio di una Chiesa sui iuris diffusasoprattutto in Libano e in Siria, con riti e liturgia derivantidalla tradizione siro-antiochena. E che vantava pienacomunione con Roma, nonostante lʼestrema difficoltà dicomunicazione tra la Santa Sede e il Medio Oriente.

Il contatto tra la Santa Sede e la Chiesa maronita erastato consolidato durante le Crociate, nel corso dellequali gli eserciti cristiani avevano ricevuto un grande aiu-

to dai maroniti. E una delle conseguenze del ritrovatorapporto era stato il viaggio a Roma del patriarca Gere-mia di Amshit per il Concilio Lateranense IV, nel 1215.Nei secoli successivi, i pontefici inviarono missionari evisitatori apostolici in Libano per verificare le eventualiproblematicità dottrinali tra i fedeli di san Marone. LaChiesa maronita era allʼepoca una Chiesa di frontiera,chiusa tra le montagne del Libano e isolata non solo daRoma, ma anche dal resto del mondo per la necessità diproteggersi dalla pressione degli Ottomani.

Uno dei risultati più brillanti delle legazioni pontificiein Libano tra il 1578 e il 1580, fu proprio la fondazione aRoma del Collegio Maronita, voluto nel 1584 da papaGregorio XIII, che lo istituì con la bolla Humana sic fe-runt. Lʼobiettivo era quello di formare a Roma aspirantisacerdoti che, tornati nel loro Paese, avrebbero potuto

Fucina di patriarchi, di orientalisti e di futuri santi

La messa domenicale in rito siro-antiocheno nella chiesa di San Marone annessa al Collegio

Storia del Pontificio Collegio Maronita

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le celebrazioni, nel 2010, per i mil-leseicento anni dalla morte di sanMarone; l’arrivo a Roma delle reli-quie dei grandi santi maroniti delXIX secolo: san Charbel Makhlouf,santa Rafka Rayes e san Nimatul-lah Al-Hardini, la devozione ai qualisi sta diffondendo a macchia d’olioanche in Italia; la collocazione, il 23febbraio scorso, della statua di sanMarone in una nicchia esterna del-la Basilica di San Pietro, alla pre-senza di Benedetto XVI. Senzacontare, tra il 28 febbraio e il 15marzo, le dimissioni di sua beatitu-dine il cardinale Nasrallah PierreSfeir, dopo venticinque anni allaguida del Patriarcato, e l’elezionedel suo successore come settanta-settesimo patriarca di Antiochia dei

Maroniti Béchara Boutros Raï, ve-scovo di Jbeil, Byblos dei Maroniti.Che, subito dopo, è volato a Romaper due volte in pochi giorni: il 14aprile, per l’udienza privata con ilPapa, e il 1° maggio, per la beatifi-cazione di Giovanni Paolo II.

Il Collegio Maronita: uno spicchio di cristianesimomediorientale nella Città eterna«Abbiamo vissuto un periodo riccodi avvenimenti come non ricorda-vamo da tempo. Siamo tutti un po’

C

imprimere una svolta decisiva nellʼambito dei rapportitra il papa e il patriarca di Antiochia dei Maroniti. Il quale,a sua volta, avrebbe dovuto favorire i rapporti con tuttele altre Chiese orientali.

La prima sede romana, la cui direzione fu affidata aiGesuiti, fu una casa nei pressi della chie-sa di San Giovanni della Ficozza, a pochimetri dallʼattuale Università Gregoriana eda Fontana di Trevi. In una strada che,poi, avrebbe preso il nome di “via dei Ma-roniti”. Ai primissimi quattro studenti, giàa Roma, si aggiunsero, il 31 gennaio del1584, altri sei studenti provenienti daAleppo, in Siria.

A Roma cominciarono ad arrivare ra-gazzini di otto/nove anni per frequentaregli studi primari, poi i corsi di Filosofia eTeologia. Avendo già imparato in patria lagrammatica delle lingue semitiche, que-sti ragazzi assimilarono con estrema fa-cilità il latino, lʼitaliano, il francese e lo

spagnolo. Tanto che si diffuse, presto, lʼadagio “dottocome un maronita”. Una volta conclusi gli studi, molti ve-nivano chiamati nelle corti dei sovrani europei come tra-duttori e ambasciatori. Coloro che tornavano in Libano,invece, aprivano scuole in tutto il Paese. I maroniti che

avevano studiato a Roma fecero cono-scere dunque in tutta Europa le lingue, lastoria, le istituzioni e le religioni del Me-dio Oriente. Sempre grazie a loro sistamparono i primi libri liturgici in siriaco.Il primo, a Roma, nel 1585.

Nel 1662 il patriarca Youhanna Mah-louf chiese al Papa di allontanare i Ge-suiti dalla direzione del Collegio Maroni-ta a causa della cattiva gestione finan-ziaria e della dispersione delle vocazio-ni. Da quel momento in poi il Collegioavrà solo rettori maroniti.

Tra i personaggi che hanno dato lu-stro al Pontificio Collegio Maronita di

ollegi ecclesiastici di Roma

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Sopra, Benedetto XVI con il presidente libanese Michel Suleiman e il cardinaleNasrallah Pierre Sfeir, in occasione dell’inaugurazionedella statua di san Marone posta in una nicchia esterna della Basilica di San Pietro, il 23 febbraio 2011; a destra, la statua di san Maroneil giorno dell’inaugurazione

Il patriarca Stefano El Douaihy continua a pag. 60

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frastornati, ma molto, molto con-tenti». Monsignor Antoine Gebranè da due anni procuratore del Pa-triarcato, da qualche mese rettoredel Collegio e cappellano dei Mi-granti ascritti alla Chiesa siro-antio-chena maronita residenti nella dio-cesi di Roma. Poco più che quaran-tenne, proviene, come la maggiorparte dei sacerdoti libanesi, dallavalle di Qadisha, nel nord del Pae-se, detta anche Valle Santa per lamiriade di monasteri incastonatisotto le cime dei monti. Lì, tra l’VIIIe il IX secolo, trovarono rifugio i se-guaci di san Marone fuggiti dalla Si-ria per via delle continue persecu-zioni da parte di bizantini, di mono-fisiti e di musulmani.

Il giovane monsignore, primadi assumere il triplice incarico, èstato economo del Collegio e halavorato per sette anni presso ilPontificio Istituto per la Famiglia:«Qui da noi», spiega, «arrivano sa-cerdoti inviati dai vescovi di tutte leeparchie maronite. Ma anchequelli appartenenti a tutte le altreChiese cristiane del Medio Orien-te, sia in comunione che non incomunione con Roma. Come ac-cade in Libano, d’altra parte, dovei maroniti convivono da semprecon gli armeni apostolici e gli ar-meni cattolici, i greco-ortodossi e imelkiti, i siro-ortodossi e i siro-cat-tolici, gli assiri, i copti, i caldei, e icattolici di rito latino. Oltre agli

sciiti, i sunniti, i drusi, gli ebrei e iprotestanti».

I sacerdoti arrivano a Romaavendo già compiuto il primo ciclodi studi di Filosofia e Teologia neglioltre novanta seminari diocesani einterdiocesani disseminati in Liba-no. «Grazie a Dio abbiamo ancoramolte vocazioni, anche adulte.Tanto che è stato necessario istitui-re in Libano case di formazioneadatte alle vocazioni mature», ag-giunge monsignor Gebran. «Quinel Collegio ospitiamo sacerdotitra i 26 e i 40 anni. I libanesi sonododici, di cui dieci maroniti e duegreco-cattolici. Gli altri ci sono statisegnalati dalla Congregazione perle Chiese orientali, che concedeborse di studio per il loro sostenta-mento a Roma. Attualmente ospi-tiamo un ortodosso del Patriarcatodi Gerusalemme, un assiro e tre si-ro-cattolici dall’Iraq e quattro co-reani di rito latino. Poi abbiamo duelaici, un francese e un italiano. Ne-gli anni passati venivano anchemolti caldei. Diciamo che li consi-deriamo assenti giustificati…». Imomenti in comune sono la messadel martedì celebrata nella chiesa diSan Marone – officiata in lingua ita-liana ma secondo il rito del cele-brante di turno – e, quotidianamen-te, la colazione alle 7 e 30, il pranzoalle 13 e la cena alle 19. Mentre ilgruppo dei maroniti gli altri giorni siriunisce per i vespri e la messa delle

18 e 45 in una cappella interna alsecondo piano del Collegio, tutti glialtri si organizzano per proprioconto. «Poi, in realtà, alcuni vengo-no anche ad assistere alla nostramessa con la liturgia scritta in siria-co, variante dell’aramaico, e pro-nunciata in arabo». Come molti lo-ro colleghi degli altri Collegi di Ro-ma, anche i sacerdoti del Maronitavengono interpellati dalle parroc-chie per un aiuto nei fine settima-na, a Natale e a Pasqua. «Abbiamoormai dei rapporti stabili con al-

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San Marone nel mosaico della chiesaannessa al Collegio e a lui dedicata

L’antica mappa, conservata nell’atriodella Curia generalizia dei Gesuiti, nellaquale compaiono i primi cinque Colleginazionali, tra cui il Maronita, edificati tuttinei pressi del Collegio Romano(l’Università Gregoriana di allora)nel corso del XVI secolo

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cune parrocchie di Roma, di Mila-no, di Parma e di Como, dove i no-stri sacerdoti vanno anche durantele vacanze estive», spiega don Jo-seph Sfeir, l’economo del CollegioMaronita.

Charbel Ghoussoub è sacerdoteda nove anni e proviene dalla arcie-parchia di Antélias, poco distante

da Beirut. Sta per conseguire la li-cenza in Scienze della formazionepresso l’Università Salesiana. «Stoper tornare in Libano perché il miovescovo mi ha richiamato in patriadove ho già fatto per cinque anni ilparroco. Probabilmente sarò dinuovo a Roma per il dottorato», ciracconta. «A Roma si respira l’aria

dell’universalità della Chiesa, tantiriti, tanta ricchezza. Solo qui si ca-pisce quanto è grande la Chiesa. Equesta consapevolezza ce la ripor-tiamo in Libano, dove lo spazio, fi-sico e mentale, in cui ci si muove èspesso seminario e parrocchia,parrocchia e seminario, all’internodi una problematicità tutta libane-

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Roma spicca il patriarca Stefano El Douaihy, oggi in-camminato verso la beatificazione. Alla fine del XVII se-colo redasse gli Annali, la prima storia della Chiesa ma-ronita delle origini. Sostenne, inoltre, la rinascita deigrandi ordini religiosi maroniti, riconducendone le regolemonastiche, appiattite sugli ordinamentivigenti nel mondo latino, allʼinsegna-mento di santʼAntonio abate, il capostipi-te del monachesimo. Lʼazione di ElDouaihy fu determinante anche per ilriavvicinamento alla Santa Sede di co-munità cristiane orientali ortodosse. Tralʼaltro, il primo patriarca della Chiesa si-ro-cattolica, Ignazio Michele III Jarweh,fu alunno del Collegio Maronita.

Un altro gigante del Collegio fu Giu-seppe Simone Assemani, che, insiemecon altri membri della sua famiglia, unʼin-tera dinastia di orientalisti, fece la fortunadella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Giuseppe Simone vi entrò nel 1710 come scrittore. In-viato nel 1715 da Clemente XI in Oriente alla ricerca dimanoscritti, viaggiò in Siria e in Egitto, dove riuscì ad ac-quistare quasi interamente la biblioteca del monasterocopto di San Macario e parte di quella del monastero dei

Siri nella Nitria; inoltre portò in Europa iprimi frammenti copti del monasteroBianco. Nel 1717 tutti questi manoscrit-ti – conservati ora nella Biblioteca Vatica-na – furono da lui portati a Roma, dove sidedicò allo studio di quelli siriaci pubbli-candone poi i risultati presso la Bibliothe-ca Orientalis Clementino-Vaticana. Pri-mo custode della Vaticana nel 1739, det-te inizio, in collaborazione col nipote Ste-fano Evodio Assemani, allʼallestimento diun catalogo generale dei manoscritti va-ticani, di cui uscirono solamente i primitre volumi dedicati ai codici ebraici e si-riaci. Giuseppe Simone Assemani fu pro-

Sopra, un altaredella chiesa del Collegiocon alcuni reliquiari; a sinistra, un dipintoraffigurante CharbelMakhlouf, Rafka Rayes e Nimatullah Al-Hardini, i tre grandi santi maronitidel XIX secolo, conservatonella chiesa del Collegio; a destra, uno scorcio della chiesa con un dipintodi santa Rafka Rayes

Giuseppe Simone Assemani

segue da pag.58

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se. È importante studiare a Romaanche per far capire agli altri cos’èla Chiesa maronita. Più di un colle-ga, all’Università, mi ha chiesto se imiei genitori fossero ancora musul-mani e quando mi fossi convertitoal cristianesimo…». Poi c’è AntounCharbel, dottorando in Diritto ca-nonico, già in possesso di una licen-za in Teologia e di un’esperienzamissionaria in Nigeria, dove ha la-vorato per anni in una parrocchiapersonale. A lui chiediamo se tra isacerdoti maroniti più giovani ci siala speranza che il Libano oltrepassiil sistema del “comunitarismo” reli-gioso, da molti storici libanesi giudi-cato come il maggiore ostacolo alpieno sviluppo e alla piena demo-crazia del Paese dei Cedri. «Per oraè solo un ideale piuttosto lontano,complicato da raggiungere: questonostro è ancora il tempo delle co-munità religiose, perché, per ora,non abbiamo altro che tale sistema.Basti pensare che da noi non esisteuna storia del Libano, ma tante sto-rie quante sono le comunità religio-se, cioè diciassette. Ma in questomomento siamo molto ottimisti per

la nomina del nuovo patriarca: luisicuramente sarà in grado almenodi pacificare gli animi nel nostroPaese».

«Sarebbe bello che il CollegioMaronita potesse, in manierasempre più evidente, fare la sua

parte in un momento tanto delica-to per il Medio Oriente: recupera-re, cioè, quel ruolo di scambio cul-turale, religioso e politico che haavuto a partire dal XVI secolo», di-ce ancora il rettore, monsignorGebran. «Quest’anno festeggiamoanche gli undici anni dalla riaper-tura del Collegio, avvenuta nel2001, dopo la lunga interruzioneiniziata con la Seconda guerramondiale. Nei lunghi, terribili annidella guerra civile in Libano, i no-stri sacerdoti hanno continuato avenire a Roma, alloggiando qua

tagonista, come legato pontificio, del Sinodo del MonteLibano del 1736, di cui assunse la presidenza. Fu anco-ra lui a redigere una “Carta costituzionale” della Chiesamaronita. Il documento, fortemente impregnato di nor-me latinizzanti e allʼinizio piuttosto contestato, perchégiudicato dannoso per lʼantica disciplina antiochena, fualla fine approvato: la Chiesa maronita avrebbe vissutodi questa legislazione fino alla promulgazione del Codi-ce di Diritto canonico orientale del 1991.

La vita del Collegio Maronita siinterruppe il 1° marzo 1798, quandole truppe francesi che avevano oc-cupato Roma requisirono lʼedificio,

costringendo gli studenti a rifugiarsi presso la Congre-gazione di Propaganda Fide.

