Nino Machaidze Edgardo Rocha · sul lavoro altrui. È il caso di musicisti e cantanti (nel momento...

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Artista o interprete? Libiamo ne’ lieti calici! Carmen e Micaela: passione e purezza a confronto La forza del destino Metti un coro all’Opera! Fantasia, quando la musica classica incontra l’animazione Nino Machaidze Intervista esclusiva a Edgardo Rocha Intervista esclusiva a Articoli: Il Far West all’Opera D’amor, di primavere, di sogni e di chimere

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Artista o interprete?

Libiamo ne’ lieti calici!

Carmen e Micaela: passione e purezza a confronto

La forza del destino

Metti un coro all’Opera!

Fantasia, quando la musica classica incontra l’animazione

Nino MachaidzeIntervista esclusiva a

Edgardo RochaIntervista esclusiva a

Articoli:

Il Far West all’Opera

D’amor, di primavere, di sogni e di chimere

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OPERALIFEMAGAZINE Sommario Aprile 2019

5 Artista o interprete?

6 Libiamo ne’ lieti calici!

8 Carmen e Micaela: passione e purezza a confronto

10 Intervista esclusiva aNino Machaidze

Nino MachaidzeIntervista esclusiva a

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Edgardo RochaIntervista esclusiva a

16 La forza del destino

18 Metti un coro all’Opera!

21 Intervista esclusiva aEdgardo Rocha

24 Fantasia, quando la musica classica incontra l’animazione

26 Il Far West all’Opera

27 D’amor, di primavere, di sogni e di chimere

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Piccole NewsLa Moda e l’Opera ancora una volta insiemeLa grande star mondiale Juan Diego Florez viene scelta dalla Rolex, uno dei brand più conosciuti e importanti del mondo, come Ambasciatore e Testimonial dei suoi prodotti.Un onore più che meritato!

News golose!Il bello e bravo Vittorio Grigòlo sarà protagonista del famoso programma di Maria De Filippi, Amici, in qualità di Direttore Artistico del serale! I rumors trovano riscontro e possiamo anche aggiungere che il tenore sarà affiancato dal caliente Ricky Martin. I due saranno rispettivamente i capitani delle due squadre dell’edi-zione 2019.Sarà un’edizione davvero imperdibile!

Angela Gheorghiu vince il Bravo Premio 2019 al Bolshoi di MoscaAl grande soprano viene assegnato un importante riconoscimento per la sua splendida carriera. È stata insignita infatti, insieme al tenore Vittorio Grigolo, del Premio Bravo al Bolshoi di Mosca.

Meravigliosa AnitaUn successo così non si era quasi mai visto, potremmo dire quasi un trionfo: Anita Rachvelishvili ha riempito il maestoso teatro di Parigi per le prime quattro date! Carmen, da lei interpretata con coraggio e sensualità, ha ottenuto un clamoroso SOLD OUTall’Opera de Paris per i giorni 11, 14, 17, 20 Aprile. Le altre date sono ancora disponibili, non perdete tempo!

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Ci sono alcune figure artistiche che sono in questo limbo poiché il loro operato è basato sul lavoro altrui. È il caso di musicisti e cantanti (nel momento in cui non si esibiscono con dei brani di produzione propria), direttori d’orchestra e attori/mimi.

Esempio tematico: Opera. Non c’è nulla di non calcolato. Tutto è scritto e tutto è voluto. Su qualsiasi figura.Ma perché Pavarotti è un mostro sacro dell’opera mentre il cantante che studia da un anno no? O perché il “Casta Diva” è associato alla Callas anziché a Bellini? È la scena che fa da spartiacque?No.

Manca qualcosa… ogni artista si differenzia in qualcosa da tutti i colleghi. Riesce in un qualcosa in cui tutto il resto del mondo fallisce.

Non può essere altrimenti. Ma cos’è?Ragioniamo: Grandi artisti, grande arte, arte eternatrice, immortalità, fama durevole. Manca ancora qualcosa.

Pavarotti, Dante, Van Gogh, Leonardo, Michelangelo, Mozart, Tolkien sono tutti immortali. Li conosciamo per le loro opere: conosciamo il loro nome!

Ma certo! Ogni artista firma le proprie opere! Non solo autografandole, ma con una filigrana unica come le impronte digitali: lo stile.

Lo stile si definisce nel momento in cui fai tuo un qualcosa; nel momento in cui lo vivi. Tutti i più grandi artisti sono riconoscibili dallo stile. Lo stile è ovunque: nel suono, in una parola, in un movimento…

Lo stile non è solo il codice fiscale, le coordinate bancarie, il documento di riconoscimento di un artista; è il nome dell’artista.

Quindi ecco la differenza tra interprete ed artista: l’interprete esegue; l’artista reinterpreta, ci mette se stesso.

Massimiliano Mazza

Artista o interprete?

Pavarotti - (C) Nigel Parry

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Libiamo ne’ lieti calici è probabilmente il più famoso numero di apertura nella storia dell’Opera italiana. Usato in innumerevoli film, pubblicità ed eventi, non c’è persona che non lo abbia sentito almeno una volta. A primo impatto si tratta di un brano in cui si inneggia al vino e alle gioie della vita, da cogliere prima che sia troppo tardi; un duetto tra due persone che molto presto si innamoreranno e le cui vite verranno sconvolte per sempre. Ma dietro a questo numero così amato c’è molto di più, la sua storia e la sua struttura infatti sono frutto di una scelta ben accurata da parte di Giuseppe Verdi, il quale utilizza tale brano per creare un momento topico all’interno del suo melodramma. Come sappiamo, La Traviata ha origine dalla pièce di Alexandre Dumas figlio, La dame aux camélias, a sua volta trattadall’omonimo romanzo dell’autore. Sebbene nel romanzo sia assente, nello spettacolo teatrale è presente un brindisi, proprio all’inizio del primo atto, in cui si invitano tutti i partecipanti alla festa a casa di Marguerite a godere del vino. Questo brano, cantato all’interno di un testo in prosa, appare molto diverso dalla versione verdiana: in primis è intonato non dai protagonisti Armand Duval e Marguerite, ma da Gaston, personaggio secondario, il quale canta su un testo che presenta sì riferimenti agli occhi della donna amata, ma si concentra soprattutto sul piacere derivato dal brindare in un momento conviviale. Il brindisi di Gaston è anche qui accompagnato dal coro che ne riprende il refrain (come accade in Verdi), ma il ritmo è di polka, non di valzer.

Quello inserito da Dumas nella sua tragedia è il classico esempio di chanson à boire, ripresa abbondantemente anche nel frangente operistico, come nel caso di Ernani o Macbeth di Verdi o la Lucrezia Borgia di Donizetti; lo scopo di tale numero è quello di attribuire maggior realismo a ciò che avviene sul palco, contribuendo pertanto a creare un momento conviviale facilmente riconoscibile all’interno della cosiddetta “musica di scena”, grazie a dei connotati fissi che si ritrovano in tutti i brani appartenenti a tale genere. Saranno quindi presenti l’invito ai pre-senti a prestare attenzione a quanto sta per accadere, l’estensione vocale che non supera l’ottava, al fine di rientrare in un abito vocale comodo, e il canto di colui che inizia il brindisi è successivamente accompagnato dal coro che ne ripete il ritornello.

