Nip#17

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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #17 Novembre/Dicembre2013

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Paesaggio. Città. Architettura.Rivista bimestrale di paesaggio, architettura e cultura contemporanea. www.nipmagazine.it

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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #17 Novembre/Dicembre2013

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Casa Editrice: ETS, P.za Carrara 16/19, PisaLegale rappresentante Casa Editrice: Mirella Mannucci Borghini

Network in ProgressIscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisan° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress”

ISSN 2281-1176

[email protected]

In copertina:UpperStudioAnno: 2013http://www.upperstudio.it/

Editing and graphics:Valerio MassaroVanessa Lastrucci

Con il patrocinio di:

Enrico Falqui_ [email protected]

Direttore Responsabile

Stella [email protected]

Direttore Editoriale

Valerio [email protected]

Direttore Creativo

Francesca Calamita_ [email protected]

Responsabile eventi, attività culturali e tirocini

Paola Pavoni_ [email protected]

Responsabile network culturale

Vanessa Lastrucci_ [email protected]

Responsabile Social Networks

Hanno collaborato con NIP:Ludovica Marinaro, Luca Casarano

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Editoriale

GIOVENTÙ BRUCIATA

Quando, nel 1975, tenni la mia prima lezione,

presso la Facoltà di Archi-tettura di Firenze, avevo il tempo di suonare in un gruppo rock, manifesta-re davanti alle “Officine Galileo” (storica fabbri-ca fiorentina), occupare S. Orsola (edificio ancora oggi dismesso nel cuore di Firenze), scrivere rac-conti di dubbia qualità e mai pubblicati; come la maggior parte dei giova-ni “aspiranti” alla carrie-ra universitaria, avevamo tutti la sensazione di poter vivere tranquillamente, a condizione di non passare da qualche bevuta tra ami-

ci nei locali del quartiere di S. Croce, alle droghe pe-santi che già circolavano con assidua e quotidiana pericolosità nei circuiti giovanili dell’epoca.

Avevo anche un lavoro estivo (presso il mer-

cato di S. Lorenzo) e gua-dagnavo quanto mio pa-dre.

Chi ha quasi trent’anni oggi, come io avevo

nel 1975, guarda il futuro dal “buco” della serratura, al di là della quale vi è un buio assoluto, che nessu-na luce riuscirà a illumi-nare.

Con una disoccupazio-ne giovanile che ri-

guarda ormai un giovane su tre ed un’inoccupazio-ne che sfiora il 50% della popolazione giovanile, chi può, fugge dall’Italia, ver-so Inghilterra, Germania, Svezia, Danimarca, dove più alte sono le possibilità di soddisfare il sogno di farsi un futuro degno di essere vissuto, in modo li-bero e indipendente.

In Italia, accade anche che la fascia d’età tra i

16-30 anni che, alla fine della Prima Repubblica (1991) contava circa 15 mi-lioni e mezzo di persone, sia passata a poco più di 9 milioni; mentre, la fascia d’età 60-74 anni, che nel 1991 arrivava a poco più

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di 8 milioni, sia passata a oltre 10 milioni. Secondo un docente della Bocconi di Milano, Alessandro Ro-sina, questo rapporto tra le due classi di età (giova-nile, anziana) ha un peso relativo tra i più bassi del Mondo e costituisce una delle cause fondamentali del declino del nostro pa-ese. La condizione giova-nile, se si analizzano le sta-tistiche che oggi vengono utilizzate per manipolare il consenso della pubblica opinione, è indifferente alla maggioranza della po-polazione e a chi la gover-na, perché è un’assoluta minoranza, che incide marginalmente nella co-struzione del consenso

elettorale per chi intenda governare questo Paese. Solo una classe politica lungimarante (che in Ita-lia, al momento, non esiste più) avrebbe la capacità di comprendere che, invece, è proprio su questa mino-ranza che dovrebbero es-sere tarati gli investimenti per la ricerca, per l’inno-vazione tecnologica, per la sburocratizzazione dello Stato, per la creazione di un’economia che produ-ce qualità nei prodotti, nei consumi, nel territorio e nelle città dove abitiamo.

Beppe Severgnini, gior-nalista milanese che

ha vissuto molti anni in In-ghilterra e negli Stati Uniti,

ci avverte che va cambiata la concezione del lavoro, nella società globalizzata in cui viviamo.

La qualità del prodotto del lavoro umano, nel-

la società contemporanea, ha bisogno di conoscenze e saperi, anche nelle at-tività della Pubblica Am-ministrazione e dell’In-dustria; in Italia, invece, la “bassa qualificazione” professionale permette ancora di svolgere lavori che, nella maggior parte dei paesi europei, vengono svolti solo da laureati o da tecnici diplomati.

Non basta più, come si ascolta dai mille Solo-

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ni che sproloquiano sugli schermi televisivi pres-soché quotidianamente, rimettere al centro della Politica, il Lavoro; biso-gna avere il coraggio an-che di dire che ci vogliono nuove figure professiona-li, nuove qualificazioni per svolgere certe mansioni nell’industria e nella pub-blica amministrazione, senza le quali la produt-tività di questo Lavoro rimarrà bassa e incapace di competere con gli altri Paesi. Così come bisogna avere il coraggio di dire che sono stati buttati al vento le risorse attribuite per vent’anni dall’UE alle Regioni per la formazione professionale, che, oggi in

Italia, serve solo a dare oc-cupazione a chi insegna, senza aver elevato di un millimetro il patrimonio di conoscenze necessarie non solo a chi deve essere riconvertito a un altro la-voro, quanto soprattutto a chi deve essere aggiorna-to costantemente per es-sere all’altezza dei rapidis-simi cambiamenti imposti all’economia nell’uso del-le nuove tecnologie.

Molti giovani fuggono dall’Italia anche per

questi motivi, non solo perché manca lavoro ma soprattutto, guardando in prospettiva, perché in Ita-lia le loro qualificazioni professionali (universi-

tarie e non) non servono. Dare lavoro ai capaci e me-ritevoli, significa anche di-sboscare quella giungla di attività che, a causa di que-sto ritardo culturale della nostra società nel capire che il mondo è cambiato, continuano a produrre servizi, merci, consumi, modelli culturali di infima qualità, distruggendo le basi future dello sviluppo di questo Paese.

Ma i giovani di oggi, che usano le tecno-

logie informatiche e della comunicazione, stanno imparando a fare da sé dentro la società reale che è loro ostile. Così come hanno creato dal nulla for-

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me di protesta innovative, molti di loro stanno cre-ando forme di commer-cio, letteratura e arte che si sviluppano all’ombra della contrazione del Pil e della crisi del debito.

Possono acquisire ra-pidamente un livello

di conoscenza che le pre-cedenti generazioni rag-giungevano soltanto al termine di un lungo pro-cesso educativo e di espe-rienza di vita. Ora tutto ciò di cui hanno bisogno è un modello economico che sappia sfruttare il poten-ziale umano creato dalle tecnologie e che, esaurito il ciclo economico-cultu-rale del 900, favorisca le

politiche di sviluppo fon-date sulla sostenibilità del territorio e sul rinnova-mento radicale della qua-lità urbana nelle città in cui viviamo, sradicando quella cattiva coscienza di una civiltà in declino, che ha bloccato l’Italia per 25 anni, il tempo di una ge-nerazione.

“Vorrei che ci fosse un solo giorno, in

cui io non debba sentirmi così confuso e non debba provare la sensazione di vergognarmi di tutto, così dice ai suoi amici ribelli James Dean nel celebre film di Nicholas Ray (1956), incitandoli a prendere co-scienza che un mondo era

finito e che loro avevano il diritto di prendere nelle loro mani il proprio desti-no. Da allora, nel Mondo, tutto cambiò.

Enrico Falqui

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ContentsContents #17RUBRICHE

Frames La lunga strada di sabbia

a cura di Enrico Falqui

Architettura che ci piaceUna piazza per tutti

a cura di Sociolab

FOCUS ONLa pratica della partecipazione di Elena Mortola

INTERVISTAL’identità perduta e la città informaleViaggio attraverso gli Italian Slumintevista a ZaLaba cura di Vanessa Lastrucci

IL PROGETTOI paesaggi partecipati Un impegno di tantotempofa per tantotempoancora!di Giorgio Pizziolo e Rita Micarelli

CREATIVITÀ URBANAKAD_Travelling architecture workshopArchitecture for kids with kidsdi Simona Paplauskaite

Il crowdfounding civico a supporto di progetti urbani partecipati di Romina Peritore

LE RECENSIONI_il libro_ Terracarne

Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del sud Italia

di Ludovica Marinaro

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Copertina originale a cura di

www.upperstudio.it

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9www.upperstudio.it

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Enrico FalquiDirettore responsabile di Network in Progress, docente presso l’Università degli Studi di Firenze, Direttore del laboratorio di ricerca in Architettura ed Ecologia del paesaggio (Lab AEP), DIDA, Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze

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La lunga strada di Sabbiaa cura di Enrico Falqui

“ll vangelo è e sarà l'occasio-ne per riparlare di cosa sta accadendo in questo nostro amato mediterraneo, in que-sta solinga e assolata Puglia.”

La lunga strada di sabbia 1957 Pasolini

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Gravina

“Al di là del ponte si trova il centro della città, una piazza affollata verso sera come in un giorno di Festa. E una calca di uomini vestiti di nero e ragazzi disegnati con il diamante e il carbone. Attorno a questa piazza si aggrovigliano, come viscere i vicoli e le stradine scoscese, attraverso cui si regrediscono fino nel cuore del tempo. Il puro medioevo, intorno.”

Pierpaolo Pasolini 1957, La lunga strada di Sabbia.

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Architettura che ci piace/ non ci piace

Negli ultimi anni Scandicci ha dimo-strato di essere una delle realtà più

dinamiche dell’area fiorentina, dal pun-to di vista sia socio economico sia ur-banistico. Molti sono stati gli interven-ti realizzati ed in corso di realizzazione nel Comune, dal nuovo Centro Rogers, alla riqualificazione di spazi come Piazza Matteotti fino alla nuova tramvia che ha contribuito a spostare verso Scandicci molte nuove famiglie in cerca di prezzi più bassi per l’abitare e una maggiore qualità della vita.