Nel 1891, papa Leone XIII, con la bolla Olim sapien-ter decise di riaprire di nuovo il Collegio, donando ai ma-roniti metà della somma necessaria per lʼacquisto di unostabile in via di Porta Pinciana. Qualche anno dopo, il 3luglio 1895, fu acquistata unʼarea fabbricabile tra via diPorta Pinciana e via Aurora per costruirvi il definitivo Col-legio e la chiesa di San Marone. Protagonista della ria-

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Il procuratore monsignor Elias BoutrosHoyek, futuro patriarca di Antiochia deiMaroniti, al centro nella foto in primafila, e il rettore del Collegio, padreGabriel Moubarak, il terzo da destrain prima fila, con alcuni studenti del Collegio in una foto del 1893

Benedetto XVI e il neopatriarca di Antiochia dei Maroniti, sua beatitudine BécharaBoutros Raï, con la delegazione di vescovi e fedeli che lo hanno accompagnato a Roma dopo la concessione della ecclesiastica communio (accordata il 24 marzo 2011), Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il 14 aprile 2011

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e là, soprattutto a Propaganda Fi-de e al Collegio Capranica. Grazieal lavoro intenso e intelligente delmio predecessore, monsignorHanna Alwan, il Collegio, subitodopo il Giubileo del 2000, ha po-tuto finalmente riprendere il suocammino». Fa capolino, nelle pa-role di monsignor Gebran, ancheun po’ di rimpianto per i tanti teso-ri perduti nel corso degli anni:«Centinaia di volumi preziosissiminon sono più qui. Molti hannopreso la strada della biblioteca delPontificio Istituto Orientale. Perme è stato un colpo al cuore, men-tre studiavo per il dottorato inScienze ecclesiastiche orientalipresso quell’Istituto, ritrovarmi trale mani un volume con il timbrodel Pontificio Collegio Maronita.Ma noi per molto tempo abbiamoavuto rettori gesuiti…».

Nell’arcata d’ingresso dell’edi-ficio, un affresco dai colori viva-cissimi raffigura l’Incoronazionedella Madonna, ai cui piedi correun’iscrizione in siriaco inneggian-te alla Vergine. «L’Incoronazionenon corrisponde alla nostra ico-nografia tradizionale», ci spiegadon Joseph Sfeir. «Questa imma-gine si rifà a quella del santuario diQannoubine, nella valle di Qadi-sha, sede dei patriarchi dal XV alXIX secolo, tra i più venerati delLibano e il più antico della ValleSanta». Proprio al di sotto dell’af-

fresco è stata posta, su una men-sola, una piccola riproduzionedella statua di san Marone collo-cata il 23 febbraio scorso in unanicchia esterna della Basilica diSan Pietro. «Il giusto fiorirà, cre-scerà come il cedro del Libano»,recita, in aramaico, il salmo incisosulla stola del padre della Chiesa

maronita. Avanzando, poi, versoun ampio salone, s’intravvede,sullo sfondo, il trono del patriarca,dove evidentemente Sua Beatitu-dine siede in occasione delle suevisite nella Città eterna.

Sulle pareti sfilano i ritratti deipatriarchi e dei personaggi più si-gnificativi della storia maronita,

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pertura fu il vescovo Elias Boutros Hoyek, divenuto pa-triarca nel 1899. Per riattivare la casa di formazione sa-cerdotale di Roma egli chiese aiuto ai francesi, al sulta-no turco e allʼimperatore dʼAustria Franz Joseph. Que-stʼultimo gli negò somme di denaro, ma in cambio con-cesse ai seminaristi maroniti lʼospitalità a Villa dʼEste a

Tivoli, vicino a Roma, per le vacanze estive. Dopo aversistemato la pratica romana, il vescovo maronita aprì unaltro collegio a Parigi. Fu, tra lʼaltro, anche il fondatoredella congregazione delle Suore della Sacra Famiglia, eriuscì anche a creare unʼeparchia in Egitto. Morì nel1931 in odore di santità e attualmente è in corso la suacausa di beatificazione.

Purtroppo, per mancanza di studenti, nel 1906 il Col-legio richiuse le porte. Per riaprirle soltanto nel 1920.Tutto procedette tranquillamente fino al 1939, quando,per via dellʼimminente scoppio del secondo conflittomondiale, si procedette allʼennesima chiusura. Nono-stante i problemi del Collegio, la Procura del Patriarcatodi Antiochia rimase attiva; il procuratore, infatti, continuòad alloggiare nella prima casa acquistata in via di PortaPinciana nel 1891.

Dal 1939 al 1980 lo stabile fu affittato e fu adibito adalbergo. È tornato definitivamente in attività il 15 set-

ollegi ecclesiastici di Roma

Papa Pio X con il patriarca Elias Boutros Hoyek, il quinto da sinistra, il 23 luglio 1905

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tutti ex alunni del Collegio Maroni-ta: il servo di Dio sua beatitudineStefano El Douaihy, padre dellastoriografia maronita e promotoree sostenitore dei grandi ordini reli-giosi, ormai incamminato sullastrada della beatificazione. PoiGiuseppe Simone Assemani, vis-suto tra il XVII e il XVIII secolo, il

più prestigioso rappresentantedella dinastia di orientalisti Asse-mani che fecero le fortune dellaBiblioteca Apostolica Vaticanaper le migliaia di volumi della pa-tristica orientale portati a Roma. Eancora, i ritratti di Nasrallah PierreSfeir, per cinque lustri – politica-mente tra i più drammatici per ilPaese dei Cedri – alla guida dellaChiesa maronita. E poi le foto re-centissime di Béchara BoutrosRaï. «Un grande pastore, il nostronuovo patriarca, che ha già mo-strato con atti concreti di voler pa-cificare gli animi nel Paese», dice ilrettore. «Come, per esempio, l’a-ver voluto riunire, appena eletto,tutti i rappresentanti delle forzepolitiche libanesi. Compreso Hez-bollah, un partito composto da li-banesi come noi. Che, certo, nonsono venuti da fuori a occuparci,ma sono stati capaci di difendere ilterritorio nell’ultima guerra conIsraele nel 2006».

E, a proposito del ruolo di col-legamento tra Chiesa di Roma eChiesa maronita, chiediamo se ilCollegio abbia favorito, parados-salmente, la latinizzazione del-l’antico rito siro-antiocheno, con-siderando anche l’invio, nei secoliXVII e XVIII, degli ordini religiosioccidentali per controllare la dot-trina e la liturgia dei discepoli disan Marone. «È chiaro che, es-sendo l’unica Chiesa del Medio

Oriente da sempre in comunionecon Roma, abbiamo subìto», spie-ga il rettore, «una certa assimila-zione; avvenuta però più sul pia-no esteriore, come per esempionei paramenti liturgici, che suquello della sostanza. Abbiamoadottato la casula e la pianeta. Mala nostra liturgia siro-antiochenal’abbiamo salvata». Di parere leg-germente diverso è don JosephSfeir: «Non c’è da gettare la crocesu nessuno, per carità, ma le lega-zioni papali hanno massiccia-mente controllato, uno a uno, inostri testi liturgici. E tutto quelloche, a parer loro, non era abba-stanza in linea con la liturgia lati-na, è stato bruciato, distrutto».

Tornando all’oggi, al rettorechiediamo, infine, un giudizio suuna questione che molti maronitigiudicano il problema dei proble-mi: l’emigrazione dei maroniti dalLibano per via dell’instabilità po-litica e dell’esplosione demografi-ca dei musulmani: «Negare chequesto stia avvenendo sarebbe dastolti», risponde. «C’è anche dadire, però, che molti di noi stan-no tornando. E che anche moltimusulmani se ne vanno via. Ma ildestino della Chiesa maronita ènelle mani di nostro Signore: ciha conservati per milleseicentoanni. Se ci vorrà ancora là, reste-remo. Che devo dire: sia fatta laSua volontà». q

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Sopra, monsignorAntoine Gebran,attuale rettore del Collegio;a sinistra, il salone del Collegio con il trono del patriarca

tembre del 2001, allʼindomani del Giubileo. A prendersicura, stavolta, del ripristino del Collegio è stato monsi-gnor Hanna Alwan, rettore per dieci anni. Alwan è giudi-ce del Tribunale della Rota Romana, docente in utroqueiure presso le Università Pontificie e responsabile perlʼEuropa della Congregazione dei Missionari Libanesi,un ordine di diritto patriarcale. Infine, è postulatore per labeatificazione del patriarca Elias Boutros Hoyek. Colsostegno della Congregazione per le Chiese orientali,monsignor Alwan ha fatto sì che al Collegio di via di Por-ta Pinciana tornassero tutti gli studenti maroniti sparsi inaltre strutture ecclesiastiche, ospitando anche i sacer-doti appartenenti alle altre Chiese orientali.

P. B.

Papa Pio XI riceve in udienza il patriarca di Antiochia dei Siri Ignazio Gabriele I Tappouni, seduto alla destra del Pontefice,

il 15 agosto 1929

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Oltre al Collegio Pontificio,Roma ospita un arcipelagodi procure e collegi sacer-

dotali degli ordini maroniti più si-gnificativi.

L’ordine Libanese Maronita sene sta in un conventino poco di-stante dalla Piramide Cestia, ac-canto alla parrocchia dedicata asanta Marcella, una nobildonna ro-

mana che, per una curiosa analo-gia con i monaci maroniti, avevaseguito, nel IV secolo, la regola disant’Antonio abate insieme con isuoi amici.

Sul Colle Oppio, di fronte allaBasilica di San Pietro in Vincoli adue passi dal Colosseo, ecco il con-vento di Sant’Antonio abate, la se-de dei Maroniti Mariamiti della

Beata Maria Vergine. Sono lì dal1753, dopo aver lasciato la casa ela chiesa dei Santi Marcellino e Pie-tro in via Labicana. E ancora, tra lavia Portuense e il quartiere del Trul-lo, c’è il Collegio sacerdotale del-l’ordine Antoniano Maronita diSant’Isaia. Infine, ospiti in vari isti-tuti ecclesiastici, studiano e lavora-no a Roma i padri dell’ordine Mis-

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Collegi ecclesiastici di Roma

Panoramica sulle case religiose maronite a Roma. C’è chi ospitaseminaristi e chi sacerdoti studenti e anche chi ha trasformato il proprio convento in santuario dedicato ai grandi santi maroniti

di Pina Baglioni

L’arcipelago maronita

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sionario Libanese Maronita. Che,essendo di diritto patriarcale e nonpontificio come tutti gli altri, nonha una casa generalizia a Roma.

Alla fine del XVII secolo l’ordineLibanese Maronita e il Maronitadella Beata Maria Vergine costitui-vano un’unica realtà, l’ordineAleppino Libanese fondato il 10novembre 1695 da tre giovani si-riani di Aleppo, Gabriel Hawwa,Abdallah Qara’li e Joseph El-Betn,che avevano stabilito la loro dimo-ra nel monastero di Nostra Signoradi Qannoubine, nella valle di Qadi-sha, nel nord del Libano.

A Roma, l’ordine Aleppino, giàdal 1707, aveva ottenuto da Cle-mente XI la chiesa dei Santi Mar-cellino e Pietro sulla via Labicana,anche grazie al buon esito di unamissione affidata dal Papa a Ga-briel Hawwa. Quella, cioè, di ri-condurre all’obbedienza romanaun vescovo copto. Intanto, in Liba-

no, si era determinato un tale af-flusso di giovani provenienti da Da-masco, Gerusalemme, Sidone e damolte città dell’Egitto, che si resenecessario il trasloco nel più gran-de monastero di Saint Elysées aBecharre e la fondazione di altrimonasteri anche fuori del Paesedei Cedri.

Alla redazione delle regole, chesi rifacevano vagamente a quelle disant’Antonio abate ma erano trop-po appiattite su quelle degli ordinilatini, aveva posto mano, in mododecisivo, il patriarca Stefano ElDouaihy, grande sostenitore del-l’ordine. Regole che saranno defi-nitivamente approvate il 31 marzodel 1732 da Clemente XII.

Profondamente legati alla vitacontadina, questi monaci ne con-dividevano la durezza. Fuori dalLibano, è sempre a questi monaciche il patriarca affida la responsa-bilità della diaspora libanese inEgitto, in Europa e nel NuovoMondo. La Chiesa maronita, tuttaconcentrata tra le montagne delLibano, deve a loro l’incrollabileattaccamento del popolo al cri-stianesimo, alla terra e al papato.E soprattutto l’istruzione dei con-tadini e dei più poveri: le scuoledei villaggi sorgevano spesso al-l’ombra dei conventi e delle chieseparrocchiali.

Nel corso del tempo, all’internodell’ordine erano però sorti sericontrasti che determinarono la na-scita di due correnti: una sosteneva

che la carica di padre generale do-vesse durare a vita e che l’ordinedovesse assumere carattere mis-sionario. L’altra, invece, sostenevache la carica dovesse durare per untempo limitato e che l’ordine do-vesse mantenere integralmente lavita contemplativa.

Le divergenze non furono sana-te. Tanto che, il 19 luglio 1770, sigiunse alla nascita di due rami di-stinti: l’ordine Antoniano Aleppi-no dei Maroniti, a carattere missio-nario, e l’ordine Libanese Maroni-ta, a vocazione contemplativa.Ognuno con i propri membri, ipropri conventi e i propri possedi-menti. Nel 1969, l ’Aleppinoavrebbe poi preso il nome di ordi-ne Maronita Mariamita della BeataMaria Vergine.

La divisione dell’ordine fece sìche, per quanto riguardava la situa-zione a Roma, gli aleppini restasse-ro ai Santi Marcellino e Pietro perpoi spostarsi nella sede di piazzaSan Pietro in Vincoli, e che l’ordineLibanese Maronita si spostasse aCipro, ad assistere spiritualmente imaroniti che vivevano nell’isola. Lapresenza dei maroniti a Cipro risa-liva all’XI secolo, quando, dopo lafuga dalla Siria per via delle perse-cuzioni, una piccola parte dei ma-roniti si era rifugiata lì, mentre lagran parte dei fuggitivi trovò riparosulle montagne del Libano.

L’ordine del Patriarca: i Maroniti della Beata Maria VergineA due passi dal Colosseo, sta ilconvento di Sant’Antonio abate,sede della Procura dell’ordine Ma-ronita Mariamita della Beata Ma-riaVergine e del Collegio di forma-zione sacerdotale. Quando siamoandati a trovarli, abbiamo trovato ipadri mariamiti in uno stato digrande euforia: sua beatitudine Bé-chara Boutros Raï, il patriarcaneoeletto, appartiene infatti al loroordine. «La scelta, secondo me,viene dallo Spirito Santo. È lui lapersona giusta per ogni libanese,cristiano e non, e per la Chiesa ma-ronita, grazie alla sua intelligenza,al suo carisma e alla capacità di dia-logare con tutt i» dice padreFrançois Nasr, economo e postula-tore dell’Ordine. In questo periodosi sta occupando del processo

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Sopra, la cappella del convento di Sant’Antonio abate, sede dell’ordine Maronita Mariamitadella Beta Maria Vergine;a sinistra, panoramica dei tetti e delle cupole di Roma dalla terrazza del convento di Sant’Antonio abate, sul Colle Oppio; nel riquadro in basso, la facciata del convento in piazza San Pietro in Vincoli

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del servo di Dio padre AntoniosTarabay. «Nella sua vita sacerdota-le questo religioso si è occupatodella direzione spirituale delle Suo-re di san Giovanni Battista in Liba-no. Devotissimo al Santissimo Sa-cramento praticò l’ascesi e la con-templazione. Inviato, in seguito,nel monastero di Qannoubine nel-la Valle Santa, visse in perfetta ecompleta unione con Gesù Cristo.Colpito, in seguito, da una gravemalattia durata ventisette anni sop-portò in maniera eroica la sua con-dizione: egli incarna il carisma delnostro Ordine, vale a dire una sin-tesi perfetta tra vita missionaria ca-lata nella realtà di ogni giorno e lavita mistica fatta di rinuncia, pre-ghiera e contemplazione».

Caso quasi più unico che raro,il Collegio ospita ancora seminari-sti che arrivano a Roma dopo avergià frequentato il biennio di Filoso-

fia in Libano. «Fino a qualche tem-po fa, i nostri studenti potevanofrequentare a Roma anche il bien-nio. Accogliamo, inoltre, vescovi epellegrini da ogni parte del mon-do». Al Collegio a Roma fanno iltriennio di Teologia e poi gli studispecialistici come Teologia spiri-tuale, Diritto canonico, Scienzeumane. E Mariologia, «anche perla nostra denominazione, adottatanel corso del Concilio Vaticano II,grazie all’insistenza di padre Ge-nadios Mourani (un nostro confra-tello noto per la sua grande spiri-tualità morto in un agguato terrori-stico in Libano nel 1959), che de-siderava più di ogni cosa metteresotto la protezione della Madonnail nostro ordine».