Nel comporre Libiamo ne’ lieti calici Verdi non si sottrae a gran parte di queste regoleprefissate per il genere della chanson à boire: è infatti presente l’invito ad ascoltareil brindisi che sta per essere intonato (“Dunque attenti” “Sì, attenti al cantor”) e il coro che entra in scena al momento del refrain. Ma Verdi non si limita a riprendere lo schema fisso del “brindisi” e a riproporlo nella sua opera, ma inserisce anche degli elementi di differenza che contribuiscono a rendere tale brano unico nel suo genere. In primo luogo modifica il ritmo di polka in ritmo di valzer, considerandolo più adatto per rappresentare l’alta società parigina in festa; in seguito attua un cambiamento nei

Libiamo ne’ lieti calici!

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ruoli: non è più Gastone ad intonare il brin-disi, bensì Alfredo, protagonista dell’opera. Quindi quello di Alfredo non sarà un sempli-ce inno al piacere, così come avveniva nella pièce di Dumas, ma un canto mirato, diretto alla protagonista Violetta, chiamata in causa nella seconda strofa (“Poiché quell’occhio al core / Onnipotente va”);

Violetta reagisce alla provocazione del tenore e, generando un effetto sorpresa tra i presenti, trasforma il brindisi in un duetto, spostando il tema centrale dall’inno al vino ad una personale visione del mondo, opposta a quella di Alfredo, più predisposto all’amore e ai sentimenti.

Inizia quindi un vero e proprio confronto tra i due protagonisti, che difendono in modo serrato le proprie posizioni, distaccandosi dal coro che invece mantiene un ritmo ostinato che ricorda un accompagnamento strumentale.

È inoltre interessante notare come Verdi e il suo librettista Francesco Maria Piave abbiano tratto ispirazione sì dal testo originale di Dumas, durante la fase di versificazione del Brindisi, ma soprattutto come abbiano attinto dalla letteratura italiana del secolo precedente, basandosi su odi composte proprio sui temi della convivialità e del vino. Uno degli esempi più lampanti è In un convito ov’erano commensali arcadi pastorelle” di Carlo Innocenzo Frugoni, la cui metrica ricorda incredibilmente quella del Brindisi di Traviata:

“Questo vermiglio e liquido zampillante rubino prima che fosse vino del sole un raggio fu,

raggio che dentro un grappolo per belle vie secrete fu preso come in rete per non uscirne più.”Altra fonte di ispirazione verdiana è sicuramente Volano i giorni rapidi di Giuseppe Parini (1778), che sembra alludere al destino della giovane protagonista tramite l’uso di parole chiave per Violetta, come il verbo “folleggiare” da lei ripetuto in più di una occasione e l’interrogativo “Che far degg’io?”, nonché il richiamo alle Veneri (ovvero la bellezza) che ben presto sfioriranno, come farà presente Germont padre durante il gran duetto del II at to.

Libiamo ne’ lieti calici non è quindi soltanto un brano allegro, conviviale, che rappresenta un momento di gioia ed ebbrezza all’interno di una festa, ma simboleggia il primo vero atto della storia di Violetta, il suo contrasto con la realtà di Alfredo sullo sfondo di una Parigi in festa, dalla quale ben presto si staccherà per formare il suo duetto romantico con l’uomo che ama, ma rimanendo in qualche modo ancorata al suo destino, come lasciano presagire le parole delle odi a cui Verdi e Piave si sono ispirati per raccontarci la tragica storia di questa giovane donna.

Elena Santoni

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Carmen è un’opéra-comique di Georges Bizet in quattro atti, su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Andò in scenaper la prima volta all’Opéra-Comique di Parigi il 3 marzo 1875. Inizialmente non ebbe molto successo, tant’è che Bizet, morto soli 3 mesi dopo la prima rappresentazione, non poté mai rallegrarsi della popolarità raggiunta.

La protagonista dell’opera è Carmen, una gitana bella e selvaggia che conosce le arti per sedurre gli uomini, divertendosi a farli innamorare. Ama cantare e ballare il flamenco e vuole essere libera di fare a modo suo. Strafottente e volubile, è capace di essere dura e spietata per ottenere quello che vuole. Micaela è l’altro personaggio femminile dell’opera e l’antagonista di Carmen. È una ragazza di 17 anni che, rimasta orfana, è stata accolta in casa dalla madre di Don Josè. Bella e sensibile è anche riservata e timida a modo suo. Ma sa farsi coraggio e compiere gesti audaci quando è convinta sia per una giusta causa. È innamorata di Don Josè e cercherà in tutti i modi di riportarlo sulla giusta via.

Se Carmen rappresenta la passione, allora Micaela incarna la purezza del medesimo sentimento. Due facce della stessa medaglia che possono convivere in un medesimo individuo, ma che qui sono messe agli antipodi. Il vincolo tra le due è Don Josè, un bravo ragazzo di campagna, onesto e di buoni sentimenti.Molto legato alla madre, desidera mettere su famiglia sposando Micaela, ma l’incontro con Carmen modificherà i suoi progetti e il suo destino. Partendo da questi presupposti, non possiamo che visualizzare un triangolo, alla cui base sono presenti le due figure femminili, mentre all’apice vi è il giovane che imprudentemente delinea le sorti dell’opera.

Il personaggio di Micaela è molto più complesso e profondo di quanto si possaapparentemente pensare. Non è infatti semplicemente una giovane che si piega al destino a cui viene sottoposta, anzi. Basti pensare al salto di maturazione che ha nel terzo at to, quando risoluta ad incontrare Don Josè, canta la sua aria

Carmen e Micaela: passione e purezza a confronto

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camminando sulle montagne dove si nascondono i contrabbandieri. Il tutto nonostante il giovane sia diventato di-sertore pur di seguire Carmen tra la sua gente. Questo dovrebbe bastare a darci l’ossatura di un personaggio che troppo spesso è ingiustamente maltrattato. Micaela non è “solo” una ragazza dal cuore puro e non è per nulla una testa vuota. È ben consapevole di quanto Carmen sia seducente ed irresistibile, ma nonostante ciò agisce e cerca di risollevare le sorti della vicenda.

All’opposto vi è la figura della protagonista e con essa l’esaltazione della libertà. Don Josè preso da una passione sconsiderata, rinuncia a tutto per Carmen, lasciandosi condurre alla rovina e arrivando ad uccidere anche lei. Ciò perché incapace di comprendere e tollerare realmente la donna per quello che è concretamente: una zingara bellissima, passionale e ricca di sensualità. Una donna unica nel suo genere, con uno slancio vitale che la condurrà alla morte (riportando al connubio Amore e Morte visto nei precedenti articoli). Carmen ama la libertà e l’indipendenza, un’autonomia che apparentemente sembra raggiuta ma che

con la sua uccisione, non risulta completa. Sarebbe stata tale se fosse stata lei stessa a togliersi la vita di suo pugno. È pur vero, che ognuno è artefice del proprio destino e che Carmen conduce Don Josè nella sua tela, come un ragno con la sua preda. Ma è anche vero che facendo questo è andata spontaneamente contro i principi di cui si è fatta portavoce fino a poco prima.