In questo contesto si inquadra la scel-ta dell’Amministrazione di avviare un

percorso di partecipazione volto a ri-qualificare Piazza Togliatti, la piazza del mercato di Scandicci, storicamente pun-

to d’incontro nevralgico del centro sep-pur attualmente percepita come area in decadenza. Grazie al finanziamento della legge regionale 69/07 il Comune di Scandicci ha incaricato Sociolab, coo-perativa fiorentina esperta in partecipa-zione, di ascoltare cittadini e portatori di interesse per individuare linee guida e raccomandazioni volte alla futura riqua-lificazione della piazza. Così è nato il per-corso “La città in piazza”, inserito nella fase embrionale della progettazione con l’obiettivo, non di partorire una nuova progettazione della piazza ma di avviare una discussione e una condivisione di obiettivi che aiutino l’Amministrazione e i professionisti che lavoreranno nella futura riqualificazione della piazza, a fare scelte e a prendere decisioni migliori,

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Architettura che ci piace/ non ci piacesia per la “forma” che per le “funzioni” che assumerà la futura piazza.

Per questo sono stati organizzati labora-tori che si sono susseguiti da giugno a

settembre, impiegando metodi diversi - dal workshop, al focus group, al planning for real - che sono riusciti a far emergere attraverso momenti di lavoro strutturato volto al confronto tra cittadini e stakehol-der, soluzioni in grado di coniugare la ri-qualificazione degli spazi con le diverse esigenze di accessibilità e soprattutto con le numerose funzioni che la piazza ha ospi-tato e dovrà accogliere nel futuro: dal mer-cato al centro giovani fino alle nuove fun-zioni per l’aggregazione e il gioco dei più piccoli.

I cittadini, che hanno preso parte al per-corso di partecipazione, pensano che

Piazza Togliatti sia un luogo con grandi potenzialità, ma con la necessità di una ri-qualificazione accurata. Riorganizzare la distribuzione delle funzioni nella piazza e incoraggiare la socializzazione e l’incontro tra i diversi frequentatori farebbe di piaz-za Togliatti una piazza per tutti. Sulla base degli esiti delle attività di partecipazione, è stato possibile individuare tre livelli di raccomandazioni. Da un lato, i cittadini hanno formulato criteri in grado di guida-re una progettazione tecnica che sia anche “a misura di cittadino”, quali l’inserimen-

to armonico nella pianificazione della cit-tà; la massima accessibilità; la convivenza pacifica tra le diverse funzioni e i diversi frequentatori; l’incoraggiamento alla so-cializzazione e all’aggregazione nell’uso degli spazi pubblici. Dall’altro sono state indicate priorità per l’uso degli spazi e del-le funzioni, quali la particolare attenzione all’ampliamento e all’arricchimento delle aree verdi e la volontà di tutelare e riorga-nizzare importanti funzioni esistenti, quali il mercato, e affiancandole a spazi e mo-menti in grado di facilitare l’aggregazione cittadina.

Si può dire che La città in piazza è stata una grande scommessa vinta, non solo

per il numero di partecipanti (circa 300 tra

luglio e settembre) e il consolidamento del rapporto stretto fra amministrati e ammi-nistratori, entrambi aspetti considerevoli in un momento difficile per la politica, ma anche per la qualità stessa della discussio-ne, per la capacità critica e la consapevolez-za con la quale gli abitanti, i commercianti della zona, i cittadini di aree limitrofe, i gio-vani e gli anziani sono riusciti ad elaborare, grazie ad un metodo innovativo che favori-sce il dialogo e l’ascolto reciproco, propo-ste concernenti scelte pubbliche precise e condivise.

a cura di

www.sociolab.it

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Alberobello

“Cosa c'è di più bello della danza che vibra nei paesaggi mediterranei, che si modella delle armonie delle case bianche e delle viuzze sinuose tra i capperi...”

Pierpaolo Pasolini 1957, La lunga strada di Sabbia.

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ELENA MORTOLAHa insegnato Metodologia Progettuale e CAAD presso l’Università di Roma La Sapienza (1883-1992). Dal 1993 insegna Progettazione Architettonica As-sistita dal Computer nell’Università Roma Tre, dove ha coordinato il Master internazionale di II livello Progettazione Interattiva Sostenibile e Multime-dialità (PISM). Ha collaborato con molte Università italiane e straniere e ha svolto numerose ricerche ed esperienze professionali nel campo della progettazione partecipata.

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LA PRATICA DELLA PARTECIPAZIONE

di Elena Mortola

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Chiamiamo per semplicità parte-cipazione1 quel filo conduttore che, nelle attività di studio e pro-

gettazione della città degli ultimi cento anni, evidenzia chiaramente l’interes-se e l’importanza di mettere al centro le esigenze dell’uomo in continua evo-luzione ma profondamente radicate nella storia. Se non collegassimo espli-citamente il concetto di partecipazione a quello di città, intesa come spazio di vita dell’uomo, rischieremmo di cir-coscrivere il discorso a un elenco di metodi e procedure (vedi allegato A) che cercano di rendere i cittadini pro-tagonisti della trasformazione urbana senza renderli di fatto consapevoli dei processi di crescita della città e dei suoi valori.

Nel libro Partecipazione e ICT2 si illu-stra il percorso di conoscenza di alcuni urbanisti e studiosi del secolo scorso che, considerando la progettazione ur-bana come attività al servizio del benes-sere dell’uomo, hanno cercato di indi-viduare concretamente qualche via

efficace per dare vita ad azioni plurali e cooperative, concentrando l’attenzio-ne sulla capacità effettiva di governare i processi con regole e progetti imme-diatamente pertinenti ed efficaci, dove la partecipazione diretta dei cittadini svolge spesso un ruolo fondamentale.

Si segnalano i precursori: Patrik Geddes e Lewis Mumford e l’Advo-cacy Planning. Nel dopoguerra tra gli esponenti dell’urban design che si occupano (o si sono occupati) di par-tecipazione possiamo citare Gordon Cullen, Jan Gehl, Christopher Alexan-der, Kevin Lynch, Giancarlo de Carlo, il Team 10, Peter Calthorpe e Andres Duany. Dalla fine degli anni ’80 le te-matiche della partecipazione s’intrec-ciano con l’interesse per la salvaguar-dia dell’ambiente naturale e per uno sviluppo sostenibile. Possiamo citare Ian L. McHarg, N. John Habraken e Lu-cien Kroll. New Urbanism, che nasce nel 1970, è un movimento di progetta-zione urbana che promuove quartieri a misura di pedone, è strettamente re-

1 LE RADICI DELLA PARTECIPAZIONE E URBAN DESIGN

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lazionato al regionalismo, all’ambien-talismo e al concetto di smart growth. Il Collaborative Planning è nato negli Stati Uniti nel 1995 come risposta alle inadeguate tecniche di partecipazione tradizionali e per offrire reali opportu-nità agli abitanti di partecipare alle de-cisioni.

In Italia le prime esperienze di pro-gettazione partecipata risalgono alla fine degli anni ’80. Queste espe-

rienze sono diverse per importanza e natura: alcune sono state promosse da amministrazioni locali (più spesso Co-muni, meno frequentemente Provin-cie e Regioni), altre da associazioni ed enti, pubblici e privati (Università, INU, WWF, Italia Nostra, ecc.); altre ancora da associazioni o comitati di quartiere.

Le città dove sono state sviluppate le esperienze più significative, soprattut-to negli anni ’90 e all’inizio del nuovo secolo sono Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli e Bari.

Non è possibile elencare o descrive-re in questa sede queste esperienze: nei testi seguenti è possibile trova-re la descrizione di una parte di esse: Sclavi, 2002; Ferraresi, 1994; Balducci 1991,1996; Paba, 1998; Magnaghi, 1998, 2007, 2010; Giangrande, 1998, Gian-grande e Mortola 2005; Laino, 2000; Pizziolo e Micarelli, 2003; Borri, 2000; Crosta, 1990; Lorenzo, 1998.

Un esempio interessante di proget-tazione partecipata è quello effettua-to da due degli autori di questo libro (Giangrande e Mortola, coordinatore), in quanto membri del gruppo di pro-gettazione che ha vinto la seconda edi-zione del Concorso Nazionale di Pro-gettazione Partecipata e Comunicativa promosso da INU, WWF, Ministero dei Lavori Pubblici e Ministero dell’Am-biente, per il caso di studio riguardante la riqualificazione del quartiere di Cen-tocelle vecchia.

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Supponiamo di aver condotto un'in-dagine/ascolto con l'aiuto di alcuni degli approcci considerati nell’Al-

legato A, e che abbiamo individuato un numero significativo di parti interessa-te (stakeholders) o anche semplici per-sone che vogliono lavorare utilizzando procedure di progettazione partecipata.

Gli approcci che devono essere utilizza-ti per questo scopo sono essenzialmente diversi da quelli già descritti nell’Alle-gato A. Questi approcci facilitano la par-tecipazione degli abitanti in un processo il cui obiettivo non è quello di acquisire più informazioni e promuovere la par-tecipazione attiva degli attori locali, ma piuttosto di progettare nuovi spazi o re-cuperare spazi esistenti. Il metodo mes-so a punto da A. Giangrande e E. Morto-la (Giangrande, Mortola 2000a, 2000b, 2000c, 2005, 2009, 2011, 2012), ispirato alle teorie di Christopher Alexander ini-zia con un forum.

