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SdS/Rivista di cultura sportiva Anno XXVI n.73 1 3 La periodizzazione nell’allenamento della forza rapida Klaus Wirth, Dietmar Schmidtbleicher Parte prima: le basi fisiologiche dell’allenamento della forza rapida 72 Summaries Sommario 15 La resistenza ai salti Gilles Cometti, Giampietro Alberti Parte seconda: pliometria e affaticamento pliometrico 31 Capacità di ripetere gli sprint e sua valutazione Franco M. Impellizzeri, Ermanno Rampinini, Carlo Castagna, Duccio Ferrari Bravo, David Bishop La validità del test di capacità di ripetere gli sprint (Repeated Sprint Ability) SDS/RIVISTA DI CULTURA SPORTIVA ANNO XXVI N. 73 70 Trainer’s digest A cura di Arndt Krüger, Mario Gulinelli Formazione degli allenatori Un caffè, prego 53 Metodi di valutazione dei livelli di attività fisica Dario Colella, Milena Morano, Laura Bortoli Analisi e confronto dei metodi di valutazione dei livelli di attività fisica, con particolare riferimento all’età evolutiva 45 Analisi delle capacità tecnico-coordinative e senso-percettive nel nuoto Pietro Luigi Invernizzi, Roberto Del Bianco, Raffaele Scurati, Giuseppe Caporaso, Antonio La Torre Una proposta metodologica verso la determinazione di pratici sistemi di valutazione e allenamento specifico nella preparazione dei giovani nuotatori (prima parte: gli aspetti teorici) 35 Il cambiamento dei paradigmi nella teoria dell’allenamento sportivo Yury Verkhoshansky, Natalia Verkhoshanskaya Cambiamento di paradigmi e discussione sullo stato attuale della teoria e metodologia dell’allenamento: gli aspetti teorici 12 Trainer’s digest A cura di Mario Gulinelli Nuovi sviluppi dell’allenamento della forza 23 La Match-Analysis Attilio Sacripanti Parte seconda: fondamenti scientifici e metodologici della Match-Analysis 63 La sindrome femoro-rotulea Gian Nicola Bisciotti Eziopatogenesi, clinica, diagnosi, trattamento conservativo, riabilitazione e ritorno all’attività sportiva

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3La periodizzazionenell’allenamento della forza rapidaKlaus Wirth, Dietmar SchmidtbleicherParte prima: le basi fisiologichedell’allenamento della forza rapida

72Summaries

Sommario

15La resistenza ai saltiGilles Cometti, Giampietro AlbertiParte seconda: pliometria e affaticamentopliometrico

31Capacità di ripeteregli sprint e sua valutazioneFranco M. Impellizzeri, Ermanno Rampinini,Carlo Castagna, Duccio Ferrari Bravo,David BishopLa validità del test di capacitàdi ripetere gli sprint(Repeated Sprint Ability)

SDS/RIVISTA DI CULTURA SPORTIVA ANNO XXVI N. 73

70Trainer’s digestA cura di Arndt Krüger, Mario GulinelliFormazione degli allenatoriUn caffè, prego

53Metodi di valutazionedei livelli di attività fisicaDario Colella, Milena Morano,Laura BortoliAnalisi e confronto dei metodi di valutazione dei livelli di attivitàfisica, con particolare riferimentoall’età evolutiva

45Analisi delle capacitàtecnico-coordinativee senso-percettive nel nuotoPietro Luigi Invernizzi, Roberto Del Bianco, Raffaele Scurati, Giuseppe Caporaso, Antonio La TorreUna proposta metodologica versola determinazione di pratici sistemidi valutazione e allenamentospecifico nella preparazione dei giovaninuotatori (prima parte: gli aspetti teorici)

35Il cambiamento dei paradigminella teoria dell’allenamentosportivoYury Verkhoshansky, Natalia VerkhoshanskayaCambiamento di paradigmi e discussione sullo stato attuale della teoria e metodologia dell’allenamento: gli aspetti teorici

12Trainer’s digestA cura di Mario GulinelliNuovi sviluppi dell’allenamentodella forza

23La Match-AnalysisAttilio SacripantiParte seconda: fondamenti scientifici e metodologici della Match-Analysis

63La sindrome femoro-rotuleaGian Nicola BisciottiEziopatogenesi, clinica, diagnosi,trattamento conservativo, riabilitazionee ritorno all’attività sportiva

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PER INFORMAZIONI E ORDINI: tel. 075 5997310 • fax 075 5990491 • www.calzetti-mariucci.it • [email protected]

La sedentarietà e i suoi effetti costituiscono uno dei maggiori problemiche affliggono le società industrializzate. Colpisce la popolazione di tuttele fasce di età e in particolar modo quelle infantili, preadolescenziali edadolescenziali. La prevenzione cardiovascolare del sovrappeso, il contrasto al fenomeno crescente dell’obesità con i fattori di rischio ad essa collegati, si possono attuare efficacemente fin dalle età prescolare e scolare. L’evidenza scientifica riconosce all’attività fisica un ruolo fondamentale permodificare gli errati stili di vita. Ma in Italia ed in Europa esiste una carenza di linee guida e la prescrizione dell’attività motoria in età evolutiva non sembra avere chiare modalità applicative riguardo alla prevenzione e alla salute. In questo saggio gli Autori introducono il concetto nuovo di “educazione all’efficienza fisica”, inteso come applicazione di metodiche aventi l’obiettivo di coinvolgere i bambini e gli adolescenti alla loropartecipazione attiva al movimento e al piacere di svolgere l’attivitàfisica, nel rispetto di una filosofia educativa incentrata sul valore dellapersona e su uno stile di vita attivo. Per la prima volta in Italia ed in Europa, in conformità alle linee guida dell’OMS Europa e del Ministero della Salute – prive però nella loro strutturazione di applicazioni pratiche –vengono qui proposte, soprattutto in ambito scolare, soluzioni precise, già da tempo utilizzate con proficue valutazioni sulla loro efficacia, basate su strategie per migliorare l’efficienza fisica dei giovani. Il carattere essenzialmente pratico e prettamente pragmatico del manuale agevolerà tutti i professionisti che operano con i giovani, facilitando nel contempo un rinnovamento professionale mirato a contrastare problemi socialinuovi quali sedentarietà e obesità. Il presente lavoro è rivolto ai docenti di scienze motorie che si dedicano all’età prescolare, a quelli delle scuole primarie e delle secondarie. Ma anche a tutti i professionisti che operano per l’età evolutiva: agli educatori, ai tecnici sportivi, ai medici sportivi, ai pediatri, agli specialisti dei Servizi di Igiene degli Alimenti e Nutrizione (SIAN), agli psicologi, ecc.

C. Bazzano – M. Bellucci –A. D. Faigenbaum

Sedentarietà ed obesità giovanile: nuovi problemi sociali – possibili soluzioniLinee guida sull’insegnamento dell’efficienza fisica in età evolutiva

2007 • libro • pagine 176 • 18,00 euro

Jack Wilmore – David Costill

2005 • libro • pagine 848 • 75,00 euro

Fisiologia dello sport e dell’esercizio fisico

L’edizione italiana del manuale di Jack Wilmore e David Costill, ricercatori e autori statunitensi di fama mondiale, condotta sulla terza edizione americana pubblicata nel 2004, mette a disposizione degli insegnanti di educazione fisica, degli allenatori, degli istruttori di fitness, dei medici sportivi, dei fisioterapisti, dei docenti e studenti di scienze motorie e di chiunque si interessi ai problemi connessi con l’attività fisica, la più aggiornata e completa pubblicazione sulla fisiologia dello sport e dell’esercizio fisico.

Italo Sannicandro

La propriocezione

La propriocezione ed il suo rapporto con la prestazione sportiva nelle situazioni di disequilibrio, è argomento di grande interesse per tutti gli operatori e di riflesso per tutti i praticanti. Italo Sannicandro ha voluto proporre le sue esperienze applicative (influenza sulla prestazione calcistica, gestione del disequilibrio, effetti dell’allenamento vibratorio, valutazione degli effetti del lavoro propriocettivo nel basket, nel calcio a 5, nella scherma e nel recupero degli infortunati sportivi) che seguono una esauriente introduzione teorica. Una appendice con questionario e protocollo di lavoro su 12 settimane completa il manuale che offre nel complesso moltissimi spunti di riflessione

Rapporti con la capacità di disequilibrio negli sport di situazione

2007 • libro • pagine 164 • 18,00 euro

A cura di G. S. Roi – S. Della Villa

Salute, prevenzione e riabilitazione nel calcio

2007 • libro • pagine 300 • 15,00 euro

Oggi il costo sociale degli infortuni nello sport professionistico è assai elevato, ed i temi di dibattito legati alla salute, alla prevenzione ed alla riabilitazione di quanti giocano a calcio per diletto o per professione sono di pressante attualità. La sempre maggiore diffusione dei campi da gioco sintetici, la modifica dei palloni e delle scarpe, le esigenze di spettacolarità dettate dagli sponsor televisivi hanno comportato considerevoli cambiamenti nel tipo di gioco e nelle modalità di allenamento, con conseguente modificazione dell’incidenza e della tipologia degli infortuni, ed evidenti effetti anche sulle tecniche riabilitative. Tuttavia occuparsi solo di riabilitazione e di traumatologia è sicuramente riduttivo, se non si ha l’obiettivo ambizioso di ricavare e divulgare informazioni per la prevenzione degli infortuni. La prevenzione infatti va oggi intesa nel senso più ampio, come mantenimento ed eventualmente miglioramento dello stato di salute di quanti praticano attività sportiva ed in particolare il calcio.Nel presente volume degli atti del Congresso Salute, prevenzione e riabilitazione nel calcio, organizzato dalla Isokinetic, sono raccolti i riassunti delle relazioni presentate dai relatori ufficiali e da numerosi altri relatori che hanno voluto portare la loro esperienza nelle “comunicazioni libere” orali e poster. Il testo si concentra sul dibattito relativo al moderno trattamento degli infortuni del calciatore.

Giovanni Betti – Roberto Piga

Training ergoattivo

2007 • libro • pagine 164 • 18,00 euro

Oggi nel campo della preparazione atletica si rende sempre più necessaria una stretta interazione con un ventaglio di “saperi” che non sono di specifica competenza del preparatore, ma che rappresentano un’importante base d’informazione per la qualità della sua professione. Il preparatore si consulta col medico, col fisiologo, col dietologo, con lo psicologo, con il chimico, con il fisico, con lo statistico, con l’informatico; egli filtra le informazioni che trae da ciascuno per capire in quale misura possano servire allo scopo principale della sua professione: riuscire ad ottimizzare il rendimento della macchina umana. In un quadro così articolato, accade che si presentino contributi operativi nuovi proposti dal medico, dallo psicologo, dal fisico. Ci sono situazioni che pongono il preparatore di fronte ad un bivio: da un lato c’è l’esigenza di essere sempre più aggiornati, dall’altro si tende a mantenere il livello consolidato almeno fino a quando la novità, sperimentata da altri, non ha mostrato la sua effettiva rilevanza ai fini del rendimento e della prestazione agonistica.

Il senso muscolare

Gudrun Fröehner

Principi dell’allenamento giovanileLa capacità di carico nell’età infantile e giovanile

I bambini non sono adulti in miniatura e non vanno allenati come tali. Purtroppo la carenza di conoscenze sui fondamenti biologici dei processi di sviluppo di bambini ed adolescenti, soprattutto delle loro reazioni ai carichi fisici, è un problema per gli educatori fisici e gli allenatori. L’Autrice, già medico della Federazione di ginnastica dell’ex-Rdt, attualmente docente presso l’Istituto di scienze applicate all’allenamento di Lipsia, espone quali siano i fattori di biologia dello sviluppo da considerare lavorando con bambini e adolescenti e fornisce nozioni di carattere teorico e pratico che permettono, da un lato di evitare il rischio di non raggiungere i massimi livelli di sviluppo fisico e di prestazione sportiva e di creare situazioni pericolose per la loro salute, e dall’altro di programmare lezioni od allenamenti adeguati alle caratteristiche di soggetti in via di sviluppo.

2003 • libro • pagine 200 • 20,00 euro

Howley E.T. – Franks B.D.

Manuale dell’istruttore di fitness

2002 • libro • pagine 628 • 50,00 euro

È un testo di riferimento fondamentale per i professionisti del fitness e dell’attività fisica diretta allo sviluppo della salute. Si tratta dell’opera collettiva di un gruppo di ricercatori statunitensi che illustra le basi scientifiche dell’attività fisica e del fitness; l’alimentazione e la composizione del corpo; le componenti della forma fisica; la valutazione funzionale dei partecipanti ad un programma di fitness; i traumi, la loro cura e la loro prevenzione; la programmazione e l’organizzazione delle attività di fitness.

NovitàNovità

Novità

Novità

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33Parte prima: le basi fisiologiche dell’allenamento della forza rapida

Klaus Wirth, Dietmar Schmidtbleicher Istituto di scienze dello sport, Dipartimento Scienze del movimento e dell’allenamento, Johann-Wolfgang Goethe-Universität, Francoforte sul Meno

L’allenamento della forza rappresenta una componentecostante della preparazione in tutti gli sport e in tutte le discipline sportive. La gamma dei campi d’intervento per lo sviluppo sistematico della forza è molteplice e si estende dalle misure preventive di irrobustimento generale,dalla preparazione di forza per costruire la prestazione nei vari sport e discipline sportive, fino all’allenamento tipico degli sport nei quali il fattore determinante della prestazione è la forza, come la pesistica. In questa primaparte si trattano le basi fisiologiche e di metodologia dell’allenamento dello sviluppo della forza rapida, mentre la seconda rappresenterà una introduzione alla tematicadella periodizzazione, sulla cui base saranno esposti alcuni consigli concreti per la pratica dell’allenamento.

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Avvertenza degli AutoriAl lettore non dovrebbe sfuggire che i contenuti di questo lavoro non rappresentano una metanalisi, ma piuttosto una serie di consigli, basata su nozioni scientifiche, per la costruzione dell’allenamento di atleti di altolivello. Per una metanalisi sarebbero state necessarie una presentazione e una discussione degli studi che non confermano i risultati delle ricerche che vengono qui citate o esposte, senza contare la note su ciascuno dei punti discussi nell’articolo. Ma tutto ciò sarebbe andato oltre i limiti di questo elaborato, per cui abbiamo evitato di farlo.

METODOLOGIA DELL’ALLENAMENTO

La periodizzazione nell’allenamento della forza rapida

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L’allenamento della forza rapida

In molti sport o nelle singole disciplinesportive è molto importante il livello d’ac-celerazione o di velocità che un atleta riescead imprimere al proprio corpo (ad esempio,nel salto in lungo o nel salto in alto), ad unoggetto (ad esempio, il peso nel lancio delpeso) o a un avversario (negli sport di com-battimento). Per questa ragione troviamouna sollecitazione della forza rapida ognivolta che l’esecuzione di un movimento inun determinato lasso di tempo richiede chesi sviluppino la forza o la velocità massimepossibili. Secondo Schmidtbleicher (1984)con l’espressione forza rapida si definisce lacapacità del sistema neuromuscolare diprodurre un impulso di forza il più elevatopossibile nel tempo disponibile. Le compo-

nenti della forza rapida sono la forza inizia-le, la forza esplosiva e la forza massima.Inoltre, essa dipende dalla sezione muscola-re trasversa, dalla composizione delle fibree dalla frequenza degli impulsi con la qualeè attivata la muscolatura (de Marées 2002).Occorre notare che nella letteratura dedica-ta alla scienza dell’allenamento i concetti“forza rapida” e “forza esplosiva” spessosono utilizzati come sinonimi (Komi,Häkkinen 1989).In questo lavoro inizieremo, anzitutto,dalla descrizione dal punto di vista dellafisica del rapporto esistente tra la forza ela velocità che deve essere impressa aduna determinata massa, per poi spiegarloulteriormente sul piano fisiologico.Dal punto di vista puramente fisico lavelocità (v) impressa alla massa di uncorpo dipende dal prodotto dell’accelera-zione (a) per il tempo (t) per il quale que-sta accelerazione può agire sul corpo stes-so (v = a · t). Il processo attraverso il qualesi imprime una determinata velocità aduna massa è definito impulso (p). La suagrandezza è rappresentata dal prodotto

della massa del corpo che deve esserespostato, per l’accelerazione raggiunta eper il tempo per il quale questa accelera-zione agisce sul corpo stesso (p = m · a · to anche p = m · v). Poiché la forza (F) èdefinita dal prodotto della massa per l’ac-celerazione (F = m · a) per l’impulso diforza abbiamo: p = F · t.Ciò vuole dire che per produrre un elevatoimpulso di forza occorre realizzare un valoredi forza più elevato possibile nel periodo ditempo disponibile. Se si considera che il fat-tore tempo, generalmente è limitato mentrenormalmente il fattore massa è costante, sievidenzia il fattore accelerazione o, quantomeno l’importanza che assume un elevatovalore di accelerazione. La formazione di unimpulso di forza dipende da molti fattori. Ilprimo è rappresentato dal ruolo svolto dalla

durata dell’azione della forza che dipendedalla lunghezza della traiettoria d’accelera-zione e dalla grandezza della resistenza: unpeso elevato può essere mosso solo più len-tamente di uno scarso. In questo caso,ovviamente, la forza prodotta dall’atletaagirà più a lungo sulla resistenza e l’impulsoglobale prodotto sarà maggiore, ma saràutilizzato prevalentemente per vincere laforza di gravità del corpo che deve esseremosso e non per la sua accelerazione.Inoltre, è molto importante la velocità di svi-luppo della forza. Ciò vuole dire che è neces-saria l’espressione migliore possibile dellecapacità di forza iniziale e di forza esplosiva(che sono determinanti per il regime di salitadella forza). Si definisce forza iniziale lacapacità di produrre un’elevata salita dellaforza nel momento iniziale della contrazione(da 25 a 30 ms), mentre con forza esplosivasi definisce il suo massimo incremento perunità di tempo in una curva forza-tempo.Secondo Martin, Carl e Lehnertz (1993) lavelocità finale della resistenza che deveessere accelerata è tanto più dipendentedalla forza iniziale e dalla forza esplosiva

quanto minore è la traiettoria d’accelerazio-ne. Infine, è d’importanza decisiva il livellodel massimo di forza realizzato. Se si consi-dera che il grado di espressione della forzaesplosiva, tra l’altro, è in relazione con laforza massima (Bührle, Schmidtbleicher1982; Bührle, Schmidtbleicher 1977;Heyden, Droste, Steinhöfer 1988; Hoff 2001;Murphy, Wilson, Pryor 1994; Pearson et al.2002; Schmidtbleicher 2003) e che ambeduei parametri sono fortemente correlati traloro (r = 0,5 e 0,6) ((Bührle 1993; Bührle,Schmidtbleicher, Ressel 1983) è evidente perquale ragione il livello della forza massimainfluisce in modo decisivo sulla forza rapida(Deiss, Pfeiffer 1991; Kraemer, Newton1994; Schmidtbleicher 1980). Nelle lororicerche sull’allenamento sia Hoff (2001) siaHäkkinen, Komi (1985) sono riusciti a stabili-

re che dopo un allenamento plurisettimana-le della forza si produce un incremento dellaforza esplosiva. Il rapporto tra maggioreforza massima e prestazione di forza rapida,comunque, diminuisce quanto più si riduce ilpeso che deve essere spostato (Hohmann,Lames, Letzelter 2002; Kaneko et al. 1983;Kraemer, Newton 1994; Toyoshima, Miya-shita 1973; Verchoshanskij 1995; Zatziorsky1995). In altri termini: maggiore è il peso daspostare, maggiore è l’influsso della forzamassima (Bosco 1992; Delecluse 1997;Kanelo et al. 1983; Komi 1979; Komi 1989;Komi, Häkkinen 1989; Murphy, Wilson, Pryor1994; Schmidtbleicher 1985c; Schmidtblei-cher 1992; Zatsiorsky 1995). Contro unaresistenza scarsa, quindi, può essere realiz-zata solo una parte del valore massimo diforza possibile. Per questo Letzelter, Letzelter (1990) scrivo-no che, contro un peso di 3,5 kg può essereimpiegato solo circa il 40% della forza mas-sima: questo massimo valore di forza otte-nuto con un determinato peso è definitodynamic strenght maximum, massimo diforza dinamica (figura 2).

3000

2500

2000

1500

1000

500

0500 1000 15000

For

za (

N)

Tempo (ms)

Fi

Fe

Max

Figura 1 – La curva forza-tempo: Fi, forza iniziale; Fe, forza esplosiva;Max, forza massima.

Tempo (ms)

7000

6000

5000

4000

3000

2000

1000

00 100 200 300 400 500 600 700 800

For

za (

N)

Vmax = 1,1

Vmax = 0,9

Vmax = 0,7

Vmax = 0,4Vmax = 0,2

Vmax = 0

Figura 2 – Massimo di forza dinamica. Fmax, forza massima; Vmax, velo-cità massima (Hemmling 1994).

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La causa che viene addotta per spiegareper quale ragione contro resistenze scarsesi riesce ad attivare solo una parte dellaforza massima è che quando aumenta lavelocità di accorciamento del muscolo,diminuisce anche il massimo tempo possi-bile di contatto tre le molecole di actina edi miosina, per cui la percentuale di tempodella fase di contatto nell’intero ciclodiventa minore. Poiché i ponti trasversalisi debbono staccare già poco tempo dopola formazione del loro contatto, senzaavere il tempo necessario per la costruzio-ne della forza, in media, dal punto di vistastatistico, diminuisce la percentuale deiponti trasversali associati nel muscolo econ essa la forza prodotta (cfr. Müller1987; Schnabel, Harre, Borde 1994).Ma, poiché un valore elevato di forzaesplosiva dipende notevolmente dallaforza massima è evidente per quale ragio-ne essa svolge un ruolo importante, adesempio, per ottenere elevate misure nellancio del peso, anche se questo attrezzocon i suoi 7,25 kg può essere consideratoun peso relativamente scarso (in confron-to alle migliori prestazioni nella distensio-ne alla panca che nei migliori lanciatori dipeso del mondo spesso superano i 200 kg).Stone et al. (2003) nei lanciatori di pesosono riusciti a stabilire correlazioni da 0,67a 0,75 tra la massima forza isometricadella catena degli estensori degli arti infe-riori e le misure raggiunte nel lancio. Mosset al. (1997) hanno potuto accertare che,grazie ad un incremento della forza massi-ma, esiste un significativo aumento dellavelocità di movimento contro un peso disoli 2,5 kg. In alcuni studi si è riusciti adimostrare che grazie ad un allenamentodella forza massima abbinato ad un alle-namento della tecnica si produce unmiglioramento della forza di lancio e ditiro (baseball, handball) e della forza delmovimento di calcio (calcio) (De Proft etal. 1988; Dutta, Subramanium 2002; Hoff,Almåsbakk 1995; Newton, Mc Evoy 1994;Lachowetz, Evon, Pastiglione 1998; Ma-nolopoulus, Papadopoulos, Kellis, 2005). Invarie ricerche su giocatori di calcio sonostate rilevate correlazioni di r = 0,74-0,85(estensori della gamba) o di 0,60-0,85(flessori dell’anca) tra i risultati nel test diforza degli estensori degli arti inferiori edei flessori dell’anca e prestazioni di tiro(peso del pallone da 410 a 450 g) (Asami,Togati 1968; Cabri et al. 1988; De Proft etal. 1988; Narici, Sirtori, Mognoni 1998).Homann, Lames, Letzelter (2002) a taleriguardo parlano di superamento di unaresistenza media, nel quale l’obiettivo èquello di imprimere ad essa la massimavelocità finale possibile per raggiungere lamassima distanza di lancio, che ancorauna volta dipende dalla velocità massima

di sviluppo della forza o dalla forza esplo-siva. O’Shea (1985b) ricorda che: “[…]maggiore è la forza del lanciatore, miglioreè il risultato. Finora questo modo di ragio-nare si è dimostrato valido”. L’allenamentodella forza può contribuire ad aumentarela forza del colpo (Dengel et al. 1987),anche quando si deve accelerare solo unaestremità, ad esempio, l’arto superiore nelpugilato. Per questa ragione, anche neglisport di combattimento una serie di Autorie allenatori consigliano un allenamentocon carichi elevati per migliorare la velo-cità del colpo (Cordes 1991; Dengel et al.1987; Ebben, Blackard 1997; Fleck,Kearney 1993, 65; Hobusch, Mc Clellan1991, Shilstone 1986; Shilstone, Couzen1993; Shirley 1992; Yessis 1985). Lo svi-luppo della forza massima, però, tende adun optimum, intendendo con ciò che,secondo lo sport o la disciplina sportiva,un incremento del livello di forza massimainfluisce fino ad un certo punto sulmiglioramento dalla prestazione (Hedrick1993; O’Shea 1985b). È importante affer-mare, però, che l’effetto positivo di un

allenamento della forza dipende notevol-mente dall’esecuzione di un allenamentodella tecnica del movimento di gara, diret-to a favorire il necessario transfer.Se si trattano poi le forze di reazione aterra nelle partenze dello sprint che sonoda due a cinque volte il peso corporeo(Lafortune, Valiant, Mc Lean 2000; Mero1988) e che fino alla fine della fase positivadi accelerazione restano da due a tre voltesuperiori a tale peso (Allmann 1985; Joch1992; Schmidtbleicher 2000) è evidentel’importanza che assume il livello di forzamassima per la fase di partenza e accelera-zione nello sprint (Blazevich, Jenkins 1998;Blazevich, Jenkins 2002; Capen 1950;Delecluse et al. 1995; Delecluse 1997;Fujimoto et al. 1995; Grosser, Zimmer-mann, Ehlenz 1985; Hedrick 1993; Heyden,Droste, Steinhöfer 1988; Hoff, Berdalh2000; Mero 1988; Morin, Belli 2003;Polhemus et al. 1980; Sheppard 2003;Stone et al. 1998; Taingahue, Sleivert 2000;Wisloff et al. 2004; Young 1993; Young1995; Young, McLean, Ardagna 1995). Almomento dello stacco nel salto in alto e nelsalto in lungo le forze di reazione misuratesuperano da quattro a dieci volte il pesocorporeo, nelle ricadute con rimbalzo daaltezze diverse da otto a quattordici volte eaddirittura di più secondo l’altezza di cadu-ta (Allmann 1984; Dursenev, Raevsky 1982;Schmidtbleicher 2000). Un maggiore livello di forza massima èimportante anche per quella fase dellosprint nella quale si deve mantenere unaelevata velocità di movimento, poiché un’e-levata forza massima rappresenta una con-dizione fondamentale per la capacità dellamuscolatura scheletrica di produrre ripetu-tamente piccoli impegni di forza per ilmovimento di corsa (Verchoshanskij 1992;Schmidtbleicher 2003). Un miglioramentodella forza esplosiva e della forza massima,dunque, può influire positivamente sulleprestazioni di forza rapida sia cicliche siaacicliche (Baker, Nance 1999; Hoff, Berdhal2000; Stone et al. 2003; Verchoshanskij1992, 1995; van den Tillmar 2004; Wisloffet al. 2004, 286; Young 1995). Meckel et al.(1995) hanno suddiviso alcune velociste intre classi di risultati sui 100 m e hanno tro-vato differenze significative tra i tre gruppiper quanto riguardavano la forza massimadella catena degli estensori della gambarapportata al peso corporeo. Successivamente gli Autori hanno correlatoi migliori tempi sui 100 m delle trenta atleteai valori relativi di forza, ottenendo una cor-relazione molto significativa di r = –0,887(p < 0,001). A questo riguardo Lakomy(2000, 2) scrive che: “La massima forza cheun muscolo riesce a produrre è proporzio-nale all’area della sua sezione trasversa:maggiore è l’area, maggiore sarà la massi-

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ma forza prodotta. Di conseguenza, se lavelocità di sprint è correlata alla forzamuscolare, è ovvio che una grande areadella sezione trasversale dei muscoli interes-sati all’attività di corsa rappresenterà unvantaggio.” La possibilità di un migliora-mento delle prestazioni di forza rapidaattraverso un incremento delle forza massi-ma, però, dipende notevolmente dallo statodi allenamento già esistente (Kraemer,Newton 1994). Così, grazie all’aumento dellivello di forza massima o di un allenamentodella forza è stato possibile ottenere unincremento della prestazione verticale disalto in gruppi di lavoro diversi, formati dasoggetti di vario livello di prestazione, cheandava da persone non allenate ad atleti dialto livello (Adams et al. 1992; Anderst,Eksten, Koceja 1994; Berger 1963; Butcheret al. 2001, 158; Capen 1950; Clutch et al.1983; Costello 1984; Fagan, Doyle-Baker2000; Fatourus et al. 2000; Ford et al. 1983;Fry et al. 1991; Häkkinen, Komi1985; Hoff,Berdhal 2000; Holtz, Divine, McFarland1988; O’Shea, O’ Shea 1989; Polhemus,Burkhardt 1980; Polhemus et al. 1980;Shimp-Bowerman 2000; Silvester et al.1982; Stowers, McMillan, Scala 1983; Toumiet al. 2001; Toumi et al. 2004; Trzaskoma,Trzaskoma 2000; Venable et al. 1991).Häkkinen (1993) attraverso le prestazioni

ottenute da giocatrici di pallavolo nei test diforza massima e di forza di salto durantetutta la stagione (n = 7) è riuscito a dimo-strare che le variazioni di ambedue i para-metri mostravano una correlazione di r =0,9 (p < 0,01). Carlock et al. (2004) in atleti e atlete prati-canti sollevamento pesi (ventotto atleti,ventisei atlete) hanno stabilito correlazioni,rispettivamente, di r = 0,79 e 0,93 per gliuomini e di r = 0,76 e 0,82 per le donne trala massima potenza ottenuta (in Watt)durante test diversi di forza di salto (SquatJump, Counter Movement Jump) e la 1RM1

nell’accosciata massima, nello strappo enello slancio. Un rapporto che è stato trova-to anche in altri studi (Baker 2001a, 2001b,2001c; Baker, Nance 1999; Baker, Nance,Moore 2001; Fujimoto et al. 1995). Tuttavia, maggiore è il livello di forza giàraggiunto minore sarà il contributo che losviluppo della forza massima potrà fornireal miglioramento delle prestazioni di forzarapida (Alen, Häkkinen, Komi 1984; Baker1994, 1996, 2001b; Häkkinen, Komi 1985;Häkkinen et al. 1987; Hasegawa et al. 2002;Kaneko et al. 1983; Kraemer, Newton 1994;Mosse et al. 1997; Pampus 1995). Comeesporremo più avanti, in questo caso, peròoccorre tenere conto dell’influenza di ulte-riori fattori.

Il cammino che porta ad elevate prestazionidi forza rapida passa, anzitutto, per lo svi-luppo della sezione trasversale del muscolo,in quanto rappresenta il parametro influen-te decisivo per una notevole forza massima(Brechuem Abe 2002; Burger, Burger 2002;Caterisano et al. 1999; Fleck, Kraemer 2003;Fujimoto et al. 1995; Fukunaga et al. 2001;Goldspink, Harridge 2003; Harris, Dudley2000; Hasegawa et al. 2002; Izquierdo et al.2002; Maughan, Watson, Weir 1983). Illivello di formazione della massa muscolare,però, presenta anche esso la tendenza ad unoptimum (Bompa 1996), in quanto, in moltisport o, per esempio in alcune discipline del-l’atletica leggera, un peso corporeo eccessi-vamente elevato deve essere considerato unostacolo. Attualmente però non è possibilefornire una risposta univoca alla domandasu cosa si debba ritenere ottimale per ognidisciplina specifica. Si tratta di un temaoggetto di frequenti discussioni e contro-versie. Comunque, Radcliffe, Farentinos(1999) considerano lo sviluppo di una forzadi base e di una muscolatura ben formata ilpresupposto più importante per potereaffrontare carichi elevati nella diverse fasidell’allenamento. A questo proposito ancheMoos (1985) scriveva che: “Non esiste alcu-na prevenzione migliore dei traumi di uncorsetto muscolare ben sviluppato.”

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Per arrivare da una muscolatura ben for-mata ad un’elevata forza rapida, però, èanche necessario essere in grado di sfrutta-re il potenziale muscolare, intendendo conciò il controllo della muscolatura da partedel sistema nervoso. A tale riguardo si deb-bono citare i fattori nervosi che influisconosul regime della forza: modulazione dellafrequenza, reclutamento e sincronizza-zione2.Un migliore reclutamento significa capacitàdi attivare volontariamente o di coinvolgerenel processo della contrazione il massimonumero possibile di unità motorie. Nei sog-getti non allenati questa capacità è moltomeno pronunciata che in soggetti allenatialla forza. Già nel 1961, Ikai, Steinhausricordavano che le persone normali sono ingrado di esprimere volontariamente solocirca il 70% del loro potenziale assoluto diforza misurato attraverso elettrostimolazio-ne, mentre la soglia di mobilitazione negliatleti allenati può trovarsi al 90% circa. Ciòè stato confermato da ulteriori ricerche diAkima et al. (2000). Inoltre Komi et al.(2000) hanno fornito prove di un più inten-so reclutamento delle fibre FT ad elevatevelocità di movimento.Per buone prestazioni di forza rapida, inol-tre, è importante la frequenza con la qualepossono essere attivate le unità motorie. Lefrequenze di scarica con le quali si possonoattivare le unità motorie si trovano tra 10 e60 Hz. Nelle manifestazioni di forza esplosi-va, però, si può arrivare a frequenze di sca-rica fino a 100 Hz. Mentre la forza massimasi raggiunge già a frequenze relativamentebasse di circa 55 Hz (Sale 2003), elevatefrequenze d’attivazione nervosa portanosoprattutto ad una ripida salita della forzache va nel senso del miglioramento dellaforza esplosiva (Aagaard et al. 2002; Sale1988). Sale (2003) è riuscito a provare unincremento della forza esplosiva attraversoun tasso più elevato d’impulsi all’inizio dellacontrazione. Ciò potrebbe avere come con-seguenza un reclutamento precoce dellefibre di II tipo, che rappresenta, ancora unavolta, un argomento a favore di un allena-mento con carichi massimi, rispetto a quel-lo attraverso il metodo della forza rapida3

in quanto ci si può aspettare che la coordi-nazione intramuscolare cambi soprattuttoattraverso un allenamento con azionimuscolari massime. Un ulteriore effetto diadattamento consiste nel mantenimento dipiù elevate frequenze di scarica, come èstato possibile provare in atleti allenati allaforza (Mc Donagh, Hayward, Davies 1983).Sembra opportuno anche ricordare l’impor-tanza che assume uno sviluppo volontarioesplosivo della forza, senza il quale, se nonsi tenta di spostare il peso con la contrazio-ne più esplosiva possibile, ci si può aspetta-re che l’effetto positivo sulla forza esplosiva

sia molto minore o che – secondo il livellodi allenamento – addirittura sia assente(cfr. Behm, Sale 1993; Leonid, Gundega2000; Mazzetti et al. 2000; Müller 1985;Tokeshi et al. 1998; Young, Bilby 1993). Ilrisultato dello sforzo di eseguire una con-trazione più esplosiva possibile potrebbeessere che, tentando di esprimere forzaesplosiva, si attivino contemporaneamentepiù unità motorie, che equivarrebbe ad unamigliore sincronizzazione (cfr. Küchler1983). Perciò, questa attivazione sincronadel massimo numero possibile di unitàmotorie è d’importanza capitale per unabuona formazione di un regime di forzaesplosiva (Komi 1989; Sale, McDougal1981) e rappresenta un fenomeno che sitrova soprattutto in atleti di sport chehanno bisogno di uno sviluppo molto note-vole della forza massima (Felici et al. 2001;Millner-Brown, Stein, Lee 1975).Un ruolo importante per elevate prestazionidi forza rapida è svolto dalla composizione

delle fibre del muscolo (Chu 1996; Coyle,Costill, Lesmes 1979; de Mareés 2002;Izquierdo et al. 2002; Powers, Howley 1994;Tihanyi, Apor, Fekete 1982). Una percentualeelevata di fibre di II tipo è un vantaggiodecisivo. Poiché gli effetti dell’ipertrofizza-zione della muscolatura scheletrica riguar-dano in primo luogo le fibre di II tipo(Abernethy et al. 1994; Garfinkel, Cafarelli1992; Jostarndt-Fögen, Billeter, Hoppeler1977; Klitgaard, Zhou, Richter 1990; McCallet al. 1996; Ostrowski et al. 1997; Staron etal. 1991; Staron et al. 1994) un’elevata per-centuale di questo tipo di fibre rappresentala base per un accentuata crescita dellospessore della muscolatura e, quindi, indi-rettamente, per lo sviluppo della forza mas-sima. Così, Mero et al. (1981) hanno trovatocorrelazioni medie (0,47; p < 0,05) tra mas-sima forza isometrica degli estensori dellagamba e la percentuale di fibre di II tipo delm. vasto laterale (figura 3).Poiché le fibre a contrazione rapida, inoltre,hanno bisogno da 30 a 80 ms per raggiun-gere il loro valore massimo di tensione,rispetto ai circa 90-140 ms delle fibre lente(Faulkner, Claflin, Mc Cully 1986, Green1986, Hollmann, Hettinger 2000; Howald1989; Müller 1987; Pahlke 1999; Weicker,Strobel 1994; Tidow, Wiemann 1994a;Wilmore, Costill 2004; Zatsiorsky 1992) e lavelocità di conduzione nervosa dei moto-neuroni alfa che innervano le fibre rapide èmaggiore di quelle lente (cfr. Tidow,Wiemann 1994), un’elevata percentuale difibre di II tipo dovrebbe avere un’influenzapositiva su una rapida espressione dellaforza. A questo proposito Viitasalo, Komi (1978)sono riusciti a provare che un’elevata per-centuale di fibre rapide comporta anche piùelevati valori di forza esplosiva. Per la capa-cità di prestazione di forza, la composizionedelle fibre è tanto più importante quantopiù aumenta la velocità di un movimento(Berg, Keul 1985; Coyle, Costill, Lesmes1979; Tihanyi, Apor, Fekete 1982). Sia lacurva forza-velocità, sia la curva forza-potenza sono influenzate dalla composizio-ne delle fibre o dal grado di loro formazio-ne. Una elevata percentuale di fibre di IItipo provvede sia a valori più elevati diforza sia a un rendimento meccanico piùelevato ad ogni velocità angolare (cfr.Powers, Howley 1994). Ciò si spiega, tra l’al-tro, con una più elevata attività dell’ATPasinelle fibre muscolari rapide (Egerton, Roy,Gregor, Rugg 1986; Faulkner, Claflin, McCully 1986). Inoltre, la velocità di conduzio-ne del potenziale d’azione dei motoneuronialfa che attivano le fibre rapide va da 80 a90 m/s , mentre nelle fibre lente è da 60-70m/s (Pette 1980).Inoltre, le fibre rapide sono collegate amotoneuroni alfa di dimensioni maggiori

Tempo (ms)

For

za (

N)

II tipo b

II tipo a

I tipo

Figura 3 – Comportamento contrattile deidiversi tipi di fibre.

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con una più elevata frequenza di scarica(fibre di II tipo: da 30 a 60 impulsi al secon-do; fibre di I tipo: da 10 a 20 impulsi alsecondo) e munite di placche motorie didimensioni maggiori. Pahlke (1999) ricordaa questo proposito che una attivazioneregolare della muscolatura scheletrica, adesempio attraverso l’allenamento sportivo,incrementa i processi metabolici nei moto-neuroni alfa attivati. Questo adattamentoha carattere specifico secondo se nel pro-cesso di contrazione sono coinvolti moto-neuroni di grandi o di scarse dimensioni.Inoltre, cambia il nervo efferente che tra-sporta l’eccitazione, in quanto aumenta ilvolume sia dell’assone sia della guaina mie-linica, che, a sua volta, porta ad una velo-cità maggiore di conduzione (cfr. Edds1950; Pahlke 1999; Wedeles 1949). Tra l’al-tro, si è riusciti a stabilire che gli atleti pre-sentano una maggiore velocità di condu-zione delle persone normali (Huang, Chang,Hsieh 2005; Kamen, Taylor, Beehler 1982;Lehnert, Weber 1975) e si è riusciti a dimo-strare che, attraverso un allenamento con-tro resistenze elevate, si può arrivare ad unaumento della velocità di conduzione ner-vosa (Hutton 1989; Kroth, Wittekopf 1988;Singh, Maini 1980). Anche le placche moto-rie si adattano alle richieste incrementandola loro superficie e aumentando le sostanzetrasmettitrici (cioè i neurotrasmettitori) (cfr.Pahlke 1999). I meccanismi fondamentali diadattamento che vengono citati a livellospinale sono una maggiore eccitabilità deimotoneuroni alfa, una riduzione dell’inibi-zione presinaptica, che comportano uncambiamento del reclutamento e della fre-quenza (Aagard et al. 1997; Enoka 1997).Questi meccanismi di adattamento e que-ste qualità fisiologiche fondamentali chia-riscono perché la composizione delle fibresicuramente influenza in modo non tra-scurabile le prestazioni di forza rapida.(Thorstensson 1989). Faulkner, Claflin,McCully (1986), sono riusciti a dimostrare,inoltre, che il rendimento meccanico svi-luppato dalle fibre rapide è di circa quattrovolte maggiore di quello delle fibre lentedi I tipo. Secondo Rüegg (1990) e Müller(1987) anche la lunghezza delle fibremuscolari ha un’importanza decisiva sullaloro velocità di accorciamento. Con lun-ghezze maggiori, quindi, la velocità diaccorciamento delle fibre aumenta perchési produce un numero più elevato di ciclidi ponti trasversali per unità di tempo. Perquesta ragione, l’elevata velocità di con-trazione richiesta per qualsiasi espressioneottimale delle prestazioni di forza rapida equindi anche per una salita ripida dellacurva forza-tempo e affinché si raggiungarapidamente un potenziale d’azione nelmuscolo, dipendono da una serie di fattori(cfr. Weigelt 1997):

Un’ulteriore e importante componente diun buon sviluppo delle forza rapida è rap-presentata dalla coordinazione, significan-do con ciò la coordinazione intermuscolare,espressione con la quale si vuole intendereuna tecnica del movimento ben sviluppata,senza la quale non sono possibili azioni diforza rapida di qualità elevata. Già nel1957, Rasch e Morehouse, in una ricerca suun allenamento della forza di sei settimane,nel quale un gruppo si allenava in regimeisometrico e un altro in regime dinamico,rilevarono che si riusciva a diagnosticare unaumento della forza massima solo se l’eser-cizio del test utilizzato per la valutazioneera familiare ai soggetti della ricerca. Se siutilizzavano metodi di test non abituali nonsi rilevavano aumenti o quelli rilevati eranosolo scarsi. Berger (1962a, 1963b) riuscì aconfermare questi risultati in due ricerche

che dimostrarono ambedue che se l’allena-mento era dinamico, una procedura di testcon esercizi dinamici rappresentava megliol’incremento della forza che una con eserci-zi isometrici e viceversa. Stabilì, inoltre, cheun allenamento dinamico produceva unmiglioramento maggiore delle prestazionidi salto di uno statico e che un aumentosignificativo della massima forza isometricanon garantiva un miglioramento dell’altez-za di salto. Molti Autori (Ball, Rich, Wallis1964; Larson 1940; Wolbers, Sills 1956)sono riusciti a confermare questo mancatoo scarso trasferimento della massima forzaisometrica, o dell’allenamento isometricodella forza, alla prestazione di salto. Rutheford, Jones (1986) attribuiscono irisultati di queste ricerche ad una migliorecoordinazione neuromotoria, che compren-de sia un controllo simultaneo e/o ottimaledella muscolatura maggiormente responsa-bile del movimento (agonisti), sia anche unainterazione ottimale con quei muscoli chepartecipano anche essi alla coordinazionedel movimento (sinergisti). Lo stesso valeper l’attivazione nervosa dei muscoli chelavorano come antagonisti. Per il muscolo oi muscoli antagonisti di un movimento che,di regola, mantengono una certa attivitàper la stabilizzazione o la guida delle artico-lazioni, ciò vuole dire che anche essi debbo-no essere soggetti ad una attivazione ner-vosa ottimale per l’esecuzione del movi-mento (Baratta et al. 1988; Freund, Büdin-gen 1978). Komi et al. (1978) hanno rilevatouna riduzione dell’attività elettromiograficadopo una fase di allenamento della forzacon lo stesso sovraccarico submassimale.Ciò fa supporre che, grazie una sintonia piùprecisa della muscolatura sollecitata, persuperare lo stesso carico è necessaria unaminore attivazione nervosa dei singolimuscoli interessati. Da questi risultati si può dedurre che l’e-sercizio o la tecnica-obiettivo debbonorimanere sempre una componente dell’al-lenamento. Non soltanto il movimentovero e proprio dovrebbe essere eseguito adun livello qualitativamente elevato, ma neimovimenti esplosivi o rapidi anche la velo-cità d’esecuzione deve restare sempre alivello elevato (Yessis 1989). Se si trascural’addestramento della tecnica motoria siprodurranno elevate perdite di transferdelle capacità di forza che sono stateacquisite. Così, in alcuni studi si è riusciti adimostrare che l’effetto sulla prestazionemassima di salto della combinazione disalti e allenamento della forza era superio-re a quella di un allenamento che prevede-va solo salti o solo un allenamento dellaforza (Adams et al. 1992; Baker 1996;Fatouros et al. 2000; Toumi et al. 2004).Anche in questo caso, però, vale, la limita-zione che abbiamo citato precedentemen-

• aumento dei processi metabolici e dell’ec-citabilità dei motoneuroni alfa (nelle perso-ne allenate);

• elevata velocità di conduzione del potenzia-le d’azione;

• grado di formazione delle placche motorie;• capacità di conduzione dei tubuli trasver-

sali (velocità di diffusione della depolariz-zazione);

• quantità e velocità maggiore di diffusione diioni Ca++ nello spazio intracellulare, poiché ilnumero dei ponti trasversali per unità ditempo aumenta grazie a un maggiore e piùrapido afflusso di calcio (che dipende dalgrado di formazione del reticolo sarcopla-smatico);

• grado di reclutamento delle fibre muscolari;• frequenza con la quale possono essere atti-

vate le fibre muscolari;• composizione delle fibre della muscolatura

scheletrica (che è in rapporto diretto con lamaggior parte dei punti sopraelencati).