Un’ulteriore libertè nell’agire che la condurrà ad essere vincolata all’azione di Don Josè e a non essere quindi libera.

Due donne diverse, ma in un certo qual modo non troppo distanti. La prima cerca nonostante il sentimento non ricambiato, di aiutare l’amato. La seconda con le sue azioni, cerca invece di rendere libera se stessa. L’agire è quindi ciò che lega le due figure femminili, un procedere ognuna nella propria direzione, una rotta in cui le singole figure credono, nonostante la realtà non sia loro del tutto favorevole. Due donne proveniente da contesti diversi e con storie altrettanto dissimili, ma entrambe forti nelle proprie convinzioni.

Martina Ferrarini

9 OPERALIFEMAGAZINE Intervista Esclusiva

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Nino MachaidzeIntervista a

Siamo liete di intervistare il soprano di fama internazionale Nino Machaizde.

INTERVISTAESCLUSIVA

OPERALIFEMAGAZINE Intervista Esclusiva

Ph. Anna Barbera

10OPERALIFEMAGAZINE Intervista Esclusiva

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1. Ripercorriamo un po’ la tua carriera: quando nasce il tuo amore l’Opera?

Penso che io sia nata per cantare, perché ho sempre cantato da quando ho memoria. Mia madre e la mia famiglia erano grandi appassionati d’Opera e in casa mia era consuetudine ascoltarla; mi ricordo che già dall’età di 5 anni provavo a ripetere quelloche sentivo, quindi il mio amore per l’Opera è nato già da piccola.

2. Come hai iniziato a cantare e quando?

A 6 anni mi sono avvicinata alla musica classica e ho iniziato a studiare pianoforte, ma fin da subito si è visto che io invece di suonare avrei dovuto cantare e l’insegnate di pianoforte consigliò a mia madre di farmi studiare canto; così a 8 anni iniziai a studiare canto. Per quattro anni studiai anche il flauto, perché poteva aiutare il mio diaframma. Tornando a noi, lì iniziò il mio percorso.

3. Raccontaci del tuo debutto: sensazioni, emozioni, paure, …

Il mio debutto fu 20 anni fa, all’età di 16 anni, al Teatro dell’Opera di Tbilisi (Georgia) con Zerlina in Don Giovanni. Le emozioni sicuramente erano tante perchéquando sono sul palco mi sento felice, felice della presenza del pubblico, per le azioni. Ma non ero spaventata, non c’era posto per la paura, solo una grande gioia.

4. È molto importante avere delle persone che ci sostengono. Chi è il tuo più grande fan?

È davvero fondamentale avere chi ti sostiene. Io ho la mia famiglia, mia mamma mi ha sempre aiutato, lei mi incoraggiava sempre prima degli spettacoli.

Ricordo una volta, avevo un recital ed ero molto nervosa perché cantavo per la prima volta cose molto impegnative (per una ragazzina di 17 anni). Dovevo cantare i Puritani e La Sonnambula di Bellini. Mia mamma si accorse che mi ero innamorata di un vestito. Erano tempi duri per la Georgia, ma lei mi comprò il vestito, chiedendo i soldi in prestito ai nostri amici, dicendomi “fai il tuo recital da vera principessa e vedrai che sarai meravigliosa”.E fu così. Capii che non dovevo essere nervosa e quel vestito diventò il mio vestito fortunato, che indossai, poi, alla selezione dell’Accademia della Scala in cui fui presa e molte altre volte ancora. Adesso i miei più grandi fan sono mio papà, mio fratello, mio marito e tutti i miei parenti; mia mamma adesso non c’è più ma so che da lassù sta ancora facendo il tifo per me.

Ph. Anna Barbera

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5. Oltre ad essere un’artista incredibile, sei una donna di una bellezza straordinaria. Non a caso ti hanno definito la “Bellucci della lirica”, come ti fa sentire questa cosa? Credi sia importante l’immagine, oggi, nel mondo lirico?

[Ride.] Più spesso mi chiamano la Angelina Jolie dell’Opera. Comunque, l’ho sempre preso come un complimento perché è una donna bellissima. Penso che la bellezza aiuta ma ovviamente non è la cosa più importante, perché siamo cantanti e non modelli. L’immagine oggi è molto importante perché spesso le opere vanno in tv, sono trasmesse nei cinema. Essere in forma sicuramente aiuta, come in tutti i lavori, anche perché ti aiuta a sentirti bene con te stesso. È importante ma non più di altre cose.

6. Qual è il tuo approccio ad un nuovo ruolo?

All’inizio mi piace ascoltare una bella registrazione per avere un’idea generale. Dopo apro lo spartito e mi metto ad evidenziare, mi piace molto evidenziare… [ride] e comincio a studiare.

Inizio sempre studiando da sola mai con il pianista perché cerco di dargli qualcosa di nuovo, qualcosa di mio perché trovo che sia molto importante distinguersi, non essere una copia di qualcuno. Al massimo potrei, diciamo così, rubare qualche cadenza o mischiare delle cadenze. Questo succede con il repertorio Rossiniano e bel cantistico. Ad ogni modo, l’approccio è e sarà sempre diverso perché ognuno di noi è diverso. Cerco di capire la profondità del personaggio,ascolto le parole che dice, cosa sente il personaggio battuta per battuta. Approfondire è ovviamente dare il mio cuore.

7. Qual è l’artista vivente che stimi di più e perché? E da quale mito del passato ti senti maggiormente ispirata?

Sono innamorata della voce di Angela Gheorghiu, credo che sia assolutamente favolosa. È un’artista meravigliosa e spesso mi piace ascoltarla nel repertorio francese,

Ph. Anna Barbera

Ph. Patrizio Taormina

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infatti quando inizio lo studio di un’opera in repertorio francese la mia scelta è sempre lei. Poi ce ne sono tanti altri e potrei non finire mai se dovessi fare la lista… [ride]. Ce ne sono davvero tanti che stimo e che amo. Per quanto riguarda gli artisti del passato, quando studiavo molto il Bel Canto, ero follemente innamorata di Joan Sutherland. È stata sempre la mia ispirazione, esattamente come La Callas e La Caballé.

8. Qual è il personaggio che preferisci interpretare? Non ho un solo personaggio, anche qui ce n’è più di uno. Se proprio dovessi scegliere un preferito, allora è Luisa Miller. Adoro cantarla, è un’opera meravigliosa, la sento scritta per me [ride] e amo moltissimo interpretarla. Un altro ruolo è Mimì perché mi porta via tutto il cuore, è impossibile che faccia il finale senza commuovermi; poi c’è Thaïs. Questi tre sono i miei personaggi preferiti in assoluto.

