Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos)...

18
Newsletter periodica d’informazione Newsletter ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL Anno XV n. 28 del 04 dicembre 2017 Consultate www.uil.it/immigrazione Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri Libia, i migranti nuovi schiavi del XXI° secolo La CES: “aprire nuovi canali d’ingresso legale in UE per la migrazione” Una squadra della CNN si è recata a Tripoli il mese scorso dopo aver ottenuto il filmato di un'asta di migranti. Mentre erano lì, hanno assistito a una dozzina di uomini messi all'asta per un minimo di $ 400 ciascuno. La CNN è stata informata dei mercati degli schiavi in nove località della Libia, ma si ritiene che molte altre aste si svolgano ogni mese. Funzionari libici hanno denunciato le aste di schiavi migranti esposte dalla CNN, ma rivendicano un maggiore sostegno da parte della comunità globale per affrontare il problema. Il governo libico di Accordo Nazionale, o GNA, appoggiato dalle Nazioni Unite, ha dichiarato di voler affrontare le violazioni contro gli immigrati illegali, ma ha invitato i partner regionali e globali a fornire assistenza. In una recente SOMMARIO Appuntamenti pag. 2 Dichiarazione CES sulla Libia pag. 2 INPS, lavoro e retribuzioni degli stranieri pag. 2 Istat: debacle delle nascite in Italia pag. 3 OIM, vuoto pericoloso nel Mediterraneo pag. 4 Viminale, continua il calo degli sbarchi pag. 5 Istat: il punto sulle nostre emigrazioni pag. 6 Unar, lettera dei sindacati alla Boschi A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil Dipartimento Politiche Migratorie Tel. 064753292 - 4744753 - Fax: 064744751

Transcript of Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos)...

Page 1: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

Newsletter periodica d’informazione

Newsletter ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agliiscritti UIL

Anno XV n. 28 del 04 dicembre 2017

Consultate www.uil.it/immigrazioneAggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

Libia, i migranti nuovi schiavi del XXI° secolo

La CES: “aprire nuovi canali d’ingresso legale in UE per la migrazione”Una squadra della CNN si è recata a Tripoli il mese scorso dopo aver ottenuto il filmato di un'asta di migranti. Mentre erano lì, hanno assistito a una dozzina di uomini messi all'asta per un minimo di $ 400 ciascuno. La CNN è stata informata dei mercati degli schiavi in nove località della Libia, ma si ritiene che molte altre aste si svolgano ogni mese. Funzionari libici hanno denunciato le aste di schiavi migranti esposte dalla CNN, ma rivendicano un maggiore sostegno da parte della comunità globale per affrontare il problema. Il governo libico di Accordo Nazionale, o GNA, appoggiato dalle Nazioni Unite, ha dichiarato di voler affrontare le violazioni contro gli immigrati illegali, ma ha invitato i partner regionali e globali a fornire assistenza. In una recente dichiarazione, la CES ha invitato l'UE a “sospendere ogni sforzo volto a mantenere i migranti in Libia fino a quando non sarà assicurato che essi saranno trattati con decenza e umanità". Ad “aprire nuovi canali per la migrazione legale e sostenere l'integrazione nella società e nel mercato del lavoro europei e concentrarsi meno esclusivamente sulla sicurezza e sul controllo delle frontiere".

SOMMARIO

Appuntamenti pag. 2

Dichiarazione CES sulla Libia pag. 2

INPS, lavoro e retribuzioni degli stranieri pag. 2

Istat: debacle delle nascite in Italia pag. 3

OIM, vuoto pericoloso nel Mediterraneo pag. 4

Viminale, continua il calo degli sbarchi pag. 5

Istat: il punto sulle nostre emigrazioni pag. 6

Unar, lettera dei sindacati alla Boschi pag. 7

I migranti che la Norvegia non vuole più pag. 7A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche MigratorieTel. 064753292 - 4744753 - Fax: 064744751Email:[email protected]

Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti

Page 2: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

Roma, 05 dicembre 2017, ore 14.30, MAECI – Sala OnofriConferenza sulla Cooperazione, riunione preparatoria(Giuseppe Casucci) Roma, 12 dicembre 2017, ore 10.30, sede Cnel Idos- Rapporto sulla imprenditoria immigrata(Angela Scalzo)Roma, 12 dicembre 2017, ore 15Cgil- Conferenza Nazionale sull’immigrazione(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)

Prima pagina

EU-Africa SummitDichiarazione della Confederazione Europea dei Sindacati

Lo leggo do Bruxelles, 29/11/2017 - All'apertura del Vertice UE-Unione Africana oggi in Costa d'Avorio, la Confederazione europea dei sindacati ha chiesto l'immediata sospensione degli sforzi dell'UE per mantenere i profughi e i migranti in Libia, almeno fino a quando non saranno garantite la sicurezza e il benessere dei migranti. Oltre alle spaventose strutture e condizioni di detenzione, ora emergono  gravi accuse di migranti venduti in condizioni di schiavitù. Si prevede che il Vertice richieda un'indagine indipendente e approfondita sulle accuse di schiavitù, ma la CES avverte che è troppo poco, troppo tardi.

"E’ ovvio che le accuse sulla schiavitù debbono essere investigate", ha detto Luca Visentini, segretario generale della CES, "ma l'UE dovrebbe anche sospendere ogni sforzo volto a mantenere i migranti in Libia fino a quando non sarà assicurato che essi saranno trattati con decenza e umanità". Per il Segretario Generale Ces "È già abbastanza grave pagare altri per agire come guardie di frontiera europee, ma mantenere i migranti in condizioni disumane e pericolose è assolutamente inaccettabile e contrario alle convenzioni internazionali sui diritti umani". "Lo stesso presidente Juncker ha giustamente sottolineato che fino a quando ci saranno pochi canali legali d’ingresso in  Europa, le persone disperate continueranno a trovare modi illegali per realizzare i loro sogni di raggiungere l'Europa". "L'UE deve impegnarsi maggiormente per salvare le persone dall'annegamento nel Mediterraneo – ha concluso Visentini -  aprire nuovi canali per la migrazione legale e sostenere l'integrazione nella società e nel mercato del lavoro europei e concentrarsi meno esclusivamente sulla sicurezza e sul controllo delle frontiere". La CES è anche delusa per il mancato coinvolgimento nel summit di sindacati ed ONG, e trova ridicolo che perfino ai gruppi giovanili venga impedito di partecipare ad un summit che si suppone debba affrontare temi riguardanti la gioventù.