Dopo aver esaminato il programma progettuale preliminare e la documen-tazione già acquisita dal forum, i mem-bri del gruppo di lavoro effettuano assie-me agli abitanti un sopralluogo accurato dell’ambito per individuare e rappre-sentare su una mappa tutti gli elementi della ‘wholeness’ - la struttura profonda

che caratterizza ogni luogo e contribu-isce a renderlo ‘vivente’. L’attività suc-cessiva consiste nella costruzione del visioning, dello scenario futuro dina-mico (SFD) che prefigura i cambiamenti che gli attori territoriali interessati de-siderano per i loro spazi di vita. Questa prefigurazione non si riferisce a uno specifico orizzonte temporale, ma è una ‘visione’ genericamente orientata a un futuro lontano che può sempre essere aggiornata in funzione della mutata si-tuazione del contesto. La fase conclusiva del processo consiste nella procedura di unfolding - intesa come processo che trasforma un contesto conservandone la struttura originaria profonda (vedi C. Alexander). In pratica, nell’elaborare il progetto, il gruppo di lavoro dovrà tene-re conto sia degli elementi rappresenta-ti della mappa della wholeness, sia delle prefigurazioni dello scenario condiviso. Il gruppo di lavoro pubblica e aggiorna periodicamente sul blog i risultati par-ziali del processo progettuale. I membri del forum e tutti gli altri cittadini posso-no in ogni momento accedere al blog per inviare i loro commenti: il gruppo dovrà leggerli per fare tesoro delle critiche ra-gionevoli e utilizzare i suggerimenti va-lidi per migliorare il progetto.

2 IL METODO DI PROGETTAZIONE INTERATTIVA ISPIRATO ALLE TEORIE DI ALEXANDER

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É stata applicata per il caso di Cen-tocelle vecchia una procedura continua, partecipativa e incre-

mentale che unisce tre approcci cicli-camente collegati: Visioning, Strate-gic Choice (SC) e A Pattern Language. Secondo i due autori questa proce-dura completa SC come procedura di pianificazione e progettazione. Come membri di un gruppo che ha vinto un concorso nazionale di progettazione, gli autori hanno utilizzato questa pro-cedura per lo sviluppo di alcune pro-

poste di pianificazione e progettazione per il recupero di Centocelle Vecchia. Come conseguenza di questo successo, il comune di Roma ha dato al gruppo l’incarico di realizzare il progetto preli-minare per la riqualificazione del quar-tiere. Nelle figure 1-5 alcuni elaborati illustrativi. Questo lavoro è ancora in corso. Ultimamente è stato presentato il progetto esecutivo del recupero di via Tor de’Schiavi, la strada principale del quartiere.

3RECUPERO URBANO A ROMA: SCELTE STRATEGICHE E IL METODO DI PROGETTAZIONE INTERATTIVA

Esposizione del quartiere di Centocelle Vecchia

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Spazi pubblici e interventi di moderazione del traffico

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Strade verdi e riorganizzazione della sosta 25

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Recupero edilizio26

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Guida per gli amministratori e gli abitanti 27

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Ascolto passivo (passive listening) è una delle tecniche per rilevare le esigen-ze o le aspettative di una popolazione. Ad esempio, il questionario, uno strumento utile anche se a volte è imperfetto.

Ascolto attivo (active listening) è uno strumento formalizzato dagli antropolo-gi che è in grado di favorire la reciproca comprensione tra persone provenienti da diversi background culturali.

Outreach (sensibilizzazione) è un termine generico per una serie di atti-vità che hanno l'obiettivo finale di pro-muovere le scienze (sia applicate che naturali) al grande pubblico.

Animazione sociale (social anima-tion) significa la capacità di diffondere la conoscenza del territorio e le proce-dure di pianificazione attraverso l’inte-razione sociale, in accordo con una pro-cedura bottom-up.

Animazione territoriale è utilizzata soprattutto nei progetti di sviluppo loca-le concertati (patti territoriali, progetti integrati, ecc). Con il termine animazio-ne territoriale (o animazione sociale) si intende comunemente tutto ciò che va ad incrementare il grado di sensibiliz-zazione e di interesse degli attori locali intorno a problemi e strategie che inte-ressano i luoghi di appartenenza.

Ricerca-azione o ricerca-azione partecipativa (action research or participatory action research) è una tecnica molto simile a quella di anima-zione sociale; il suo obiettivo consiste nella partecipazione delle parti interes-sate in un’analisi dei problemi e nella ri-cerca di un'azione pratica.

Passeggiata di quartiere (walks in the neighbourhood). La passeggiata è uno strumento che consente ai tecnici e ai residenti di condividere le informazio-ni che si trovano nel proprio quartiere.

Punti di riferimento Sono sportelli aperti al pubblico ubicati

all’interno di un’area urbana in fase di trasformazione, con particolare riferi-mento a progetti complessi che mirano ad una riqualificazione sia fisica sia so-ciale dell’area stessa. Il termine “punto” fa riferimento sia all’idea di luogo fisico ben identificato, sia alla funzione di “fare il punto” insieme agli abitanti.

Tecniche per la costruzione di scenari Hanno lo scopo di facilitare le riflessioni strutturate sui possibili futuri sviluppi di un contesto - ambientale, urbano, sociale, ecc. - da parte di individui che ne fanno parte. La costruzione di scenari è legata al futuro, quando gli interessi particolari e i conflitti hanno perso un po' della loro importanza.

L’EASW (European Awareness Sce-nario Workshop) è nato in Danimarca per trovare un accordo tra le varie parti interessate (stakeholder) all'interno di un ambito locale oppure per l’accordo consensuale a scala più vasta ed è stato adottato ufficialmente nel 1994 dall’ En-vironment Directorate of the European Commission nel quadro delle politiche volte a promuovere l'innovazione soste-nibile in Europa.

Action Planning - Piano d’azione - è un metodo che permette di identificare i bisogni e definire i problemi in un conte-sto locale attraverso il contributo diretto della comunità locale, e di formulare li-

Allegato AI PRINCIPALI METODI PARTECIPATIVI

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Bibliografia•Commissione Europea (2004) Il manuale della Commissione Europea sulla metodologia EASW•Faludi A. (1994), "Rule and Order. Dutch Planning Doctrine in the Twentieth Century", Kluwer, Dordrecht.•Friend J.K., Hickling A. (1987/1997), Planning under Pressure: The Strategic Choice Approach", Pergamon Press, Oxford.•Friend J.K., Jessops W.N. (1968), “Local Government and Strategic Choice", Pergamon Press, Ox-ford.•Giangrande A., Mortola E. (2000a) Manuale di autoprogettazione per piccoli interventi di ri-qualificazione dell’ambiente urbano, Assessorati alla Partecipazione, alle Politiche educative, all’Ambiente, ai Lavori pubblici e alla Mobilità del Comune di Roma.•Giangrande A., Mortola E. (a cura di) (2000b) Architettura, Comunità e Partecipazione: quale linguaggio?, Seminario internazionale, Università degli Studi Roma Tre, 4-5 aprile.•Giangrande A,, Mortola E., Spada M. (2000c) Progettare con la comunità, Seminario interna-zionale, Comune di Roma e Università degli Studi Roma Tre, 13-14 aprile.•Giangrande A., Mortola E. (2005) Neighbourhood renewal in Rome: combining Strategic Choice with other design methods, in Planning under Pressure (J. Friend and A. Hickling eds.), 3.th ed., Elsevier, Oxford.•Giangrande A., Guidetti G.,Mortola E. (2009) Spazi didattici all’aperto: un processo di progetta-zione partecipata , Gangemi editore•Giangrande A. ,Mortola E., ,2011, PROGETTAZIONE PARTECIPATA: il caso dell’Angelo Mai nel rione Monti a Roma (2011) Gangemi editore•Mortola E., Mecarelli F. (2012a) Cohousing e progettazione partecipata nei centri storici, 2012, Gangemi editore•Mastop J.M. (1984), Besluitvorming, handelen en nomeren; Een methodologische studie naar aanleiding van het streekplanwerk•Mortola E. (a cura di) (2012b) Quaderno n.1 OpenPISM-PSP, “Scenari futuri per l’ex-deposito Atac Vittoria”, Aracne, Roma, 2012•Gibson T. (1984), Counterweight. The Neighbourhood Option, Country Planning Association & Education for Neighbourhood Change, Nottingham.•Lewin K. (1946) Action research and minority problems. J Soc. Issues 2(4): 34-46•Owen H. (2008) "Open Space Technology: A User's Guide", (3rd ed.). Berrett-Koehler.

nee guida con coloro che conoscono i problemi, perché si trovano ad affron-tarli ogni giorno.

Planning for Real – PfR (pianificare per davvero) è un metodo che è stato sviluppato negli anni '70 da ricercatori dell'Università di Nottingham (GB), sot-to la guida del prof. Tony Gibson (1984). Tutti, anche senza specifiche cono-scenze tecniche, possono partecipare direttamente al processo di decisione e di pianificazione. La comunicazione

svolge un ruolo centrale, a tutti è per-messo di esprimersi.

Open Space Technology, sviluppato da Harrison Owen (2008), è una me-todologia che permette, all'interno di qualsiasi tipo di organizzazione, di crea-re gruppi di lavoro (workshop) e incon-tri (riunioni) particolarmente ispirati e produttivi.

Note

1Nei processi di progettazione questo termine indica il coinvolgimento di un numero più o meno ampio di soggetti interessati alla solu-zione dei problemi di uno specifico contesto urbano e territoriale. I soggetti possono parte-

cipare con la propria adesione, con l’interes-samento diretto o recando un effettivo contri-buto al compiersi dell’attività progettuale.

2Autori A.Caperna, A.Giangrande, P.Mirabelli, E.Mortola, casa ed. Gangemi, 2013

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Ostuni dentro e fuori di sé

“Ostuni è la città del silenzio del sud...volo per la costa meno nota d'Italia; mi trascina una gioia tale di vedere che quasi son cieco”

Pierpaolo Pasolini 1957, La lunga strada di Sabbia.

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Antica Masseria Brancati, Ostuni

“il segreto della felicità sta nel guardare tutte le meraviglie del mondo e non di-menticarsi mai delle due gocce di olio nel cucchiaino”

Paulo Cohelo L'Alchimista.

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ZaLab produce laboratori di video partecipativo e documenta-ri in contesti interculturali e in situazioni di marginalità geografi-ca e sociale. I documentari di ZaLab raccontano vite ignorate e se-gnate dai conflitti di oggi, con il desiderio di farne storie per tutti. Maddalena Grechi è socia di ZaLAb. Coordina la comunicazione del pro-getto “ZaLab, la comunicazione che cambia” realizzato grazie al supporto di Open Society Foundations.Carlo Lo Giudice è regista, dal 1990 ha scritto e diretto film di finzione e documentari che hanno ottenuto riconoscimenti in diversi festival nazio-nali ed internazionali. Attualmente insegna all’Accademia di Belle Arti di Catania. Importanti per la sua formazione i viaggi di lavoro in diversi paesi: Bosnia, Portogallo, Grecia, Palestina, Egitto.