9. Come definiresti la tua voce? E cosa vuol dire per te essere un’artista?

La mia voce la definirei UNICA [ride], perché tutte le voci sono uniche ed è proprio questo che le rende meravigliose. Non è possibile che esistano due voci uguali.

Essere un’artista per me vuol dire essere completi! È poter trasmettere, poter emozionare, far venire i brividi; se almeno una volta sei riuscito a far venire la pelled’oca ad almeno una persona, significa che tu sei un’artista. È la cosa più bella sapere che hai emozionato le persone.

10. Nella tua carriera hai riscosso successi incredibili. Qual è il tuo segreto?

Il mio segreto è dare tutta me stessa, ogni volta! Cerco di dare SEMPRE il 100%. Perché amando, tu dai tutto e il pubblico lo percepisce e poi loro ti danno indietro il loro cuore. Per avere una buona carriera non basta solo la voce, solo la tecnica o non basta essere attrici, ci vogliono tante cose: disciplina, studio CONTINUO, mai fermarsi, imparare dagli errori e studiare tanto ma sempre dando tutta te stessa.

11. Che consiglio ti senti di dare ai giovani che vogliono intraprendere questa carriera?

Studiare tanto, non pensare di essere mai perfetti, cercare di crescere SEMPRE ed avere grande DISCIPLINA. Scegliere un repertorio giusto, pensare 10 volte prima di accettare un ruolo, dire tanti NO [ride] più dei SI e quando si è sicuri NON ESITARE MAI. Quando pensi che sarai in grado, cogli il momento. Bisogna essere coraggiosi e buttarsi alcune volte (se siamo convinti di essere in grado), buttare via la testa. Essere sinceri e leali con il pubblico e dare il 100%.

12. Quanto incide, nella tua vita, la tua carriera?

Io sono una cantante molto serena. Ho sempre pensato che la carriera non è la cosa più importante della vita. Le cose più importanti sono altre, come la famiglia ad esempio. Ovviamente incide perché il lavoro che faccio lo amo, ma è un lavoro quindi lo vivo serenamente perché la cosa più importante per me è la famiglia.

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13. Qual è la tua routine nel giorno della tua performance?

Non ho una routine [ride] perché, avendo un bambino, non so mai a che ora si sveglierà. Vado sempre 2 ore prima in teatro così faccio tutto con calma: trucco, parrucco, vocalizzi. Cerco di non mangiare cose pesanti come la cipolla o l’aglio [ride] anche per i colleghi [ride]. Mangio leggero, pasta in bianco, pollo, cose così.

14. Prossimi impegni?

I miei prossimi impegni sono a Napoli per debuttare Antonia nei Racconti di Hoffman. Sono stata lì già due volte e questa è la terza volta che mi esibisco in un teatro che adoro. Farò un altro debutto nel ruolo di Manon di Massenet a Parigi e poi a Vienna. Poi Luisa Miller al Festival di Salisburgo, Violetta a Parigi e molti altri ancora, tra cui il debutto nel ruolo di Marguerite (Faust).

Ringraziamo Nino per aver aperto il suo cuore a noi di OperaLife. Toi toi toi per i prossimi impegni!

OperaLife

Nino MachaidzeGrazie

Ph. Anna Barbera

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Nel prossimo numero

intervista a Isabel Leonard

Intervista esclusiva del

mezzo che ha scalato le

più alte vette delle lirica

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Milano, Teatro alla Scala 1999.

Riccardo Muti dichiara: “In passato l’ho sempre diretta con fortuna”... ma poi scongiura: “Per carità, non parliamone troppo, e proprio ora che mancano così pochi giorni alla prima...”. Sono assai certa che, data la presenza della parola “fortuna” - parola non spesso attribuita a quest’opera - voi abbiate compreso di cosa stiamo parlando. Molto di frequente, in ambiente musicale, si evita accuratamente di nominarla addirittura, tanto è noto, negli anni, il “potere” attribuitole; a noi non fa di certo questo effetto e quindi sì, lo dico chiaramente che stiamo parlando de “La Forza del Destino” di Giuseppe Verdi!

Diversamente da quello che si possa pensare l’opera ha sempre goduto di un buon successo, sin dalle Prime: al Teatro Imperiale di San Pietroburgo (ora noto come Teatro Mariinskij) il 10 ottobre 1862 e un anno dopo a Roma (con ancora il titolo “Don Alvaro”).

La seconda versione debuttò al teatro alla Scala nel 1869 ed include la celebre Ouverture, una rielaborazione del libretto a cura di Antonio Ghislanzoni ed un finale modificato: il libretto di Francesco Maria Piave infatti, è basato su “Don Alvaro o la forza del destino” del poeta e drammaturgo spagnolo Ángel de Saavedra: diversamente dall’originale, nel nuovo finale Don Alvaro sopravvivrà alla morte di Leonora (nel finale originale era previsto che nessuno sopravvivesse).

Dramma “potente, singolare e vastissimo”, così lo definisce lo stesso Verdi, in quattro atti, è ambientato fra Spagna e Italia nel Settecento. I destini dei due innamorati, Don Alvaro e Donna Leonora, si riveleranno tormentati ed infausti sin dal primo atto; Don Carlo (fratello di Leonora), smanioso nel voler vendicare il padre - morto a causa di un colpo di pistola, partito involontariamente in seguito ad un gesto di resa da parte del giovane amante - vive con questo sentimento nel cuore sino alla fine: ferito a morte da Don Alvaro in duello, non riconoscendo la sorella, giunta al proprio capezzale, la pugnala. Fu così che, rimasto solo, ad Alvaro non resterà altro che maledire il proprio destino.Una cosa che vale la pena sottolineare è l’aspetto temporale: se tra il primo e il secondo atto passano circa 18 mesi, tra il secondo e il terzo alcuni anni mentre tra il terzo e il quarto oltre cinque anni.

La Forza del Dest ino

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Ed ora, la domanda sorge spontanea: come mai quest’opera è considerata portatrice di sventura? I motivi sono vari. Un primo può essere identificato nell’esistenza della frase “Fallì l’impresa” nella prima aria del terzo atto, cantata da Don Alvaro: il fallimento di un’impresa teatrale non era di certo auspicabile e sia impresari che cantanti non avrebbero mai voluto pronunciarla o sentirla pronunciare. La frase, infatti, dalla seconda edizione dell’opera, fu sostituita con “Fu vana impresa”.

Non volendo calcolare gli infiniti incidenti sul pal-co - forfait, stecche, rovinose cadute di direttori d’orchestra, cantanti che si dimenticano il testo - è il caso di citare la recita del 4 marzo 1960 al Metropolitan di New York nella quale il baritono Leonard Warren ebbe un malore appena dopo aver cantato l’aria “Urna fatale del mio destino”; trasportato d’urgenza in ospedale, morì poco dopo per un’emorragia cerebrale. Gabriele Baldini, grande critico letterario, dedicò un libro a Verdi, “Abitare la battaglia” (libro molto consigliato, tra l’altro) che uscì uscito postumo e incompiuto proprio perché interrotto dalla morte improvvisa del suo autore, davanti alla macchina da scrivere, mentre lavorava al capitolo su indovi-nate cosa...? (Il libro si interrompe sulla citazione di un’aria di Leonora).