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te: il livello di allenabilità della forza influi-sce in modo decisivo sugli effetti sullaprestazione di salto che ci si debbonoaspettare dal suo allenamento (Hasegawaet al. 2002; Kraemer, Newton 1994).Ogni volta che si affronta il problema deimetodi adatti all’allenamento della forzanasce la discussione quale di essi sia il piùefficace per produrre un aumento dellaforza rapida. Di regola vengono confrontatigli effetti sulla forza rapida del metodo dellemassime contrazioni, del metodo della forzarapida e di un allenamento basato sulla pro-duzione della più elevata potenza fisica pos-sibile (allenamento nella zona della sogliadella potenza muscolare).4Per rispondere alla domanda su quale sia ilmigliore metodo di allenamento della forzasi deve tenere conto di questi aspetti:

1. il livello di prestazione dell’atleta;2. la grandezza della resistenza che si deve

superare nell’esercizio di gara;3. i punti deboli e quelli di forza dell’atleta.

Se l’atleta si trova ad un livello di risultatirelativamente basso si potranno otteneremiglioramenti dei risultati con tutti e tre imetodi citati in quanto si tratta, comunque,di un addestramento delle capacità coordi-native e di incremento della forza (Baechle,Earle, Wathen 2000; Komi, Häkkinen 1989;van den Tillman 2004; Young 1991). Peròpiù l’atleta migliora più sarà necessario chei diversi metodi di allenamento siano utiliz-zati in modo differenziato (Deiss, Pfeiffer1991; Pampus 1995). Fondamentalmente,non ci si dovrà chiedere “O…o” (cfr. Shea1985b; Young 1991), ma piuttosto:“Quando, cosa, per quale ragione?”. Larisposta a questa domanda dipende daquali adattamenti fisiologici si debbonoprovocare per continuare a migliorare laprestazione dell’atleta. Minore è la resisten-

za esterna nell’esercizio di gara (o nell’eser-cizio che si vuol migliorare), maggiore saràla velocità di movimento che ci si deveattendere. Ne consegue che, ancora unavolta, avrà un ruolo decisivo la coordinazio-ne intermuscolare (Fleck, Kraemer 2003;Schnabel, Harre, Borde 1994).A questo proposito, in molti Autori chehanno affrontato questa tematica trovia-mo un malinteso. Se si vuole produrre unmovimento globale rapido anche quandola resistenza esterna è scarsa, si deve ten-dere a una salita della forza più ripidapossibile e all’elevata accelerazione dell’at-trezzo di gara o delle estremità che nederiva, poiché la traiettoria di accelerazio-ne disponibile è limitata. L’argomento cheviene addotto per giustificare il ricorso almetodo della forza rapida o a quello di unallenamento alla soglia della potenza fisi-ca è lo sviluppo di una elevata velocità diaccorciamento muscolare. È indiscussoche un allenamento della forza ha uneffetto positivo sulla velocità di movimen-to, ma ci sarebbero adattamenti specificialla velocità di movimento realizzata inallenamento (Clarke, Henry 1961; Coyle,Feiring 1980; Coyle et al. 1981; Caiozzo,Perrine, Edgerton 1980; McBride et al.2002; Sale, Mac Dougall 1981; Schnabel,Harre, Borde 1994; Stone, O’Bryant 1987;Withley, Smith 1966; Zatsiorki 1985). Ora,qui si trascurano due aspetti: da un latol’effetto, del quale abbiamo già parlato,per cui se aumenta il livello di forza mas-sima la resistenza esterna o l’estremità chedebbono essere accelerate, considerate intermini relativi, diventano più “leggeri” eperciò possono essere accelerati meglio, edall’altro che la velocità di movimentolenta dell’allenamento con sovraccarichielevati può essere “tamponata” senza pro-blemi con altri contenuti di allenamento(allenamento della tecnica). Si deve tenere

conto, inoltre, che contro resistenze dascarse a medie non è possibile produrre leelevate tensioni muscolari che sono moltoimportanti sia per lo sviluppo della forzasia per quello della massa muscolare (Sale,Mac Dougall 1981).A questo proposito, spesso in modo confu-so o errato, i concetti: “velocità di movi-mento”, “velocità di accorciamento” e “velo-cità di contrazione” sono usati come sino-nimi (cfr. Deiss, Pfeiffer 1991; de Mareés2002; Fleck, Kraemer 2003; Grosser,Zimmermann, Ehlenz 1984; Verchoshanskij1995). L’espressione velocità di accorcia-mento definisce un intervallo di tempoentro il quale un muscolo o una fibramuscolare si accorciano di una determinatamisura. Secondo Müller (1987) la massimavelocità di accorciamento del muscolodipende dalla velocità di contrazione deisingoli sarcomeri e dal numero dei sarco-meri in serie, dunque dalla lunghezza delmuscolo. Di regola, prescindendo da prepa-rati muscolari in esperimenti su animali, sistabilisce in base alla comparsa di un movi-mento rapido in una o più articolazioni.Però, spesso, si dimentica che, anche inmovimento monoarticolare, ad esempio, laflessione di un arto superiore, più muscolisono responsabili della rapida esecuzionedel movimento. Si evidenzia così, ancora una volta, quantosia importante la coordinazione intermu-scolare anche per la rapidità di un movi-mento molto facile e significa che laresponsabilità di un movimento rapido nonva attribuita alla capacità di un muscolosingolo di accorciarsi rapidamente, maall’interazione di più muscoli. Per questaragione sembra difficile ridurre l’aumentodella velocità di movimento a una solacausa, cioè ad una maggiore velocità diaccorciamento del muscolo.Quando si esamina una curva forza-tempo,misurata in regime isometrico, ci si devechiedere, invece, a cosa sia dovuta la ripi-dità di salita della forza. Poiché in regimeisometrico origine e inserzione del muscolosi avvicinano solo in modo insignificante e,di conseguenza, anche il grado di accorcia-mento del muscolo o delle fibre muscolaripuò essere solo scarso, se ritorniamo alladefinizione precedente, la velocità di accor-ciamento del muscolo dopo alcuni millise-condi è uguale a zero. In questo caso sem-bra più sensato parlare di velocità di con-trazione del muscolo, definita come iltempo necessario ad un muscolo per rag-giungere una determinata quantità di ten-sione o come velocità di salita della tensio-ne muscolare (Pampus 1992; Tidow,Wiemann 1993). Martin, Carl e Lehnertz(1993) a questo proposito parlano di “velo-cità di formazione della forza” o di una“capacità di contrazione rapida”.

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Come abbiamo visto precedentemente idiversi tipi di fibre muscolari presentanovelocità diverse di contrazione. Se si consi-dera che ogni muscolo scheletrico è com-posto da tutti e tre i tipi di fibre, la velo-cità di accorciamento del muscolo è deter-minata dalla somma delle velocità di con-trazione delle singole fibre o tipi di fibre e,perciò, dipende dalla composizione dellefibre e dalla successione con la quale sonoreclutate quando, in una esecuzioneesplosiva del movimento, è necessario unreclutamento simultaneo di tutti i tipi difibre (Edman 2003; Plisk 2000; Tidow,Wiemann 1993). Ed è proprio questa velo-cità di contrazione che – con il presuppo-sto che venga fatto uno sforzo di volontàper ottenere una contrazione quanto piùesplosiva possibile - deve essere incre-mentata attraverso un allenamento concontrazioni massime. Poiché questa ripidasalita delle forza può essere realizzata solocontro carichi molto elevati, se non massi-mi, appare evidente perché questo metododi allenamento della forza sia d’importan-za fondamentale per l’allenamento dellaforza rapida e per quale ragione un allena-mento alla soglia della potenza muscolareo secondo il metodo della forza rapidapossono avere solo carattere integrativo(Baker 1996; Berger, Henderson 1966;Bührle 1989; Cronin, McNair, Marshall2002; Harris et al. 2000, 18; Hoff, Berdahl2000; McClements 1966; Fleck, Kraemer2003; Pipes 1979; Radcliffe, Farentinos1990; Tokeshi et al. 1998; Young 1991),tanto più perché le intensità che si utiliz-

zano nei metodi che abbiamo appena cita-to dipendono direttamente dal grado diespressione della forza massima (Berger,Henderson 1966; Cronin, McNair, Marshall2002; Haller 1995; Malandino 1999;McClements 1966; Mosse et al. 1997;Murphy, Weilson, Pryor 1994; Stone et al.2003; Tokeshi et al. 1998).Nella discussione su quali siano i metodidi allenamento più efficaci, inoltre, si tra-scura che generalmente gli studi che pro-vano l’efficacia o la superiorità del metododella forza rapida e di un allenamento allasoglia della potenza muscolare, riguardanointerventi di allenamento a breve termineche durano poche settimane, condotti sucampioni di soggetti deboli o non allenati.Non c’è da meravigliarsi, dunque, che lacombinazione tra un movimento relativa-mente veloce (coordinazione intermusco-lare) e un aumento della forza sia quellache produce i risultati migliori, se comecriterio di scelta si introducono le presta-zioni nel test di forza di salto. Ma, poichéle massime prestazioni meccaniche sonostate trovate negli atleti con elevati livellidi forza massima è evidente che lo svilup-po della forza massima deve essere consi-derato il fattore decisivo nel processo diallenamento a lungo termine. Ciò non vuole dire che i metodi che abbia-mo citato devono essere considerati insen-sati o superflui, ma che la loro utilizzazioneselettiva rappresenta una ragionevole inte-grazione (cfr. Harris et al. 2000; Tidow,Wiemann 1994b; Toumi et al. 2001; Young1989).

Si può affermare che fondamentalmenteciò che determina la velocità d’accorcia-mento del muscolo è il rapporto tra forzamassima del muscolo e la forza opposta (laresistenza da superare) (Pampus 1995). Inquesto quadro, secondo l’obiettivo dell’alle-namento, si possono utilizzare il metododella forza rapida o un allenamento nellazona della soglia della potenza muscolare(anche se si deve notare che le zone d’in-tensità di questi due metodi di allenamentodella forza quasi si sovrappongono e fon-damentalmente ciò non permette di consi-derarli due metodi di allenamento diversi).Alcuni Autori, sbagliando, suppongono cheil metodo della forza veloce e un allena-mento alla soglia della potenza muscolaresiano il modo migliore per incrementarequesta velocità di contrazione, ammessoche realmente si parli di essa (Ehlenz,Grosser, Zimmermann 2003).Per riassumere, si può affermare che si puòscegliere di sviluppare al massimo la velo-cità di accorciamento e di contrazionecombinando allenamento della tecnica e ilmetodo con contrazioni massime (metodiCI; CI = coordinazione intramuscolare)oppure, combinando gli altri due metodi diallenamento della forza con un allenamen-to della tecnica, sviluppare al massimo lavelocità di accorciamento, aumentandoperò solo mediamente o addirittura senzaaumentare – ciò dipende dal livello di pre-stazione – la velocità di contrazione. Comeabbiamo già ricordato alcuni Autori pro-pongono, come metodo più adatto per losviluppo della velocità di contrazione, un

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allenamento secondo il metodo della forzarapida, ma non portano alla sua conclusio-ne logica il ragionamento che hanno inizia-to: se un allenamento con un sovraccaricoche si trova nella zona dal 30 al 70% di1RM (cfr. De Mareès 2002; DLV 1993;Ehlenz, Grosser, Zimmermann 2003), rispet-to ad un allenamento senza una resistenzapiù elevata porta ad un miglioramento dellavelocità di contrazione, perché questoeffetto cesserebbe di colpo a partire da unaintensità del carico superiore al 70% o se siscelgono pesi più elevati? Che il ragiona-mento non venga portato fino alle sueestreme conseguenze si può spiegare solocon la mancata separazione dei concetti divelocità di contrazione, velocità di movi-mento e di accorciamento. La velocità dicontrazione certamente dovrebbe aumenta-re, però, non appena la velocità di movi-mento e quindi anche la velocità di accor-ciamento diminuiscono eccessivamente, sipresume, sbagliando, che anche la velocitàdi contrazione si riduca. Ma non è così.

Per concludere, a questo punto, citiamoSchnabel, Harre; Borde (1994, 329):

Già negli anni ’70, soprattutto per quantoriguardava la velocità aciclica di movimen-to fu possibile dimostrare che l’efficacia diun metodo con massime contrazioni esplo-sive è superiore a quello degli usuali metodidella forza rapida (Bührle, Schmidtbleicher1977; Schmidtbleicher 1980).

(1) Una ripetizione massima (1 RM); per 1 RM si intende la massima quantitàdi peso che può essere spostata in una sola ripetizione di un esercizio(Nota del Redattore).

(2) Come noto la forza che un muscolo può esprimere è il risultato dellasommazione dei valori di forza di ogni singola unità motoria. La forzacontrattile di una unità motoria, a sua volta, è regolata dalla frequenza discarica del suo motoneurone, ovvero dal numero dei potenziali d’azioneche questo invia al muscolo nell’unità di tempo. Il sistema nervoso graduala forza contrattile di un muscolo in due modi. Da un lato può cambiare ilnumero delle unità motoria attivate: più ne vengono attivate più intensasarà la forza. Questo meccanismo è definito reclutamento. Dall’altro ilsistema nervoso può variare la frequenza d’impulso dei potenziali di azio-ne: maggiore è la frequenza degli impulsi, maggiore è la forza contrattiledell’unità motoria. Questo meccanismo viene definito modulazione dellafrequenza (rate modulation). Quando, per generare un movimento preci-so e fluido, le unità motorie sono coinvolte più contemporaneamentepossibile in un processo di contrazione si parla di sincronizzazione (Notadel Redattore).

(3) Nell’articolo sono citati e discussi vari metodi di allenamento della forzaquali il metodo delle massime contrazioni, il metodo della forza rapida eun allenamento basato sulla produzione della più elevata potenza fisicapossibile (allenamento nella zona della soglia della potenza muscolare). Ledenominazioni dei vari metodi sono state tradotte letteralmente senzacercare un adattamento alla terminologia in uso in Italia o in altri Paesi(ad esempio, quelli di lingua inglese). Per una migliore comprensioneriportiamo quali sono caratteristiche essenziali di questi metodi, secondofonti degli Autori e della letteratura di lingua tedesca:Metodo delle massime contrazioni (esplosive): intensità dello stimolo(peso in % di 1 RM): dal 90 a 100%; ripetizioni per serie: da 3 a 6; serieper unità di allenamento (per gruppo muscolare): da 1 a 3; pausa tra leserie: 6 min; velocità di contrazione: esplosiva. Metodo della forza rapida (metodo degli impegni di forza balistico-esplosivi): intensità dello stimolo (peso in % di 1 RM): dal 30-40%; ripeti-zioni per serie: da 6 a 8; serie per unità di allenamento: da 3 a 5; pausatra le serie: 3-5 min; velocità di contrazione: da rapida a esplosiva (senzadiminuzioni della velocità massima). Metodo dell’allenamento alla soglia della potenza muscolare: intensitàdello stimolo (peso in % di 1 RM): dal 55-60%; ripetizioni per serie: da 6

a 8; serie per unità di allenamento: da 3 a 5 (qualora si misurino la velo-cità di movimento o l’impulso massimo l’esercizio viene interrotto nonappena diminuiscono); pausa tra le serie: 3-5 min; velocità di contrazio-ne: da rapida a esplosiva (Nota del Redattore).

(4) La massima potenza muscolare, che rappresenta la misura della velocitàcon la quale una forza produce lavoro, si raggiunge quando esiste unrapporto ottimale tra resistenza da vincere (peso) e la sua velocità.Lehnertz, Pampus (1989), tenuto conto che nella maggior parte dei movi-menti sportivi non si tratta di spostare il massimo carico possibile, ma o direalizzare la massima potenza muscolare possibile (negli sport di forzarapida) o di mantenere una potenza muscolare media il più a lungo possi-bile (negli sport di resistenza) ritengono che la misurazione della potenzamuscolare sia anche la grandezza di misura più importante per la deter-minazione della capacità di forza e per calcolare l’intensità del carico neimetodi del suo allenamento. A tale proposito (cfr. Lehnertz, Pampus1989; Martin et al. 1993) hanno esposto un metodo attraverso il qualemisurando la variazione dell’impulso di accelerazione del peso di allena-mento si può calcolare la cosiddetta soglia della potenza muscolare rap-presentata dal punto culminante della curva della potenza muscolare,mentre il peso con il quale si ottiene la massima potenza è definita pesosoglia. Secondo loro la variazione della soglia della potenza muscolaredurante il processo di allenamento fornisce una misura precisa dello svi-luppo della forza. Inoltre, attraverso essa sarebbe possibile determinarel’intensità del carico meglio che attraverso la misurazione dei valori dellamassima forza isometrica e di quella concentrica. Il concetto di sogliadella prestazione muscolare è stato introdotto come parametro dell’in-tensità nell’allenamento della forza da Lehnertz, Pampus (1988) e Pampus(1989) partendo dalla soluzione ancora insoddisfacente del dosaggio delcarico e quindi del problema dell’efficacia dell’applicazione dello stimolonel processo di allenamento della forza. Occorre ricordare che nel 1992,Bosco, partendo da altre considerazioni e senza alcun riferimento al lavo-ro di Lehnertz, Pampus fece notare che nell’abituale controllo dell’inten-sità con parametri basati sulla forza massima non si teneva conto di unacaratteristica fondamentale del regime di forza, cioè la velocità, e presen-tava un’apparato elettromeccanico (Ergopower Bosco System) attraversoil quale l’atleta grazie all’informazione immediata sulla prestazione da luirealizzata poteva dirigere in modo individuale il suo allenamento (Bosco1992) (Nota del Redattore).

La bibliografia dell’articolo originale può essereconsultata e scaricata da www.calzetti-mariucci.it

Gli Autori: Dott. Klaus Wirth, collaboratore scienti-fico dell’Istituto di Scienze dello sport dellaJohann-Wolfgang Goethe Universität, Francofortesul Meno, Dipartimento Scienze del movimento edell’allenamento.Prof. dott. Dietmar Schmidtbleicher, titolare di cat-tedra per le scienze dello sport, Istituto di Scienzedello sport della Johann-Wolfgang Goethe Univer-sität, Francoforte sul Meno, Dipartimento Scienzedel movimento e dell’allenamento.

Traduzione di M. Gulinelli da Leistungssport, 1,2007, 35-40. Titolo originale: Periodisierung imSchnellkrafttraining.

Note

“I sovraccarichi nell’allenamento della forzamassima con contrazione concentrica rag-giungono dal 85 al 100% della FM (forzamassima), […] Con un elevato sforzo divolontà si deve sempre realizzare una velo-cità di contrazione “esplosiva” e – nellecondizioni di resistenza esistenti – la massi-ma velocità di accorciamento muscolarepossibile (cioè una elevata velocità di movi-mento). L’allenamento esplosivo della forzanel quale si superano resistenze da elevatea massime non solo aumenta il livello dellaprestazione di forza massima, ma anche lavelocità di movimento su tutta la gammadelle resistenze, dalle massime alla mini-me. Questo tipo di allenamento della forzamassima, perciò crea anche le basi chedeterminano il risultato nelle prestazioni diforza rapida”.

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L’allenamento della forza, che godeva di grande popolarità nel XIX secolo e ilcui valore nello sport diretto al mantenimento della salute è stato offuscatodal prevalere dell’allenamento aerobico (cfr. Siff 2004), in questi ultimi anniha assunto una importanza sempre maggiore. Se alle origini esso si trovavaalla base soprattutto della preparazione degli atleti dei cosiddetti “sport diforza”, successivamente, per la sua efficacia nel miglioramento delle capacitàfisiche, è stato integrato ed è divenuto una componente necessaria dell’alle-namento in quasi tutti gli sport. E recentemente ha assunto una posizione diprimo piano anche nello sport riabilitativo e in quello diretto allo sviluppo dellasalute, tanto da essere utilizzato anche con persone anziane e con patologiecroniche. Così i metodi e i programmi di allenamento per il miglioramentodelle varie modalità di espressione della forza, sviluppati nello sport competiti-vo, in forma modificata e adeguatamente adattata sono attualmente utilizzatianche nello sport praticato a scopi riabilitativi e salutari. Negli ultimi anni,nello sforzo di creare reazioni di adattamento specifiche, ottimali e più rapidepossibile sono stati sviluppati nuovi metodi di allenamento della forza. Due ditali metodi, l’allenamento desmodromico e quello vibratorio, sono oggetto diun articolo di rewiew (Neuere Entwicklungen im Krafttrainig muskuläreAnpassungsreaktionen bei verschiedenen Krafttrainingsmethode, DeutscheZeitschrift für Sportmedizin, 58, 2007, 1, 12-18) di Brigitte Friedmann –campionessa del mondo sui 3000 m nel 1980 – attualmente direttrice delGruppo di ricerca sugli adattamenti all’allenamento della forza del VII Repartodi medicina interna (medicina dello sport) della Clinica universitariadell’Università Karl Ruprecht di Heidelberg. Per quanto riguarda le reazioni di

adattamento del muscolo scheletrico all’allenamento della forza, come scrivela Friedmann, è noto che dopo che si è iniziato un allenamento di questacapacità si osserva un adattamento neuromuscolare con incremento dell’atti-vità nervosa e un miglioramento della sincronizzazione delle unità motorie, chesi esprime in tipici cambiamenti dell’EMG. L’attivazione di un numero maggio-re di unità motorie con la contemporanea riduzione dell’attività degli agonistiproduce un rapido miglioramento delle capacità di forza. Successivamente, sesi prosegue nell’allenamento per più settimane o mesi, si produce uno svilup-po dell’ipertrofia, per il quale si mostrato particolarmente efficace un allena-mento combinato concentrico/eccentrico con un peso/una resistenza del 60-85% di 1RM, con da 6 a 20 ripetizioni per set, da 5 a 6 set per gruppomuscolare e 2-3 minuti di pausa tra i set. Alcuni studi effettuati con tomogra-fia a risonanza magnetica hanno oggettivato la formazione di una ipertrofia delmuscolo quadricipite femorale e del muscolo bicipite brachiale dopo un simileallenamento della forza. Un quadro riassuntivo dei loro risultati si trova nellatabella 1. Sia per quanto riguarda la formazione dell’ipertrofia muscolare sia il miglio-ramento della forza massima esiste una notevole variabilità individuale, cheriguarda ambedue i sessi. Le capacità di forza di un muscolo, però, nonsono determinate solo dalla sua sezione trasversale, ma anche dalle pro-prietà contrattili e metaboliche delle sue fibre. Poiché esistono diverseisoforme, sia per la maggior parte delle proteine strutturali delle miofibrille,sia per gli enzimi del metabolismo energetico muscolare, esistono tipi diver-si di fibre muscolari. Ad esempio, una possibilità di differenziazione tra fibredi II tipo A, fibre di II tipo X e fibre lente di I tipo è la diversa attivitàdell’ATPasi in isoforme diverse delle catene pesanti di miosina. Una diffe-renziazione dei singoli tipi di fibre è anche possibile per via immunoistochi-mica utilizzando anticorpi specifici. Attualmente si parla di fibre di II tipo X(o D), che sono state a lungo denominate fibre di II tipo B (cfr. tabella 2).Questa denominazione, oggi, si utilizza, di regola, per fibre muscolari piùveloci che non sono state trovate però nei muscoli delle estremità degliumani. La velocità di contrazione delle fibre muscolari di II tipo X più velocidell’uomo è leggermente minore di quella delle fibre di II tipo B. Grazieall’analisi delle singole fibre si sa che una fibra muscolare può contenerepiù di una isoforma di catene pesanti di miosina (MHC = Myosin HeavyChain). Per rilevare quale sia la distribuzione globale delle isoforme di MCHnel muscolo spesso si esegue una separazione delle MCH mediante elet-troforesi in gel di poliacrilammide (SDS-PAGE) dall’omogeneizzato muscola-re. Come ricorda la Friedman, è noto che gli atleti di alto livello degli sportdi forza e forza rapida, anche se con una grande variabilità interindividuale,in media posseggono una percentuale di fibre di II tipo maggiore degli atletidegli sport di resistenza e l’importanza della percentuale di fibre rapide perlo sviluppo della forza è stato provato, ad esempio, da uno studio (Aaagard,Andersen 1998), che in biopsie del m. vasto laterale ha trovato una corre-lazione lineare significativa (r = 0,929) tra le percentuale di MHC e lo svi-luppo della forza concentrica in un test isocinetico di forza massima.Poiché le fibre muscolari posseggono un elevato potenziale adattativo, ladistribuzione dei tipi di fibre può cambiare a seguito di un carico regolare diallenamento, Ma, mentre in molti studi, dopo un allenamento della forzadella durata di varie settimane è stato rilevato nel m. vasto laterale unaumento della percentuale di fibre di II tipo A, con la contemporanea dimi-nuzione di quelle di II tipo X, indice di una trasformazione di queste ultimein fibre di II tipo A, una trasformazione delle fibre lente in fibre rapide èquasi impossibile, anche se in due ricerche sull’effetto di un allenamentodella forza del tronco si sono trovate prove di una simile trasformazione:così in uno studio di Kai et al. (1999) dopo un allenamento della forzamassima, la percentuale di MHC IIa nel m. trapezio di donne non allenateaumentava a spese di quelle delle MHC IIb(x) e delle MHC I, mentre Liu etal. (2003), dopo la combinazione di un allenamento della forza massimacon un allenamento concentrico della forza di scarsa intensità, ma con ele-vata velocità di movimento, descrivono un aumento delle MHC IIa con uncontemporaneo decremento delle MHC I e nessun cambiamento delleMHC IIx nel m. tricipite brachiale di studenti di educazione fisica. Per quan-to riguarda la sezione trasversale delle fibre, la Friedman ricorda che neglistudi sulle differenze tra atleti degli sport di forza rapida e di forza e soggettinon praticanti sport o atleti degli sport di resistenza sono state trovatesezioni trasversali delle fibre rapide di II tipo, significativamente maggiori neiprimi. I risultati delle ricerche sulle fibre di I tipo sono meno univoci, inquanto riferiscono sia di sezioni trasversali maggiori anche di queste fibre,

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Trainer’s digest

Nuovi sviluppi dell’allenamento della forza

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sia della assenza di differenze. Altrettanto non univoci sono gli studi sull’al-lenamento della forza, in quanto in molti di essi, dopo un allenamento plu-risettimanale eccentrico/concentrico della forza aumentava significativa-mente la sezione sia delle fibre di II tipo sia di quelle di I tipo, mentre inaltri si evidenziava un aumento significativo o una tendenza ad esso solonelle fibre di II tipo. È interessante che questo tipo di allenamento non pro-duce cambiamenti solo nella composizione delle fibre e nella loro sezionetrasversale, ma anche nell’architettura del muscolo con cambiamenti del-l’angolo di pennazione che è chiaramente maggiore nei muscoli ipetrofizza-ti, influenzando così le qualità contrattili di un muscolo. Per lo sviluppo del-l’ipertrofia muscolare è necessario un incremento delle proteine contrattili enon contrattili. Un allenamento della forza influenza sia la sintesi sia lademolizione delle proteine, ma attualmente abbiamo maggiori conoscenzesul primo che sul secondo di questi processi. Circa tre ore dopo un’unità diallenamento la sintesi proteica aumenta e ciò può durare fino a 48 ore.Mentre l’incremento acuto della sintesi proteica è determinato da cambia-menti della regolazione traslazionale e posttraslazionale, dopo ripetuteunità di allenamento della forza si può stabilire che esiste un aumento deltasso dell’mRNA delle proteine miofibrillari. Questo incremento della trascri-zione avviene grazie ad un aumento dell’attività dei mionuclei esistenti euna incorporazione dei nuclei delle cellule satelliti. Dopo un allenamentoplurisettimanale della forza, rispetto a soggetti non allenati, è stato trovatoun numero maggiore di mionuclei per sezione trasversale delle fibre sia inatleti degli sport di forza sia in soggetti di alcune ricerche. In alcuni studi,dopo un allenamento concentrico/eccentrico della forza, si è osservato unaumento dell’espressione del mRNA di isoforme di MHC. La tabella 2 offreun quadro sinottico degli studi sulle reazioni morfologiche di adattamento esui cambiamenti nell’espressione dei geni dopo un allenamento della forzamassimale concentrico/ eccentrico. Le reazioni di adattamento muscolaresono provocate da stimoli meccanici, da reazioni metaboliche e da cambia-menti ormonali. La traduzione di questi stressori fisiologici in un incremento

della traslazione, una proliferazione e/o differenziazione delle cellule satelli-te o in cambiamenti della trascrizione è complessa e in parte ancora nonben conosciuta. Passando all’analisi degli effetti di due relativamente nuovi metodi di alle-namento della forza, l’allenamento desmodromico e quello vibratorio, laFriedmann ricorda che da anni atleti di vertice degli sport di forza rapida edi forza ricorrono ad un allenamento desmodromico della forza nella con-vinzione che questa forma di allenamento sia superiore all’allenamentoconvenzionale della forza per la formazione di una muscolatura potente.L’allenamento desmodromico è un allenamento eseguito a macchine con-trollate da un computer con un carico eccentrico maggiore in confrontoall’allenamento convenzionale eccentrico/concentrico della forza. Attualmente è possibile un allenamento desmodromico monoarticolare peril ginocchio (estensione), il gomito (flessione/estensione) e le spalle (fles-sione/estensione). Per un allenamento che interessi più articolazioni esisto-no macchine desmodromiche per gli arti inferiori (leg-press), una macchinaper trazioni e un apparato per l’allenamento degli estensori del dorso.Nell’allenamento desmodromico, a differenza di quello isocinetico, la velo-cità varia, mentre rispetto all’allenamento eccentrico/concentrico della forzaesso rende possibile un carico relativamente uniforme sia durante l’azionemuscolare concentrica sia durante quella eccentrica. Poiché il massimosviluppo volontario della forza durante un’azione muscolare eccentrica èmaggiore che durante una concentrica, nell’allenamento convenzionaledella forza – che viene eseguito con un sovraccarico (peso di allenamento)assoluto quasi uguale – il carico eccentrico è sempre relativamente minoredi quello concentrico. In un allenamento desmodromico della resistenzaalla forza durante l’azione eccentrica il carico è circa 2,3 volte, in uno dellaforza massima 1,9 volte più elevato che durante il carico concentrico. Ilcarico eccentrico ha chiaramente un’importanza particolare nell’adatta-mento muscolare. In alcune ricerche si è osservata una crescita dellasezione trasversale del muscolo, soprattutto delle fibre di II tipo A solo

Allenamento Campione Sezione muscolare Forza massima Riferimenti

Muscolo quadricipite femorale6 mesi 7 sportivi del tempo libero 19,2% (22 cm2) ↑ 29,6% ↑ Narici et al. 1996 21 settimane a) otto uomini non allenati a) 5,6% (5,5 cm2) ↑ a) 19% ↑ Ahtiainen et al. 2003 b) otto atleti di sport di forza [–1,8% n.s.] b) 7% ↑

24 settimane 85 donne non allenate 6,6% (4,2 cm2) ↑ 32% ↑ Kraemer et al. 2004

6 settimane 17 atleti con esperienza di allenamento della forza 6,6% (6,0 cm2) ↑ 22,9% ↑ Friedmann et al. dati non pubblicati

Muscolo bicipite brachiale12 settimane 12 atleti con esperienza di allenamento della forza 12,2% (1,5 cm) ↑ 25% ↑ McCall et al. 1996

24 settimane 85 donne non allenate 13,00% (1,1 cm) ↑ 27,5% ↑ Kraemer et al. 2004

12 settimane a) 342 donne a) 17,9% (2,4 cm2) ↑ a) 64,1% ↑ Hubal et al. 2005 b) 243 uomini b) 20,4% (4,2 cm2) ↑ b) 39,9% ↑

Tabella 1 – Sinossi degli studi su giovani adulti nei quali le misurazioni della sezione trasversa della muscolatura più sottoposta ad allenamento (qua-dricipite femorale, o bicipite brachiale), prima e dopo un allenamento convenzionale concentrico-eccentrico della forza massima e della forza rapida,sono state eseguite con tomografia a risonanza magnetica. Le frecce indicano aumento (da Friedmann 2007).

Tipi di fibre I II A IID o X IIB

Presenza Uomo/mammiferi Uomo/mammiferi Uomo/mammiferi Solo mammiferiIsoforma di MHC prevalente I IIa IId (2 x) II bTipo di contrazione lenta rapida rapida molto rapidaAffaticabilità scarsa media elevata molto elevataFlusso sanguigno elevato elevato scarso scarso

MetabolismoAttività dell’ATPase scarsa media elevata elevataTasso di fosfati energetici scarso medio elevato elevatoCapacità glicolitica scarsa media elevata elevataCapacità ossidativa elevata elevata media scarsaMetabolismo lipidico elevato medio scarso scarso

Tabella 2 – Quadro riassuntivo sui tipi di fibre della muscolatura scheletrica e delle loro proprietà presenti soprattutto nell’uomo o nei mammiferi(MHC: Myosin Heavy Chain, catene miosiniche pesanti) (da Steinacker et al. 2002).

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quando l’allenamento della forza prevedeva azioni muscolari eccentricheoltre a quelle concentriche, mentre in due studi controllati a parità di pesoassoluto per ambedue le azioni, un allenamento della forza con un caricoeccentrico più accentuato portava a un miglioramento significativamentepiù elevato delle capacità di forza di un allenamento concentrico/eccentri-co. In uno studio sugli effetti di un allenamento desmodromico della resi-stenza alla forza durato quattro settimane in biopsie del m. vasto laterale disoggetti non allenati sono stati trovati aumenti significativi nel mRNA diMHC IIa e di LDH A – un isoenzima dell’LDH che catalizza la reazione dapiruvato in lattato e che si trova in concentrazione elevata soprattutto nellefibre di II tipo A – una tendenza (p = 0,056) alla crescita della concentra-zione dell’mRNA MHC II X e (p = 0,084) della percentuale di fibre di II tipoA, cambiamenti non rilevati nei gruppi che svolgevano un allenamento con-venzionale. Un allenamento desmodromico della resistenza alla forza insoggetti non allenati induceva un aumento dell’espressione dei geni dellefibre di tipo veloce. L’ipotesi che ciò potesse essere dovuto ad un aumentodel reclutamento di fibre veloci fu rafforzata dai dati di uno studio suglieffetti di un allenamento desmodromico della forza massima in atleti prati-canti sport di forza (Bauer et al. 2005). Secondo la Fridemann però occor-re guardarsi dall’utilizzazione acritica dell’allenamento desmodromico,soprattutto con soggetti non allenati, in quanto l’aumento del caricomuscolare eccentrico significa aumento del rischio di lesioni muscolari. Un ulteriore evoluzione nell’allenamento della forza è rappresentata dall’alle-namento vibratorio, nel quale durante un allenamento della forza sullamuscolatura che si sta allenando si applicano, per lo più indirettamente, sti-moli meccanici, come avviene quanto tutto il corpo dell’atleta e con esso imuscoli che si allenano con piegamenti sugli arti inferiori sono sottoposti astimoli oscillatori (vibrazioni). Sugli effetti di una allenamento vibratorio sonogià stati pubblicati alcuni studi controllati nei quali non soltanto sono stateutilizzate frequenze e ampiezze diverse d’oscillazione, ma anche metodi diallenamento della forza e test di forza diversi. Per una rassegna di questericerche la Friedmann rinvia ad un lavoro di Luo et al. (2005), ma afferma

che il massimo sviluppo della forza di un muscolo può essere aumentato se,durante un esercizio di allenamento della forza che dura da alcuni secondi aun minuto, si applicano vibrazioni di 30-40 massimo 50 Hz e di un’ampiezzada 0,3 a 0,8 mm. Ciò è dovuto ad un miglioramento dell’attività neuromu-scolare, provata in ricerche EMG, tra l’altro a seguito di una inibizione dell’at-tività degli antagonisti. Questi effetti sono maggiori in atleti allenati alla forzache in soggetti non allenati. In alcuni studi sull’allenamento, condotti finorasu soggetti non allenati, l’aumento della forza massima o anche il risultatonei test di salto sono maggiori se durante un allenamento della forza si appli-cano stimoli vibratori. Finora non sono noti studi sulle reazioni morfologichedi adattamento del muscolo scheletrico umano ad un allenamento vibratorio. Riassumendo, un allenamento dinamico della forza massima e della forzaveloce dopo alcuni adattamenti iniziali soprattutto di carattere nervoso produ-ce caratteristiche reazioni adattative di carattere morfologico del muscoloscheletrico: ipertrofia e un aumento della percentuale di fibre di II tipo A nellasuperficie della sezione trasversale del muscolo. Finora, però, è stato siste-maticamente poco studiato come, nei diversi gruppi muscolari, variazioni delpeso di allenamento, della velocità d’esecuzione, del volume di allenamentoe della durata delle pause agiscano sugli adattamenti morfologici del musco-lo scheletrico. Poiché i processi di adattamento si producono soprattutto inquelle fibre muscolari che sono prevalentemente reclutate durante l’allena-mento, i programmi per il miglioramento della forza massima e della forzaveloce debbono mirare al reclutamento delle fibre veloci di II tipo (con eleva-ta soglia di stimolo). I risultati delle ricerche delle quali disponiamo finorafarebbero pensare che un allenamento desmodromico e quello vibratoriopossono provocare un maggiore reclutamento delle fibre di II tipo. Ma, primadi potere fornire raccomandazioni concrete e affidabili su ambedue le formedi allenamento ad atleti, persone non allenate e a pazienti sono necessarieulteriori ricerche.

A cura di Mario GulinelliLa bibliografia del presente Trainer’Digest può essere consultata e scaricatada www.calzetti-mariucci.it

Allenamento Campione Muscolo Suddivisione dei tipi di fibre Sezione Espressione Riferimenti delle fibre dell’mRNA bibliografici Colorazione SDS ATPasi Page

19 settimane 8/5 uomini Vasto II A ↑ II a ↑ I e II tipo ↑ — Hather et al. 1991 laterale II B ↓ II b ↑ Adams et al. 1993 I = I =

8 settimane 21 uomini, 14 donne Vasto II b ↓ II b ↑ I tipo, tipo II A — Staron et al. 1994 non allenati laterale I, II A = I, IIa = II B = 6 mesi 7 sportivi Vasto — — Sezione — Narici et al. 1996 del tempo libero laterale media =

6/9 settimane 9 (8) sportivi/e Vasto — II a ↑ — — Carroll et al. 1998 del tempo libero laterale I, II x = 3 mesi 9 uomini Vasto II A ↑ II a ↑ II tipo ↑ — Andersen et al. 2000 non allenati laterale II B ↓, I = II b = I tipo = I =

3 mesi 24 sportivi/e Vasto II A ↑ — I tipo, II tipo A I, IIa, IIx = Hortobágyi et al. 2000 del tempo libero laterale II X ↓, I = II tipo X ↑

14 settimane 11 uomini Vasto — I e II = II tipo ↑, I tipo = — Aagard et al. 2001 non allenati laterale

12 settimane 6 donne e 6 uomini Vasto Fibre II a ↑, II b ↓ — — Williamson et al. 2001 non allenati laterale ibride? I =

12 settimane 8 uomini Vasto — II a e I ↑ — II a e I tipo ↑ Willoughby et al. 2001 non allenati laterale II x ↓ II x ↓

8 settimane 9 uomini Vasto II A B ↑ II a ↑ II x b ↓ I tipo, II tipo A ↑ — Campos et al. 2002 non allenati laterale II B ↓, I = e II tipo B II A e I =

10 settimane 9 donne Trapezio — II a ↑ — — Kadi et al. 1999 non allenate I, I b ↓

6 settimane 12 studenti Tricipite — II a ↑ — lente ↑ Liu et al. 2003 di sport allenati brachiale II x ↓ II a I = e II x =

Tabella 3 – Sinossi degli studi sulle reazioni morfologiche di adattamento del muscolo scheletrico ad un allenamento concentrico/eccentrico della forzamassima e della forza rapida di giovani adulti maschi (da Friedmann 2007).

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La resistenza ai salti Parte seconda: pliometria e affaticamento pliometrico

Gilles Cometti,Unità di formazione e ricerca Scienze e tecniche delle attività fisiche e sportive, Facoltà di Scienza dello sport, Digione

Giampietro Alberti,Istituto di Esercizio fisico, salute e attività sportiva, Facoltà di Scienze motorie, Università degli Studi, Milano

In molte discipline sportive il modello della prestazionerichiede la ripetizione, spesso in successione rapida, di unelevato numero di salti o di rimbalzi realizzati in modalitàciclica o con differenti forme di impulso. Per descrivere la capacità di eseguire efficacemente queste azioni motorie si è proposto di utilizzare il termine resistenza ai salti, intendendo con esso la capacità di mantenere l’efficienza prestativa del gesto, realizzato in condizioni di regime pliometrico o di lavoro a carattere pliometrico,nonostante l’affaticamento. Nelle azioni di balzo eseguitecon modalità intermittente, come nel caso della pallavolo o effettuate in forma ciclica, come in alcune discipline dell’atletica leggera, ci si chiede quali siano i meccanismiche intervengono a limitare la prestazione. Dopo avere illustrato, nella prima parte (cfr. n. 72) alcuni lavori diricerca che si sono occupati di questo argomento, rivolti a sforzi di tipo molto prolungato, in questa seconda parte si illustrano alcune evidenze scientifiche basate su studi nei quali sono stati valutati gli effetti di serie di 100 salti e rimbalzi realizzati in particolari condizioni sperimentali, che sembrerebbero assegnare, nel processo di affaticamento conseguente ad una successione ripetutadi salti, maggiore importanza alle caratteristiche di tiponeuromuscolare piuttosto che alle cosiddette qualità aerobiche, e le conseguenze applicative che se ne ricavano.

