Noi non ci pentiamo

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42 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 ri da svolgere. Nessun carcerato è mai evaso da Aquila Ne- ra e sono in pochissimi ad averci provato. «Solo i più forti riescono a sopravvivere in queste condizioni, quelli che sono più forti mentalmente», dice a «la Lettura» Vladimir Eremeev, 64 anni, condannato per omicidio, che ha tra- scorso più di 40 anni nelle prigioni sovietiche e russe. «Un terzo degli ergastolani impazzisce. Tutti gli altri san- no che usciranno di qui solo nella cassa da morto». Nel 2000 sono stato il primo giornalista straniero ad avere accesso ad Aquila Nera. Di recente, dopo oltre sei mesi di trattative per concordare un permesso dalle auto- rità della prigione, ho fatto ritorno in compagnia di Nick Read, un regista pluripremiato, e una troupe televisiva. Insieme, abbiamo trascorso 21 giorni all’interno del pe- nitenziario per realizzare I Condannati, un documentario su alcuni dei prigionieri rinchiusi in quel mondo desola- to. Nessuna troupe straniera ha mai ottenuto il permesso di restare così a lungo, e senza vincoli di sorta, in una pri- gione russa, tantomeno in una fortezza impenetrabile e remota come Aquila Nera. Abbiamo intervistato oltre 50 detenuti sui loro delitti e castighi, e tra questi abbiamo se- lezionato sei prigionieri, ai quali abbiamo chiesto di rac- contare la loro storia. Abbiamo provato a esplorare come cambiano la mente e l’animo di un uomo, quando resta segregato in una cella di quattro metri quadrati per 23 ore al giorno per decenni. Quale speranza resiste, quando ogni speranza è morta? A che cosa si aggrappa un uomo, quando viene spogliato di tutto? Esiste il pentimento, esi- ste la redenzione? E perché taluni carcerati sostengono che la pena di morte sarebbe una punizione più umana e misericordiosa della condanna a vivere ad Aquila Nera? In Russia la pena capitale è rimasta in vigore fino al 1996, quando il presidente Boris Eltsin la revocò per con- sentire al Paese l’ingresso nel Consiglio d’Europa. Nell’era sovietica, i criminali come quelli incarcerati ad Aquila Ne- ra venivano giustiziati con un colpo alla nuca e seppelliti in segreto in tombe senza nome. Quando venne varata la moratoria, il governo fu costretto a decidere sul destino dei detenuti richiusi nel braccio della morte in attesa di esecuzione capitale. Scelse di risparmiar loro la vita e di commutare la sentenza in 25 anni di reclusione. Sono tra- scorsi 19 anni da allora e oggi restano solo 170, degli anti- chi condannati a morte, a scontare la loro pena in un car- cere di massima sicurezza, e sono tutti rinchiusi ad Aquila Nera. Gli altri 90 prigionieri nella prigione sono stati con- dannati all’ergastolo per omicidio, dopo la sospensione della pena di morte. Non tutti i detenuti nel braccio della morte hanno reagito con sollievo alla notizia che gli era stata risparmiata la vita, in cambio di 25 anni di carcere durissimo. Per alcuni, la prospettiva si è rivelata insop- portabile. «Sono stato l’ultimo — dice Eremeev — ad ave- re la condanna commutata. Quando uno dei carcerati che era con me nel braccio della morte ha visto il decreto pre- sidenziale che trasformava la pena di morte in 25 anni di reclusione... cinque minuti dopo si è impiccato. Un altro lo ha fatto tre giorni dopo, con le mutande. Il terzo si è conficcato un arnese nel cuore. Pensa che coraggio, tra- figgersi a morte. Se mi avessero giustiziato, mi avrebbero faccia su un fossato, dove gli uomini vuotano i secchi di escrementi. La puzza è insopportabile. Le celle degli erga- stolani sono di dodici metri quadrati, da condividere in due, oppure quattro metri quadrati per una sola persona. Le celle più piccole sono talmente anguste che basta ap- poggiare la spalla a una parete e tendere un braccio per toccare la parete opposta. Finire rinchiusi là dentro anche solo per qualche istante dà la sensazione di essere sepolti vivi. Ai detenuti è consentito fare la doccia una sola volta alla settimana. Durante i primi dieci anni di carcerazione, gli ergastolani possono ricevere un piccolo pacco ogni 12 mesi e due visite all’anno, ciascuna per quattro ore al mas- simo, dietro un vetro