In Libano, questi studenti saran-no rettori dei vari campus universi-tari dell’ordine, che oggi contanoseimila iscritti. O direttori delle scuo-

le, frequentate da settemila studen-ti. O, ancora, rettori dei seminari, oparroci. «Da sempre, il nostro Col-legio di Roma è stato luogo di acco-glienza dei libanesi maroniti, di stu-denti di altre Chiese cristiane. Alla

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Gli antichi testi conservati nella ricca biblioteca del convento

ollegi ecclesiastici di Roma

Una foto del servo di Dio padreAntonios Tarabay: è in corso la sua causa di beatificazione

A sinistra, il convento di Sant’Antonio abateraffigurato nel salone del convento stesso;sotto, un ritratto di santa Teresina del Bambin Gesù all’ingresso del convento

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domenica mattina, in moltivengono ad assistere allamessa nella nostra cappel-la, attratti dall’antica liturgiasiro-antiochena».

I l convento-col legiovanta una biblioteca riccadi testi sacri risalenti al XIIIsecolo. Tra i quali, moltivolumi di letteratura ara-ba. Nel salone d’ingresso,padre François indica unritratto di santa Teresinadel Bambin Gesù. «In Liba-no, la devozione per lei èimmensa: il primo mona-stero che le è stato dedica-to, dopo la canonizzazio-ne, è stato un monasteromaschile mariamita, dalmomento che il padre ge-nerale dell’ordine che aveva assi-stito alla cerimonia in Vaticano erarimasto impressionato dalla sua vi-ta esemplare. In questo momentole sue reliquie stanno visitando laPalestina. E santa Teresina, daquel che mi dicono, sta facendograndi cose da quelle parti».

L’ordine Libanese Maronita,fucina di santiL’ordine Libanese Maronita, pur di-pendendo dalla Santa Sede, ha avu-to molto tardi una Procura a Roma.«Il grande desiderio di venire a Ro-ma l’abbiamo sempre avuto. Ma sirimandava continuamente perchéc’era la convinzione che la presenzadei Mariamiti nella Città eterna fos-se sufficiente», spiega padre Elias AlJamhoury, postulatore delle causedei santi dell’ordine e procuratoregenerale a Roma. A “portare” aRoma questi monaci è stata la causadi beatificazione di san CharbelMakhlouf, canonizzato da Paolo VIil 9 ottobre 1977. Accadde ses-

sant’anni fa, quando si rese neces-saria la presenza di un postulatoreche potesse seguire la causa diCharbel, nato a Bkaakafra, nel norddel Libano, nel 1828 e morto nel1898. A questo monaco, l’interoLibano e i maroniti di tutto il mondosono immensamente devoti graziealla messe di miracoli concessi persua intercessione.

«San Charbel è come il cedro delLibano, ormai parte costitutiva delnostro Paese. Ogni maronita, peruna cosa o per l’altra, ha a che farecon lui. Anche se i suoi devoti ormaisono in tutto il mondo. È un po’ co-me il vostro Padre Pio», conferma-no due giovani monaci del conven-to. Si chiamano, guarda caso, en-trambi Charbel. Uno è dottorandoin Archeologia cristiana, l’altro inScienze bibliche. Abitano stabil-mente nel Collegio dell’UniversitàSant’Anselmo insieme con gli altriquattro membri dell’ordine presentia Roma per gli studi specialistici.Quando lo studio lo consente, i due

Charbel danno una mano a padreElias. Anche perché in convento ar-rivano, da qualche tempo, telefona-te, lettere e visite da tutta Italia perchiedere grazie a san Charbel e aglialtri due santi dell’ordine: santaRafka Rayes, una monaca canoniz-zata nel 2001, e Nimatullah Al-Har-dini, grande teologo, fatto santo nel2004. A cui, presto, se ne potrebbeaggiungere un quarto: i l frateEstephan Nehmé, beatificato il 27giugno 2010.

La cappellina adiacente al con-vento sito nei pressi della PiramideCestia ospita le reliquie dei tre santi,ed è diventata la meta di un gran nu-mero di persone di Roma e di fuoriche vengono per visitare questoluogo e per chiedere grazie. «Unacosa impensabile! Nostra intenzio-ne – ovviamente se la Congregazio-ne per le Chiese orientali lo consen-tirà – è trasformare questo posto inun vero e proprio santuario dedica-to a san Charbel: il flusso dei pelle-grini non si ferma più», aggiunge

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L’ingresso del convento dell’ordine Libanese Maronita

con la statua di san Charbel Makhlouf

canonizzato nel 1977 da Paolo VI

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padre Elias. «San Charbel ha inizia-to a fare miracoli all’indomani dellamorte. Tanto che nel 1926 è inizia-ta la causa. Nell’Anno Santo del1950 i miracoli furono trentamila.In un tandem spirituale con i mira-coli della Madonna di Lourdes. Aquel punto, nel 1951, si decise chenon era più il caso di attendere e sia-mo finalmente venuti a Roma».

Gli Antoniani di Sant’Isaia el’amicizia con il popolo drusoL’ordine Antoniano Maronita diSant’Isaia possiede, tra le sue anti-che vocazioni, una che si sta rive-lando attualissima, visti i tempi chestiamo vivendo: il dialogo e l’acco-glienza nei confronti delle altre fedi.

«Tutto comincia con il vescovoGebraël Blouzani, futuro patriarcadella Chiesa maronita, che, nel1673, decise di fondare il monaste-ro di Nostra Signora a Tamiche, nelnord del Libano, rendendolo sededel suo vescovado», racconta padreMaged Maroun. «Dopo aver educa-to molti giovani alle regole della vitamonastica orientale, li inviò a edifi-care il monastero di Sant’Isaia aBroumana, in cima a una collinanota come “Aramta”. Dove, il gior-no della festa dell’Assunzione del1700, fu celebrata la prima messa.La zona era abitata principalmenteda drusi, un popolo fuggito dall’E-gitto e che seguiva una religione diderivazione musulmana, né sciitané sunnita. Si erano stabiliti sullemontagne libanesi nel 1300 – circacinquecento anni dopo i maroniti –per sfuggire alle persecuzioni deisunniti. L’emiro Abdullah Abilla-mah, capo dei drusi della zona, ave-va accolto talmente di buon gradol’arrivo dei monaci da decidere, in-sieme con altri emiri della zona, dimandare i propri figli a studiare daimonaci antoniani. Molti di lorochiesero di essere battezzati. Anchea motivo di tutto ciò, papa Clemen-te XII approvò il nostro ordine conla bolla Misericordiarum Pater, il17 gennaio 1740».

Tornando all’oggi, nel famosomonastero di Sant’Isaia in Libano,considerato la casa madre dell’ordi-ne Antoniano Maronita, fanno ilnoviziato i giovani aspiranti al sa-cerdozio. L’arrivo a Roma risale al1906, con un primo seminario sul

Gianicolo. Poi, nel 1958, sulla viaBoccea. E, infine, dal 1998, in viaAffogalasino, tra i quartieri Por-tuense e Trullo.

«Oggi i sacerdoti che studiano aRoma sono sette e si stanno specia-lizzando in Musica sacra e Dirittocanonico», spiega padre Maged.«Ma soprattutto in Scienze eccle-siastiche orientali e Dialogo islamo-crist iano al Pontif icio Ist i tutoOrientale e al Pontificio Istituto diStudi arabi e d’islamistica. Oltre al-lo studio, vanno a lavorare nelleparrocchie di zona, a visitare i ma-lati. Durante la Pasqua, per esem-pio, sono andati a benedire le casedegli abitanti del quartiere». Unavolta tornati in Libano, il futuro livedrà educatori presso le scuole e itre campus universitari dell’ordine.Oppure parroci in Libano e tra imaroniti della diaspora. «Fedeli allavocazione delle origini dovrannoessere sempre più un canale di co-municazione con tutti, cristiani enon. Come indicano anche i nostrinuovi statuti e la nostra storia»,conclude il religioso.

I Missionari del Patriarca Sparsi in vari istituti ecclesiasticidi Roma, i sacerdoti della Congre-gazione dei Missionari Libanesicostituiscono un istituto religiosomaschile di diritto patriarcale. So-no detti anche Kreimisti, perchéla loro fondazione avvenne il 22maggio 1884 presso il monasterodi Kreim, a Ghosta, sul Monte Li-bano, ad opera di Youhanna Ha-bib, un sacerdote dell’eparchia di

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Collegi ecclesiastici di Roma

A sinistra, l’ingresso del convento dei padri dell’ordineLibanese Maronitacon una vetrinacontenente alcuni reliquiari

Sotto, la piccola cappellaadiacente al convento nella quale si veneranole reliquie dei santilibanesi

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Baalbek, con lo scopo di educarela gioventù maronita e annuncia-re il Vangelo anche ai non creden-ti. Una delle caratteristiche deisuoi membri è quella di giurare dinon ambire ai gradi ecclesiastici.Oltre che in Libano, i MissionariLibanesi sono attivi presso le co-munità maronite di Brasile, Ar-gentina, Sudafrica, Stati Unitid’America e Australia.

«Noi mandiamo i nostri sacer-doti a studiare direttamente nelleterre di missione. Così, intanto,iniziano ad assistere i maroniti del-la diaspora. A Roma vengono sol-tanto coloro che devono specializ-zarsi in discipline che si studianosolo qui, come Teologia dogmati-ca, Diritto canonico e gli studi bibli-ci». Monsignor Hanna Alwan, cheabbiamo già incontrato nelle vestidi rettore emerito del PontificioCollegio Maronita, è anche, tra letante altre cose, il responsabile perl’Europa della Congregazione deiMissionari Libanesi Maroniti. An-

che lui viene dal nord del Libano, laculla della Chiesa di san Marone.Ed è entrato in Congregazione a16 anni, insieme con il fratello ge-mello. «I maroniti si stabilirono alnord, dopo essere venuti via dallaSiria, per sfuggire ai bizantini pri-ma e ai musulmani dopo. E la scel-ta fu quanto mai saggia: quandoarrivarono in Libano, i Turchi sifermarono nelle coste e nelle cittàdel sud perché temevano tremen-

damente le montagne. Quindi imaroniti furono al riparo».

Il fondatore della Congregazio-ne dei Missionari Libanesi Maro-niti, Youhanna Habib, era stato,alla fine del XIX secolo, un giudicedell’impero turco. I cui funzionari,quando si resero conto che far se-guire le leggi islamiche ai maronitiera piuttosto difficile, disposeroun tribunale per loro e un altroper i musulmani, in modo che lecause non andassero tutte a finireal tribunale di Istanbul. Habib fuscelto come giudice dei maroniti.Ma, caduto in disgrazia presso l’e-miro, lasciò il tribunale per farsigesuita. Il patriarca non glielopermise. Lo ordinò sacerdote, gliaff iancò alcuni sacerdoti e lospedì in missione. Erano tempid’emigrazione, per i maroniti.Verso le Americhe. E il patriarcatemeva fortemente che, una voltaarrivati, perdessero la fede.

Poi Youhanna Habib fu nomi-nato vescovo. E, morto il patriar-

ca, il Sinodo scelse lui come suc-cessore. Ma rifiutò e al suo posto,nel 1899, fu scelto, su sua propo-sta, un amico: El ias BoutrosHoyek, un vescovo che, nel 1890,era venuto a Roma ad acquistare ilterreno per ricostruire il PontificioCollegio Maronita.

Non solo, ma Hoyek fondò an-che la Congregazione della SacraFamiglia, suore che hanno comemissione principale la famiglia at-

traverso l’educazione dei bambinie l’assistenza ai parroci nella pa-storale familiare. La Congregazio-ne della Sacra Famiglia è affidata,per la direzione spirituale, allaCongregazione dei Missionari Li-banesi Maroniti.

«Una caratteristica dei Missiona-ri Libanesi è la grande applicazioneallo studio. Un po’ come i Gesuiti»,aggiunge, con un certo orgoglio,monsignor Alwan. Alla fine, glichiediamo se i suoi missionariavranno, in futuro, un lavoro sem-pre più gravoso considerando l’e-migrazione costante dei maroniti.E che cosa dovrebbe fare la SantaSede: «L’interesse di Roma si èrafforzato quando ci si è resi contoche l’onda d’urto dei musulmanistava diventando, in Libano comenelle altre Chiese del Medio Orien-te, troppo forte. Insomma, quandohanno studiato i numeri, si sono re-si conto. Il Sinodo delle Chieseorientali celebrato nello scorso ot-tobre è stato importante. Se non al-

tro perché la stampa di tutto il mon-do ha parlato dello stato delle cose.Siamo tutti in attesa dell’esortazio-ne di Benedetto XVI. Non è esclusoche quanto stia capitando in MedioOriente e in Nord Africa porti dellebuone cose. Sono convinto chequei giovani che abbiamo visto nel-le piazze vogliano libertà e lavoro.Giustamente. E che questo anelitoalla democrazia possa favorire an-che i cristiani». q

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A sinistra, una messa nella cappella della comunità dell’ordine AntonianoMaronita di Sant’Isaia; sopra, la comunità con il patriarca Sfeir

Monsignor Hanna Alwan,responsabile per l’Europadella Congregazione dei Missionari Libanesi

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«Non io, Signore, non io».Anche il cardinal Mel-ville, come gli altri por-

porati riuniti nel conclave convoca-to da Nanni Moretti nel suo ultimofilm Habemus Papam, ha pronun-ciato nel silenzio del cuore questainvocazione all’inizio dello scruti-nio. Preghiera esaudita per tutti isuoi colleghi. Ma non per lui, che altermine della votazione decisiva sitrova, confuso e stordito, a riceve-re il loro felice applauso per l’ele-zione al soglio pontificio. Applau-so che potrebbe rappresentare sol-tanto un piccolo assaggio di quelloincomparabilmente più fragorosoche gli tributerebbe la piazza se

qualche minuto dopo andasse adaffacciarsi, come da rito, sulla log-gia di San Pietro per impartire l’a-postolica benedizione Urbi et orbi.Ma Moretti, regista e sceneggiato-re di questa storia, ha già deciso: ilcardinal Melville non avrà inizial-mente la forza di rendere pubblicala propria chiamata alla Cattedradi san Pietro, e si accascerà, triste,sopra una sedia, proprio sulla so-glia del balcone più importante delmondo; i fedeli in attesa sulla piaz-za cominceranno trepidanti a chie-dersi che cosa mai sia realmentesuccesso; i mass media del globo siaffanneranno a lanciare interroga-tivi ed esclamazioni cubitali sull’i-

nopinato evento. Si innescheran-no insomma un’aspettazione e un“dibattito” planetari.

E il “dibattito” – termine che lostesso Nanni Moretti è riuscito,con uno dei suoi celebri epifonemicinematografici («No, il dibattitono!»: Io sono un autarchico,1976), a rendere sinonimo di in-sopportabile pesantezza – s’è real-mente innescato, come succedesempre del resto quando esce unsuo film, proprio intorno ad Habe-mus Papam, la storia di quest’uo-mo fragile e indeciso – interpretatodall’ottimo Michel Piccoli – chenon trova la forza di accettare ilverdetto del conclave da cui, entra-

C inema

L’ultimo film del regista romano ha infastidito qualche commentatorecattolico, secondo cui “offende la nostra religione”. Abbiamo raccolto i pareri di alcuni opinionisti, credenti e non, che non hanno avuto la stessa impressione

Se anche Nanni vuole bene al papa

di Paolo Mattei

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to cardinale, è chiamato a uscirepapa. Naturalmente, nella fattispe-cie, non si è trattato del dibattitonoioso, pesante e ritualizzato dellastigmatizzazione morettiana, ma diquello incontrollabile, libero e leg-

gero di giornali, tv e blog telemati-ci. D’altronde le pellicole del regi-sta romano riescono sempre aprodurre ricchezza di opinioni epunti di vista spesso molto interes-santi, e a dividere qualche volta gli

spettatori – e non solo gli spettato-ri, dato che nel cimento critico silancia spesso anche chi non vede isuoi film – in contrapposte fazionida derby.