METODOLOGIA DELL’ALLENAMENTO

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Introduzione

Come si è scritto nella prima parte dell’artico-lo (cfr. n. 72), il modello prestativo di moltediscipline sportive prevede la ripetizione,spesso in successione rapida, di un elevatonumero di salti o di rimbalzi realizzati inmodalità ciclica o con differenti forme diimpulso. Per descrivere la capacità di eseguireefficacemente queste azioni motorie ripetutein successione si è proposto di utilizzare iltermine resistenza ai salti, intendendo lacapacità di mantenere, nonostante l’affatica-mento, l’efficienza prestativa del gesto realiz-zato in condizioni di regime pliometrico o dilavoro a carattere pliometrico. Nelle azioni dibalzo eseguite con modalità intermittente,come nel caso della pallavolo o effettuate informa ciclica, come in alcune discipline dell’a-tletica leggera, ci si chiede quali siano i mec-canismi che intervengono a limitare laperformance. In questa seconda parte si illu-streranno alcune evidenze scientifiche chesembrerebbero assegnare, nel processo diaffaticamento conseguente ad una succes-sione ripetuta di salti, maggiore importanzaalle caratteristiche di tipo neuromuscolarepiuttosto che alle cosiddette qualità aerobi-che e si analizzeranno alcuni studi che sisono occupati di valutare gli effetti di serie di100 salti e rimbalzi realizzati in particolaricondizioni sperimentali.Si era proposta, in coda alla prima parte del-l’articolo, una modalità di classificazioneterminologica dei vari tipi di balzi, distin-guendo anche tra i movimenti pliometrici equelli a carattere pliometrico. In questa pro-posta non c’era nessuna pretesa di imporreclassificazioni originali, bensì di proporreuna “nostra” classificazione che però facesseriferimento a quanto metodologi che hannoda sempre scritto e suggerito sull’argomen-to: Vittori in Italia e Piron in Francia.Abbiamo ricevuto il suggerimento, da partedel Responsabile nazionale dei salti inestensione della Fidal, che ringraziamo siaper l’attenzione dedicata a questo lavoro siaper il suggerimento stesso, di inserire nelquadro “balzi orizzontali”, i cosiddetti “balzimisti” o “combinati” (ad esempio dx-dx-sx-sx-dx-dx-sx-sx, oppure sx-sx-dx-sx-dx; dx-dx-sx-dx-dx-sx-dx-dx-sx, ecc...) quali mezzi"specifici" comunemente usati dai triplisti. È ovvio che il suggerimento è corretto, manon avevamo inserito la variante dei balzicombinati perchè a ben pensare suggerimen-ti analoghi potrebbero venire dalla specificitàdi altre discipline (peso, disco, martello, gia-vellotto, oltre che pallavolo, pallacanestro,calcio, ma anche sci alpino, tennis...) i cui tec-nici potrebbero, per ognuna, “confezionare”molte altre “varianti di balzi misti” o di tipocombinato, attingendo non solo ai balzi oriz-zontali, ma anche a quelli verticali eseguiti informa simultanea, successiva e alternata.

Pliometria “ripetuta” ovvero salti pliometrici eseguiti in successione sulla piattaformadi forza: le ricerche di Skurvydas

Come ricordato, i modelli prestativi di moltediscipline sportive prevedono la ripetizionecontinua di un numero elevato di azioni disalto ed è legittimo chiedersi quale tipo ditraining sia più indicato e adatto a miglio-rare la prestazione. Per questo è necessarioconoscere i fattori che condizionano l’atti-tudine a ripetere salti di intensità massima-le con il minore calo prestativo.Naturalmente è corretto chiedersi se esisteuna qualità specifica che alcuni chiamano“resistenza ai salti”.

Gli effetti indotti da una serie di 100 salti

Nella loro prima ricerca, Skurvydas e colla-boratori (2000) hanno studiato gli effettidell’affaticamento indotto da 100 saltieseguiti in successione. La ricerca prevedeva l’esecuzione di duetipi (A e B) di protocolli:

• 100 salti in Drop Jump (DJ) con piega-mento di 90° al ginocchio effettuati daun’altezza di caduta di 40 cm in ragionedi un salto ogni 20 s (figura 1).

• 5 serie di 20 salti con contromovimento(CMJ) consecutivi con 10 s di pausa trale serie (figura 2).

100 salti

20 s 20 s 20 s 20 s 20 s 20 s

TE

ST

TE

ST

Figura 1 – Protocollo “A”, prima modalità di esecuzione di salti (100 Drop jump) eseguiti in suc-cessione in ragione di un salto ogni 20 secondi.

100 salti

10 s 10 s 10 s 10 s

20 salti 20 salti 20 salti 20 salti 20 salti

TE

ST

TEST

Figura 2 – Protocollo “B”, seconda modalità di esecuzione di salti verticali con contromovimentoeseguiti in ragione di 5 serie da 20 con pausa di recupero di 10 secondi tra le serie.

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La capacità di elevazione, mediante test disalto verticale (Squat Jump e CMJ) e misuredi forza sono state valutate prima e dopo leprove di affaticamento. In entrambe lemodalità di affaticamento (protocolli A e B)si verificano, senza differenze, le stessediminuzioni di performance ed è interes-sante osservare che la questa diminuzionenella capacità di elevazione è pressochéidentica sia per lo Squat jump (SJ) che per ilCounter movement jump (CMJ).Alla fine dei 100 Drop jump, nelle tre sessio-ni di valutazione effettuate (2 min, 20 min e24 ore) si registra una diminuzione dellacapacità di salto mentre nel test di saltoeffettuato a distanza di ventiquattro oredalle cinque serie di 20 CMJ appare un recu-pero della capacità di elevazione. Si deduceche il Drop Jump (salto verticale senza e conridottissimo piegamento al ginocchio), per-lomeno nelle modalità esecutive descrittenel protocollo A, provoca danni muscolarisuperiori alle serie di CMJ (salti verticali conpiegamento di 90° al ginocchio) (figure 3, 4).Per entrambe le modalità di salto verticale,le misure di forza massimale del quadricipi-te (figura 5) si verificano delle diminuzionisignificative. Tuttavia nel test effettuatodopo 20 minuti, nel caso del Drop Jump, sinota un abbassamento più marcato e anchequesto confermerebbe la natura più trau-matica di questa modalità di salto.Le due diverse modalità di salto valutate(100 Drop Jump in sequenza intervallata da20 s di recupero e 5 serie di 20 CMJ ciascu-na, separate da 10 s di recupero) generanoil medesimo calo di performance sullacapacità di elevazione. Anche dopo 24 ore il processo di recuperonon appare completo.I salti effettuati senza piegamento al ginoc-chio (Drop Jump) mostrano un effettomuscolarmente più traumatizzante rispettoalla concatenazione di salti con contromovi-mento e piegamento di 90° al ginocchio.L’affaticamento appare identico sia per isalti senza (Squat Jump) che per quelli concontromovimento (CMJ).La capacità di forza massima del quadricipi-te diminuisce in modo consistente perentrambe le modalità di salto che tuttaviarisulta più marcata per il Drop Jump, edanche a distanza di 24 ore dalla prova diaffaticamento, non è ancora ritornata allivello di partenza.Questi studi consentono di trarre delle con-siderazioni applicative e di riflettere adesempio su come favorire il recupero dopouna partita che ha comportato numerosisalti e certo la pallavolo, in ragione del suomodello prestativo, potrebbe essere la disci-plina più interessata. È importante ragionareanche in base agli studi precedenti: in unapartita di pallavolo il palleggiatore realizzacirca 130 salti in 5 set, mentre gli altri ne

eseguono circa 100 (Fontani e coll. 2000). Inaltre ricerche che hanno analizzato le parti-te della World League (2003) si è constatatauna frequenza di salti al minuto compresatra 0,72 e 1,28 che significa un salto ogni85 s e un salto ogni 47 s. Rispetto al protocollo dei 100 salti si puòquindi rilevare che:

• il modello prestativo della pallavolo èquello che sembra più “vicino” alle moda-lità di questa ricerca;

• il recupero tra i salti effettuati, rispettoalla ricerca, risulta però da due a quattrovolte maggiore;

• l’altezza, il contromovimento e il grado dipiegamento dei salti sono però inferioriai Drop Jump con caduta di 40 cm e fles-sione di 90° al ginocchio. L’intensità delleazioni di salto è dunque inferiore.

Il recupero in questo caso sarà più facile sesi possono utilizzare anche i riferimentidella ricerca come indicazioni interessantiper gestire le ore del dopo partita.

40

35

30

25

20

15

10prima 2 min 20 min 24 ore

Squat jump

cm

Tempo

100 drop

5x20 CMJ

Figura 3 – Evoluzione della performance neltest SJ per le due concatenazioni di salto verti-cale. In tutte le prove, effettuate dopo affatica-mento, si registrano delle diminuzioni cheappaiono significative, tranne che per le serie di5x20 CMJ; a distanza di 24 ore si verifica unrecupero della capacità di elevazione.

40

35

30

25

20

15

10prima 2 min 20 min 24 ore

CMJ

cm

Tempo

100 drop

5x20 CMJ

Figura 4 – Evoluzione della performance neltest CMJ per le due concatenazioni di saltoverticale. Anche in questo caso, in tutte leprove effettuate, dopo affaticamento si regi-strano delle diminuzioni che appaiono signifi-cative tranne che per le serie di 5x20 CMJ; adistanza di 24 ore si verifica un recupero dellacapacità di elevazione.

prima 2 min 20 min 24 ore

%

Tempo

100 drop

5x20 CMJ

110

100

90

80

70

60

50

40

77,4

51,8

86,380,5

85,291,8

Figura 5 – Andamento della forza massimaledel muscolo quadricipite prima dell’affatica-mento pliometrico e nelle tre prove successive.La diminuzione appare significativa per le dueconcatenazioni di salti; dopo 24 ore appareancora significativa, ma si osserva un inizio direcupero. In effetti rispetto alle valutazionieffettuate 2 min dopo l’affaticamento, l’au-mento di forza risulta significativo. Tuttavia,nel caso del Drop Jump, alla valutazione effet-tuata dopo 20 min il calo di forza appare piùmarcato e ciò conferma che questo tipo disalto comporta effetti muscolari di tipo piùtraumatizzante.

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Qualità necessarie per esprimere una buona resistenza ai salti

Per migliorare la capacità di recupero nellesituazioni nelle quali si debbono effettuarein ripetizione molti salti è prassi consolidatafare riferimento al lavoro di endurance.Tuttavia molti studi dimostrano che in que-sto tipo di prestazione non sono le caratteri-ste metaboliche o energetiche a prevalere. In

una successiva ricerca del 2002, Skurvydas ecollaboratori hanno fatto eseguire 100 salticonsecutivi in ragione di un salto ogni 20 s.I salti erano effettuati su una piattaforma diforza e in modalità Drop Jump: 40 centime-tri di altezza, impegno massimale comenella ricerca precedente. I test sono statiproposti prima, subito dopo, e 20 min dopo isalti come è illustrato nella figura 6. I soggetti che hanno preso parte allo stu-dio era divisi in tre categorie tipizzate: non

allenati, sprinter con performance com-presa tra 10s5 e 11s00 secondi sui 100metri, mezzofondisti capaci di correre i5000 metri in tempi compresi tra 14 min e14 min30.I test d’ingresso mostrano le differenzeprestative dei tre gruppi (figura 7) e comeera lecito attendersi si nota che gli sprinterpossiedono dei valori di salto significativa-mente superiori agli altri. Viceversa i mez-zofondisti, tranne che per il Drop Jump,

nei salti in modalità SJ e CMJ non sidistinguono dai soggetti non allenati. Irisultati più interessanti però sono quelliriferiti al recupero. Nella modalità CMJ(figura 8) si nota che gli sprinter “perdono”nettamente meno rispetto ai soggetti deglialtri due gruppi, mentre i mezzofondistihanno valori sovrapponibili a quelli deisoggetti non allenati.Per quanto concerne le performances nelDrop Jump, come appare alla figura 9, ilgruppo degli sprinter esprime un calo pre-stativo ancora meno accentuato e anchein questo caso il decorso prestativo delgruppo dei mezzofondisti risulta moltocontiguo a quello dei soggetti non allenati.

Considerazioni conclusive sulle esecuzioni di salti eseguiti consecutivamente

Le qualità di endurance non sembranointervenire per modificare il recupero negliesercizi dove prevale la dominante neuro-muscolare. In questo tipo di prestazionisembrerebbe che proprio i soggetti che pos-siedono migliori caratteristiche di tipo neu-romuscolare presentino migliori attitudininel recupero e i fattori di tipo energeticonon pare che possano svolgere un ruolofondamentale nel caso di salti ripetuti. Ilconcetto di “resistenza ai salti”, così come siritrova negli sport di squadra, non avrebbedunque un fondamento fisiologico. Permigliorare l’attitudine degli atleti a concate-nare dei salti di esecuzione qualitativa ènecessario “lavorare” sul miglioramentodella capacità di elevazione del singolo salto.In altre parole, più gli atleti miglioreranno lacapacità di elevazione e più saranno ingrado di eseguire salti in successione senzaperdita di performance (figura 11).

50 salti

20 minuti

TE

ST

TE

ST

TE

ST

TE

ST

50 salti

20 s 20 s 20 s 20 s 20 s 20 s

60

50

40

30

20

10

0

35,0 37

,4

48,7

32,3

32,7

42,3

34,1 37

,9

48,1

CMJ SJ Drop 90°

non allenati mezzofondisti velocisti

CMJ105

100

95

90

85

80prima 50 salti 100 salti 20 min

non allenatimezzofondistivelocisti

92,992,0

92,7

88,1 88,0

84,9

Figura 8 – Andamento delle performance nelsalto CMJ ottenute nei test effettuati dai tregruppi prima, subito dopo 50, subito dopo 100salti e dopo 20 min espresse in % rispetto aivalori di partenza. Come appare evidente,rispetto agli altri due gruppi, il gruppo deglisprinter perde nettamente meno durante ildecorso dei test, mentre i risultati ottenuti daimezzofondisti sono assai vicini a quelli dei sog-getti non allenati (Skurvydas e coll. 2002).

105

100

95

90

85

80prima 50 salti 100 salti 20 min

non allenatimezzofondistivelocisti

Drop jump 90°

100

89,2

94,692,7

93,9

88,2

85,1

Figura 9 – Andamento delle performances otte-nute dai tre gruppi nella prova di Drop Jumpeffettuato con piegamento al ginocchio (90°). Irisultati sono espressi in % rispetto al risultatodel primo test e, anche in questo caso, il gruppodegli sprinter, rispetto agli altri due, diminuiscein modo marcatamente inferiore la prestazionein tutto il decorso delle prove. Anche in questocaso i valori espressi dai mezzofondisti risulta-no molto vicini a quelli dei soggetti non allenati.

Figura 6 – Schema del protocollo utilizzato nella seconda ricerca condotta da Skurvydas : test effettuati prima dei salti, dopo i primi cinquanta, 2 e 20min dopo la prova (Skurvydas e coll. 2002).

Figura 7 – Prestazioni ottenute nei test iniziali dai tre gruppi nelle tre modalità di salto verticale:salto con contromovimento, Squat Jump e Drop Jump con flessione di 90° al ginocchio (Skurvydas ecoll. 2002).

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Considerazioni applicative sui salti ripetuti

Per migliorare la capacità di elevazione nelcaso di salti consecutivi è quindi necessa-rio intervenire sul sistema neuromuscola-re. Ma in che modo?

1. Ottimizzando la tecnica del salto.2. Agendo sui fattori neuromuscolari.3. Potenziando il sistema muscolare.4. Lavorando con esercizi pliometrici in

condizioni di affaticamento.

L’esecuzione tecnica del salto

La tecnica specificaSembra banale affermare che una buonatecnica esecutiva consente di migliorare l’ef-ficacia del salto soprattutto nel caso di saltiripetuti in serie: migliore è la tecnica specifi-ca (schiacciata, muro, tiro...) e più il giocato-re sarà capace di concatenare impulsi distacco senza che le capacità neuromuscola-re ne risentano. È questo un aspetto del training che agiscesull’ottimizzazione del gesto tecnico e com-pete agli allenatori attraverso la gestione delcosiddetti “fondamentali individuali”. Questoaspetto riguarda prevalentemente i giovaniatleti in quanto per i soggetti che apparten-gono ad un livello di qualificazione più ele-vata il problema tecnico dovrebbe essererisolto.

La tecnica dei salti di tipo pliometricoIn questo caso si fa riferimento alle regoledel lavoro pliometrico o a carattere pliome-trico che secondo Piron si possono ricon-durre ai tre punti sintetizzati alla figura 12.In altre parole si tratta di fornire al giocatoreuna buona padronanza e capacità di staccoin riferimento alle tre condizioni descritte.

Neuromuscolari Energetici

Fattori della fatica su sforzi prolungati

Muscolari Nervosi

SarcomeriTitina

Desmina, nebulina

Riflesso di stiramentoReclutamento

FrequenzaSincronizzazione

Figura 10 – Come viene riepilogato dallo schema, non sembra possibile spiegare il calo di efficaciaconseguente al soppraggiungere della fatica attraverso i soli fattori energetici; anche gli aspettineuromusculari svolgono un ruolo fondamentale.

Salti ripetuti Massima capacitàdi elevazione

Figura 11 – Strategia per migliorare la resistenza ai salti: migliorare la capacità di elevazione delsingolo salto. Per gli sport di squadra, il concetto classico di “resistenza ai salti” non sembrerebbecorretto in questo caso.

Pliometria

Posizionamento

Spostamento sull’appoggio

Tensioni muscolari

– +

Figura 12 – Le tre regole degli esercizi pliometriciproposti da Piron: posizionamento, spostamentosull’appoggio, tensioni muscolari prodotte.

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La padronanza del “piazzamento”Un buon impulso di stacco richiede un cor-retto allineamento dei vari segmenti delcorpo e ciò si ottiene utilizzando esercizisemplici che hanno lo scopo di fare acquisi-re agli atleti la posizione di “piazzamento” o“posizionamento” nella quale la solidità deltronco e la sua postura verticale giocano unruolo decisivo (figura 13).

La padronanza del movimento di spostamento sull’appoggioIn quasi tutte le discipline sportive è impor-tante variare molto gli esercizi in manierada proporre differenti situazioni di sposta-mento del corpo sull’appoggio alternandopiccole e grandi escursioni come viene sin-teticamente illustrato alla figura 14.

La padronanza delle tensioni muscolariPer sfruttare lo stimolo rappresentatodalle differenti tensioni muscolari si pos-sono alternare ai balzi esercizi che richie-dono solo una parte dell’azione pliometri-ca (figura 15), per esempio la fase concen-trica o quella eccentrica.

Miglioramento dei fattori neuromuscolari

Sono possibili due modalità esecutive(figura 16) per fare intervenire i cosiddettifattori di tipo neuromuscolare:

• uso di sovraccarichi elevati• esercizi dinamici o di tipo esplosivo

Con i sovraccarichi elevati si cerca il miglio-ramento:

• del numero di ponti actomiosinici;• del reclutamento delle unità motorie;• della sincronizzazione delle unità motorie.

Attraverso gli esercizi dinamici si agisce su:

• la diminuzione del tempo per reclutarele fibre;

• l’aumento della frequenza degli impulsiinviati alle fibre;

• l’aumento di frequenza di reclutamentoall’inizio del movimento.

Il miglioramento di questi fattori perfezio-na l’efficienza dell’atleta durante l’esecu-zione dei balzi e di conseguenza riduce idisagi muscolari dovuti all’esecuzione disalti ripetuti.

Miglioramento del potenzialemuscolare

Come è stato ricordato la fatica agiscesulla struttura muscolare e più precisa-mente l’affaticamento interviene su alcu-ni elementi del sarcomero, come la titinae la desmina. Si può dunque tentare di potenziare questecomponenti muscolari attraverso un allena-mento mirato e il lavoro eccentrico costi-tuisce un mezzo adatto per agire selettiva-mente su queste strutture. Si possono effettuare dei periodi di allena-mento eccentrico che certamente compor-tano una sorta di destabilizzazione presta-tiva, ma che poi renderanno gli atleti piùresistenti all’affaticamento muscolare.Si spera così di contrastare l’affaticamen-to e spostare più avanti la soglia dellafatica.

A questo scopo si propongono due formedi lavoro:

• lo squat con il bilanciere guidato• esercizi più analitici

Lo squat con bilanciere guidatoQuesto tipo di attrezzatura consente dieffettuare un lavoro eccentrico effettuatoin condizioni di sicurezza, ma certamente èriservato ad atleti che possiedono una suf-ficiente esperienza nel training per il poten-ziamento muscolare con sovraccarichi. Questo esercizio sollecita principalmente imuscoli antigravitazionali evocando ten-sioni muscolari vicine a quelle che si veri-ficano durante le fasi di appoggio dellacorsa (figura 17).

Figura 15 – Esercizi che illustrano un esempiodi variazione della tensione muscolare prodot-ta: l’esercizio a sinistra è caratterizzato daun’azione pliometrica mentre quello di destraillustra un movimento di tipo concentrico.

P 1 P2

Figura 13 – Esercizi di variazione di posiziona-mento o piazzamento: con uso di cerchi emodesto piegamento al ginocchio (piazzamentocon allineamento verticale, ad angoli di piega-mento poco accentuati) e con balzi simultaneie piegamento molto accentuato al ginocchio(piazzamento ad angoli chiusi).

Figura 14 – Illustrazione di differenti sposta-menti sull’appoggio: gli esercizi di skip tra iconi rappresentano ridotte escursioni del baci-no sull’appoggio mentre i balzi orizzontali ese-guiti con la funicella richiedono spostamentipiù marcati.

Sovraccarichielevati

Esercizidinamici

Accelerazioni

Balzi

Concentrici Pliometrici

Figura 16 – Schema sinottico degli interventiadatti al miglioramento dei fattori di tipo neu-romuscolare.

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Esercizi analiticiSono esercizi che consentono un azionemuscolare più localizzata sul quadricipite eil tricipite surale (figura 18). Per entrambi gliesercizi il principio è semplice: con un caricotra il 60 e il 90% (riferito a un arto) si realiz-za l’estensione (fase concentrica ovverolavoro positivo) con entrambi gli arti (esecu-zione facile) mentre si “frena” durante ilmovimento di flessione eseguito con unsolo arto (lavoro eccentrico o meglio lavoronegativo).

Pliometria in condizioni di affaticamento

Nella fase finale di molte gare (mezzofondo,maratona, triathlon...) le condizioni del siste-ma neuromuscolare determinano un calo diefficienza e diventa opportuno “allontanare”questo momento e migliorare l’efficacia del-l’impulso anche quando interviene l’affati-camento. In questo caso si richiede all’atletautilizzare l’esercizio pliometrico dopo avereprovocato un afffaticamento muscolare.

A questo scopo proponiamo tre soluzioni:

• l’esercizio frazionato di forza• le concatenazioni corsa-balzi• il cosiddetto lavoro “intermittente-forza”

L’esercizio “frazionato di forza”Per aumentare la sollecitazione pliometri-ca si possono utilizzare esercizi vari dibalzi nella distanza da percorrere.

Questo “percorso” fornirà impulsi e tensio-ni muscolari più intense.

I percorsi di balziIl percorso più semplice consiste nell’esegui-re la distanza (100, 200, 400 m...) con lacorsa balzata. In seguito si possono utilizzaredifferenti modalità di rimbalzo (verticale odorizzontale) come illustrato alla figura 19,per una durata pari al tempo che si sarebbeimpiegato a percorre la distanza scelta. Peresempio se si fossero scelte delle ripetute sui200 metri, la durata del percorso di rimbalzidovrebbe aggirarsi sui 30 secondi.Per distanze che fossero superiori al minutosarebbe necessario alternare i balzi allacorsa. In seguito potrebbero essere introdot-ti nel percorso anche esercizi con sovracca-richi (figura 20).

La concatenazione corsa-balzi Come già detto potrebbe essere preferibilealternare nel percorso la corsa con diversemodalità di balzo, sia per evitare che l’eserci-zio diventi troppo impegnativo e anche perconservare impulsi di tipo specifico. Restanoda adattare alla durata le concatenazioniscelte, modulando le distanze da percorretra corsa e balzi (20, 30...100 metri) e ladistanza con il numero (e quindi la “qualità”)dei balzi verticali (6, 10...20 balzi). La sequen-za della figura 21 potrebbe essere adatta adun quattrocento-ottocentometrista.

La concatenazione “post-affaticamento”Una particolare variante del percorsocorsa-balzi potrebbe essere adatta permigliorare lo sprint nel finale di gara.Infatti alcuni corridori soffrono più di altriil finale di gara anche per effetto di parti-colari condizioni ritmiche e tattiche. Le

proposte di solito giocano sulle variantidel tempo di lavoro rispetto a quello disforzo (ad esempio un quattrocentometri-sta potrebbe utilizzare distanze di 500metri), ma questi tipi di soluzione potreb-

Discesa con sovraccaricoelevato

Alleggerimento Salita con sovraccarico leggero

Appesantimento

Figura 17 – Il lavoro di tipo eccentrico eseguito col il bilanciere guidato.

Figura 18 – Esercizio eccentrico eseguito conmovimenti analitici per i muscoli estensori delginocchio e della caviglia; estensione in azio-ne bipodalica, flessione in condizioni monopo-daliche.

6 salti 20 skip 30 metri 6 salti 20 skip 30 metri 6 salti

Figura 20 – “Esercizio frazionato di forza” con uso balzi e di sovraccarichi.

Figura 21 – Esempio di “concatenazione corsa-forza”.

400 m da 6 a 10 da 6 a 10

Figura 22 – Concatenazione post-affaticamen-to per un ottocentometrista.

Figura 19 – Esempio di “percorso” di esercizio “frazionato di forza”.

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sovraccarichi e balzi) nella sequenza 10-20(significa 10 secondi di lavoro ad intensitàmedio-elevata alternati a 10 secondi adintensità blanda).

Figura 24 – Esempio di lavoro intermittente10-20, variante “intermittente-forza”, da ripe-tere per sequenze della durata di 6-8 minuti.

10 s 10 s 10 s

20 s 20 s 20 s

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2222bero risultare poco efficaci se, come si èdetto, la causa dell’affaticamento fosseprincipalmente di tipo neuromuscolare.Pertanto le soluzioni cosiddette tradizio-nali potrebbero essere affiancate da solu-zioni di tipo più qualitativo, come adesempio delle frazioni corsa che utilizzinoalla fine dei balzi ed anche esercizi consovraccarichi (figura 22).Naturalmente le proposte illustrate allefigure 22 e 23 presentano proposte adattead atleti evoluti e comunque da utilizzarecon molta prudenza.

Il lavoro “intermittente-forzaUn particolare mezzo di allenamento dellapotenza aerobica è certamente il lavorointermittente. Ma in questo caso si potrebbeutilizzare anziché “l’intermittente-corsa” lavariante “intermittente-forza”. Si trattaquindi di introdurre esercizi di forza (con

Conclusione

Le procedure per migliorare la capacità diresistenza ai salti sono quelle che passano dalmiglioramento della capacità di elevazione.

• Per gli sport di squadra sembra inutilericorrere a soluzioni di training che impli-cano i meccanismi della fatica.

• Mentre nelle discipline che hanno unanatura più ciclica e prevedono una gran-de quantità di impulsi (mezzofondo,fondo...) potrebbe risultare utile proporredei balzi da realizzare in condizioni diaffaticamento.

Indirizzo degli Autori: G. Cometti, UFR STAPS Digi-one, BP 27877, 21078, Digione Cedex (Francia); G.Alberti, Istituto di Esercizio fisico, salute e attivitàsportiva, Facoltà di Scienze motorie, Università degliStudi di Milano, Via Kramer 4/A, 20129, Milano).

8 al 60% 10 ostacoli 30 metri 8 al 60% 10 ostacoli 30 metri 100 metri100 metri

Figura 23 – Esempio di combinazione sovraccarichi-balzi-corsa.

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Bibliografia

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Attilio SacripantiFacoltà di medicina, Corso di laurea in scienze motorie, Università di Roma 2 “Tor Vergata”; Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente (ENEA)

Parte seconda: fondamentiscientifici e metodologici della Match-Analysis

La Match Analysis

SCIENZA DELL’ALLENAMENTO

Gli sport di situazione sono sempre più al centro dell’interesse del pubblico. La teoriadell’allenamento di questi sport è una materia d’elevata complessità andando dall’allenamento fisico allo studio delle strategie locali e globali. Attualmente latecnologia, grazie alla Match Analysis è in grado di fornire un utile supporto allavoro dell’allenatore. Si trattano quindi i fondamenti scientifici e metodologici,nonché le implicazioni tecnologiche proprie della Match Analysis di questisport. La trattazione è sviluppata in dueparti metodologicamente connesse. Laprima è stata una descrizione generaledelle tecnologie adoperate dai sistemipiù avanzati, che sono essenzialmente legate all’identificazione del moto degli atleti ed al rilevamento della loro interazione con gli avversari oltre che dei fondamenti scientificiposti alla base, sia del moto, sia dell’interazione di tali atleti. Laseconda cercherà di evidenziare l’utilizzo della Match Analysis legato alla teoria dell’allenamento,suddivisa per comodità in tre livelli, il primo – allenante - teso al condizionamento fisiologico dell’atleta, il secondo livello –addestrante - teso al migliora-mento biomeccanico della tecnicaed allo studio degli invarianti di competizione, il terzo - addestrante avanzato - teso allo studio delle strategie locali ed infine di quelle globali.

FOTO CALZETTI & MARIUCCI EDITORI

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Introduzione

Nella prima parte di questo lavoro, direttoa trattare i fondamenti scientifici dellaMatch Analysis sono state descritte le tec-nologie adoperate dai sistemi più avanzatilegate all’identificazione del moto degliatleti e dirette a rilevare la loro interazionecon gli avversari e i fondamenti scientificiche si trovano alla base sia del moto, siadell’interazione di tali atleti. Una voltaindividuati, sia il moto, sia l’interazionedegli sport di situazione di contatto, si èfinalmente in grado di rispondere allaquestione di quali siano i fini ultimi dellaMatch Analysis, che sono essenzialmente:

1. di rilevare per via automatica informa-zioni dirette o indirette sull’impegnofisiologico degli atleti in competizione,in modo da utilizzare tali dati per la fasedi condizionamento fisiologico.(Allenamento di Primo Livello)

2. Di ottenere informazioni automatichesulla biomeccanica della tecnica specifi-ca del singolo atleta, e dati basati sustatistiche e frequenze che permettonodi individuare nell’ambito dell’incontrouna serie di situazioni dette “invariantidi competizione” che devono essereripetute in fase di allenamento adde-strante per far acquisire agli atleti lacapacità di governare facilmente questesituazioni che si ripetono con determi-nata frequenza in ogni incontro.(Allenamento di Secondo Livello)

3. di ricavare dal tracciamento automaticodelle traiettorie, informazioni sulle fasitransitorie ricorrenti dette “Strategie disituazione locale” (di attacco – contrat-tacco – difesa – mantenimento del van-taggio – recupero dello svantaggio,ecc.) e dati complessi sul moto globaledella squadra in rapporto alla squadraavversaria detti “Strategie globali” deri-vanti dai moduli di gioco adottati. (Allenamento di Terzo Livello)

Dopo avere esposto nella prima parte le pro-blematiche riguardanti l’Allenamento diprimo livello, in questa seconda parte, conti-nuando nella riflessione sui fondamentiscientifici e metodologici della Match Analy-sis tratteremo con maggior approfondimen-to dell’Allenamento di secondo e di terzolivello indicando tra l’altro alcune dellemetodiche automatiche più utilizzate nell’e-laborazione dei risultati da parte di softwareavanzati.

L’Allenamento di Secondo Livello

La Match Analysis, oltre ai dati che abbiamoesposto parlando dell’Allenamento di primolivello, permette anche di ottenere informa-

zioni automatiche sulla biomeccanica dellatecnica specifica del singolo atleta, e datibasati su statistiche e frequenze che comedetto permettono di individuare, nell’ambi-to dell’incontro una serie di situazioni dette“invarianti di competizione” che devonoessere ripetute in fase di allenamento adde-strante in modo tale che gli atleti acquisi-scano la capacità di governare facilmentequeste situazioni che si ripetono con deter-minata frequenza in ogni incontro.Con lo studio della tecnica al rallentatore sipuò facilmente ottenere una conoscenzasullo stato di preparazione tecnica degliatleti e pertanto provvedere al suo miglio-ramento, questo per gli sport duali è prati-ca comune. Ne sono un esempio noto lefigura 1 e 2 che riguardano lo studio delservizio di un professionista del tennis equelle delle traiettorie ottimali dei colpi.

Tecnologie avanzate oggi permettono anchedi ricostruire automaticamente in realtà vir-tuale la tecnica dell’atleta direttamente dalframe video digitale. Questa tecnica permet-te in tal modo di sviluppare approfonditeanalisi tridimensionali sulla tecnica cattura-ta bidimensionalmente (figura 3).

6163

3436

30

22

24

7

7 6

7

4

4

7

27

36

18

67

68

103

10494

56

55

66

65

47

Figura 1 – Studio biomeccanico del servizio. Figura 2 – Studio delle traiettorie ottimali deicolpi in un incontro di tennis.

Camera 1 Camera 2

Ricostruzione

Figura 3 – Ricostruzione in 3D di uno schermi-dore attraverso due telecamere.

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Differenti sono le problematiche per glisport di squadra. In tal caso infatti lo stu-dio della tecnica singola viene effettuato dalsoftware e mostrato al rallentatore.L’allenatore visiona il gesto tecnico e poitrae le sue valutazioni dando le sue indica-zioni di merito.Ove necessario è possibile anche effettua-re specifiche ricerche sul gesto tecnico damigliorare. Nella figura 4 è mostrato unesempio di studi ormai classici sul tiro.Altri studi più sofisticati possono esseresviluppati con i moderni modelli agli ele-menti finiti o con altre tecnologie di avan-guardia (figura 5).Ovviamente il miglioramento della tecnicadetta strategica per il singolo può passaread esempio attraverso una serie di fasididattiche classiche: ripetizione statica delgesto, ripetizione dinamica in movimentodiritto parallelo, ripetizione dinamica conmoto vario, ripetizione dinamica a “cercare”il compagno (schemi semplici di gioco),strutturazione semplice di strategie di grup-po attraverso partite ridotte.Il miglioramento della tecnica di squadra edella coordinazione del gruppo, attraversoi passaggi è una delle fasi di preparazionedella squadra più delicate ed importanti.La Match Analysis permette, off line, inallenamento di valutare l’apprendimentodelle strategie di gruppo da parte dellasquadra, anche attraverso partite ridotte

che permettono una più facile esecuzioneed una più facile applicazione delle diret-tive di gruppo.Il miglioramento invece della tecnica perso-nale (tiro dinamico) passa, ovviamente,attraverso una ripetizione del gesto di basein condizioni di complessità crescente: rigoricon portiere che avanza, rigori con due por-tieri, punizioni di prima con barriera più vici-na, punizioni con barriera che avanza, cornercon avversario ravvicinato, studio dell’effet-to Magnus secondo varie condizioni di tiro.Il miglioramento della tecnica dinamica delsingolo è la fase di rifinitura della squadra.La Match Analysis permette off line in alle-namento di valutare le capacità dinamichedei singoli e di specializzarle maggiormentea seconda dei ruoli ricoperti nella squadra.Un secondo step fondamentale nell’Allena-mento di Secondo Livello è l’individuazionedei così detti invarianti di gara.Gli Invarianti di gara o di competizione sonoquelle situazioni particolari che si ripetonocon frequenza fissa nelle varie competizionidei vari sport e che quindi risultano materiautile di allenamento strategico negli sport disituazione.Con la Match Analysis è possibile quindiselezionare facilmente queste situazionidette Invarianti di gara che dovranno poiessere ripetute in fase di allenamento adde-strante per far acquisire agli atleti la capacitàdi governarle facilmente.

Mostriamo qui di seguito una serie esem-plificativa di invarianti di competizione pervari sport di situazione (figure 6, 7, 8, 9, 10).

28

21

14

7

0

-7

Fase 1 Fase 2 Fase 3 Fase 4

0,048 0,096 0,144 0,192 0,240Vel

ocità

ang

olar

e (r

ad/s

)

Gomitodestro

Ginocchiodell’arto calciante

Angolo dell’arto calciante

Figura 4 – Valutazione biomeccanica del tiro.

Figura 5 – Studi delle pressioni relative sul piede e sul pallone (cod. FLUENT).

Da fermi o a velocità molto bassa

Da bassa ad alta velocità di spostamento

Figura 6 – Esempi di invarianti di competizionein uno sport duale con contatto (judo): posizio-ni di guardia.

Figura 7 – Esempio di invarianti di competizio-ne in uno sport duale senza contatto (tennis): ilservizio.

Figura 8 – Esempio di invarianti di competizionein uno sport di squadra con contatto (hockey suprato: tiro corto).

Time: 14:46:48Date: 06.15.99ContourMode Dcalar 1Color Index

0.120E + 060.108E + 060.875E + 050.667E + 050.458E + 050.250E + 050.417E + 04

-0.167E + 05-0.375E + 05-0.585E + 05-0.792E + 05-0.180E + 05

Min = -5.264676E+05Max = 1.264676E+05Min ID = 50309Max ID = 50034Fringe–1:PressureScalar(non lavered)Frame = 4Load Case Index = 4.1Max. Deformation = 7.175115E-02

0.120E + 060.108E + 060.875E + 050.667E + 050.458E + 050.250E + 050.417E + 04

-0.167E + 05-0.375E + 05-0.585E + 05-0.792E + 05-0.180E + 05

Min = -5.264676E+05Max = 1.264676E+05Min ID = 50309Max ID = 50034Fringe–1:PressureScalar(non lavered)Frame = 4Load Case Index = 4.1Max. Deformation = 7.175115E-02

V

Z X

V

Z X

Time: 14:46:48Date: 06.15.99ContourMode Dcalar 1Color Index

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Allenamento di terzo livello

L’allenamento di terzo livello è mirato all’in-segnamento delle strategie complesse chepossono associarsi a tutti gli sport di situa-zione, sia duali che di squadra.Si tratta di quella fase della preparazione(la più complessa) che attiene allo studiodelle strategie.Poiché la strategia è lo scopo ultimo dell’in-segnamento del terzo livello, appare neces-sario definirla in modo univoco in modo dasapere cosa insegnare.Per trovare una sua classica definizione, cipotremo rifare al noto testo del cinese SunZu, L’arte della Guerra, ma cosa meno notaè che questo argomento è stato affrontatoanche in maniera rigorosamente scientificanell’altrettanto noto testo Theory of Gamesand Economic Behavior di Von Neumann,Morgenstern (1944; 2004) e proprio daquest’ultimo noi trarremo la definizione diriferimento che adatteremo al nostro argo-mento.Dunque, secondo Von Neumann, la strate-gia può definirsi: “Un piano che specificaquali scelte il giocatore deve effettuare,per ogni possibile informazione aggiornatache può possedere, in un determinatoistante dell’incontro, in conformità con ipattern d’informazione che il regolamentodella partita prevede in quel caso”.Forti di questa definizione di tipo scientifi-co, che ci chiarisce alcune finalità di nostrointeresse, passiamo a quella che consideria-mo una definizione accettabile, definendoal contempo il concetto di Tattica, visto chespesso i due termini vengono usati erro-neamente come sinonimi l’uno dell’altro.Pertanto definiremo Strategia il piano e/ol’unione flessibile di più piani basati sullacoordinazione degli sforzi, armonizzati con imovimenti relativi, che hanno lo scopo disuperare gli avversari ed ottenere la vittoria.Mentre la Tattica è la capacità del correttoutilizzo della fase transitoria.

Sulla base di queste due definizioni, appa-re subito chiara la fondamentale differen-za fra le due azioni. Un azione strategicapuò essere preparata in precedenza, quindipotremo dire che si basa sull’analisi razio-nale della situazione, mentre la capacitàtattica si basa essenzialmente sull’intuizio-ne del momento e, quindi, è praticamenteimpossibile prepararla a priori.Affrontiamo ora quello che è l’argomentoprincipe dell’Allenamento di Terzo Livello, laStrategia. Anche in questa fase la MatchAnalysis fornisce importati supporti off-line,che permettono di studiare e preparare lestrategie a due livelli di difficoltà, le strate-gie locali, ovvero lo studio di situazioni chesi verificano in una parte delimitata delcampo e non interessano tutti i componentidella squadra, per esempio strategie diattacco – contrattacco – difesa - manteni-mento del vantaggio – recupero dello svan-taggio, ecc. E le strategie dette globali basa-te sullo studio dei moduli di gioco a tuttocampo. Questa fase è di stretta pertinenzasolo degli sport di squadra. Per gli sport duali di combattimento, l’alle-natore dovrà individuare quelle che ven-gono definite strategie standard di cui diseguito indichiamo alcuni esempi:

Figura 9 – Esempio di invarianti di competizio-ne in uno sport di squadra senza contatto (pal-lavolo): muro.

Figura 10 – Esempio di invarianti di competi-zione in sport di squadra con contatto (calcio,rugby): calcio d’angolo, touche, mischia.

A Studio di opportune concatenazioni di tecni-che per superare le resistenze avversarie.

B In condizioni di parità, studio di un’opportu-na strategia basata sui cambi di velocità.

C In vantaggio, studio di una strategia di atte-sa, non intesa come passività.

D In svantaggio, studio di un’opportuna strate-gia d’iniziativa tecnica.

E Studio del cambiamento di posizione diguardia.

F Studio della variazione del ritmo di gara infunzione del tempo di competizione.

G Studio di condizioni competitive con distan-ze relative diverse.

H Studio di un opportuno uso delle penalità.I Studio di opportune tecniche per passare in

lotta a terra.J Studio della lotta a terra per fiaccare la resi-

stenza dell’avversario.

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Esempi di tali strategie sono mostrati nellafigura 11 per due situazioni di competi-zione in sport duali, differenti.Le strategie locali possono essere studiateattraverso la Match Analysis, utilizzando idata base che questi sistemi permettonodi costruire individuando così i puntisalienti della situazione e facendoli ripete-re agli atleti in fasi di allenamento strate-gico opportunamente mirate.Nella figura 12 sono mostrati alcuni esempidi strategie locali proposte in forma di sche-mi strategici locali, basate con dati ottenutidalla Match Analysis.Può essere importante notare che lametodica d’analisi proposta all’allenatore,per valutare l’andamento della propriasquadra può divenire, anche per le strate-gie locali, una fonte preziosa d’informa-zioni se vengono analizzati i comporta-menti, non della propria squadra, ma diquella avversaria, in modo da poter prepa-rare opportune varianti strategiche chepossano sfruttare eventuali manchevolez-ze degli avversari.

Le strategie globali come si è già accenna-to sono di pertinenza stretta solo deglisport di squadra.Per tali strategie ovviamente la complessitàdel discorso si va ampliando, in quanto pre-vedono per definizione l’analisi dell’interocampo, con lo studio del contributo dellamaggior parte dei giocatori della squadra.Con l’esame degli incontri effettuati, otte-nuti con la Match Analysis, l’allenatorepotrà individuare le particolarità dellestrategie globali (moduli di gioco), ricor-dando che nei giochi di squadra, il moduloè periodico nel tempo, dopo un puntosegnato. Cioè la situazione in campo ritor-na allo schieramento iniziale dopo ognipunto segnato: ciò ci permette di classifi-care il modulo come una situazione ciclicacon periodo non uguale nel tempo.Argomenti che possono attenere a strategieglobali sono: lo studio dello schieramentod’inizio gara (modulo di gioco) e suoi aspettipregnanti, ovvero: controllo del centro, esua influenza sulla partita; iniziativa e pos-sesso di palla; vantaggio di spazio e capa-

cità d’ attacco; principi del contrattacco;strategie difensive complesse come il fuorigioco indotto; modulo di gioco sua flessibi-lità, sua capacità di variare; mobilitazionedelle forze; attacchi precoci; operazionilaterali, ecc.Nella figura 13 sono mostrati alcuni esempidi studio di strategie globali tratte dal giocodel calcio.Sorge a tal punto la domanda, su che basei sistemi software possano fornire infor-mazioni come le precedenti . Visto che le telecamere catturano pratica-mente tutte le immagini senza selezionarle,questa capacità è di fatto basata sull’analisidelle immagini mediante i Modelli Marko-viani Nascosti (Hidden Markov Models,HMM), opportunamente associati a ModelliGerarchici Markoviani Nascosti (HierarchicalHidden Markov Models, HHMM) (vediAppendice).Tali modelli sono stati utilizzati, ad esempio,nelle ricerche effettuate sul tracciamentodel genoma umano e vengono spesso utiliz-zati nelle analisi economiche avanzate.