spesso. Non è ammesso nessun con- tatto fisico. Aquila Nera è talmente isolata, e i parenti dei detenuti sono per la maggior parte talmente indigenti, che alcuni prigionieri qui non vedono un parente da 18 anni. I dete- nuti hanno a disposizione un televisore e qualche libro. Possono tenere con sé qualche effetto personale e spen- dere fino a 700 rubli (9 euro) al mese nello spaccio del car- cere. Durante il giorno è vietato restare distesi sul letto e, tranne che per qualche raro privilegiato, non ci sono lavo- Una troupe ha trascorso tre settimane nella prigione peggiore della Russia. I suoi 260 detenuti hanno ucciso complessivamente 800 persone. Viaggio ai confini della disperazione, dove però si accendono lampi di umanità Noi non ci pentiamo Tra i dannati del carcere Aquila Nera «Meglio morti: non si può cambiare» da Lozva (Russia) MARK FRANCHETTI Percorsi Geografie Mosca RUSSIA Yekaterinburg M o n t i U r a l i Lozva N el cuore profondo della Russia, circondata da foreste impenetrabili più grandi della Germa- nia, si trova una prigione che non ha uguali. La zona un tempo ospitava i famigerati gulag. Denominata Colonia 56 dalle autorità, tra i detenuti e i bassifondi criminali è conosciuta come Aqui- la Nera. È un carcere solo per assassini. Sono 260 uomini, i detenuti. Collettivamente, hanno ucciso oltre 800 perso- ne. Dietro le sue mura ci sono terroristi, sadici, psicopati- ci, omicidi seriali, stupratori che hanno ammazzato le lo- ro vittime, sicari della mafia russa, assassini di bambini, esponenti della malavita organizzata. Ci sono anche uo- mini che hanno ucciso in un raptus di follia o in preda al- l’alcol. Sono considerati i criminali tra i più pericolosi di tutto il Paese. Per loro, Aquila Nera rappresenta la fine della corsa, un pozzo buio senza ritorno. Le condizioni di vita, dietro le cinque recinzioni sor- montate da filo spinato, le torrette di sorveglianza e le pat- tuglie dotate di cani poliziotto, sono le più repressive con- sentite dalle istituzioni penitenziarie, e il regime carcera- rio di Putin, come tante altre cose nel suo Paese, non la- scia scampo. Il senso di lontananza e di isolamento dal mondo esterno è drammatico e sconvolgente. Prima della co- struzione di una nuova strada, qualche anno fa, la prigione si trovava a 14 ore di macchina dalla città più vicina, Yekaterinburg negli Urali. Ancora oggi occorro- no 8 ore di percorrenza. Se si pro- viene dalle regioni più lontane, si viaggia in treno per giorni. La sensazione di lontananza è inasprita dal fatto che Aquila Ne- ra è circondata interamente da foreste, un oceano verde che si estende per centinaia di chilo- metri in tutte le direzioni. Gli in- verni freddissimi durano sette mesi l’anno. Le temperature scendono fino a 45 gradi sotto ze- ro e la regione resta sepolta sotto 3 metri di neve, sprofondata nel buio e sferzata dalle bufere di vento che scendono dall’Artico. Le brevi estati sono soffocanti e infestate di zanzare. La prigione, un insieme di edifici fatiscenti risalenti al- l’era sovietica, non dispone ancora di fognature. I detenu- ti utilizzano dei secchi nelle loro celle, che poi svuotano all’esterno una volta al giorno. Una linea telefonica per il direttore è stata installata solo qualche anno fa. Nel fab- bricato che ospita gli ergastolani, una fortezza di mattoni rossi a due piani, costruita negli anni Sessanta, i prigio- nieri sono costretti a restare nelle loro celle 23 ore al gior- no. L’unica ora d’aria al giorno si trascorre in un minusco- lo cortile, da soli o a coppie. Attraverso le maglie della re- cinzione metallica si vede solo il cielo. Ogni cortile si af- Il luogo La prigione russa Colonia 56, conosciuta con il nome di Aquila Nera, si trova negli Urali, 400 chilometri a nord di Yekaterinburg e a quasi 2.500 chilometri a nord est dalla capitale, Mosca. Per raggiungere la prigione, da Yekaterinburg, occorrono 8 ore di viaggio in auto. Attualmente vi sono rinchiusi 260 detenuti. Durante l’inverno le temperature scendono fino a meno 45 gradi centigradi Le immagini A fianco: un secondino di guardia; nella pagina accanto, dall’alto: detenuti all’interno e all’esterno del carcere; la porta di una cella con le indicazioni del prigioniero i