Quella accennata sopra è solol’introduzione della vicenda, cheprosegue con l’entrata in scena dialtri personaggi: l’attivo portavocedella Santa Sede – interpretato dalpolacco Jerzy Stuhr – che tiene irapporti con i mass media e pro-tegge dalla curiosità del mondo ilpapa “sospeso”; lo psicanalista –lo stesso Moretti – che, chiamato aprendersi cura, ma senza succes-so, dell’irresoluto pontefice, si ve-de costretto, per non rischiare didivulgare l’identità del neopapa, arestare nei locali vaticani dove in-trattiene i cardinali ingaggiandoliin un surreale e divertentissimocampionato “continentale” di pal-lavolo; la ex moglie dello psicanali-sta – Margherita Buy –, psicanali-sta anch’essa, nello studio ro- ¬

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HABEMUS PAPAM. L’ultimo film di Nanni Moretti

In queste pagine,alcune immagini del film HabemusPapam, scritto, diretto e interpretato da Nanni Moretti

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mano della quale papa Melville,sgattaiolando in gran segreto dalVaticano insieme al portavoce, sireca per provare ancora a guariredalla propria fragilità; e poi, altragente – attori di una compagniateatrale alle prese con una pièce diChecov, inservienti di bar, musici-sti di strada, albergatori e bambini– in cui il papa in incognito si im-batte per le strade di Roma, nellequali fugge e si perde dopo avereluso il controllo delle guardie delcorpo e del disperato e incautoportavoce.

La fuga termina in un teatro,dove Melville – che da ragazzoavrebbe voluto fare l’attore – s’è ri-fugiato per assistere al Gabbianochecoviano. I cardinali che lo stan-no cercando lo trovano, seduto inuno dei palchi, e fanno scattare,nel buio, un applauso. Ciò che nonè stato ancora concesso alla piazzae al mondo in attesa, è consentitoagli stupefatti spettatori e attori diun teatro romano, i quali, forse in-consapevoli, omaggiano il nuovopontefice.

Melville, riportato in Vaticano,troverà la forza di offrirsi all’o-maggio vero, quello che desidera-no tributargli la Città e il mondo.Ma solo per comunicare loro la

propria rinuncia. E la loggia diSan Pietro tornerà subito vuota edesolata, nel vento che scuote legrandi tende rosse.

Il “dibattito”Un film “triste” da “bocciare albotteghino” perché “offende lanostra religione”. Un film senzafede in cui i cardinali di una “Chie-sa senza Cristo” non pregano maie dove “Dio è il grande latitante”.

Il “dibattito” sul film di NanniMoretti è stato animato anche dal-le osservazioni di alcuni giornalisticattolici che non l’hanno per nien-te amato. E che il proprio, legitti-mo, disamore, lo hanno volutoscrivere ad altissima voce, in qual-che caso dando a chi leggeva l’im-pressione che il film fosse un ele-mento del tutto marginale nellacritica da loro impostata. Senz’al-tro questo forte disappunto haportato fortuna ad Habemus Pa-pam. Ma a sorprendere comun-que molti lettori, credenti e no, èstata l’acredine messa in circolo inquelle righe, soprattutto nel casoconcreto di una pellicola che nonpare affatto avere i connotati del-l’opera “anticristiana”.

Anche a partire da queste con-siderazioni, abbiamo chiesto ad

alcuni opinionisti, di varie estra-zioni culturali e religiose, che cosapensano del film, che, insieme aThis must be the place di PaoloSorrentino, ha rappresentato l’I-talia al Festival di Cannes.

«Sono rimasto stupito da questiattacchi», dice a 30Giorni il poetae critico Valerio Magrelli. «I cardi-nali e gli uomini di Chiesa raccon-tati da Moretti sono figure a mioparere umanissime. Ed è quasiuna rivoluzione, per un regista na-turalmente caustico e di parte co-me lui. Questo è un film che laChiesa dovrebbe amare e non rie-sco a comprendere tanto astio…».

È un astio che sovente si mettein moto, come in un meccanismoautomatico, nei confronti di chi,magari non credente e privod’un’autorizzazione che non si ca-pisce bene da quale autorità do-vrebbe essere concessa, desideridire in pubblico qualcosa, anchesenza alcun intento polemico oideologico, anzi qualche volta conuna discrezione che potrebbeconsiderarsi forse affettuosa, ri-guardo alla Chiesa. A Moretti, ilquale «purtroppo» è ateo – e l’av-verbio lo ha usato il medesimo re-gista parlando di sé –, forse non èstata data tale autorizzazione. Sa-

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rebbe bello tenere a mente, in casicome questo, le parole di Agosti-no quando ricorda che «talvoltacapita anche che alcuni esterni al-la Chiesa anticipino nella conver-sione altri che sono all’interno»,osservando che «fuori della Chie-sa c’è molto frumento, e all’inter-no della Chiesa c’è molta zizzania»(De baptismo contra donatistasIV, 10, 14).

Anche al professor Giulio Fer-roni, docente di Letteratura italia-na all’Università “La Sapienza” diRoma, il film, cui comunque nonrisparmia critiche, non sembra of-fensivo nei riguardi della Chiesacattolica: «Ci sono delle contraddi-zioni, degli elementi non sufficien-temente sviluppati, come il rap-porto “orizzonte della fede” –“mondo laico”, come la relazioneChiesa – psicanalisi; o contrasse-

gni troppo “morettiani”, come iltorneo di pallavolo dei cardinali,“topos adolescenziale” del regi-sta, tirato, secondo me, troppoper le lunghe. Detto questo, misembra che la ricreazione di unambiente di quel tipo – il conclave,le “stanze vaticane” – sia ben fat-ta, anche se da una prospettivalaica. Non è un film “contro” laChiesa. C’è, anzi, una simpatiaumana che muove Moretti a nonindugiare affatto sull’inevitabilecarattere autorevole e autoritariodell’istituzione curiale, e che gli faaddirittura sfiorare, a mio avviso,l’inverosimile. Molto bella è poi lafigura del protagonista, interpre-tata magnificamente da MichelPiccoli: questo cardinale è unapersona bravissima, senza ombree con un passato adamantino. Uncristiano degnissimo che non resi-

ste al peso assegnatogli. Il pote-re, specialmente quello spirituale,è cosa di cui anche l’uomo più in-telligente e più dotato di senso eti-co fa fatica a sentirsi degno: que-sto è l’aspetto più cristiano e com-movente del personaggio».

Le “lacrime di Pietro”Il vaticanista Giancarlo Zizola, cuipure abbiamo chiesto un giudiziosul film, non condivide affatto «l’i-dea che Moretti abbia offeso la sa-cralità del papato. Al contrario, faun ottimo servizio al papato, lo ri-chiama alla sua origine petrina, alle“lacrime di Pietro”, un tema assaivivo nella tradizione ortodossa, cheassume i contorni fisici, storici dellafigura del capo degli apostoli, ar-dente nella professione di fede inGesù Cristo ma anche suo tradito-re. Penso che Moretti abbia avutopure il merito di riportare l’argo-mento del papato a misura di co-muni sentimenti di angoscia e dipaura della responsabilità, del sen-timento di sproporzione di fronte aquesto compito. Mi ha fatto venirealla mente papa Luciani, che, co-me riferì il cardinale Franz König ,“non voleva accettare” l’elezione:“Ma una volta accettato, si rasse-renò”. Scrollava di continuo la te-sta, ricevendo i cardinali in sagre-stia: “Dio vi perdoni. Sono un umi-le papa, un povero papa. Speroche aiuterete questo povero Cristo,il vicario di Cristo, a portare la cro-ce”. Habemus Papam a mio avvi-so parla implicitamente del papatocome discepolato, come sequela.La trovo una cosa geniale e una le-zione evangelica per tutti i credentianche perché si mette inconsape-volmente a tema – nel raccontarecon tanta umanità la solitudine di

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Il vaticanista Giancarlo Zizola non condivide affatto «l’idea che Morettiabbia offeso la sacralità del papato. Al contrario, fa un ottimo servizio al papato, lo richiama alla sua origine petrina, alle “lacrime di Pietro”,un tema assai vivo nella tradizione ortodossa, che assume i contornifisici, storici della figura del capo degli apostoli, ardente nellaprofessione di fede in Gesù Cristo ma anche suo traditore»

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quell’uomo fragile di fronte a uncompito che sente così imponente– un problema ecclesiologico: quel-lo della auspicata collegialità del go-verno della Chiesa».

Filippo La Porta, critico lettera-rio, è colpito invece dalla assolutanegatività della figura dello psicana-lista: «Arido, ossessionato dal vin-cere e dal perdere, tutta la vita glipare una partita di pallavolo. L’im-magine della psicanalisi è ridotta aslogan ridicoli e parodistici, come il“deficit da accudimento” su cui si èfissata la ex moglie-collega. Il papanon è affatto in una crisi religiosa.Egli rappresenta invece un’affasci-nante “alterità” rispetto all’immagi-ne di una contemporaneità cosìvuota: pur con la sua indecisione, ècompletamente estraneo a un’ideadel mondo tutta fondata sulla com-petizione, sull’autoaffermazione atutti i costi, e su questo generale im-poverimento culturale… Anche icardinali, che pure sono osservatinelle loro innocenti debolezze e inun certo infantilismo, sono però“altri”: io non ho una fede religiosamolto definita… Provo ciò cheKierkegaard chiamava il “timore etremore” di fronte al mistero della

vita… Ma la dimensione di “alte-rità” dei personaggi religiosi delfilm di Moretti mi attrae».

«Se non diventerete come bambini»Padre Virgilio Fantuzzi, gesuita,critico cinematografico della Ci-viltà Cattolica, tra i primi a espri-mere pubblicamente, in un’intervi-sta su un quotidiano, un giudiziopositivo sulla pellicola morettiana,conferma e puntualizza questo giu-dizio con 30Giorni: «Moretti de-scrive un viaggio, quello di papaMelville. Alle tappe del viaggio fisi-co che si svolge a Roma, dal Vati-cano al Teatro Valle – a piedi, inautobus, con soste in negozi e al-berghi e conversazioni con le per-sone che incontra per via –, corri-spondono quelle di un itinerariummentis, ognuna delle quali rappre-senta una “sottrazione”: il papache gira in borghese si è spogliatodel suo ruolo diventando un uomocomune, per tornare, alla fine, unavolta spogliatosi del suo essereadulto, bambino. In questo mi pareche vi sia – benché Moretti si pro-clami non credente e osservi la vi-cenda dall’esterno – un certo sapo-re evangelico: “Se non diventeretecome bambini, non entrerete nelregno dei Cieli”. Papa Melville, colcandore dei bambini, dice la verità:la dice a chi incontra durante il suoviaggio romano e, alla fine del

viaggio, decide di dirla anche dallaLoggia della Basilica Vaticana».

Se c’è un antagonista negativonella storia, per Fantuzzi è pro-prio il portavoce: «Per il ruolo cheha, deve fabbricare una bugia die-tro l’altra».

Come già accennato, i film diNanni Moretti sanno sollecitareanche chi non li ha visti a esprime-re un giudizio. Così, ad esempio,lo scrittore Aurelio Picca, che,mentre scriviamo queste righe,non ha ancora assistito ad Habe-mus Papam, ci spiega che, se-condo lui, il vescovo di Roma nonpuò essere rappresentato da unattore: «Penso sia quasi impossibi-le. Chissà, forse ho un’idea icono-grafica troppo legata all’arte op-pure mi riesce difficile immagina-re un pontefice diverso da quellovero… Dovrebbe probabilmenteavere la faccia di qualcuno dei pa-pi di Francis Bacon. Se un attorepossedesse quella densità e quelmistero, forse...».

“Forse”: una bella parola – «leparole sono importanti!», ricorda-va un tempo il protagonista di Pa-lombella rossa – con cui si puòchiudere questa piccola carrellatadi opinioni su Habemus Papam diNanni Moretti. Un regista “pur-troppo” ateo il quale ha girato unbel film che non “offende la nostrareligione”. Anzi, forse un bel filmcristiano. q

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Dal nuovo centro di cottura all’internodell’“Istituto di Rebibbia Nuovo Com-plesso” la Men at Work produce e consegnapasti a comunità, aziende, enti locali, istitutireligiosi, scuole, nel territorio del Comunee della Provincia di Roma.

Le persone che vi operano sono tutte for-mate con corsi specifici nel campo della ri-storazione collettiva e garantiscono alconsumatore un prodotto salubre, sicuro ecertificato ISO 9001.

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di Lorenzo Cappelletti

Ripubblichiamo il bell’articolo del febbraio 2003 di Massimo Borghesi,Il patto con il Serpente, sull’onda di avvenimenti di cronaca nazionalee internazionale in cui ciò che colpisce non è solo la perversità degli at-

ti, quanto quella che sembra quasi una loro eccedenza rispetto all’umana li-bertà e l’odiosa connessione con la religione cristiana. Come insegna la sto-ria della Chiesa antica e recente, è stata sempre un’ansia e una frenesia nutri-ta di simboli e credenze religiose che, dentro e fuori la Chiesa, ha prodottol’odio alla fede cristiana.

A questo proposito ritorna alla mente uno degli ultimi colloqui privati chedon Giussani ebbe con papa Giovanni Paolo II nei primi anni Novanta e chelui stesso raccontò così: al Papa che gli diceva che l’agnosticismo, sintetizza-to nella formula “Dio seppure c’è non c’entra con la vita”, era il sommo peri-colo per la fede – cosa che don Giussani stesso più volte aveva insegnato –Giussani rispondeva con la libertà dei figli di Dio (che della fede è una delleespressioni umanamente più affascinanti): «No, Santità, non l’agnosticismo,ma lo gnosticismo è il pericolo per la fede cristiana!».

A distanza ormai di un ventennio ci si può rendere conto di quanto sia sta-ta anticipatrice quella svolta di don Giussani. Svolta che può essere docu-mentata anche dall’intervista, rilasciata nell’aprile 1992, in cui don Giussaniparla della persecuzione nei confronti di quelli «che si muovono nella sem-plicità della Tradizione». Alla domanda dell’intervistatore: «Una persecu-zione vera?», don Giussani risponde: «È così. L’ira del mondo oggi non si al-za dinanzi alla parola Chiesa, sta quieta anche dinanzi all’idea che uno si de-finisca cattolico, o dinanzi alla figura del Papa dipinto come autorità mora-

C O P E R T I N A

Introduzione

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le. Anzi c’è un ossequio formale, addi-rittura sincero. L’odio si scatena – amala pena contenuto, ma presto traci-merà – dinanzi a cattolici che si pongo-no per tali, cattolici che si muovononella semplicità della Tradizione» (Lui-gi Giussani, Un avvenimento di vita,cioè una storia – introduzione del car-dinale Joseph Ratzinger – Edit-Il Saba-to, Roma 1993, p. 104).

In una delle sue ultime pubblicazioniprima di essere eletto successore diPietro (Fede, verità, tolleranza. Il cri-stianesimo e le religioni del mondo,raccolta ragionata del giugno 2003 disuoi precedenti articoli sul tema), pro-prio nelle pagine di collegamento aggiunte ex novo, Joseph Ratzinger nota-va: «Il male non è affatto – come reputava Hegel, e Goethe vuole mostrarcinel Faust – una parte del tutto di cui abbiamo bisogno, bensì la distruzionedell’Essere. Non lo si può rappresentare, come fa il Mefistofele nel Faust conle parole: “io sono parte di quella forza che perennemente vuole il male eperennemente crea il bene”».

Pur essendo molto dotto e ricco di citazioni, l’articolo di Borghesi si legged’un fiato. Ha infatti una struttura molto semplice, sottolineata dai titolettidei paragrafi che mostrano prima il crescere del fascino del male nell’epocacontemporanea, avvertito sempre più come l’energia liberatrice dell’uomo;poi la sua opposizione prometeica al Dio buono e misericordioso; e infine ilsuo essere concepito non in opposizione ma come principio interno a Diostesso, proprio secondo le più sottili e perverse favole gnostiche.