Lo stesso destino del librettista Piave non fu per nulla roseo: negli ultimi dieci anni della sua vita (morì nel 1876), fu vittima di numerose sventure. Considerando che l’opera venne rappresentata solo quattro anni prima dall’inizio di queste disgrazie, lo si vuole considerare un caso?

Verdi rimase comunque entusiasta del suo lavoro; scrive al suo amico Opprandino Arrivabene dopo la prima scaligera: “...a quest’ora tu saprai della Forza del destino: vi fu una buona esecuzione ed un successo. La Stolz e Tiberini superbi. Gli altri bene. Le masse, Cori ed orchestra hanno eseguito con una precisione ed un fuoco indescrivibili. Avevano il diavolo ad-dosso. Bene, assai bene. Ho avuto notizie anche della seconda recita: ancora bene, anzi meglio del-la prima. I pezzi nuovi sono una sinfonia eseguita meravigliosamente dall’orchestra, un piccolo coro di ronda ed un Terzetto col quale si chiude l’opera. Permetti che ti stringa presto la mano e vada a dor-mire.”

Vi ricordiamo inoltre, che presto (esattamente il prossimo 2 aprile alle 19.15!) quest’opera verrà trasmessa nei cinema italiani in diretta via satellite dalla Royal Opera House di Covent Garden, a Londra. Si tratta di una nuova produzione che vedrà la regia di Christof Loy e la direzione di Antonio Pappano; previsto un cast stellare che comprenderà Anna Netrebko, Jonas Kaufmann e Ludovic Tézier.

(I più attenti di voi si saranno resi conto che il t itolo esteso dell’opera è presente solo una volta, non contando le citazioni scelte e prese che riportano il nome al loro interno... doveroso nominarla almeno una volta, sì... per il resto non si sa mai! ...)

Lavinia Soncini

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Metti un coro all ’Opera!Non c’è nulla di più collettivo dell’espres-sione che il coro conferisce in un’opera. Infatti, oltre ai personaggi che animano la vicenda in un’opera lirica, accompagnati dall’orchestra, anche il coro ha un proprio ruolo, talvolta preponderante. Può avere diverse funzionalità drammaturgiche: rappresentare la collettività, intesa come un gruppo di sacerdoti, contadini, popolani, personaggi di fantasia, condottieri ecc..., che commentano le azioni dei protagonisti o creano la cornice sociale per l’ambientazione delle vicende narrate. Vediamo un po’ nella storia come è nata l’idea di introdurre l’espressione corale in un’opera e come si è evoluta nel tempo. Già con l’esordio dell’opera fiorentina del 1600, i cori assunsero un ruolo importante, soprattutto nell’offrire una variante al “recitar cantando”.I brani d’opera corali dell’epoca, fiorentini, romani e mantovani, ereditarono dal Madrigale la loro forma. Potevano inoltre avere forma strofica, dove le strofe identiche musicalmente venivano riprese con un ritornello da sezioni strumentali

(ad esempio nell’Orfeo di Monteverdi): in questo caso, i coristi cantavano divisi in quattro voci, in maniera omofonica.Le funzioni drammaturgiche del coro d’Opera barocco erano per lo più quelle di commento alle situazioni, di supporto ai protagonisti, di esprimere emozioni condivise da tutti, di accompagnare i numeri di danza.Una sorte diversa spettò ai cori d’opera francesi, dove il compositore combinava insieme e f fe t t i prodot t i dal canto, dalla danze, dai cori omofonici e dalle spettacolari macchine sceniche. Sulla base della convinzione che la Francia non generasse contralti, essi venivano sostituiti nei cori dai tenori acuti chiamati haute-contre. Fino all’Ottocento, pertanto, la strut tura del coro francese risultò composta da: soprani (dessus), tenori contraltini (hautes-contre), tenori (tailles) e bassi.A seguito della riforma d’opera, di primo Settecento, voluta dagli Accademici dell’Arcadia tra cui i poeti Apostolo Zeno e Pietro Metastasio e dalla scuola degli operisti napoletani, tra i quali Alessandro

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Scarlatti e Giovanni Battista Pergolesi, i cori scomparvero rapidamente dagli impianti drammaturgici.Con la generazione successiva, però, gli operisti iniziarono a integrare il modellonapoletano post-riforma con quello francese. I cori divennero perciò, una particolarità distintiva della produzione operistica italiana degli anni 60-70 del Settecento. Dopo il 1780 il coro fu re-integrato all’interno delle rigide strutture della riforma dell’Opera seria metastasiana. Con l’Alceste di Gluck (1786), il coro conobbe il momento di maggior coesione con l’azione drammaturgica. Con il XIX secolo i brani corali cominciano a raggiungere popolarità singolarmente. Il melodramma in Italia rappresentò il genere musicale più apprezzato e seguito in assoluto. Per la maggior parte della popolazione, l’interesse per la musica s’identificò quasi completamente con l’apprezzamento dell’opera. Antonio Gramsci ad esempio affermerà che l’unica forma di teatro nazional - popolare è rappresentata proprio dal Melodramma. In effetti, l’amore per il teatro d’opera del primo Ottocento è riconducibile a due fattori. Il primo di ordine sociologico: i teatri rappresentavano gli unici luoghi d’incontro non solo per l’aristocrazia ma anche per i ceti borghesi

e, in minor parte, popolari. Il secondo di natura culturale: le opere di quegli anni furono in grado di rispecchiare le correnti di pensiero, i gusti e soprattutto gli ideali politici di quella società.Pensiamo ai cori scritti da Bellini, Donizetti, che pur commentando l’azione in scena, creavano la più adatta cornice sociale e il contesto adeguato alla storia che stava per svolgersi.Nel periodo che va dal 1847 al 1860, chiamato Risorgimento, il popolo italiano lottò duramente per espellere gli invasori stranieri dal proprio territorio per creare un unico Stato indipendente. Gli ideali politici dell’epoca erano ispirati a quelli liberali derivanti dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese e quelli fortemente patriottici dovuti alle correnti di pensiero romantiche. L’opera giocò un ruolo determinante nel promulgare questi ideali, date le sue potenti influenze sulla società dell’epoca.Degli anni quaranta sono i cori creati da Giuseppe Verdi, tra cui il celebre “Va pensiero” tratto dal Nabucco (1842), grazie al quale gli italiani si immedesima-rono con il popolo ebreo che lotta contro i babilonesi e inneggia alla libertà, fino a diventare un inno delle rivoluzioni di quegli anni. Altri cori verdiani celebri furono “O Signore, del tetto natìo” da

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I Lombardi alla prima crociata (1843) e “Si ridesti il Leon di Castiglia” dall’Ernani (1844), ognuno di questi ispirati agli ideali risorgimentali italiani. Non di stampo patriottico ma famosissimi diventarono anche i cori del Macbeth, Aida, Forza del destino, Otello. Una musica corale che arriva quasi a superare l’iniziale intento patriottico e appassiona sempre di più il popolo.Per quanto riguarda l’opera francese, le scene corali furono una componente essenziale. Gaspare Spontini ne usò in gran quantità, abitualmente. Giacomo Meyerbeer coniò una formula di Grand-Opéra che introduceva al suo interno scene di massa, danze e sistemi di due cori in antitesi, come ad esempio quelli de Les Huguenots (1836), utiliz-zati poi come modello da Verdi per Les Vêpres siciliennes (1855).Con le Scuole Nazionali, le esigenze di rappresentare i sentimenti patriottici richiesero un ritorno massiccio all’uso del coro “protagonista”. Musorgskij lo userà per il suo Boris Godunov (1869-1874), rendendogli un evidente carattere nazionalista. Verso la fine del secolo, con il Verismo, in Italia la sorte del coro iniziò a declinare, anche se diversi compositori italiani continuarono a farne un gran uso.