Lavoro & SocietàLavoratori stranieri (extra UE)INPS: nel 2016 una

retribuzione media di 12.600 €Lo leggo do Roma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente

2

Page 3: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

un lavoro dipendente è pari a 1.637.654, con una retribuzione media annua di 12.631,05 euro. E' quanto emerge dai dati diffusi oggi dall'Inps, nel sottolineare come all'interno delle diverse tipologie di lavoratori dipendenti extracomunitari vi sono però notevoli differenze. I lavoratori dipendenti del settore privato non agricolo sono 1.112.543, in prevalenza maschi (68,6%) e presentano una retribuzione media annua pari a 14.710,17 euro (16.111,35 per i maschi, 11.654,79 per le femmine). Nel settore privato agricolo troviamo 135.234 extracomunitari in prevalenza maschi (81,2%) con retribuzione media pari a 8.328,92 euro (euro8.628,48 maschi, 7.036,56 femmine). I lavoratori domestici extracomunitari sono 389.877 e si caratterizzano per una netta prevalenza del genere femminile (tasso di mascolinità 17,1) con una retribuzione superiore a quella maschile (8.279,52 contro euro7.759,56 per i maschi). Nel 2016, i paesi i cui cittadini sono maggiormente rappresentati tra gli extracomunitari sono l'Albania (282.522), seguita dal Marocco (254.588), dalla Cina (205.971), dall'Ucraina (164.234), dalle Filippine (114.785) e dalla Moldavia (103.626). Nel complesso queste sei nazioni, totalizzano più della metà del totale degli extracomunitari conosciuti all'Inps. Analizzando nel dettaglio la distribuzione degli extracomunitari per Paese di cittadinanza e tipologia di prestazione, si vede che la popolazione in cui predominano i lavoratori è la Cina, per la quale su 205.971 soggetti, il 98,8% di essi è lavoratore lo 0,8% è pensionato e lo 0,4% percepisce una prestazione a sostegno del reddito; seguono il Bangladesh (95,2% lavoratori, 1% pensionati, 3,8% percettori di prestazioni a sostegno del reddito) e l'India (94,7% lavoratori, 1,9% pensionati, 3,4% percettori di prestazioni a sostegno del reddito). La percentuale più alta di percettori di prestazioni a sostegno del reddito è invece totalizzata dall'Ucraina per la quale, su 164.234 soggetti, 16.641 sono percettori di prestazioni a sostegno del reddito (10,1%), l'86,4% sono lavoratori e il 3,5% sono pensionati. Il Paese di provenienza in cui sono presenti il maggior numero di pensionati, sia in termini assoluti che relativi, è l'Albania con 19.759 pensionati su un totale di 282.522 soggetti (7%). Analizzando poi il tasso di mascolinità emerge, prosegue l'Inps, che gli extracomunitari sono in prevalenza maschi (59,5%), con differenze notevoli all'interno dei singoli Paesi di origine. In particolare il tasso è

più alto per Pakistan, Egitto e Bangladesh (rispettivamente 95,0%, 94,9% e 94,6%), seguono Senegal (87,9%), India (85,5%) e Tunisia (85,3%). Al contrario Ucraina, Moldavia, Perù, Ecuador e Filippine sono Paesi in cui prevale il sesso femminile con tassi di mascolinità rispettivamente pari a 16,7%, 30,2%, 38,6%, 40,3% e 40,6%. La maggior parte degli extracomunitari si concentra tra i 30 e i 39 anni di età (30,0%), il 28,7% di essi ha un'età compresa tra i 40 e i 49 anni, il 17,3% ha meno di 30 anni e il 17,0% ha tra 50 e 59 anni. Solo il 7% dei soggetti ha dai 60 anni in su. Se si analizza la distribuzione territoriale, risulta che il 63,4% degli extracomunitari risiede o ha una sede di lavoro in Italia settentrionale, mentre il 23,6% si trova in Italia centrale e solo il 13,0% è nell'Italia meridionale e isole. Se però si confronta la numerosità degli extracomunitari rispetto al numero di residenti nell'area geografica di riferimento, si vede che per ogni 1.000 residenti il numero di extracomunitari è 50 in Italia settentrionale, 43 in Italia centrale e 14 in Italia meridionale e isole.INPS- Trattamenti NASPI nel 2016Roma, 30 nov. (AdnKronos) - Nel 2016 il numero di annuo di trattamenti di Naspi è stato di 1.603.532 mentre per il 2015 il numero di trattamenti Naspi, Aspi e Mini Aspi è stato rispettivamente 1.300.378, 280.168 e 107.179. E' quanto emerge dai dati diffusi dall'Inps. Se si considera il dato 2016 con il complesso dei trattamenti delle tre fattispecie (1.687.725) si registra un decremento del 5,0% rispetto all'anno precedente. Tale decremento è maggiormente marcato per le femmine (-5,4% contro un -4,5% dei maschi).

Istat, nel 2016 oltre 12mila nuovi nati in menoIn tutto poco sopra 473mila, perse 100mila nascite in 8 anni

3

Page 4: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

Lo leggo do (Ansa) ROMA - Nel 2016 in Italia sono nati 473.438 bambini,

oltre 12 mila in meno rispetto al 2015. Nell'arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100 mila unità. Lo afferma l'Istat nel suo rapporto su natalità e fecondità pubblicato oggi. Il calo, scrive l'istituto di statistica, è attribuibile principalmente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani. "I nati da questa tipologia di coppia scendono a 373.075 nel 2016 (oltre 107 mila in meno in questo arco temporale) - spiegano gli esperti dell'Istat -. Ciò avviene fondamentalmente per due fattori: le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione decrescente ad avere figli". La fase di calo della natalità avviatasi con la crisi è caratterizzata da una diminuzione soprattutto dei primi figli, passati da 922 del 2008 a 227.412 del 2016 (-20% rispetto a -16% dei figli di ordine successivo). La diminuzione delle nascite registrata dal 2008 è da attribuire interamente al calo dei nati all'interno del matrimonio: nel 2016 sono solo 331.681 (oltre 132 mila in meno in soli 8 anni). Questa importante diminuzione è in parte dovuta al contemporaneo forte calo dei matrimoni, che hanno toccato il minimo nel 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze (57 mila in meno rispetto al 2008). Nel 2016 si conferma la tendenza alla diminuzione della fecondità in atto dal 2010. Il numero medio di figli per donna scende a 1,34 (1,46 nel 2010). Le donne italiane hanno in media 1,26 figli (1,34 nel 2010), le cittadine straniere residenti 1,97 (2,43 nel 2010). L’Istat mette a disposizione il contatore dei nomi per anno di nascita per scoprire quanti sono i bambini che si chiamano nello stesso modo, nati e iscritti nelle anagrafi italiane dal 1999 al 2016 e quali sono i più diffusi tra i quasi 60 mila nomi diversi scelti dai genitori.Testo integrale e nota metodologica