Figura 11 – Applicazione di strategie di combattimento: concatenazioni tecniche: a) Judo; b) Karate.

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Figura 12 – Strategie locali, rispettivamenteper la pallacanestro, l’hockey su ghiaccio.

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Pertanto i sistemi software sono capaci,off-line, analizzando le immagini contenu-te nei data base di riferimento di forniredati relativi alle strategie globali.L’esempio mostrato nella figura 14 eviden-zia un risultato ottenuto in tale campocome, l’individuazione di una strategia difuori gioco a tutto campo effettuata dallasquadra in esame.Pertanto con i sistemi messi a disposizionedalle attuali tecnologie è di fatto possibilepreparare più facilmente strategie di giocobasate sull’analisi del moto a tutto campo.Per poter sviluppare una strategia però, sideve usare una base informativa fondatasu analisi e valutazione del livello di abilitàstrategica e di skill dei propri atleti e diquello degli avversari, connessa con unaanticipazione preventiva della possibileinterazione fra le due squadre.In tal modo, con l‘uso di sequenze video econ le informative contenute nei database,è possibile che l’allenatore costruisca unastrategia efficace di gioco, associando lostudio dei trend evidenziati, analizzando lefrequenze di accadimento di determinateazioni, in unione alle qualità di perfor-mance dei singoli atleti.

Nella figura 15 è mostrata la base di unacorretta impostazione strategica e l’area dimaggior impegno dell’allenatore.

Si spera di aver reso facile la comprensionedella potenza operativa di questi sistemi edil prezioso aiuto che essi possono fornireall’allenatore, permettendogli di fatto digestire (a posteriori) informazioni che nor-malmente andrebbero perdute o sottovalu-tate. La preziosità di questo supporto divie-ne ancor più evidente se si pensa che isistemi avanzati di Match Analysis, basatisugli stessi principi tecnologici, sono ingrado di fornire preziose informazioni stra-tegiche non solo off line, ma anche in realtime nel corso cioè dello sviluppo stessodella competizione.Al termine della nostra carrellata informati-va sui fondamenti scientifici e gli aspettimetodologici della Match Analysis, ricor-diamo però che lo sviluppo di strategie è unfatto interpretativo piuttosto che algorit-mico automatico – ovvero la Match-Analysis non deve essere vista come unpossibile sostituto dell’allenatore, ma solocome uno strumento molto potente e fles-sibile di supporto ad esso. Infatti essa nonpuò e non potrà mai sostituire l‘allenatore,ma potrà aiutarlo invece, a sviluppare il suolavoro più rapidamente e con maggior pre-cisione professionale.

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Area di intervento allenatore

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Competizioni precedenti(proprie e degli avversari)

Analisidelle competizioni

precedenti

Messa a puntodi una strategia

Miglioramentodella strategia

Figura 15 – Fondamenti costitutivi di una stra-tegia.

La ricerca Valutazione del costo energetico deglisport di combattimento in remote sensing, citatain bibliografia, fu una lunga (89-94) e complessaricerca interdisciplinare condotta dall’Enea, Coni edall’allora Filpj, coordinata rispettivamente dal Dr.A. Marino (Enea), dal Prof A. Sacripanti (Enea-Filpj), dal Prof. A. Dal Monte (Coni) e vide la parte-cipazione costante dei seguenti ricercatori: A.Sacripanti (Enea-Filpj), M. Faina, G. Guidi, A. DalMonte (Coni), M. Fabbri, G. Galifi, P. Lupoli, R.Maso, A. Pasculli, L. Rossi (Enea).

L’Autore: Attilio Sacripanti, Maestro Cintura nera5 Dan, Arbitro internazionale B di Judo, è lau-reato in fisica nucleare, dirigente di ricerca ENEAe professore di biomeccanica dello sport pressola Facoltà di medicina, Corso di laurea in scienzemotorie, Università di Roma 2 “Tor Vergata”.

L’articolo è l’elaborazione in vista della pubblica-zione della relazione tenuta dall’Autore al 2°Seminario di Formazione continua per Tecnicisportivi di Alto livello dal titolo: "La MatchAnalysis" organizzato dalla Scuola dello Sport delConi, che si è svolto il 20 maggio 2006, presso ilCentro di Preparazione Olimpica Acquacetosa"Giulio Onesti" di Roma.

Figura 13 – Esemplificazione dei moduli di gioco delle nazionali di calcio: rispettivamente Italia, Francia, Brasile.

Figura 14 – Individuazione di una trappola di fuorigioco sviluppata in campo (da Laube et al. 2005).

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Il problema del tracking e della scelta delleimmagini da usare per particolari sequenze distudio, può apparire semplice ad una primasuperficiale valutazione ma, se consideriamo chei moderni computer sono molto veloci ma, “stu-pidi” come i loro predecessori, allora ci rendiamoconto che avere una serie di immagini digitalizza-te, l’una diversa dall’altra e dover scegliere auto-maticamente il gruppo di immagini legate ad unastrategia o la creazione di una traiettoria chedescriva il movimento dell’atleta può essere vera-mente un problema di ardua soluzione.I software che corredano i sistemi di MatchAnalysis sono basati su alcuni algoritmi sofisti-cati di cui daremo un accenno.Le strategie e i tracking vengono individuati daisoftware di Match Analysis automaticamentemediante i Modelli Markoviani GerarchiciNascosti.Prima di accennare al contenuto matematicodel problema, nella figura 1 viene fornita unavisualizzazione esplicativa dell’azione di unModello Markoviano Gerarchico Nascosto,(Hierarchical Hidden Markov Model, HHMM).

Esso infatti seleziona la scena necessaria, secon-do alcuni criteri che saranno esemplificati inseguito, dalla distribuzione delle scene che lavideo-ripresa ha ottenuto, in modo da ottenerel’individuazione automatica dei pattern di movi-mento (figura 1).L’ipotesi di base è quella che ritiene che lasequenza di immagini sia Markoviana, pertantolo scopo è quello di trovare una sequenza didecisioni, in cui ogni decisione (es. dove diri-gersi) dipende solo dalla decisione precedentee non da tutte le altre (Catena Markoviana).L’output di questi sistemi è un osservabile fisico(una direzione precisa). Se invece l’output è unafunzione probabilistica dello stato (cioè probabilitàmaggiore di dirigersi verso un punto piuttosto cheverso un altro) allora il modello viene dettoMarkoviano Nascosto perché si applica ad unprocesso stocastico (casuale) che di fatto non èosservabile (nascosto) e può essere solo osserva-to attraverso un altro insieme di processi stocasti-ci che producono una sequenza di osservabili.I Modelli Markoviani Gerarchici Nascosti(HHMM) sono dunque sequenze di stati, detti

nascosti, connessi mediante la probabilità ditransizione che determina lo stato successivo adogni tempo. Gli osservabili (es. la direzione presa)sono funzioni probabilistiche dello stato ad undeterminato tempo. Questi osservabili sono ordi-nati secondo sistemi gerarchici opportuni, cheassociano un’”importanza” maggiore a certescelte piuttosto che ad altre.Questi modelli possono individuare anche com-portamenti non stazionari e sono utilizzati nellasoluzione di una vasta gamma di problemi com-plessi: riconoscimento del linguaggio, ricognizioniottiche, bioinformatica (modellazione di sequenzeproteiche), video analisi (tracking del moto), pia-nificazione di un robot (navigazione), in economiae finanza, ed infine nella sequenza del GenomaUmano.Nella figure successive vengono mostrate unazonazione del campo con l’identificazione auto-matica della direzione del moto mediante ModelliMarkoviani Nascosti (figura 2) e l’individuazioneautomatica della traiettoria di una palla in unincontro di tennis, con l’utilizzo degli stessi algorit-mi (figura 3).

Tracciamento delle traiettorie mediante i Modelli Markoviani Nascosti ed i Modelli Markoviani Gerarchici Nascosti

Figura 1 – Visione esemplificativa dell’azionedi un HHMM Modello Markoviano GerarchicoNascosto: scelta di un frame dalla sequenzagenerale.

Figura 2 – Zonazione del campo ed identifica-zione della direzione del moto (da Bertini et al,2003).

Figura 3 – Rilevamento automatico delletraiettorie in un incontro di tennis con l’indivi-duazione dei momenti chiave (da Yan et al.2005).

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Capacità di ripetere gli sprint e sua valutazioneLa validità del test di capacità di ripetere gli sprint (Repeated Sprint Ability) nel calcio

Franco M. Impellizzeri, Human Performance Lab, Centro Ricerche per lo SportMAPEI, Castellanza, Varese; Ermanno Rampinini, Corso di Laurea in Scienzemotorie, Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Tor Vergata, Roma; Carlo Castagna, Facoltà di Scienze motorie, Università degli Studi di Verona,Duccio Ferrari Bravo, Human Performance Lab, Centro Ricerche per lo SportMAPEI, Castellanza, Varese, David Bishop, Facoltà di Scienze motorie, Università degli Studi di Verona, Team Sport Research Group, School of HumanMovement and Exercise Science, University of Western Australia, Australia

La capacità di ripetere gli sprint (definita RSA) è una caratteristica fisicaimportante per il calciatore e per gli atleti di sport di squadra. Per questomotivo sono stati sviluppati diversi test di misura di questa componentefisica, ma solo pochi sono stati scientificamente validati. Come regolagenerale, i test di RSA non devono riflettere l’andamento medio di unapartita (errore concettuale che a volte viene fatto) ma devono cercare di riprodurre semplicemente le fasi a più alta intensità di una partita (validità logica e di contenuto). Per questo motivo il test di RSA proposto da Capanna negli anni ’90, e oggi molto diffuso in Italia risulta appropriato per misurare l’RSA nel calcio. Un recente studio ha dimostratola validità di costrutto di questo test, avendo trovato una relazione tratempo medio nel test Capanna a navetta e distanza percorsa ad alta intensità e/o sprintando in partita. La ripetibilità di questo test, se eseguito correttamente, risulta inferiore al 2%. Se si interpretano i dati in modoappropriato prendendo in considerazione i coefficienti di ripetibilità, le informazioni che si ottengono da questo test possono essere molto utiliper il preparatore nel controllo degli effetti allenanti sui calciatori.

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Introduzione

A livello internazionale, la capacità di ripe-tere sprint (repeated sprint ability, RSA) e/oattività ad alta intensità è comunementeritenuta una componente della perfor-mance fisica molto importante negli sportdi squadra (Bangsbø 1994 b; Reilly 1997;Balsom 1999; Reilly 2003; Glaister 2005;Spencer et al. 2005). Per questo motivo inletteratura sono stati proposti diversi testper misurare l’effetto dell’allenamentosull’RSA dell’atleta (Bangsbø, Lindquist1992; Bangsbø 1994a; Wragg et al. 2000;Psotta et al. 2005). Lo sviluppo di un test èun processo che richiede necessariamentel’applicazione del metodo scientifico perverificarne l’effettiva validità. Pochi studi,tuttavia, si sono occupati della validità deitest di RSA nel calcio (Wragg et al. 2000;Psotta et al. 2005; Rampinini et al. 2006).

Validità logica dei test di RSA

Il concetto di validità, riferito ad un test chesi propone di misurare una capacità fisiolo-gica o prestativa, è più complesso di quelloche si pensi comunemente e per questo ènecessario fornire diversi tipi di evidenzescientifiche. Per poter definire un test valido,occorre innanzitutto che esso misuri quelloche si propone di misurare. Nella prima fasedi sviluppo dei test di RSA ci si basa solita-mente sulla validità logica. La validità logica(face validity) si ha quando un test misurain modo ovvio ciò che si suppone debbamisurare, ovvero quando coinvolge laperformance stessa oggetto di misura. Perl’RSA ne consegue che il test deve esserecostituito da sprint ripetuti nel tempo conun rapporto sprint/recupero che sia validoper il calcio. Già su questo punto, tuttavia, si possonocommettere errori dovuti, ad esempio, aduna errata interpretazione dei dati riportatiin diversi studi scientifici sulla frequenza edurata degli sprint misurati attraverso isistemi di Video Match Analysis. In uno stu-dio per verificare la validità di un test di RSAproposto da Jens Bangsbø, i ricercatori delChelsea School Research Center dell’Univer-sità di Brighton (Wragg et al. 2000) spiega-no chiaramente come non sia corretto uti-lizzare per la validità logica i valori medi didurata o distanza e frequenza degli sprint. Ènoto, infatti, che il calcio è caratterizzato dasprint della durata media di 1,7-4,4 s conrecupero di 1 o 2 min per 90 minuti(Withers et al. 1982; Bangsbø et al. 1991;Bangsbø, 1994b; Reilly 1997; Drust et al.1998; Mohr et al. 2003; Reilly 2003;Krustrup et al. 2005; Reilly 2005; Di Salvo etal. 2006). Tuttavia, i valori medi non rifletto-no la variabilità individuale (coefficienti divariazione > 70%) e nemmeno le fasi fisica-

mente più impegnative di una partita.Wragg et al. (Wragg et al. 2000) sottolinea-no che le fasi più intense riportate in lette-ratura coinvolgono undici periodi consecu-tivi di corsa ad alta velocità con un rapportosforzo/recupero di 1:3,1 per una duratatotale di 178,2 s. Per questo motivo test diRSA con rapporti e durata totale simili pos-sono essere considerati appropriati permisurare quelle fasi ad alta intensità chesono critiche durante la partita. Del resto,come ricordano Spencer et al. (Spencer et al.2005), se le attività di sprint negli sport disquadra fossero realmente di 1-2 s ogni 1-2min, sarebbe improbabile un peggioramentodella performance fisica, quindi, la capacitàdi ripetere gli sprint non sarebbe una com-ponente importante della prestazione fisicanegli sport di squadra. Wragg et al. (Wragget al. 2000) e Spencer et al. (Spencer et al.2005) suggeriscono che durante una partitasono proprio queste fasi ad alta intensità ecaratterizzate da sprint ripetuti che potreb-bero essere importanti per la performance.Di conseguenza, è importante ricordarsi chei test di RSA non devono replicare l’anda-mento medio di una partita, bensì le fasi amaggior intensità che ci sono durante unincontro.

Validità di costrutto del test navetta di Capanna

In Italia, alla fine degli anni ’80, RiccardoCapanna ha sviluppato e proposto un testper la misura dell’RSA successivamenteapplicato e reso noto nel mondo del calcioda Roberto Sassi. Questo test, denominatotest Capanna a navetta, o semplicemente“test a navetta”, è costituito da 6 sprint di20+20 m con cambio di direzione e 20 s direcupero tra le prove. Nonostante la diffu-sione che ha avuto in questi anni il test diRSA di Capanna, nessuno studio ne ha maiverificato la validità. Dal punto di vistadella validità logica il test navetta è carat-terizzato da rapporti di circa 1/2,5 e duratedi circa 145 s, quindi simili al rapportosforzo/recupero e durata totale riportati inletteratura per le fasi a più alta intensitàriscontrabili in una partita. Il test, inoltre,contiene i cambi di direzione, così comesuggerito da Wragg et al. (Wragg et al.2000), che ne aumenta la specificità. Tuttavia, la validità logica è un buon puntodi partenza, ma deve essere consideratasolamente quale condizione necessaria enon sufficiente per giustificare il significa-to e quindi l’adozione di un test. Infatti, lavalidità logica non è verificabile in modooggettivo attraverso metodi statistici, masolo giudicabile attraverso ragionamentiscientifici che possono essere più o menoforti a secondo del background culturale escientifico di chi effettua l’interpretazione.

Un’evidenza più forte può essere fornitadalla validità di costrutto. Con questointento abbiamo recentemente condottouno studio per verificare se il test navettamisuri effettivamente l’abilità di svolgeresforzi ad alta intensità durante la partita(Rampinini et al. 2007) che, in ultima anali-si, è il metodo più forte per validare untest. Un’eventuale mancanza di correlazio-ne tra il test navetta e le fasi ad alta inten-sità di corsa compiute dal giocatore duran-te la partita avrebbe indicato, infatti, che lequalità misurate con il test navetta nonsono coinvolte durante una reale partita equesto avrebbe reso il test navetta unamisura di RSA potenzialmente non rilevan-te per la performance fisica del calcio.Lo studio si è svolto nel quadro di unaricerca diretta ad esaminare la validità dicostrutto di alcuni test da campo comeindicatori della performance fisica relativaalla gara, riguardanti la fitness aerobica,l’altezza di salto verticale e la RSA nelgioco del calcio. Alla ricerca hanno parte-cipato diciotto giocatori professionisti dicalcio (età: 26,2±4 anni; massa corporea:80,8±7,8 kg; altezza: 1,81±3,7 cm) (tredifensori centrali, cinque terzini, sette cen-trocampisti e tre attaccanti). Tutti giocava-no nella stessa prima squadra di una dellepiù importanti Federazioni europee, piaz-zatasi nelle prime quattro della classificafinale del proprio Campionato nazionale eclassificatasi per i quarti di finale nellaUEFA European Champions League nelperiodo della ricerca. Quattordici di questiatleti erano inclusi nella squadra nazionaledel loro Paese (sei nazioni) e cinque di loroerano tra i migliori al mondo. Ogni partitaè stata monitorizzata attraverso un siste-ma di Match Analysis video-computeriz-zato, semiautomatico di riconoscimentodell’immagine (ProZone®), che usa seitelecamere, tre per ogni lato del campo,che forniscono un’osservazione simulta-nea di tutti i ventidue atleti impegnati nelgioco. Il sistema di Match Analysis, oltrealla distanza totale percorsa, fornisce datirelativi a queste categorie locomotorie:standing (da 0 a 0,7 km/h); walking (da 0,7a 7,2 km/h); jogging (da 7,2 a 14,4 km/h);running (da 14,4 a 19,8 km/h); hig speedrunning (da 19,8 a 25, 2 km/h); sprinting(> di 25 km/h). Di queste categorie loco-motorie sono state calcolate e utilizzateper l’analisi, la distanza totale percorsa, lacorsa ad intensità molto elevata (> 19,8km/h) e la distanza corsa sprintando (>25,2 km/h). Inoltre, per valutare la suarelazione con i test da campo, è stata scel-ta la massima velocità raggiunta durantele partite. Per l’analisi statistica sono statiusati i migliori valori di ciascuna dellevariabili osservate durante le due-tre par-tite più vicine ai test (entro tre settimane).

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I test sono stati eseguiti in due occasioniseparate con almeno due giorni di distan-za tra le due sessione di test e durante lesettimane di tapering. I test di salto verti-cale e il test incrementale venivano ese-guiti il primo giorno, il test di RSA nellaseconda sessione.Per verificare la validità di costrutto del testnavetta sono stati utilizzati il metodo dellavalidità convergente e la known-group dif-ference technique. In altre parole, nel primocaso (convergent validity) è stato esaminatala correlazione tra il test RSA e le diversecategorie di performance fisica misuratadurante partite ufficiali con il metodo dellaVideo Match Analysis. Nel secondo caso(known-group difference technique) è stataverificato se i giocatori con i risultati peg-giori nell’RSA risultano essere anche peg-giori nella capacità di svolgere attività adalta intensità durante la partita. I risultatihanno mostrato una correlazione significa-tiva (p<0,05) tra tempo medio impiegato nelcompletare gli sprint del test navetta e: a) ladistanza coperta durante gli sprint (r = 0,65)e b) la distanza coperta a velocità di corsasuperiori a 19,8 km/h (r = 0.60). A confermadi questa analisi i giocatori risultati peggiorinel test navetta sono risultati anche coloroche hanno percorso durante le partite ana-lizzate meno distanza ad alta intensità(–19%) e sprintando (–40%) (figura 1). Perquanto riguarda i dati di decremento neitempi di percorrenza durante i sei sprint edil tempo migliore tra le sei navette non sonostate rilevate correlazioni significative connessun parametro di performance fisica.L’uso della Match Analysis è considerato ilmetodo più forte per validare un test(Boddington et al. 2004). Il protocollo deltest di RSA proposto da Capanna, Sassi èrisultato un valido indicatore della perfor-mance fisica svolta ad alta intensità duran-te la partita. Se si pensa a quanti fattoripossono influire sulle richieste fisichedurante la partita (livello della squadraavversaria, risultato della partita, ecc.) èchiaro come la correlazione significativa trarisultati del test di RSA e corsa ad alta velo-cità sia assolutamente rilevante. Krustrup etal. (Krustrup et al. 2006) in un articolo pub-blicato recentemente sottolineano come, adoggi, solo lo Yo-yo IR1 di Bangsbø e il testdi RSA validato dal Centro Ricerche per loSport MAPEI (il test di Capanna) siano statidimostrati essere correlati ad attività inpartita.

Ripetibilità del test navetta

Per esser valido un test deve anche essereripetibile. Il valore di ripetibilità è ancheindispensabile per poter capire se i cambia-menti individuali misurati siano stati indottidall’allenamento o siano semplicemente

dovuti alla variabilità della misura stessa (i.e.errore). In un altro studio sul test navetta(ultimato grazie alla preziosa collaborazionedel prof. Tibaudi), abbiamo mostrato cometra i tre parametri calcolati dal test (indice difatica, tempo migliore e tempo medio) soloil tempo medio e il tempo migliore abbianocoefficienti di ripetibilità sufficienti perpoter discriminare cambiamenti dell’ordinedel 2%. Per l’indice di fatica (decrementopercentuale) i cambiamenti per essere signi-ficativi devono essere superiori al 30%.Simili risultati sono stati riportati recente-mente per un altro test di RSA (McGawley,Bishop 2006).

Consigli pratici per l’effettuazionedel test di RSA

Nello studio di validazione così come inaltri appena conclusi (verifica della validitàdiscriminante, sensibilità ai cambiamentiindotti dall’allenamento e utilità comemezzo di allenamento oltre che di valuta-zione) l’effettuazione del test è stato leg-

germente modificata rispetto alla versioneoriginale, in modo da aumentarne la ripe-tibilità. La partenza avviene con il piedeposteriore all’interno di una pedana adinfrarosso ed il piede anteriore e il bustosulla linea dei 20 m. Il calciatore sprintafino ad un cono con l’obbligo di toccarloper non invalidare ed interrompere il test.Toccato il cono cambia direzione e sprintafino alla fotocellula posta alla fine deltratto di ritorno (figura 2). Questo accorgi-mento in partenza diminuisce la variabilitàdata dalle partenze con fotocellule dovutoa movimenti delle braccia e del busto. Inmodo analogo a quanto fatto da Bishopnei suoi numerosi studi sull’RSA, vienefatto eseguire prima di ogni test a navetta,

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Velocità > 19,8 km/h Velocità > 25,2 km/h

Dis

tanz

a (m

etri)

MiglioriPeggiori

Figura – Distanza in metri percorsi durantepartite ufficiali da giocatori con risultati neltest RSA a navetta inferiori (Migliori, n = 9) osuperiori (Peggiori, n = 9) al valore medianodella squadra. I giocatori appartengono ad unasquadra europea di prima divisione. Le velocitàdi corsa superiori a 19,8 km/h sono categoriz-zate come attività ad altissima intensità, men-tre quelle superiori a 25,2 km/h sono conside-rate attività di sprint.

Pedanainfrarosso

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20 m

20 m

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Figura 2 – Rappresentazione schematica delposizionamento della pedana di partenza edella fotocellula per l’esecuzione del test diRSA di Capanna.

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una prova massimale. Questa prova costi-tuisce il riferimento per il test di RSA veroe proprio. Se la prima prova è superiore al2,5% del tempo della navetta di riferi-mento, il test viene interrotto e ripetutodopo adeguato recupero.

Errori tipici nell’interpretazionedei risultati dei test

I risultati dello studio presentati nel prece-dente paragrafo ci mostrano una correla-zione tra RSA e attività ad alta intensitàdurante la partita. Ciò che spesso si dimen-tica è che la correlazione non implica unrapporto di causa effetto. Il rapporto dicausalità si dimostra con altri tipi di designsperimentali. Questo è un concetto di basemolto importante perché l’errore più tipicorisiede nel ragionare su come migliorare iltest e non la qualità che misura, aspettan-dosi oltretutto di ottenere automaticamen-te un miglioramento della prestazione a cuiil test è correlato. Il ragionamento andrebberibaltato: occorre adottare delle strategieper migliorare la capacità di effettuare atti-vità ad alta intensità durante la partita e siverifica l’effetto dell’allenamento con il test,tenendo sempre in considerazione che nonnecessariamente un cambiamento nel testrifletterà un cambiamento in partita datoche i fattori che influiscono sulle attivitàsvolte in partita sono molteplici. Per fare ciòsi devono capire quali siano le determinantifisiologiche dell’abilità di ripetere gli sprintprima di ipotizzare come allenarle. È anchenecessario tenere in considerazione che, inogni caso, solo la conferma sperimentalepuò dirci con un’accettabile sicurezza che lastrategia di allenamento è stata efficace equeste evidenze sperimentali vengono soli-tamente pubblicate sulle riviste scientificheinternazionali quale maggior garanzia diqualità delle stesse.

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Bibliografia

RingraziamentiGli autori ringraziano Aaron Coutts, Matt Spencere Riccardo Capanna per i loro suggerimenti. Unringraziamento particolare va a Roberto Sassi,Agostino Tibaudi e Maurizio Fanchini per il sup-porto fornito nello sviluppo degli studi di validitàdel test di RSA.

Indirizzo dell’autore: Franco M. Impellizzeri, HumanPerformance Lab, SS MAPEI srl, Via Don Minzoni34, 21035 Castellanza (Varese).

e-mail: [email protected]

NotaLe figure relative alle correlazioni non possonoessere mostrate perché coperte da copyrightdall’International Journal of Sports Medicine.

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Il cambiamento dei paradigmi nella teoria dell’allenamento sportivoCambiamento di paradigmi e discussione sullo stato attuale della teoria e metodologia dell’allenamento. Parte prima: gli aspetti teorici

La discussione dei risultati degli studi e delle ricerche sulla teoria e metodologia dell'allenamento sportivospesso si sviluppa sulla base di presupposti sottointesi e consolidatisenza considerarne l’evoluzione. Sinega così la validità di punti di vistadiversi attraverso i quali possono essereanalizzati. Viene fatto perciò un tentativo di esporre le problematicheche, nell'attuale discussione scientifica

sulla teoria e metodologia dell'allenamento sportivo, sono allabase delle incomprensioni e delle contraddizioni più evidenti e ricorrenti.Nella prima parte, dedicata agli aspettiteorici, si trattano: lo stato attualedella teoria e metodologia dell’allenamento; le differenze tra la concezione della Periodizzazione equella della Programmazione dell'allenamento sportivo; la fisiologia

dell'adattamento come base dell'approccio biologico alla teoria emetodologia dell’allenamento sportivo;le due diverse visioni del processo"lavoro-recupero" nella teoria dell'allenamento sportivo. Nella seconda si tratteranno aspetti praticiche riguardano la costruzione delmicrociclo; il sistema dell’allenamentoa blocchi; l’effetto ritardato d’allenamento e la supercompensazione.

Yury Verkhoshansky, Natalia Verkhoshanskaya

TEORIA DELL’ALLENAMENTO

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Introduzione

Nel numero 62-63 (2004) di questa rivista è stato pubblicato un arti-colo: “Supercompensazione: mito o realtà?”, nel quale gli Autori espri-mevano il loro disaccordo per scarsa importanza che i tedeschiFriedrich, Möller (1999) attribuivano ad un fenomeno biologico uni-versale come la supercompensazione. Il successivo articolo diPlatonov (2005) pur facendo riferimento a questo articolo e a questoargomento, in realtà affrontava problematiche diverse, relative aidisaccordi tra gli scienziati dell’ex Unione Sovietica nel campo dellateoria dell’allenamento sportivo, argomento già trattato in questarivista in più di un’occasione.Attualmente, in un contesto temporale e sociale così diverso l’arti-colo di Platonov sembra essere un eco delle cannonate delle batta-glie teoriche sovietiche del passato, dove i “cannoni” erano rivoltinon tanto contro le idee, quanto contro le persone che le esprime-vano. A questo articolo, però, va attribuito il merito di aver solleci-tato riflessioni sulle cause più profonde dell’impossibilità di discu-tere, in modo costruttivo e non aprioristico, sulle problematiche esulle diverse visioni nel campo della teoria e metodologia dell’alle-namento sportivo (TMAS). Lo spunto per cercare di capire e spiegare questa “incomunicabilità”e “inconciliabilità” fra visioni diverse ci è venuto da due articoli:“L’evidence based coaching” di A. La Torre, R. Codella, G. P. Alberti, E.Arcelli, (2004) e “La scienza della motricità è di fronte a una crisi?” diR. Daugs (1994), che hanno il merito di ricordare che la discussionescientifica e lo sviluppo della scienza devono essere sempre collocatinel quadro della relatività e dell’evoluzione dei paradigmi che liregolano. In altri termini, anche per la TMAS, i presupposti scientificiche ne sono alla base, quasi sempre, sono sottointesi, dati per asso-dati e consolidati, mentre in realtà anch’essi sono oggetto di svilup-po ed evoluzione. Questo articolo vuole evidenziare come spesso la discussione suirisultati degli studi e delle ricerche effettuate si sviluppi sulla base diquesti “presupposti sottointesi e consolidati” senza prendere in con-siderazione la loro evoluzione, con la conseguenza di negare la vali-dità dei diversi punti di vista attraverso i quali può essere realizzatala loro analisi, ed è un tentativo di sviluppare una analisi delle pro-blematiche che, nell’attuale discussione sulla TMAS, sono alla basedelle incomprensioni e delle contraddizioni più evidenti e ricorrenti.La prima parte dell’articolo è dedicata ad aspetti teorici:

• lo stato attuale della TMAS;• le differenze tra la concezione della Periodizzazione e quella

della Programmazione dell’allenamento sportivo;• la fisiologia dell’adattamento come base dell’approccio biologico

alla TMAS;• le due diverse visioni del processo “lavoro-recupero” nella TMAS.

La seconda parte riguarderà gli aspetti pratici:

• la costruzione del microciclo nel quale si alternano unità di alle-namento con carichi diversi per volume e finalità;

• ll sistema dell’allenamento a blocchi;• l’effetto ritardato (residuo) d’allenamento ed il fenomeno della

Supercompensazione.

Che cosa è una teoria, il suo “modus vivendi” e lo stato attuale della TMAS

Come è noto dalla filosofia della scienza, la teoria è la forma supe-riore e più evoluta dell’organizzazione della conoscenza scientifica,che fornisce una idea completa delle leggi e delle relazioni principaliin un determinato campo della realtà che ne rappresenta l’oggetto.Nella sua composizione, una teoria rappresenta un sistema differen-ziato al suo interno, ma integrale di conoscenze, caratterizzato dall’interdipendenza logica dei suoi elementi: idee generali, ipotesi, con-cetti e principi che riguardano un determinato campo della cono-scenza. In altre parole, una teoria matura si presenta non solo comeuna somma di conoscenze interconnesse tra loro, ma contiene undeterminato meccanismo di organizzazione della conoscenza. Talemeccanismo ha un contenuto teorico internamente esposto e rap-presenta un determinato programma di ricerca. Tutto ciò assicura ilcarattere integrativo e non contraddittorio della teoria come sistemaunitario della conoscenza. Nella scienza, il funzionamento reale e losviluppo di una teoria si realizzano nell’unità organica con la ricercaempirica. Una teoria si presenta come conoscenza vera della realtàsolo quando trova la sua interpretazione empirica che agevola la rea-lizzazione della sua verifica sperimentale e l’individuazione delle suecapacità di spiegare e di prevedere la realtà.Per analizzare i punti essenziali della Teoria dell’allenamento sportivo,prima si deve valutare il suo stato attuale dal punto di vista di questecaratteristiche. Bisogna esaminare i lavori fondamentali su questa

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teoria e rispondere alla domanda se rispondano a questi criteri o,come scrivono La Torre ed altri (2004) non siano: “un enormecostrutto terminologico…e sovente si assiste nelle aule universitarie,nei momenti formativi e/o di aggiornamento dei tecnici, a frustrantidiatribe sulla legittimità nominalistica di alcuni concetti accademici”. Si debbono esaminare le grandi compilazioni dei dati più recentidella ricerca nel campo della metodologia dell’allenamento, siste-matizzati coerentemente con i postulati teorici di questi lavorifondamentali e chiederci se possano essere definiti “teoria”. In altritermini, bisogna rispondere alla domanda: la Teoria dell’allena-mento sportivo è già stata creata?Nonostante esistano vari testi nel cui titolo figura la dizione “teo-ria dell’allenamento” e un testo recente si intitoli “Teoria generaledella preparazione degli atleti nello sport olimpico”, Tschiene(2001) ha affermato che: “una teoria compiuta e coerente dell’al-lenamento non esiste. Attualmente, siamo di fronte solo a fram-menti di una teoria…”. Se esiste qualcuno che esprime questa opi-nione significa che quella che viene attualmente definita “teoriadell’allenamento sportivo” ha bisogno di un ulteriore sviluppo e,quindi, deve essere pronto ad affrontare gli inevitabili conflitti.Bernshtein scriveva (1966) che: “Una teoria decrepita, superato ilperiodo della sua fioritura, può distruggersi e diventare inutile nelmomento in cui si trova in contraddizione inconciliabile con ilflusso della corrente dei nuovi fatti e delle nuove relazioni verifi-cati sperimentalmente. Talvolta l’accumulo graduale di alcuni dati,che non rientrano nella vecchia teoria, talvolta un solo fatto isola-to, o un fenomeno che la colpisce direttamente al cuore, sonocausa della necessità della sua inevitabile sostituzione.”Ma come fare, se durante questo processo si manifestano: “le primeavvisaglie di non-scientificità” rappresentate: “dall’assenza di specifi-cazioni delle condizioni in cui si è disposti ad abbandonare, o almenoa modificare le proprie teorie, i reiterati tentativi a salvarle dalla con-futazione mediante stratagemmi ad hoc“ (La Torre ed altri 2004)?Daugs (1994) analizzando la storia dello sviluppo delle diverse teorie,sulle basi della concezione epistemologica di Kuhn1, afferma chequesti fenomeni rappresentano i precursori inevitabili e quasi normalidel processo del cosiddetto “cambio dei paradigmi” (Daugs 1994).“Il processo di sviluppo della scienza non è lineare: secondo Kuhn(1962, 1970) e Abernethy, Sparrow (1992) l’analisi dello sviluppostorico della scienza dimostra che esiste una successione infinitadi periodi nei quali dominano idee concettuali specifiche, che si

alternano con crisi che distruggono questi paradigmi”. Tali principio “paradigmi”, formano le basi di quella che Kuhn chiama “scienzanormale”, la scienza che si può basare su un ampio consenso della“società scientifica” per quanto riguarda problemi, metodi e teoriedi un determinato campo della ricerca. ”Questa scienza si basa siasu una concezione generale (ad esempio il paradigma dei processidi elaborazione dell’informazione) sia sull’impostazione sperimen-tale (ad esempio, il paradigma del tempo di reazione). I dati empi-rici anomali (che per Kuhn prendono il nome di “anomalie” ovveroeventi che vanno contro il paradigma, ndR), dopo che sono statiaccumulati dalla cosiddetta “scienza normale” portano rapidamen-te a interpretazioni contrastanti spingendo il paradigma dominan-te agli estremi. All’inizio i sostenitori della “scienza normale” igno-rano tale sviluppo. Solo dopo qualche tempo i dati anomali vengo-no riconosciuti e si intraprendono tentativi di spiegarli dal puntodi vista della teoria dominante. Poco dopo, tali ‘modificazioniaggiustative’ diventano sempre più necessarie. Queste teoriemodificate si gonfiano di ammissioni e compromessi interni, sem-pre più numerosi, perdendo così la loro chiarezza originaria ediventando contemporaneamente sempre più contestabili…Questaevoluzione è un segno della grave crisi del paradigma dominante.Il numero dei suoi oppositori cresce rapidamente, ma gli attacchisono ancora isolati e vengono prevalentemente da giovani ricerca-tori che non hanno un ruolo importante nella società scientifica.La crisi ‘totale’ del paradigma diventa evidente quando ai critici siuniscono scienziati autorevoli che mostrano un interesse crescen-te verso le contraddizioni verificate. Di conseguenza, ciò provocauna resistenza tenace della ‘scienza normale’ verso i cambiamenti;specialmente da parte degli scienziati che sono cresciuti con ilparadigma dominante, hanno contribuito notevolmente al suo svi-luppo, collegato con il loro successo scientifico personale.”“Ciò spiega, perché il cambiamento del paradigma di solito duraabbastanza a lungo. La storia dimostra che la ‘scienza normale’ ‘vive’da trenta a trentasei anni, un periodo che equivale, più o meno, alperiodo dell’attività di ricerca di uno scienziato… Il nuovo paradigmasi affermare solo quando gli eminenti apologeti della ‘scienza nor-male’ lasciano le loro poltrone. Planck ha notato (1949), che: ‘...ilcambiamento dei paradigmi non si ottiene sulla base di una persua-sione razionale…e che la nuova verità scientifica si afferma nonattraverso il convincimento dei suoi oppositori che li costringe a‘vedere la nuova luce’, ma è il risultato del fatto che prima o poi

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questi muoiono e cresce una nuova generazione che la conosce’. Lacrisi della ‘scienza normale’ non solo dura abbastanza a lungo, marappresenta anche una parte del processo dello sviluppo di unaprofonda insoddisfazione. Ciò avviene perché i suoi oppositori, comeanche i suoi sostenitori, polemizzano in un modo che non favoriscela soluzione del problema e la ricerca di un base comune, necessariaa risolverlo, ma tentano sempre di dimostrare la diversità delle loroopinioni, utilizzando obiettivi, esempi, metodi e sostegni scientificiche confermano le loro idee. Entrambi ignorano i fatti ed i datioggettivi, ciò porta alla crescita dell’incomprensione e all’impossibi-lità di cooperazione. Per imporsi, il nuovo paradigma deve dimostra-re di essere capace e disponibile ad affrontare alcuni problemi fon-damentali del suo campo scientifico, di essere in grado di risolvere lecontraddizioni dovute alla crisi e contemporaneamente utilizzare ilmassimo numero possibile dei dati sperimentali, accumulati durantela realizzazione del paradigma precedente. In molti casi, però, la crisidei paradigmi è predeterminata da polemiche metateoriche (filosofi-che e concettuali) che determinano di nuovo i problemi centrali e gliargomenti della ricerca, proponendo con ciò una nuova terminolo-gia e metodologia che a loro volta rendono più complesso il proces-so della discussione.”2.La TMAS è ancora molto giovane, ma ha già superato l’età della crisidella “scienza normale” indicata da Daugs. È nata oltre mezzo secolofa, sviluppandosi più intensamente nell’ex-Urss e nella Rdt, comeparte della teoria dell’educazione fisica, basandosi interamente suprincipi pedagogici. Questa teoria si è sviluppata parallelamente aquella dello sport. La maturazione della crisi del paradigma “pedago-gico” è iniziata quando il livello dei risultati sportivi è aumentato atal punto che si sono evidenziate le differenze sostanziali tra allena-mento degli atleti di vertice e dei praticanti dello sport di tempolibero. Nella TMAS, l’approccio pedagogico (dominante nella Teoriadell’educazione fisica) ha cominciato gradualmente a essere sosti-tuito dall’approccio biologico (o meglio, fisiologico).Nella parte di questa teoria che riguarda lo sport di alto livello si ècominciato a trattare il processo di allenamento non tanto dalpunto di vista insegnamento-apprendimento quanto da quello “sti-molo-adattamento”. Il cambiamento di paradigma, però, non c’èstato. Nei termini utilizzati nell’articolo di Daugs la condizioneattuale della TMAS può essere caratterizzata come: “un processocontinuo di sviluppo di una profonda insoddisfazione”. Comemostrano pubblicazioni recenti, per alcuni scienziati, da una parte “ilparadigma dominante” conferma la sua capacità di adeguarsi rapi-damente ai nuovi dati che non corrispondono ad esso, per cui tro-viamo “l’ibridizzazione” di due paradigmi contrastanti, dall’altra “il

paradigma dominante della “scienza normale” è già stato sostituitodal paradigma alternativo “rivoluzionario”. Secondo noi proprio que-ste differenze di posizioni complicano in modo devastante le discus-sioni tra loro. Queste, però, sono indispensabili, perchè aiutano a“chiarire l'ottica”, a focalizzare le contraddizioni di alcuni problemifondamentali e a individuare le “idee concettuali specifiche” che nonrientrano nei paradigmi tradizionali e, probabilmente, rappresentanoil presupposto della crisi che ha portato alla loro distruzione. Non sipossono abbandonare le discussioni teoriche, concentrandosi soloed esclusivamente sui dati di ricerche frammentarie, anche perché,come mostra l’esperienza, il risultato di un singolo esperimento nelcampo dell’allenamento sportivo non è sempre “univoco” e puòessere interpretato diversamente secondo le caratteristiche delgruppo dei soggetti che hanno partecipato nell’esperimento, le con-dizioni specifiche del suo svolgimento e anche in relazione ai pre-supposti teorici alla sua base. Tra l’altro, in una attività creativa for-temente “intuitiva”, come il lavoro di un allenatore, è molto impor-tante, come questi “vede” i processi con i quali ha a che fare. In que-sto senso, come ha detto Alessandro Volta (1745-1827) “Non esistenulla di più pratico di una buona teoria”.

Le differenze tra la concezione della Periodizzazione e la concezione della Programmazione dell’allenamento sportivo

Cominciamo dall'analisi dell’affermazione che, per capire il ruolodelle leggi biologiche nel campo della metodologia dell’allenamen-to sportivo, bisogna comprendere che: “la pelliccia non riscaldal'uomo, ma serve a conservare il calore del suo corpo”. Il ricorso a questa allegoria ha il solo scopo di illustrare che lo stessofenomeno può essere visto da posizioni diverse e che queste posso-no influenzare la sostanza del fenomeno. Qui può essere utilemostrare, ancora una volta, un disegno usato dalla psicologia dellaGestalt, dove è mostrato un caso classico di incommensurabilità tradue immagini alternative, un argomento “khuniano” utilizzato inmaniera calzante nell’articolo di La Torre et a. (2004) (figura 1).

Figura 1 – Il disegno “anatra-coniglio” dalla psicologia della Gestalt.