Sono da citare, infatti, i famosi: “Inno di Pasqua” della Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni e l’”Inno del sole” dell’Iris, ma anche tutto l’apporto corale dei Pagliacci di Leoncavallo. Giacomo Puccini farà uso del coro soprattutto per evocare atmosfere esotiche, ricordiamo i meravigliosi cori di Turandot e il famoso “Coro a Bocca Chiusa” dalls Madama Butterfly. Tra i compositori del XX secolo che hanno fatto un uso esteso del coro, troviamo: Richard Strauss, Benjamin Britten, Francis Poulenc e Sergej Prokofiev. Abbiamo compiuto un breve excursus sulla storia dell’elemento corale nell’opera. Certo è che l’apice delle composizioni per coro si è raggiunto nel corso dell’Ottocento e questa musica continua tuttora a coinvolgere, appassionare, fino a provocarci dei brividi per il messaggio e l’emozione che trasmettono.E certi numeri corali sono stati talmente già immortalati dalla storia, che non temono assolutamente il confronto con altri celebri brani solistici.

Alessandro Bugno

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3. Raccontaci del tuo debutto: sensazioni, emozioni, paure, …

Ho avuto la fortuna e sventura di fare un jumping al debutto dell’opera Gianni di Parigi di Donizetti a Martina Franca. Mi ricordo che facevo il cover e l’opera la conoscevo molto bene. Mai ho pensato che avrei dovuto fare la prima. Ho saputo dal direttore artistico la sera prima che avrei dovuto cantare la premiere. Avevo 26 anni ed era una grande responsabilità. Un personaggio molto frizzante con una scrittura impervia. Quello che ricordo con affetto è il sostegno di tutti colleghi sul palco, che mi hanno aiutato molto e anche la mia poca consapevolezza dell’importanza del fatto. Forse questa impulsività mi ha aiutato. È stato un trionfo e ha segnato l’inizio della mia carriera.

4. È molto importante avere delle persone che ci sostengono. Chi è il tuo più grande fan?

Ho la fortuna di avere una famiglia che mi aiuta a dare l’importanza giusta alla mia carriera, senza togliere né aggiungere niente. Mio figlio di 8 anni mi segue molto ed è un piccolo musicista.

EdgardoRocha

Intervista a

Siamo contenti di intervistare il tenore Edgardo Rocha, giovane artista di fama internazionale, che ha già all’attivo numerosi successi.

1. Ripercorriamo un po’ la tua carriera: quando nasce il tuo amore l’Opera?

Avevo più o meno 13 anni quando ho visto per la prima volta in televisione i tre tenori. Posso dire che loro tre sono stati il mio pri-mo approccio con la lirica.

2. Come hai iniziato a cantare e quando?

Suonavo il pianoforte e all’età di 17 anni ebbi la fortuna di avere una professoressa di filosofia al liceo che era stata un soprano. Lei ha scoperto che io suonavo e mi ha invitato a fare un concerto insieme a lei. Siccome lei non aveva ancora deciso che brani interpretare in questo concerto, mi chiese di aiutarla a scegliere il programma. Cosi canticchiai qualche canzonetta e ho visto il suo stupore nel sentirmi. Ho pensato subito, chissà che ho combinato, invece mi ha fatto cantare con lei nel concerto. E così intrapresi lo studio del canto.

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Insieme al mio maestro di canto, credo che mettono insieme quella energia necessaria per vedere le cose obiettivamente in questo mestiere.

5. Reciti spesso in opere dalle regie “alternative”, come l’Italiana in Algeri al Salzburger Festspiele dove ricordavi un po’ Bob Marley. Cosa ne pensi delle regie contemporanee?

Sono completamente d’accordo con l’aggiornare e fare la situazione scenica il più reale possibile. Però capisco che molte volte non è presente da parte del regista un argomento concreto per fare certe modificazioni al libretto. Credo che ai nostri giorni si debba fare l’impossibile per conquistare il pubblico, innanzitutto i giovani. Per questo bisogna sempre cercare d’innovare e proporre uno spettacolo dove loro si possano identificare, sia dal punto di vista della situazione scenica, dei costumi o movimenti dei personaggi. Credo che il nostro compito come cantanti è anche avvicinarsi il più possibile alla realtà, coinvolgendo sempre di più il pubblico.

6. Qual è il tuo approccio ad un nuovo ruolo?

Mi piace molto indagare sul compositore e sul personaggio in questione. Sapere cosa succedeva al compositore a quell’epoca, cosa accadeva attorno a lui storicamente. Credo sia importante per arrivare con molta fedeltà al nuovo personaggio. Anche se questo non è mai esistito, cerco sempre di capire innanzitutto come il compositore fa vedere il carattere dello stesso attraverso la musica. È un lavoro molto impegnativo ma contribuisce ad un avvicinamento più profondo al personaggio, usando il linguaggio musicale del compositore.

7. Qual è l’artista vivente che stimi di più e perché? E da quale mito del passato ti senti maggiormente ispirato?

Provo una profonda ammirazione per tutti gli artisti che hanno dedicato la loro vita alla musica. Che hanno fatto vedere il loro punto di vista attraverso essa e ci hanno coinvolto a far parte di questo meraviglioso mondo.

8. Qual è il personaggio che preferisci interpretare? C’è un personaggio che ami che non è per la tua vocalità?

Ho debuttato Arturo dei Puritani di Bellininel 2016. Credo sia il personaggio più complesso che abbia mai interpretato. È pieno di sfumature tra amore e patria, come Aida. Questo lo fa affascinante e lo fa essere il mio preferito insieme al Conte Ory di Rossini. Ci sono tanti che credo di

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non poter mai cantare, tipo il Don Carlo, Riccardo di Ballo in Maschera e devo dire anche Scarpia. Però confesso che sotto la doccia mi levo questo sfizio.

9. Come definiresti la tua voce? E cosa vuol dire per te essere un artista?

Mi considero un tenore lirico leggero belcantista. Mi trovo molto a mio agio nel repertorio dell’800. Tengo sempre a precisare che non sono a favore dell’etichette che oggi siamo abituati ad usare. Tenore Rossiniano, tenore Verdiano, tenore Wagneriano, tenore verista… etc… sono etichet te vitalizie che condizionano il cantante e anche il pubblico. Essere un artista secondo me è mettersi a completa disposizione della musica. Come musicista e cantante mi sento un conduttore tra il compositore e il pubblico. Un messaggero che attraverso questo donarsi per intero cerca di trasmettere qualcosa unica e difficile da definire con mere parole.