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Novavetera

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MENSILE SPED. ABB. POST. 45% D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1, COMMA 1 DCB - ROMA.In caso di mancato recapito rinviare a Ufficio Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito. ISSN 0390-4539

Così don Luigi Giussani a Giovanni Paolo II

agli inizi degli anni Novanta

www.30Giorni.itMENSILE SPED. ABB. POST. 45% D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1, COMMA 1 DCB - ROMA.In caso di mancato recapito rinviare a Ufficio Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito. ISSN 0390-4539

«Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo

è il pericolo per la fede cristiana»

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ANNO XXIX N.4/5 - 2011 - €5

In allegato I CANTI DELLA TRADIZIONE

nella Chiesa e nel mondo Diretto da Giulio Andreotti

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Il Serpente, il tentatore, appare nelle vesti del liberatore, di colui che solleva l’uomo al di là del bene e del male, al di làdella “legge”, al di là del Dio antico, nemico della libertà. Gli ultimi duecento anni riscoprono il principio liberatore del mondo affermato dalla setta degli Ofiti, principio intravistodalla concezione sabbatiana con il suo Messia consegnato ai serpenti

di Massimo Borghesi

Il patto con il Serpente

C O P E R T I N A

Elohim crea Adamo, particolare, William Blake (1757-1827), acquarello e inchiostro, Tate Gallery, Londra

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Gli Ofiti: il serpente come liberatoreSono più di due secoli che la cultura occidentale acca-rezza il male, lo blandisce, lo giustifica. Il negativo co-munica vertigine, delirio di onnipotenza, emozioni in-confessabili; illumina di bagliori rossastri i sentieri proi-biti, gli abissi della notte, le vette ghiacciate. Colora disé il peculiare titanismo moderno, la provocatoria sfi-da che esso lancia all’Eterno. Se il Faust antico, quellodi Marlowe, si pente in punto di morte, quello posterio-re vive dell’oltraggio, brama la dissoluzione. Il pattocol serpente, come titola Mario Praz uno dei suoi ulti-mi volumi1, diviene ora stabile. Il Serpente, il tentatore,appare nelle vesti del liberatore, di colui che solleval’uomo al di là del bene e del male, al di là della “legge”,al di là del Dio antico, nemico della libertà. Gli ultimiduecento anni riscoprono «il principio liberatore delmondo [affermato] dalla setta degli Ofiti»2, principio in-travisto, secondo Gershom Scholem, dalla concezionesabbatiana con il suo Messia consegnato ai “serpenti”3.Principio riaffermato da Ernst Bloch nel suo Ateismonel cristianesimo dove il Cristo-Serpente libera ilmondo dalla tirannia di Jahvè4. Anche Goethe, secon-do Vittorio Mathieu, «aveva sentito parlare della settadegli Ofiti»5. Nel suo Goethe e il suo diavolo custode,Mathieu osserva come nel Faust Mefistofele è la «forzache fa emergere dalla tenebra il positivo dell’uomo»6.Come afferma Dio, rivolto a Mefistofele nel Prologo inCielo, «non hai che da mostrarti, liberamente, quelloche sei; non ho mai odiato i tuoi pari; di tutti gli spiritiche negano, il beffardo è quello che mi dà noia minore.L’attività dell’uomo si affloscia troppo facilmente edegli si adagerebbe con piacere in un assoluto riposo.Perciò gli metto volentieri accanto un compagno che losproni, ed agisca, e deve, come Diavolo, creare»7. IlDiavolo è posto volentieri («gern») da Dio come colla-boratore dell’uomo. Come notava Mircea Eliade, «sipotrebbe parlare di una simpatia organica tra il Crea-tore e Mefistofele»8. Goethe fa di Mefistofele, del male,la molla che muove verso l’azione («Tat»), verso ciò cheè positivo. Si tratta dell’idea, destinata a percorrere

molta strada, per cui la via verso il Cielo passa attraver-so l’inferno. L’uomo diventa uomo, vivo, intelligente,libero, solo assaporando fino in fondo l’amaro della vi-ta. L’innocenza dell’“anima bella” è, al contrario, iner-zia, stasi, morte. Hegel, con la sua dialettica del negati-vo, darà una sontuosa veste teorica a quest’idea. L’uo-mo deve peccare, deve uscire dall’innocenza naturaleper divenire Dio. Egli deve realizzare la promessa delSerpente: deve conoscere, come Dio, il bene e il male.Questa conoscenza «è l’origine della malattia, ma an-che la sorgente della salute, è la coppa avvelenata nellaquale l’uomo beve la morte e la putrefazione, e nellostesso tempo il punto sorgivo della riconciliazione, poi-ché porsi come cattivo è in sé il superamento del ma-le»9. Attraverso questa prospettiva la figura dell’Angeloribelle, di colui che, provocando l’uomo, lo innalzereb-be alla sua libertà, rifulge di uno splendore nuovo. Mefi-stofele diviene, passo dopo passo, l’eroe, il Prometeomoderno, il liberatore. «Senza cercarne per il momen-to le cause profonde», scriveva Roger Caillois nel1937, «bisogna constatare come uno dei fenomeni psi-cologici più carico di conseguenze dell’inizio del XIXsecolo sia la nascita e la diffusione del satanismo poeti-co, il fatto che lo scrittore assuma volentieri la parte del-l’Angelo del male e con lui senta precise affinità. Sottoquesta luce il romanticismo appare in parte come unatrasmutazione di valore»10. Da Byron a Vigny la «mito-logia satanica» elabora la figura di un «Angelo del ma-le», ribelle e vendicatore, le cui premesse risalgono in-dietro nel tempo.

Satana contro DioGiustamente Mario Praz, nel suo La carne, la morte eil diavolo nella letteratura romantica, l’opera atutt’oggi più interessante sul fascino del demoniaco nel-la letteratura dell’Ottocento, indica l’inizio di questoprocesso nella peculiare caratterizzazione di Satana of-ferta da Milton nel suo Paradiso perduto. «Fu Milton aconferire alla figura di Satana tutto il fascino del ribel- ¬

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Hegel, con la sua dialettica del negativo, darà una sontuosa vesteteorica a quest’idea. L’uomo deve peccare, deve uscire dall’innocenzanaturale per divenire Dio. Egli deve realizzare la promessa del Serpente: deve conoscere, come Dio, il bene e il male. Questa conoscenza «è l’origine della malattia, ma anche la sorgentedella salute, è la coppa avvelenata nella quale l’uomo beve la morte e la putrefazione, e nello stesso tempo il punto sorgivo della riconciliazione, poiché porsi come cattivo è in sé il superamento del male»

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le indomito che già apparteneva alle figure del Prome-teo eschileo e del Capaneo dantesco»11. L’Avversario«diventa stranamente bello»12. Come scriveva Baudelai-re: «Le plus parfait type de Beauté virile est Satan – à lamanière de Milton»13. Al suo confronto, osserva HaroldBloom, «il Dio di Milton è una catastrofe», così come ilCristo, il quale «è un disastro poetico nel Paradiso per-duto»14. Per Blake: «Milton era impacciato scrivendo diDio e degli Angeli, e a suo agio scrivendo dei Demòni edell’inferno, poiché egli era un vero Poeta, e dalla partedel Demonio senza saperlo»15. Giudizio, questo, perfet-tamente condiviso da Shelley per il quale: «Nulla puòsuperare l’energia e lo splendore del carattere di Sata-na quale si trova espresso nel Paradiso perduto […]. Ildemonio di Milton come essere morale è di tanto supe-riore al suo Dio»16.

Impavido, indomito, il principe delle tenebre apparecome lo strenuo lottatore contro la tirannia divina. Sa-tana è Prometeo, prende il posto del mitico titano inca-tenato da Zeus alla rupe, immortalato dalla fantasia diEschilo. Il Prometeo moderno si oppone al dio ostile,malvagio. Il luciferino Satana appare migliore del Crea-tore: «Milton conferisce apertamente un atteggiamentognostico a Satana, secondo il quale Dio e Cristo sonosoltanto versione del Demiurgo»17. Il vero affermativo èil demonio. È lui, e non l’angelo obbediente, che appa-re, eticamente ed esteticamente, dotato di un fascinopiù grande. Come asserisce Hegel: «Quando si presen-ta il Diavolo bisogna dimostrare che vi è in lui un affer-mativo; la sua forza di carattere, la sua energia, il suospirito consequenziale appare di gran lunga migliore,più affermativo di quello di qualche angelo […]. Comein Milton», aggiunge Hegel, «dove egli, nella sua ener-gia piena di carattere, è migliore di alcuni angeli»18.

Grazie a Milton, alla sua rielaborazione mitica, Sata-na fa così il suo ingresso nell’immaginario moderno. Siha con ciò quella che Praz chiama, in un capitolo delsuo volume, la «metamorfosi di Satana», il suo trapassa-re da figura negativa a eroe positivo: il ribelle triste, pri-

vato, come l’uomo, della sua felicità paradisiaca da undio tiranno. Nel suo studio Praz documenta, con gran-de perizia, autori e correnti che fanno propria la mitolo-gia satanica. Se nel Settecento «il Satana miltonico tra-sfuse il suo fascino sinistro nel tipo tradizionale del ban-dito generoso, del sublime delinquente»19, è nell’Otto-cento, nella temperie romantica, che egli diviene il ri-belle, l’espressione della rivolta metafisica, del “no” allacreazione. Fu Byron «a portare a perfezione il tipo delribelle, lontano discendente del Satana di Milton»20.Con lui il ribelle diviene lo “straniero”, l’uomo impene-trabile che trascende l’ordinario modo di sentire, chetrascende i suoi stessi delitti. È l’oltre-uomo che sta piùin alto e al contempo più in basso degli altri uomini. Èl’infelice che si nutre di risentimento verso un dio crude-le del quale imita la crudeltà. La teologia di Byron è, se-condo Praz, la stessa di de Sade la cui opera, secondol’autore, ha una influenza fondamentale nella letteratu-ra romantica. Al centro v’è l’odio verso la creazione e ilsuo autore, l’esaltazione del piacere e del crimine comedileggio, profanazione, oltraggio. Siamo qui di fronte,per Praz, ad un «satanismo cosmico»21. La sua influenzaè enorme. Se la natura crea solo per distruggere, asse-condare la natura è ripeterne il ritmo, il piacere della di-struzione, il gusto (sadico) che fa sorgere il piacere daldolore, il delirio dall’annientamento, il divino dal diabo-lico. È la pittura di Delacroix. «Quel pittore “cannibale”,“molochista”, “dolorista” che fu Delacroix, instancabil-mente curioso di stragi, d’incendi, di rapine, di putride-ros, illustratore delle scene più cupe del Faust e deipoemi più satanici del suo idolatrato Byron; quell’inna-morato di felinità […] e dei Paesi violenti e calorosi»22. Èla poesia di Baudelaire, nutrita di Poe e di de Sade, il cuipessimismo cosmico è più simile all’eresia manicheache alla religione cristiana: «Absolu! Résultante descontraires! Ormuz et Arimane, vous êtes le même!»23. Èla narrativa di Flaubert, per il quale «Néron vivra aussilongtemps que Vespasien, Satan que Jésus-Christ»24.Dei Canti di Maldoror di Lautréamont, il quale confes-

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Böhme, secondo Hegel, «ha lottato per intendere in Dio e da Dio il negativo, il male, il Diavolo». Dio è l’unità dei contrari, dell’ira edell’amore, del male e del bene, del Diavolo e del suo contrario, il Figlio. In questa posizione Cristo e Satana divengono in qualchemodo fratelli, figli di un unico Padre, parti di Lui, momenti della suanatura polare. È quanto affermerà Carl Gustav Jung nel suo esotericoSeptem Sermones ad Mortuos scritto nel 1916, fatto circolare come opuscolo per gli amici e mai distribuito in libreria. Il testo, che si richiama idealmente allo gnostico Basilide, afferma la natura di “pleroma” di Dio composta da coppie di oppostidi cui «Dio e demonio sono le prime manifestazioni»

Page 83: «Non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo n 4-5... · In copertina: «Non lʼagnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo per la fede cristiana». Così don Luigi

sa di aver «cantato i l male come hanno fattoMickiewicz, Byron, Milton, Southey, A. de Musset,Baudelaire»25. Di Swinburne che, avvinto dalla teologiagnostica di de Sade, declama il suo uomo in rivolta:«…potessimo ostacolare la natura, allora sì il delitto di-venterebbe perfetto e il peccato una realtà. Se l’uomopotesse far questo, se egli potesse intralciare il corsodelle stelle e alterare il tempo delle maree; se potessecambiare i moti del mondo e trovar la sede della vita edistruggerla; se potesse entrare in cielo e contaminarlo,nell’inferno e liberarlo dalla soggezione; potesse trargiù il sole e consumare la terra, e ordinare alla luna dispargere veleno o fuoco nell’aria; potesse uccidere ilfrutto nel seme e corrodere la bocca del pargolo col lat-te di sua madre; allora si potrebbe dire d’aver peccato ed’aver fatto del male contro natura»26.

Distruzione e profanazione: questo è il piacere piùgrande! Un filone consistente della letteratura, a partiredal romanzo libertino del Settecento, gode della profa-

nazione. La violazione appassiona in quanto trasgres-sione, oltraggio. Il corpo, quello della donna, è tantopiù oggetto del desiderio quanto più esso è inerme(bambina, vergine, suora). Profanarlo è togliere la tra-scendenza, ricondurre alla terra, svelare il volto oscurodi Eva, l’eterno femminino da sempre legato al poteredi Satana. Il demoniaco mescola il puro e l’impuro, habisogno dell’innocenza per eccitare le passioni, per de-stare la forza dirompente del negativo. Con de Sade l’e-ros diviene parte di una teologia gnostica. Dopo di lui ilconnubio tra Eros e Thanatos, amore e morte, divienel’elemento dominante di un nichilismo luciferino chetrova nel Decadentismo prima e nel Surrealismo poi ilsuo compimento.

Satana in DioSatana non è solo in Prometeo, controfigura dell’An-gelo caduto di Milton. Satana è anche in Dio. La teolo-gia gnostica che sta al centro dell’ateismo ribelle degliultimi due secoli distingue tra Lucifero (il liberatore) eSatana (l’oppressore). Essa trova la sua forma esem-plare nel pensiero di Ernst Bloch. Per Bloch v’è «da unlato il Dio del mondo che si identifica sempre più chia-ramente con Satana, il Nemico, il ristagno; dall’altro ilDio della futura ascesa in cielo, il Dio che ci spinge inavanti con Gesù e con Lucifero»27. Il dio del mondo,creatore, è il cattivo demiurgo contro cui, nell’Eden, siè levato il Serpente vero amico dell’uomo. È Lucifero,con il suo desiderio di essere come Dio, che svela al-l’uomo la sua destinazione. «Solo in Lucifero, tenutosegreto in Gesù per essere manifestato più tardi, alla fi-ne, nei tempi in cui questo volto potrà svelarsi; solo inLucifero, divenuto inquieto da quando fu abbandonatoper la seconda volta, da quando dalla croce si alzò il gri-do che rimase senza risposta, da quando per la secon-da volta fu schiacciato il capo del Serpente del paradi-so appeso alla croce: solo in Lui dunque, nel Nascostoin Cristo, in quanto anti-demiurgico assoluto, è com-preso anche l’autentico elemento teurgico di chi si ri-bella perché figlio dell’uomo»28.