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Tra i dannati del carcere Aquila Nera, il carcere peggiore della Russiadi Mark Franchetti

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42 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 13 SETTEMBRE 2015

ri da svolgere. Nessun carcerato è mai evaso da Aquila Ne-ra e sono in pochissimi ad averci provato. «Solo i più fortiriescono a sopravvivere in queste condizioni, quelli chesono più forti mentalmente», dice a «la Lettura» VladimirEremeev, 64 anni, condannato per omicidio, che ha tra-scorso più di 40 anni nelle prigioni sovietiche e russe.«Un terzo degli ergastolani impazzisce. Tutti gli altri san-no che usciranno di qui solo nella cassa da morto».

Nel 2000 sono stato il primo giornalista straniero adavere accesso ad Aquila Nera. Di recente, dopo oltre seimesi di trattative per concordare un permesso dalle auto-rità della prigione, ho fatto ritorno in compagnia di NickRead, un regista pluripremiato, e una troupe televisiva.

Insieme, abbiamo trascorso 21 giorni all’interno del pe-nitenziario per realizzare I Condannati, un documentariosu alcuni dei prigionieri rinchiusi in quel mondo desola-to. Nessuna troupe straniera ha mai ottenuto il permessodi restare così a lungo, e senza vincoli di sorta, in una pri-gione russa, tantomeno in una fortezza impenetrabile eremota come Aquila Nera. Abbiamo intervistato oltre 50detenuti sui loro delitti e castighi, e tra questi abbiamo se-lezionato sei prigionieri, ai quali abbiamo chiesto di rac-contare la loro storia. Abbiamo provato a esplorare comecambiano la mente e l’animo di un uomo, quando restasegregato in una cella di quattro metri quadrati per 23 oreal giorno per decenni. Quale speranza resiste, quandoogni speranza è morta? A che cosa si aggrappa un uomo,quando viene spogliato di tutto? Esiste il pentimento, esi-ste la redenzione? E perché taluni carcerati sostengono che la pena di morte sarebbe una punizione più umana emisericordiosa della condanna a vivere ad Aquila Nera?

In Russia la pena capitale è rimasta in vigore fino al1996, quando il presidente Boris Eltsin la revocò per con-sentire al Paese l’ingresso nel Consiglio d’Europa. Nell’erasovietica, i criminali come quelli incarcerati ad Aquila Ne-ra venivano giustiziati con un colpo alla nuca e seppellitiin segreto in tombe senza nome. Quando venne varata lamoratoria, il governo fu costretto a decidere sul destinodei detenuti richiusi nel braccio della morte in attesa diesecuzione capitale. Scelse di risparmiar loro la vita e dicommutare la sentenza in 25 anni di reclusione. Sono tra-scorsi 19 anni da allora e oggi restano solo 170, degli anti-chi condannati a morte, a scontare la loro pena in un car-cere di massima sicurezza, e sono tutti rinchiusi ad AquilaNera. Gli altri 90 prigionieri nella prigione sono stati con-dannati all’ergastolo per omicidio, dopo la sospensionedella pena di morte. Non tutti i detenuti nel braccio dellamorte hanno reagito con sollievo alla notizia che gli erastata risparmiata la vita, in cambio di 25 anni di carceredurissimo. Per alcuni, la prospettiva si è rivelata insop-portabile. «Sono stato l’ultimo — dice Eremeev — ad ave-re la condanna commutata. Quando uno dei carcerati cheera con me nel braccio della morte ha visto il decreto pre-sidenziale che trasformava la pena di morte in 25 anni direclusione... cinque minuti dopo si è impiccato. Un altrolo ha fatto tre giorni dopo, con le mutande. Il terzo si èconficcato un arnese nel cuore. Pensa che coraggio, tra-figgersi a morte. Se mi avessero giustiziato, mi avrebbero

faccia su un fossato, dove gli uomini vuotano i secchi diescrementi. La puzza è insopportabile. Le celle degli erga-stolani sono di dodici metri quadrati, da condividere indue, oppure quattro metri quadrati per una sola persona.Le celle più piccole sono talmente anguste che basta ap-poggiare la spalla a una parete e tendere un braccio pertoccare la parete opposta. Finire rinchiusi là dentro anchesolo per qualche istante dà la sensazione di essere sepoltivivi. Ai detenuti è consentito fare la doccia una sola voltaalla settimana. Durante i primi dieci anni di carcerazione,gli ergastolani possono ricevere un piccolo pacco ogni 12mesi e due visite all’anno, ciascuna per quattro ore al mas-simo, dietro un vetro spesso. Non è ammesso nessun con-tatto fisico.

