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SCIE~ZE I) E L L .\ F () H .'1 .\ Z 1 () :\ E LA FORMAZIONE l'insieme dei presupposti teorici, dei significati e delle pratiche che sostanziano il termine 'formazione' è assai complesso, ricco di sfaccettature e quindi interpretabile a partire da una molteplicità di punti di vista. Il tema in oggetto, lungi dal poter essere considerato di pertinenza di un unico campo disciplinare, trova in questo volume alcune risposte e proposte provenienti da ambiti di ricerca differenti: pedagogico, didattico e socio logico. Ne deriva un quadro composito di premesse concettuali, di approcci critico-costruttivi, di ricostruzioni culturali, anche in prospettiva storica, e di indicazioni di carattere più specificamente operativo. Per la definizione dei compiti formativi e delle azioni connesse, occorre un pensiero còlto e un atteggiamento disponibile a comprenderne le potenzialità in ordine alla promozione autentica dei soggetti in formazione, che apprezzi l'importanza della dimensione professionale, ma eviti di considerare in termini riduttivi le possibilità di sviluppo personali, finalizzandole unicamente ali' ambito lavorativo. Sorretto da tale progetto, questo volume, nato dal contributo dei docenti del Dipartimento di Scienze dell'educazione dell'Università di Verona e impreziosito da una riflessione di Franco Cambi, ospita alcuni contributi teorici, di fondamento, ed altri orientati invece ali' operatività. Tutti mostrano come le pratiche formative, nel campo professionale, ma non solo, debbano essere costantemente accompagnate da un pensare e da un riflettere in grado di mantenerle congruenti rispetto ad un disegno di libertà e di autodeterminazione da parte delle persone chiamate ad essere, di tali pratiche, protagoniste attive. Il volume contiene i contributi di: Alberto Agosti, Emilio Butturini, Franco Cambi, Paola Dal Toso, Paola Dusi, Claudio Girelli, Franco la rocca, Daniele loro, luigina Mortari, Mauro Niero, Battista Orizio, luigina Passuello, Anna Maria Piussi, Agostino Portera, Giuseppe Tacconi. lbe to è docente presso la Facoltà di Scienze della formazione dell'Università degli Studi di Verona, ove insegna Didattica generale e metodi e tecniche del lavoro di gruppo ed Educazione degli adulti. Tra le sue pubblicazioni: Inte e in e etodologici (a cura di), Torino 1996; ed . co si ione degli , Padova 2001. Con la FrancoAngeli ha pubblicato egge e il ento del Le l (a cura di, con P. Di Nicola), 2000; Il cine pe e. ioni ped e indic ioni che (a cura di), 2004; di uppo e o di l o. pe gogici e ci, 2006. 19,00 lUI ~ > ~ C'. ~ ~ e, ..::; •... :t> ..,., O ::::o 3: :t> N O :z rn lE A cura di Alberto Agosti LA FORMAZIONE Interpretazioni pedagogiche e indicazioni operative SeIE\ZE I) E L L .\ F () H .'1..\ Z 1 () ~ FrancoAngeli

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Testo di Studio per Salatin

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SCIE~ZE I) E L L .\ F () H .'1 .\ Z 1 () :\ E

LA FORMAZIONE

l'insieme dei presupposti teorici, dei significati e delle pratiche che sostanziano il termine'formazione' è assai complesso, ricco di sfaccettature e quindi interpretabile a partire da unamolteplicità di punti di vista. Il tema in oggetto, lungi dal poter essere considerato di pertinenzadi un unico campo disciplinare, trova in questo volume alcune risposte e proposte provenienti daambiti di ricerca differenti: pedagogico, didattico e socio logico. Ne deriva un quadro compositodi premesse concettuali, di approcci critico-costruttivi, di ricostruzioni culturali, anche inprospettiva storica, e di indicazioni di carattere più specificamente operativo.

Per la definizione dei compiti formativi e delle azioni connesse, occorre un pensiero còlto e unatteggiamento disponibile a comprenderne le potenzialità in ordine alla promozione autenticadei soggetti in formazione, che apprezzi l'importanza della dimensione professionale, ma evitidi considerare in termini riduttivi le possibilità di sviluppo personali, finalizzandole unicamenteali' ambito lavorativo.

Sorretto da tale progetto, questo volume, nato dal contributo dei docenti del Dipartimento diScienze dell'educazione dell'Università di Verona e impreziosito da una riflessione di FrancoCambi, ospita alcuni contributi teorici, di fondamento, ed altri orientati invece ali' operatività.Tutti mostrano come le pratiche formative, nel campo professionale, ma non solo, debbanoessere costantemente accompagnate da un pensare e da un riflettere in grado di mantenerlecongruenti rispetto ad un disegno di libertà e di autodeterminazione da parte delle personechiamate ad essere, di tali pratiche, protagoniste attive.

Il volume contiene i contributi di: Alberto Agosti, Emilio Butturini, Franco Cambi, PaolaDal Toso, Paola Dusi, Claudio Girelli, Franco la rocca, Daniele loro, luigina Mortari, MauroNiero, Battista Orizio, luigina Passuello, Anna Maria Piussi, Agostino Portera, Giuseppe Tacconi.

lbe to è docente presso la Facoltà di Scienze della formazione dell'Università

degli Studi di Verona, ove insegna Didattica generale e metodi e tecniche del lavoro di

gruppo ed Educazione degli adulti. Tra le sue pubblicazioni: Inte e

in e etodologici (a cura di), Torino 1996; ed

. co si ione degli , Padova 2001. Con la

FrancoAngeli ha pubblicato egge e il ento del Le

l (a cura di, con P. Di Nicola), 2000; Il cine pe e.

ioni ped e indic ioni che (a cura di), 2004; di

uppo e o di l o. pe gogici e ci, 2006.