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La vita, affermava Jung nel Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità, «come processo energetico ha bisogno dei contrasti, senza i quali l’energia è notoriamente impossibile. Bene e male non sono altro che gli aspetti etici di queste antitesinaturali». Per questo a Dio è necessario Lucifero. «Senza quest’ultimonon ci sarebbe creazione, e tanto meno ci sarebbe stata alcuna storia di redenzione. L’ombra e il contrasto sono le necessarie condizioni di ogni realizzazione»

La casa della morte, William Blake, incisione a colori, collezione privata

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Il Serpente, come per la setta degli Ofiti ricordatada Bloch in Ateismo nel cristianesimo, è quindi il libe-ratore. Due volte soggiogato, nell’E den e nel Cristo in-nalzato in croce come il Serpente di bronzo di Mosè,esso attende la sua rivincita, la sua vittoria sul Demiur-go che apre l’«età dello Spirito». Unendo assieme Mar-cione e Gioacchino da Fiore, Bloch è il crocevia di tut-ta la gnosi moderna. Gesù, anticipazione del dio a ve-nire, del dio “umano”, è il redentore dal dio “satani-co”, dal dio del cosmo, dell’ordine e della legge. La ri-voluzione, come dissoluzione del vecchio ordine, divie-ne qui l’opera luciferina per eccellenza.

Come illustre precedente delle sue riflsessioni, Blo-ch richiama, in Ateismo nel cristianesimo, la figura diWilliam Blake. Il poeta inglese, affascinato dalla rivolu-zione americana e da quella francese, ebbe, oltre allaBibbia, quattro maestri: Milton, Shakespeare, Paracel-so, Böhme. Al primo dedicò un breve poema epico,Milton, composto probabilmente tra il 1800 e il1803. In esso Urizen, il Principe della Luce, appareidentico a Satana. Ciò che è peculiare in Blake è il suoThe Marriage of Heaven and Hell (Il matrimonio delCielo e dell’Inferno) scritto nel 1790. Qui la santifica-zione degli impulsi e dei desideri, in primis quello ses-suale, «for everything that lives is Holy» (poiché ognicosa vivente è Sacra!), ottiene la sua consacrazioneteorica. Per essa non v’è più il male che nega il bene:male e bene sono entrambi necessari. «Senza Contrarinon c’è progresso. Attrazione e Ripulsa, Ragione e

Energia, Amore e Odio sono necessari all’Umana esi-stenza. Da questi contrari scaturisce ciò che l’uomo re-ligioso chiama Bene e Male. Bene è la passività che ub-bidisce a Ragione. Male è l’attività che scaturisce daEnergia. Bene è il Cielo, Male è l’Inferno»29.

Il male, come nel Faust di Goethe, è ciò che dà ener-gia, che desta il bene assopito. Il Diavolo è la forza diDio. In questa sua concezione Blake era debitore a coluiche, per primo, nell’arco del pensiero moderno, avevaosato affermare il male in Dio: Jacob Böhme. Il philo-sophus teutonicus, il quale, secondo Hegel, «fu il primoa far sorgere in Germania una filosofia con caratteristi-che proprie»30, stimato da Leibniz, Hegel, Schelling, vonBaader e tutto il filone teosofico del pensiero moderno,è colui per il quale «secondo il primo principio Dio nonsi chiama Dio, ma Collera, Furore, sorgente amara, evengono di qui il male, il dolore, il tremore e il fuoco di-vorante»31. L’ira di Dio è superata nell’amore; cionondi-meno essa rimane l’Urgrund, il principio originario dacui origina il tutto. Böhme, secondo Hegel, «ha lottatoper intendere in Dio e da Dio il negativo, il male, il Dia-volo»32. Dio è l’unità dei contrari, dell’ira e dell’amore,del male e del bene, del Diavolo e del suo contrario, il Fi-glio. In questa posizione Cristo e Satana divengono inqualche modo fratelli, figli di un unico Padre, parti di Lui,momenti della sua natura polare. È quanto affermeràCarl Gustav Jung nel suo esoterico Septem Sermonesad Mortuos scritto nel 1916, fatto circolare come opu-scolo per gli amici e mai distribuito in libreria. Il testo,che si richiama idealmente allo gnostico Basilide, affer-ma la natura di “pleroma” di Dio composta da coppie diopposti di cui «Dio e demonio sono le prime manifesta-zioni»33. Essi si distinguono come generazione e corru-zione, vita e morte. E tuttavia «l’effettività è comune aentrambi. L’effettività li unisce. Quindi l’effettività è al disopra di loro ed è un Dio sopra Dio, poiché nel suo effet-to unisce pienezza e vuotezza»34. Questo Dio che unisceDio e il Diavolo è chiamato, da Jung, Abraxas. Esso è laforza originaria, che sta prima di ogni distinzione.«Abraxas genera verità e menzogna, bene e male, luce etenebra, nella stessa parola e nello stesso atto. PerciòAbraxas è terribile»35. Esso è «l’amore e il suo assassino»,«il santo e il suo traditore», è «il mondo, il suo divenire e ilsuo passare. Su ogni dono del Dio sole il demonio gettala sua maledizione»36. Il messaggio esoterico dei SetteSermoni portava, come in Blake, alla santificazione del-la natura, all’innocenza del divenire. Esso implicava, perciò stesso, la giustificazione del male, del Diavolo, il suoinserimento, come in Böhme, in un sistema polare. Nona caso Martin Buber, venuto a conoscenza dell’opusco-lo, parlerà qui di gnosi. «Essa – e non l’ateismo, che an-nulla Dio perché deve rifiutare le immagini che finora dilui sono state fatte – è il vero antagonista della realtà del-la fede»37. Per Buber la psicologia di Jung non costituivaaltro che «la ripresa del motivo carpocraziano, insegna-to ora come psicoterapia, il quale divinizza misticamen-te gli istinti invece di santificarli nella fede»38.

Il rilievo di Buber non era puramente congetturale.Era stato lo stesso Jung che, in Psicologia e religione,aveva richiamato l’attualità dello gnostico Carpocrate ilquale sosteneva che «bene e male sono soltanto opinio-

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Immortali che precipitano nell’abisso, da Il libro di Urizen,William Blake, 1794

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veteraNovaet

ni umane e che al contrario le anime, prima della lorodipartita, avrebbero dovuto vivere fino all’ultimo ogniumana esperienza, se volevano evitare di ritornare nellaprigione del corpo. Soltanto il completo adempimentodi ogni esigenza della vita può riscattare l’anima prigio-niera nel mondo somatico del Demiurgo»39. La vita, af-fermava nel Saggio d’interpretazione psicologica deldogma della Trinità, «come processo energetico ha bi-sogno dei contrasti, senza i quali l’energia è notoria-mente impossibile. Bene e male non sono altro che gliaspetti etici di queste antitesi naturali»40. Per questo aDio è necessario Lucifero. «Senza quest’ultimo non cisarebbe creazione, e tanto meno ci sarebbe stata alcunastoria di redenzione. L’ombra e il contrasto sono le ne-cessarie condizioni di ogni realizzazione»41. Quest’om-bra è innanzitutto in Dio, nel Dio primigenio, nell’In-conscio che, per Jung, è la vera potenza che dirige la vi-ta la quale deve essere “umanizzata” dall’io cosciente. Èsolo nel Dio umano, Cristo, che il giudizio separa quan-to nel pleroma (l’inconscio) è unito: la luce e la sua om-bra. Ora i «due figli di Dio, Satana il maggiore e Cristo ilminore»42, la mano sinistra e la mano destra di Dio, si se-parano. «Quest’antitesi rappresenta un conflitto porta-to all’estremo, e con ciò anche un compito secolare perl’umanità fino a quel punto o a quella svolta del tempo incui bene e male cominciano a relativizzarsi, a porsi indubbio, e si alza il grido verso un al di là del bene e delmale. Ma nell’età cristiana, cioè nel regno del pensierotrinitario, una simile riflessione è semplicemente esclu-sa; poiché il conflitto è troppo violento, perché si potes-se concedere al male qualche altra relazione logica conla Trinità, che non fosse il contrasto assoluto»43. Occor-re che la Trinità divina, spirituale, si concili con un“quarto” principio: la materia, il corpo, il femminile, l’e-ros, il male, perché l’idealismo cristiano, conciliato conil mondo, pervenga a una superiore unità. «Perciò an-che nel tempo dell’assoluta fede nella Trinità ci fu sem-pre una ricerca del quarto perduto, dai neopitagoricigreci fino al Faust di Goethe. Benché questi cercatori si

ritenessero cristiani, essi erano tuttavia una specie dicristiani a latere, poiché consacravano la loro vita a unopus, che aveva come meta la redenzione del serpensquadricornutus, dell’anima mundi irretita nella mate-ria, del Lucifero caduto… La nostra formula della qua-ternità dà ragione alla loro pretesa, poiché lo SpiritoSanto, come sintesi di colui che fu originariamente Unoe poi scisso, fluisce da una sorgente luminosa e da unaoscura»44. L’“età dello Spirito”, nella peculiare interpre-tazione che Jung dà di Gioacchino da Fiore, è l’era chesegue all’eone cristiano, il tempo di Abraxas in cui pas-sioni e ragione, inconscio e conscio, male e bene, Luci-fero e Cristo, diverrano uno.

Nel 1919 Hermann Hesse, che nel 1920 si sottopo-se ad analisi con Jung, pubblicò un romanzo, Demian,sotto lo pseudonimo di Emil Sinclair. In esso il protago-nista, un giovane inesperto, viene istruito sul senso dellavita da uno spirito “libero” che porta in sé il segno di Cai-no: Demian. Per Demian «il Dio dell’Antico e del NuovoTestamento è una figura eccellente, ma non è quella chedovrebbe essere. È il bene, la nobiltà, il padre, l’alto, ilbello, il sentimentale: tutte belle cose, ma il mondo è fat-to anche di altro. E ciò viene attribuito semplicemente alDiavolo, e tutta questa parte del mondo, questa metàviene soppressa e uccisa col silenzio»45. Ad essa appar-tiene, secondo Demian, la sfera sessuale. Per questonon si può solo venerare Dio, «dobbiamo venerare tuttoe considerare sacro il mondo intero, non soltanto questametà ufficiale, separata ad arte. Accanto al servizio perDio dovremmo avere anche un servizio per il Diavolo. Ame parrebbe giusto. Oppure ci si dovrebbe procurareun Dio che racchiuda anche il demonio»46. Come inJung, questo «Dio si chiama Abraxas ed è Dio e Satana eabbraccia in sé il mondo luminoso e il mondo scuro»47. Èl’amor sacro e l’amor profano, «l’immagine angelica eSatana, uomo e donna insieme, uomo e bestia, supre-mo bene e male estremo»48.

La visione del divino come coincidentia opposito-rum, versione che sigla in forma indissolubile il «patto

«È ovunque operante», scriveva Romano Guardini nel 1964, «l’ideafondamentale gnostica che le contraddizioni sono polarità: Goethe,Gide, C. G. Jung, Th. Mann, H. Hesse… Tutti vedono il male, il negativo […] come elementi dialettici nella totalità della vita, della natura». Questo atteggiamento, per Guardini, «si manifesta già in tutto quello che si chiama gnosi, nell’alchimia, nella teosofia. Si presenta in forma programmatica con Goethe, per il quale il satanicoentra persino in Dio, il male è forza originaria dell’universo necessariaquanto il bene, la morte solo un altro elemento di quel tutto, il cui poloopposto si chiama vita. Questa opinione è stata proclamata in tutte le forme e concretata in campo terapeutico da C. G. Jung»

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Archiv io d i 30Giorn i - Febbra io 2003

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con il Serpente», attraversa, in tal modo, una parte co-spicua del mondo culturale del Novecento. Ricordiamo,tra gli altri, la riflessione di Mircea Eliade che in due scrit-ti, Il mito della reintegrazione (1942) e Mefistofele el’Androgine (1962), espone, sotto le suggestioni diJung, la sua visione della «polarità divina». Per essa ognidivinità appare polare, benefica e malefica ad un tempo.Il Serpente è fratello del Sole, così come, secondo unmito gnostico, lo sarebbero Cristo e Satana. Questa bi-unità divina prepara, nell’uomo, la reintegrazione di sa-cro e profano, di bene e di male in una unità superioreche trova, per Eliade, la sua meta simbolica nella figuradell’androgino.

ConclusioneLa moderna teosofia degli opposti, fondata sulla dottri-na ermetica della coincidentia oppositorum, porta aun connubio, inquietante, tra divino e diabolico, portaall’idea del Diavolo in Dio. «È ovunque operante», scri-veva Romano Guardini nel 1964, «l’idea fondamentalegnostica che le contraddizioni sono polarità: Goethe,Gide, C. G. Jung, Th. Mann, H. Hesse… Tutti vedono ilmale, il negativo […] come elementi dialettici nella tota-lità della vita, della natura»49. Questo atteggiamento, perGuardini, «si manifesta già in tutto quello che si chiamagnosi, nell’alchimia, nella teosofia. Si presenta in forma

programmatica con Goethe, per il quale il satanico en-tra persino in Dio, il male è forza originaria dell’universonecessaria quanto il bene, la morte solo un altro elemen-to di quel tutto, il cui polo opposto si chiama vita. Questaopinione è stata proclamata in tutte le forme e concreta-ta in campo terapeutico da C. G. Jung»50.

L’idea di fondo è che la redenzione passa attraversola degradazione, la grazia tramite il peccato, la vita at-traverso la morte, il piacere mediante il dolore, l’estasiper opera della perversione, il divino mediante il dia-bolico. Il fascino che il negativo – metafora del demo-niaco – esercita sulla cultura contemporanea dipendeda questa singolare idea: che le vie del paradiso passi-no attraverso l’inferno, che «Discesa all’Ade e resurre-zione» siano uno 51.

Consegnarsi al demonio, in una singolare trasposi-zione gnostica dell’idea per cui perdersi è ritrovarsi, èaprirsi a Dio. In questo “sacro” connubio Satana e Diosi uniscono nell’uomo. È l’«identità di de Sade e dei mi-stici»52 auspicata da Georges Bataille. Per essa la via al-l’ingiù coincide con la via all’insù. Faust, ora, non puòpiù pentirsi, nemmeno in punto di morte. L’Avversarioè diventato complice, “parte” di Dio. È la via per dive-nire dio. Il brivido del nulla, della discesa agli Inferi, ac-compagna la scoperta dell’Essere, di Abraxas, il plero-ma senza volto che permane, immobile, nel diveniredel mondo. q

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C O P E R T I N A

Note

1 M. Praz, Il patto col serpente, Milano1972 (ediz. 1995).

2 Op. cit., p. 12.3 G. Scholem, Le grandi correnti della

mistica ebraica, tr. it., Torino 1993, p. 307.4 E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, tr.

it., Milano 1971, pp. 220-226.5 V. Mathieu, Goethe e il suo diavolo cu-

stode, Milano 2002, p. 192.6 Op. cit. , p. 65.7 W. Goethe, Faust e Urfaust, tr. it., 2

voll., Milano 1976, vol. I, vv. 340-343, p. 19.8 M. Eliade, Il mito della reintegrazione,

tr. it. , Milano 2002, p. 4.9 G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia

della religione, tr. it., 2 voll., Milano 1974,vol. II , p. 317.

10 R. Caillois, Nascita di Lucifero, tr. it.,Milano 2002, p. 31.

11 M. Praz, La carne, la morte e il diavolonella letteratura romantica, Firenze (ediz.1999), p. 58.

12 Ivi.13 C. Baudelaire, Journaux intimes, cit.,

in: M. Praz, La carne, la morte e il diavolonella letteratura romantica, op. cit., p. 55.

14 H. Bloom, Rovinare le sacre verità.Poesia e fede dalla Bibbia a oggi, tr. it., Mi-lano 1992, p. 106.

15 W. Blake, Il matrimonio del Cielo edellʼInferno, tr. it., in: Selected Poems ofWilliam Blake, Torino 1999, pp. 24-25.

16 P. B. Shelley, Difesa della Poesia, cit.in: M. Praz, La carne, la morte e il diavolo

nella letteratura romantica, op. cit., p. 59.17 H. Bloom, Rovinare le sacre verità.

Poesia e fede dalla Bibbia a oggi, op. cit., p.105.

18 G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofiadella religione, op. cit., vol. II, pp. 315-316 e324, nota.

19 M. Praz, La carne, la morte e il diavolonella letteratura romantica, op. cit., pp. 59-60.

20 Op. cit., p. 64.21 Op. cit., p. 96.22 Op. cit., p. 135.23 Citato in op. cit., p. 147.24 Citato in op. cit., p. 161.25 Lautréamont, Lettere, tr. it. in: Lau-

tréamont, I canti di Maldoror, Torino 1989,p. 531.