Aquila Nera è talmente isolata, e i parenti dei detenutisono per la maggior parte talmente indigenti, che alcuniprigionieri qui non vedono un parente da 18 anni. I dete-nuti hanno a disposizione un televisore e qualche libro.Possono tenere con sé qualche effetto personale e spen-dere fino a 700 rubli (9 euro) al mese nello spaccio del car-cere. Durante il giorno è vietato restare distesi sul letto e,tranne che per qualche raro privilegiato, non ci sono lavo-

Una troupe ha trascorso tre settimane nella prigione peggiore della Russia. I suoi 260 detenuti hanno ucciso complessivamente 800 persone. Viaggio ai confini della disperazione, dove però si accendono lampi di umanità

Noi non ci pentiamoTra i dannati del carcere Aquila Nera«Meglio morti: non si può cambiare»da Lozva (Russia) MARK FRANCHETTI

Percorsi Geografie

Mosca

RUSSIA

Yekaterinburg

Mo

n t i U

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LozvaLozva

Nel cuore profondo della Russia, circondata daforeste impenetrabili più grandi della Germa-nia, si trova una prigione che non ha uguali.La zona un tempo ospitava i famigerati gulag.Denominata Colonia 56 dalle autorità, tra i

detenuti e i bassifondi criminali è conosciuta come Aqui-la Nera. È un carcere solo per assassini. Sono 260 uomini,i detenuti. Collettivamente, hanno ucciso oltre 800 perso-ne. Dietro le sue mura ci sono terroristi, sadici, psicopati-ci, omicidi seriali, stupratori che hanno ammazzato le lo-ro vittime, sicari della mafia russa, assassini di bambini,esponenti della malavita organizzata. Ci sono anche uo-mini che hanno ucciso in un raptus di follia o in preda al-l’alcol. Sono considerati i criminali tra i più pericolosi ditutto il Paese. Per loro, Aquila Nera rappresenta la fine della corsa, un pozzo buio senza ritorno.

Le condizioni di vita, dietro le cinque recinzioni sor-montate da filo spinato, le torrette di sorveglianza e le pat-tuglie dotate di cani poliziotto, sono le più repressive con-sentite dalle istituzioni penitenziarie, e il regime carcera-rio di Putin, come tante altre cose nel suo Paese, non la-scia scampo. Il senso di lontananza e di isolamento dalmondo esterno è drammatico esconvolgente. Prima della co-struzione di una nuova strada,qualche anno fa, la prigione sitrovava a 14 ore di macchina dallacittà più vicina, Yekaterinburgnegli Urali. Ancora oggi occorro-no 8 ore di percorrenza. Se si pro-viene dalle regioni più lontane, siviaggia in treno per giorni.

La sensazione di lontananza èinasprita dal fatto che Aquila Ne-ra è circondata interamente daforeste, un oceano verde che siestende per centinaia di chilo-metri in tutte le direzioni. Gli in-verni freddissimi durano settemesi l’anno. Le temperaturescendono fino a 45 gradi sotto ze-ro e la regione resta sepolta sotto3 metri di neve, sprofondata nelbuio e sferzata dalle bufere divento che scendono dall’Artico.Le brevi estati sono soffocanti einfestate di zanzare.

La prigione, un insieme di edifici fatiscenti risalenti al-l’era sovietica, non dispone ancora di fognature. I detenu-ti utilizzano dei secchi nelle loro celle, che poi svuotanoall’esterno una volta al giorno. Una linea telefonica per ildirettore è stata installata solo qualche anno fa. Nel fab-bricato che ospita gli ergastolani, una fortezza di mattonirossi a due piani, costruita negli anni Sessanta, i prigio-nieri sono costretti a restare nelle loro celle 23 ore al gior-no. L’unica ora d’aria al giorno si trascorre in un minusco-lo cortile, da soli o a coppie. Attraverso le maglie della re-cinzione metallica si vede solo il cielo. Ogni cortile si af-