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Nello stesso disegno si possono vedere contemporaneamenteun’anatra e un coniglio. “Nella figura alcune persone potrebberonon vedere un’anatra. Le persone che non avessero mai visto un’a-natra, ma soltanto conigli potrebbero vedere un’anatra nella figu-ra? Non si verifica alcun mutamento ottico o sensoriale. Eppure sivedono cose diverse. Quello che cambia è solo l’organizzazione diciò che si vede” (La Torre et al. 2004).La diversità “dell’organizzazione di ciò che si vede” può provocarediscussioni costruttive che aiutano a scoprire la verità sull’oggettoche si guarda, ma può anche sollecitare sospetti reciproci sullebuone intenzioni o le capacità mentali dell’oppositore. Tra l’altro,qualcuno può non essere d’accordo con la visione del suo opposito-re, perché il senso completo del proprio “punto di vista” non è sem-pre percepibile. Ciò può provocare i sospetti più inquietanti: “cheriguardano non tanto la sfera delle polemiche scientifiche, quantoaltri ambiti”, come ad esempio: “...l’alterazione dei lavori in linguarussa, prodotti dai migliori specialisti dell’ex-URSS… allo scopo direndere primitivi i loro contenuti per poterli criticare più facilmentee aumentare la propria importanza scientifica” (Platonov, 2005).Al di là di questi sospetti rimane, però solo una cosa innegabile –la diversità dell’”organizzazione di ciò che si vede” e l’incommen-surabilità delle sue interpretazioni.Così, ad esempio, qualcuno vede nel processo dell’allenamento “unacatena di microcicli” e lo concepisce come una formazione additiva,che si esprime nella formula “l’ intero è la somma delle sue parti”.Un altro, invece lo vede come un espressione del fenomeno dell’e-mergency of system, che si esprime nella formula “l’intero è maggio-re della somma delle sue parti” e concepisce l’allenamento come unsistema multigerarchico di stimoli allenanti sull’organismo, che puòessere solo differenziato (nel tempo) in microcicli.Secondo la concezione della Periodizzazione, per elaborare il pianodella preparazione per un atleta, in sostanza, bisogna solo prendereil modello della sua costruzione (di Matveev o di Platonov) e adat-tarlo al calendario delle gare. Il microciclo rappresenta l’elementostrutturale di base di questo modello. Il processo di allenamento viene costruito su un asse temporaleche va dal momento del suo inizio fino alla data della gara, attra-verso microcicli, che come mattoni di dimensioni diverse, sonodisposti seguendo un andamento ad onde. Non a caso nella conce-zione della Periodizzazione la pianificazione del processo di allena-mento viene definita “costruzione”.Nella concezione della Programmazione questo compito si realizzain modo molto più complesso. Anzitutto occorre individuare l’obiet-tivo nei termini concreti della differenza tra il risultato della garaprecedente dell’atleta e il risultato che si vuole ottenere nella garasuccessiva e di periodo di tempo a disposizione per raggiungerlo. Sideve conoscere la struttura della prestazione della disciplina sporti-va in termini qualitativi e quantitativi dei parametri che la determi-nano e, valutando la condizione attuale dell’atleta, individuare icompiti che permettono di aumentare i livelli carenti di questi para-metri. Sulla base dell’analisi della letteratura specializzata e dei datiche riguardano l’esperienza dell’atleta (il suo diario) bisogna indivi-duare mezzi e metodi di allenamento (ed il loro volume totale) chepossono garantire l’aumento di questi parametri necessari per rag-giungere l’obiettivo preposto. Dopo ciò si deve scegliere la strategiaper distribuire questo volume di mezzi sull’asse del tempo del periododi preparazione, suddividendolo in microcicli. Quindi, nella concezio-ne della Programmazione dell’allenamento ì microcicli rappresenta-no le forme funzionali di organizzazione di quella porzione tempora-le del volume totale del carico di allenamento (necessario per rag-giungere il risultato finale stabilito), la cui successione è determinatadalla strategia generale della loro distribuzione nel tempo.Quindi, la differenza più importante tra la “costruzione” dell’allena-mento (nei termini della concezione della Periodizzazione) e la sua“programmazione” (nei termini della concezione della Programma-

zione), si basa su modi diversi di “percepire” lo stesso oggetto(microciclo). Ognuno di questi modi forma un proprio “modello delproblema”, un proprio “pattern metodologico” per risolvere i compititeorico-sperimentali della pianificazione del processo di allenamen-to ed i compiti della sua realizzazione pratica. È molto difficile discu-tere su argomenti concreti (ad esempio, l’impostazione dei carichinel microciclo) se esistono due percezioni diverse della sostanza diquesto processo. Perciò queste discussioni assomigliano sempre dipiù alle polemiche tra i sostenitori delle “anatre” e quelli dei “coni-gli”.Le difficoltà di comprensione della concezione della Programmazioneesistono anche perchè la concezione della Periodizzazione si basa suposizioni che si sono create in modo empirico per decenni. Per questaragione attualmente continuiamo ad osservare tentativi di conserva-re il paradigma dominante, malgrado l’avvento di dati nuovi noncompatibili con esso, di ibridizzazione di due paradigmi contrastanti.Per superare questa “inerzia mentale” bisogna ricordare le parole diAnochin: “Le ipotesi invecchiano, ma se restano sempre identiche sideve dubitare della loro legittimità"3. Per comprendere un approccionuovo è necessario avere il coraggio di cambiare i propri schemimentali, almeno per un momento, per discutere in maniera oggettivae attivare la capacità di vedere la situazione con uno sguardo nuovoche si basi su un certo bagaglio di conoscenze scientifiche. In Europaoccidentale e in America, fino a qualche tempo fa non si conoscevala storia dell’evoluzione dei problemi teorici nella scienza sportivasovietica. Attualmente, purtroppo, esiste una comprensione non cor-retta della sostanza di queste due concezioni basata sull’interpreta-zione unilaterale dei termini utilizzati per la loro definizione. Così, per “periodizzazione” s’intende la suddivisione del processodell’allenamento in periodi, mentre “programmazione”, s’intende lastesura dei programmi di allenamento all’interno di questi periodi.Quindi, questi due termini vengono normalmente usati per defini-re le attività concrete che costituiscono il processo di pianificazio-ne dell’allenamento in genere. Questa interpretazione dei due ter-mini, però ha poco in comune con la natura delle due concezionimetodologiche che abbiamo indicato con la lettera maiuscola:Periodizzazione (di L. Matveev) e Programmazione (di Y. Verkho-shansky). Per cui esiste chi non vede assolutamente la differenzatra queste due concezioni, ritenendo che la concezione dellaProgrammazione si basi su: “una parvenza di novità, introducendonuovi termini, costruzioni grafiche astratte e considerazioni dicarattere critico…” (Platonov 2005). A proposito di questa opinio-ne, che non viene espressa per la prima volta, Smirnov (1999) hascritto: “Devo ammettere che l’affermazione di Platonov è sbaglia-ta. La differenza non solo esiste, ma, purtroppo, proprio essa diffe-renzia la direzione verso quale cammina attualmente la teoria del-l’allenamento, da quella direzione corretta che dobbiamo mante-nere se vogliamo che questa teoria progredisca… La ‘costruzione’del processo d’allenamento prevede l’impostazione di un determi-nato carico e dopo viene chiarito (nel migliore dei casi!), con aiutodel sistema dei test, quale sia stato il suo effetto. La programma-zione, invece, prevede l’utilizzazione di parametri scientificamentefondati del carico e sin dall’inizio sono previsti (con elevato livellodi precisione!) i risultati di questo lavoro. Con l’utilizzazione dellavariante della ‘costruzione’, anche la meno numerosa categoria diquegli allenatori più esperti che prestano attenzione alla strutturadel processo di allenamento, commettono un errore sostanziale: larelazione del carico pianificato viene collegata con la dinamica delrisultato sportivo, ma non con la dinamica dei cambiamenti delleriserve interne dell’organismo. Così rimane senza risposta ladomanda: a quale prezzo è stato ottenuto il successivo aumentodel risultato?” (Smirnov, 1999). Si deve anche osservare che la concezione della Programmazioneviene trattata come un modello di costruzione del ciclo delle pre-parazione, proposto da uno degli Autori (Verkhoshansky 1983).

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Quindi, vengono considerati come uno solo due oggetti di generediverso: la metodologia innovativa della pianificazione dell’allena-mento ed il modello innovativo della costruzione del ciclo di prepara-zione. Qui sono necessarie alcune precisazioni. I punti essenzialidella concezione della Programmazione dell’allenamento, comeapproccio metodologico innovativo alla pianificazione dell’allena-mento, basato sulla teoria dei sistemi e sulla teoria del controllo.(Verkhoshansky 1966) furono presentati per la prima volta nelnovembre del 1965 a Mosca nella conferenza “Cibernetica e sport”alla presenza di Bernshtein (il più importante ispiratore di questaidea) che li aveva discussi e approvati. Il termine “programmazio-ne”, quindi, fu utilizzato ancora prima dell’”era dei computer”, per-ciò aveva un significato più generale rispetto quello della creazio-ne di un software. Nel contesto della TMAS questo termine haassunto un significato più ampio rispetto a quello di compilazionedi un qualsiasi programma di allenamento, cioè, di una determina-ta modalità di stesura di un programma. In sostanza, fu proposto il tema su come fosse possibile utilizzarenel campo dell’allenamento sportivo l’approccio metodologico siste-mico-strutturale, che allora cominciava a penetrare in tutti campidella scienza e dell’attività produttiva. Oggi questo pattern metodo-logico per realizzare l’obiettivo collegato a qualsiasi “progetto di svi-luppo”, è ben conosciuto nell’imprenditoria, nell’economia aziendale,nell’industria e perfino nei programmi spaziali come “progettazionesistemica”. Essa prevede l’individuazione e la valutazione dell’obietti-vo, l’identificazione dei mezzi per realizzarlo, la pianificazione gene-rale e la programmazione dettagliata del modello del processo direalizzazione e della sua gestione con le verifiche dei risultati inter-medi rispetto al modello programmato.Il modello innovativo della costruzione del ciclo annuale, basato suiprincipi della concentrazione e della sovrapposizione dei carichi (ilsistema successivo-congiunto4) e l’effetto ritardato a lungo terminedell’allenamento (Verkhoshansky 1981, 1983), invece, sono stati ela-borato negli anni ‘70-’80 in base alle ricerche dei collaboratori e deidottorandi del Laboratorio interdisciplinare dell’Istituto Superiore diCultura fisica e Sport di Mosca, che si occupavano del problema del-l’ottimizzazione del processo di allenamento degli atleti di alto livello,in sostanza di una metodologia dell’allenamento che non prevedessel’aumento del volume dei carichi ed il sostegno farmacologico. Questo modello è stato creato in base allo studio delle regolaritàdello sviluppo dei parametri del livello di preparazione nelle condi-zioni delle diverse forme di organizzazione dei carichi, confermatedalle leggi dello sviluppo del processo di adattamento. Nell’ambitodella metodologia della Programmazione dell’allenamento rappre-senta una variante della cosìddetta “linea strategica generale” delpiano generale della preparazione, che deve essere scelta dall’allena-tore tra tutte le varianti utilizzabili sulla base dell’analisi dei datibibliografici che precede l’eleaborazione dei programma di allena-mento (proprio come i materiali per l’“Evidence based coaching” deiquali parlano La Torre et al.).Ci sono, tuttavia, due elementi comuni tra la metodologia dellaProgrammazione del processo dell’allenamento sportivo ed ilmodello del ciclo annuale.

• La realizzazione pratica del modello del ciclo di preparazione perun determinato atleta, prevede una definizione quantitativa deicontenuti dell’allenamento, che diventa difficile se non si utiliz-za la metodologia della Programmazione.

• Ambedue le proposte sono state elaborate esclusivamente per losport di alto livello, non riguardano il fitness o l’educazione fisi-ca che si occupano del miglioramento della salute, dell’aspettofisico, della cultura motoria o dello sviluppo armonico delle per-sone comuni; un miglioramento generale che non è collegato adun obiettivo ben definito in termini di parametri del risultato edi tempo necessario per raggiungerlo.

Nello sport di alto livello l’obiettivo fondamentale è molto più con-creto: aumentare ulteriormente il livello elevatissimo ed estrema-mente specializzato di sviluppo motorio degli atleti e, contempo-raneamente, garantire la possibilità di esprimerlo pienamente inun momento cronologicamente preciso (il momento della gara).

La fisiologia dell’adattamento, base del paradigma biologico nella metodologia dell’allenamento sportivo

È assolutamente corretto quanto scrive Platonov (2005): “Nellacostruzione delle concezioni teorico-metodologiche che debbonorispecchiare in modo adeguato una sfera concreta di conoscenze, lapriorità va data solo a quei prodotti dell’attività creativa scientificache sono stati ottenuti grazie allo studio delle leggi che funzionanoall’interno di questa stessa sfera delle conoscenze”, ma, comeMatveev, ritiene che: “i princìpi che si trovano alla base dell’allena-mento”, “…rispecchiano le leggi della strutturazione del processo diallenamento nello sport”. In questa affermazione un lettore attentopuò notare una tautologia. La parola “legge” nel contesto delle scienzenaturali può essere utilizzata in modo corretto solo per caratterizzareun processo oggettivo, che cioè si svolge in modo indipendente dallavolontà di qualcuno (come legge della natura o, ad esempio, dei pro-cessi fisiologici dell’organismo). Invece, la strutturazione del processodell’allenamento è un attività che viene svolta dall’allenatore, cioè, inmaniera soggettiva: attraverso le sue scelte volontarie. Un'altra cosa èche queste scelte debbono essere fatte (e di solito vengono fatte) inaccordo con le “regole”, i “principi” metodologici elaborati sulle basidell’esperienza pratica o sulla base di leggi oggettive scoperte dagliscienziati. Nel caso del processo dell’allenamento sportivo il problemaè: a che cosa devono essere attribuite queste leggi?Matveev, cercando una risposta, ha affermato che queste leggisono: “le leggi dello sviluppo della forma sportiva”, ma non è riuscitoad identificare in maniera definitiva, che cosa sia esattamente “laforma sportiva” e a trovare parametri e metodi di valutazione diquesto “stato di prontezza alle massime prestazioni”. Se si leggonoattentamente la sue opere ci si rende conto che il senso del concettodi “forma sportiva” praticamente è stato ridotto al senso del concet-to di “risultato sportivo”o di “prestazione”. Gli aggiustamenti recentidi queste posizioni con i discorsi teorici sui parametri stabili e labilidella prestazione, non cambiano la sostanza del problema. Comeaffermano La Torre et al. (2000): “La teoria dell'allenamento di tiposovietico si occupava dell'allenamento svolto e delle variazioni delleprestazioni, ma trascurava lo studio dei cambiamenti che si verifica-no nell'organismo come conseguenza del lavoro svolto e come pre-messa alle variazioni delle prestazioni.” Nell’ambito della TMAS sovietica il paradigma alternativo si è svilup-pato dall’idea che il meccanismo di base del processo dell’allena-mento sia “causa-effetto”. Quindi le leggi in base alle quali bisognaformulare i principi della strutturazione del processo di allenamento,riguardano le regolarità della risposta dell’organismo agli stimoliallenanti dei diversi carichi organizzati secondo modalità diverse. Nel 1976 Jakovlev scriveva che l’allenamento sportivo è un processodi adattamento. Quindi, i princìpi dell’allenamento sportivo si deb-bono basare sulle leggi fisiologiche del funzionamento dei sistemiattraverso i quali l’organismo si adatta a una attività fisica intensa.Si deve dire che all’epoca questa idea era stata presa in considera-zione anche da Matveev, ma in modo molto limitato: solo con alcuniriferimenti alla teoria dello stress di Selye utilizzati in discorsi criticidi carattere puramente teorico. Attualmente però esiste non solo la“teoria dell’adattamento”, ma anche la “fisiologia dell’adattamento”,che si basa sullo studio dei processi che si sviluppano nell’organismonelle condizioni di cambiamento dei diversi tipi di ambiente esterno(cambiamento della temperatura, dell’altitudine, del fuso orario eanche dell’aumento del livello di attività fisica).

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Si può affermare che malgrado siano trascorsi molti anni l’utilizzodi queste conoscenze nell’allenamento sportivo sia solo agli inizi.Ciò è avvenuto perché agli esperti della teoria metodologica peda-gogica era poco chiara quale fosse l’essenza del processo di adat-tamento. Sappiamo, che anche un scarso scostamento inizialedalla direzione giusta può portare a raggiungere un punto finalemolto lontano dall’obiettivo. Pare proprio che questo errore inizia-le sia già avvenuto per quanto riguarda l’utilizzazione della teoriadell’adattamento nel campo dello sport.Quando nella stampa russa comparvero pubblicazioni nelle quali sitentava di analizzare il processo dell’allenamento sportivo dal puntodi vista della fisiologia dell’adattamento, Solodkov (1999) fece osser-vare che il contenuto di molti di questi lavori aveva una relazionepiuttosto semantica con la parola “adattamento”, perché non tene-vano conto delle leggi fisiologiche generali di questo processo com-plesso, ma contenevano solo la constatazione dei cambiamenti dialcune funzioni dell’organismo nelle condizioni determinate dell’at-tività sportiva.Per studiare il processo di adattamento nell’allenamento sportivo,infatti, si utilizzavano prevalentemente i parametri dei cambia-menti morfo-funzionali dell’organismo, che rispecchiano nontanto lo sviluppo del processo di adattamento, quanto lo sviluppodei suoi risultati intermedi. La differenza tra questi due aspetti (iparametri che indicano lo sviluppo del processo dell’adattamentoe quelli che indicano i cambiamenti morfo-funzionali dell’organi-smo che esso provoca) è particolarmente importante nell’ambitodelle problematiche della pianificazione dei carichi e della ricercadei parametri che verificano “lo stato della forma”.Un giovane ricercatore russo, Pavlov (1999), ha notato anche unaltro problema molto inquietante: “Esistono numerose pubblica-zioni che confermano che il processo di adattamento si svolge inmaniera diversa da come esposto nei lavori teorici di Meerson ePlatonov. Ciononostante le posizioni della teoria dell’adattamento

ai carichi fisici proposte da Platonov (che, a proposito, rappresen-tano un libero riassunto delle posizioni teoriche di Meerson) sonostate prese al volo dai ricercatori, specializzati nei diversi campidella scienza sportiva”. In questo contesto, è molto significativoche quando nell'Unione Sovietica divennero di moda le afferma-zioni sulla direzione dell’allenamento, Jakovlev reagì con un artico-lo lievemente ironico, intitolato: “Per dirigere occorre conoscere imeccanismi” (1976). Che cosa sappiamo attualmente sui meccani-smi di base dell’adattamento all’attività fisica intensa? Le pubbli-cazioni degli esperti più noti nel campo della fisiologia dell’adatta-mento al lavoro fisico intenso tipico dell’attività sportiva indicanoalcune caratteristiche importanti di questo processo che quivogliamo esporre.

La sintesi proteica adattativa come componente specifica dell’adattamento

Come scriveva Jakovlev (1976), l’adattamento è, prima di tutto, lasintesi adattativa delle proteine enzimatiche e strutturali: “In essal’importanza primaria spetta alla supercompensazione energetica,che avviene dopo un determinato periodo, successivo alla fine dellavoro muscolare. Se durante lo svolgimento del carico fisico neimuscoli dominano i processi di demolizione e di ossidazionenecessari alla produzione dell’energia per il lavoro, dopo la suaconclusione avviene la restituzione delle risorse consumate, in altritermini avvengono sintesi biologiche di diverso tipo” (figura 2). Queste sintesi biologiche comprendono il rinnovamento delle pro-teine delle strutture cellulari attivamente funzionanti, un ulterioresintesi delle proteine enzimatiche e il rifornimento dei processidella sintesi proteica con materiali di costruzione in forma di ami-noacidi e di precursori degli acidi nucleici. La fonte energeticadelle sintesi biologiche è l’ATP, la cui sintesi avviene alla stessavelocità della sua scissione. Immediatamente dopo la fine del lavo-ro si può osservare una breve e poco evidente fase di supercom-pensazione dell’ATP, che scompare rapidamente perché il consumodell’ATP è necessario per tutte le sintesi riparative. Nel periodo direcupero successivo all'allenamento, anzitutto, avvengono la risin-tesi della fosfocreatina e l’eliminazione delle scorie dell’acido latti-co. Più tardi si realizza la ricostituzione del contenuto di glicogenoe, ancora più tardi, la sintesi delle proteine e dei fosfolipidi (figura2). La sintesi delle proteine richiede un consumo notevole di ener-gia, perciò non inizia immediatamente dopo l’allenamento, masolo dopo la ricostituzione del potenziale energetico delle fibremuscolari, per il quale è necessario il consumo di ATP. Per questomotivo la sintesi proteica, richiede un periodo di tempo abbastan-za prolungato che si trova in rapporto con l’intensità del lavorosvolto: dalle 12 alle 24 ore o dalle 48 alle 72 ore nel caso di unlavoro molto pesante (Jakovlev 1983, Viru, Kirge 1983; Viru 1985).Per lo sviluppo della sintesi proteica post-allenamento e per il suorisultato è molto importante il momento in cui inizia il lavoro suc-cessivo (figura 3).

Sintesi proteica

Supercompensazione del contenuto

di fosfocreatina (Cp) e di glicogeno

Ossidazione dei metaboliti

Accumulo dei metaboliti

Attività muscolare

Recupero

Deficit di O2

(ipossia da lavoro)

Alterazione dell’equilibrio

dell’ATP Resintesiparzialedell’ATP

Aumento della sintesi dell'ATP

Demolizione dell’ATP

Consumodi glicogeno,

di Cp e di acidigrassi

Lavoro

Figura 2 – La successione delle biosintesi riparative nei muscoli duranteil periodo di recupero (Jakovlev 1976).

Lavoro Recupero

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A

B C D

Figura 3 – Schema generale della dinamica del cambiamento del livellodel potenziale energetico (a) e dell’intensità della sintesi delle proteine(b) dopo carico fisico. La freccia rossa indica il momento finale della sin-tesi adattativa delle proteine (da Viru 1988, rielaborato).

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• se lo stimolo allenante successivo inizia nel momento in cui lasintesi proteica è appena iniziata (freccia A), l’effetto di quelloprecedente resta inutilizzato;

• se lo stimolo allenante successivo viene applicato dopo che è ini-ziata la sintesi proteica, ma prima del suo termine (freccia B), ilrisultato dello stimolo precedente viene realizzato solo in parte;

• se lo stimolo allenante successivo coincide con il momento incui termina la sintesi proteica (freccia C), è più probabile chevenga raggiunto il risultato positivo dello stimolo allenante delcarico precedente;

• infine se lo stimolo allenante successivo è applicato in ritardo (frec-cia D), l’effetto di allenamento del carico precedente non si realizza.

È molto importante sottolineare che nel processo di recupero lesostanze che vengono distrutte durante il lavoro, non si recuperanotornando semplicemente al livello iniziale: il processo della loro rein-tegrazione attraversa sempre la fase di supercompensazione dei sub-strati energetici consumati per eseguire il lavoro precedente (figura4). Il livello di tale supercompensazione dipende dall’intensità, dalladurata e dall’entità del consumo delle sostanze durante il lavoro.La ripetizione di questo processo rappresenta la base della specia-lizzazione morfo-funzionale dell’organismo e dell’aumento dellacapacità di prestazione sportiva.Quindi, la fase di supercompensazione è una condizione necessariadello sviluppo del processo dell’adattamento a lungo termineall’attività sportiva.Il fenomeno della supercompensazione riguarda la ricostituzionedella fosfocreatina e del glicogeno, delle proteine enzimatiche estrutturali, del numero dei mitocondri nelle fibre muscolari – cioè,di tutte quelle sostanze e strutture che vengono distrutte duranteil lavoro muscolare e sono risintetizzate durante il recupero(Jakovlev 1983).Il meccanismo della sintesi proteica nel periodo di recupero ècaratterizzato da una specificità molto evidente (Jakovlev 1976,1983; Viru 1981, Eepik, Viru 1990). Ciò è dovuto al fatto chedurante il lavoro nell’organismo si accumulano metaboliti, i pro-dotti intermedi dello scambio tra le sostanze nelle cellule, chesvolgono il ruolo di induttori della sintesi proteica adattativa. Imetaboliti determinano in modo specifico la natura delle proteine,la cui sintesi è determinata dal regime motorio prevalente dellavoro eseguito. Vengono sintetizzate quelle proteine che sonostate prevalentemente demolite durante il lavoro, cioè sia le pro-teine che costituiscono le strutture cellulari attivamente funzio-nanti sia anche gli enzimi che catalizzano le reazioni biochimiche

(figura 5). Gli ormoni, prodotti durante il carico d’allenamento,rafforzano la sintesi proteica specifica, indotta in modo specificodai metaboliti e riforniscono questo processo degli aminoacidinecessari. Ciò assicura la corrispondenza tra attività funzionale esintesi proteica adattativa.La ripetizione sistematica del ciclo di ricambio delle proteine assicu-ra lo sviluppo progressivo di un processo di specializzazione morfo-funzionale dell’organismo che corrisponde alla specificità dell’atti-vità motoria. Qui bisogna sottolineare che il periodo di tempo cheintercorre tra due sedute di allenamento non è un semplice riposonecessario per il recupero dello stato ottimale dell'atleta, della vogliadi allenarsi e dello stato dell’umore, ma la condizione necessaria per“assimilare” il lavoro precedente. In questo periodo si sviluppano queiprocessi biochimici che permettono di trasformare gli stimoli esternidell’ambiente nelle nuove proprietà interne dell’organismo. Ciò rap-presenta un fenomeno biologico primario sul quale si basa e si svi-luppa la filosofia dell’allenamento (Viru 1983; Verchoshanskij 1985,1990; Verchoshanskij, Viru 1999). Questo è il meccanismo di basedello sviluppo del processo di adattamento a lungo termine.

La componente aspecifica dell’adattamento all’attività fisica intensa (il ruolo del sistema endocrino e del sistema immunitario)

I sistemi endocrino e immunitario svolgono il ruolo fondamentalenei processi di adattamento e mantenimento di un livello costantedell’ambiente interno dell’organismo (omeostasi) e influenzano tuttii tipi di ricambio delle sostanze nell’organismo. Questi sistemi con ilSNC, rappresentano i sistemi generali di controllo che partecipanoallo sviluppo della sindrome di adattamento in tutte le tappe di que-sto processo. I carichi fisici che portano a livello dello stress, influen-zano anzitutto la funzione regolatoria di questi sistemi dell’organi-smo. Stimoli prolungati e potenti possono alterare l’omeostasi del-l’organismo e provocare una serie di cambiamenti patologici, por-tando infine alla crisi dei sistemi dell’adattamento. Il sistema endocrino è responsabile del meccanismo generaleaspecifico dell’adattamento e garantisce le condizioni favorevolialla realizzazione delle reazioni specifiche omeostatiche e allamobilizzazione delle capacità di difesa dell’organismo.Nella mobilizzazione delle riserve plastiche dell’organismo, il ruoloprimario appartiene al sistema simpatico-adrenergico. La mobiliz-zazione di queste riserve, nel caso dello stress prodotto da unlavoro fisico intenso, è garantita dal funzionamento del sistemaipofiso-adrenocorticale, localizzato nella corteccia surrenale, il cui

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3

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Figura 4 – Schema del consumo delle risorse energetiche durante il lavoroe della loro reintegrazione durante il recupero: 1 – consumo, 2 – reinte-grazione, 3 – supercompensazione, 4 – ritorno al livello iniziale (Jakovlev1988).

La finalizzazione prioritaria degli stimoli allenanti del carico

Sviluppo della forza

Sviluppodella velocità

Sviluppo della resistenza

Sviluppo della resistenza

alla velocità

Sintesidelle proteine

contrattili

Sintesidelle proteinedel reticolo

sarcoplasmatico

Sintesidelle proteinemitocondriali

Sintesidelle proteinecon capacità

tamponee degli isoenzimi

resistentiall’abbassamento

di pH

Figura 5 – Schema dell’effetto specifico d’allenamento con finalizzazioneprioritaria diversa sulla sintesi proteica d’adattamento (da Viru 1988, rie-laborato).

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funzionamento consiste nella creazione di un “pool” di aminoacidiliberi necessario per l’approvvigionamento plastico del processo disintesi proteica. Il raggiungimento della resistenza allo stress èbasato sui cambiamenti morfo-funzionali che si realizzano a livellodei tessuti, delle cellule e delle strutture subcellulari che determi-nano una maggiore potenza funzionale delle diverse strutture cel-lulari, dell’intero organismo e di tutti i suoi sistemi. Questo proces-so è determinato dallo sviluppo dell’adattamento al lungo termine(Viru, Kirge 1983; Viru 1995; Fitzgerald 1988). Nei cambiamenti dello stato del sistema simpatico-adrenergico siindividuano tre fasi tipiche della sindrome da stress (figura 6)(Kassil et al.1978):

1.`La fase d’attivazione immediata, caratterizzata da una maggioreescrezione dell’adrenalina nel sangue subito dopo l’inizio dellavoro, senza che il suo contenuto nella ghiandola surrenalediminuisca.

2.`La fase dell’attivazione stabile e prolungata, caratterizzata dal-l’aumento crescente della escrezione di adrenalina nel sanguecon una diminuzione graduale del suo contenuto nelle ghiando-le surrenali.

3.`La fase d’esaurimento della funzione, caratterizzata dalla dimi-nuzione dell’attività simpatico-adrenergica che si esprime ester-namente nella diminuzione del livello di capacità di lavoro del-l’atleta.

Ciò indica qualcosa di molto importante: l’organismo umano è ingrado di mantenere il livello necessario di rendimento fisico (senzamanifestare esternamente ciò che accade) anche quando entra nellafase che porta all’esaurimento dei sistemi aspecifici dell’adattamen-to. In questo senso il nostro organismo può essere paragonato adun cavallo in grado di continuare a correre senza perdere velocità,obbedendo alla frusta del suo cavaliere, finchè non cade definitiva-mente. Già trenta anni fa nel lavoro del gruppo di sostegno scienti-fico alla preparazione dei canottieri di elite dell’Unione Sovietica fuverificato un fenomeno allora inspiegabile (Verkhoshansky 1985,1987): gli atleti che presentavano valori molto elevati dei parametridella prestazione nei test di controllo prima della gara in essa nonriuscirono ad ottenere il risultato atteso. Le indagini successive conanalisi dello stato del sistema endocrino degli atleti accertarono unadiminuzione dell’attività simpatico-adrenergica con un riduzione delvolume della corteccia surrenale. I sintomi che è stato superato il limite di tolleranza del carico fisicocomunque esistono e assumono la forma di alterazioni del funzio-namento del sistema immunitario dell’organismo. Così, ad esempio,è stato proposto di controllare il livello di resistenza dell’organismoai carichi fisici di atleti praticanti nuoto attraverso la verifica deivalori dei globuli bianchi nel sangue (Kusnetzova 1989). Le difese immunitarie dell’organismo rappresentano un meccanismofondamentale nel processo di adattamento. L’attività sportiva ècaratterizzata da diversi stressori: carichi prolungati, volume elevatoe un abbinamento tra tensione fisica e tensione psico-emotiva, pre-sente particolarmente nelle gare di tipo commerciale. In questi casil’intensità dei fattori che influenzano l’organismo e il regime dellaloro ripetizione sistematica possono superare la capacità dell’organi-smo di rispondervi adeguatamente. Ciò può produrre uno stress cro-nico e l’arresto dell’adattamento. L’alterazione dei processi d’adatta-mento in questo caso non si verifica come calo dei parametri dellaprestazione, ma si esprime, prima di tutto, in forma di alterazioni delsistema immunitario o d’immunodepressione (Kassil et al. 1984;Surkina, Gotovzeva 1991; Susdalnizky 1996; Wilmore, Costill 1994,Morgan et al. 1988, Lehmann 2000).Le conseguenze più frequenti dell’immunodepressione sono lemalattie infettive ed il rallentamento delle capacità di recupero. Lealterazioni del sistema immunitario spesso si mantengono a lungo

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Riposo Fase d’attivazioneimmediata

Fased’attivazione

stabile

Fased’esaurimentodella funzione

Lavoro muscolare prolungato

Stimoli che provocano stress

Figura 6 – Cambiamento del contenuto di adrenalina nelle ghiandole sur-renali e nel sangue secondo le fasi della risposta del sistema simpatico-adrenergico agli stimoli stressanti. In alto: schema del contenuto di adre-nalina nelle ghiandole surrenali; in nero: corteccia surrenale con elevatocontenuto di adrenalina; in grigio: diminuzione del contenuto di adrenali-na, in bianco: esaurimento del contenuto di adrenalina nella cortecciasurrenale. La curva indica il cambiamento della concentrazione di adrena-lina nel sangue (Kassil ed altri 1973).

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e alla fine del ciclo annuale di allenamento, si sovrappongono aglieffetti d’allenamento del successivo ciclo annuale e rappresentanoun pericolo di malattie ancora prima che esso inizi.È importante sottolineare che l’immunodepressione degli atletinon rappresenta un “costo dell’adattamento”, ma un sintomo pre-coce del disadattamento provocato da carichi di allenamentotroppo elevati e male organizzati. Perciò l’intensità dell’adatta-mento ai carichi fisici è limitata e non può essere forzata, perchéciò può “distruggere” il processo d’adattamento stesso (Costill etal. 1991, Wilmore, Costill 1994).

Le due diverse “visioni” del processo “lavoro-recupero” nella Teoria dell’allenamento sportivo

Il processo di adattamento dell’organismo ad un attività fisicaintensa (come quella sportiva) ha caratteristiche particolari rispet-to a quello di adattamento ad altri tipi di cambiamenti dell’am-biente esterno (climatici, geografici, sociali, ecc.): il fattore cheporta all’adattamento non agisce ininterrottamente in modocostante, ma con una determinata periodicità nel regime “lavoro-recupero”. Perciò una corretta interpretazione di questo processo èfondamentale per l’elaborazione dei principi della pianificazionedell’allenamento sportivo.Negli anni 50'-60' l’idea alla base dei principi dell’impostazione deicarichi d’allenamento era legata a una visione “fatica-riposo”. deiprocessi di “lavoro-recupero” che si sviluppano nell’organismo perazione di carichi consecutivi. Secondo questa visione, il carico fisico provoca “l’oppressione” deicorrispondenti sistemi dell’organismo e la sua traccia si esprimeanzitutto in forma di “fatica” che limita la capacità di lavoro dell’a-tleta. Contemporaneamente, il raggiungimento della fatica eraconsiderato la condizione necessaria per il progresso dei risultati,specialmente negli sport di resistenza (Gorkin et al. 1973). Quindi, secondo il paradigma “fatica-riposo” per garantire la cre-scita dei risultati sportivi è necessario trovare i modi per aumenta-re il livello del carico (per arrivare al limite della fatica) e trovaremetodi che permettono di cancellare questa fatica per prepararel’atleta ad eseguire nuovamente il lavoro.“Nessuno degli specialisti considerava l’aumento del volume dilavoro come scopo a se stante, ma si manifestava chiaramente iltentativo di individuare quel determinato volume massimale dilavoro che non comportasse il peggioramento delle caratteristichequalitative del lavoro, e non rappresentasse un pericolo per lasalute degli atleti” (Platonov, 2005). Anche ciò è vero e gli allena-tori e i dirigenti dell’ex-Urss e della ex-Rdt non cadevano mai nellatentazione di aumentare il volume dei carichi a tutti costi. “Il peg-gioramento delle caratteristiche qualitative del lavoro”, come èstato dimostrato dalla fisiologia dell’adattamento, però, non puòrappresentare il criterio del raggiungimento del volume massimoammissibile del carico, perchè indica troppo tardi “un pericolo perla salute degli atleti” (cioè, lo stato di superallenamento).Il paradigma alternativo, basato sulla fisiologia dell’adattamento,vede il processo di successione di carichi ad intervalli diversi, noncome “fatica-riposo”, ma come “consumo-restituzione”. Il processo“lavoro-riposo” viene trattato come “lavoro dell’atleta-lavoro delsuo organismo”. L’accumulo dei metaboliti viene interpretato noncome un fattore negativo, che crea fatica e limita la capacità dilavoro dell’atleta, ma come un fattore positivo che rappresenta ilpresupposto dell’aumento della sintesi delle proteine strutturali edenzimatiche nelle cellule attive che garantisce, grazie a trasforma-zioni morfologiche, l’aumento della potenza funzionale delle strut-ture cellulari e, conseguentemente, dei tessuti, degli organi e del-l’intero organismo. Quindi, i metodi “di recupero” che permettono

di cancellare le tracce del lavoro precedente sotto forma di meta-boliti che rappresentano gli induttori della sintesi proteica che sisviluppa dopo il lavoro, possono eliminare i presupposti del pro-cesso di specializzazione morfo-funzionale dell’organismo e tra-sformare l’allenamento in un lavoro inutile. Quindi, dal punto di vista del nuovo approccio per quanto riguardail volume dei carichi l’obbiettivo più importante delle ricerche nelcampo della metodologia dell’allenamento è diretto a trovare imodi di creare uno stimolo allenante elevato sull’organismo, uti-lizzando un volume di carico minore possibile. L’organizzazione delprocesso di allenamento consiste nell’individuare e mantenererigorosamente quel regime di carichi nel quale gli intervalli tra diessi sono di durata né inferiore, né superiore al tempo necessarioperché si completi l’intensa sintesi proteica provocata dal caricoprecedente (Verchoshansky, 1996).

(1)Kuhn T.S., The Structure of Scientific Revolutions. Chicago, University ofChicago Press, 1962 (traduzione italiana, La struttura delle rivoluzioniscientifiche, Einaudi, Torino, 1969).

(2)Daugs R., Motorische Kontrolle als Informationsverarbeitung: Vom Auf-und Niedergang eines Paradigmas, in: Blaser P., Witte K., Stucke (a cura di,)Steuer-und Regelvorgänge der menschlichen Motorik, Academia St.Agostin, 1994, pp.13-37. Il lavoro di Daugs è stato tradotto in russo daBalsevich, redattore della rivista Teorija i Praktika Fiziceskoj Kul’tury (cheattualmente vive e lavora in Germania e svolge il ruolo di consulentescientifico di questa rivista), ed è stato pubblicato nel numero 5 del 1997di tale rivista come il preannuncio dell’apertura della discussione sullamoderna teoria dell’allenamento sportivo, iniziata in Teorija i PraktikaFiziceskoj Kul’tury, 1998, 2, dall’articolo di Verkhoshansky: “Verso una teoriae metodologia scientifica dell’allenamento sportivo”.

(3)Anochin P. Aspetti filosofici della teoria del sistema funzionale, Voprosyfilosofii, 1971, 3, 55-60.

(4) Il termine “successivo-congiunto” dei carichi,” è stato tradotto dal russo initaliano con il termine “successivo-contiguo” che non corrisponde precisa-mente alla sintesi del principio che ne è alla base. In inglese lo stesso ter-mine è stato tradotto in “conjugated-sequence”. Probabilmente, ciò haindotto confusione nella interpretazione del sistema dell’allenamento ablocchi.

Note

La bibliografia completa del presente articolo verrà pubblicata nella suaseconda parte.

Indirizzo degli Autori:Y. Verchoshansky, Via Evaristo Garroni 11, 00133 Roma.e-mail: [email protected]

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Analisi delle capacità tecnico-coordinative e senso-percettive nel nuoto Una proposta metodologica verso la determinazione di pratici sistemi di valutazione e allenamento specifico nella preparazione dei giovani nuotatori (prima parte: gli aspetti teorici)

Pietro Luigi Invernizzi, Facoltà di Scienzemotorie, Università degli Studi di Milano; Roberto Del Bianco, Federazione italiananuoto; Raffaele Scurati, Giuseppe Caporaso,Antonio La Torre, Facoltà di Scienze motorie,Università degli Studi di Milano

Uno sviluppo mirato delle capacitàsenso-percettive e coordinative risultanecessario per poter creare nuoveopportunità di miglioramento della performance nel nuoto sportivo.Nel ripercorrere gli studi di numerosiAutori, si illustrano le relazioni più rilevanti che intercorrono tra le capacità senso-percettive e coordinative e l’attività motoria inambito natatorio. Una valutazione deisingoli presupposti prestativi evidenziail ruolo centrale della capacità di differenziazione e di scivolamento in acqua, sia come elementi guida del nuoto per principianti, sia come riferimento orientativo a livello di allenamento avanzato. Le considerazioni risultanti dall’analisidi queste capacità e del loro tutt’altroche marginale apporto nella preparazione ottimale del nuotatoresaranno il punto di partenza per unaproposta metodologica di diagnosi e sviluppo di soluzioni a supporto dei tradizionali sistemi di allenamento.

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Rapporto tra capacità tecnico-coordinative e condizionali nella prestazione natatoria

Il nuoto è uno sport ciclico caratterizzatodalla ricerca della maggior velocità di spo-stamento volta al raggiungimento dellamiglior performance (Counsilman 1973).Ripercorrendo da un punto di vista storicole varie correnti di pensiero riguardo ai pos-sibili fattori che concorrono al miglioramen-to della performance natatoria, ci si rendeperò conto di come la velocità non possaassolutamente essere interpretata generica-mente come la sola capacità determinante,ma di come intervengano in grande misuraanche capacità tecnico-coordinative e altrecapacità condizionali (Harre 1973), oltre chefattori senso-percettivi (Colwin 2002), bio-meccanici e relativi al drag (Zamparo 2005;di Prampero 1985). Di conseguenza, fattoritecnici e condizionali sono difficilmente dif-ferenziabili all’interno della prestazionenatatoria (Renner et al. 1988).Per questo motivo, la determinazione delgiusto momento e dei giusti tempi dadedicare alla preparazione condizionale edal training tecnico-coordinativo del nuo-tatore assume una particolare importanzanella pratica dell’allenamento e costituisceal tempo stesso uno dei problemi più rile-vanti cui far fronte nella ricerca della stra-tegia di preparazione ottimale.I primi progressi nella performance delnuoto sono avvenuti grazie alla evoluzionedi soluzioni tecniche che hanno consentitola scoperta di modalità di spostamento pro-gressivamente più veloci: rana, english sidestroke, trudgen, over arm stroke, double overarm stroke, front crawl stroke (nel 1902 ilcrawl diventa la tecnica più veloce). Ulteriorimodifiche tecniche legate soprattutto allarespirazione hanno consentito successiva-mente al crawl di diventare anche la tecnicapiù economica (Pelayo 2003).È forse per questo motivo che alcuni Autori(Andreas 1956; Beckmann 1976) argomen-tano la condizione prioritaria degli elementitecnici sugli elementi condizionali. Il trai-ning di resistenza in particolare sarebbeutile solo nel momento in cui le capacitàtecniche lo consentono. In caso contrario siincorrerebbe nel rischio di indurre automati-smi aderenti a modelli tecnici sbagliati econtroproducenti, oppure di allenarsi avelocità “non allenanti”.Intorno agli anni 1950-70 si sviluppa pro-gressivamente una tendenza di ricercabasata su principi scientifici dell’allena-mento (Pelayo 2003). In linea con questonuovo interesse diversi allenatori si orien-tano prevalentemente verso un trainingcondizionale, senza preoccuparsi eccessi-vamente degli aspetti tecnico-coordinativie senso-percettivi, considerati comunque

secondari e dipendenti dal primo, lascian-do il lavoro mirato al perfezionamentodella tecnica solo come mezzo per il com-pletamento del volume di lavoro pro-grammato o come esercizio di avviamentomotorio e di recupero.Per Manno (1989) la tecnica sportiva è larealizzazione di un piano o programmamotorio che si può eseguire in funzionedelle disponibilità psicologiche e del livellodelle capacità motorie dell’atleta; la presta-zione è realizzata sulla base dell‘interazionetra le capacità dell’atleta e la situazioneesterna (ambiente fluido). Nei nuotatori piùgiovani, l’evoluzione delle prestazioni nonderiverebbe da un aumento della forzaconseguente ad un lavoro di sviluppo mira-to, ma sarebbe maggiormente indotta daun miglioramento delle capacità coordina-tive (Hahn 1986). La capacità di forzaandrebbe allenata insieme alla coordinazio-ne precisa del movimento ed i carichi dilavoro dovrebbero essere il più possibiledifferenziati, ad esempio mediante esercizidi nuotata analitici per gli arti superiori edinferiori, variazioni di ritmo, stili e distanze(Hahn 1986). L’allenamento risulterebbenon tanto dalla semplice somma di diversi

contenuti, bensì dalla loro integrazione ereciproca interazione (Spikermann 1993).Makarenko (1978) evidenzia che la tecnicanatatoria dipende in gran parte dallo statodi sviluppo delle capacità fisiche e cheentrambe devono essere considerate inse-parabili. In virtù del parallelismo esistentetra tecnica e capacità condizionali, anchecon i bambini della scuola nuoto è di con-seguenza indispensabile un allenamentointegrato che consideri accanto al lavorotecnico un’adeguata introduzione al trai-ning condizionale (Wilke 1978).Meinel (1984) prevede, nell’ambito delleprime tappe dell’apprendimento tecnico,situazioni facilitanti che non creino affati-camento e “disturbo” alla struttura coor-dinativa di base, ma prevede, in un secon-do momento di perfezionamento, l’intro-duzione di situazioni più faticose inte-grando così apprendimento tecnico-coor-dinativo e condizionale.Anche Counsilman (1973,1984) supportail moderno concetto di allenamento inte-grato: una buona tecnica di nuoto nonsarebbe possibile senza un corrispondentelivello condizionale.Schramm (1987) prevede sempre e comun-que un allenamento integrato di tecnica econdizione in tutte le fasi della preparazio-ne del nuotatore.Attualmente, nell’ambito della teoria delmovimento umano e dell’allenamento, sista passando dal concetto di modelli diriferimento a carattere statico, determini-stico, descrittivo, considerati inadeguatiper spiegare la complessità dell’allena-mento, a sistemi più complessi di tipodinamico, probabilistico, previsionale (LeMoigne 1993; Sotgiu et al. 1989; Martinet al. 1997; Schnabel et al. 1998). In que-sta nuova concezione si intende l’organi-smo umano in continua interazione conl’ambiente, formato da sistemi interdipen-denti (sistema psicologico, sistema endo-crino, sistema fisiologico, sistema nervo-so…) ed in continuo rimaneggiamentosotto l’effetto degli stimoli motori ed alle-nanti. Si può così comprendere come ilsistema regolatore costituito dal SistemaNervoso Centrale (SNC) assicuri le pro-prietà di auto-trasformazione e adatta-mento dell’organismo (Manno 1989;Paillard 1986) (figura 1).Il ruolo chiave del SNC suggerisce di nontrascurare la sensazione cinestesica, equindi il senso dell’acqua, a favore di unaeccessiva importanza attribuita alla pre-parazione fisica.Dal nostro punto di vista non è attual-mente concepibile uno sviluppo condizio-nale scisso da quello tecnico. La senso-percezione è la conditio sine qua non perun elevato livello di performance nelnuoto.