(pdf 652 KB)

Politica e migranti

Migranti, Oim: nel Mediterraneo si è creato un "pericoloso vuoto”

Lo leggo do Intervista a Federico Soda, direttore dell'Ufficio per il Mediterraneo dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni: sugli sbarchi "confermato il calo, ma la situazione non è migliorata nei Paesi d’origine ed è peggiorata in Libia". Il grande piano d'investimenti Ue? "Si traduca in vera partnership con l'Africa. Non si devono condizionare gli aiuti al blocco dei flussi"di VLADIMIRO POLCHI, www.repubblica.it ROMA - "Nel Mediterraneo si è creato un pericoloso vuoto. E da questo vuoto possono nascere nuove tragedie". Federico Soda, italocanadese, direttore dell’ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), pesa con attenzione le parole: "La minore presenza delle navi delle ong non è stata infatti compensata da un maggior impegno dei mezzi governativi italiani ed europei".Anche il ruolo crescente della Guardia costiera libica può essere un fattore di rischio?"Non so se gli interventi della marina libica siano qualificabili più come intercettazioni, che come soccorsi. Una cosa però è certa: nelle loro acque territoriali non si può che rispettare la loro competenza ad operare. Va riconosciuto oltretutto che la Guardia costiera libica ha contribuito a salvare molte vite. Il problema sono le condizioni di detenzione dei migranti sul territorio".A tal proposito, il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha rivendicato che “se oggi organismi Onu possono

4

Page 5: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

intervenire in Libia è perché l’iniziativa italiana ha consentito passi avanti”."È vero che i finanziamenti italiani hanno aiutato, ma ricordo che l’Oim non è in Libia grazie all’Italia, noi sul territorio siamo sempre stati operativi, non siamo mai andati via, abbiamo un accordo col governo locale". L’Alto commissario Onu per i diritti umani ha bollato come “inaccettabili” i centri di detenzione libici. Voi non rischiate di essere solo una foglia di fico?"La situazione in Libia è drammatica, ma non per questo è giusto non fare niente. Noi abbiamo lì 160 colleghi che rischiano la vita per aiutare i migranti. Stiamo migliorando le condizioni di centinaia di uomini e donne. Abbiamo accesso ai due terzi dei 30 centri governativi ufficiali, ma vorremmo che tutti i centri per migranti fossero aperti. Facciamo quello che possiamo".Come valuta il calo degli sbarchi in Italia?"Se sommiamo agli arrivi sulle coste italiane i migranti intercettati dai libici, arriviamo a numeri molto alti anche quest’anno. Il calo rispetto al 2016 si conferma, ma i flussi restano intensi. Le premesse infatti non sono cambiate: la situazione non è migliorata nei Paesi d’origine dei migranti ed è peggiorata in Libia".Per questo è urgente il grande piano di investimenti in Africa annunciato dalla Ue?"Il piano va sicuramente nella direzione giusta. Ma è fondamentale che il dialogo con l’Africa si traduca in una vera partnership e collaborazione reciproca. Non si devono, insomma, condizionare gli aiuti al blocco dei flussi migratori". 

Viminale, continua il calo degli sbarchi: da luglio meno 67%

A

comunicarlo con una nota è il Viminale

Lo leggo do http://www.ilmessaggero.it/ 30/11/2017 - Continua il calo degli sbarchi. A comunicarlo con una nota è il Viminale che sottolinea come, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno gli arrivi siano diminuiti del 32%, mentre si scende a quota  -67% da luglio, quando l'Italia ha minacciato di chiudere i porti, approvato con il sostegno Ue il codice delle Ong e ottenuto al vertice di Tallin la disponibilità dalla Comunità europea ad un maggior impegno, sia politico che economico, per affrontare la questione migratoria. Ad oggi il flusso migratorio si è ridotto del 32,35%, a fronte dei 173.008 migranti sbarcati nel 2016. Nei primi undici mesi di quest'anno, ne sono arrivati 117.042, 55.966 in meno. Ma se si guardano i dati a partire da luglio, la flessione è più che doppia: in cinque mesi ne sono arrivati 33.288 contro i 102.786 del 2016, vale a dire 69.498 in meno, un calo del 67,61%. L'altro numero che viene letto con interesse al ministero è la flessione delle partenze dalla Libia registrato a novembre: a bordo di gommoni e barconi sono arrivate 4.711 persone a fronte delle 13.581 dell'anno precedente, con un calo del 65,31%. Segno che, dicono al Viminale, la strategia messa in campo dall'Italia tra mille difficoltà, sta

5

Page 6: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

pagando.  I numeri positivi non significano però che i problemi siano risolti. Minniti è il primo a sapere che la diminuzione degli sbarchi ha dei “costì collaterali”, con migliaia di uomini, donne e bambini bloccati nei campi libici – quelli governativi e quelli gestiti dalle organizzazioni criminali - in condizioni disperate. E non è un caso che da mesi ripeta che se da un lato è fondamentale aiutare la guardia costiera libica per arginare le partenze e combattere i trafficanti, dall'altro è altrettanto cruciale intervenire in Libia per il rispetto dei diritti umani, per la protezione di coloro che hanno diritto all'asilo attraverso la creazione di corridoi umanitari, per i rimpatri volontari e assistiti di coloro che, invece, non possono aspirare allo status di rifugiato.