€ 19,00 lUI

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A cura di Alberto Agosti

LA FORMAZIONEInterpretazioni pedagogiche

e indicazioni operative

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FrancoAngeli

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Ilancora bisogna ammettere che la conoscenza stessa è qui contemporaneamente forma emateria; è per se stessa il proprio oggetto, cosicché il progresso della conoscenzacostituisce una trasformazione della realtà stessa, che sfugge nel momento stesso in cui la

si coglie, come se l'uomo dovesse qui lottare con la sua ombra, indefinitamente. Ogniricerca, una volta realizzata, è una ricerca superata, perché, contemporaneamente, la realtàumana viene trasformata, e si deve ricominciare da capo. Questo ritardo del sapere inrapporto ad una attualità mai accessibile, indeterminabile, non è un ritardo cronologico,una distanza che si potrebbe un giorno superare, ma piuttosto un ritardo ontologico ... 14

Per questo la ricerca-azione in educazione vuole che chi è in formazionepartecipi da subito ad offrire il proprio contributo di pensiero e diinterpretazione di un reale inesauribile nella sua significatività. L'attenzione alsuo sguardo pedagogico, magari ancora ingenuo, consente a chi ha piùesperienza di cogliere, insieme ai limiti, quelle pepite di intuizione capaci diavvicinarsi ai punti di vista di generazioni molto diverse da chi si fosseformato in epoche e sistemi culturali lontani nel tempo.

Nella ricerca-azione il processo cognitivo parte in modo sincreticodall'esperienza e in seguito, grazie al dialogo, riesce a cogliere il valore, ilquale prima di divenire elemento regolativo dell'innovazione tornaall'esperienza in modo analitico, con l'uso di quello stesso processo per operaresintesi successive che getteranno ulteriore motivazione di attenzioneall' esperienza, mentre rivela la luce interiore presente in ogni azionegenuinamente educativa.

Riferimenti bibliografici

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14 GUSDORFG., ione e scien e ne, il Mulino, Bologna 1972, pag.767.

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L'analisi dei bisogni formativi, fra attore

sociale e sistema

di Mauro Nìero'

1. Tre quesiti orientativi

Nel dibattito scientifico si incontrano spesso espressioni biforcute in cuivengono accostati concetti complessi che sono fonte di suggestione, ma anchedi confusione. Una di queste è "analisi dei bisogni formativi,,2 (ABF d'ora inpoi). Essa indica genericamente "ciò che sta prima" del processo formativo,una sorta di zona grigia teatro di negoziazioni discorsive o di ricerca sistema-tica. In questo contributo ci si chiederà, in primo luogo, se il concetto di biso-gno in questo contesto sia adeguato o fuorviante. In secondo luogo ci si chie-derà chi siano i titolari di questi bisogni di cui la formazione "ha bisogno": gliattori o l'organizzazione? Al dilemma è dovuto il titolo di questo contributo,che coincide con quello di un fortunato volume di Crozier e Friedberg,

'acteur et le tè e del 1977, che rispondeva a questo interrogativo con glistrumenti concettuali dello stato dell'arte dell'epoca.

Dato che ne scaturirà un quadro composito, ci si chiederà, in terzo luogo,quali siano le tecniche di ricerca più adatte per coglierne le varie coloriture.

2. Il bisogno del concetto di bisogno

Il radicamento biologico del concetto di bisogno è uno dei motivi per iquali le scienze sociali vi hanno focalizzato i fondamenti genetici dell 'agire

l 11saggio deriva da un percorso di ricerca dell 'autore realizzato con Cristina Lonardi (alla qua-le vanno attribuiti i par. 3.4-3.5-4.2 e la tab.l) e Nadia Oprandi (alla quale vanno attribuiti i par.4.3-4.4 e la tab.2).2 Nel contributo non compaiono definizioni di formazione. Si rinvia chi reputasse questa unacarenza non veniale a quelle di BAITISTELLI,MAJERe OOOARDI(2002: pp.39-40). Con questiautori è condivisa l'idea che del concetto non esista una definizione ma dei criteri guida, fra iquali "cambiamento" a cui chi scrive aggiungerebbe: "differenziazione" e "integrazione".

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individuale e collettivo. Forse per questo il "bisogno del concetto di bisogno"si fa vivo periodicamente nella ricerca sociale, per lo più in concomitanza conmomenti di disorientamento o di cambiamento, ma talvolta promettendo piùdi quanto possa effettivamente dare.

Per evitare il rischio di una rassegna che esca dai propositi di questo con-tributo, possiamo dire che le esigenze che portano al "bisogno del concetto dibisogno" possono essere riassunte utilizzando due assi concettuali:l) Oggettività/soggettività (primo asse): si può invocare il concetto di bisognoper superare letture supposte arbitrarie della realtà (sia che ci si occupi di for-mazione che di altre cose), in modo da ottenere più "oggettività"; dall'altraparte si mette in primo piano l'attore e il suo punto di vista (soggettivo).2) Obbligatorietà/libertà (secondo asse): si vede nel concetto di bisogno seve-rità ed esclusione del superfluo; dall'altra si preferisce richiamarsi ai bisogniperché connotano libertà e creatività.