26 Citato in: M. Praz, La carne, la morte eil diavolo nella letteratura romantica, op.cit., p. 199.

27 E. Bloch, Spirito dellʼutopia, tr. it., Fi-renze 1980, p. 314.

28 Op. cit., p. 252.29 W. Blake, Il matrimonio del Cielo e

dellʼInferno, op. cit., pp. 19-20.30 G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia

della filosofia, tr. it., 4 voll., Firenze 1973,vol. III(2), p. 35.

31 Citato in: F. Cuniberto, Jacob Böhme,Brescia 2000, p. 119.

32 G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storiadella filosofia, op. cit., vol. III(2), p. 42.

33 C. G. Jung, Septem Sermones adMortuos, tr. it., in: Ricordi, sogni, riflessionidi C. G. Jung, Milano 1990, p. 454.

34 Op. cit., pp. 454-455.35 Op. cit., p. 456.36 Ivi.37 M. Buber, Lʼeclissi di Dio, tr. it., Milano

1983, p. 139.38 Ivi.39 C. G. Jung, Psicologia e religione, tr.

it., in: C. G. Jung, Opere, vol. XI, Milano1984, p. 83.

40 C. G. Jung, Saggio dʼinterpretazionepsicologica del dogma della Trinità, tr. it., in:C. G. Jung,Opere, vol. XI, op. cit., p. 191.

41 Op. cit., p. 190.42 C. G. Jung, Prefazione a Z. Weblow-

sky, “Lucifero e Prometeo”, tr. it., in: C. G.Jung, Opere, vol. 11, op. cit., p. 299.

43 C. G. Jung, Saggio dʼinterpretazionepsicologica del dogma della Trinità, op. cit. ,p. 171.

44 Op. cit., p. 174.45 H. Hesse, Demian. Storia della giovi-

nezza di Emil Sinclair, tr. it., in: H. Hesse,Peter Camenzind – Demian. Due romanzidella giovinezza, Roma 1993, p. 185.

46 Op. cit., p. 185. Corsivi nostri.47 Op. cit., p. 216.48 Op. cit., p. 207.49 R. Guardini, Diario. Appunti e testi dal

1942 al 1964, tr. it., Brescia 1983, p. 245.50 R. Guardini, Lettere teologiche a un

amico, tr. it., Milano 1979, p. 63.51 E. Zolla, Discesa allʼAde e resurrezio-

ne, Milano 2002.52 G. Bataille, Frammenti su William

Blake, tr. it., in: Selected Poems of WilliamBlake, op. cit., p. 163.

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Un arcipelago di servizi

Per arcipelago di servizi intendiamo un sistema di integrazione di risorse sociali che presenta una gam-ma di possibilità nella scelta del servizio appropriato. Archipelagos è una libera aggregazione che unisce varie cooperative che operano al servizio dellepersone, delle comunità, degli enti pubbliici e privati ponendo maggiore attenzione ai più deboli e allaqualità dei servizi offerti.

La Cooperativa Sociale e diLavoro è stata costituita aRoma nel 1995 su iniziati-va di un gruppo di psicolo-gi e assistenti sociali. Lacooperativa in convenzio-ne con il Comune di Romasvolge numerosi servizi at-ti a migliorare la qualitàdella vita delle famiglie at-traverso interventi miratiad alleviarne il disagio e aprevenirne le cause, aiu-tandole ad inserirsi nellarete sociale. È attivo il pro-getto “Buon Samaritano”con il contributo della Pro-vincia di Roma consistentenel portare aiuti alimentarialle persone povere.

La H3A è specializzata nel-la gestione di tutti gliadempimenti richiesti dal-le normative vigenti,d.lgs.81/08, per piccole,medie e grandi Aziende, inmateria di salute e sicurez-za sui luoghi di lavoro e nel-l’edilizia. Oltre ai servizi diinformazione e formazione,sorveglianza sanitaria, an-tincendio, fornisce servizidi igiene, analisi ambien-tali e di acque, misurazionistrumentali, rischio chimi-co, biologico e da polveriavvalendosi di tecnici spe-cializzati come chimici, fi-sici, biologi e ingegneri.

La Cooperativa Insiemefondata nel 2005 da ungruppo di donne si occu-pa di pro gettare, realizza-re e gestire servizi rivolti aiminori. Attualmente ge-stisce l'asilo nido privato“Mondo Bimbi”a LatinaScalo, ed un nido Comu-nale a Latina. La Coopera-tiva ha altre tipologie disevizi con diversi progetticome ad esempio: Inte-grazione di alunni stranie-ri, centri socio-educativi,attività assistenziali ri-volte a soggetti diversa-mente abili e centri estivi.

La cooperativa C’era duevolte nasce nel 2000 dallesingole esperienze di al-cune giovani donne cheinsieme decidono di fon-dare strutture e servizi in-teramente dedicatiall’infanzia. La cooperati-va ha avviato con succes-so vari progetti a caratteresocio/educativo , formati-vo, ludico/ricreativo, cre-ando diversi servizi quali2 Micronidi in convenzionecon il Comune di Roma e ilservizio “Tages mutter”per bimbi delle fasce d’età0/6 anni, nel territorio delXII municipio.

La Manser Cooperativa So-ciale Integrata, nasce nel1996 in seguito all’incon-tro tra operatori sociali egiovani dei quartieri di TorBella Monaca e Spinaceto,nell’ambito di interventisocio educativi gestiti dal-la Comunità Capodarco diRoma. Si occupa di favorirel’inserimento lavorativo dipersone svantaggiate, conparticolare attenzione asoggetti con disabilità psi-co fisica e mentale all’in-terno delle proprie attivitàimprenditoriali. È di pros-sima apertura il ristorantenel parco degli Acquedotti.

I SERVIZI OFFERTI: ASSISTENZA DOMICILIARE E CENTRI DI AGGREGAZIONE PER MINORI • ASILI NIDO• GESTIONE DI CENTRI SOCIO EDUCATIVI • TAGESMUTTER • ASSISTENZA AGLI STUDENTI DISABILI •CENTRO PER LA FAMIGLIA • ATTIVITÀ DI SOSTEGNO ALLE PERSONE BISOGNOSE • ANALISI AMBIENTALI EDI ACQUE • MISURAZIONI DI SOSTANZE CHIMICHE • CONSULENZA IN MATERIA DI SICUREZZA SUI LUO-GHI DI LAVORO • ASILI NIDO • FESTE, ANIMAZIONI • CENTRI ESTIVI • SPAZI DI ASCOLTO E CONSULENZAPSICOLOGICA • MICRONIDI • TAGESMUTTER • PULIZIE • MANUTENZIONE IMPIANTI • RISTORAZIONE •INSERIMENTI LAVORATIVI PER GIOVANI E ADULTI

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P assare dai sentimenti alla sto-ria. Così Andrea Riccardi,ordinario di Storia contem-

poranea presso la Terza Universitàdi Roma e fondatore della Comu-nità di Sant’Egidio, definisce loscopo della sua biografia di Gio-vanni Paolo II, la prima scritta subase scientifica e testimoniale sulPapa, beatificato in piazza SanPietro il 1° maggio scorso.

Professore, prima di parla-re del libro le chiederei una ri-flessione sulla beatificazionedi papa Wojtyla del 1° maggio.

ANDREA RICCARDI: La beati-ficazione di Giovanni Paolo II è sta-ta un grande evento che mostracome la figura di questo Papa siaradicata nel sentire del popolo cat-tolico. La mia impressione è stataquella di una partecipazione con-vinta, motivata di tanta gente, ov-viamente meno emotiva di quellache partecipò ai funerali l’8 aprile2005, ma memore.

Nei giorni della beatifica-zione lei ha voluto sottolinea-re che «quel popolo felice cheabbiamo visto in piazza SanPietro il 1° maggio è anche ilpopolo di papa Ratzinger».Perché, non era evidente?

Molte volte emerge il brutto vi-zio dei cattolici di creare una con-trapposizione tra il papa regnante

e il suo predecessore,quasi sempre conclu-dendo che quello mor-to era migliore. È unerrore tanto più gravenel caso dei pontificatidi Wojtyla e Ratzinger,tra i quali c’è una conti-nuità profonda. Nonper nulla Ratzinger èstato il principale colla-boratore di GiovanniPaolo II e non per nullaha voluto porre il pro-prio pontificato nel se-gno della continuità,sia con la beatificazio-ne del predecessore siacon la ripresa di Assisi.Aggiungo che la continuità deipontificati era, alla luce del Conci-lio Vaticano II, il grande ideale diGiovanni Paolo II.

Ritengo che il pontificato diGiovanni Paolo II rappresenti ilcuore e la ricezione creativa delConcilio, in continuità con il pon-tificato di Paolo VI, a cui Wojtyla siè sentito profondamente legato. Esono convinto che le generazioni

che verranno leggeranno il Conci-lio con Wojtyla, e Wojtyla attraver-so il Concilio.

Molte volte si mette l’ac-cento su Giovanni Paolo II po-litico, ovvero sul Papa che hasconfitto il comunismo. Nellasua biografia di Wojtyla, inve-ce, lei fa emergere un Papa ca-rismatico più che un Papa po-litico. Perché?

L ibri

Il beato Karol Wojtyla,dall’emozione alla storia

Piazza San Pietro gremita di fedeli in occasione

della cerimonia di beatificazionedi Giovanni Paolo IIil 1° maggio scorso

Andrea Riccardi,Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo, Cinisello Balsamo(Mi) 2011, 574 pp., euro 24,00

Intervista con Andrea Riccardi sulla sua biografia di Giovanni Paolo II scritta su base scientifica e testimoniale: «Wojtyla è una figura così poliedrica che solo la storia ha la capacità di ricostruirne tutti gli aspetti»

di Roberto Rotondo

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Una premessa: ognuno di noiha un suo proprio ricordo di Gio-vanni Paolo II. C’è chi lo ha incon-trato e conosciuto e chi l’ha solosfiorato, ma tutti possiamo concor-dare sul fatto che non si può rac-contare e spiegare questo Papa co-me fosse l’immagine di un santino.

Quindi è giunto il momento di spie-gare Giovanni Paolo II non attra-verso un’emozione, ma attraversola storia, perché Wojtyla è una figu-ra così poliedrica che solo la storiaha la capacità di ricostruirne tutti gliaspetti. Tornando alla domanda:Giovanni Paolo II un Papa politico?Molti lo hanno liquidato così: Papapolitico e anticomunista. Ma è unerrore. In realtà Giovanni Paolo II èuna figura che un po’ ci turba e cispiazza, perché il suo pontificatopur affermando il primato della fe-de – penso alla sua predicazione eall’importanza che dava alla pre-ghiera – mostra che il primato dellafede tocca le corde profonde dellastoria, cambia la storia. In questosenso, e solo in questo senso, pos-

siamo dire che è un papa politico.Giovanni Paolo II ha tanto minac-ciato di cambiare la storia che han-no tentato di ucciderlo più volte ehanno tentato di far saltare la suaCattedrale in San Giovanni in Late-rano. Giovanni Paolo II, quindi, èuomo di preghiera che cambia la

storia, che dimostrache la storia ha un tes-suto spirituale, e che lecorrenti spirituali muo-vono la storia.

Invece di liquidarlocome anticomunista,la storiografia dovreb-be fare i conti con la fi-gura di Giovanni Pao-lo II protagonista di untempo tra la guerrafredda e l’età della glo-balizzazione e figuratroppo grande per“uomini, trastulli d’in-finite paure”, comerecita la poesia di Da-vid Maria Turoldo conla quale chiudo il miolibro.

Da più parti si èdetto che GiovanniPaolo II è un gigan-te della storia delNovecento. Lei loha definito una roc-cia. Come si conci-lia questo essere ungigante con la suasantità? Non rischiadi essere un santoingombrante?

Forse sì, se siamo abituati asantini e non a santi. San GregorioMagno è un santo e un gigante,san Paolo è un santo e un gigante,e potrei continuare. GiovanniPaolo II è un santo che si mette inmezzo alla storia del mondo con-temporaneo e in questo senso èun gigante.

Lei dedica molte pagine al-l’importanza dell’Europa, an-che per il futuro della Chiesa,nel pontificato di GiovanniPaolo II…

Infatti definirei Wojtyla un Papaeuropeo, piuttosto che, come ven-ne fatto in Italia all’inizio del suopontificato, un Papa straniero. In-nanzitutto perché era di Cracovia,quindi era un mitteleuropeo; ma

soprattutto perché era un Papache sentiva la missione dell’Euro-pa connessa alla missione del cri-stianesimo: basta rileggere il suosaggio su questo tema, pubblicatosu Vita e pensiero poco prima del-la sua elezione a papa. Proprioperché l’Europa ha una grandemissione, Wojtyla è per l’Europaunita. E proprio per questo vuoleche la Polonia entri nell’Unioneeuropea contro il parere dellamaggior parte dei cattolici polac-chi. Attenzione però, perché Gio-vanni Paolo II è un Papa europeoma non un eurocentrista.

E qual è, in questo caso, lalinea di confine tra europei-smo e eurocentrismo?

Wojtyla non è eurocentristaperché, pur sentendo la missionedell’Europa, sente anche le grandisfide del mondo. In particolare ri-cordo la sua battaglia negli StatiUniti, la sua grande missione inAmerica Latina, la lotta alle sètte,la lotta alla deriva marxista dellaTeologia della liberazione, la suapresenza in Africa, continente acui è oltremodo attento. Inoltrec’è il tentativo di varcare le portedel l ’Asia, malgrado la Cinaresterà un sogno incompiuto delsuo pontificato.

Wojtyla, Papa europeo, era di-ventato capace di indicare un oriz-zonte globale nel mondo spaesatodella globalizzazione, dinnanzi auomini sempre più spesso preoc-cupati e disorientati, perché eraanche un Papa geopolitico. Comela sua preghiera, una preghiera ge-ografica e mentalmente orante chesi spostava da un luogo a un altrodella terra.

I l cardinale StanislawDziwisz in una recente intervi-sta ha detto che Wojtyla morìcome un grande patriarca bi-blico. Trova sia un paragonepossibile?

Penso di sì, perché è morto vo-lendo vivere fino in fondo il suo mi-nistero. È morto come ha vissuto:“nella piazza”, in mezzo alla suagente, perché non era un Papa iso-lato, era un Papa che praticava l’a-scesi dell’incontro, l’incontro con isingoli – e qui c’è il suo personali-smo praticato – così come l’incon-tro con le folle, con i popoli.

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Lei ha scritto sul Corrieredella Sera, parlando delle re-centi rivoluzioni nel Nord Afri-ca, che l’idea di rivoluzionedurata due secoli è morta conl’89 e con Wojtyla. Può ap-profondire quest’idea?

Non è solo un’idea mia, ma an-che di Bronislaw Geremek. L’ideadella rivoluzione come levatricedella storia, dalla Rivoluzione fran-cese alle rivoluzioni coloniali, l’ideadi rivoluzione nella politologia, èstata un’idea forte, decisiva: è stata

l’idea della liberazione, del pro-gresso. Ma con Wojtyla, con latransizione politica pacifica dell’E-st Europa e in particolare con laPolonia di Solidarnosc, cade l’ideadi rivoluzione violenta come pro-gresso, ma non si cede alla rasse-gnazione e alla conservazione.Wojtyla vuole la transizione pacifi-ca in Cile, appoggia quella nelle Fi-lippine, e gli esempi potrebberocontinuare a riprova che la fine del-l’idea di rivoluzione coincide conl’89. Questa fine Wojtyla la spiegabene nell’enciclica Centesimusannus.

Quindi Wojtyla resta per leiun rivoluzionario...