Incontro a Tunisi con l'inviato Onu Ghassan Salom Gentiloni: "Apertura Libia su migranti, accelerare intervento sui rimpatri" "La cosa che dobbiamo sapere come opinione pubblica italiana è che i temi su cui si discute oggi di diritti umani per i rifugiati e migranti economici in Libia vanno avanti da quattro anni, e proprio l'iniziativa italiana permette di accendere un riflettore internazionale sulla situazione"

Lo leggo do (http://www.rainews.it/) 26 novembre 2017 - "L'Italia chiede fortemente che sia le organizzazioni legate all'Onu, Unhcr e Oim, sia le Ong in generale, approfittino dell'apertura che le autorità libiche finalmente iniziano a dare. Fino a un anno fa non volevano" la presenza nei campi profughi, "c'era l'impossibilità di lavorare sui rimpatri volontari e su potenziali corridoi umanitari dalla Libia. Ora si può fare, rispettando la sovranità delle autorità libiche". Lo ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, parlando con i

giornalisti a Tunisi. "Gradualmente stanno aprendo", bisogna "molto accelerare e rafforzare l'intervento", ha concluso. L'Italia lavora da anni, ora Onu può intervenire "Se oggi organismi dell'Onu possono intervenire in Libia è perchè l'iniziativa italiana ha consentito passi avanti", ha detto Gentiloni. "La cosa che dobbiamo sapere come opinione pubblica italiana è che i temi su cui si discute oggi di diritti umani per i rifugiati e migranti economici in Libia vanno avanti da quattro anni, e proprio l'iniziativa italiana degli ultimi 6-7 mesi sta permettendo di accendere un riflettore internazionale sulla situazione". Assetto transitorio più solido, poi voto 2018 "Stamattina abbiamo incontrato l'inviato Onu in Libia che sta cercando di lavorare per fare passi in avanti per la stabilizzazione. La situazione è difficile, fragile ma l'azione dell'Onu sta portando verso una situazione migliore. L'obiettivo, che sarebbe straordinario, arrivare al 2018 a elezioni a suffragio universale ma intanto arrivare a una assetto transitorio più solido". Stabilità ha impatto su sicurezza-migranti La stabilizzazione della Libia ha "conseguenze per la sicurezza in Italia e per consolidare i passi in avanti fatti nella lotta ai trafficanti di esseri umani", ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni parlando con i giornalisti al termine dell'incontro a Tunisi con l'inviato Onu Ghassan Salom. Rischi in Nord Africa da ritorno foreign fighters L'evoluzione della situazione in Libia e in Siria "può provocare fenomeni di ritorno di elementi radicalizzati e foreign fighters e questo può essere un fattore di rischio in tutta la regione" del Nord Africa, ha detto il presidente del Consiglio parlando con i giornalisti al termine dell'incontro a Tunisi con l'inviato Onu Ghassan Salom. "Ma bisogna riconoscere che la Tunisia ha fatto passi avanti nella sicurezza e la lotta al terrorismo".

Società

Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente157 mila italiani sono emigrati all’estero (Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia). In aumento i laureati che se ne vanno (+9%).

6

Page 7: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

(Rapporto: Istat)

Lo leggo do Roma, 29 novembre 2017 - Nel 2016 il saldo migratorio netto con l'estero torna a crescere di oltre 10mila unità, raggiungendo quota 144mila (+8% rispetto al 2015) per effetto del maggiore aumento delle immigrazioni rispetto alle emigrazioni. Le immigrazioni (iscrizioni in anagrafe dall'estero) ammontano a quasi 301mila (+7% rispetto al 2015); circa nove su dieci riguardano cittadini stranieri. Con 45mila iscritti la comunità rumena è sempre la più numerosa tra i flussi di immigrazione, seguono pakistani (15mila), nigeriani (15mila), marocchini (15mila), albanesi (13mila) e cinesi (12mila). Continuano a crescere le immigrazioni dei cittadini africani; in particolare, incrementi significativi degli ingressi si registrano per i cittadini guineiani (+161%), ivoriani (+73%), nigeriani (+66%) e ghanesi (+37%). Sono molto consistenti anche i flussi di pakistani (15 mila, +30%), albanesi (13mila, +12%) e brasiliani (10 mila, +50%), calano invece le immigrazioni dei cittadini di area asiatica: cingalesi (-18%), cinesi (-17%), bengalesi (-14%) e indiani (-11%). Ancora in crescita le emigrazioni (cancellazioni dall'anagrafe per l'estero): nel 2016 sono 157mila (+7% sul 2015). L'aumento è dovuto esclusivamente alle cancellazioni di cittadini italiani (+12%). Gli emigrati di cittadinanza italiana nati all'estero ammontano a circa 28mila (+19% rispetto all'anno precedente): il 50% torna nel Paese di nascita, il 43% emigra in un Paese dell'Unione europea, il restante 7% si dirige verso un Paese terzo non Ue.Le principali mete di destinazione per gli emigrati di cittadinanza italiana si confermano il Regno Unito (21,6%), la Germania (16,5%), la Svizzera (9,9%) e la Francia (9,5%). In aumento i laureati italiani che lasciano il Paese, sono quasi 25mila nel 2016 (+9% sul 2015) anche se tra chi emigra restano più numerosi quelli con un titolo di studio medio-basso (56mila, +11%). Dopo tre anni di calo tornano a crescere i trasferimenti di residenza interni al territorio nazionale, che nel 2016

hanno coinvolto 1 milione 331mila individui (+4% sul 2015), con trasferimenti per lo più di breve e medio raggio. Nel 76% dei casi avvengono tra Comuni della stessa regione (1 milione 6mila). All'aumento dei trasferimenti di residenza interni contribuiscono anche i cittadini stranieri: i loro spostamenti sono stati in tutto 230mila, circa 27mila in più rispetto al 2015. Scarica: Testo integrale e nota metodologica

(pdf 631 KB)

Ridare ad UNAR il ruolo previsto dalle direttive europee: strumento autonomo di denuncia e contrasto a discriminazioni e razzismoLettera di Cgil, Cisl e UIL alla sottosegretaria On. Boschi

l e   (b.c.) Roma, 24 novembre 2017 – Da più di un anno, l’Ufficio Anti Discriminazioni razziali e privo di direttore, è stato svuotato delle migliori professionalità e reso virtualmente inutile ai fini della normativa europea (2000/43/Ce) che ne ha voluto la creazione. E’ urgente dunque “riorganizzare questa istituzione, rendendola autonoma dall’Esecutivo di turno e dotandola delle risorse umane e materiali necessarie per combattere la piaga delle discriminazioni razziali che dilaga nel Paese”. In una lettera diretta alla Sottosegretaria On. Boschi, Cgil, Cisl e Uil hanno “espresso preoccupazione per