Esempi. La psicologia behavioristica, come pure Marx e Malinowski, pro-pongono concetti di bisogno che, pur nella loro diversità, contengono clausoledi oggettività e obbligatorietà. Essi partono tutti dai bisogni biologici, oggetti-vi per antonomasia. Marx estende il criterio dell'obbligatorietà anche ai co-siddetti bisogni "socialmente necessari", che sarebbero creati dalla società(Heller 1974), mentre per Malinowski (1964) e la sua antropologia funzionai eessi diverrebbero obbligatori in quanto incorporati nella cultura.

Verso gli estremi opposti (soggettività, libertà) porta invece la teoria moti-vazionale dei bisogni di Maslow (1954), in cui i criteri di libertà sono incor-porati all'apice della sua gerarchia al livello di e

declinano criteri di libertà e illimitatezza anche le teorie dei bi-sogni di ascendenza fenomenologica (vedi ad esempio, Feinberg 1973).

Ma, come è possibile intuire, vi sono implicazioni e complicazioni legate aqueste opposte tendenze, che si possono riversare su chi del concetto fa unuso applicativo, come nel caso dei BF. Vediamone alcune conseguenze:a) quanto più i bisogni vengono visti come obbligatori, tanto più la loro soddi-sfazione comporta la compensazione di deficienze o di ma chi determinale soglie di questo Se per i bisogni naturali la soglia è la sopravvivenzabiologica, più arduo è stabilire le soglie di bisogni immateriali, e questo è ap-punto il caso dei BF;b) partire dall'attore, invece, è uno dei presupposti delle teorie di ascendenzaumanistica. Tuttavia quando si scende nella pratica, questi bisogni diventanovirtualmente illimitati, tanto che si debbono cercare dei correttivi, ad es.: di-

stinguere i bisogni dalle aspirazioni (Edwards 1986); introdurre stratagemmilogici come il "principio del danno" (Benn e Peters 1977) 3;c) se si interpella l'attore non significa che esso dichiari bisogni "veri", datoche - idea di derivazione marxiana - questi possono essere indotti;d) molte teorie dei bisogni mettono l'attore sotto tutela. Per Doyal e Gough(1994), autori di una celebrata opera sui bisogni universali, si dovrebbe direche i bisogni sono definiti " ... nell'interesse dell'individuo anche se egli nonlo sa". Perciò una lettura obiettiva dei bisogni, paradossalmente, non potrebbeche provenire da un lettore di bisogni, un big un politico, un socio 10-

go, uno psicologo, un filosofo morale o, come nel nostro caso, un formatore.Inutile chiedersi se i BF abbiano a che fare con questo dibattito generale

dato che le parentele sembrano essere molte. Alcuni decenni fa si cominciò adinvocare il "bisogno di bisogni" allo scopo di superare l'arbitrarietà di molteiniziative formative, messe in cantiere, allora come oggi, senzaun 'esplorazione preliminare (Boldizzoni 1984). Erano i criteri della "oggetti-vità" e della "severità" che venivano chiamati in causa e così l'ABF, secondouna tradizione attribuibile a Tyler (1958), si basò sul bisogno inteso comeo "deficienza" rispetto ad uno o una situazione virtuale. In tempi piùrecenti, la chiara parentela di questa accezione con il behaviorismo classicodei need ha sollevato insofferenze soprattutto da parte degli autoridi matrice psicologica. Quaglino e Carrozzi (1992) ad esempio, pur osservan-do che i BF sono più specifici rispetto al sistema di bisogni della persona, af-fermano che l'idea di è riduzionistica, dato che essa presume un connubiostabile fra persona e compito che quest'ultima svolge (p. 63). Su questa scia,secondo Battistelli, Majer e Odoardi (1992), se di si dovesse parlare, essoandrebbe rapportato ai progetti della persona, piuttosto che alla sola situazioneattuale. La perplessità è comunque condivisa anche da autori di matrice nonpsicologica, come Aherne, Wayne et alii (200 l), secondo cui si potrebbe an-che accettare l'idea di ma solo a patto di considerare l'ABF come pro-cesso che si affina nel tempo, piuttosto che come un risultato. Pearce (1995)propone una prospettiva "soggettivi sta" ai BF, secondo cui essi andrebberoletti con l'intento di aumentare della persona. Tutto porta alpresupposto, che qui si condivide, che l'obbligatorietà di un bisogno sia giu-stificata dal piano di vita della persona che ne è portatrice (Miller 1976).

Mentre da varie parti si tende a soggettivizzare i BF, altri sostengono unavisione funzionalista, secondo cui i BF andrebbero cercati oltre la personaconsiderando l'organizzazione e la società. Così l'attore diventa inconsapevo-

3 La filosofia morale britannica veniva chiamata in causa per trovare una soluzione equa al pro-blema delle prestazioni di welfare a carico dello stato. Ma bisogni illimitati significavano anchecosti illimitati, da cui la "teoria del danno": sarebbe equo - secondo questa teoria -considerarebisogno "solo" ciò che, se non soddisfatto, danneggia la persona.

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le o irresponsabile, dato che tenderebbe a dichiarare bisogni indotti (Atwood eEllis 1971), oppure percepiti in modo distorto sotto l'influsso di forze esterne.Moltissimi lavori sui BF suggeriscono perciò molta cautela nel prendere perbuoni i bisogni dichiarati o rivendicati dagli attori. Ma in questo modo si correil rischio paradossale di espellere gli attori dall' ABF, pur essendo questi i ne-cessari destinatari di qualsiasi intervento formativo. Per questo alcuni autoripreferiscono parlare di "domanda", piuttosto che di "bisogno", lasciando peròaperti tutti i dubbi e le perplessità che avevano portato al nascere del "bisognodel concetto di bisogno?". Si arriva perciò ad una distinzione che sembra met-tere tutti d'accordo: esisterebbero due tipi di BF, quello dell'attore e quellodell'organizzazione. Ma è possibile pensare l'organizzazione senza la sogget-tività degli attori? E in secondo luogo, è ammissibile pensare chel'organizzazione possa avere dei bisogni propri?