10. Quanto ha inciso la tua vita artistica nella tua vita personale?

È molto difficile separare la persona dal cantante. Ma bisogna farlo. Trovare il giusto equilibrio non è facile visto che lo strumento l’abbiamo dentro, ed è sempre partecipe nei nostri momenti felici e meno felici. Mi sento fortunato di poter fare come lavorare qualcosa che amo. Vivere della propria arte è una cosa unica e impagabile, ma crea un mondo parallelo nel quale non si può vivere per sempre. Ci sono decisioni da prendere, tempo per lo studio,obiettivi da raggiungere che sempre coinvolgono la nostra vita privata e quella dei nostri cari. Diciamo che non si spegne quasi mai la luce dell’ufficio.

11. Che consiglio ti senti di dare ai giovani che vogliono intraprendere questa carriera?

Siate curiosi e non paurosi, cercate d’imparate da tutti. Rispettate quello che fate, la voce non è la cosa più importante. Studiate e fatevi una vostra idea e un vostro progetto di carriera senza fretta.

12. Prossimi impegni?

Il turco in Italia di Rossini a Zurigo, Il Cantante italiano nel Rosenkavalier e Libenskopf nel Viaggio a Reims a Dresda, Ernesto nel Don Pasquale di Donizetti a Zurigo e il ritorno al Teatro alla Scala l’anno prossimo con il turco in Italia.

Ringraziamo il giovane talento Edgardo Rocha per questa intervista. Toi toi toi per i prossimi impegni!

OperaLife

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Ed eccoci oggi con un’altra piccola curiosità di casa Disney. Nello scorso numero, abbiamo avuto occasione di vedere come l’Opera è stata protagonista della scena grazie al soprano Mary Costa, che ha dato voce alla principessa Aurora nell’originale Sleeping Beauty, e al tenore Sergio Tedesco, voce del principe Filippo nella versione italiana La Bella Addormentata nel Bosco.Oggi daremo spazio ad un altro piccolo gioiellino del colosso americano che, seppure non porta l’Opera vera e propria sotto i riflettori, regala allo spettatore una visione davvero unica. Stiamo parlando del lungometraggio d’animazione Fantasia, uscito nelle sale americane nel lontano 1940. Ma cos’ha di così particolare questo cartone animato?

Oltre ad essere un lungometraggio realizzatoad episodi, Fantasia è un inno alla musicaclassica, ecco qual è la sua più grande peculiarità.Sono presenti infatti brani di Bach, Cajkovskij, Dukas, Stravinskij, Beethoven, Ponchielli, Musorgskij e Schubert diretti dal Maestro Leopold Stokowski e realizzati per la maggior parte dall’Orchestra di Filadelfia.

Ma entriamo più nel dettaglio. La trama si compone di otto episodi, ognuno dei quali dedicato ad un’opera dei compositori sopra citati:

• Toccata e fuga in Re minore di Johann Se-bastian Bach. • Lo schiaccianoci di Pëtr Il 'ic Cajkovskij. • L'apprendista stregone di Paul Dukas,

basato sull'omonima ballata del 1797 scritta da Goethe.  • La sagra della primavera di Igor' Fëdorovič Stravinskij. • Intervallo / Incontra la Colonna Sonora. • Sinfonia n. 6 "Pastorale" di Ludwig Van Beethoven.• Danza delle ore di Amilcare Ponchielli. • Una notte sul Monte Calvo di Modest Petrovič Musorgskij  e  Ave Maria  di  Franz Schubert.

Fantasia, quando la musica classica incontra l’animazione

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Il lungometraggio d’animazione, composto da brani di musica classica e da cartoon in movimento, non ebbe immediato successo in patria, tanto da dover attendere più di quindici anni per avere il suo momento di gloria. Nunziante Valoroso ci racconta: «Fu solo nel 1956, quando Fantasia fu riedito in una nuova versione stereofonica […] e su schermopanoramico […] che il film fu rivalutato e da allora è stato continuamente riproposto, fino alla trionfale uscita in videocassetta nel 1991».

Ma questo non è tutto! Alla magnificenza della musica classica è dedicato anche il sequel uscito sessant’anni dopo, Fantasia 2000.

All’interno di questo nuovo lungometraggio ad episodi troviamo:

• Quinta sinfonia di Beethoven• I pini di Roma di Ottorino Respighi• Rapsodia in blu di George Gershwin• Concerto per pianoforte n. 2 in Fa maggiore di Dmitrij Šostakovič: I tempo – Allegro• Il carnevale degli animali di Camille Saint-Saëns• L'apprendista stregone di Paul Dukas• Pomp and Circumstance di Sir Edward Elgar

• L'uccello di fuoco  di  Igor' Fëdorovič Stra-vinskij

Un format interessante e particolare, quel-lo scelto da casa Disney, che è rimasto im-presso a chiunque abbia avuto il piacere di vederlo. Grazie ai suoi cartoni danzanti, Walt Disney con Fantasia ha spinto milioni di bambini e ragazzi ad appassionarsi alla musica classica creando, consapevolmente o meno, gli spettatori del domani.

Martina Corona Fantasia, quando la musica classica incontra l'anima-zione

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Il Far West all’OperaL’immaginario italiano sul Nord America al tempo di Puccini era legato al Buffalo Bill Wild West Show, uno spettacolo circense e western itinerante, al quale lo stesso compositore assistette. Per il resto, lo scambio di informazioni poteva avvenire attraverso parenti che erano negli USA a cercare fortuna, con tutte le difficoltà di comu-nicazione che c’erano all’inizio del Novecento. Subito dopo il successo della Madama Butterfly Puccini si mise alla ricerca di un nuovo soggetto, una ricerca lunga e piena di proposte, un periodo di intensa attività e di difficoltà personali. La svolta avvenne nel gennaio del 1907: Puccini è a New York e assiste al dramma The Girl of the Golden West di David Belasco, lo stesso autore della Butterfly, che aveva ispirato il lucchese. All’inizio il compositore non fu troppo convinto di trasformare il dramma teatrale in un’opera lirica, ma il seme ormai piantato dette i suoi frutti. A questo processo forse contribuì anche il successo ottenuto con l’opera precedente. Siamo in California, in un non meglio specificato momento della caccia all’oro, in un villaggio vicino ad una miniera che ha come luogo di ritrovo una locanda chiamata La Polka. La taverna è gestita dall’unica donna del posto, Minnie, della quale tutti gli uomini sono innamorati; ella assume in sé sia il ruolo di madre che il ruolo di istitutrice, tant’è che appena compare in scena è intenta a leggere dei passi della Bibbia. Alla fine della lettura lo sceriffo del villaggio, Rance,dichiara il suo amore ma la donna risponde in modo evasivo ed è in quel momento che entra uno straniero, Dick Johnson. Quest’ultimo in quanto forestiero non può entrare ma la locandiera dice di averlo conosciuto lungo un sentiero, per i due era stato colpo di fulmine a prima vista; i minatori escono di scena poiché è arrivata la notizia di un avvistamento della banda del famigerato bandito