Vanessa Lastrucci architetto, Responsabile social media per NIP magazine.

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a cura di Vanessa Lastruccifoto di Rosanna Petralia & ZaLab

L’IDENTITÀPERDUTA E LA CITTÀ INFORMALEViaggio attraverso gli Italian Slums

La città informale: le baraccopoli, gli slum, le favelas e le case abu-sive. È la città dove vive la maggioranza della popolazione mondiale. Una città non pianificata che cresce con le proprie regole insediative; indipendentemente e velocemente affianca la città istituzionale ap-propriandosi degli spazi vuoti che lascia dentro di sé ed intorno a sé. Pensiamo che il fenomeno della città informale sia prerogati-va esclusiva dei paesi poveri. Forse anche l’Italia è un paese che contiene condizioni di povertà, se scopre di avere nelle sue cit-tà altrettante città parallele più o meno nascoste ed ignote. Abbiamo intervistato Maddalena Grechi di ZaLab ed il regista Car-lo Lo Giudice che hanno intrapreso un viaggio attraverso una ba-raccopoli italiana.

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Maddalena: Italian Slum ha l’intento di fondo di lan-ciare una campagna provocatoria d’informazione su temi trascurati in Italia; si pensa che riguardino il terzo mondo ed invece tocca la nostra realtà, le nostre perife-rie e non soltanto le comunità straniere. Descrivete ai nostri lettori di che cosa si occupa Za-Lab. M: ZaLab è un’associazione culturale che si occupa di produzione e distribuzione di video documentari, lavoria-mo in contesti di marginalità sociale e geografica in Italia e all’estero; abbiamo realizzato dei video documentari sulle oasi nel deserto tra Libia e Tunisia, sulle comunità palestinesi che vivono a ridosso del muro, o nei quartieri popolari di Barcellona, tutti contesti di marginalità geogra-fica. In Italia ci siamo rivolti a soggetti di marginalità meno fisica e più sociale. Abbiamo lavorato nella realizzazione di documentari e di video partecipativi con “immigrati” di seconda generazione e rifugiati richiedenti asilo, abbiamo fatto anche azioni di pressing politico sulle tematiche dei respingimenti dei migranti: un filone della nostra produ-zione si è mosso in questa direzione per anni, toccando le tematiche legate all’immigrazione e alla violazione dei diritti dei migranti; abbiamo iniziato con documentari come Un uomo sulla terra, Mare chiuso, Sangue verde. Il video è il vostro linguaggio distintivo? M: Il video è uno strumento duplice: estetico, di indagine sociale, e di esplorazione della realtà che ha un linguaggio specifico e che porta ad approfondire questioni che con altri tipi di ricerca si perderebbero, soprattutto per quanto

Rabat (Marocco)

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riguarda gli aspetti umani che sono il nostro principale interesse. La forza sta nel contatto empatico: toglie i sog-getti dall’anonimità e rende centralità alla persona; garan-tisce una vicinanza emozionale che ci fa arrivare ad una comunicazione più completa ed umana per restituire umanità e dignità alla persona, particolarmente quando i soggetti sono emarginati. Dal lato dei soggetti, noi abbiamo formato delle persone che definiamo “occhi non accredita-ti”: abbiamo fatto percorsi di video partecipativi per far diventare i protagonisti della comunicazione che li riguarda quelli che sono normalmente oggetto del video, e questo aumenta il senso di identificazione dello spettatore. Siete nati con l’intento di denuncia sociale? M: Sì e per farlo abbiamo scelto il mezzo della comunica-zione video, ma senza mai rinunciare alla qualità estetica del prodotto: abbiamo cercato di coniugare la qualità cinematografica, la pulizia, l’attenzione per gli effetti arti-stici con quelli della denuncia. Così i video riescono ad avere una grossa rete di distribuzione nelle sale ed una ancor più fitta rete di distribuzione, che ci siamo costruiti negli anni, per così dire “civile” composta da circa 300 realtà associative d’Italia; associazioni di per sé non depu-tate alla visione cinematografica, che in queste occasioni diventano luoghi di visione e di discussione. L’input alla discussione su certi temi a livello di comunità allargata è il nostro obiettivo. Avete nuovi progetti in elaborazione? M: Quest’anno abbiamo iniziato un nuovo progetto di documentari brevi pensati per il web per ampliare la distribuzione civile; la rete è un canale da esplorare, ma il

Napoli

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web ha i suoi formati per questo abbiamo pensato ad una forma video breve che abbiamo chiamato Schegge di Za. Per noi Za sta per Zavattini, Schegge perché devono entra-re sotto la pelle e dare fastidio: finché non te la sei tolta non puoi smettere di pensarci. Vogliamo ampliare il pub-blico potenziale sulle tematiche che per noi sono priorita-rie: integrazione delle comunità straniere, violazione dei diritti dei migranti. Le Schegge sono accompagnate da mini campagne di comunicazione su alcuni temi, in questo caso la campagna è Italian Slum. L’idea di Italian Slum è di Carlo che è di Catania, conosceva già questa realtà. Carlo: Sono sempre stato interessato allo spazio urbano, ed in particolare all’uso indisciplinato delle metropoli. Ho girato alcuni film sul rapporto con il sentire lo spazio urbano, sulla lettura dei luoghi, sul perdersi negli spazi urbani. Da questa esperienza è nata la possibilità di fare un corto con ZaLab. La storia della città è emblematica; può sembrare provin-ciale ritenere la propria città un “caso” di significato na-zionale ma Catania è sempre stata un laboratorio politico urbano, nel bene e nel male: possiede gli aspetti più estre-mi e gli aspetti più sperimentali dell’abuso della cosa pubblica e adesso sto realizzando un film su questo argo-mento. Raccontaci la storia delle voragini di S. Berillo, un buco enorme nel centro di Catania. Vuoi spiegarci che cosa sono? C: Le voragini sono il “deposito” di ciò che rimane dello sventramento di un quartiere, che era il quartiere storico

Catania

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di Catania, S. Berillo, il cuore della città dove era localizzata la maggior parte delle attività e si affacciava sul mare, per questo era un quartiere che racchiudeva l’identità della città. Identità che si è scelto di radere al suolo, dopo vari rinvii, negli anni ‘50. Lo sventramento doveva creare un grande boulevard catanese, la zona malsana e vecchia fu abbattuta ma fu ricostruito solo un palazzo di traverso che interrompe il viale a metà, noi lo chiamiamo “il palazzo della vergogna”, per cui si è andata a creare una nuova geografia definita da al di là, dove si trovano banche e centri commerciali, e al di qua del palazzo, le voragini. La situazione nasce da un antichissimo problema che la città che si porta dietro dal ‘600 quando fu distrutta dal terremoto ed iniziò l’appropriazione dei terreni e degli spazi pubblici da parte dei privati. Le trentamila persone che vivevano lì furono “deportate” ai margini della città in un quartiere costruito ex novo, privo di servizi e collegamenti con la città. Questi cittadini persero tutte le loro attività economiche; in questo modo il tessuto sociale del Centro storico fu distrutto. Non è solo un fatto fisico ma un vero e proprio sradicamento dell’identità. Tornando alle voragini, la società che si fece carico dell’o-nere dello sventramento acquisì anche i terreni, ma nel ‘69 cambiò la legge urbanistica che abbassò la quota edifi-cabile per cui la società fece causa al Comune che da allora paga ingenti penali di multa, il cui onere grava sulla collettività. Negli anni 2000 il processo riqualificazione delle voragini ebbe un’ennesima battuta d’arresto a causa del mancato accordo tra parte pubblica e parte privata. La situazione è divenuta, nel tempo, talmente intricata che i proprietari stessi preferiscono lasciare tutto così.

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Solitamente le baraccopoli sono ai “margini” delle città, in aree nascoste e dimenticate. Al contrario, a Catania si trovano nel centro storico. M: Questo è il motivo che ci ha portato ad interessarci al lavoro di Carlo. In altre situazione di occupazione ci si trova sempre in luoghi marginali o molto esterni alla città. A Catania invece è proprio la loro centralità che rende più emblematico il rifiuto della gente ad interagire con quella realtà. Quando tali situazioni stanno nelle zone marginali sono meno visibili, c’è un senso di volersi na-scondere; invece in questo caso c’è un muro intorno ma l’essere talmente al centro della città lo rende un caso emblematico. Non si tratta dell’unico slum in Italia. Di quali altri casi siete a conoscenza e quali state studiando? Avete idea di quale sia la situazione nel resto d’Europa? M: Io che ho curato la campagna di comunicazione sono partita da un dato che mi ha sconvolto: da un rapporto dell’ONU, recentemente pubblicato, risulta che una per-sona su 6 vive in baraccopoli; in Europa sono 34 milioni, in Italia non si sa. L’obiettivo della campagna è muovere una discussione ed invogliare il progredire della ricerca per-ché è preoccupante che in Italia non ci siano dati certi sulla popolazione che vive in questi spazi dimenticati delle nostre città. Noi abbiamo dato lo spunto e sollevato il tema, ora passiamo la palla e ci auguriamo che il lavoro sia por-tato avanti con una ricerca sociale approfondita da chi ne ha gli strumenti e le competenze. Noi siamo documentari-sti. Forse il paragone è azzardato, ma una baraccopoli è quanto di più vicino esista alla città medievale: ognu-no costruisce spontaneamente con i mezzi che ha, ed ogni volta che può apporta delle modifiche e dei mi-glioramenti alla propria abitazione rispettando un regolamento di vicinato. Lo slum funziona nello stesso modo? Esistono delle regole insediative? E delle regole di comunità? C: Le voragini sono composte di 3 buchi abitati da 3 etnie diverse, bulgari, romeni e polacchi; le differenze di abita-zione erano notevoli. I polacchi erano molto puliti, dignito-si, organizzati, c’erano meno atti di violenza; la città aveva vie dritte, era divisa a scacchiera e le case fatte in lamiere pulite, con le poltrone sistemate fuori. La città dei romeni era invece affastellata, rumorosa, spor-ca, caotica ma collettiva. Nel loro buco sono successi fatti spiacevoli e delitti gravi. Poi c’era una certa ingerenza della mala vita locale che affittava le baracche, quindi le dovevano anche pagare ma c’era una certa organizzazione.