7

Page 8: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

le difficoltà che UNAR ha incontrato” fin dalla sua nascita nel 2003. Difficoltà che ne hanno “limitato l’azione”; c’è poi “ l’anomalia rappresentata dal fatto di essere una istituzione incardinata all’interno della Presidenza del Consiglio, invece di godere di piena autonomia”, come per altro indicato dalle normative europee. “E’ sotto gli occhi di tutti – scrivono i sindacati confederali - in particolare per chi si impegna quotidianamente sui temi e le problematiche connesse al fenomeno migratorio, quanto oggi più che mai la piaga delle discriminazioni razziali sia attuale e mini i complessi processi di integrazione, la convivenza civile e la stessa coesione sociale”. “Anche per questa ragione, Cgil, Cisl e Uil chiedono chiarezza sulle strategie future che il Governo intende intraprendere per ridare a questo importante Ufficio un ruolo da protagonista nella lotta alle discriminazioni etniche purtroppo presenti nel nostro Paese, disponendo in primis la definizione di un nuovo assetto dirigenziale vacante da quasi un anno”. Cgil, Cisl, Uil “esprimono la convinzione che la nomina di un nuovo direttore debba anche accompagnarsi ad una riorganizzazione dell’Unar come soggetto realmente autonomo e indipendente, in modo che la sua azione a favore delle vittime di discriminazione di ordine etnico, sia svincolata il più possibile da posizioni di parte”. E questo peraltro è raccomandato dalla direttiva 2000/43/Ce da cui ha avuto origine il decreto istitutivo dell’Unar (n.215 del 9 luglio 2003) presso la Presidenza del Consiglio”. I firmatari della lettera (Massafra, Cgil, Ocmin, Cisl e Loy, Uil) concludono chiedendo un confronto sulla delicata situazione attuale e sul futuro dell’Ufficio Anti Discriminazioni Razziali; incontro da convocarsi urgentemente “anche considerati i tempi limitati di questo fine legislatura”.

Inchiesta

I migranti che la Norvegia non vuole più(https://www.internazionale.it/) di Alessandro Leogrande, (*) giornalista e scrittore

Lo leggo do 27 novembre 2017 Nella contea di Østfold, un centinaio di chilometri a sud di Oslo,

in Norvegia, sorge un grande e asettico hangar un tempo conosciuto come Smart club. Per decisione del ministero dell’immigrazione e dell’integrazione, al suo interno sono state montate una cinquantina di tende militari in fila per tre, in modo che lo spazio libero tra una tenda e l’altra non sia maggiore di sei-sette metri. Il campo coperto è un mondo a sé: vi si può accedere solo da alcune porte, mentre su tutto il perimetro della sua superficie l’illuminazione è artificiale, anche di giorno. Le tende raccolte nell’hangar possono raggiungere una capienza complessiva di mille posti letto. Qui, a partire dal 2018, saranno rinchiusi tutti i migranti che arrivano in Norvegia in attesa di sapere se otterranno o meno l’asilo politico. La permanenza durerà al massimo 21 giorni: chi otterrà l’asilo sarà poi trasferito in centri di accoglienza, chi andrà incontro a un rifiuto sarà invece immediatamente espulso. Rimpatriato nei paesi di partenza o rispedito in quelli di transito. È questo il modo in cui la ministra dell’immigrazione e dell’integrazione Sylvi Listhaug intende procedere a una “revisione totale” del sistema d’asilo in Norvegia. Listhaug è una dei due ministri in quota al Partito del progresso, la formazione politica di destra radicale – che però rifiuta di essere definita sia di “estrema destra”, sia “populista” – che dal 2013 governa con con il Partito conservatore. Le elezioni del settembre 2017 hanno confermato la stessa maggioranza di governo, lasciando il partito laburista e le altre formazioni di sinistra all’opposizione. IndesideratiLa decisione di rinchiudere tutti i migranti in unico luogo è solo l’ultimo atto della profonda rivisitazione delle politiche dell’immigrazione (e non solo di quelle che riguardano i richiedenti asilo) volute dal Partito del progresso. Il suo successo culturale, e non solo politico, il potere di condizionare il partito del premier, vanno di pari passo con la drastica diminuzione degli arrivi dei migranti nel paese e con l’aumento delle procedure di

8

Page 9: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

rimpatrio di quegli stranieri ritenuti indesiderati. Un caso particolare, che agita il dibattito sulla stampa norvegese, riguarda l’Afghanistan. Secondo i dati della Missione di assistenza delle Nazioni Unite (Unama) nel 2016 in Afghanistan sono rimaste uccise o ferite circa 11.500 persone, contro le 8.500 dell’anno precedente. Nei primi sei mesi del 2017 le vittime civili documentate sono già 5.423. Eppure, come ha denunciato Amnesty international, “secondo dati ufficiali dell’Unione europea, tra il 2015 e il 2016 il numero degli afgani rimpatriati dagli stati membri è quasi triplicato: da 3.290 a 9.460”. L’aumento è direttamente proporzionale a un netto calo delle domande d’asilo accolte: dal 68 per cento del settembre 2015 al 33 per cento del dicembre 2016. La Norvegia è tra i paesi che più si sono impegnati a organizzare voli di rimpatrio verso Kabul, benché Kabul non sia affatto un posto “sicuro” come ripete il ministero dell’immigrazione e dell’integrazione. Solo nel 2016 sono state rimpatriate 800 persone. E anche la Germania, i Paesi Bassi e la Svezia vogliono proseguire su questa strada. Secondo Anna Shea, ricercatrice di Amnesty international sui diritti dei migranti e dei rifugiati, “i governi europei stanno attuando una politica tanto sconsiderata quanto illegale: cinicamente ciechi di fronte al livello record di violenza e all’evidenza che nessun luogo dell’Afghanistan è sicuro, fanno correre alle persone il rischio di subire rapimenti, torture, uccisioni e altri orrori”. Vita da rifugiatiSul giornale della sinistra norvegese Klassekampen (Lotta di classe) è stata raccontata di recente la storia di Taibeh Abbasi. Sua madre è scappata dall’Afghanistan dilaniato dalla guerra e ha raggiunto la Norvegia 18 anni fa. Taibeh è nata un anno dopo. All’inizio del 2017, dopo che sono stati riscontrati dei vizi di forma nella presentazione della domanda d’asilo di diciotto anni prima, è stata revocata la cittadinanza alla madre. Il provvedimento è stato applicato anche a Taibeh e ai suoi fratelli di 20 e 15 anni. Nonostante il ricorso presentato in tribunale, tutti e quattro possono essere rispediti in Afghanistan. La storia di Taibeh ha fatto divampare la protesta tra gli studenti del suo liceo e di tutti gli altri istituti superiori di Trondheim, la terza città del paese. Sono stati loro a raccogliere i soldi per coprire le spese per il ricorso alla corte suprema e a indire più di una manifestazione