3. Attori, organizzazioni e bisogni formativi

3.1. Oggettività e negoziazione nell'ABF

Malgrado finora si sia fatto riferimento a n needs, le teorie dei siste-mi nelle scienze sociali sono di matrice organicistica, e pertanto studiano enti-tà dotate di "bisogni di sopravvivenza". Questo è vero sia per il funzionalismoantropologico (la cultura sarebbe un precipitato antropomorfo dei bisogni u-mani); sia per quello socio logico, in cui il sistema sopravvive grazie ad una

serie di funzioni che Parsons chiamò AGIL5; sia ancora per tutte le teorie or-

ganizzative sistemiche. E questa è la risposta alla seconda domanda.Veniamo ora alla prima domanda, che riguarda più da vicino il problema

degli attori e dei sistemi. Essa prescrive, sostanzialmente, di basare l' ABSsull'analisi sistematica dell 'organizzazione. Per alcuni autori, questo tipo dianalisi diverrebbe oggettivo bypassando l'attore e usando materiali oggettiviprodotti dalle organizzazioni. Nel passato, non più recente, un 'analisi dei bi-sogni con queste premesse era stata auspicata da Melocchi e Maggi (1975) eripresa poi da Boldizzoni (1984). Questa impostazione presumeva chel'organizzazione potesse di per sé fornire evidenze di BF. Si riteneva, in altreparole, che essa potesse parlare da sola, anche se con l'aiuto di un ricercatore.

4 Stati allotropici del bisogno sono: "nascosto" (inconsapevole ali 'attore, ma che emerge dafonti oggettive); "condiviso" (riconosciuto da più attori) (BELL 1986); "normativo" (definitodagli esperti) (MONETIE 1977; LOCKYER 1998).

5 AGIL è un acronimo che raggruppa le funzioni vitali di un sistema secondo Parsons: A = A-

ion (sistema economico); G = t ent (sistema politico); I = Inte tion (siste-ma sociale); L = nt el Mairueinance (sistema culturale) (Parsons, Bales, Shils 1953).

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Punto di vista opposto è quello di Quaglino e Carrozzi (1984), che purcondividendo l'esigenza di fare analisi organizzativa, considerano essenzialela presenza degli attori; i quali non sono implicati solo come fonti informati-ve, ma anche come veri e propri soggetti di processi negoziali. Il setting com-prenderebbe perciò tre tipi di attori; il committente (che promuove, paga laformazione ed esprime il punto di vista dell'organizzazione); l'utente/cliente(che ne usufruisce, a cui sono indirizzati i corsi e che riferisce sulla base deipropri problemi dentro l'organizzazione); il formatore (inteso come soggettoindividuale o collettivo che gestisce la formazione).

Molti studi mostrano che circa le priorità e i contenuti della formazione e-sistono sempre forti discrepanze fra questi due tipi di soggetti. Si tratta diun'ovvietà, dato che nella lettura dei BF entrano in gioco gli stessi aspetti sti-pulativi che legano gli individui all'organizzazione. Ma, come è facile intuire,questo delinea una complessa attività del formatore, che dovrebbe perciò aiu-tare gli attori a trovare mediazioni praticabili. C'è chi ritiene, tuttavia, chel'arco degli interlocutori vada ampliato, come Witkin e Altschuld (1995), per iquali il setting dell' ABF oltre al formatore comprenderebbe tre attori che: a)fruiscono del prodotto finale dell' azienda o servizio (Livello l); b) erogano ilservizio (tipicamente i dipendenti di un'azienda) (Livello 2); c) rappresentanol'organizzazione (managers e risorse) (Livello 3).

l. teo ie delle o e possibili spunti pe l .elab.orizinale: ved.anche Clegg e Hardv l \}\}\};Bonazzi 2UU2).Teorie Oggetti principali Focus orientativi dell'analisi

dell'analisi oraenizzetive dei bisoani formativi

1.Burocrazia classica Struttura formale e orga- Skill per lo svolgimento

(Weber: anni '20-30) nizzazioni dei ruoli dell'attività nella mansione

2.

Sistemi cooperativi Sistemi dei contributi e Comunicazione e forme di par-

(Barnard: fine anni '30) degli incentivi tecipazione

3.

Teorie motivazionali Sistemi di motivazioni Bisogni quotidiani e motiva-

(McGregor, Herzberg: anni zioni del personale'60)

4.Contingenze matrici organiz- Struttura, processi comu- Gestione rapporti fra sottosi-zative (Woodward: anni '60) nicativi, gestione di gruppo stemi e turbolenze ambientali

5.Razionalità limitata Decisioni e sistemi deci- Fattori di incertezza nella pre-(Simon: anni '70) sionali sa di decisione

6.Strategie dell'attore Analisi strategica e analisi Sfasature fra razionalità attori/(Crozier e Friedberg: anni '70) sistemica organizzazione

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7.Costi di transazione Analisi macro (istituzioni) e network; strutture, climi di(Williamson&Ouchi: anni '80) micro (strutture, tecnol.) clan, gerarchie e mercati

8.Cultura organizzativa La cultura organizzativa e Cultura manifesta e latente(Shein: anni '80) processi di socializzazione (problem solving, eventi critici)

9.La costruzione di senso Etnografie e storie: attiva- Modi e circostanze di sense-(Weick: anni '90) zioni di ambienti making innovativo

Per altri autori a questi andrebbero aggiunti gli (portatori di inte-ressi) che stanno fisicamente fuori dal sistema, ma ai quali in qualche modo ilsistema deve rispondere (Aherne, Lamble e Davis 2001). In questo settingpossono essere negoziate informazioni che scaturiscono dall' ABF, che in que-sto modo fruirebbe del parere di un numero crescente di soggetti direttamenteo indirettamente interessati. Ma a questo punto ci si può chiedere se sia soste-nibile l'ipotesi contraria, cioè se sia possibile un'analisi dell'organiz-zazionesenza il contributo degli attori.