Io credo che Wojtyla non siastato capito nella sua carica dicambiamento e cito quel suo di-scorso del 2003, Ma tutto puòcambiare. Non è stato capito, adesempio, sulla Teologia della libe-razione in America Latina, che lui

ha combattuto solo perché l’haconsiderata tributaria al marxi-smo. Gli è sembrata una profondae radicale ambiguità, una stradache apriva il cammino all’influen-za sovietica, alla secolarizzazionedella Chiesa oltre che alla secola-rizzazione delle religioni. Comemi ha confermato Benedetto XVIin un colloquio che ho avuto conlui, Wojtyla voleva una liberazionecristiana, credeva che il cristiane-simo potesse liberare l’uomo, ilsuo cuore, e di conseguenza po-

tesse liberare anche la società. Inaltre parole pensava che trasfor-mando l’uomo cambiasse anchela società e questa grande idea cri-stiana in lui acquista un tono dina-

mico. Per questo possiamo anchedire che Wojtyla è un teologo dellaliberazione, ma bisogna intendersisu quale.

Nella sua biografia diWojtyla emerge come l’idea diun papa non italiano si fecestrada nel conclave perché icandidati italiani erano ritenu-ti troppo legati ai problemi po-litici del loro Paese e questocreava una certa insofferenzanegli altri porporati. Poi, inve-ce, il Papa polacco si riveleràmolto attento all’Italia e alladiocesi di Roma…

Esatto. Ma c’è una differenza ri-spetto ai predecessori italiani: PioXII diceva agli italiani «la vostra pa-tria», però poi si occupava delleelezioni amministrative del comu-ne di Roma. Wojtyla invece diceva«la nostra patria» sia quando parla-va dell’Italia che quando parlavadella Polonia, però non era moltoattento ai problemi politici italiani.Anzi, io direi che nei primi anni delsuo pontificato nel mondo eccle-siastico Wojtyla trovò una certainaccoglienza: in quel periodo sicontrapponeva il Concilio e la pa-storale conciliare alla pastoralewojtyliana e per questo lui si gettò

alla conquista dell’I-talia, anche attraver-so tante visite, rag-giungendo una gran-de popolarità. Pos-s iamo dire che s isentiva italiano ed èstato molto attentoalla società italiana eai suoi cambiamentipiù che ai problemidella sua politica in-terna.

Concludendo,tra lo slogan “san-to subito” e lo slo-gan “santo pre-sto” lei quale pre-ferisce?

Io non do moltaimportanza a questecose. Giovanni Pao-lo II è un santo con-

temporaneo e andava messo in lu-ce presto. Inoltre con un rapidoprocesso si sono raccolte preziosetestimonianze che forse fra annisarebbero andate perdute. q

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L ibri

A sinistra, Giovanni Paolo II in piazza San Pietro il 22ottobre 1978; qui sotto,Harlem, New York,in occasione del viaggioapostolico nel 1979.Queste immagini fanno parte della mostra fotografica “All’Altare di Dio”realizzata con le opere di Vittoriano Rastelli e ospitata a Roma dai Musei Capitolini fino al 25 settembre 2011 e dal Castello Reale di Varsavia fino al 31 luglio 2011

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L e notizie sul grave incidentenucleare di Fukushima, arri-vate inattese e violente, ci in-

segnano che non conosciamo asufficienza la nostra terra e i meto-di migliori per soddisfare le nostreattuali esigenze di energia. Così inqueste mie riflessioni vorrei – do-po aver preventivamente offertoun riassunto delle fonti di energianecessarie al nostro progresso ci-vile – ribadire la necessità di ricer-care, di sviluppare nuove indaginie di aprire nuovi laboratori. Vorreianche sottolineare l’importanzadelle università, nel loro ampio si-gnificato di luogo di indagine atti-va su quanto ancora non conoscia-mo e di deposito della conoscenzae della cultura raggiunta da tra-smettere alle nuove generazioni.Perché senza un’attiva collabora-zione tra le generazioni la civiltà diun Paese è destinata a un’inevita-bile decadenza.

Una considerazione generale:l’homo sapiens è da millenni suquesta terra, la riconosce comesua e la ama. Ma la terra sussulta esi scuote, tende a cancellare consismica violenza ciò che l’uomo hacostruito. Il livello 9 della scala Ri-chter, il massimo finora mai rag-giunto, può cancellare ogni co-struzione. E i sussulti interni delsuolo possono indurre onde altis-sime, sino a venti metri, in gradodi spazzare via intere regioni co-stiere. Ma nonostante l’imprevedi-bilità del pianeta sul quale viviamo,l’uomo continua ad amare la terra,e il suo lavoro per le nuove operefuture è commovente. È su questafiducia, e per certi versi solitudine,

dell’uomo che posso impiantare ilmio discorso sull’energia.

Le nostre fonti di energia Una cosa è ben nota: tutta l’ener-gia che possiamo raccogliere sullaterra è di origine nucleare. Il sole,con la fusione dall’idrogeno in elioe altri nuclei leggeri, è il nostrogrande reattore nucleare. L’ener-gia che si sprigiona in forma dineutrini, elettroni e fotoni si irradia

dal sole. Quella piccola parte dienergia solare che investe la nostraterra da alcuni miliardi di anni èquella che ha permesso il fioriredella vita animale e vegetale sul no-stro pianeta. Non solo, ma i residuiincombusti accumulati (petrolio,carbone ecc.) nella crosta terrestresono divenuti la fonte essenzialeper la nostra sopravvivenza (riscal-damento, cibo, movimento dellemacchine, trasporti, eccetera).

Ricercatori al lavorosull’esperimentoAlice al Cern

Ricerca o decadenza Scienza

È necessario studiare e capire di più le leggi naturali che governano il mondo in cui viviamo e potenziare la nostra cultura scientifica in ognidirezione. Sull’energia il momento delle scelte definitive è ancora lontano.La trasmissione di conoscenza tra le diverse generazioni non va interrotta

di Giorgio Salvini Socio nazionale e presidente onorario dell’Accademia nazionale dei Lincei,professore emerito dell’Università di Roma “Sapienza”

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Recentemente – settanta annior sono, nel 1941 – si è arrivati aun uso diretto dell’energia nuclea-re, utilizzando quella piccola fra-zione degli atomi di uranio che sitrova in natura, l’isotopo 235. Es-so si rompe in nuclei meno pesanticatturando neutroni (la fissione) edando emissione notevole di parti-celle cariche e di raggi Gamma esoprattutto di nuovi neutroni.Edoardo Amaldi, Enrico Fermi e lafamosa scuola di via Panispernahanno avuto una parte fondamen-tale nella storia della scoperta diquesta energia nucleare.

Questo è stato il passo inizialedi una immensa, interessata curio-sità umana: studiare nuovi proces-si di energia nucleare che ci per-mettano di impiegare altri elemen-ti, oltre al raro uranio 235.

Una via recentemente ricorda-ta da Carlo Rubbia, ma che già luie altri indicarono negli scorsi de-cenni, è l’impiego del torio in luo-go dell’uranio. È una via possibileche presuppone nuovi reattori nu-cleari con un potente iniettore ini-ziale di protoni di alta energia.Questi reattori con torio, sia per laloro minore produzione di scoriesia per la non correlazione con laproduzione di armi nucleari, po-trebbero essere meno insidiosi diquelli che fanno uso dell’uranio.Sarebbe un errore non approfon-dire negli anni venturi queste ricer-che con il torio.

Ma c’è una via alla quale centi-naia di fisici in tutto il mondo sistanno dedicando: la diretta fusio-ne di elementi leggeri in nuclei piùpesanti. Non è una situazione con-cettualmente molto diversa dallacombustione chimica di idrogenoe ossigeno in acqua, ma con l’e-norme differenza che ogni proces-so elementare di fusione nuclearemette a nostra disposizione unaenergia un milione di volte mag-giore di una ordinaria reazionechimica. Questa ipotesi è allo stu-dio ma richiede soluzioni tecnicheoriginali e complicate. Essa staprocedendo con qualche incertez-za e scetticismo.

Non mancano poi tentativi diarrivare a una fusione nuclearefredda. Personalmente non ripon-go molta speranza in questa viama, se realizzata, certo risultereb-

be un enorme, definitivo successo.Quindi, riuscire a fondere diret-

tamente i nuclei più leggeri (la fu-sione nucleare) per cavarne ener-gia è lo sforzo da perseguire neiprossimi decenni, anche perché èragionevole pensare che la fonteprincipale di energia fino a oggiutilizzata – cioè petrolio, carbonee altri combustibili fossili – nonsarà sufficiente per rispondere alleesigenze dei prossimi secoli. Inol-tre la terra con la sua atmosferapuò essere lentamente avvelenatadalle nostre combustioni.

L’energia solare e l’atomoA questo punto è naturale guarda-re ancora all’immensa energia cheil sole ci manda e chiederci se nonpossiamo imbrigliarla in quantitàadeguata alle nostre esigenze.Questa domanda, che sollecita lamente umana da molti secoli, ètutt’altro che irragionevole: bastipensare che il sole, nelle giornatesenza nuvole, manda sulla terraogni secondo una energia (poten-za) pari a circa mille watt per me-tro quadrato. Questo significache – se potessimo convertirla informa utile – l’energia riversata dalsole in un anno su un deserto am-pio come la Penisola Arabica è pa-ragonabile a tutta l’energia ricava-bile dalle nostre riserve di petrolio.L’energia solare è quindi una pre-da ghiotta e gli studi recenti con-dotti nei Paesi più avanzati ci per-mettono di sperare in un grandecontributo del fotovoltaico per lanostra energia elettrica in ogni usocivile. Ma porre questi progressi

del fotovoltaico in opposizione ein alternativa al nucleare è stolto.

Le recenti vicende giapponesihanno di nuovo messo in dubbio lasicurezza delle centrali nucleari, eanche il nostro Paese, che sem-brava intenzionato – dopovent’anni – a riaprirsi alla tecnolo-gia nucleare, ha dichiarato unamoratoria sulle nuove centrali;mentre due giganti industriali co-me la Germania e gli Stati Unitipotrebbero chiudere le centraliesistenti, o decidere di ritardare lacostruzione di quelle nuove. Invite-rei a riflettere, però, sul fatto che,per mancanza di sufficiente cultu-ra e di studi, non siamo in condi-zioni oggi, di arrivare a decisionicosì definitive. Infatti è ragionevo-le pensare che, prima o poi, l’e-nergia chimica (combustione dipetrolio o di carbone) non basteràpiù, e dovremo guardare inevita-bilmente al nucleare. Non sappia-mo ancora se e quando arrivere-mo alla fusione nucleare, ma nelfrattempo dobbiamo sfruttare l’u-ranio, o simili nuclei pesanti.

Proprio per questo è necessa-rio studiare e capire di più le legginaturali che governano il mondoin cui viviamo: studiare la terra e isuoi moti, cercare le leggi della fisi-ca e della matematica che regola-no la materia, insomma potenzia-re la nosta cultura scientifica inogni direzione. Il momento dellescelte definitive è ancora lontano.

Curiosità e ricerca Quel che voglio difendere è dunquela catena: curiosità – ricerca – ri- ¬

DOPO FUKUSHIMA. L’invito a riflettere di un grande fisico

La centrale giapponese di Fukushima gravemente danneggiata dal terremoto dell’11 marzo scorso

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cerca scientifica – trasmissione del-la cultura – scuola e università.

Il compito di questa catena èquello di portare il sapere e le ca-pacità umane oltre gli attuali limiti,e quindi a un più elevato e sicurorapporto con il nostro universo.

Abbiamo segui to la s tor iadrammatica, e forse in qualchemomento anche assurda, dell’uni-versità in Italia negli ultimi decen-ni. Ebbene, io voglio qui ribadireun concetto fondamentale: uni-versità e scuola debbono significa-re la trasmissione e il migliora-mento della nostra cultura da unagenerazione all’altra. Se questacatena si interrompe, si perde unagenerazione ed è una catastrofeimmensa. Dobbiamo avere orroredella disoccupazione giovanile edifendere l’università al di là deidiversi modelli e modi di azioneche ogni Paese ha scelto o sce-glierà. La scuola e l’università so-no un momento fondamentaledella nostra vicenda umana, ep-pure le istituzioni politiche e moltidei nostri intellettuali sembra nonl’abbiano ancora capito.

Il più profondo ammonimentodella recente sventura giappone-se è che dobbiamo studiare e ca-pire sempre di più il nostro pia-neta e continuare le nostre ricer-che. I gravi errori che ancorapossiamo fare, come nel campodell’energia, devono essere unostimolo ad aumentare le nostreconoscenze, e un antidoto allapresunzione di saperne abba-stanza.

Una linea di azioneDobbiamo lavorare e cercare dicapire la natura del mondo in cuiviviamo. Nel caso dell’energia di-sponibile all’uomo le vie apertesono tutte valide e difficili. Il dibat-tito relativo alla costruzione dinuove stazioni eoliche e fotovol-taiche che soddisfino almeno inparte le nostre esigenze è in au-mento e la questione invita allacollaborazione e allo scambio in-ternazionali. Quanto alle nuove esicure centrali nucleari, vedremocome evolverà la discussionemondiale nei prossimi mesi, macredo che il nucleare da fissioneandrà avanti, pur con profondemodifiche e cautele.

Saranno vie lunghe e impe-gnative ma uniranno uomini dirazze e nazioni diverse. D’altraparte, la risonanza internazionalesui fatti di Fukushima ci fa com-

prendere che ormai tutti gli uomi-ni del pianeta sanno collaboraretra loro: il Cern, per esempio, èun ottimo esempio di possibilecollaborazione mondiale. In con-clusione, questa mia nota invita ameditare sulla vicenda giappone-se: essa ci indica che non sappia-mo ancora controllare le risorseche impieghiamo e gli impiantiche realizziamo, ma d’altra partenon possiamo rinunciare a essi.Rafforziamo i controlli e, per bat-tere vie nuove, apriamo nuovi la-boratori. Attiviamo la fantasiadelle nuove generazioni e spie-ghiamo che nel futuro c’è lavoro eimpegno per tutti; investiamo sul-le scuole e sulle università. Insom-ma, consideriamo la trasmissionee il miglioramento della nostracultura da una generazione all’al-tra come un bene fondamentale einderogabile. q

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S

Il cammino e i progressi della fisica dal 1944 a oggi, visti con gli occhi di chi vi ha contribuito inprima persona, accanto ad altri prestigiosi protagonisti. Questo il lettore troverà nel volume

autobiografico del professor Giorgio Salvini, nato a Milano nel 1920. Docente universitario diFisica sperimentale, generale e delle particelle elementari, con una lunghissima carriera di ri-cerca in Italia e allʼestero, è stato presidente dellʼIstituto nazionale di fisica nucleare, ministrodella Ricerca scientifica e presidente dellʼAccademia dei Lincei.

Nella prima parte del libro Salvini ripercorre le proprie esperienze di studio e di lavoro: dagiovane maestro elementare a ricercatore di Fisica, dagli studi teorici agli anni del sincrotronedi Frascati (un fiore allʼocchiello della storia della fisica italiana). E poi lʼesperienza del Cern diGinevra e quella politica. Nella seconda parte, che dà il titolo al libro, Salvini riflette sul sensodella ricerca dellʼuomo: sono pagine stimolanti, nelle quali lʼautore delinea ciò che riesce «acredere di libero e aperto», un aggettivo, questʼultimo, tanto importante in matematica quantonella nostra vicenda umana.

L’uomo, un insieme aperto

Il gruppo di ricercatori del sincrotrone, tra cui Giorgio Salvini,in partenza da Pisa per Roma e Frascati nel 1956

96

cienza

Giorgio Salvini, L’uomo, un insieme aperto. La mia vita di fisico, Mondadori – Sapienza, Milano – Roma 2010, 206 pp., euro 16,00

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«Sono molto contento che 30Giorni faccia una nuova edizione di questo piccolo librocontenente le preghiere fondamentali dei cristiani maturatesi nel corso dei secoli.A questo piccolo libro auguro che possa diventare un compagno di viaggio per molticristiani».

dalla presentazione del cardinale Joseph Ratzinger del 18 febbraio 2005 (eletto Papa il 19 aprile 2005 con il nome di Benedetto XVI)

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