nella piazza centrale della città. Per ora la decisione sul rimpatrio dell’intera famiglia è sospesa. Tuttavia i casi come quello di Taibeh e della sua famiglia sono tantissimi in Norvegia. Sempre su Klassekampen è stata raccontata la storia di Hadi (per volere dei familiari il nome è di fantasia). Hadi era scappato dall’Afghanistan nel 2015, dopo essere stato sequestrato e torturato. Arrivato in Norvegia dopo un lungo viaggio gli è stato rifiutato l’asilo politico. A questo punto è stato rimpatriato nel suo paese d’origine, dove pochi mesi dopo è rimasto ucciso. Una storia simile è quella di Mahad Abib Mahamud, giovane tecnico di laboratorio, a cui è stata negata la cittadinanza norvegese, perché a un certo punto l’ufficio immigrazione ha scoperto (o, meglio, ha ritenuto di scoprire) che fosse arrivato in Scandinavia diciassette anni prima (quando di anni ne aveva quattordici) da Gibuti e non dalla Somalia. Pertanto non avrebbe potuto richiedere l’asilo. Ciò che sorprende in tutte queste storie sono due aspetti. Il primo è il valore retroattivo dei provvedimenti. La cittadinanza viene revocata molti anni dopo, non appena si rilevano (o si ritiene di rilevare) delle incongruenze nel processo che ha portato alla concessione dell’asilo. Il secondo è che le espulsioni, una volta decretate, coinvolgono anche ai figli e ai nipoti in via discendente, così che finiscono per essere espulse anche persone nate e cresciute in Norvegia. Rendere la vita difficile a chi ce l’ha fattaCome dice Nazareth Amlesom Kifle, docente di linguistica all’università di Bergen, fuggita dall’Eritrea più di dieci anni fa, il calo del numero di migranti e profughi nel paese è stato raggiunto attraverso tre linee guida: “Controlli capillari delle frontiere, drastico ridimensionamento della concessione dell’asilo e dei ricongiungimenti familiari, incremento dei respingimenti e dei rimpatri”. La incontro al termine di un dibattito sul cambiamento delle rotte dell’immigrazione in Europa, in un centro culturale di Bergen. A queste tre linee guida, sorride mestamente, ne andrebbe aggiunta un’altra: “Rendere la vita difficile a chi ce l’ha fatta, a chi ha ottenuto lo status di rifugiato e poi la cittadinanza, in modo che possa alla fine dire stremato: basta, me ne vado”. È capitato di pensarlo anche a lei. Benché insegni all’università e abbia una casa e quindi sia – almeno in teoria – in regola con i parametri fissati dal governo, non è mai riuscita a ottenere un semplice visto turistico per i suoi

9

Page 10: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

genitori che vivono in Eritrea – “un semplice visto di pochi giorni, non certo il ricongiungimento”, dice. Così, dal momento che loro non possono mettere piede in Norvegia e che lei non può tornare in Eritrea dove, in quanto oppositrice politica sarebbe subito arrestata, va a trovarli in Uganda. Ogni due anni gli manda un biglietto aereo per Kampala e li raggiunge dopo pochi giorni nella capitale ugandese. Poi se ne torna in Norvegia, mentre loro tornano ad Asmara. Il dibattito sul Partito del progressoL’inasprimento delle misure nelle politiche dell’immigrazione e dell’accoglienza dei profughi, rispetto ai precedenti governi a guida laburista, solleva un interrogativo sulla natura del Partito del progresso. Come ha notato di recente Emily Shultheis sull’Atlantic, siamo in presenza di uno dei pochissimi casi europei in cui un partito populista arrivato al governo nel 2013 vince di nuovo quattro anni dopo, continuando a raccontarsi al tempo stesso come forza governativa e antisistema, contraria a modificare di una sola virgola la retorica contro le istituzioni e contro gli stranieri. Pur avendo avuto meno voti rispetto alle elezioni precedenti, passando dal 16,3 per cento nel 2013 al 15,2 per cento nel 2017, il Partito del progresso è ancora un elemento di rottura istituzionale ben inserito nella politica norvegese. I suoi dirigenti e i suoi militanti amano definirsi come l’emblema di una destra responsabile e sono soliti tracciare un solco tra tra loro e il Front national in Francia o Afd in Germania o la destra austriaca. Non amano essere definiti “populisti”, benché tutta la loro campagna elettorale si sia basata su un unico concetto: la torta da spartire non è illimitata, anzi si sta riducendo, per cui occorre chiudere le frontiere. Benché sia stato iscritto al partito tra il 1999 e il 2006, rifiutano ogni collegamento con Anders Breivik, il terrorista neonazista che nel luglio del 2011, con esplosivi e fucili automatici, uccise prima otto persone nel centro di Oslo e poi 69 ragazzi nel campo estivo che si teneva nell’isola di Utøya. Le parole da usare“Qui da noi non si parla più della strage compiuta da Breivik”, mi dice Dag Solstad quando vado a trovarlo nel suo appartamento a due passi dal centro di Oslo. Solstad, che ha vinto per tre volte il premio della critica e ha alle spalle una lunga militanza nella nuova sinistra (i suoi libri sono stati pubblicati in Italia da Iperborea), non nutre alcuna speranza su un’inversione di rotta: Non si