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L’ultima voragine era occupata dai bulgari che avevano costruito una città anarchica nel senso che ognuno era indipendente, si occupava solo del suo spazio formato da una casa a terra con il terreno davanti, come erano abitua-ti nel loro paese. Si vedeva proprio come vivessero in modo diverso e questo è rappresentativo degli aspetti culturali. Nel 2005 sono stati sgomberati per la prima volta in ma-niera violenta, approfittando della notte e utilizzando i caterpillar per distruggere gli insediamenti provvisori realizzati. Ma sono tornati, bulgari in prevalenza. Durante la seconda occupazione c’era una maggiore anarchia, ognuno pensava per sé ed organizzava il suo spazio.

Una città parallela, isolata, chiusa; una zona off limits che non ha nessun rapporto con l’altra città, quella istituzionale; oppure viceversa esiste un qualche tipo di interazione? C: Gli abitanti del perimetro si sono lamentati moltissimo, e si preoccupano soprattutto dell’aspetto igienico perché ci sono bagni a cielo aperto, topi, serpenti e prostitute che portano là i clienti. Quelli che abitano i buchi non vogliono essere aiutati, non vogliono ingerenze perché l’ingerenza crea problemi. Entrarvi non è facile: stavano sulla difensiva dalla teleca-mera perché alcuni avevano paura di perdere il lavoro. Io sono riuscito ad entrare solo quando hanno saputo che stavano per essere buttati fuori e non avevano più niente da perdere. A me non hanno fatto l’impressione di una

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comunità che cercasse l’integrazione con la popolazione esterna alle voragini; S. Berillo è una riserva indiana e chi lo abita ci tiene che rimanga tale perché sanno che se si mettono in relazione con la città rischiano. È un posto dove entri dentro e scompari, e questa è la loro salvezza e la loro rovina: i muri che li chiudono definiscono un peri-metro talmente netto che è solo per via di questa separa-zione fisica che gli abitanti del quartiere riescono a tolle-rarlo. Mi interessa l’aspetto antropologico: ciò che trovo più inquietante è la rimozione fatta dalla cittadinanza dell’esistenza del problema. Paradossalmente è la rimo-zione dei catanesi che fa sì che si mantenga questo spazio di libertà per persone che hanno cercato di tamponare una situazione di emergenza. Andrete avanti con il progetto Italian Slum? C e M: Il progetto è finito perché si occupava specificata-mente delle voragini di S. Berillo, ma con Italian Slum collaboriamo con tutte le realtà coinvolte nelle interviste, consapevoli che non possiamo risolvere da soli l’emer-genza sociale presente in queste realtà. Il nostro lavoro continuerà con un cortometraggio su un campo di Roma e sull’anomalia italiana dei campi attrezzati che, oltre alla ghettizzazione sociale, nascondono gli interessi più abietti della speculazione edilizia. NdR: Container158, il film sui campi Roma; presentato la scorsa settimana al Festival Internazionale del Film di Roma, è appena uscito.

Messina

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Castel del monte

“...qui infatti tutto minaccia di non essere; la costa piatta, i paesi arabo normanni (arabi nella parte umile normanni nella parte eletta), il mare. Tutto è come bevuto, frastornato dalla luce.”

Pierpaolo Pasolini 1957, La lunga strada di Sabbia.

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“Guardare indietro alle sue cose è il mezzo per poter tornare a guardare avanti.”

Pierpaolo Pasolini 1957, La lunga strada di Sabbia.

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Giorgio Pizziolo Già Professore ordinario di Analisi e Pianificazione Territoriale, incaricato di Architettura del Paesaggio presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Professore presso the International Institu-te for Advanced Studies in System Research and Cybernetics, Universi-ty of Windsor, Ontario, Canada.Rita Micarelli Già professoressa a Contratto di Ecologia sociale e Tec-nologia dell’Architettura press il Politecnico di Milano Bovisa, Profes-sore presso the International Institute for Advanced Studies in System Research and Cybernetics, University of Windsor, Ontario, Canada.

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I PAESAGGI PARTECIPATIUn impegno continuo di #Tantotempofa per #Tantotempoancora!

di Giorgio Pizziolo e Rita Micarelli

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Gli anni ’80

Allora non si parlava di partecipazione ma già si sviluppavano i temi dell’eco-logia considerando il contesto della na-tura, aperto alle Relazioni tra uomo/so-cietà/ambiente: sulle tracce di Gregory Bateson che abbiamo ritrovate con Enzo Tiezzi, Marcello Cini, Laura Conti e tanti amici cari con i quali abbiamo avviato un processo di apprendimento e approfon-dimento aperto alla dimensione sociale e alla sperimentazione sui luoghi e i ter-ritori.

Le nostre esperienze di quegli anni si possono ritrovare a Vagli nelle Alpi Apuane, a Bagno a Ripoli, nell’hinter-land fiorentino, a Matera nei Sassi, e in molte altre sperimentazioni, condotte sempre in stretto rapporto con le popo-lazioni e le comunità locali, scoprendo mondi, culture e progettualità, spesso impreviste e straordinarie che emerge-

vano da uno scambio amichevole con i partecipanti e venivano verificate con le istituzioni locali per diventare Program-mi e progetti, e per svilupparsi seguen-do itinerari e processi amministrativi e sociali. Tutto questo continuerà per tutti gli anni ’90, verso la formulazione di pro-getti complessi e innovativi in urbanisti-ca, quali i progetti Territoriali Integrati, fino alla Bioregione Urbana, che non fu-rono compresi ma che oggi ancora ven-gono ripresentati, come se costituissero delle ‘novità’.

Gli anni 2000

Si firma a Firenze la Convenzione Eu-ropea del Paesaggio che determina una svolta nella concezione consueta (anche accademica) del Paesaggio, che viene de-finito nei termini nuovi della Percezione Sociale e dell’appartenenza all’Ambien-te di Vita da parte delle popolazioni. In quella occasione ci siamo ritrovati sem-

Progetto europeo Ruralmed 2004-06la mobilità relazionalenon solo trasporti e orari ma relazioni e ritmi ambientali/sociali nel quotidiano, nel turismo, nell’apprendimento, nella circolazione di persone e di idee

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pre più vicini ad alcuni degli estensori della Convenzione, con i quali continu-iamo a collaborare e a scambiare idee ed esperienze. La partecipazione, così riconosciuta dalla Convenzione, è per noi divenuta un fenomeno intrinseco all’Ambiente di Vita/Paesaggio, e dun-que una componente fondamentale di ogni progetto o processo che si vo-glia stabilire nei contesti reali dei ter-ritori europei. Ma tra il rinnovamento dell’impostazione della Convenzione e le realtà economiche e amministrative -dalla dimensione nazionale a quella locale– si è manifestato un divario spes-so incolmabile. È divenuto perciò indi-spensabile sviluppare la dimensione esperienziale sull’ambiente di vita, la sola che può ricostruire rapporti e rela-zioni dirette e profonde tra le Comunità, i propri Ambienti e le loro Amministra-zioni territoriali. La dimensione espe-rienziale è però tanto necessaria quan-to difficoltosa e richiede un approccio

partecipativo molteplice e complesso da ritrovare oltre le pratiche tradizio-nali o i protocolli standard del consen-so e delle pratiche sociali chiuse in se stesse. L’approccio che abbiamo svi-luppato tende infatti a praticare la par-tecipazione attraverso il rapporto con gli Ambienti di Vita contemporanei, e tende a riscoprire il loro Genius Loci tramite pratiche di percezione sociale e di valutazione esperienziale che le per-sone delle diverse comunità praticano in un contesto di apprendimento reci-proco, in un clima di scambio paritario e di discussione amichevole che si sta-bilisce tra gli esperti e i partecipanti ad ogni passo delle esperienze intrapre-se. Gli Amministratori locali vengono coinvolti in questi processi con nuove modalità e nuove funzioni, dirette o di supporto, mentre il processo si svolge in un intreccio di scambi, proposte, va-lutazioni, assunzioni di responsabilità e atti amministrativi originali.

Il progetto ambientale tra

Firenze e la piana La bio-regione

urbana,1992

Parametro n.242 Faenza editrice

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Dai Progetti Pilota ai Contratti di Paesaggio

Le attività descritte si sono concre-tizzate nella messa a punto di modelli di Governance Partecipata (denomi-nati Contratto di Fiume-Paesaggio o Patto di Paesaggio) che hanno aperto la strada a modalità urbanistiche pro-grammatiche innovative applicabili su ambiti e territori di area vasta ricono-sciuti e definiti nel corso dei processi partecipativi. I nuovi percorsi di ricerca e di esperienza vanno oltre la ricerca/azione concepita nel significato cor-rente (talvolta banalizzato come uno slogan) e trovano nuovi spazi di demo-crazia praticata e verificata attraverso un interscambio paritario tra Comu-nità, Persone, Amministratori, Esperti, che valutano le modalità di gestione, tutela e promozione degli Ambienti di Vita che vanno a costituire gli Am-biti dei Contratti o Patti di Paesaggio e le progettualità che in essi possono svilupparsi. I Contratti/Patti divengo-no così Strumenti di Governance e di garanzie (reciproche e molteplici) tra

Amministrazioni e cittadini, con il con-tinuo supporto tecnico–scientifico ne-cessario ad assicurare la coerenza dei processi (in atto e di nuova introduzio-ne) rispetto alle strutture statutarie di Contratto.