3.2. Nove teorie dell'organizzazione

La tab.1 illustra nove fra le più note teorie dell'organizzazione: dal model-lo weberiano di burocrazia alle recenti teorie sull'organizzazione come co-struzione sociale. Ciascuna propone una propria idea di attore e offre una pro-pria visione su quali siano le cose da osservare per l'ABF. Ma prima di proce-dere è opportuno chiedersi chi siano gli attori di cui si parla. La maggior partedelle teorie elencate sono teorie del e e pertanto l'attore è il

La sua attività ha sempre tuttavia come contenuto funzioni di ge-stione del "personale", che pertanto, anche quando non è considerato attore, èal centro dell'attenzione, anche perché è utente generalizzato di formazione.

Gli attori "manager" o "personale" sono visti dalle teorie classiche (dellaburocrazia) come portatori di una razionalità omogenea a quella secondo cuil'azienda è stata concepita. Questo criterio orienta anche le varianti "burocra-zia meccanica" (catena di montaggio) e "burocrazia professionale" (Min-tzberg 1979). Teorie manageriali nate successivamente mirarono a contenerele chiare tendenze di questi due attori a dissociarsi, lungo un arco di storia cheebbe come epicentro la scuola delle "relazioni umane". Nella tab. 1 fra gli au-tori che a queste si richiamano sono indicati Barnard (1938), con le sue teoriesugli incentivi economico/motivazionali e i padri delle teorie motivazionalidegli anni '60 (McGregor 1965; Herzberg et al 1959), affiancate, queste ulti-me, da teorie - che allora furono chiamate sistemiche e oggi vengono chiama-te post-burocratiche - che hanno contribuito ad innovare profondamente le

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organizzative sul piano strutturale (Woodward 1965; Emery, Trist, 1965,etc.). Gli anni Settanta vedono vacillare la razionalità organizzativa alla lucedelle teorie della "razionalità limitata" di Simon (1958) e Crozier (1963), lequali riportano in primo piano l'attore-decisore, ribadendo anche una certa suaautonomia dal sistema. Infine, più di recente, la relazione atto re-organizzazione si capovolge. È quest'ultima infatti che, in quanto realtà so-cialmente costruita, diviene funzione dell'attore (Shein 1985; Weick 1969,

1995).Si riprenderanno ora due fra i passaggi più significativi di questo s.

3.3. Mercati, burocrazie e clan

Mentre la gran parte delle teorie ha come centro l'organizzazione come strut-tura unitaria, la teoria 7 introduce ad un cambiamento dei suoi confini fisici econcettuali. Essa si accompagnò ad una tendenza che emerse in modo con-clamato negli anni '70, di cui furono indicatori la tendenza alla diminuzionedel numero di livelli gerarchici e l'acquisto sul mercato di intere fasce di lavo-razione da parte delle aziende. I sistemi organizzativi in questo modo debor-davano dai confini tradizionali dell'impresa" tanto che la genealogia di un

prodotto poteva essere ricostruita solo pensando a più realtà aziendali; allostesso tempo occorreva considerare come "organizzazioni" entità che primacostituivano l'ambiente, come ad es. il mercato. "Costi di transazione" è laclausola dell'economica di impresa che spiega questo stato di cose, laddove le"transazioni"(Coase 1938) sono sostanzialmente dei contratti'. Quando i costiper controllarli diventano troppo alti, ci si rivolge all'esterno, oppure si adottauna struttura organizzativa più adatta. La tipologia è la seguente: aziende ge-rarchiche (burocrazie); composite (mercati), micro-gruppi (c (Williamson1975; Ouchi 1980). Questa tipologia ha trovato il favore anche dei sociologi,dato che si presta a studiare transazioni con ragioni di scambio simboliche,oltre che economiche, e a prospettare opportunità applicative della

(Nacamulli e Rugiadini 1985; Ciborra 1985; Niero 1996).Il c è una forma organizzativa basata su relazioni e

carismatica. Il suo sistema di controllo è preventivo e consiste nell'adesione avalori (un 'associazione di volontariato, una piccola azienda familiare, etc.).

6 Il fenomeno include: decentramento, outs cing (comprare lavorazioni piuttosto che produr-re in ,joint e es (produrre insieme prodotti da commercializzano in concorrenza).7 La tendenza riguarda qualsiasi organizzazione (si pensi agli appalti di mense e lavanderie di

ospedali o a prestazioni assistenziali appaltate da comuni a cooperative; etc.).8 A prescindere dal loro contenuto i contratti comportano costi di controllo e gestione (reperire

contraenti, tutelarsi da opportunismi, gestire rotture e contingenze, etc.).

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Nella forma-burocrazia, le relazioni sono regolate attraverso di pro-dotto e/o di processo e da una le hip tendenzialmente razionale-legale. Ilmercato è invece una forma auto-regolata. Non richiede una e , masemmai una che agisca sopra e nell' interesse delle parti.