parla di quella violenza. Si parla invece dell’islamizzazione occulta della nostra società, come se si trattasse di un processo sotterraneo che deve essere arrestato a ogni costo. Sono stati loro a coniare questa espressione: islamizzazione occulta. Il Partito del progresso è in realtà molto simile ai Democratici svedesi o alla destra austriaca. Si tratta di fenomeni simili che si stanno riproducendo in molti paesi europei. È incredibile che si possa parlare di pistole e armi da usare per fermare i migranti che arrivano a Lampedusa o ai confini dell’Europa. Il fatto stesso che si possa parlare di tutto ciò come di una cosa possibile, normale, è per me scioccante. Oggi, prosegue lo scrittore, in Norvegia manca innanzitutto una riflessione sulle parole da utilizzare: “Per me non è importante definire questo partito come fascista, ma allo stesso tempo trovo anomalo che non sia possibile discutere se vi siano delle profonde analogie o somiglianze con il fascismo. Questa discussione oggi in Norvegia non esiste, è ritenuta inaccettabile”. In un commento pubblicato su Aftenposten, il primo quotidiano del paese, l’editorialista Therese Sollien sostiene che il 2017 non è certo il 1933 e che formazioni come il Partito del progresso e i suoi corrispettivi danesi e svedesi svolgerebbero una funzione positiva: farebbero entrare nel gioco democratico “la critica dell’immigrazione”, evitando così che sfoci in alternative più violente. Ma Mads Andenas, che insegna diritto all’università di Oslo ed è stato presidente del gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite, parla apertamente di “linguaggio da anni trenta”. “Il discorso contro l’immigrazione”, dice nel suo studio all’università, un palazzo bianco settecentesco che fronteggia il teatro nazionale, “ è tipico di ogni retorica fascista. L’insistere per esempio su ‘i nostri figli’, che cosa sarà del ‘futuro dei nostri figli’ mentre arrivano ‘loro’ è una costante nelle parole del Partito del progresso. Usano davvero una retorica da anni trenta. Esattamente come nella Germania dell’epoca, un dato caratteristico di questa retorica è costituito dal gonfiare le cifre, dal dire che gli immigrati (come ieri gli ebrei) siano molti di più di quanto sono in realtà. Sparano percentuali fantasiose, dicono che gli stranieri sono ormai il 20-25 per cento dei residenti, quando invece sono circa il 14 per cento. Dicono cose del genere, ma senza nessuna statistica ufficiale. Condividono davvero con Breivik la paura che

10

Page 11: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

la Norvegia possa trasformarsi in pochi anni in uno stato musulmano”. Andenas, che nella strage di Utøya ha perso quattro dei suoi studenti, parla di poujadismo, il movimento qualunquista di rivolta contro il fisco nato nel 1950 in Francia : “Mi sembra la definizione più corretta. Esattamente come il poujadismo classico, il Partito del progresso nasce negli anni settanta del novecento come movimento contro le tasse. Solo dopo fa sue le tematiche dell’estrema destra sull’immigrazione. Hanno sovrapposto i due aspetti, e li hanno nutriti con una spiccata critica della classe politica tradizionale. È stato Carl Hagen, leader storico del partito per tre decenni, a tenere insieme i tre livelli. È stato lui il primo a porre l’accento sulla presunta islamizzazione della società norvegese”. Negli ultimi anni, poi, le politiche contro gli immigrati e i musulmani si sono mescolate alle paure generate dal terrorismo e al desiderio di nuove misure securitarie. Per certi versi, la chiusura delle frontiere, soprattutto dopo la grande ondata di mingranti del 2015, è stata la naturale conseguenza. Frontiere chiuseAndenas mi ripete ciò che hanno detto e diranno tutti i miei interlocutori in Norvegia: “La verità è che ora non ne arrivano proprio più di migranti”. L’unica frontiera ancora in qualche modo attraversabile, perché meno controllata, anche se i numeri si sono molto ridotti, è quella dell’estremo confine con la Russia. Ma per chi viene da sud, o dalla Svezia, gli ingressi sono molto più difficili. Inoltre, per i pochissimi che ce la fanno è (quasi) certo essere rispediti indietro, nei paesi europei in cui si è lasciato traccia, per esempio la Germania, o direttamente – come abbiamo visto – nei paesi di partenza. A questo va aggiunto un altro dato: con i muri che ogni paese europeo ha alzato lungo i propri confini, ormai il percorso di chi vuole raggiungere i paesi scandinavi dopo essere sbarcato in Italia o in Grecia si arresta spesso molto prima. L’ultima trovata del Partito del progresso è quella di annunciare periodicamente le corone risparmiate dalle casse pubbliche grazie alla diminuzione del numero di rifugiati rispetto agli anni precedenti. È interessante, continua Mads Andenas, vedere anche come si muove il variegato mondo del cristianesimo norvegese. “I cattolici, che sono una piccola minoranza, sono apertamente schierati contro le politiche dell’estrema destra e a difesa degli immigrati. Anche nella chiesa ufficiale luterana, di cui fa

parte l’80 per cento dei credenti in Norvegia, i discorsi per l’apertura delle frontiere sono maggioritari. Ma poi ci sono alcune correnti evangeliche, vicine ai cristiani rinati, che fanno proprie le stesse parole del Partito del progresso in chiave antislamica. Siamo in presenza di un evidente processo di americanizzazione e radicalizzazione del mondo evangelico di base. Come negli Stati Uniti, si ritrovano in linea con il neopoujadismo. Mescolano un’idea iperconservatrice della famiglia e del ruolo della donna, le solite campagne antiaborto e antigay, l’islamofobia e la xenofobia crescente”. Nella provincia norvegeseLa torta si sta davvero riducendo, come sostiene il Partito del progresso? Detto in altri termini: l’aumento della xenofobia, che ha reso possibili le politiche e il successo elettorale del partito, si rafforza grazie alla crisi economica. È difficile parlare di insicurezza sociale in quello che, come dice Dag Solstad, è uno dei paesi più ricchi al mondo, con un elevato livello di benessere garantito a tutti. Tuttavia, basta andare a Stavanger – città nel sud del paese bagnata dal mare del Nord, per decenni “capitale del petrolio norvegese” e sede di tutte le maggiori compagnie estrattive – per accorgersi che il successo del Partito del progresso e delle politiche contro l’immigrazione coincidono con gli anni della crisi del petrolio. “Quando il prezzo del barile è sceso al di sotto dei 50 dollari, un intero sistema è andato in crisi”, mi dice un ex dirigente italiano della Eni Norge, che preferisce rimanere anonimo. “Prima i dipendenti delle compagnie petrolifere avevano privilegi incredibili. Quindici giorni in piattaforma e ventotto a casa; viaggi gratis in tutta Europa. Ora la sola Total è passata, nel giro di pochi anni, da 1.600 a 200 dipendenti”. Certo, una parte del settore ha subito investito sulle energie rinnovabili. Tuttavia, è facile percepire che il credo inscalfibile in un progresso illimitato si sia ormai esaurito, e questo ha influenzato anche la politica. Ma c’è dell’altro. Per capire la Norvegia profonda bisogna visitare la provincia. Le città maggiori sono relativamente piccole. Oslo ha meno di un milione di abitanti. Bergen e Trondheim circa 250mila a testa. Gran parte dei norvegesi vive in piccoli centri. Molti addirittura in campagna, specie nel sud del paese. Guardi le grandi fattorie disseminate qua e là, le ampie case in legno dalle pareti rosse e il tetto grigio scuro, isolate l’una