Il luogoLa prigione russa Colonia 56,

conosciuta con il nome diAquila Nera, si trova negli

Urali, 400 chilometri a nord diYekaterinburg e a quasi

2.500 chilometri a nord estdalla capitale, Mosca. Per

raggiungere la prigione, daYekaterinburg, occorrono 8

ore di viaggio in auto.Attualmente vi sono rinchiusi

260 detenuti. Durantel’inverno le temperature

scendono fino a meno 45gradi centigradi

Le immaginiA fianco: un secondino di

guardia; nella pagina accanto,dall’alto: detenuti all’interno e

all’esterno del carcere; laporta di una cella con le

indicazioni del prigioniero

i

DOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 43

con i loro piatti e posate. Gli altri non si degnano di strin-gere loro la mano né di accettare alcunché da loro, nem-meno una sigaretta. Uno degli emarginati è Andrei Lebe-dev, che nei primi anni Novanta ha stuprato e ucciso unaragazza e ha passato sei anni nel braccio della morte, perpoi vedersi commutare la pena in 25 anni di carcere. Qual-che anno fa la vittima di uno stupro gli ha scritto, nel ten-tativo di scavare nella mente di uno stupratore e assassi-no. I due hanno tenuto in vita una corrispondenza, dallaquale è nata un’amicizia che ha portato al loro matrimo-nio dietro le sbarre.

A differenza degli ergastolani di Aquila Nera, agli«scampati» sono concesse visite coniugali in una foreste-ria tenuta sotto chiave. Lebedev e la moglie hanno avutoanche due figli, un maschio che oggi ha nove anni e unafemmina di sette. Il padre gli ha parlato per telefono, manon li ha ancora incontrati di persona: troppo giovani pervisitare la prigione. Non gli è stato ancora detto per qualemotivo il padre si trova dietro le sbarre. Nel fabbricato de-gli ergastolani, dove i detenuti possono vedere un con-giunto per un totale di 8 ore l’anno (le visite qui sono an-cor più rare che nel settore degli «scampati»), abbiamo filmato due riunioni. La prima tra Maksim Kiselev e suamadre. Un sociopatico, Kiselev si ricorda soltanto di es-sersi ubriacato, di aver iniziato una rissa e di essersi sve-gliato con un coltello in mano e 6 persone a terra, tra lequali anche una donna e un bambino di 10 anni. La donnanon vedeva il figlio da cinque anni e aveva percorso 8 milachilometri, tra andata e ritorno, per potergli parlare per 4ore dietro un divisorio di vetro spesso. In lacrime, diceche sarà l’ultima volta che vedrà suo figlio, perché non ha isoldi per rifare il viaggio.

«Se tu fossi rimesso in libertà, saresti un pericolo per lasocietà?» chiedo a Kiselev, 33 anni, che preferisce restarechiuso in una cella singola da quattro metri quadrati, do-ve sopravvive sepolto in un suo mondo immaginario. «Certo che lo sarei — mi risponde senza esitare —. Vedreila gente che si gode la bella vita e vorrei farlo anch’io. Maio non ho mai lavorato. Allora mi metterei a rubare, a ubriacarmi e ad ammazzare di nuovo. Perché se hai uccisouna volta, ucciderai ancora».

Ho imparato ad apprezzare l’onestà brutale con la qualesi sono aperti a me per parlare dei loro reati, rimpianti,redenzione, mancanza di rimorsi, libertà e famiglia, paz-zia e speranza. «Io ho ucciso, come faccio a pentirmi?»,dice Eremeev, il vecchio detenuto con più di 40 anni dicarcere sulle spalle. «Che senso ha parlare di pentimento?Come fanno assassini e sadici come noi a chiedere perdo-no? Un uomo che ha ammazzato 3 o 4 persone, che ha am-mazzato donne e bambini — che senso ha il pentimento?Nessuno cambia. Una volta tornato libero, un uomo po-trebbe anche non commettere più reati e condurre una vi-ta normale, ma quello non è pentimento. Se vuoi davveropentirti, vai a spararti oppure prendi una corda e impicca-ti. Quello sì che sarebbe pentimento per i tuoi peccati. Èsolo davanti a Dio che ci pentiremo. Nell’altro mondo».

(traduzione di Rita Baldassarre)© RIPRODUZIONE RISERVATA

risparmiato tutta questa tortura e questa angoscia. Scon-tare 25 anni non è una sensazione piacevole, nemmenoper uno come me».