Queste tre forme si possono comporre. Un'azienda gerarchica, ad esempio,può adottare "anche" meccanismi tipici delle altre forme: ad esempio del mer-cato, se tende ad adottare strutture divisionali; o del c , dato che un gruppodi o un di lavoro possono agire secondo i suoi criteri tipici.

3.4. L'organizzazione e i processi di senso

Se nel paragrafo precedente si è parlato di confini aziendali che si amplia-no (mercati) o che si restringono (come nei c in questo paragrafo si torne-rà all'attore attraverso teorie decisamente soggettivistiche: come le cosiddetteteorie soft (8-9 della tab.1).

(creare senso) è la parola magica intorno alla quale ruotano iprincipi teorici di questo indirizzo di studi. L'impresa sarebbe costituita dauna mappa mentale organizzata in modo sensato. Organizzare e attribuire sen-so sarebbero quindi la stessa cosa. Fra le proprietà del se Weick(1969) uno dei padri di questa teoria, indica che: esso è funzione dell'identitàdi chi 'ne è protagonista; è retrospettivo e tende ad applicarsi al futuro; istitui-sce ambienti dotati di senso; è un processo sociale, continuo, guidato da in-formazioni selezionate; è una struttura di plausibilità (giustifica dati di fatto).

Per chi non abbia confidenza con il ragionare cognitivistico, pensareall'organizzazione come evento soggettivo può risultare singolare, dato che cisi può chiedere come questa soggettività possa diventare una struttura dotatadi relativa stabilità. Weick risponderebbe che esistono dei modi attraverso iquali i processi di si oggettivano. L'attribuzione di senso ad unarealtà nuova (che significherebbe trovare soluzioni a problemi nuovi) avvienein genere fra uno o più soggetti. Ma si può trasmettere anche agli altri comeprocedura o come cultura, che come tale può essere aggiornata e tramandata.Morale: quanto più le organizzazioni creano nuovo senso, tanto più innovano;quanto più ritualizzano, tanto più si garantiscono riproducibilità e continuità.

3.5. ABF, attori e organizzazioni

Quanto si è visto in questi due paragrafi ha importanti conseguenze perquanto riguarda i BF attribuiti alle strutture organizzati ve.l) Si è parlato di organizzazioni interrogandosi se la loro analisi potesse darepiù "oggettività" alla ABF. Le risposte delle teorie più recenti sono che ana-

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lizzare organizzazioni significa parlare con gli attori che sono depositari (co-me innovatori o come fruitori) della loro sensatezza.2) L' sus sulle teorie organizzative, ha mostrato che i BF si creano suscenari che possono travalicare i confini, sempre più difficilmente definibili,della singola azienda; che si giocano su dimensioni future oltre che, solo, suquelle presenti, e che all' ABF si richiede perciò uno sforzo di analisi virtuale.3) Ai fini dell' ABF l'analisi organizzativa dovrebbe dare ancoraggi spazio-temporali alla formazione, che dovrebbe legarsi ai progetti della persona perla quale "una certa" organizzazione può rappresentare solo un episodio.

Tutto ciò porta ad escludere sia l'esistenza di percorsi univoci di ABF sial'esistenza di strumenti elettivi. Piuttosto, l' ABF si profila come attività atten-ta a dati di fatto, opinioni, atteggiamenti e ad altri indizi sospesi fra presente efuturo; implica strumentazioni a volte sincretiche che nel loro uso congiunto,più che nella potenza di ciascuna, possono indicare strade originali di ABF.

4. Gli strumenti per l'analisi dei BF

Sotto le teorie elencate nella tab.1 vi sono delle date. Ciò indica che alcunidei paradigmi ad esse sotto stanti sono da considerarsi superati; non lo sonoperò necessariamente i suggerimenti che essi offrono per l' ABF, la cui ragio-nevolezza è visibile nelle indicazioni annotate alla terza colonna. Ambientiorganizzativi differenziati possono richiedere accostamenti teorici arditi alloscopo di produrre ABF originali. Ma quello della flessibilità è un criterio cheva usato in tutte le direzioni. Non porta necessariamente verso l'analisi delsense nonostante si moltiplichino i contesti in cui essa è prioritaria;aumentano anche sempre più situazioni simil-mercato, la cui molteplicità sipuò catturare anche con tecniche più tradizionali. Di queste alla tab.2 ne sonoelencate 17, scelte fra quelle più usate nell' ABF. Dandone per scontate alcunenella conoscenza dei lettori, ci si soffermerà su quelle meno conosciute.

4.1. Tecniche unobtrusive e scan ambientale

Nessuna delle tecniche di questo gruppo (1-4) comporta interazioni frapersone. Perciò sono (non intrusive). Malgrado siano molto di-verse fra loro, questa loro caratteristica comune le mette in grado di operare acosti e tempi relativamente bassi. Tuttavia il problema è utilizzarle nei conte-sti giusti. Riguardano l'uso di archivi, database, documenti, foto, artefatti eosservazione diretta che per lo più fanno parte dell'analisi secondaria, effet-tuata da un ricercatore, ma su dati prodotti da fonti diverse (Niero 2001). Il

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loro uso non può oggi prescindere da un abile e sistematico uso di Internet(Lee 2000). Fra esse merita due parole introduttive la tecnica 4 (tab.2), loambientale. Il termine (scandagliare) significa che si va a cercare, anchese non si sa bene che cosa. Si vuole tastare il polso dell 'ambiente, sentire chearia tira, affidandosi anche alla fortuna e al buon senso. Nata in campo azien-dale, se ne parla successivamente con molta insistenza per l'ABF in camposanitario. Stoffels (1994) ne dà la seguente definizione: si tratta di " ... più me-todi, che i formatori possono utilizzare per avere una visione del mondo siainterno che esterno alle aziende e delle forze che operano nel! 'ambiente socia-le, economico e della salute per identificare i BF attuali e potenziali. Loambientale ha perciò funzione di intelligence" (p.179). Permette di individua-re minacce e opportunità in un ambiente competitivo, riducendo la possibilitàdi "sorprese" inattese. Esso si adatta perciò ad ambienti complessi e diversifi-cati, in cui i BF siano legati a figure ad elevata professionalità (ad es. nelcampo sanitario, dell' istruzione, delle tecnologie).