Ramerrez. Nel secondo atto i due innamorati sono nella capanna di Minnie, quando sopraggiungonoi minatori e lo sceriffo che informano la donna che Johnson è in realtà Ramerrez. Minnie sdegnata caccia via l’amante ma, successivamente, mossa dall’amore, lo accoglie nuovamente poiché è stato ferito. In quel momento entra nella capanna anche lo sceriffo il quale inizia a cercare il bandito che viene tradito da alcune gocce di sangue. La locandiera, per salvare l’uomo, decide di sfidare a poker Rance e barando riesce ad ottenere la salvezza per entrambi. Nell’ultimo atto Ramerrez guarito è in fuga ma viene catturato dai minatori che vogliono impiccarlo, l’uomo li supplica di far credere a Minnie di essere ancora vivo ma la donna,avvertita dal cameriere Nick, arriva a cavallo e chiede la liberazione del suo amore invocando i ricordi che ha condiviso con tutti i minatori. Questi ultimi in preda alla commozione perdonano Johnson/Ramerrez e i due amanti ora sono pronti a vivere la loro vita insieme.Puccini per l’ambientazione si rimette alla cono-scenza del Far West di Belasco stesso, il quale si rifà ai racconti del padre. Un Lontano Ovest pienodi opportunità e di uomini di diverse etnie, un rac-conto che ricalca gli stereotipi etnici dell’epoca. Ad esempio Ramerrez parla in spagnolo ma non è messicano, bensì un discendente degli spagnoli conquistatori della California, un Californio. A questo personaggio Puccini associa una musica afroamericana che di sicuro non rispecchia il background del protagonista, ma il compositore era affascinato da questi ritmi e forse per lui identi-ficavano la vera America. In realtà il lucchese non è interessato ad una ricostruzione accurata del Far West, l’Ovest è per lui una cornice originale e affascinante nella quale ambientare un’opera, infatti fu oggetto di critiche per via della sua inattendibilità, cosa che non avvenne con la Butterfly poiché si aveva più familiarità con gli USA che con il lontano Giappone.

Giulia Panzanelli

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D’amor, di primavere, di sogni e di chimere

È la vigilia di Natale. Marcello pittore, Schaunard musicista, Colline filosofo, dopo aver risolto il problema di non poter pagare l’affitto della vec-chia soffitta in cui vivono con “l’aiuto di audaci matematiche..”, si recano al Caffè Momus. Rodolfo rimane in casa, è il poeta e deve scrivere. Mimì arriva in quel tardo pomeriggio, gelido come tanti altri, in cerca di un lume. Chiede aiuto a Rodolfo e tra i due giovani sboccia l’amor.Al Cafè Momus anche Marcello incontra la sua adorata Musetta, non sa resisterle e i due fuggono insieme. A seguito di un lungo periodo trascorso insieme, Marcello e Musetta, dopo l’ennesima e furiosa lite, si separano. Anche per Rodolfo e Mimì la vita insieme si è dimostrata impossibile. Per di più Rodolfo ha capito che Mimì è gravemente malata e che la vita nella soffitta potrebbe pregiudicarne ancor di più la salute. Ormai separati dalle amanti, Marcello e Rodolfo si confidano le loro sofferenze. Colline e Schaunard li raggiungono, sopraggiunge anche Musetta che accompagna Mimì, ormai

vicina alla fine. Qui, ricordando i bei giorni passati, Mimì si spegne circondata dal calore degli amici e dell'amato Rodolfo.

Questa è la commovente storia de “La Bohème”, capolavoro di Giacomo Puccini su libretto di Giacosa e Illica, ispirandosi al testo Scene della vita di Boheme di Henri Murger.

In realtà per ricreare l'esistenza di quei giovani artisti o aspiranti tali, in balia dei loro sogni di gloria, indifferenti al tempo e alle angherie del mondo reale, Puccini doveva solo guardarsi dentro, attingere ai propri ricordi. Era sufficiente tornare con la memoria agli anni di gioventù quando giovane studente al Conservatorio di Milano, esaurita la borsa di studio che sua mamma, vedova e piena di figli, aveva ottenuto,pensate, dalla regina Margherita, finì per ritrovarsi in ristrettezze sperimentando sulla propria pelle la vita grama del musicista pieno di ambizioni, gli allegri espedienti dettati dalla miseria, e il freddo.

Quel freddo che il nostro Rodolfo non poteva contrastare, non aveva denaro per farlo, quel freddo che lo allontanò dalla sua Mimì.

D’amor, di primavere, di sogni e di chimere

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Non ci sono eroi, ma situazioni quotidiane, è l'opera delle piccole cose questa, del manicotto, della cuffietta rosa. È l’opera di quattro ragazzi che cercano di vivere delle loro ambizioni, fragili e precari ma desiderosi di futuro, con in testa la voglia rivoluzionaria di felicità.

“Chi son? Sono un poeta. Che cosa faccio? Scrivo. E come vivo? Vivo.”Vive, Rodolfo, non sa spiegare come, ma vive.

Vive di poesia, vive di speranze, vive di giovinezza, vive di povertà. La sola cosa che rende sopportabile tutto questo,sono quei “castelli in aria” che Rodolfo sogna e custodisce gelosamente. I suoi sogni, le parole con le quali convive, si fanno poesia e alleggeriscono d’un tratto il peso di questa vita da tenere “viva” cercando ogni giorno un modo per farlo. Per questo l’anima di Rodolfo è “milionaria”: il mondo che ha costruito, avrà sempre il valore inestimabile dei sogni. Questa è la forza della gioventù con la fame di vita, di futuro, di successo, di felicità, costi quel che costi.La morte di Mimì è l’espediente per diventare adulti. Quando muore Mimì è tutto quel mondo che si spegne. Musetta vende i suoi orecchini pur di trovare del denaro per le cure della sua amica. Colline, come gli altri, reagisce, cresce, nel momento del bisogno decide di vendere il suo cappotto, compagno di vita, per aiutare Mimì. L’aria “Vecchia zimarra” (ne consiglio affettuosamente l’ascolto) è un modo per scrivere con la musica la parola addio. La cadenza è il congedo più suggestivo da un mondo fatto di persone e di cose, un mondo di cui la morte di Mimì ha decretato la fine traumatica. È un congedo da un pastrano ma è la fine di un modo di essere, è il saper essere filosofo delle cose concrete, è il saper essere filosofo della vita reale, è la filosofia della compassione.Forse il significato più profondo della vicenda di questi ragazzi con una vita da bohémien, è il senti-mento di vicinanza alle sofferenze altrui che supera il desiderio di felicità, di frivolezza, che li rende adulti. Si spegne l’indifferenza al tempo.

È la metafora della vita di ognuno e il teatro, ancora una volta, ci rende protagonisti.

Anna Leonardi

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