Tutti gli itinerari e i processi descritti sono stati proposti in contesti diversi hanno trovato accoglienza e risposte adeguate da parte e delle comunità che hanno partecipato direttamente alla loro costruzione, coinvolgendovi gli operatori economici, le istituzioni sociali e culturali che operano sui loro territori e che le hanno, con i cittadini, e con le Amministrazioni locali, ratifi-cate. Troppo spesso però queste inizia-tive vengono ostacolate proprio dalle stesse Amministrazioni che le hanno sostenute e non trovano sostegni per svilupparsi adeguatamente. Tuttavia, nonostante le difficoltà, i processi re-stano aperti e i gruppi sociali conti-nuano a presidiare i territori, tutelando i loro valori riconosciuti e promuoven-done la gestione partecipata.

a sinistra:Roccandagia e CampocatinoVagli negli anni ‘80

in alto:Gruppo di lavoro Rizoma, contratto di fiume Medio Panaro. Schizzo di lavoro

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Gli anni recenti , dal 2010 a oggi

La crisi investe il territorio, il paesag-gio, e le stesse relazioni uomo/società/ambiente, che sono profondamente al-terate tanto a livello globale che in ogni realtà del Mediterraneo. La problema-ticità della condizione attuale porta alla lacerazione e alla schizofrenia che or-mai si manifestano in tutti i contesti vi-venti e nei loro ambienti di riferimento. Nel nostro caso il territorio è profon-damente dissestato, sovra sfruttato o abbandonato e comunque in continua alterazione, l’economia è subordinata

alla finanza e le ricadute sociali sono pesantissime. La percezione delle per-sone è inoltre modificata da tecnologie fuori del controllo sociale, mentre l’ap-prendimento -in quanto prerogativa di ogni contesto vivente- è in progressiva difficoltà. Tutti gli elementi relazionali che costituiscono l’Ambiente di Vita-Paesaggio sono dunque alterati, ed esso stesso è in una condizione di degrado e di perdita di autonomia. Le conseguen-ze di questo stato di cose sono disastro-se per il territorio e la nostra stessa sopravvivenza, tanto che le stesse basi etiche su cui si erano fondate la politica

in alto:gruppo di lavoro Rizoma;contratto di fiume Medio Panaro; il team al lavoro.

a destra:Vagli, 1984. I luoghi e il ciclo delle stagioni e della vita nella gestione tradizionale della montagna

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e la convivenza sociale sono a rischio. Dunque anche le stesse pratiche della partecipazione sono messe in discus-sione o travisate, proprio quando sa-rebbero più necessarie.

Per affrontare queste problematiche è necessario fare un salto di processo e di strategia, rivolgendo l’impegno a sviluppare progettualità nuove e an-cora più articolate che tengano conto dei fondamenti etici, che possono es-sere ricostruiti in termini nuovi anche

nell’ambito del progettare.

I Contratti di Paesaggio possono così evolvere verso la prospettiva dei Beni Comuni. Come definito da Elinor Ostrom, i Beni Comuni riguardano i territori e i patrimoni storicamente ac-quisti dalle comunità locali, ma anche i sistemi ambientali nel loro comples-so e le acquisizioni culturali e tecno-logiche delle diverse società umane, comprese l’Informazione e le Reti. Questa dimensione di Bene Comune

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non è ovvia né scontata e ancor meno è praticata socialmente, ma la direzione è evidente anche se molto è ancora da fare. Il contributo che i Paesaggi Parte-cipati e gli Ambienti di Vita condivisi e creativi possono dare in questo senso è significativo ad ogni livello: da quel-lo materiale a quello etico culturale. Questa nuova prospettiva per la parte-cipazione delle comunità e dei luoghi è tanto difficile quanto esaltante.

nella pagina precedente,in alto:il Progetto di ricomposizione del paesaggio fluviale

nella pagina precedente,in basso:il fiume Medio Panaro

in bassoVagli , 1984I luoghi e il ciclo delle stagioni e della vita nella gestione tradizionale della montagna

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Minervino Murgie

“Se solo si prendesse coscienza di quanta ricchezza possediamo se ne potrebbe fare la prima risorsa per questo paese.”

PierPaolo Pasolini 1957, Viaggio in Puglia

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Architecture [kids] fund is a voluntary Architecture Fund initiative that creates and re-alizes various architecture education programs for children. Their goal is to stimulate self - consciousness, creativity and increase personal citizen responsibility towards the public matters.Keliaujancios Architekturos dirbtuves (KAD) – Travelling architecture workshop - is a project launched at 2013 that is focused on drawing the society’s (especially children and youth) attention to the quality of everyday used living space. By creating projects with only using local left over materials, this project became a proof that it is possible to influence the public space without huge material resources, but with collective mind and work

https://www.facebook.com/ArchitekturosVaikuFondashttp://www.archfondas.lt/en/children.

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KAD Traveling Architecture WorkshopArchitecture for kids with kidsText by Sigita Simona PaplauskaiteTraduzione a cura di Luca Casarano

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GAMES & TOOLS

L'idea di KAD (Keliaujancios Archi-tekturos Dirbtuves, ita. Laboratorio di architettura di viaggio) progetto orga-nizzato dal fondo per l’architettura in-fantile, nasce dall'urgenza di rivolgere più attenzione allo sviluppo di piccole realtà urbane in Lituania. Il proget-to è basato su una decisa convinzione educativa secondo cui le persone sono capaci di condurre scelte positive nel proprio ambiente con le proprie forze invece di demandare tali responsalibi-lità, a causa della propria inerzia, ai soli interventi amministrativi.

Spesso le iniziative che tendono al re-cupero del quartiere sono affiancate da una apatia in cui membri e comunità ritengono che i propri interessi siano tutelati dalle politiche locali. Vi è per-tanto una piccola aspirazione per una parte di persone a farsi coinvolgere. Per questo si è preso come riferimento i te-enagers. Noi si crede che le giovani ge-nerazioni abbiano l'energia sufficiente, il coraggio, la freschezza per prendere decisoni e soprattutto si approcciano in modo sincero con i propri bisogni e disagi.

GAMES & TOOLS

The idea for 'Keliaujancios Archi-tekturos Dirbtuves', KAD (eng. 'Trave-ling Architecture Workshop') project organized by Architecture Kids Fund, rose up from the urge to pay more at-tention to the environment of small towns in Lithuania. The project is based on strong educational vision of ena-bling people to make positive changes in their surroundings by themselves, instead of avoiding personal responsi-bilities and depending only on munici-pal decisions.

Often initiatives that seek to improve the neighbourhood living are welco-med by an apathy where people and communities assume their interests are addressed by ‘higher people’ (i.e., politicians). There is therefore little de-sire for certain groups of people to get themselves involved. That is we chose teenagers as a target group. We belie-ve that young people have the needed energy, courage, creativity to make changes and more important - they are sincere about their needs and disap-pointments.

work in progress

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Il progetto

La squadra dei responsabili del labo-ratorio è sempre composta da volonta-ri provenienti da differenti ordini pro-fessionali tra cui architetti, designers, ingegneri, educatori, sociologi che tut-tavia non partecipano in veste di inse-gnanti. Si è scelto infatti di orientare e ispirare.

È stato un compito non semplice or-ganizzare il lavoro, considerando che si lavorava in una media di 30 persone per gruppo, le cui età variavano dai 4 ai 40 anni. Nostra soluzione è stata quel-la di coinvolgere i bambini più piccoli nella pulizia e nella pittura, mentre il resto del gruppo di lavoro rispettava i passaggi. Avendo bambini di differente età, era facile che potessero succedere dei conflitti fra questi per gli interessi e l'impeto. Perciò è stato importante ri-volgere una personale e delicata atten-zione per ogni bambino e coinvolgerlo il più possibile in attività di cui era inte-ressato o per cui provava una profonda curiosità.

The plan

The workshop tutors team always consisted of volunteers from various professions - architects, designers, en-gineers, educators, sociologists, but all together we came not as teachers. We chose to guide and inspire.

Organizing the work was a tough task, considering that you work in avera-ge 30 persons group, which age varies from 4 to 40 years old. Our solution was enrolling the smallest children into cleaning up and painting, while the rest of work division followed the rule. Ha-ving children of different age, interest and strength can also easily turn into conflicts between themselves. That is why it is important to pay very personal and sensitive attention to each child and involve him as much as possible in activities he is good at or is really cu-rious about.

building up the tent

all together

before

after

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Immaginazione e decisioni

Molte cose spontanee possono suc-cedere quando si sollecita l'intelletto infantile e giovane e gli si permette di ricorrere ad idee e strumenti di cui regolarmente gli adulti non si interes-sano. Una bambina ha avuto l'idea di trasformare una panchina ed un tavolo in un solo oggetto, un altro bambino a Skirsnemune ha pensato a delle altale-ne per più persone, un gruppo di per-sone ha convertito un enorme cavo di bobine in attrezzatura sportiva. Dietro la ricezione di queste grandi idee, si è spesso trovato bello disegnare una fac-cia sorridente coi graffiti, si è scoperto che i trapani sono molto più divertenti se utilizzati come strumenti musicali; da questo momento così si è affinata la vista per ogni tipo di materiale.

Si è sempre tenuta una discussione sia quando si accettavano le proposte dei bambini, sia quando gli era detto “no”. In nessun caso, ogni volta che i bambini giocavano incautamente con materiali e strumenti, creando oggetti improvvi-sati, si è deciso di non impedirlo diret-tamente, ma di confrontarsi con loro

Imagination and decisions

Many wild things can happen when you empower the young mind and let them use the ideas and tools that regu-lar adults never let them use. One girl got an idea to create a bench and a table in one object, other boy in Skirsnemu-ne made a concept of swings for many people, a group of teenagers turned a huge cable spool into a sports element. Besides receiving these great ideas, we often found our paint used for smiley face graffiti' s, we discovered that drills are more fun when they act as musical instruments; so we quickly learned to keep an eye on all material.

We always held a discussion - when do we accept children ideas and when do we say 'no'? In any case, whenever children carelessly played with mate-rials and tools creating random things, we chose not to directly forbid, but di-scuss about it with them as with equi-valent partners. For example, talking about that real aesthetic comes with in-tentions, not accidents. When somebo-dy splashed the black paint spots over the red colour, children proposed to

thinking

learning about tools and materials

new game field

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come fossero dei colleghi. Per esempio, discutere di aspetti puramente este-tici è stato intenzionale e non casuale. Quando qualcuno buttava una mac-chia di vernice nera sul rosso, i bambi-ni proponevano di distribuire il nero su tutto oppure di trasformare questi pun-tini in fiori, ma parlando loro riguardo al bello artistico nel momento creativo, si è finalmente deciso insieme che fos-se meglio ridipingere tutta la panchina di rosso.