Sistemanervoso centrale

Motricità/allenamento Ambiente Organismo

Prestazione

Figura 1 – Relazioni tra sistema regolatore,performance e altre variabili.

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Capacità di forza e senso-percezione nel nuoto

L’insieme dei movimenti realizzati dal nuo-tatore per spostarsi risultano dall’azionedegli elementi propulsori (gli arti) attraversodegli elementi motori (i muscoli). La forzarappresenta l’elemento centrale della pro-pulsione nell’ambiente liquido: consente dimantenere o aumentare la velocità di spo-stamento antero-posteriore (Christensen,Smith 1987; Davis 1955; Hickson 1980;Costill et al. 1980). Studi elettromiografici hanno evidenziatoche l’impegno prioritario dei muscoli cam-bia a seconda del livello tecnico degli atleti.Per esempio, nella nuotata a crawl gli atletimediocri eseguono uno sforzo maggiorenel recupero del braccio facendo intervenireprevalentemente deltoide e trapezio. Gliesperti, invece, durante la fase attiva dellabracciata usano i muscoli depressori delbraccio in misura maggiore e quindi otten-gono una trazione più forte e potente. Lapeculiarità dei nuotatori più performanti ècostituita dall’associazione tra un grandespostamento del centro di gravità durante ilciclo di bracciata ed una notevole economiaelettrica (Ikai et al. 1964; Chollet 1992).Quando si effettuano fuori dall’acqua movi-menti analoghi a quelli del nuoto si verificaun transfert positivo tra gli esercizi cosid-detti a “secco” e la performance natatoria(Zaciorskij 1970). Se non esistono adeguatipresupposti senso-percettivi l’aumento diforza realizzato a “secco” può però pertur-bare la tecnica di nuotata (Absaljamov1980), conseguenza del disturbo indotto dalpotenziamento in termini di perdita di sen-sibilità (Manno 2002). Nel nuoto si pone quindi il problema deltransfert in acqua dei guadagni di forzaottenuti grazie alla preparazione a “secco”. Illavoro senso-percettivo ne è il tramite.Numerosi Autori hanno notato che l’esecu-zione di un esercizio di nuoto su appositiapparecchi di muscolazione a secco nonsempre può garantirne una riproduzioneesatta.Studi elettromiografici di Olbrecht, Claris(1982), confrontando lavori con attrezzidiversi (elastici, macchina isocinetica, car-rello…) con i tracciati elettrici della nuota-ta a crawl, hanno messo in risalto che unasomiglianza parziale dell’esercizio di pre-parazione della forza a “secco” a quello digara non è sufficiente per un adeguatotransfert nella concreta azione sportiva.Absaljamov (1980) evidenzia che il tran-sfert di forza sviluppato a “secco” saràtanto più rapido ed efficace quanto piùelevato sarà il grado di similitudine con lenuotate. Questo relativamente alla com-ponente energetica della contrazionemuscolare, alle componenti dinamiche e

spaziali dell’esercizio (angoli e posizionedei segmenti), alla componente neuro-muscolare e coordinativa (gioco agonisti-antagonisti, equilibrio posturale, ecc.). Diversi studi (Costill et al. 1980; Pipes,Wilmore 1976; Sharp et al. 1982) hannoevidenziato come un lavoro su apparecchiisocinetici consenta un transfert di forzasuperiore in acqua rispetto a lavori tradizio-nali a carattere isotonico o isometrico. Taletransfert sarà tanto più positivo quanto piùla velocità angolare dell’apparecchio isoci-netico sarà simile alla velocità della manodurante la performance natatoria specifica(Schleihauf 1983; Counsilman 1984; Klauck,Daniel 1992).Spikermann (1993) afferma che la coordi-nazione intramuscolare è sempre collegatacon l’azione specifica della tecnica di nuo-tata e non può essere simulata con azionidi sviluppo della forza in ambito terrestre.Secondo Manno (2002) mentre le compo-nenti metaboliche e cinematiche (traietto-rie, velocità) sono riproducibili fuori dall’ac-qua, la componente cinestesica è difficil-mente simulabile perché l’acqua non oppo-ne resistenza solo nel punto in cui è appli-

cato il carico come negli esercizi a “secco”,ma su tutta la superficie del corpo e degliarti, condizione appunto impossibile dariprodurre fuori dall’acqua. Anche Hopper(1983) evidenzia che le condizioni ambien-tali acquatiche nelle quali vengono realiz-zate le nuotate non possono essere simula-te pienamente e diagnosticate attraversoprocedure realizzate a “secco”.Un’altra considerazione riguarda il fatto chementre la funzione propulsiva e di manteni-mento-fissaggio muscolare possono esseregarantite da un lavoro a “secco” (Vivio,Passerini 2000) la funzione neuro-muscola-re di riporto-recupero può essere allenataesclusivamente con un lavoro tecnico svoltoin acqua (Klauck, Daniel 1992) (figura 2). Per De Montsevitch, Petrovich (1987) losviluppo della forza a “secco” è strettamen-te legato all’aumento della velocità di nuo-tata a condizione che vengano rispettativolumi e forme ottimali di preparazione.Secondo questi Autori il gradiente maggio-re di correlazione tra lo sviluppo della forzaa “secco” e progressione nella velocità nelnuoto va dai 14 fino ai 16-17 anni.Al di là di queste età, non si riscontranocorrelazioni tra aumento di forza a “secco”e progressione nella velocità del nuoto.Nell’85% dei casi un aumento significativodi forza dopo questa età conduce ad unadiminuzione della forza di trazione in acquae della velocità di nuotata (figura 3).Anche questo studio evidenzia come inrelazione all’età ci sia una diversa recetti-vità e possibilità di transfert che si ipotiz-za possa dipendere da un differente livellodi senso-percezione e plasticità del SNC.

Capacità di resistenza e senso-percezione nel nuoto

Come già premesso in precedenza, il nuotoè una disciplina ciclica che si caratterizzaper la ripetizione di azioni motorie con l’o-biettivo di percorrere il più rapidamentepossibile una distanza data.La migliore strutturazione di questa tipolo-gia locomotoria è quella che consente l’ese-cuzione ottimale del percorso stabilito conun’economia massimale di forza muscolaree di energia (Zamparo, Bonifazi et al. 2005;Zamparo, Pendergast et al. 2005).Quando si realizzano esercizi di forzamolto intensi e graduali vengono reclutatele fibre veloci (tipo IIa, IIb, IIc) che lavora-no però insieme alle fibre lente (tipo I). Nelnuoto ci si trova di fronte al reclutamentodi tutte le tipologie di fibre con prevalenteallenamento della capacità di resistenzaalla forza (Manno 2002).Il fattore specifico di forza resistente dipen-de dal tipo di sollecitazioni alle quali lecompetizioni del nuoto sportivo sottopon-gono il metabolismo muscolare.

Funzionedi mantenimento/

fissaggio

Funzionepropulsiva

Funzionedi ritorno

Figura 2 – Caratteristica delle funzioni musco-lari nell’attività natatoria.

Età14 15 16 17 18 19

For

za

Carico a “secco”

Progressione velocità di nuotata(forza di trazione di nuotata)

Volume muscolazione a “secco”

Figura 3 – Relazioni tra carico a “secco”,espressioni di forza nella nuotata e volume dilavoro in funzione dell’età.

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Più le gare sono brevi più il fattore forzaresistente si orienta verso la direzioneforza-velocità (figura 4); più le gare sonolunghe più il fattore specifico si orientaverso la direzione resistenza (Malho 1992;Platonov 1984; Weinek 2001).Il problema essenziale è quello di determi-nare il rapporto ottimale forza-resistenza inrelazione ad una determinata distanza evelocità.Un orientamento prevalente verso la dire-zione resistenza viene caratterizzato attra-verso una interazione di fattori (Martin et al.1997; Schnabel et al. 1998; Harre 1973):

• fattore fisiologico, suddivisibile a suavolta in fattori centrali (ventilazione pol-monare, circolazione centrale, frequenzacardiaca, gittata sistolica) e fattori perife-rici (passaggio dell’ossigeno dal sangue aimuscoli, utilizzo dell’ossigeno da partedelle cellule muscolari);

• fattore costituzionale, caratterizzatodal peso specifico del nuotatore e dallasua massa corporea (costituito anchedalle proporzioni corporee che possonoincidere positivamente o negativamentesul dispendio energetico);

• fattore psicologico (tensione emotiva,motivazione);

• fattore coordinativo, caratterizzatodalla tecnica esecutiva che incide sull’e-conomia della nuotata (costituito anchedalla capacità di rilassamento).

Secondo Prichard (1993) la plasticità degliatleti nell’usare un fattore a complemento ocompensazione di un altro è fondamentale. Nuotatori carenti nell’ambito del V

.O2max

possono vicariare tale funzione attraversoun miglioramento tecnico che porti aduna diminuzione del costo energetico.Per di Prampero (1985, 1986) la velocità diun nuotatore è data dal rapporto tra lapotenza sviluppata ed il costo energeticodella nuotata. Da questo rapporto si puòdedurre che se si vuole incrementare lavelocità si deve intervenire o aumentando lapotenza o diminuendo il costo energetico.

La potenza sviluppata dipende dalla poten-za erogata dall’apparato locomotore e daisistemi energetici che lo supportano; nelnuoto esprime la resistenza dell’acqua chel’atleta deve superare per nuotare ad unacerta velocità.Il costo energetico rappresenta la quantitàdi energia richiesta al fine di percorrereuna determinata distanza e costituisce unindice dell’economia del gesto sportivo. Strettamente collegato al concetto di costoenergetico risulta il concetto di rendimentoo efficienza. Con questo termine si indica lapercentuale di energia spesa per compierelavoro meccanico esterno. Il rendimento viene rappresentato dal rap-porto tra la potenza meccanica espressa ela potenza metabolica richiesta.A parità di rendimento totale, una riduzionedella resistenza idrodinamica o un aumentodell’efficienza di propulsione portano aduna riduzione del costo energetico e quindiad un miglioramento della prestazione(Zamparo, Bonifazi et al. 2005; Zamparo,Pendergast et al. 2005; Zamparo 2006).Una coordinazione intra e inter-muscolareadeguata, un ottimale allineamento dei seg-menti in acqua, la possibilità di non disper-dere energia attraverso un appropriato uti-lizzo delle masse d’acqua sono tutti presup-posti rilevanti nella prestazione di resistenzae possono compensare una forza propulsivae una potenza erogata non ottimali.Per Spikermann (1993) la composizionedelle diverse fibre muscolari sembra averemeno importanza nel nuoto rispetto all’a-tletica leggera. Una delle motivazioniaddotte è che nel nuoto il rapporto traenergia chimica impiegata e prestazionenatatoria è sfavorevole e quindi la capacitàdi sentire l’acqua rappresenta la condizionefondamentale per poter sfruttare al megliole condizioni metabolico-strutturali garan-tite dalle capacità condizionali.Si tenga comunque presente che, anche sein modo meno accentuato, lo stesso pro-blema si pone anche in discipline di “endu-rance” (sci di fondo, mezzofondo prolunga-to…) nelle quali i fattori determinanti la

performance (V.O2max, % V

.O2max, soglia…)

devono essere integrati con aspetti neuro-muscolari in quanto sovente in gruppi diatleti di alto livello (e quindi omogenei traloro) il fattore discriminante risulta essereproprio il costo energetico. Tra i fattori che concorrono al miglioramen-to del costo energetico uno è quello dellatecnica esecutiva, l’altro è quello del contri-buto di direzione “resistente”, che se corret-tamente sollecitati possono essere fornitidai fattori neuro-muscolari (Nummela et al.2006; Paavolainen et al. 1999).

Importanza delle capacità tecnico-coordinative e senso-percettive nel nuoto sportivo

Comunemente parlare di tecnica nel nuotoè quasi esclusivamente sinonimo di cono-scenza da parte di atleti ed allenatori deimodelli tecnici esecutivi relativi ai quattrostili di nuotata, alle virate, alle partenze eagli arrivi. Ogni componente tecnica assu-me una importanza relativa in funzionedello stile, della distanza di gara ed in alcunicasi del sesso.Ciò premesso, è estremamente riduttivo einsufficiente per nuotatore e allenatorelimitarsi alla conoscenza di tali modelli tec-nici. La comprensione del perché di unmodello tecnico e di come possa essereadattato alle caratteristiche individuali nonpuò prescindere dal possesso delle basi teo-riche che governano la meccanica dei fluidie le peculiarità dell’organismo umano. Secondo Starosta (1991, 2004) il significatodi tecnica viene generalmente inteso comeforma del movimento rappresentato dalgesto visibile esternamente e caratterizzatoda parametri ben definibili dal punto di vistacinematico (tempo, ampiezza, velocità, fre-quenza, traiettorie…). Diversamente le com-ponenti della tecnica caratterizzate da ele-menti meno evidenti (funzioni del SNC con-trazione-rilassamento muscolare; funzionisenso-percettive…) vengono spesso trascu-rate perché di difficile misurazione e pocotangibili.

Direzioneforza

Direzioneresistenza

Fat

tore

forz

a/ve

loci

Fattore resistenza

Gare brevi

Gare lunghe

Figura 4 – Intervento dei fattori di forza-velo-cità e resistenza in relazione alla distanza dinuotata.

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Per padroneggiare la tecnica in modo per-fetto è dunque indispensabile prendere inconsiderazione sia il risultato (la forma)che il contenuto (la causa) del movimento.Una componente molto importante delcontenuto della tecnica è la sensazionecinestesica specifica che costituisce il cul-mine di tutta la preparazione dell’atleta(Starosta 1992, 2004).Per Bernstein (1975) e Anochin (1973) lereazioni dell’organismo all’ambiente ester-no e le informazioni provenienti dal propriocorpo rappresentano il sistema di regola-zione-guida dei movimenti (figura 5). Il primo programma esecutivo viene ela-borato a partire dalla selezione delle affe-renze provenienti dall’esterno che, ritenutepiù significative, sono state scelte e cata-logate nella memoria.Questo programma esecutivo prevede unaanticipazione di modelli di impulsi spazio-temporali richiamati a livello di “comandocentrale” (coscienza). La trasmissione agliorgani effettori di tali impulsi consentel’esecuzione del movimento. Grazie ai pro-priocettori e telecettori i dati effettivi del-l’azione motoria vengono confrontati conil programma anticipato, garantendo ilcontrollo e la correzione del movimento. Imeccanismi decisivi sono rappresentatidalla sintesi afferente e dalla memoriamotoria.La capacità di regolare con precisione l’in-tensità dello sforzo e la velocità nel tenta-tivo di nuotare ad un determinato tempoindicato, per esempio al 90% della massi-ma velocità su una determinata distanza,dipende dal corretto funzionamento diquesti meccanismi. La tipologia e numero-sità delle esperienze precedenti in uncompito specifico e la quantità delle sina-psi della memoria motoria sono essenziali(Bernstein 1973).È possibile evidenziare due piani sui qualiavviene la regolazione e guida dei movi-menti sopra descritti: un piano senso-moto-rio non cosciente (riflessi, tono muscolare,equilibri…) ed un piano cognitivo-coscienteche ordina e governa i programmi d’esecu-zione. I due piani sono in stretta relazionetra loro.Nelle fasi in cui si perfezionano e rendonostabili i movimenti sportivi e nella loroapplicazione in gara risulta fondamentalela capacità di utilizzare al meglio ed inmodo integrato questi due piani. Il nuotatore necessita in particolare di svi-luppare sensibilità e memoria cinestesicaspecifica attraverso quella che viene defi-nita “sensazione dell’acqua”.Per Wolf, Satori (1976) infatti, la cosiddetta“sensazione dell’acqua” non è altro che unamodalità particolare di sensibilità muscola-re cinestesica alla pressione dell’elementoliquido.

Equivocamente si pensa che la “sensazionedell’acqua” sia una qualità propria dellemani, perché nella maggior parte delle tec-niche si è soliti considerare gli effetti pro-pulsivi degli arti superiori riferendosi allaloro azione. In realtà ciò è estremamenteriduttivo: per Firby (1975) la “sensazionedell’acqua” è qualcosa di più che una sensi-bilità delle mani, è una sensazione cheriguarda la totalità del corpo. Anche per Starosta (2004) la sensazionedel movimento può avere un carattereglobale quando interessa tutto il corpo eun carattere locale se concerne dei singolisegmenti. Secondo questo Autore c’è unarelazione molto stretta tra carattere glo-bale e locale delle sensazioni.

Essere in grado di “sentire l’acqua” consentedi essere più propulsivi ma anche di dimi-nuire le resistenze. Colwin (2002) analizza ilconcetto differenziandolo in due aspetti:l’allineamento del corpo con l’asse di avan-zamento per ridurre la resistenza durantel’applicazione della forza propulsiva (carat-tere globale della sensazione) e la capacitàdi regolare il ritmo, la velocità e fluidità delleproprie azioni (carattere locale della sensa-zione). Questi due aspetti integrati consen-tono di combinare più propulsione conmeno resistenza e come risultato di deter-minare l’aumento della lunghezza del ciclodi nuotata. Colwin (2002) evidenzia come molti atletifuoriclasse siano in grado di generare azioni

Conoscenza/Pensiero

Memoriamotoria

Sintesiafferente

Controllo

Esecuzione

Effettori RecettoriReafferenza

Energia

Impulso

Presa decisioneProgramma

Comparazione

InpulsoEffettore

Motivazione

Mondo esterno

Figura 5 – Modello di regolazione delle azioni (rielaborazione da Bernstein et al. 1975).

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di alta qualità che, a fronte di un’apparentelentezza esecutiva, producono un elevatorendimento propulsivo. Infatti campioni quali ad esempio Popov eThorpe, durante la loro nuotata ad alta velo-cità, sembravano procedere con movimentidi estrema lentezza, con un’azione calma econtrollata nonostante gli straordinari risul-tati cronometrici che regolarmente conse-guivano. Se paragonati ad altri nuotatoricon i quali competevano ed il cui progressoin avanti assomigliava maggiormente aduna serie di azioni affannose ed eccessive,davano l’impressione di “non avere fretta”.Secondo Maglischo (2003) non ci sarebberosorprese nella performance di simili nuota-tori esperti: il tenere precisamente il tempo,il ritmo di nuotata, la frequenza, sono esem-pi di elementi dell’abilità che li caratterizza.Per Lewin (1970) “il senso dell’acqua” è instretto rapporto con la capacità di scivola-mento che prevede il posizionare in manieracorretta tutte le parti del corpo in acqua perpoter avanzare.La corretta percezione del proprio corpodiviene l’elemento fondamentale per il piùadeguato controllo della postura ottimaleda assumere e mantenere durante una fasedi scivolamento. La capacità di scivolamento viene ricercatasoprattutto nel nuoto per principianti nelladidattica iniziale (John 1957; Maiello 1976;Catteau, Garoff 1974; Thomas 1989; Na-varro 1995): lo scopo è quello di allungarsi ilpiù possibile in maniera stabile in acqua inmodo da poter offrire la minore superficiefrontale all’avanzamento e una riduzionedei vortici frenanti che si producono nellaparte posteriore del corpo.Anche per Starosta (2004) all’inizio dell’ap-prendimento è più razionale concentrarsisulle sensazioni del movimento globale delcorpo (scivoli, posture, idrodinamicità) e solosuccessivamente concentrarsi sulle sensa-zioni locali che a nostro avviso possonoessere ben rappresentate dagli esercizi diremata..

Un influsso determinante su questa capa-cità cinestesica specifica viene dato dalprimo “rapporto con l’acqua”. L’importanzadi questo “rapporto con l’acqua” è sottoli-neata negli esercizi di ambientamento. Illivello di scivolamento, di “senso d’acqua” edi galleggiamento dipendono dalle primissi-me esperienze e contatti con l’elementoliquido.Partendo dal primo impatto psicologico(disponibilità, serenità, abbandono, control-lo, padronanza, esplorazione, autonomia)viene elaborato un modello operativo men-tale tanto più efficace, quanto più naturale.Dal momento che per l’uomo, a seguito difattori filogenetici, ogni abilità in acquadeve essere acquisita, risulta fondamentaleorientare l’apprendimento verso automati-smi più corretti (o meglio meno scorretti e ilpiù possibile trasferibili). La capacità di mantenere “plastico” il SNC.attraverso opportuni esercizi di sensibilizza-zione consente la creazione e il manteni-mento di mappe motorie elastiche. Essecostituiscono quel patrimonio motorio,senso-percettivo e coordinativo che accom-pagnerà il soggetto per tutto il suo “percor-so acquatico”, aiutandolo negli interventiper modificare il gesto tecnico nel momentoin cui dovesse acquisire per errore unmodello cinematico scorretto e poco ergo-nomico o avesse la necessità di apprendereuna nuova tecnica esecutiva.Occorre evidenziare, quindi, come scivolarein acqua non sia esclusivamente di primariaimportanza nell’insegnamento di base, magiochi anche un ruolo centrale in tutta lapreparazione natatoria successiva, soprat-tutto nell’ambito particolare delle partenze edelle virate (Cazorla 1993). Anche secondo Pedroletti (1997), scivoli eremate, citati come elementi di metodologiadell’allenamento, sono molto importanti peril raggiungimento della performance otti-male nel nuoto.La capacità di percepire il corpo che penetranell’acqua e il fluido che scivola intorno alnuotatore, così come la capacità di indiriz-zare adeguatamente il flusso dell’acquaattraverso gli esercizi di remata, sono quindiuna prerogativa importante per l’atleta dipunta e contemporaneamente un obiettivofondamentale nel nuoto giovanile.Riassumendo, i più importanti criteri daconsiderare per valutare le capacità senso-percettive dei nuotatori sono: la capacità discivolamento, valutabile a differenti livelli diabilità (Cazorla 1993; Pedroletti 1997) eintesa come sensazione del movimento glo-bale del corpo (Starosta 2004); l’abilità diremata (Pedroletti 1997), intesa come sen-sazione locale di una parte, la mano(Starosta 2004), che gioca comunque unruolo fondamentale nella nuotata (Colwin2002); la fiducia nell’acqua, riguardante

prevalentemente le prime fasi di sviluppoacquatico e collegabile ad una maggiorefiducia e sicurezza in se stessi e che consen-te di evitare che un approccio emozionaleinadeguato comprometta lo sviluppoacquatico futuro. Diem et al. (1982) in parti-colare tra il 1971 e il 1978 hanno effettuatouno studio longitudinale per verificare comeil nuoto per baby (durante il primo anno divita) potesse influenzare la personalità delbambino. I soggetti partecipanti ai corsi perbaby rispetto ad un gruppo di controllodimostrarono più disposizione ad adattarsialle nuove situazioni, più confidenza e sicu-rezza in se stessi, una maggiore ricerca diindipendenza. Per Mc Graw (1939) similiadattamenti sarebbero specifici e relativisolamente all’ambiente acquatico.

Finalità delle capacità senso-percettive e coordinativenel nuoto sportivo

Integrando e sintetizzando i concetti espres-si nei paragrafi precedenti è possibile affer-mare che nel nuoto, tanto nelle specialità incui predominano forza e resistenza quantoin quelle in cui predominano forza e velo-cità, sono richiesti elevati livelli di sviluppodella condizione fisica specifica. Ciò nono-stante non si deve dimenticare che, a diffe-renza di altri sport nei quali gli aspetti con-dizionali sono ugualmente fondamentali, inquesto caso il dominio dell’ambiente condi-ziona in gran misura il risultato sportivo.Infatti la tecnica è un tramite tra l’energiachimica e meccanica, un mezzo che permet-te di andare più in fretta sprecando menoenergia (Andolfi 1990; Zamparo, Bonifazi etal. 2005; Zamparo, Pendergast et al. 2005;Zamparo 2006). Per questo possiamo definire il nuotoun’attività sportiva ciclica ad alta valenzacoordinativa con un impegno muscolare diresistenza alla forza veloce.Se ne deduce che l’importanza tecnico-coordinativa e senso-percettiva del nuoto èlegata ad una doppia finalità:

• adattarsi all’ambiente (Colwin 2002):questo significa sviluppare quei processineuromuscolari e percettivo motori chepermettano al nuotatore un miglioramen-to del “senso dell’acqua” attraverso lamemorizzazione di informazioni che pos-sano essere utilizzate come base per lacostruzione e modifica di azioni specifiche.

• ottimizzare le capacità coordinative(Djatschkow 1974; Grosser, Neumaier1986): un corretto sinergismo muscolarefavorisce l’economia delle proprie azioni(espressione di forza resistente) e per-mette l’applicazione di alte capacità diforza e velocità integrate (espressione diforza rapida).

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Secondo diversi autori (Blume 1984; Hirtz1988; Meinel, Schnabel 1984) le capacitàcoordinative determinano in modo decisivola velocità e la qualità di acquisizione dellecapacità tecniche nonché la stabilità e ilgrado della loro possibile applicazionedurante l’allenamento e durante la gara.Ciò evidenzia che lo sviluppo mirato dellecapacità coordinative (Farfel 1988) è unabase decisiva per il raggiungimento di unlivello tecnico più alto in un minor tempo. Le sensazioni cinestesiche costituisconoil livello più alto delle capacità coordina-tive perché proprio grazie ad esse è pos-sibile produrre un movimento con eleva-ta precisione spaziale, temporale e diapplicazione della forza (Starosta 1992,2004).Il miglioramento della tecnica è subordinatoal continuo feed-back fornito soprattuttodalle sensazioni cinestesiche che rappresen-tano un elemento fondamentale per rag-giungere un elevato controllo e precisionedei movimenti.Farfel (1988) e Starosta (2004) hanno evi-denziato in varie ricerche condotte sullediverse abilità tecniche che il metodo menoefficace di apprendimento è quello dellaripetizione costante dello stesso compito. Ilmetodo più efficace sarebbe quello dell’ap-prossimazione o contrasti; più in particolarequello dei “piccoli contrasti” cioè l’avvicina-mento o allontanamento progressivo al/dalcompito e con piccole variazioni. Stimolare l’apparato sensoriale con situa-zioni nuove e sconosciute obbliga ad uncontinuo adattamento e stato di allertadelle sensazioni cinestesiche e determinaun abbassamento della soglia di sensibilità(Starosta 1992, 2004).Una miglior “impronta tecnica” garantitada un efficace supporto bio-informazio-nale consente di esprimere movimenti piùergonomici, una maggiore efficacia nellaspinta propulsiva e quindi una maggioreprestazione.

Per un’ottimale discriminazione senso-percettiva e quindi per quello che abbiamodefinito “senso d’acqua”, risulta fonda-mentale il grado di coordinazione inter-muscolare e intramuscolare.Per Schicke (1982) nel nuoto sportivodomina la capacità coordinativa di diffe-renziazione. Questa capacità, sulla base dipercezioni di forza, tempo e spazio, con-sente di raggiungere un’elevata precisionenell’esecuzione delle proprie azioni. Perraggiungere una forte spinta propulsivaoccorre una struttura spazio-temporale etemporale-dinamica precisa dal punto divista delle abilità tecnico-natatorie.Sulla base di una marcata capacità di diffe-renziazione è possibile sviluppare un’econo-mia di movimenti in crescente miglioramen-to che dipende tra l’altro dal livello dellacapacità di distensione dei muscoli. Comegià evidenziato, l’economia dei movimenti èun aspetto importante per uno sviluppoadeguato delle capacità condizionali.Studi di Hirtz (1988) sulla capacità di diffe-renziazione cinestesica (figura 6) mostranoun miglioramento progressivo tra i sette egli otto anni. Vi è poi un ulteriore migliora-mento a partire dai nove-dieci anni con unprimo punto culminante intorno ai dodici-tredici anni (75% circa) cui fa seguito un piùlungo periodo di poco sviluppo o stagnazio-ne. Questa fase di iposviluppo, che si collocadurante la pubertà, è da ricondurre alrepentino sviluppo morfo-fisiologico ed allascarsa attività motoria. Lo sviluppo riprende,quindi, fino ad un nuovo punto culminanteintorno ai ventuno anni per i maschi, conun anticipo di uno-due anni per le femmine,in relazione alla loro anticipata maturazione. Secondo Hirtz un allenamento motoriocostante eviterebbe la stagnazione di questacapacità.Starosta (2004) evidenzia una serie di com-ponenti della capacità di differenziazioneche possiamo riferire in particolare al nuotosecondo i seguenti adattamenti:

• movimenti con utilizzo mirato dei musco-li propulsori;

• movimenti simmetrici delle differenti partidel corpo (consentono di percepire e com-pensare, dove sussiste, l’esistenza di alcunisbilanciamenti muscolari che potrebberocondizionare l’aspetto tecnico);

• capacità di rilassamento muscolare (peresempio nelle fasi di recupero aereo perindurre un minor affaticamento a livellolocale);

• azioni più fluide in accordo con i principiidrodinamici (utilizzo razionale delle resi-stenze dell’acqua; limitazione di onde evortici frenanti; capacità di sfruttare ilflusso delle masse d’acqua in modo pro-pulsivo);

• ottimizzazione delle spinte propulsive;• regolazione di tono e assetto in acqua

(inibizione dei riflessi di raddrizzamento;capacità di rendere il capo indipendentedal tronco durante le azioni respiratorie;capacità di rendere il capo solidale con iltronco per stabilizzare le azioni propulsiveo utilizzarlo come “timone” durante par-tenze e virate).

Per Schicke (1982) il livello delle altre capa-cità coordinative importanti per il nuotosportivo (capacità di ritmo, capacità di abbi-namento delle azioni) viene determinato inforte misura da come si percepiscono ecome si possono riprodurre esattamente iparametri temporali, spaziali e dinamici, cioèquando esiste un alto livello di capacità didifferenziazione. L’alto valore della capacitàdi differenziazione risulta inoltre dal fattoche durante lo sviluppo delle capacità con-dizionali occorre un allenamento in diversiambiti di velocità e che durante la gara losvolgimento della competizione deve essereadeguato alle specifiche esigenze.Possiamo sintetizzare e concludere che leargomentazioni relative alle capacità coor-dinative e di differenziazione fino ad oradescritte possono essere interpretate nelconcetto di acquaticità.

20

18

16

14

12

106 8 10 12 14 16 18 20 22 24

Maschi

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Età

Figura 6 – Sviluppo delle capacità di differenziazione secondo Hirtz (1988).

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L’acquaticità rappresenta quel processoadattivo dinamico alle condizioni morfo-fisiologiche e neuro-motorie che mutanonel tempo, che si determina a seguito dellosviluppo e dell’allenamento, processo cherisulta prioritario a qualunque livello dellastoria natatoria di ogni atleta.

A partire da questa accurata analisi delruolo delle capacità senso-percettive e coor-dinative nel nuoto, il Laboratory of SportsAnalysis della Facoltà di Scienze Motoriedell’Università degli Studi di Milano haavviato numerosi studi sull’argomento e staanalizzando una proposta metodologica

volta all’individuazione di pratici sistemi divalutazione ed allenamento specifico nellapreparazione dei nuotatori che sarà oggettodi un prossimo articolo.

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Indirizzo degli Autori:Pietro Invernizzi: [email protected]

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Dario Colella, Milena Morano, Corso di Laurea in Scienze delle Attività motorie e sportive, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Foggia; Laura Bortoli, Facoltà di Scienze dell’Educazione motoria, Chieti; Corso di Laurea in Scienze delle Attività motorie e sportive, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Foggia

Analisi e confronto dei metodi di valutazione dei livelli di attività fisica, con particolare riferimento all’età evolutiva

Metodi di valutazione dei livelli di attività fisica

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L’evidenza scientifica dei benefici indotti dall’attività fisica ha alimentatoil bisogno di valutare in maniera validaed affidabile i livelli attraverso cui essa si realizza, al fine di identificare specificitrend relativi ai modelli di stili di vitafisicamente attivi e di individuare e personalizzare azioni finalizzate alla promozione della salute e del benesserenelle diverse fasce di età. Il presentelavoro intende proporre un contributometodologico per la prescrizione dell’attività fisica finalizzata ad obiettividiversi. Dopo aver analizzato il ruolopreventivo delle attività fisiche, con particolare riferimento all’età evolutiva,si presentano i metodi di valutazione dei livelli di attività fisica, più validi ed attendibili, attraverso un esame ed un confronto della letteratura.

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Introduzione

La crescente consapevolezza dei beneficiindotti dall’attività fisica ha alimentato ilbisogno di valutare in modo valido edattendibile i livelli attraverso cui essa sirealizza, necessari ad assicurare un effica-ce processo sia di prevenzione sia di edu-cazione al movimento. Individuare ed uti-lizzare metodi di valutazione dei livelli diattività fisica, affidabili e validi, consentedi identificare specifici trend relativi aimodelli di stili di vita fisicamente attivi,individuare e pianificare azioni finalizzatealla promozione della salute e del benesse-re nelle diverse fasce di età, personalizzareun piano metodologico.

Lo studio dei livelli di attività fisica e deirelativi metodi di controllo è pluridisciplina-re; esso coinvolge diversi ambiti scientifici(metodi e didattiche delle attività motorie esportive, medicina dello sport, cardiologia,pediatria, endocrinologia), poiché può esse-re correlato con la programmazione diinterventi preventivi e con la verifica del-l’efficacia di eventuali interventi terapeutici.D’altronde, il livello di attività fisica quoti-diana del soggetto è strettamente legatoalla qualità della vita sia di un individuosano sia di un individuo con patologie e, sepersonalizzato, migliora lo stato di salute eriduce il rischio di malattie.Le Raccomandazioni provenienti da Orga-nizzazioni e Ministeri riguardanti la neces-sità di svolgere sistematicamente una deter-minata quantità di attività motorie quoti-diane, sollecitano l’analisi dei principalimetodi per la sua valutazione periodica e lascelta delle stesse attività. Una misura accu-rata e riproducibile dell’attività fisica è diffi-cile, in modo particolare per i bambini, equesto è il limite fondamentale della ricercacondotta in questo campo. Tutti i metodi egli strumenti presentano vantaggi e svan-

taggi e l’analisi dei livelli di attività puòessere attuata attraverso metodi diversi, macomplementari, soprattutto in riferimentoalle differenti esigenze socioculturali deigiovani.Lo scopo del presente lavoro è quello diproporre un contributo metodologico allostudio di una fase del processo attraversocui si giunge alla prescrizione dell’attivitàfisica finalizzata ad obiettivi diversi. Dopo aver analizzato il ruolo preventivodelle attività fisiche, con particolare rife-rimento all’età evolutiva, si presentano imetodi di valutazione dei livelli di attivitàfisica, più validi ed attendibili, attraversoun esame ed un confronto della lettera-tura.

La problematica

È universalmente riconosciuto che l’attivitàfisica sistematica è un importante determi-nante di salute e di benessere nei bambini enei giovani. Recenti evidenze scientificheindicano che bassi livelli di attività fisica inetà scolare sono correlati ai rischi di malat-tia cronica (come diabete di tipo II, patolo-gie cardiache, osteoporosi e alcuni tipi dicancro) e di sovrappeso e obesità in etàadulta (Strong et al. 2005). Tale evidenzaha generato un interesse scientifico pluri-disciplinare volto ad approfondire il cosid-detto fenomeno del tracking, secondo cuiun’alterazione o un comportamento speci-fico presente in età pediatrica tende a per-petuarsi, almeno in una certa misura, nel-l’età adulta (Malina 2001; Iughetti, DeSimone 2005).Nonostante la mancanza di dati longitu-dinali, i risultati di alcuni studi suggeri-scono, infatti, che l’introiezione di unmodello comportamentale “attivo” duran-te l’infanzia e l’adolescenza è importantenel generare l’abitudine all’attività fisica inetà adulta (Malina 1996, 2001; Pate et al.

1996; Beunen et al. 1997; Telama et al.1997; Kemper et al. 2001; McMurray et al.2003). Tuttavia, nonostante l’attività fisica svolgaun ruolo di primaria importanza per lasalute ed il benessere dell’individuo, i livelliminimi raccomandati sono lontani dall’es-sere praticati e dal divenire un elementoche caratterizza lo stile di vita personale(Miur/Federalimentare 2005). Secondo l’ultimo rapporto dell'Internat-ional Obesity Task Force, gli adolescentiitaliani sono più “pigri” della media euro-pea: ciò risulta sia per il minor numeromedio di giorni in cui praticano almeno 60minuti di attività fisica, sia per il numerodi ragazzi che affermano di praticare,

almeno cinque giorni la settimana, almeno60 minuti di attività fisica (OMS/HBSC2006). La prevalenza dell’abitudine a svol-gere regolarmente o occasionalmente atti-vità fisico-motoria decresce notevolmentepassando dal Nord Italia al Sud e alle Isolee con l'aumentare dell'età e del grado discolarità (Ministero della Salute 2003). La crescente consapevolezza che bambinie giovani non sono sufficientemente attiviha sollecitato, negli ultimi dieci anni,numerose organizzazioni internazionali aformulare linee guida sui livelli e sulletipologie di attività considerati idonei perottenere un miglioramento dello stato disalute a medio e a lungo termine (CAH-PERD 1988; Sallis, Patrick 1994; NationalCentre for Chronic Disease Prevention andHealth Promotion 1996; Public HealthAgency of Canada/Canadian Society forExercise Physiology 2002; Saris et al. 2003;PCPFS 2003; Department of Health andAging 2004; NASPE 2004; U.S. Departmentof Health and Human Services/U.S.Department of Agriculture 2005) Tali raccomandazioni mancano, però, diforti basi sperimentali in relazione non

FOTO MARIO BELLUCCI FOTO MARIO BELLUCCI

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solo al numero di studi disponibili, maanche alla validità di questi sulla basedelle metodologie utilizzate e della coe-renza dei risultati ottenuti. La conoscenzadei livelli di attività fisica durante l'infan-zia e l'adolescenza risulta, infatti, ancorascarsa. In particolare, non solo la mancan-za di dati longitudinali rende difficile ana-lizzare il fenomeno del tracking e, conse-guentemente, gli effetti dell’attività fisicasulla salute a medio-lungo termine deibambini, ma anche l’utilizzo degli stru-menti di misurazione e di protocolli distudio differenti ha reso sinora difficileogni eventuale comparazione. La problematica risulta ancora più ampia sesi considera che la maggior parte dellericerche si è concentrata per lo più sugliincrementi relativi all’efficienza fisica piut-tosto che su quelli riguardanti i livelli diattività fisica dei bambini. I risultati relativiai test di efficienza, utili per analizzare losviluppo delle capacità motorie, non forni-scono dati anche sulla valutazione dei livel-li di attività fisica. Inoltre, essa è spessomisurata esclusivamente in termini di costocalorico, non tenendo, cioè, conto di tuttigli aspetti che la caratterizzano, come latipologia (es. spontanea o organizzata,aerobica o anaerobica, professionale), l’in-tensità, l’efficienza, la durata, la frequenzae il costo energetico specifico dell’attivitàpraticata (Goran 1998).La mancanza di forza delle evidenze scien-tifiche a sostegno delle raccomandazionispecifiche per bambini e giovani non è daconsiderare prova di inefficacia dei risultatisperimentali, ma evidenzia spunti e direzio-ni per ulteriori ricerche. In quest’ottica, l’in-dividuazione di metodi di valutazione deilivelli di attività fisica validi ed attendibili

per la popolazione giovanile, è di fonda-mentale importanza per la determinazionedei livelli di intensità specifici, i quali costi-tuiscono sia gli indicatori degli stili di vita edelle motivazioni intrinseche al movimentosia i presupposti per la personalizzazionedei processi di insegnamento-apprendi-mento motorio (figura 1).

La valutazione dei livelli di attività fisica

In relazione al tipo di informazione cheforniscono, i metodi di valutazione deilivelli di attività fisica possono essere clas-sificati in soggettivi (o di self-report) edoggettivi.

Gli strumenti di misurazione soggettivisono:

• diari e agende• questionari e interviste• check-list

I metodi di valutazione oggettivi sono:

• osservazione diretta• acqua doppiamente marcata• podometri• accelerometri• cardiofrequenzimetri• calorimetria indiretta

Nessuno strumento è in grado di valutaretutti gli aspetti relativi all’attività fisica(Oppert 2006); tutte le tecniche disponibilipresentano, infatti, vantaggi e svantaggi(Goran 1998). La scelta dello strumento divalutazione più adatto dipende dagli obiet-tivi e dall’oggetto di studio, dalle caratteri-stiche e dalla numerosità del campione edalle risorse disponibili.

Metodi soggettivi

Gli strumenti soggettivi, come i diari, leagende, i questionari e le indagini sonometodiche non invasive, di semplice utiliz-zo e di basso costo. Possono essere auto-somministrati o richiedere la presenza dipersonale specificamente preparato per lacompilazione. Tali strumenti sono generalmente validi edattendibili, ma – proprio perché soggettivi– possono essere influenzati da fattoricome la memoria, la razza, la cultura o lostatus socioeconomico del campione inesame.

Le Raccomandazioni sui livelli di attività fisica quotidiana, specifiche peri bambini ed i giovani, sono di recente sviluppo. Prima del 1990, i livelli diattività fisica in età scolare erano valutati considerando le linee guida perl’età adulta, non tenendo, cioè, conto delle differenze relative ai comporta-menti motori tra bambini ed adulti. Alcuni studi (Bailey et al. 1995; Sallo,Silla 1997; Nilsson et al. 2002) hanno evidenziato che i comportamentimotori tipici di un bambino sono estremamente variabili e non organizzati;essi includono generalmente scatti brevi e frequenti di attività fisica mode-rata ed intensa, differendo in maniera significativa da quelli osservati negliadulti, e rendendone problematica la valutazione (Sirard, Pate 2001).Le raccomandazioni formulate negli ultimi anni per bambini e giovani hannopreso in considerazione le differenze relative ai bisogni di movimento perfasce di età, ma rimangono piuttosto prudenti in termini di tempo e didurata dell’attività fisica. Pur mancando di forti basi empiriche e sperimen-tali, esse prevedono accordo unanime su quanto segue:

• I bambini ed i giovani dovrebbero praticare almeno 60 minuti di attivitàfisica quotidiana (CAHPERD 1988; Sallis, Patrick 1994; National Centerfor Chronic Disease Prevention and Health Promotion 1996; PublicHealth Agency of Canada/Canadian Society for Exercise Physiology2002; Saris et al. 2003; PCPFS 2003; Department of Health and Aging2004; NASPE 2004; U.S. Department of Health and HumanServices/U.S.Department of Agriculture 2005).