Per esemplificare, fra le fonti di esterne, Hatch e Pearson (1998),pensando ai BF della professione medica, indicano: le linee guida sviluppatedalle società mediche; ricerche di letteratura sullo e the della ricerca;rapporti su studi dei dipartimenti di sanità regionali e statali; proteste di pa-zienti; rapporti sulla qualità delle organizzazioni sanitarie; di specia-lità mediche, etc. Fra le fonti interne si trovano invece: rapporti di valutazio-ne; richieste sorte nei riguardi di precedenti corsi di formazione; progetti diristrutturazione ed espansione dei reparti; rapporti degli URP sulla soddisfa-zione dei pazienti; analisi epidemiologiche. Gli autori suggeriscono anche diutilizzare interviste a (fondazioni, banche, associazioni di con-sumatori, etc.).

4.2. Tecniche di interazione verbale (o scritta) individuale

Sulle tecniche 6-9 (tab.2) la letteratura è copiosissima (ved ad es. Trentini1974, 1989; Manganelli-Rattazzi 1990; Gobo 1997). Pur essendo l'intervistasemi-strutturata lo strumento certamente più versatile per l' ABF, possibilisituazioni di "mercato", sia interno sia esterno alle organizzazionigerarchiche; portano a rivalutare anche l'utilità del questionario, per la suacapacità di avvicinare molte persone, nei casi in cui vi siano ipotesi chiare suiBF (Mann 1998). Le situazioni virtualmente composite entro cui si generano ibisogni formativi rendono tuttavia molto delicata la scelta degli interlocutori,che possono essere interessati direttamente, ma anche indirettamente: ancorauna volta, gli (Bitterman 1999).

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Un modo originale di utilizzazione dell'intervista è la tecnica delincident, che consiste nel racconto di un evento cruciale occorso sul lavoro(Fivars 1980). La sua congenialità con l'ABF è evidente, dato che essa con-sente di mettere in luce e di riflettere circa passaggi problematicidell'esperienza della persona. In questo senso, la l incident techniquepuò essere considerata una variante della narrazione di storie. Questo approc-cio è adatto quando si adottano teorie sojt, di cui si è già visto al paragrafo3.4. Qui, come indica (Gherardi 1997), si possono:a) usare storie come strumento di diagnosi organizzativa. È per-tanto possibile accedere a dimensioni organizzative profonde e far emergerevissuti organizzativi, modelli culturali, dinamiche di potere, emozioni, affetti,contraddizioni, stili e pratiche lavorative e altri processi e dimensioni dellaesperienza organizzativa (Gabriel 1998). Le storie pertanto rappresentano unmodo di rilevazione dell' ABF dato che intercettano fattori nonvisibili, risultando specialmente indicati per lo studio di forme organizzativetipob) usare storie come autobiografie in modo da permettere alle persone di rac-contare esperienze. Sotto questo profilo esse forniscono le informazioni chepuò fornire un'intervista, ma la circostanza del narrare permette di ricostruireprocessi di senso in modo molto più radicale, con una ricaduta diretta e indi-retta sull'ABF (Atkinson 2000; Bichi 2000).

4.3. Tecniche di interazione verbale di gruppo

Fra le tecniche di gruppo (l0-15 in tab.2), le più conosciute sono ile il Entrambe sfruttano il gruppo come un potenziatore

di idee, ma mentre la prima favorisce l'approfondimento (Kruger 1994; Cor-rao 2000; Oprandi 2000; Agosti 2006), la seconda privilegia l'estensione e laquantità delle idee espresse (Giuliano 2003; Agosti 2006). Il èoggi molto popolare, ma è sopravalutato per certi aspetti e sottovalutato peraltri. Dato che si tratta di uno strumento qualitativo, spesso lo si pensa capacedi cogliere processi di senso in piccoli ambienti tipo Occorre però nondimenticare che il suo sviluppo è avvenuto prevalentemente nel eting,ambito in cui l'interlocutore è anche il consumatore, che ha in comune con glialtri partecipanti l'uso di un prodotto o la fruizione di un messaggio pubblici-tario, non la partecipazione ad una quotidianità comune (Merton, Fiske, Ken-dall 1990). Perciò il non è adatto per ambienti dove tutti si cono-scono (personale di uno stesso reparto ospedaliero; una piccola azienda), maper situazioni di mercato interno (ad es. fra rappresentanti di più reparti). Inol-tre tale tecnica ha restrizioni piuttosto vistose: può risultare addirittura para-

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lizzante se in gruppo compaiono persone appartenenti a livelli gerarchici dif-ferenti e non ammette sfondamenti di tetti numerici (mai oltre i 10-12 parteci-panti).