Questo comporta un altro dettaglio importante ossia mostrare attenzione alle promesse e predisporre il lavoro. La fase di progettazione potrebbe esse-re divertente ed eccitante, ma quando si concretizza nel lavoro reale, si deve decidere cosa sia possibile fare con i materiali a disposizione e le condizioni potenziali. Si deve fare in modo che il progetto sicuramente sia portato avan-ti dall' intera squadra di lavoro, non solo dai bambini, o dai tutors.

Si è spesso accettato le idee dei bambi-ni sui progetti locali, perchè sono pro-prio le persone del luogo a conoscere al meglio l'importanza o i problemi di uno spazio. Si è anche ricorsi al voto per decidere quali oggetti creare. Probabil-mente, è questo il motivo per cui molti dei nostri progetti realizzati includeva-no parchi da gioco, la principale esigen-za rilevata dai bambini. Dall'altra parte, molti giovani partecipanti spesso pen-savano anche alle loro famiglie. Nella città di Visakio Ruda i bambini hanno proposto di intervenire sulla stazione degli autobus, dal momento che i loro genitori e nonni non avevano spazi ap-propriati per l'attesa degli autobus, di conseguenza abbiamo pensato di co-struire un gruppo di sedute.

spread the black paint over all or turn these dots into flowers, but by talking to them about artistic taste in creation, we finally decided together that it is better just to repaint the bench in red.

This follows another important de-tail - being careful with promises and planning the work. Design stage might me exciting and endless, but when it comes to real work, you must decide what is possible with the present ma-terial and power conditions. You must make sure that the project is done by the whole workshop team, not only by children, or by the tutors.

We often accepted the children ide-as about the project location, because local people know the space relevance and problems the best. We also voted collectively for deciding what objects we will create. Perhaps, that is why most of our realized projects included various playgrounds, as it was the top issue for children. On the other hand, many young workshop participants often thought about their families too. In a town Visakio Ruda children propo-sed to improve the bus station, because their parents and grandparents did not have proper space to wait for buses, so we came to an idea of building a group of seats.

a new place for lunch

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before

after

Fun fun fun

Ci potrà essere stato cattivo tempo per il lavoro, ma mai troppo per gioca-re. Siamo stati flessibili nello spartire i compiti in tempo, perchè il lavoro sen-za divertimento è praticamente impos-sibile. Non si sarebbe mai rinunciato a giocare a basket, a tennis o a nascondi-no. Allo stesso modo non si dovrebbe mai sottovalutare il potere di un pasto. Prendersi una pausa, sedendo allo stes-so tavolo e condividendo il cibo, ti fa sentire più al sicuro quasi come in una famiglia.

Nel complesso, soltanto le vere e sin-cere relazioni possono condurre a co-noscere la comunità locale. Dall’analisi di molte realtà urbane, si è capito che è stato molto più importante trascor-

Fun fun fun

There might be bad weather condi-tions for work, but there ain`t no bad weather for playing games. We were flexible in dividing the tasks in time, because work with no fun is comple-tely impossible. You should never he-sitate on playing basketball, tennis or hide and seek together. As well, you should never underestimate the power of a meal. Making a break, sitting by the same table and sharing food always makes you tie stronger and feel like one family.

In general, only true informal rela-tionship can lead you to knowing the local community. By visiting many towns, we understood that it is more important to give priority for spending

discussion

excursion with children

62

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before before

before

after

after

after

the team

preparing the planks

before

after

63

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thoughtful time with kids, rather then desperate wish to complete the design works. Each time we arrived in a new town children guided us through their daily routes, telling their personal sto-ries and experiences, they took us to places they like, they brought us throu-gh the paths they use or avoid. We could feel that such contact is leading to much broader understanding of the location and its needs, so often we or-ganized big team works on cleaning or fixing public spaces in order to have a chance to continue the discussion with children. Actually, it was the most suc-cessful process leading towards huge projects. For instance, we created a magnificent access to the river by cut-ting out bushes and wild grasses in Pa-nemunelio G. St and create a nice co-ast, we managed to pick up weeds and trash from a huge abandoned sports stadium in Vieciunai and install a ska-tepark there.

rere tempo spensierato con i bambini, piuttosto che scongiurare il rischio di non portare a compimento il lavoro di progettazione. Ogni volta che siamo arrivati in un nuovo luogo i bambini ci hanno accompagnato lungo i loro per-corsi quotidiani, raccontandoci le loro storie ed aneddoti, ci hanno portato nei posti che gli piacevano, ci hanno con-dotto infine per i sentieri che erano so-liti fare o evitare. Si è potuto percepire che gran parte della relazione era sti-molata molto più efficacemente dalla conoscenza del sito e dei suoi bisogni, così spesso abbiamo organizzato gran-di squadre di lavoro specializzate nella pulizia o sistemazione degli spazi pub-blici in modo da avere la possibilità di un confronto con i bambini. Per esem-pio, si è ricavato un incantevole accesso al fiume, tagliando i cespugli e le erbac-ce a Panemunelio G. St e dando vita ad una graziosa riva, e ci siamo organizzati per raccogliere erbaccia e rifiuti da un enorme spazio sportivo dismesso a Vie-ciunai per installarvi uno skatepark.

the work starts

cleaning up the basketball court

second day of workshop

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The result

Finally, 'Traveling Architecture Wor-kshop' graduated in organizing 16 wor-kshops, where we helped children to create 16 unique projects. We managed to improve abandoned spaces by crea-ting attractive objects that encourage people to meet, play, speak together. And yet I still believe that the process, learning and raising awareness about the environment itself is the major goal of it.

KAD helped the youngsters start the changes within their living envi-ronment, meanwhile we learned that the community is a really great po-wer. Any small positive intervention can help to restore community rela-tionships and community pride, setting the stage for bigger improvements.

L'esito

Infine, “Travelling Architecture Wor-kshop” è stato suddiviso in 16 laborato-ri, dove si è aiutato i bambini a creare 16 progetti unici e singolari. Si è fatto in modo di trasformare gli spazi, dap-prima dismessi, in oggetti di attrazione che possano incoraggiare le persone ad incontrarsi, giocare e dialogare. Ed ancora io credo che il metodo, basato sull’apprendimento e la sensibilizza-zione ai temi dell’ambiente, sia stato il successo più rilevante.

KAD ha aiutato i ragazzi a cominciare a compiere delle scelte nel loro ambien-te, nel frattempo ha rilevato che dentro la comunità risiede il più grande poten-ziale. Ogni piccolo intervento positivo può aiutare a recuperare il senso di co-munità in quanto tale e le relazioni fra i membri, gettando le basi per più effica-ci miglioramenti.

testing the structures65

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Santa Maria di Collemaggio

“La bellezza esiste. Non vederla anche se abbiamo gli occhi aperti, significa non voler guardare le cose che accadono, rinunciare a vedere.”

PierPaolo Pasolini da “L'occhio è l'unico che può accorgersi della bellezza”, 1962.

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L'Aquila

“L'italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettego-lezzo, moralismo, coazione, conformismo; prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.”

La lunga strada di sabbia, 1957 Pierpaolo Pasolini.

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Romina PeritoreArchitetto urbanista, docente universitario di Valutazione economica dei piani urbani-stici e territoriali, Phd in “Politiche territoriali e progetto locale” (Università degli Studi Roma Tre), svolge attività di ricerca e professionale nel campo della pianificazione urbana e territoriale, dello sviluppo locale e dell’urbanistica [email protected]

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Il crowdfunding civico

progetti urbani partecipati di Romina Peritore

a supporto di

71

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Nell’ottica dello sviluppo di un’altra economia basata sulla coopera-zione, la fiducia e il coinvolgimen-

to attivo dei cittadini, il crowdfunding ci-vico, pratica di finanziamento collettivo dal basso, si è velocemente diffuso negli ultimi anni tramite piattaforme come Kickstarter e IndieGoGo. In Italia esisto-no alcune piattaforme di raccolta fondi come Eppela, ShinyNote, SiamoSoci o la neonata Starteed. Il crowdfunding non è solamente un modello di finanziamento dal basso, ma è anche e, soprattutto, un processo di co-creazione, condivisione e co-partecipazione di iniziative colletti-ve per la riqualificazione degli spazi ur-bani, per lo sviluppo economico locale, per la diffusione della cultura. Una delle piattaforme europee orientate preva-

lentemente al crowdfunding civico, che mette le comunità al centro del proces-so di pianificazione è Spacehive, sito di project management, che consente di lanciare un progetto legato alla cultura, all’ambiente, all’arte, agli spazi pubblici, impegnando volontari nella ricerca di finanziamenti e nella realizzazione del progetto. Anche Citizeninvestor è una piattaforma di crowdfunding civico, che promuove campagne di finanziamento riguardanti vari settori: ambientale, dei trasporti, dell’energia, ecc. e promuove la presa in carico di progetti comunitari.

Altre esperienze significative di progetti urbani partecipati realiz-zati con il crowdfunding sono “I

Make Rotterdam” in Olanda, Franklin

Pagina a fianco: Il progetto “I Make Rotter-dam”, fonte: Luchtsingel in Crowdfunding Ar-chitecture 2013, Massolution e The American Institute of Architects (AIA)

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In alto: Citizeninvestor, piattaforma di crowdfunding civico, fonte: http://www.citizinvestor.com/

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Park Coalition e the Rebuild the Joplin Mosque project. Queste tre campa-gne di crowdfunding hanno utilizzato con successo il modello basato sulla donazione per coinvolgere la comuni-tà locale a sostenere la causa di fondo della campagna. Il progetto “I Make Rotterdam” ha l’obiettivo di riqualifi-care il centro della città di Rotterdam, sviluppando aree e percorsi pedonali, capaci di ricucire parti di città gravate dal traffico pesante e da centri com-merciali di grande impatto. In partico-lare, si è realizzato un ponte pedonale di legno (Luchtsingel), lungo 350 metri, che connette il centro di Rotterdam a Hofbogen. Luchtsingel è un progetto proposto da ZUS (Zones Urbaines Sen-sibles) in collaborazione con Hofbogen B.V. Luchtsingel. Il gruppo Luchtsin-gel nel fare la campagna di crowdfund

online, con il fine di realizzare un ponte pedonale nel centro della città, ha scel-to il seguente slogan: “the more you donate, the longer the bridge.”1

L’iniziativa I Make Rotterdam di Rotterdam, lanciata l’11 ottobre del 2011 è un perfetto esempio di

come una campagna di crowdfunding può servire a diversi scopi: l’iniziati-va ha raccolto i fondi per completare il ponte pedonale, riuscendo ad avere anche finanziamenti pubblici. Essa si è basata sul modello della donazione in cambio di un premio (Reward-based crowdfunding), ossia ogni donatore aveva il proprio nome scritto su una parte del ponte. Alla cifra raccolta, si è aggiunto un premio di 4.000.000 di euro assegnato dal governo.