Gli ergastolani condannati dopo la moratoria del 1996sono rinchiusi in celle, mentre gli antichi condannati amorte, ai quali è stata risparmiata la pena capitale, vivonoin comunità, in una vecchia caserma di legno, costruita inepoca sovietica. Gli «scampati», come vengono chiamatigli antichi condannati a morte, dormono in stanzoni so-vraffollati, mangiano in mensa ma — soprattutto — han-no il permesso di passeggiare all’aperto e godersi un po’di sole e di aria fresca. I detenuti malati di tubercolosi so-no isolati in un edificio a parte. Il regime più mite accor-dato agli ex condannati a morte è semplicemente il risul-tato di incongruenze legali, scaturite dalle modifiche ap-portate al codice penale sovietico quando il Paese si lasciòalle spalle il regime comunista. Le differenze non rifletto-no la convinzione, tra le autorità, che i detenuti «scampa-ti» siano meno pericolosi degli ergastolani, né i loro cri-mini meno raccapriccianti. «Sono tutti uguali, hannocommesso reati inenarrabili», dice Subkhan Dadashiov, direttore di Aquila Nera dal 1986. «Sono qui da 29 anni enon ho mai provato compassione per nessuno di loro.Francamente, preferivo la pena di morte. Se qualcunonon mi capisce, vuol dire che non ha mai guardato negliocchi uno di questi assassini. Per me la pena di morte èl’unica soluzione».

Dadashiov, 53 anni, vive in una casetta di legno a pochecentinaia di metri dal perimetro del penitenziario, in unpaesino di meno di 200 abitanti, per la maggior parte guardie carcerarie. Dalla sua stanza da letto gli giunge ilronzio dei sensori del perimetro esterno. Insieme allamoglie ha allevato tre figlie in questo cupo isolamento equando gli ho chiesto se, dopo quasi tre decenni, non fos-se diventato anche lui un carcerato, ha sorriso, sfoggian-do due incisivi d’oro. «Sono arrivato qui che avevo 24 an-ni, adesso ne ho 53, niente male. Perfino gli ex condanna-ti a morte fanno solo 25 anni, io ne ho fatti 29. Buffo, no?Ci scherzo su, dicendo che loro sono arrivati con una con-danna, io con un contratto. Quando siamo arrivati qui, al-l’inizio, mia moglie mi ha fatto una sola domanda mentreci inoltravamo sempre più nella foresta: perché non ci so-no macchine che viaggiano in direzione opposta?».

La prigione è talmente isolata che quando la sua vec-chia Volga sovietica è in panne, Dadashiov non ha altrascelta che farsela aggiustare dagli ex condannati a mortenel cortile del carcere. Il direttore si fa tagliare i capelli dalbarbiere del penitenziario che, in un raptus di gelosia, haammazzato moglie e suocera. Si fa servire i pasti in ufficiodal suo «maggiordomo», un uomo sulla sessantina, paca-to e cortese, che ha ammazzato sei persone e che mi ripe-te, in tono paterno, che non mangio a sufficienza.

I detenuti si attengono a una severa gerarchia e a un in-sieme di tacite regole assai complesse. In fondo alla gra-duatoria ci sono gli «emarginati», ovvero coloro che han-no ucciso donne e bambini, oppure hanno commesso cri-mini a sfondo sessuale. Nella palazzina degli «scampati»,costoro dormono in disparte e mangiano al loro tavolo,

Un affresco di camere dell’infanzia. Come in

un sogno ritrovano fisicità i genitori e la

nonna, riappaiono oggetti, specchi, mobili, si

sentono gli odori della cucina e del pane nella

raccolta Stanze con case di Letizia Dimartino

(Giuliano Ladolfi, pp. 84, � 10). Nata a Messina

nel 1953, sull’onda dei ricordi l’autrice medita

sulla fragilità umana e sull’incalzare di un

tempo fugace allora e così adesso, mentre i

versi diventano melodie e preghiere.

Melodie e preghiere

{Sogliedi Franco Manzoni

Il reportageCorrispondente da Mosca del

«Sunday Times», ilgiornalista Mark Franchetti

aveva visitato la prigionerussa Aquila Nera nel 2000.

Un anno fa vi è tornato e si èfermato per tre settimane per

girare un documentario, TheCondemned. Oltre a

Franchetti, produttore, hannolavorato al documentario

anche il regista e direttoredella fotografia Nick Read,

l’editor Jay Taylor, icompositori Smith & Elms e il

fotografo Dmitry Beliakov,autore delle immagini qui

pubblicate (www.thecondemneddoc.com). La

gallery completa delle foto èsul sito online de «la Lettura»

www.corriere.it/la-lettura

i