Anche le tecniche Delphi e NGT sono state proposte per l'uso nell'analisidel sense ing (Mitroff, Turoff 1975), pur non essendo nate per questo sco-po. Esse possono essere usate per produrre idee, ma altre tecniche, come ilmenzionato g oup e il insto g si rivelano, in ordine al medesimoobiettivo, più efficienti. Risultano invece molto valide per la selezione di idee.Il loro procedimento, che consiste in questionari ripetuti ad uno stesso gruppodi esperti, che si strutturano mano a mano che si procede, in situazione di a-nonimato per evitare fenomeni di influenza reciproca, le rende adatte a stabili-re le priorità, secondo la massima razionalità, pur limitata, possibile, potendovalutare la loro attendibilità attraverso il livello di consenso raggiunto. Va pe-raltro chiarito che fra Delphi e NGT vi è una differenza di prossimità fra i par-tecipanti, che nella NGT sono riuniti intorno ad un tavolo, mentre nella tecni-ca Delphi rispondono ciascuno dalla propria sede. L'informatica sta tenden-zialmente avvicinando queste tecniche. L'uso di programmi tipo ad e-sempio, permette di condurre s in tempo reale, allargando il nume-ro di partecipanti e conservando il loro anonimato, che è una delle caratteristi-che della tecnica Delphi. Le tecniche 14 e 15 (tab. 2) permettono invece di de-finire cause e spiegare i motivi dell'emergere di certi BF, specialmente quan-do sono dichiarati dagli attori e richiedono approfondimenti. Si avvalgono dirappresentazioni grafiche dei fattori che possono dare luogo ad un evento ne-gativo e o che possono favorirlo (cfr. Wi-tkins e Altshuld, cit.).

4.4. La network analysis

La pubblicistica su teorie e applicazioni della ne is è oggi co-spicua (ved. Di Nicola 2001; Chiesi 1999). Le N. A. permette di descriverestrutture relazionali attraverso matrici e grafi (Chiesi 1999). Non fornisce in-formazioni dirette sui BF ma può diventare un importante strumento per de-terminare la loro estensione attuale o virtuale. In un'organizzazione che si di-versifica può infatti aiutare a cogliere i confini di configurazioni semplici ocomplesse delle relazioni fra titolari di BF (gruppi chi gruppi aperti:Granovetter 1973; Woolcock 2001). La n o può essere applicataa diverse unità di analisi, come persone o unità organizzati ve. La sua conge-nialità con lo studio del capitale sociale, vale a dire delle risorse (materiali omodali) incluse nei sistemi di relazioni (vedi Forsé e Tronca 2005), apre pe-raltro per l'ABF applicazioni molto promettenti.

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6. Conclusioni

In questo contributo si sono sostenute tre idee.La prima è che il concetto di "bisogno" di formazione andrebbe inteso co-

me un progetto di sviluppo della persona-attore, poggiando su prospettive po-tenzialmente illimitate piuttosto che sulle angustie della teoria del

La seconda è che tenere scissi attore e organizzazione nell' ABF è un non-senso in linea di principio, dato che si è visto che l'attore "produce"l'organizzazione come costruzione sociale. Va però tenuto presente che percerte professioni l'organizzazione non ha l'importanza che ha per altre nel de-terminare i BF. Ma quand'anche fosse il caso, e questa è la terza idea, parlaredi organizzazione oggi significa riferirsi a gest lt spesso dissociate e polimor-fe, addensate su aree relazionali dove si ragiona in modo diverso (gerarchie,cl n, mercatij. I BF che nascono in queste realtà fanno capo ad attori a lorovolta differenziati. Ne consegue che anche le iniziative di formazione dovreb-bero essere differenziate. Per essere chiari, non esiste solo il "corso di forma-zione" formale. Se l'attore è titolare dei propri progetti di vita occorre accetta-re l'idea che egli possa anche ricorrere al b l o decidere che formazionechiedere o comprare (ad es. e-le g, convegni, congressi e seminari), nondimenticando che per certe professioni la prima fonte fonnativa è l'esperienzaquotidiana (Grant 2002). Questo quadro richiede perciò un certo grado di fan-tasia per pensare a nuovi tipi di prodotti formati vi, oltre che per ridefinire ilruolo delle agenzie fonnative e del fonnatore. Quest'ultimo deve essere di-sponibile ai grandi progetti formali, ma anche a firmare pacchetti di forma-zione per fruitori invisibili e capace perfino di st behind. Ma non convieneaprire un problema così complicato in chiusura di saggio.

Come conclusione, l'ABF deve perciò essere affrontata con tutto il poten-ziale che le tecniche della ricerca sociale consentono. Chi fa ABF deve met-tersi in una situazione di ascolto rispetto ad attori e ambiente, facendo uso diapprocci misti adatti alla fisionomia variegata dei BF. Purtroppo il mondo del-la ricerca sociale è teatro di divisioni di "scuola" che spesso creano ortodossiee mondi separati. Lo stile con cui si è qui parlato di tecniche di ABF è intrisoinvece di pluralismo, fino al rischio del sincretismo. È vero che molte tecni-che richiedono specializzazione e abilità elevate per evitare leggerezze e disa-stri, ma questo non deve portare a restringere troppo il numero di attrezzi da

9 Chi non fosse ancora convinto di questa tendenza alla differenziazione, pensi alle diversedensità organizzative del SSN: ospedali e reparti; dipartimenti amministrativi e relative divisio-ni; poliambulatori; medici di base; cliniche convenzionate; ecc" È fuorviante pensare che que-ste diverse realtà siano governate dalla stessa logica (leggi e regolamenti). È più ragionevolepensare che qualche struttura agisca secondo regole burocratiche, mentre altre secondo i carat-teri di solidarietà valoriale del cl , e altre ancora con criteri di simi l-concorrenza, come ad e-sempio può logicamente accadere fra strutture ospedaliere,

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tenere nella cassetta, ricordando un vecchio detto anglo-sassone che così reci-ta: "if is then

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