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1 Maggiori informazioni: Progetto “I Make Rotterdam” http://www.luchtsingel.org/Crowdfunding Architecture, Massolution e The American Institute of Architects http://www.aia.org/aiaucmp/groups/aia/documents/pdf/aiab097668.pdf

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La “Franklin Park Coalition” si è occupata di trovare fondi per la manutenzione del parco Franklin

a Boston, attraverso Razoo, una piatta-forma di crowdfunding basata su do-nazioni con cifre specifiche, che hanno finanziato per esempio un campo di pallacanestro, un ristorante costruito in legno, il lavoro di promozione di un graphic designer per realizzare la do-cumentazione conoscitiva del parco2, ecc.

Un altro caso di successo è la ri-costruzione della Moschea di Joplin in Missouri (USA), rasa al

suolo da eventi catastrofici nel 2011. Un gruppo indipendente locale ha av-viato la sua ricostruzione tramite una campagna di crowdfunding intitolata “Rebuild Joplin Mosque” sulla piatta-forma IndieGoGo, chiedendo 250.000 dollari, che sono stati raggiunti in una settimana. A questi si sono aggiunti ul-teriori fondi per finanziare la sicurezza, l’espansione della struttura originaria e le strade di accesso. Per questa ini-ziativa sono stati raccolti in tutto più di 400.000 dollari. Inoltre, chi donava più di 250 dollari poteva avere una targa all’interno della moschea, ma solo 400 degli oltre 3000 donatori hanno voluto ciò.

Il limite del crowdfunding, è costi-tuito dalla dimensione del proble-ma economico, infatti, spesso le ci-

fre raccolte non coprono tutta la cifra occorrente per la riqualificazione di un parco, di aree pubbliche, di edifi-ci dismessi o di una strada. Quindi, in aggiunta alle cifre raccolte con il crowdfunding, si dovrebbero attivare altri sistemi di finanziamento pubblico-privato delle opere da realizzare anche in visione della gestione delle stesse e tramite il sostegno delle amministra-zioni locali e nazionali.

A lato: Visione del ponte pedonale (“I Make Rotterdam”), fonte: The iMakeRotterdam project, https://www.facebook.com/pages/Imakerotter-dam/222523761150794

2 Maggiori informazioni su “Franklin Park Coalition”: http://www.razoo.com/story/Fpcmarathoncharityteam

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Nei processi di riqualificazione degli spazi urbani e degli edi-fici non utilizzati il soggetto

pubblico potrebbe essere in grado di mantenere la proprietà pubblica del patrimonio grazie anche a forme di fi-nanziamento locale promosse dal bas-so, come il crowdfunding civico, a patto che voglia sperimentare forme nuove di fattibilità economico-finanziaria e di gestione come quelle indicate. Anche i soggetti privati, proprietari di immobili dismessi, potrebbero avviare campa-gne di crowdfunding civico per fornire servizi pubblici di tipo culturale e ricre-ativo alla collettività.

a fianco: “Franklin Park Coalition”, campagna di crowdfunding promossa

su Razoo, fonte: “Franklin Park Coa-lition”, http://www.razoo.com/story/

Fpcmarathoncharityteam

In basso: Ricostruzione della Moschea di Joplin in Missouri

(crowdfunding sulla piattaforma IndieGoGo), fonte: “Rebuild Joplin

Mosque” http://www.indiegogo.com/projects/rebuild-the-joplin-

mosque?c=gallery

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Page 76: Nip#17

Bibliografia Angeloni L., Giangrande A., Mortola E., Pe-ritore R. (2013), “ Scenari di trasformazione e prove di fattibilità nel percorso partecipa-to per il recupero e il riuso dell’ex deposito ATAC Vittoria a Roma”, 2.a Biennale dello spazio pubblico, INU, Roma.

Sitografia

Partenariato pubblico privato (PPP) http://www.utfp.it/

Piattaforme di Civic Crowdfunding http://www.urenio.org/2012/09/04/fiv-plat-forms-for-crowdfunding-civic-projects/

Crowdfunding Italia http://www.crowdfundingitalia.com/

Progetto “I Make Rotterdam” http://en.imakerotterdam.nl/2011/11/u-kunt-nu-meedoen/

Crowdfunding Architecture 2013, Massolu-tion e The American Institute of Architects (AIA) http://www.aia.org/aiaucmp/groups/aia/do-cuments/pdf/aiab097668.pdf

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La fonte della verità (99 Cannelle)

“Tanti giovani guardano al passato perchè nel presente c'è poco da cercare.”

Pierpaolo Pasolini, 1964.

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il lib

ro

Terracarne Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia

Franco ArminioMondadori, 2012

78

Ludovica MarinaroArchitetto, Phd student in Architettura del Paesaggio

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Le recensioni di

il libroSi parla di paesaggio. Anzi si può dire che Franco

Arminio parli solo di paesaggio, come egli stesso afferma, “fino ad ora non lo abbiamo mai considera-to ed oggi invece si impone come unica dimensione di confronto possibile”. Terracarne è un’istantanea. Si pone al lettore nella sua forma tentativa, che in-treccia dimensione intima dell’autore e dimensione corale nel dare corpo al paesaggio del meridione. Ci restituisce la geografia di un Sud dopo il diluvio del-la modernizzazione come summa di quei teatri delle rimanenze che sono diventati i paesi, che non hanno creduto alla pagliacciata del progresso. “A un certo punto è come se mi fossi accorto che sono rimasti solo i luoghi. E li vado a vedere, sapendo che stanno sparendo.” È così che Franco Arminio inventa “la pa-esologia” e ne parla al presente perchè è una scienza a tempo, che non esisteva 100 anni fa e non potrà esiste-re tra 100 anni, giorno in cui i paesi “non avranno più questo crepuscolo che li rende così particolari”. A un anno dalla pubblicazione Terracarne è un esperimen-to aperto che ha innescato nuove esperienze come la Scuola di Paesologia. Si tratta di un vero corpo a corpo con il paesaggio, questo attraversarlo e lasciarsi attra-versare adottando un punto di osservazione dimesso, randagio, senza arroganza come quello del cane. In questa metafora sta il senso della pratica immersiva di Arminio, la sua poetica, che accoglie la dimensio-ne dolorosa dell’incertezza nel pieno ascolto quasi rasoterra. “È semplicemente la scrittura che viene dopo aver bagnato il corpo nella luce di un luogo.” Da Bisaccia e a Bisaccia, il paese natio cui sempre ri-torna, Terracarne consacra la letteratura dei dintorni, racconta il paesaggio dell’Irpinia, della Daunia con i suoi paesi invisibili, viaggia sulle strade della Lucania, fino ai paesi giganti, al Cilento, al Salento e sconfina an-che al nord. La paesologia non è metodo rigoroso ma una scienza arresa, se la si volesse impugnare come un arnese sarebbe inafferrabile perchè è una disposizione

Terracarne Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia

di Ludovica Marinaro

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il lib

ro“una strada sul crinale, a metà tra una nuova forma di impegno e una cerimonia religiosa” e questo libro è un viatico esistenziale di prosa e poesia, un intero di frammenti, fluttuante, come la nuova attenzione di cui carica i luoghi che narra. Ha l’ambizione di ritrarre la trasformazione, il tempo penultimo che stanno viven-do i paesi del meridione e i loro abitanti “attraversati come da una slavina silenziosa”. Oggi che non ci di-vertiamo più, “banchieri del rancore” siamo vittime di quello che lui definisce “autismo corale”: “inca-paci di passare il tempo in compagnia e in lietezza”, viviamo un dramma condiviso in cui solo il viaggio e la scrittura, per l’autore, rispondono all’esigenza pres-sante, irrinunciabile di risolvere la desolazione che af-fligge i paesi, minuscoli e giganti, con un’osservazione partecipe e terapeutica. “La desolazione per me non è un epilogo, ma un punto di partenza (...) una nuova postura. Ciò che io invoco è una nuova etica, un uma-nesimo delle montagne. Abbiamo bisogno di luoghi in cui ognuno inciampa dalla mattina alla sera”. Arminio apre una prospettiva nuova di abitare il pae-saggio, in cui i paesi, portatori di varietà nei loro anfratti e fuoriscala, sono una cura, a dispetto di ogni oltraggio e tentativo che la livella della modernità ha operato. “Oggi per volere bene all’Italia bisogna trovare i luoghi in cui è diversa e averne cura”, risignificare, sposare le differenze, defluire da quell’unica città invi-sibile della malinconia e della globalità, ai paesi come forma abitata, come terra scritta. Al cadere dell’illu-sione dell’urbanesimo, Arminio in Terracarne con una narrazione sempre in bilico tra l’ansia e la legge-rezza, porta nel cuore rivoluzione ed utopia, restituen-do l’orizzonte di una Terra possibile alla nostra Carne. “Io posso tranquillamente continuare a raccontare le malattie dei paesi e dei paesani, prima o poi sarò inevitabilmente raggiunto dalla loro salute.”

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Rodi Garganico

“Cammino per la piccola spiaggia deserta, ai piedi del paese. E nel silenzio che c'è fuori e dentro di me, sento come un lungo, afono crollo. L'intera costa pugliese si sfa in qusta quiete, dopo aver infuriato ai miei occhi ai miei orecchi, per mattinate e meriggi di caos preumano, sottoumano.”

La lunga strada di sabbia, 1957 Pierpaolo Pasolini

Page 82: Nip#17

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