• La maggior parte di tale attività deve essere realizzata mediante breviperiodi di attività intensa (PCPFS 2003; Department of Health andAging 2004; NASPE 2004), della durata pari o superiore ai 15 minuti(NASPE 2004).

• I bambini ed i giovani dovrebbero partecipare a differenti tipologie e livellidi intensità di attività fisica; dovrebbero essere incoraggiati a partecipare adiverse attività di movimento (CAHPERD 1988; Sallis, Patrick 1994;National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion1996; Public Health Agency of Canada/Canadian Society for ExercisePhysiology 2002; Saris et al. 2003; PCPFS 2003; Department of Healthand Aging 2004; NASPE 2004; U.S. Department of Health and HumanServices/U.S. Department of Agriculture 2005) che siano adeguate allaloro età (Sallis, Patrick 1994; PCPFS 2003; NASPE 2004), e a ridurre iltempo impiegato in attività sedentarie (Public Health Agency ofCanada/Canadian Society for Exercise Physiology 2002; Department ofHealth and Aging 2004; NASPE 2004; U.S. Department of Health andHuman Services/U.S. Department of Agriculture 2005). Lunghi periodi(es. due o più ore al giorno) di sedentarietà sono associati ad un decre-mento dei livelli di attività fisica e ad un aumento del rischio di sovrappesoe di obesità (CAHPERD 1988; Public Health Agency of Canada/CanadianSociety for Exercise Physiology 2002; Saris et al. 2003; Department ofHealth and Aging 2004; NASPE 2004; U.S. Department of Health andHuman Services/U.S. Department of Agriculture 2005).

Metodologie personalizzate ed adattate per

l’apprendimento e lo sviluppo motorio

Metodi di valutazione

dei livellidi attività

fisica

Determinazione dei livelli

di attività fisica

Funzionalità di sistemi

ed apparati

Figura 1 – Relazioni tra i metodi di valutazione,determinazione dei livelli di attività fisica aprocesso preventivo e formativo.

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CARATTERISTICHE

Strumento Modalità di Periodo Parametri misurati: Scala somministrazione valutato tipo/freq/dur/intens/sed di misura Attività abituale Godin Shephard Questionnaire intervista 7 giorni no/si/si/si/no MET totale o autocompilato

World Health Organisation Health behaviour in school autocompilato 7 giorni no/si/si/no/no Durata settimanale children (WHO HBSC) survey tipica dell’AF

Adolescent physical activity autocompilato 7 giorni si/si/si/no/no Durata & EE settimanali recall questionnaire (APARQ)

Children’s leisure activities autocompilato 7 giorni si/si/si/no/no Durata & EE settimanali study survey (CLASS) tipiche dell’AF ≥ 2 giorni precedenti 7-d physical activity recall intervista 7 giorni no/no/si/si/no EE settimanale (7-d PAR) o autocompilato in AF

Weekly activity checklist (WAC) autocompilato 7 giorni si/no/no/no/no Frequenza METb modificato

7-d tally autocompilato 7 giorni no/si/no/no/no N° giorni di A

Weekly active sum autocompilato 7 giorni si/si/no/no/no EE quotidiana in AF

7-d Physical activity questionnaire autocompilato 7 giorni si/si/no/no/no A da 1 a 5 for older children (PAQ-C)

7-d Physical activity questionnaire autocompilato 7 giorni si/si/no/no/no A da 1 a 5 for adolescent (PAQ-A 3-d sweat recall intervista 3 giorni no/si/no/no/no N° episodi di forte resp/sudore 3-d aerobic recall intervista 3 giorni no/si/no/no/no Come sopra 1 giorno precedente Aerobic activity same day recall intervista 1 giorno si/si/si/no/no Durata quotid dell’AF modificato/intervista o auto

Previous day physical activity autocompilato 1 giorno si/si/si/si/si EE quotid (MET-30m) recall (PDPAR)

Child/adolescent activity autocompilato 1 giorno si/si/si/no/no EE quotid. in AF log (CAAL) Durata quotid. dell’AF

Yesterday active checklist autocompilato 1 giorno si/si/no/no/no Frequenza MET

Four by 1-d recalls intervista 1 giorno no/si/si/si/no EE quotid. in AF

Self-administered physical activity autocompilato 1 giorno si/si/si/si/si EE quotid. in AF checklist (SAPAC) modificato Durata quotid. dell’AF Multimedia 1 giorno precedente Computer delivered physical autocompilato 1 giorno si/si/si/si/si EE quotid. in AF activity questionnaire (CDPAQ) via computer Durata quotid. dell’AF

Computerized activity recall autocompilato 1 giorno si/si/si/no/si EE quotid. in AF (CAR) via computer Durata quotid. dell’AF

ACTIVITYGRAM autocompilato 1 giorno si/si/si/si/si EE quotid. (MET-30m) via computer Durata quotid. dell’AF

Tabella 1 – Caratteristiche e affidabilità degli strumenti soggettivi più comunemente utilizzati per la valutazione dell’attività fisica in età evolutiva (adattato da **p<0,01; ***p<0,001, nr: non riportato; ICC = coefficiente di correlazione intra-classe. a L’età dei partecipanti è riportata in gradi scolastici o in anni (media ± d

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AFFIDABILITÀ

Studio Campione Età (gradi Periodo Correlazione Risultati o anni)a di somministrazione statistica

(Godin e Shephard 1985) 698 M/F gradi 7-9 2 settimane Non specificato r=0,84nr(Sallis et al. 1993) 102 M/F gradi 5, 8, 11 2 settimane Pearson r=0,81***

grado 8 M: 67%(Booth et al. 2001) 121 M/F gradi 8, 10 2 settimane % accordo grado 8 F: 70%

grado 10 M: 85% grado 10 F: 70%

(Booth et al. 2002) 121 M/F gradi 8, 10 2 settimane % accordo Estate: 67-80% Inverno: 73-83%

Telford et al. 2004) 111 M/F 10,6 ± 0,8 1 settimana ICC r=0,36** (test-retest)

(Sallis et al. 1988) 290 M/F 12 stesso giorno Pearson r=0,78*(Sallis et al. 1988) 102 M/F gradi 5, 8, 11 2-3 giorni Pearson r=0,79***

4-6 giorni r=0,45***

(Sallis et al. 1993a) 66 M/F 9 3 giorni ICC r=0,74*(Mota et al. 2002) 30 M/F 8-16 1 settimana ICC r=0,71*

(Sallis et al. 1993a) 66 M/F 9 3 giorni ICC r=0,68*

(Sallis et al. 1993a) 66 M/F 9 3 giorni ICC r=0,51*

(Crocker et al. 1997) 84 M/F 9-14 1 settimana ICC r=0,75* 1 settimana ICC r=0,82*

(Kowalski et al. 1997) 95M/F 13-18 3 volte in 1 anno Coefficiente G=0,90 di generalizzabilità

(Janz et al. 1995) 30 M/F 11,2 ± 2,0 1 mese ICC r=0,30*

(Janz et al. 1995) 30 M/F 11,2 ± 2,0 1 mese ICC r=0,54

(test-retest)

(Janz et al. 1992) 12 M/F 7-15 12 ore Non specificato r=0,90*

(Weston et al. 1997) 90 M/F gradi 8-11 30 min Pearson r=0,98*

(Garcia et al. 1997) 25 M/F 12 45 min Non specificato r=0,95*

(Sallis et al. 1993a) 66 M/F 9 3 giorni ICC r=0,60*

(Cale 1994) 12 M/F 11-14 4 settimane Non specificato r=0,62*

(Treuth et al. 2003) 68 F 9,0 ± 0,6 4 giorni ICC r=0,80*** (test-retest)

(Ridley et al. 2001) 15 M/F 12,1 ± 0,5 125 min ICC r=0,94*

(McMurray et al. 1998) 22 M/F 12-14 1 settimana ICC r=0,61**

(Treuth et al. 2003) 68 F 9,0 ± 0,6 1 giorno x 3 volte ICC r=0,24**

Ridley 2005). Note: Parametri misurati: tipo/frequenza/durata/intensità/comportamenti sedentari; EE: spesa energetica; A: attività; AF: attività fisica; *p<0,05;deviazione standard); b Frequenza MET: si ottiene dalla somma dei prodotti delle frequenze di ciascuna attività.

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L’evidenza scientifica che sostiene l'affida-bilità e la validità degli strumenti soggettivipiù comunemente utilizzati per stimare ilivelli di attività fisica nella popolazioneinfantile, risulta contraddittoria. Negli studidisponibili – considerevolmente diversi perobiettivi e metodologia utilizzata – il cam-pione differisce significativamente per età,sesso e status socio-economico, rendendo,di conseguenza, difficile ogni eventualecomparazione (tabella 1).Anche i questionari che rappresentano lametodica più diffusa di valutazione dell’at-tività fisica, presentano alcuni svantaggi.

La difficoltà più grande relativa al loro uti-lizzo in età evolutiva, consiste nella capacitàdel bambino (o del genitore o dell’insegnan-te) di ricordare in maniera accurata le atti-vità svolte nel periodo precedente alla som-ministrazione (Goran 1998; McCormack,Giles-Corti 2002). È stato dimostrato che i bambini riescono aricordare solo il 50% delle attività effettua-te nella settimana precedente (Goran 1998)e che l’esattezza dei loro ricordi varia infunzione dell’età, con correlazioni più altenegli adolescenti (Kohl et al. 2000): i risul-tati di alcuni studi raccomandano, infatti,l’utilizzo dei questionari su campioni di etàsuperiore ai dieci anni (Aaron et al. 1995;Crocker et al. 1997).Un’altra difficoltà consiste nel tradurre leinformazioni qualitative ottenute in datiquantitativi – specifici per i bambini – rela-tivi alla spesa energetica delle varie attivitàeffettuate: i dati disponibili in letteraturapresentano ancora numerosi limiti e neces-sitano di ulteriori indagini (Goran 1998).Anche la capacità dello strumento di misu-

rare la natura sporadica dell’attività fisicadella popolazione infantile risulta piuttostodiscutibile: la variabilità inter ed intra-indi-viduale nel praticare una determinata atti-vità fisica non permette quasi mai una defi-nizione dei reali dispendi energetici connessicon le molteplici attività quotidiane e/osportive (Welk et al. 2000a). Inoltre, gli strumenti che si occupano inlarga misura delle attività di tempo liberoorganizzate possono non tener conto delleattività ludiche o ricreativo-spontanee (Kohlet al. 2000) – caratteristiche dell’attività fisi-ca dei bambini – e tendono, talora, asopravvalutare la spesa energetica inclu-dendo anche il tempo non effettivamenteimpiegato in attività motorie (Montoye et al.1996; Oppert 2006).

Metodi oggettivi

Gli strumenti oggettivi sono metodiche piùprecise rispetto a quelle soggettive, dalmomento che non subiscono l’influenza difattori umani. Secondo alcuni Autori (Scho-eller et al. 1986; Maffeis et al. 1995), lamigliore misura della spesa energetica perl’attività fisica in condizioni di vita libera èdata dalla combinazione del metodo dell’ac-qua doppiamente marcata con la calorime-tria indiretta; tuttavia, il costo elevato nelimita l’utilizzo su piccoli gruppi.

Diari e agendeI diari e le agende richiedono ai partecipanti diregistrare periodicamente le proprie attività intermini di tipo, durata, intensità e frequenzaper un periodo di tempo variabile da pocheore a qualche giorno. È possibile tradurre l’at-tività fisica in dispendio energetico totalemediante specifiche tabelle di classificazionedel costo energetico delle varie attività.Ainsworth et al. (2000) elencano 605 attivitàspecifiche, ciascuna assegnata ad un livello diintensità basato sulla stima della spesa ener-getica espressa in METs, cioè multipli dellaspesa energetica basale. Un MET è definitocome la spesa energetica in condizione diriposo che, per un adulto di età media, corri-sponde approssimativamente a 3,5 ml di ossi-geno assunto per chilogrammo di peso corpo-reo al minuto (1,2 kcal/min per un individuo di70 kg), (U.S. Department of Health andHuman Services et al. 1999). Tuttavia, letabelle di classificazione del costo energeticosono state elaborate principalmente a partireda valutazioni effettuate su individui sani dietà media e, di conseguenza, la loro applica-zione in relazione ad altre popolazioni o situa-zioni patologiche può essere limitata (U.S.Department of Health and Human Serviceset al. 1999; Oppert 2006). La metodica deldiario/agenda è poco costosa e applicabilecontemporaneamente a più soggetti la cuidisponibilità ed accuratezza nella compilazionerisultano cruciali per eseguire una registrazio-ne la più fedele possibile delle proprie attività.Per tale motivo essa non è adatta alle popola-zioni infantili e risulta tanto più dispendiosa alcrescere della numerosità della popolazione distudio e del periodo di osservazione (Mezzani,Giannuzzi 2000).

Questionari e intervisteI questionari rappresentano il metodo più dif-fuso di valutazione dell'attività fisica abituale(Montoye et al. 1996; Vuillemin et al. 1998;Oppert 2006). Le domande – che nel caso dell’intervistasono poste da un ricercatore – indagano iltipo, la frequenza, l’intensità e la durata del-l’attività fisica di un individuo. Esse possono

riguardare un periodo da uno a più giorni, auna settimana o pochi mesi, sino all’interoanno precedente e vengono generalmentescelte in relazione agli obiettivi dello studio ealla popolazione in esame. Come per i diari ele agende, il dispendio energetico complessi-vo è ricavato dall’uso di specifiche tabelle distima del costo energetico delle varie attività:tale utilizzo può, tuttavia, introdurre errorivalutativi legati a discrepanza di età e/o dinazionalità fra la popolazione in esame equella da cui le tabelle sono state ricavate(Mezzani, Giannuzzi 2000; Oppert 2006).La metodica del questionario/intervista è pococostosa, veloce da eseguire e ideale per lo stu-dio di grandi popolazioni. Essa può essere con-cepita specificamente per popolazioni di età,lingua, ambiente socio-culturale e/o patologiasovrapponibili (Mezzani, Giannuzzi 2000) e,quindi, preparata adeguatamente per valutarein maniera specifica bambini e giovani.

Acqua doppiamente marcataLa metodica (per una rassegna, cfr. Welk etal. 2000a; Kohl et al. 2000) consiste nell’as-sunzione da parte del soggetto di una quan-tità di acqua contenente una concentrazionenota di isotopi dell’idrogeno (2H) e dell’ossi-geno (18O) i quali, dopo essersi distribuiti nel-l’organismo, lasciano il corpo sotto forma diacqua marcata (2H2O e H2

18O) e, solo nelcaso dell’ossigeno, di anidride carbonica(C18O2). Dalla differenza delle concentrazionidi 2H2O e H2

18O nelle urine è possibile risalirealla produzione di CO2 durante il periodo distudio e, mediante la stima del quozienterespiratorio – non senza un margine di rischiodi errore – al consumo di ossigeno (VO2),(Coward 1988; Davies et al. 1994; Mezzani,Giannuzzi 2000). L’acqua marcata è una tecnica molto accuratache è stata proposta, tra l’altro, come goldstandard per le varie metodiche di valutazionedel livello di attività fisica abituale (Mezzani,Giannuzzi 2000). Essa fornisce informazionicirca il dispendio energetico totale per unperiodo di tempo compreso tra i dieci e i quat-tordici giorni (Melanson, Freedson 1996;O’Connor et al. 2003). Tuttavia, si tratta di unmetodo estremamente costoso e di comples-sa attuazione, applicabile, quindi, su campioninumericamente ridotti e non adatto per valuta-zioni su larga scala dei livelli di attività fisicadei bambini (O’Connor et al. 2003).

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Alcuni studi (Livingstone et al. 1992; Fontvi-eille et al. 1993; Goran et al. 1995) hannoutilizzato tale combinazione metodologicaper misurare la spesa energetica per l’attivitàfisica dei bambini in condizioni di vita libera,evidenziandone valori piuttosto bassi (400kcal/giorno) e confermando che, in etàinfantile, solo una piccola frazione di tempoè impiegata in attività ad alta intensità(Gilliam et al. 1981; Bailey et al. 1995). Gli strumenti oggettivi più adatti per lavalutazione dell’attività fisica dei bambinie dei giovani sono l’osservazione diretta,il cardiofrequenzimetro, il podometro el’accelerometro (Hands et al. 2006). Inmerito alla metodica dell’osservazionediretta, alcuni studi hanno utilizzato laChildren’s Activity Rating Scale (CARS) percomparare differenti livelli di spesa ener-getica in bambini di 5 e 6 anni (Puhl et al.1990), della fascia di età 3-5 (Noland etal. 1990) e 4-5 anni (DuRant et al. 1993),evidenziando un’affidabilità (84,1%; Puhlet al. 1990) e una riproducibilità (r = 0,81;DuRant et al. 1993) dello strumento ele-vate.

Calorimetria indirettaLa metodica (per una rassegna, cfr. Ferrannini1988; Welk et al. 2000a; Kohl et al. 2000)consente di valutare la spesa energetica a parti-re dalla misurazione delle variazioni di concen-trazione di ossigeno e anidride carbonica neigas respiratori e di calcolare, altresì, l’ossidazio-ne dei substrati energetici (glucidi, lipidi, proti-di). La produzione energetica viene calcolatastimando il consumo di ossigeno e trasforman-do, successivamente, i litri di O2 consumati inkcal spese. Per misurare il consumo di ossigenodi un individuo in condizioni di riposo e/o impe-gnato nelle varie attività fisiche, la calorimetriaindiretta si avvale di tecniche a circuito chiusoe/o a circuito aperto (Sacchi di Douglas;Respirometri portatili: di Kofranyi-Michaelis;Oxylog; K4). La tecnica di calorimetria indirettaa circuito aperto – che stima il consumo di ossi-geno e la produzione di anidride carbonica – èquella più comunemente utilizzata, anche per-ché consente di calcolare il QuozienteRespiratorio (QR, definito come il rapporto tramoli di anidride carbonica prodotta e ossigenoconsumato nell’ossidazione) di ciascun nutrien-te. Da esso è possibile determinare quale sub-strato energetico abbia fornito la quota maggio-re di energia durante l’attività fisica che si stavalutando e, quindi, quale valore di equivalentecalorico di 1 litro di ossigeno utilizzare nel calco-lo della spesa energetica (per valori di QR com-presi tra 0,8 e 0,85, si è soliti indicare l’equiva-lente calorico di 1 litro di O2 = 5 kcal). Pur per-mettendo un monitoraggio e un controllo del-l’attività fisica e dell’introito calorico, la metodi-ca risulta applicabile solo per periodi brevi (soli-tamente 30 minuti) e non sempre riproducibilenella popolazione infantile (Goran 1998).

Osservazione direttaQuesta metodica (per una rassegna, cfr.Mckenzie et al. 1991) richiede all’osservatoredi annotare il tipo, la durata, l’intensità e lafrequenza di esecuzione delle attività quotidia-ne del soggetto in esame, il cui dispendioenergetico sarà poi calcolato sulla base ditabelle di classificazione del costo energeticodelle varie attività.L’osservazione diretta è generalmente utilizza-ta per lo studio delle popolazioni infantili(Puhl et al. 1990; Noland et al. 1990;McKenzie et al. 1992; DuRant et al. 1993,1996; Baranowski et al. 1993; Finn, Specker2000) o come “gold standard” contro cuiconfrontare misurazioni del livello di attivitàfisica ottenute con metodi differenti (Klesgeset al. 1985; Freedson, Melanson 1996;Hands et al. 2006). Pur fornendo risultativalidi ed attendibili, è una metodica estrema-mente dispendiosa, specie se è prevista lapresenza di un osservatore per ogni soggettoin esame: risulta, quindi, applicabile solo perperiodi di osservazione brevi (che possononon rappresentare adeguatamente il livello diattività fisica abituale) e su piccoli gruppi(Mezzani, Giannuzzi 2000).

L’affidabilità e la validità dei cardiofre-quenzimetri come misure oggettive delcosto energetico e dei livelli di attivitàfisica dei bambini e dei giovani risultanoancora incerte (Welk et al. 2000a; Sirard ePate 2001). In merito, i dati esistenti inletteratura si riferiscono a un numerolimitato di studi effettuati su campioninumericamente ridotti (Gilliam et al.1981; Emons et al. 1992; Janz et al. 1992;Livingstone et al. 1992; Maffeis et al.1995; Bitar et al. 1996; Freedson, Miller2000); inoltre, nella maggior parte di talilavori (Gilliam et al. 1981; Emons et al.1992; Livingstone et al. 1992; Maffeis etal. 1995) non è stata stimata l’affidabilitàdello strumento.

CardiofrequenzimetriLa metodica (per una rassegna, cfr. Welk et al.2000a; Kohl et al. 2000) consiste nella misu-razione della frequenza cardiaca, variabile fisio-logica notoriamente correlata con il livello diattività fisica abituale dell’individuo. Il cardio-frequenzimetro è uno strumento costituito daun trasmettitore (applicato al torace medianteuna fascia) che ricava la frequenza cardiacadal segnale elettrocardiografico derivato attra-verso due elettrodi – posti a contatto dellacute – e da un orologio da polso che funge daricevitore/registratore. Quest’ultimo visualizza,tra l’altro, la frequenza cardiaca in tempo realee, se collegato al computer, può fornirne l’an-damento nel tempo (in un periodo selezionabi-le dall’operatore) sotto forma di grafico e/o divalori numerici (Mezzani, Giannuzzi 2000).I cardiofrequenzimetri sono strumenti semplici,non invasivi e poco costosi. Possono essereutilizzati per valutare in maniera indiretta ildispendio energetico e la frequenza, l’inten-sità, la durata dell’attività fisica (Hands et al.2006). La stima del dispendio energetico sibasa sulla relazione che lega la frequenza car-diaca al VO2 (e, quindi, al dispendio energeticoaerobico) del soggetto: essa appare più validaper intensità di esercizio >50% del picco diVO2 (Mezzani, Giannuzzi 2000), dal momentoche la correlazione diretta tra frequenza cardia-ca e consumo di ossigeno diventa lineare al disopra di una certa soglia di attività (Oppert2006). Altro limite di questa metodica è costi-tuito dall’esistenza di fattori non legati all’atti-vità fisica (stress, temperatura corporea, far-maci, fattori genetici) che possono indurrevariazioni anche marcate della frequenza car-diaca (Welk et al. 2000a; Mezzani, Giannuzzi2000; Eslinger et al. 2005; Oppert 2006;Hands et al. 2006). Tuttavia, l’associazionedel cardiofrequenzimetro con un sensore dimovimento (es. accelerometro) costituisce unapproccio metodologico interessante per lavalutazione dei livelli di attività fisica (Emons etal. 1992; Bitar et al. 1996; Louie et al. 1999;Oppert 2006).

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Strumento/i Caratteristichea Affidabilità Validità Bibliografia

CSA Accelerometer* Campione: Non rilevante Cammino e corsa: Louie Tritrac Accelerometer N = 21 M di età 8-10 anni SVO2 e CSA (anca sx): r = 0,809 et al. 1999Yamix Digiwalker Pedometer SVO2 e Tritrac (anca dx): r = 0,934 Validati contro: SVO2 e Pedometer (anca sx): r = 0,772 Calorimetria indiretta (SVO2) Attività ludiche: SVO2 e CSA (anca sx): r = 0,881 SVO2 e Tritrac (anca dx): r = 0,934 SVO2 e Pedometer (anca sx): r = 0,931 Tritrac Accelerometer Campione: Non rilevante Attività in classe (organizzate): KilanowskiYamix Digiwalker Pedometer N = 10 bambini di età 7-12 anni CARS e Tritrac (anca): r = 0,70 et al. 1999 CARS e Pedometer (anca): r = 0,80 Validati contro: Attività ricreative (ludico-spontanee): Osservazione diretta (CARS) CARS e Tritrac (anca): r = 0,94 CARS e Pedometer (anca): r = 0,97 CSA Accelerometer* Campione: Non stimata Fairweather Studio 1: Nessun soggetto et al. 1999 Stima delle differenze intra-strumento (IS) (CSA ad accelerometro meccanico) IS: r = 0,98 a 0,99 Studio 2: N = 10 bambini in età prescolare Effetto posizionamento CSA (anca sx-anca dx) Anca sx vs anca dx: durante attività ludiche r = 0,92 Studio 3: N = 11 bambini in età prescolare Confronto CSA - CSA-CPAF: r = 0,87 Children’s Physical Activity Form (CPAF) durante attività ludiche organizzate Caltrac Accelerometer Campione: Non stimata Studenti grado 3 Simons- N = 27 bambini di grado 3 Caltrac and HR: Morton N = 21 bambini di grado 4 r = 0,70 (A moderata) et al. 1994 r = 0,80 (A intensa) Validato contro: Studenti grado 5 HR (Heart rate) telemetria Caltrac and HR: Diario di attività r = 0,57 (A moderata) r = 0,50 (A intensa) CSA Accelerometer* Campione: Affidabilità IC (g) = giorni Non stimata Trost N = 92 bambini di grado 1-3 Gradi 1-3: et al. 2000 N = 98 bambini di grado 4-6 Alpha = 0,46 (1g) N = 97 giovani di grado 7-9 Alpha = 0,77 (4g) N = 94 giovani di grado 10-12 Alpha = 0,86 (7g) Gradi 4-6: Alpha = 0,49 (1g) Alpha = 0,79 (4g) Alpha = 0,87 (7g) Gradi 7-9: Alpha = 0,33 (1g) Alpha = 0,66 (4g) Alpha = 0,77 (7g) Gradi 10-12: Alpha = 0,31 (1g) Alpha = 0,64 (4g) Alpha = 0,76 (7g) CSA Accelerometer* Campione: Correlazioni IC CSA e Tritrac: r = 0,86 OttTritrac R3D Acceleromer N=28 bambini di età 9-11 anni (ultimi 3’ di A) CSA e HR: r = 0,64 et al. 2000 Validati contro: HR (range): r = 0,92-0,99 CSA e METs: r = 0,43 HR (Heart rate) telemetria CSA (range): r = 0,59-0,94 Tritrac e HR: r = 0,73 METs calcolati Tritrac (range): r = 0,60-0,96 Tritrac e METs: r = 0,66 RT3 Accelerometer Campione: Non stimata RT3 (anca dx) con sVO2: Rowlands Tritrac R3D Acceleromer N=19 M di età 9,5 ± 0,8 anni r = 0,87 (bambini) et al. 2004 N=15 M di età 20,7 ± 1,4 anni Validati contro: Tritrac (anca sx) con sVO2: SVO2 r = 0,87 (bambini) Actical Campione: Non stimata Actical con EE: r = 0,83 PuyauActigraph N = 32 bambini e giovani Actical con AEE: r = 0,85 et al. 2004 di età 7-18 anni Validati contro: Actical con HR: r = 0,60 EE stimata con calorimetria Actigraph con EE: r = 0,79 diretta e indiretta HR (Heart rate) Actigraph con AEE: r = 0,82 Actigraph con HR: r = 0,63

Tabella 2 – Affidabilità e validità dei podometri e degli accelerometri per la valutazione dell’attività fisica in età evolutiva (adattato da McCormack,Glies-Corti 2002). Note: sx: sinistra; dx: destra; EE: spesa energetica; A: attività; IC = intra-classe aL’età del campione è riportata in gradi scolastici oin anni (media ± deviazione standard); * CSA Ac (model 7164) conosciuto anche come MTI Ac o Actigraph Ac.

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Infine, gli accelerometri e i podometri sonostrumenti oggettivi affidabili e validi dimisurazione dell'attività fisica in età evolu-tiva (tabella 2). Il loro utilizzo in associazione con gli stru-menti soggettivi rappresenta un approcciometodologico interessante per una valuta-zione ottimale dei livelli di attività fisica.

Conclusioni

Il tema della valutazione dei livelli di attivitàfisica in modo particolare per l’età evolutiva,costituisce un ambito di ricerca e di applica-zione di notevole interesse teorico-praticoperché indica il passaggio da un approcciopluridisciplinare alle scienze delle attivitàmotorie e sportive ad un approccio interdi-sciplinare. Se, in prima battuta, potrebbesembrare una necessità prevalente dell’ambi-to biomedico (ad es. in pediatria per l’attua-zione della terapia nei confronti dell’obesitào nell’attività fisica adattata ai cardiopatici,ecc.), in realtà è un tema di raccordo scienti-fico e metodologico tra più ambiti, al fine diattuare un’azione preventiva attraverso leattività motorie e non va confusa con l’anali-si dei livelli di efficienza/sviluppo motoriocondizionale e coordinativo (indicanti presu-mibili livelli di pratica o sedentarietà).Lo studio sulla valutazione dei livelli di atti-vità fisica e, parallelamente, delle metodolo-gie, infatti, riunisce in un rapporto dialettico,saperi afferenti all’ambito biomedico, meto-dologico, psicopedagogico; costituisce unaproblematica di snodo tra i settori scientifici,è uno dei temi di dialogo interdisciplinareche riafferma l’interdipendenza tra i settoriscientifici che si occupano del movimentoumano. Non solo, la valutazione e l’analisidei livelli di attività fisica permette, in unacornice più ampia, di dare contenuto allafunzione preventiva delle attività fisiche e diconcretizzare, attraverso linee guida scienti-fiche e metodologiche corrette e condivisesia il ruolo delle attività fisiche e sportive perla prevenzione delle malattie ed il migliora-mento della qualità della vita sia il ruolodelle attività fisiche come “farmaco”, cioècome terapia per obiettivi personalizzati. Negli ultimi decenni si è registrato un cre-scente interesse, a livello mondiale, per iltema della salute e per la prevenzione dapromuovere ed attuare attraverso modalitàdifferenti da parte di tutte le agenzie for-mative. La salute dei bambini e degli adole-scenti oggi, infatti, è significativamenteinfluenzata da numerosi fattori, sociali,economici, culturali: informazione, educa-zione, abitudini alimentari, spazi e condi-zioni che favoriscono o limitano la praticadelle attività fisiche, incidono notevolmentesulla salute e la qualità della vita. Le evidenze scientifiche ormai da temposono concordi nel ritenere che l’eserciziofisico costituisca un’attività determinanteper il mantenimento di un corretto equili-brio psico-fisico dell’individuo, in grado dimigliorare in modo significativo la qualitàdella vita e di attuare un’efficace attività diprevenzione di numerose patologie tipichedella società contemporanea. L’analisi deibisogni e dello stile di vita dei bambini e deigiovani, ha evidenziato, infatti, il ruolo pre-

AccelerometriL’accelerometro è uno strumento che, median-te un trasduttore piezoelettrico – capace, cioè,di piegarsi sotto l’effetto di una forza applicatain una certa direzione – misura l’accelerazionedi un determinato segmento corporeo. Durante un movimento, infatti, il segmentocorporeo è sottoposto ad accelerazioni edecelerazioni che determinano un piegamentodel trasduttore; quest’ultimo genera una diffe-renza di potenziale teoricamente proporziona-le alla forza esercitata su di esso e, quindi,all’energia spesa (Montoye et al. 1996; Me-lanson, Freedson, 1996; Westerterp 1999;Oppert 2006).Attraverso sistemi computerizzati, previo inse-rimento di dati riguardanti l’età, il sesso, lastatura e il peso del soggetto, è possibile,quindi, risalire – dall’intensità e dalla frequen-za della corrente prodotta – al consumo ener-getico delle attività effettuate. In alternativa,lo strumento può essere utilizzato come sem-plice contatore dei movimenti del distrettocorporeo cui è applicato (solitamente il fian-co, il polso o la caviglia), (Mezzani, Giannuzzi2000). Esso permette, altresì, di definire iprofili comportamentali individuali relativiall’attività fisica, dal momento che misura laquantità totale e l’intensità di essa (Freedson,Miller 2000; Eslinger et al. 2005; Oppert2006).Gli accelerometri uniassiali (come il Caltrac oil CSA Accelerometer) rilevano movimentieffettuati secondo l’asse verticale, sono dipiccole dimensioni, relativamente leggeri eadatti per le popolazioni infantili (Bar-Or et al.1994; Trost et al. 2002; Hands et al. 2006).Gli accelerometri triassiali (come il Tritrac-R3D), ovvero sensibili ai movimenti effettuatisu tutti e tre i piani dello spazio, sono relativa-mente grandi e pesanti (PCPFS 2004; Handset al. 2006); tuttavia, essi sembrano partico-larmente promettenti in termini di accuratezzadi valutazione del dispendio energetico globa-le (Mezzani, Giannuzzi 2000). La metodica è valida e ripetibile (almeno incondizioni di laboratorio), anche se il suocosto rimane ancora piuttosto elevato perapplicazioni su larga scala (Mezzani, Giannuzzi2000; Hands et al. 2006). Inoltre, l’affidabi-lità dei dati raccolti dipende dal suo posizio-namento sul corpo; in particolare, i bambinipossono incontrare difficoltà nell’applicarecorrettamente tale strumento su di sé (Welk2002), influenzandone, di conseguenza, l'affi-dabilità e la validità.

PodometriIl podometro è uno strumento di piccole dimen-sioni in grado di contare il numero di passicompiuti da un individuo (Montoye et al. 1996;Freedson e Miller, 2000; Oppert 2006). I movi-menti effettuati lungo l’asse verticale determi-nano, infatti, lo spostamento dall’alto verso ilbasso di una leva – contenuta all’interno dellostrumento – la quale giunge a contatto con undispositivo elettronico, permettendo di risalire,così, al numero totale di passi compiuti (Welket al. 2000a; Oppert 2006).Solitamente applicato alla cintura o alla cavi-glia, il podometro è uno strumento poco costo-so e di semplice utilizzo anche per lunghi perio-di (Welk et al. 2000; Tudor-Locke, Myers2001). Alcuni modelli recenti, oltre a contare ipassi effettuati dal soggetto durante il cammi-no o la corsa, offrono informazioni supplemen-tari. Digitando, infatti, dati relativi alla lunghezzadel passo alla statura, al peso, al sesso eall’età dell’individuo, è possibile risalire – dalnumero di passi compiuti – alla distanza per-corsa e alla spesa energetica (Tudor-Locke,Myers, 2001). Tuttavia, il podometro non per-mette di valutare l’intensità del movimento e leattività eseguite da fermo o con scarsa compo-nente verticale, quali il ciclismo o il nuoto(McCormack, Giles-Corti 2002; PCPFS 2004;Ozdoba et al. 2004; Hands et al. 2006).Nonostante questi limiti, tale metodica – idealeper applicazioni su larga scala – risulta relativa-mente accurata (Le Masurier, Tudor-Locke2003; Schneider et al. 2003) e valida (Bassettet al. 1996; Crouter et al. 2003); essa rappre-senta anche uno strumento di pratico utilizzoadatto per la valutazione dell’attività fisica dibambini e adolescenti (Vincent, Pangrazi 2002;Wilde et al. 2004).

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ventivo e formativo delle attività fisiche esportive ed il contributo fondamentale al“ben essere” individuale, inteso non solosotto l’aspetto della tutela dell’integrità edella salute fisica ma anche sotto l’aspettopsicologico e socioaffettivo. La prevenzione attraverso le attività motoriee sportive è necessario però che sia corretta. Molto spesso la consapevolezza da parte digenitori ed insegnanti dell’importanza delleattività motorie coincide con la scelta delleattività stesse (quale attività o sport svolgeredurante l’età evolutiva) ma ciò può conside-rarsi solo una tappa che richiede, contestual-mente, anche la valutazione di alcuni para-metri relativi all’esecuzione motoria (cioè,come attuarla): la quantità e la durata diattività necessaria, l’intensità, la difficoltàesecutiva, la frequenza settimanale e mensi-le. La valutazione e l’adattamento personaliz-zato di tali parametri, riferiti ad un’attivitàmotoria, infatti, sono necessari a garantirelivelli essenziali di efficienza funzionale deisistemi e degli apparati dell’organismo e perl’apprendimento e lo sviluppo delle capacitàmotorie.Un obiettivo perseguibile attraverso l’analisidei livelli di attività fisica riguarda, poi, l’e-ducazione del giovane alla consapevolezzadella propria condizione fisica e della pro-pria salute e del ruolo che occupano le atti-vità motorie e sportive nel proprio, perso-nale, quadro di valori. Ulteriore interessescientifico-metodologico, infine, assume lostudio degli effetti dei differenti livelli diattività fisica (blando – moderato – intenso)sullo sviluppo socioaffettivo e delle meto-dologie più efficaci secondo bisogni indivi-duali e contesti socio-culturali.

La bibliografia dell’articolo può essere consultatae scaricata da www.calzetti-mariucci.it

Gli autori: Dario Colella, Docente di Teoria e metodologia delmovimento umano e di Teoria tecnica e didatticadelle attività motorie per l’età evolutiva, Corso diLaurea in Scienze delle Attività motorie e sportive,Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degliStudi di Foggiae-mail: [email protected]

Milena Morano, Assegnista di ricerca in Metodi edidattiche delle attività motorie presso l’Universitàdegli Studi di Foggia, Facoltà di Medicina eChirurgia, Corso di Laurea in Scienze delle Attivitàmotorie e sportivee-mail: [email protected]

Laura Bortoli, Docente di Teoria e Tecnica dell’Atti-vità motoria adattata presso la Facoltà di Scienzedell’educazione motoria di Chieti; docente diPsicologia sociale, Corso di Laurea in Scienze delleAttività motorie e sportive, Facoltà di Medicina eChirurgia, Università degli Studi di Foggiae-mail: [email protected]

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6633La sindrome femoro-rotuleaEziopatogenesi, clinica, diagnosi, trattamento conservativo, riabilitazione e ritorno all’attività sportiva

Gian Nicola Bisciotti, Cattedra di Riabilitazione funzionale dello sportivo, Facoltà di Scienze dello sport, Università Claude Bernard, Lione,Preparatore atletico FC Internazionale, Milano

La sindrome femoro rotulea è una patologia relativamentefrequente nell’ambito sportivo. La sua eziopatogenesi èessenzialmente riconducibile ad un malallineamento dell’articolazione del ginocchio, oppure ad una displasia acarico della rotula e/o della troclea femorale. La gonalgiaanteriore che accompagna questa patologia, può rivelarsi

altamente limitante nei confronti della pratica sportiva. In particolare, alcune discipline sportive, che prevedano dei piegamenti degli arti inferiori di una certa entità, comead esempio la danza oppure il sollevamento pesi, possonocontribuire, atleti che posseggano una predisposizione ditipo anatomico-funzionale, all’insorgenza della patologia.

MEDICINA SPORTIVA

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Introduzione

La sindrome femoro-rotulea è costituita daun insieme di alterazioni morfofunzionaliche determinano l’insorgenza di una gonal-gia anteriore. Da un punto di vista eziopatologico, le alte-razioni che si possono ritrovare alla basedella sindrome femoro-rotulea, sono essen-zialmente riconducibili ad un malallinea-mento, oppure ad una displasia della rotulae/o della troclea femorale. Occorre comunque ricordare che le altera-zioni funzionali delle strutture anatomichesovra e sottostanti, come ad esempio levariazioni assiali o rotazionali dell’arto infe-riore, oppure le alterazioni morfo-funzionalidel piede, possono influire negativamentesulla meccanica dell’articolazione femoro-rotulea. Da un punto di vista anatomico, la rotula èun osso sesamoide, di forma grossolana-mente triangolare, posta internamente altendine del muscolo quadricipite.Meccanicamente la rotula, articolandosi conil solco trocleare del femore, costituisce ilfulcro di tutto il meccanismo estensorio del-l’arto inferiore. La rotula si trova a contatto

con il femore a partire dai 15°-20° di fles-sione e sino alla flessione articolare comple-ta (Insall et al. 1983). Sia le superfici artico-lari della rotula stessa, che quelle del solcotrocleare, sono rivestite da una cartilaginearticolare spessa mediamente dai 4 ai 6 mm.I normali meccanismi di scorrimento dell’ar-ticolazione femoro-rotulea vengono con-trollati da fattori statici, ossia non contrattilie dinamici, ossia contrattili. I fattori staticisono costituiti dalle dimensioni della rotula,dei condili femorali e dalle loro dimensioni,dalla forma e dall’angolo del solco troclearee dall’allineamento dell’arto inferiore. I prin-cipali stabilizzatori meccanici della rotulasono il muscolo vasto laterale (VL) ed ilvasto mediale obliquo (VMO), porzione ter-minale del vasto mediale che si inserisce conun angolo di circa 55° sul bordo medialedella rotula (Brownstein e coll. 1985).Inoltre, il tratto ileo tibiale ed il capo cortodel bicipite femorale, per la loro azione dicontrollo sulla rotazione tibiale, possonoessere, a tutti gli effetti, considerati anch’es-si degli stabilizzatori dinamici che concorro-no al controllo dell’angolo Q (Kettelkamp1981). Nell’ambito della sindrome femoro-rotulea, la biomeccanica articolare riveste

un ruolo fondamentale. Infatti, un’anorma-lità di forma e/o di posizione della rotulastessa, ha una ricaduta diretta sulla suafunzionalità, determinandone un alteratoscorrimento nel solco trocleare. Un cattivoscorrimento rotuleo può portare ad un’alte-razione cartilaginea comunemente riferitacome condrosi od artrosi, la cui eziologia èda ricondursi all’azione di forze compressivenon adeguatamente ripartite sull’interasuperficie dell’articolazione femoro-rotuleastessa. Un aumento dell’ampiezza dei movi-menti in flessione del ginocchio, comerichiesto da molte attività ludico-sportive,aumentando l’entità delle forze di compres-sione a livello femoro-rotuleo, può causareun’alterazione della superficie articolare,riscontrabile anche in individui giovani. Già dal 1964, Outerbridge aveva classificatole lesioni della cartilagine articolare secondotre diversi gradi:

I° grado: rammollimento e rigonfiamentominore di 1/2 pollice (1,27 cm);II° grado: frammentazione e fissurazionemaggiore di 1/2 pollice;III° grado: erosione della cartilagine indirezione dell’osso subcondrale.

Viene definito angolo Q, l’angolo formato dal-l’intersezione di due linee: la prima congiun-gente la spina iliaca antero superiore ed il cen-tro della rotula, ossia la linea che rappresente-rebbe il vettore di forza del quadricipite femora-le, e la seconda che va dal centro della rotulaalla tuberosità tibiale anteriore e che rappre-senta l’asse anatomico della rotula. L’angolo Q differisce leggermente nei due sessi,essendo normalmente compreso tra 10 e 12°nell’uomo e tra 15 e 18° nella donna (Insall etal. 1976). Un aumento dell’angolo Q può dipendere dadiversi fattori di ordine anatomico come:

• Un aumento dell’antiversione femorale1

• Un aumento della torsione esterna della tibia• Una lateralizzazione della tuberosità tibiale

anteriore.

Un aumento dell’angolo Q comporterebbe unaumento del valgismo del ginocchio che sareb-be a sua volta responsabile di uno spostamen-to laterale della rotula. È importante ricordareche aumentando o diminuendo il valore teoricoideale dell’angolo Q, l’area di contatto dellarotula, all’interno del solco trocleare, rimanesostanzialmente la stessa. Il problema peròconsiste nel fatto che la modificazione dell’an-

golo Q, comporta un anomalo modello di caricoa livello della cartilagine articolare. Occorre poiricordare il concetto di “angolo Q statico” ed“angolo Q dinamico”, in questo caso un VMOipotonico può, di fatto, trasformare un angolo Qstatico che rientri nell’ambito dei valori normali,in un angolo Q dinamico predisponente allapatologia femoro-rotulea (Huberti, Hayes1984). La diminuzione dell’angolo Q, non pro-voca invece la possibile lussazione medialedella rotula, ma è responsabile dell’aumentodelle forza di compressione sul compartimentomediale tibio-femorale, attraverso un incremen-to dell’orientamento in varo dell’articolazionedel ginocchio (Mizuno 2001) e conseguenteprogressivo danno del compartimento articolaremediale. Occorre poi ricordare come la cartila-gine articolare, in senso generale, ritrovi piùfacilmente la sua forma originale dopo sforziintensi, ma temporalmente limitati. Al contra-rio, dopo sforzi di minor intensità, ma prolunga-ti nel tempo, come ad esempio nel caso disport di endurance o di grande endurance, lacartilagine mostra una marcata sofferenzameccanica (Ferret 2006). Per questa ragione èfortemente consigliabile impostare un program-ma conservativo su più sedute giornaliere dibreve durata, piuttosto che su di una solaseduta molto lunga.

12° 16°

Figura 1 – La misurazione dell’angolo Q per-mette di valutare l’allineamento dell’apparatoestensore dell’arto inferiore. Nelle ginocchiamalallineate il suo valore aumenta o diminui-sce rispetto ai valori normali, che peraltro, dif-feriscono leggermente nei due sessi. Inoltre,come è facilmente arguibile dalla figura, unaumentato valgismo del ginocchio comporta unaumento dell’angolo Q stesso.

Riquadro di approfondimento

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Anche l’instabilità rotulea può essere clas-sificata secondo tre diversi gradi:

I° grado – lateralizzazione rotulea: a causadell’aumento dell’angolo Q, durante la con-trazione della muscolatura estensoria, siverrà a creare una piccola area di contattotra la superficie articolare rotulea e quellatrocleare. La conseguenza di questa situa-zione sarà l’insorgenza di una sindrome daiperpressione laterale.II° grado – accentuata inclinazione dellarotula o sublussazione rotulea: nel caso dieccessiva inclinazione rotulea si verifica unispessimento ed una retrazione del retina-colo laterale associato ad un inspessimentocapsulare. Questa situazione determina, nelcorso della flessione del ginocchio, un’incli-nazione rotulea che esita in un iperpressio-ne laterale. In casi più gravi invece si assistead una vera e propria sublussazione lateraledella rotula, generalmente provocata dauna brusca contrazione del quadricipite aginocchio esteso. Sublussazoni recidivanticausano, nel lungo periodo, una seria sof-ferenza della cartilagine rotulea e trocleare. III° grado – lussazione della rotula: condi-zione grave che conduce ad una seria eprogressiva sofferenza della cartilaginearticolare.

Clinica e diagnosi

La sindrome femoro-rotulea, di cui siriscontra una maggior incidenza nellapopolazione femminile rispetto a quellamaschile, è caratterizzata da dolore costan-te nella parte anteriore dell’articolazione delginocchio. Talvolta si può verificare unopseudo-blocco articolare di natura antalgi-ca. L’ampiezza di movimento risulta comun-que, nella maggior parte ridotta, e a ciò siassocia un’importante ipotonotrofia delmuscolo quadricipite. Nel processo di croni-cizzazione possono essere coinvolte le strut-ture molli articolari come il tendine rotuleo,la borsa sovrapatellare, prepatellare edanserina, il cuscinetto adiposo infrarotuleo, iretinacoli mediale e laterale, le plichemediale, laterale e superiore, il nervo safenoa livello del tubercolo degli adduttori od altendine della zampa d’oca (Roels et al. 1978;Patel 1986). Spesso il gonfiore è localizzatonell’area del recesso sovrarotuleo ed èdovuto ad infiammazione del tessuto sino-viale, della borsa sovrarotulea e del cusci-netto adiposo sovrarotuleo. Frequente-mente si verificano episodi di cedimento,essenzialmente imputabili a inibizionemuscolare secondaria a dolore e/o edemaarticolare (Brownstein et al., 1985; Kennedyet al. 1982). Durante alcune attività, comead esempio il salire o lo scendere le scale, ilpaziente può percepire una sensazione discroscio e crepitio, non sempre associata a

sintomatologia dolorosa. Gene-ralmentecamminare in salita provoca meno dolore diquanto non si provi camminando in discesa.Questo è dovuto al fatto che il ginocchiosotto carico in salita, raggiunge un angola-zione pari a circa 50°, mentre in discesal’angolo di flessione raggiunge circa gli 80°.Tipico è il cosiddetto “segno del cinema”,ossia la sintomatologia dolorosa che ilpaziente percepisce nella parte anterioredell’articolazione del ginocchio, dopo avermantenuto quest’ultimo in posizione flessaper un tempo piuttosto prolungato. All’esa-me clinico si evoca dolore richiedendo una

contrazione isometrica, contro resistenza, inun range compreso tra 0 e 20° di flessione.Inoltre, nell’ambito di un’instabilità di II°grado, il test di apprensione risulta positivo.La radiografia convenzionale, effettuata indiversi angoli di flessione del ginocchio esoprattutto la RM, confermano la diagnosiclinica.

Il trattamento conservativo

Nella fase acuta il trattamento conservativodeve essere essenzialmente rivolto alla dimi-nuzione del dolore ed alla ripresa di unanormale funzionalità articolare. Crioterapia,TENS e laser costituiscono le terapie stru-mentali maggiormente adatte a questoscopo. Parallelamente può essere iniziato unprogramma di rinforzamento selettivo, tra-mite ES (elettrostimolazione) del vastomediale obliquo (VMO), muscolo che si rive-la essenziale nel controllo dell’allineamentorotuleo (Grabiner et al. 1986; Williams et al.1986). L’atleta deve, ovviamente, interrom-pere tutte quelle attività che scatenano lasintomatologia dolorosa. L’utilizzo di untaping e/o di un tutore medializzante, puòessere di grande aiuto nella riduzione deldolore. Una volta risolta la fase acuta, laseconda parte del trattamento deve esserebasata sul rinforzo selettivo del VMO e sulladetensione del vasto laterale (VL) e degliischiocrurali. Durante le esercitazioni per lamuscolatura estensoria effettuate in CKC(Closed Kinetic Chain, catena cinetica chiu-sa), occorre limitare la flessione articolareper evitare di provocare un eccessiva pres-sione sull’articolazione femoro-rotulea.

Figura 2 – Il test di apprensione si effettua conil ginocchio posizionato a 0° di flessione, l’esa-minatore deve bloccare lateralmente la rotulacon la mano. Nel momento in cui si richieda alsoggetto di flettere il ginocchio, la rotula ten-dendo a sublussarsi, provoca dolore. Un’altramodalità per effettuare il test di apprensione,consiste nel posizionare il ginocchio del pazien-te a circa 30° di flessione, bloccare lateralmen-te la rotula con la mano e richiedere l’estensio-ne della gamba. Nei pazienti con grave instabi-lità questo tipo di manovra provoca, appunto,apprensione, il soggetto infatti, in caso di testpositivo, spesso afferra la mano dell’esamina-tore, oppure ritrae la gamba.

Quadricipite

Legamentoalare mediale

VMO

Legamentoalare lateraleTratto ileo-tibiale VL

Tendine rotuleo

Figura 3 – Gli stabilizzatori attivi e passivi alivello rotuleo.

Figura 6 – Numerose anomalie anatomiche,come l’iperpronazione del piede, il valgismo delginocchio, un’anomala rotazione tibiale, oppu-re un’antiversione femorale, determinando unaumento dell’angolo Q, possono essere all’ori-gine della sindrome dolorosa femoro-rotulea.

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Il tilt rotuleo rappresenta una misura di natura radiologica, che si effettua avvalendosi di una TC.In pratica, rappresenta l’angolo formato dalla rotula con il piano posteriore dei due condili femora-li. La misurazione del tilt rotuleo può riflettere un disequilibrio muscolare sul piano orizzontale,dovuto precipuamente ad una displasia a carico sia del quadricipite femorale, che della troclea.La misurazione deve essere effettuata sia richiedendo una contrazione del quadricipite, che amuscolatura decontratta, con l’articolazione del ginocchio estesa. Fisiologicamente l’angolo deveessere compreso in un range che va dai 10° ai 20°; al di là di questo valore è da considerarsipatologico. Palpatoriamente è possibile effettuare invece il cosiddetto “test del tilt rotuleo”. Il testviene eseguito dall’operatore con il pollice e l’indice, effettuando una palpazione dei marginimediali e laterali della rotula. In caso di test positivo, ossia in presenza di tilt rotuleo, il marginemediale della rotula si trova più in alto rispetto al laterale. In questo caso è possibile effettuare untaping che riduca l’inclinazione rotulea, orizzontalizzando la rotula stessa. Il test deve essere ese-guito con l’articolazione del ginocchio completamente estesa ed il quadricipite rilassato; è inoltreessenziale effettuare un test comparativo sull’arto controlaterale. Questo tipo di test si rivelamolto sensibile nell’ambito della valutazione del malallineamento rotuleo, tuttavia, occorre sottoli-neare che un’alterata inclinazione rotulea non necessariamente è sintomatica e può pertantoessere rilevata anche in pazienti asintomatici che non presentino instabilità del ginocchio, oppureche lamentino dolore secondario ad altri tipi di patologia.Il glide rotuleo, rappresenta invece lo scivolamento della rotula nelle quattro direzioni (mediale-laterale-superiore-inferiore). Il test del glide rotuleo si rivela essenziale al fine di verificare la pre-senza di rigidità, od al contrario, di un’eccessiva mobilità della rotula. Per poter quantificare loscorrimento rotuleo è necessario effettuare la misurazione della distanza tra il punto medio delpolo rotuleo e gli epicondili femorali mediale e laterale. Queste due distanze, in condizioni di per-fetta fisiologicità articolare, dovrebbero essere sovrapponibili, la tolleranza massima dovrebbe per-tanto aggirarsi in + 5 mm. Un eccessivo glide laterale si traduce infatti in una drastica riduzionedella tensione medializzante esercitata dal VMO sulla rotula stessa.Il test può essere eseguito sia con l’articolazione del ginocchio flessa a 30°, che con il ginocchioin estensione, in entrambi i casi il quadricipite deve essere completamente rilassato. L’operatoredeve medializzare e successivamente lateralizzare la rotula, utilizzando il pollice e l’indice, alloscopo di rilevare una possibile alterazione dell’elasticità tissutale. Per poter meglio quantificare lospostamento osservabile nel corso del test, la rotula può essere teoricamente suddivisa in qua-dranti longitudinali. Il glide mediale di un solo quadrante, è indice di una rigidità del legamentoalare laterale, ed è solitamente associato ad un test del tilt rotuleo ad angolo negativo.Un glide laterale di tre quadranti è suggestivo di un’insufficienza del retinacolo mediale, mentreuna scivolamento di quattro quadranti, è un inequivocabile indicatore di grave deficit del legamen-to alare mediale, e quindi di rotula lussabile.È sempre necessario valutare il glide rotuleo anche in modalità dinamica, richiedendo al pazientedelle contrazioni sia eccentriche, che concentriche, della muscolatura estensoria, sia in OKC(Open Kinetic Chain, catena cinetica aperta) sia in CKC; in tal modo è possibile verificare l’effettodella contrazione sul posizionamento rotuleo. Come nel caso del test del tilt rotuleo, è semprenecessario eseguire un confronto con l’arto controlaterale. Anche in caso di eccessivo glide late-rale esistono dei taping di medializzazione rotulea, che talvolta si presentano come risolutivi, ocomunque di grande beneficio, nella riduzione della sintomatologia dolorosa del paziente.

Riquadro di approfondimento: Cosa sono il tilt ed il glide rotulei

Figura 4 – Esempio di un taping correttivo di tilt rotuleo laterale. Ilbendaggio parte dal centro della rotula e deve arrivare, dopo aversollevato la cute dal lato mediale verso la rotula stessa, al condilofemorale mediale, determinando in tal modo un sollevamento delmargine laterale della rotula che la renda, sul piano frontale, mag-giormente parallela al femore. Il taping può essere eseguito con ilginocchio in completa estensione o leggermente flesso a 20°.

Figura 5 – Taping di correzione di un glide laterale. Un eccessivoscivolamento laterale della rotula, può essere corretto mediantel’applicazione di una benda inestensibile sul margine rotuleo latera-le, che venga poi tensionata con forza, e fissata immediatamentedietro il condilo femorale mediale. Anche in questo caso il tapingpuò essere effettuato a ginocchio esteso oppure flesso a 20°.

Per informazioni e ordini:tel. 075 5997310 • fax 075 5990491www.calzetti-mariucci.it [email protected]

IL GINOCCHIOBiomeccanica, traumatologia, riabilitazione

Bisciotti Gian Nicola

• La biomeccanica del ginocchio• Le lesioni acute del ginocchio• Le lesioni da sovraccarico• L’anatomia di superficie dell’articolazione del ginocchio• ll concetto del puzzle • La validazione di una nuova batteria di test per la quantificazione dello squilibrio muscolare: il Tesys Globus Evalutation System• Il salto come metodo diagnostico nell’ambito della riabilitazione funzionale• L’analisi elettromiografica nella ricostruzione del legamento crociato anteriore: un nuovo possibile metodo diagnostico di controllo e prevenzione• Aumento della resistenza contrattile e cambiamento della tipologia muscolare nella ricostruzione del legamento crociato anteriore• L’imaging

Partendo da un’accurata descrizione anatomica del ginocchio affrontata, come nello stile abituale dell’autore, con un approccio di tipo scientifico-divulgativo, Bisciotti illustra l’eziologia delle più comuni patologie legate all’articolazione del ginocchio e, soprattutto, illustra i diversi protocolli riabilitativi. I sempre più frequenti traumi da gioco a carico del ginocchio e la sempre più perfezionata possibilità di intervento su ogni tipo di conseguente lesione, rendono questo manuale non solo utile ma fondamentale per i preparatori atletici, gli allenatori ed i gli stessi giocatori, che vogliano conoscere le tecniche di intervento riabilitativo più moderne ed efficaci.

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La condropatia rotulea è, purtroppo, una proble-matica abbastanza ricorrente nel periodo dell’a-dolescenza, tuttavia, fortunatamente, il suo trat-tamento non è mai di tipo aggressivo. L’esameclinico deve in primo luogo accertare che la sin-tomatologia algica lamentata, non sia piuttostoda attribuirsi ad una gonalgia secondaria ad unapatologia dell’articolazione dell’anca ed, in parti-colare, ad un’epifisiolisi femorale superiore2. Altrediagnosi differenziali possono essere costituite dalesioni meniscali, da menisco discoide esterno,da borsite sottorotulea, da una patologia a caricodel corpo adiposo infrapatellare (malattia diHoffa-Kastert), oppure, più semplicemente dasovraccarico funzionale a livello capsulo-lega-mentoso. Inoltre, occorre tenere presente chespesso la sindrome della plica mediopatellare,può facilmente essere confusa con una condro-patia rotulea.Una condizione predisponente alla sindrome daiperpressione esterna nell’adolescente, è costi-tuita dalla “sindrome della doppia rotazione”. Lasindrome della doppia rotazione è costituita dal-l’associazione di un’iper-antiversione femorale edi un’eccessiva extrarotazione tibiale. Questaparticolare situazione anatomica, determina l’in-staurarsi di un “falso ginocchio varo”, con unostrabismo convergente delle rotule, che si evi-denzia quando il soggetto è in ortostasi a piediuniti. L’asse meccanico dell’arto inferiore, e l’alli-neamento del ginocchio, si normalizzano nelmomento in cui i piedi divergono, oppure quandoil soggetto si pone sulla punta dei piedi. In que-sto caso, è appunto indicato adottare un rialzocalcaneare. In ogni caso, tutte le perturbazioni diuna normale rotazione degli arti inferiori, favori-scono l’instabilità rotulea. A questo propositodobbiamo ricordare come alcune attività sportive,come la danza classica, associno, pericolosa-mente, al sovraccarico funzionale un’eccessivaextra-rotazione tibiale (tipico è l’esempio delmovimento del “en-dehors”), e conducano, nelcaso di una pratica assidua, i giovani praticantiverso delle condropatie rotulee.

La condropatia rotulea è stata sempre consideratacome il primo stadio di una degenerazione artrosi-ca a carico dell’articolazione del ginocchio.Tuttavia, è importante sottolineare, che questotipo di patologia non evolve ineluttabilmente erapidamente verso una franca artrosi femoro-rotu-lea. Infatti, nell’adolescente, i danni cartilaginei

possono essere abbastanza contenuti e, in assen-za di predisposizioni di tipo anatomico, la sintoma-tologia può stabilizzarsi ad un grado tale da nonimpedire una normale funzionalità, se non, addirit-tura, sparire. Le prime alterazioni sintomatichedella rotula, sono infatti di tipo focale, e in assen-za di disequilibri rotulei di una certa gravità, alcuniAutori (Rombouts 1998), ipotizzano che questeirregolarità precoci possano sparire grazie ad unasorta di “rodaggio rotuleo”. Negli individui moltogiovani, nei quali la rotula ha ancora delle possibi-lità di crescita, si potrebbe anche sperare in unprocesso di rimodellamento spontaneo dellesuperfici articolari rotulee e femorali. Per tutti que-sti motivi quindi, il trattamento elettivo da intra-prendersi inizialmente è, senza dubbio, quelloconservativo. Si tratta soprattutto di ridurre le sol-lecitazioni mantenendo comunque un’attività arti-colare. Il cosiddetto “risparmio rotuleo” si attua inprimo luogo riducendo ed adattando l’attività spor-tiva sino ad allora praticata dal soggetto. Neipazienti che presentino un’eccessiva rotazionetibiale, associata a valgismo del piede, è forte-mente consigliabile l’adozione di un’ortesi plantarecorrettiva. Inoltre, in caso di forte instabilità rotu-lea, che comporti il rischio di sublussazioni o lus-sazioni recidivanti, è opportuno adottare unaginocchiera stabilizzante. Dal momento che il trofi-smo del tessuto cartilagineo dipende da un’otti-male circolazione del liquido sinoviale l’immobiliz-zazione è assolutamente sconsigliabile. È comun-que confortante il fatto che, nell’adolescente, lagran parte delle condropatie rotulee, rispondapositivamente al trattamento conservativo. Oltre a questo, occorre ricordare che i risultatiottenibili attraverso un trattamento di tipo chi-rurgico, si dimostrano decisamente poco rego-lari. Inoltre, nel periodo dell’adolescenza le tec-niche chirurgiche adottabili sono, di prassi,solamente quelle a carico dei tessuti molli,essendo fortemente sconsigliabili, prima dellafine del periodo di accrescimento, tutte le tec-niche chirurgiche che prevedano la trasposizio-ne della tuberosità tibiale.

Figura 7 – Falso varismo del ginocchio dovutoalla “sindrome della doppia rotazione” (inalto). La situazione si normalizza nel momentoin cui il soggetto diverge le punte dei piedi (inbasso).

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Riquadro di approfondimento: La condropatia rotulea dell’adolescente

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Riabilitazione e ritorno dell’attività sportiva

La sindrome femoro-rotulea è purtroppomolto spesso di difficile gestione con iltrattamento di tipo conservativo e talvoltanecessita di una procedura chirurgica diriallineamento. In ogni caso il ritorno all’at-tività sportiva è subordinato alla scompar-sa, o comunque alla drastica riduzione,della sintomatologia dolorosa.

Figura 8 – Per ottenere un’attivazione selettivadel VMO occorre in primo luogo lavorare sugliultimo gradi del leg extension (0-30°) mante-nendo la punta del piede extraruotata od, ancormeglio, il piede supinato (a). Inoltre, flettendo ilbusto in avanti, si inibisce l’intervento del RF,focalizzando ancor di più l’azione sul VMO (b).La massima attivazione elettromiografica delVMO, si ottiene comunque effettuando contem-poraneamente una contrazione isometrica dellamuscolatura adduttoria, ottenibile, ad esempio,stringendo tra le gambe una palla (c). La con-trazione degli adduttori, infatti, inibisce l’azionedel VL, massimalizzando ulteriormente l’inter-vento del VMO nel movimento di estensionedella gamba sulla coscia.

Gli esercizi a carico della muscolatura estensoria dell’arto inferiore, presentano una diversa inci-denza per ciò che riguarda la pressione effettuata a livello dell’articolazione femoro-rotulea, in fun-zione del fatto che vengano eseguiti in catena cinetica chiusa oppure aperta. In catena cinetica aperta, infatti, il momento di forza aumenta in funzione dell’estensione di paripasso alla compressione patello-femorale. In catena cinetica chiusa, al contrario, la compressionepatello-femorale diminuisce in funzione dell’estensione.

Per questo motivo, durante gli esercizi in CKC occorre evitare di effettuare flessioni troppo profonde.Per ciò che riguarda invece le esercitazioni in OKC, il discorso è più complesso: infatti, anche senegli ultimi gradi d’estensione l’attivazione del VMO risulta massimalizzata, è altresì importante ricor-dare che l’iperpressione rotulea che si registra in quest’ambito di ROM, può comportare il verificarsidi un eccessiva forza compressiva su piccole aree di contatto (Carson et al. 1984; Grood et al.1984). Il compromesso ideale è costituito dall’utilizzo di carichi modesti effettuati secondo unamodalità di tipo resistivo, e che quindi reclutino soddisfacentemente il VMO, senza creare conte-stualmente eccessive forze compressive a livello articolare. In tutti casi, è sempre consigliabile uniniziale sorta di “rodaggio rotuleo”, effettuato attraverso esercizi di flesso-estensione in OKC, in unROM compreso tra 50 e 100°, ossia in un range articolare dove la compressione femoro-rotulea siaminima, cercando di guadagnare progressivamente gradi d’estensione, sino al raggiungimento delROM “target” per l’attivazione del VMO.

È interessante sapere che…

Angolo Compressionedi flessione femoro-

del ginocchio rotulea in gradi in MPa

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Angolo Compressionedi flessione femoro-

del ginocchio patellare in gradi in MPa

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Compressione femoro-rotulea, espressa inMPa, durante un’esercitazione effettuata inOKC (Viel et al., 1988).

Compressione femoro-rotulea, espressa inMPa, durante un’esercitazione effettuata inCKC (Viel et al., 1988).

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I sei punti importanti di un programma conservativo

1. Controllare il dolore e la flogosi: il dolore,l’infiammazione ed il versamento a livelloarticolare, costituiscono tre fattori d’ag-gravamento della patologia in quantoinibiscono un ottimale reclutamento delquadricipite, aggravando ulteriormente ilquadro clinico. Occorre pertanto control-larli grazie all’utilizzo di FANS (farmaciantinfiammatori non steroidei), bendaggicompressivi, ghiaccio e adeguate terapiefisiche, come ad esempio la magnetote-rapia e la ionoforesi. È inoltre necessarioridurre il sovraccarico funzionale al qualeviene sottoposta l’articolazione delginocchio, diminuendo o, se necessario,sospendendo l’attività sportiva.

2. Effettuare un piano di lavoro specificoper il rinforzamento del quadricipitefemorale, sia attraverso esercizi isometri-ci che isotonici. Soprattutto, è fonda-mentale rinforzare selettivamente il VMO.Se si eseguono esercizi in catena cineticachiusa, come ad esempio lo squat, èimportante evitare l’eccessiva flessionedel ginocchio.

3. Lo stretching: è molto importante cer-care di allungare sia i muscoli del pol-paccio, dal momento che una loro retra-zione comporta una pronazione com-pensatoria del piede che, a sua voltacausa un aumento dell’intrarotazionetibiale con conseguente ipersollecitazio-ne rotulea, sia gli ischio-crurali, il tenso-

re della fascia lata, la benderella ileo-tibiale ed il quadricipite.

4. Migliorare lo scorrimento rotuleo: lo scor-rimento della rotula si può migliorare tra-mite una sua mobilizzazione mediale pas-siva, allo scopo di detendere una strutturastabilizzatrice denominata retinacolo late-rale. Alcuni Autori suggeriscono anche iltaping rotuleo al fine di riottenere unottimale riallineamento rotuleo e facilitar-ne lo scorrimento.

5. Si deve correggere un’eventuale iperpro-nazione che, come detto precedentemen-te, può essere la causa dell’insorgenzadella patologia rotulea. In questo casooccorre valutare l’opportunità di interve-nire tramite ortesi plantare.

6. Effettuare un lavoro di rinforzo dei muscoliextrarotatori (grande gluteo, medio gluteo,piriforme).

Brownstein B.A., Lamb R.L., Mangine R.E.,Quadriceps torque and integrated electromyo-graphy, J. Orthop. Sports Phys. Ther., 1985, 6,30-35.Carson W. G., James S. L., Larson L. R., Singer K.M., Winternitz W. W., Patellofemoral disorders:physicals and radiographic examination. Part I:Physical examination, Clin. Orthop. Relat. Res.,1985, 178.Ferret J. M., Syndrome rotulien et isocinétisme,International Association Laser Therapy, Berga-mo, 11 novembre 2006.Grabiner M. D., Koh T. J., Andrish J. T., Decreasedexcitation of vastus medialis oblique and vastuslateralis in patellofemoral pain, Eur. J. Exp.Muscolo-skel. Res., 1, 1992, 33-37. Grood E. S., Suntry W. S., Noyea F. R., Boiler D. L.,Biomechanics of the knee extension exercise.Effect of cutting the anterior cruciate ligament,J. Bone Joint. Surg., 66, 1984, 5, 725-734.Huberti H. H., Hayes W. C., Patellofemoral con-tact pressures. The influence of Q-angle andtendofemoral contact, J. Bone Joint Surg. 66A,1984, 715-724. Insall J. N., Aglietti P., Cerulli G., Patellar painand incongruency, Clin. Orthop. 177, 1983, 176.Insall J. N., Falvo K. A., Wise D. W., Chondro-malacia patellae: a prospective study, J. BoneJoint Surg. 58A, 1976, 1-6. Kennedy J. C., Alexander I. J., Hayes K. C., Nervesupply on the human knee and its functionalimportance, Am. J. Sports Med., 10, 1982, 329-335. Kettelkamp D. E., Current concepts review:management of patellar malalignement, J. BoneJoint Surg., 63, 1981, 1344-1348. Mizuno Y., Kumagai M., Mattessich S. M., Elias J.J., Ramrattan N., Cosgarea A. J., Chao E. Y., Q-angle influences tibiofemoral and patellofemoralkinematics, J. Orthop. Res., 19, 2001, 5, 834-840. Outerbridge R. E., Further studies on the etio-logy of chondromalacia patellae, J. Bone JointSurg., 1964, 46b, 179, 190. Patel D., Plica as a cause of anterior knee pain,Orthop. Clin. North Am., 17, 1986, 273-277. Roels J., Martens M., Mulier J. C., Patellar tendo-nitis (jumper’s knee), Am. J. Sports Med., 6, 1978,362-368. Rombouts J. J., Traumatologie du sport, in:Thiebaud M., Sprumont P. (a cura di), L’enfant etle sport, Bruxelles, Ed. De Boeck Université, 1998.Williams R. A., Morrissey M. C., Brewster C. E.,The effect of electrical stimulation on quadrice-ps strength and thigh circumference in meni-scectomy patients, J. Orthop. Sports Phys. Ther.,8, 1986, 143-153.

Bibliografia

Note(1) L’antiversione femorale è un segno clinico che

compare quando la rotazione interna della diafi-si femorale porta il solco femorale medialmenterispetto al tubercolo tibiale, portando il tendinerotuleo più lateralmente rispetto alla rotula eaumentando così la forza vettoriale laterale chesi esercita su di essa durante la contrazione delmuscolo quadricipite.

(2) Epifisiolisi: scivolamento e separazione dell'e-pifisi dalla base di impianto diafisaria di unosso lungo. Ne è appunto un esempio l'epifi-siolisi della testa del femore sul collo femoraleper alterazione della cartilagine di accresci-mento; ne consegue una deformazione del-l'anca fortemente invalidante.

L’Autore è professore associato presso la Facoltà diScienza dello Sport dell’Università Claude Bernarddi Lione, titolare della cattedra di Valutazione tec-nologica applicata allo sport presso la Scuola uni-versitaria interfacoltà di Scienze motorie di Torinoe preparatore atletico del F.C. Internazionale diMilano.

Indirizzo dell’Autore: G. N. Bisciotti, Via IV Novembre46, 54027 Pontremoli

e-mail: [email protected]

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Formazione degli allenatoriIl numero di giugno 2006 di The Sport Phycholo-gist, rivista trimestrale di psicologia dello sportedita dalla Human Kinetics, rivolta agli psicologidello sport (The Sport Psychologist 20, 2006, 2,pagg. 126-250) si occupa interamente della for-mazione degli allenatori. Nove articoli del numero,la cui lettura è consigliabile a tutti coloro che lavo-rano nel campo della formazione degli allenatori,sono dedicati soprattutto al problema di cosa deb-bono essere in grado di sapere fare coloro chesono responsabili della formazione degli allenatori,se vogliono avere successo nella loro attività.Anzitutto è bene premettere come in questocampo, almeno nei Paesi di lingua inglese ai qualisi riferiscono principalmente gli articoli, esistonodue modi di affrontare la formazione degli allena-tori: soprattutto negli Stati Uniti la formazione degliallenatori è organizzata in modo decentralizzato daprivati, mentre in altri Paesi, che seguono piutto-sto il modello europeo, questa responsabilitàviene affidata ad una autorità centrale, general-mente una Federazione sportiva o una componen-te di una Federazione che spesso collabora conuno o più Istituti superiori o Università. Notevolidifferenze si trovano anche per quanto riguarda iproblemi posti dalla valutazione dei programmi.Nel modello americano l’obiettivo è quello di cam-biare e migliorare il comportamento degli allenato-ri e, per questa ragione, è necessario che vi sianopossibilità di osservarli per rilevare quale sia il lorocomportamento e quello di coloro che stanno alle-nando. Se al centro si pone il comportamento, èimportante chiedersi non tanto cosa un allenatoreabbia appreso, quanto porsi domande del tipo: “Inquale modo i metodi appresi possono essereapplicati su tutti gli atleti e le atlete?” oppure:“Come influiscono sull’efficacia dell’allenatoregenitori, pari, ecc.?” (pagina 138 e segg.). Perquesta ragione un comportamento positivo dell’al-lenatore è considerato un elemento di sostegnoistruttivo che stimola l’autonomia di coloro che siallenano, mentre un comportamento negativo èdefinito punitivo, ostile e diretto a esercitare uncontrollo sugli atleti, più che allo sviluppo dellaloro autonomia. Conoscenze, capacità e abilitàdegli allenatori sono tacitamente presupposte,quasi scontate.In Nuova Zelanda, nella formazione degli allena-tori di rugby – lo sport nel quale, indubbiamenteottiene più successi questo Paese che conta suuna popolazione relativamente scarsa – agli alle-natori si insegna che debbono considerare i lorogiovani atleti come persone che stanno imparan-do e, quindi, debbono avere ben chiaro che perl’apprendimento le persone utilizzano diversicanali sensoriali, per cui alcune di esse appren-dono soprattutto per via visiva, altri privilegianola via uditiva, altri ancora apprendono prevalen-temente per iscritto o per via cinestetica. Perquesta ragione se si pensa che gli atleti – maanche gli allenatori quando apprendono – sianotutti uguali e imparino tutti secondo le stessemodaltà si raggiunge solo una parte del gruppoche si sta allenando o istruendo. Per questaragione anche i materiali utilizzati per la forma-zione degli allenatori dovrebbero essere elaboratie costruiti in modo differenziato. Ciò sarebbe

decisivo nell’allenamento delle squadre di rugby,soprattutto quando si tratta dell’allenamento edell’esercitazione di determinate fasi di gioco.Il modello della parte francofona del Canadaaffronta il problema di come si possa integrare laformazione dell’allenatore in un programma “nor-male” di formazione universitaria per il Bachelor ofArts (l’equivalente della nostra laurea triennale). Atale proposito si propongono e si valutano settemoduli al cui centro troviamo i compiti dell’allena-tore: presa di decisioni etiche, pianificazione del-l’allenamento, analisi della prestazione, sostegnoagli atleti e alle atlete durante l’allenamento,sostegno agli atleti e alle atlete durante le gare,sviluppo di un programma sportivo, gestione di unprogramma sportivo. L’introduzione di questimoduli non è stata semplice in quanto non sem-pre è facile conciliare la libertà d’insegnamento diun Istituto universitario con un programma coeren-te teso a insegnare competenze. Anche la valuta-zione di un simile programma non è senza proble-mi, perché il successo di un lavoro come quellodell’allenatore dipende da un serie di fattori.Uno degli articoli più interessanti contenuti nelnumero 20 di The Sport Psychologist è quello deiCanadesi Wertner, Trudel (Wertner P., Trudel P., Anew theoretical perspective for understandinghow coaches learn to choach, The SportPsychologist, 20, 2006, 2, 198-212) che mettein evidenza come si debba comprendere la strut-tura mentale dell’allenatore, per il quale, frequen-temente, le sue precedenti esperienze come atle-ta – spesso di alto livello – sono più importanti dideterminati corsi di teoria che ha frequentato odei testi di teoria che ha letto. Proprio gli allenatoripiù motivati sviluppano modelli di apprendimentoloro propri (ad esempio dalla valutazione di unastagione) e ne ricavano un’utilità maggiore che dauna formazione di tipo formale.

Un caffè, pregoNon tutte le sostanze che permettono di incre-mentare il rendimento sportivo si trovano nellalista di quelle considerate doping. Così dal primogennaio 2004 dalla lista delle sostanze vietate edei metodi proibiti dalla WADA (World Anti-Doping Agency) – anche se la WADA ha inseritotali sostanze in un programma di monitoraggioper valutare il loro eventuale uso improprio inambito sportivo – sono scomparsi gli anesteticilocali e la caffeina, un alcaloide naturale presen-te nelle piante di caffè, cacao, tè, cola, guaranàe mate, e nelle bevande da esse ottenute, il cuieffetto d’incremento del rendimento degli atleti ènoto da tempo. Se il suo effetto positivo sulmetabolismo dei grassi e, quindi, sulle prestazio-ni di resistenza di lunga durata è stato accertatosin dai lavori di Costill del 1978, non esistonorisultati altrettanto certi per quanto riguarda ilsuo effetto sulla capacità di prestazione preva-lentemente anaerobica. Alcuni ricercatori inglesidel Department of Sport Science, Tourism andLeisure della Canterbury Christ ChurchUniversity (Wiles J. D., Coleman D., TegerdineM., Swaine I., The effects of caffeine ingestionon performance time, speed and power duringa laboratory-based 1 km cycling time-trial,Journal of sports sciences, 24, 2006, 11,1165-1171) hanno sottoposto otto ciclisti dilet-tanti inglesi di livello elevato ad un test alcicloergometro servendosi del SRM Powermeter– Powercontrol, (uno strumento che consentemisurazioni precise della potenza espressa nellapedalata, e di registrare velocità media, chilome-tri percorsi, frequenza cardiaca) consistente intre prove su 1 km in tre condizioni diverse: dopoil consumo di una limonata senza carboidrati più5 mg di caffeina in compresse per kg di pesocorporeo; dopo il consumo di un placebo (limo-nata senza carboidrati); di controllo (assunzionedi acqua). La successione delle prove avvenivain modalità a doppio cieco randomizzata e veni-vano rilevati il tempo di ciascuna prova, la velo-cità media, la potenza media e la potenza dipicco. L’assunzione dei fluidi avveniva un’oraprima del riscaldamento o 75 min prima deitest. Mentre le differenze tra le prove placebo econtrollo erano scarse, la capacità di rendimentodegli atleti nella prova con caffeina aumentavasignificativamente: tempo della prova, caffeinavs. placebo vs. controllo: 71,1±2,0 s 73,4±2,3s 73,3±2,7s; velocità media, rispettivamente50,7±1,4 vs. 49,1±1,5 vs. 49,2±1,7 km/h;potenza media, 523±43 vs. 505±46 vs.504±38 W; picco di potenza, da 864±107 W(placebo) e 830±87 W (controllo) a 940±83W(caffeina). Quindi la caffeina mostra di avere unnotevole effetto anche nel settore anaerobico.Gli Autori della ricerca non hanno rilevato alcunparametro biochimico e ciò non permette diconoscerne il perché. Se considera che in 100ml di Coca Cola sono contenuti circa 25 mg dicaffeina e che gli atleti dell’esperimento pesava-no mediamente 73,6 kg, invece delle compres-se avrebbero potuto bere circa 1,5 l di Coca,oppure nove espressi.

A cura di Arndt Krüger, Mario Gulinelli

Trainer’sdigest

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SummariesPeriodisation in speed-strenght training (part 1)K. Wirth, D. SchmidtbleicherToday, strength training in an established part ofalmost all sports. The spectrum of using systematicstrength development is manifold and includes preven-tive measures of strengthening, supportive strengthtraining as well as strength preparation in sports wherestrength is a performance limiting factor. In the firstpart of this article, the physiological fundamentals ofspeed-strenght development ore presented. The secondpart will deal whit periodisation and starting from this,detailed recommendations for training practice.

Jumping endurance (part 2)G. Cometti, G. AlbertiIn many sporting disciplines the performance modelrequires the repetition, often in rapid succession, of alarge number of jumps or leaps performed cyclically orwith different forms of propulsion. To describe the abil-ity to effectively perform these motor actions, the useof the term jumping endurance has been proposed,meaning the ability to maintain the efficiency of theaction under plyometric conditions or during work of aplyometric nature despite the onset of fatigue. Forjumping actions performed intermittently, such as involleyball, or cyclically, such as in some track athleticsdisciplines, the paper looks at the mechanisms involvedthat place a limit on performance. After having illus-trated, in part one (cf. issue n° 72) some researches thathave looked at this topic, focusing on very prolongedeffort, the second part illustrates scientific evidencebased on some studies that have sought to evaluate theeffects of series of 100 jumps and bounds performedunder particular test conditions, which would appear toascribe, in the fatigue process resulting from a repeatedsuccession of jumps, greater importance to neuromus-cular factors than to so-called aerobic properties, andthen the practical consequences deriving from theseresults.

The Match Analysis (part 2) A. SacripantiSituation sports are increasingly practised with theinterests of the public in mind. Theory on training inthese sports is a highly complex matter, going fromphysical training to the study of local and global strate-gies. Nowadays, technology designed to carry out matchanalysis can supply useful support to the trainer. Thisarticle explains the methodological and scientific foun-dations and technological implications of match analy-sis. The article will be developed in two parts, which aremethodologically connected. The first part contains ageneral description of advanced technologies applied tomatch analysis, basically tied up with the identificationof the athlete’s movement, a survey of interactions withopponents and the scientific foundations of movement

and interaction. The second part will attempt to link theresults of match analysis with training theory, brokendown into three operating levels: first level, athlete’sphysiological conditioning, second level, biomechanicalimprovement of technique and study of “competitioninvariant”, third level, advanced training, connectedwith the study of local and global strategies.

Ability to repeat sprints and appraisalF. M. Impellizzeri, E. Rampinini, C. Castagna, D. Duccio Ferrari Bravo, D. BishopRepeated sprint ability (RSA) is an important physicalcharacteristic for footballers and for athletes playingteam sports. For this reason a number of tests to mea-sure this physical component have been developed,but only a few have been scientifically validated. As ageneral rule, RSA tests must not reflect the “average”moments of a match (a conceptual error that is some-times committed) but rather attempt to simply repro-duce the most intense phases of a match (validity interms of logic and content). For this reason the RSAtest proposed by Capanna in the 1990s and now oftenused in Italy appears appropriate for measuring RSA infootball. A recent study demonstrated the validity ofthe way this test has been constructed, having found arelationship between average time in the Capannashuttle test and the distance run at a high intensityand/or sprinting during the match. If performed cor-rectly, the repeatability of this test is less than 2%. Ifdata are interpreted appropriately, taking into consid-eration repeatability coefficients, the information thatcan be obtained from this test can be very useful forthe physical trainer when controlling the effects oftraining on footballers.

Changing paradigms in the theory of sports training (part 1)Y. Verkhoshansky, N. VerkhoshanskayaDiscussion of the results of studies and researches onsports training theories and methodologies is oftendeveloped on the basis of implicit and consolidated sup-positions that fail to consider relative evolution process-es. This fact prevents the emergence of differing pointsof view through which they can be analysed. Anattempt is thus made in this article to outline the prob-lems which, in ongoing scientific discussions on the the-ories and methodologies of sports training, cause themost evident and common misunderstandings and con-tradictions. In the first part of the article, dedicated totheoretical aspects, the authors look at the current stateof training theories and methodologies, differencesbetween the concept of Periodization and that ofProgramming of sports training, the physiology of adap-tation as a basis for the biological approach to sportstraining theories and methodologies, the two differentvisions of the “work-rest” process in sports training the-

ory. The second part will examine practical aspects con-cerning the construction of the micro-cycle, the blocksystem adopted for training, the delayed effects oftraining and supercompensation.

Analysis of coordinative and senso-perceptivecapacities in swimming (part 1)P. L. Invernizzi., R. Del Bianco, R. Scurati, G. Caporaso, A. La TorreThe specific development of senso-perceptive andcoordinative capacities is necessary to be able to gen-erate new opportunities to improve competitive swim-ming performance. In the studies of numerous Authors,the most relevant relations between senso-perceptiveand coordinative capacities and motor activities inswimming are illustrated. An evaluation of single per-formance requirements highlights the central role ofdifferentiation and of the ability to glide in the wateras guiding elements of swimming for beginners and asa point of reference for advanced training. The consid-erations resulting from the analysis of these capacitiesand of their significant contribution to the optimalpreparation of the swimmer will be a starting point fora proposed methodology to diagnose and developsolutions in support of traditional training systems.

Methods for evaluating levels of physical activity D. Colella, M. Morano, L. BortoliThe scientific evidence of benefits deriving from physi-cal activity has led to the need to appraise in a validand reliable manner the levels through which suchactivities are performed, in order to identify specifictrends regarding physically active lifestyle models andidentify and customise actions to promote health andwellbeing for different age groups. This paper seeks topropose a methodology for prescribing physical activitywith differing objectives in mind. After having analysedthe preventive role of physical activities, with specialreference to the age of development, the most validand reliable methods for evaluating levels of physicalactivity are presented through an examination andcomparison of existing literature.

The femoral-patellar syndromeG. N. BisciottiThe femoral-patellar syndrome is a relatively frequentpathology in the sporting sphere. Its etiopathogenesisis basically due to a malalignment of the knee joint, orto a dysplasia of the patella and/or femoral trochlea.The gonalgia that accompanies this pathology mayprove to be highly debilitating for sporting activity. Inparticular, some sports that require the bending of thelower limbs to a significant degree, such as dancing orweightlifting, may contribute to the emergence of thepathology in sportsmen and women that have ananatomical-functional predisposition.

Nell’articolo di B. Filippone, C. Vantini, M. Bellucci, A. D. Faigenbaum, R. Casella, C.Pesce: “Trend secolari di involuzione delle capacità motorie in età scolare” pubblica-to nel n° 72 (pagg. 31-41) vanno apportate le seguenti correzioni:pagina 39, figura 8, ACSM 2006 al posto di AGSM 2005;pagina 41, prima colonna terza riga, 2006 al posto di 2005;nella bibliografia aggiungere: Bazzano C., Bellucci M., Faigenbaum A.D., Sedentarietà

ed obesità giovanile: nuovi problemi sociali – possibili soluzioni. Linee guida sull’inse-gnamento dell’efficienza fisica in età evolutiva, Perugia, Calzetti Mariucci Editori,2007 (in stampa); Riva M., Dossier scuola: I problemi dell’educazione fisica,Educazione fisica e sport nella scuola, 2001, 170-171, 33-64, citazioni omesse pererrore.Ce ne scusiamo con gli interessati.

Errata Corrige