11

Page 12: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

dall’altra, in una campagna perfetta, in cui si alternano foreste e campi coltivati a grano, in cui tutto è grazia e silenzio, e pensi che è proprio questa la Norvegia profonda. Non necessariamente conservatrice, ma ben lontana dalle città, anche se poi magari tanti fanno i pendolari per lavoro. Qui, a differenza della Svezia, dove a partire dagli anni sessanta c’è stato un forte processo di urbanizzazione, la dimensione rurale è ancora forte. Per gli abitanti i profughi sono un pensiero lontanissimo, quasi un oggetto sociale indefinito. Così mi confida, ad esempio, un pensionato benestante che è appena tornato da una vacanza in Umbria e sta per partire con la sua barca per un giro delle isole intorno alla costa svedese: “La verità è che non vogliamo spendere soldi per un profugo a cui dobbiamo insegnare tutto. Un tempo volevamo gli italiani perché sono educati e formati. Con i profughi abbiamo paura di dover partire da zero. È questo il punto da afferrare. Inoltre, vediamo che quelli che arrivano fin qui non sono i più bisognosi. Non vediamo donne con i bambini piccoli, ma giovani maschi. Per questo c’è un atteggiamento di diffidenza”. A scuolaQuesti cambiamenti avvengono in un paese dove il sistema di accoglienza è stato e al momento continua a essere uno dei migliori al mondo, insieme a quello svedese e a quello canadese. Per accorgersene basta parlare con gli operatori dei centri di accoglienza, in particolare con gli insegnanti impegnati nei progetti scolastici. Sharif, arrivato vent’anni fa dalla Somalia, lavora come insegnante per il comune di Bergen. I rifugiati hanno la possibilità di studiare nella loro lingua madre le materie che non capiscono in norvegese. “Siamo 110 insegnanti in rappresentanza di 41 lingue. Le principali sono somalo, arabo, persiano, tigrino, oromo. Io insegno in somalo: ho 38 studenti in otto scuole diverse. L’anno scorso erano 53, anche questo è un effetto della diminuzione delle richieste d’asilo accettate”. Sharif lavora con rifugiati e figli di rifugiati. Alcuni sono minori non accompagnati, altri sono arrivati qui con le loro famiglie. “La maggioranza dei ragazzi proviene da zone di guerra dove le scuole non funzionano più. Per un ragazzino somalo appena arrivato la differenza è enorme. Tuttavia credo che vada corretto il concetto di analfabetismo. Magari non ha frequentato le scuole normali, ma ha studiato in una scuola coranica. In più questi ragazzi spesso sono più

maturi dei loro coetanei. Sono spugne pronte ad assorbire tutto, usano Facebook, i social, maneggiano tablet… Non sono proprio una tabula rasa”. La maggioranza degli alunni di Sharif è arrivata qui pagando i trafficanti. Molti hanno attraversato il deserto e il Mediterraneo da soli. Altri si sono ricongiunti ai loro genitori. I tragitti percorsi sono i più disparati. Alcuni sono arrivati dai Paesi Bassi, altri dalla Danimarca o dalla Svezia. Alcuni nascosti in una nave, altri nei pullman. Anche qui nell’Europa del nord le rotte cambiano continuamente: durano qualche mese e poi altre le sostituiscono, non appena la polizia scopre quelle vecchie. “Domani”, prosegue Sharif, “devo tenere un discorso di congedo per due miei ex allievi arrivati qui nel 2014. Hanno finito le scuole superiori con successo e ora andranno a lavorare, uno come operaio specializzato e l’altro come impiegato in una farmacia. Il primo quando è arrivato era completamente analfabeta, l’altro aveva frequentato solo quattro anni di scuola, per come può essere frequentata una scuola oggi in Somalia. Sono arrivati qui con una fortissima determinazione: volevano inserirsi, volevano continuare a studiare. Ci sono riusciti”. Alessandro Leogrande è morto il 26 novembre a Roma. Nato a Taranto nel 1977, ha collaborato con Radio3, Pagina99 e il Corriere del Mezzogiorno. È stato vicedirettore della rivista Lo straniero. Tra i suoi libri, Uomini e caporali e La frontiera. Per Internazionale ha scritto reportage, commenti e inchieste

La lotta al traffico di migranti è solo un diversivoFrancesca Spinelli, giornalista e traduttrice, https://www.internazionale.it/

12

Page 13: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

Nel centro di detenzione di Tariq al Matar, nella periferia di Tripoli, in Libia, 27 novembre

2017. (Taha Jawashi, Afp) Lo leggo do Non era lo scopo della Cnn, ma con l’inchiesta sulle “aste di schiavi”, diffusa il 14 novembre, l’emittente statunitense ha reso un servizio ai governi e alle istituzioni europei, rafforzando l’idea che in materia di migrazione e asilo il problema principale sia il traffico di migranti. E non poteva succedere in un momento più propizio: alla vigilia del quinto vertice tra l’Unione africana e l’Unione europea, che si è svolto il 29 e 30 novembre ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Quelle immagini hanno infatti regalato un potente argomento ai leader europei, ormai abituati a sfruttare questo tipo di vertici per rafforzare l’orientamento repressivo delle loro politiche di migrazione e asilo (pensiamo alla conferenza di Bruxelles sull’Afghanistan dell’ottobre 2016, in cui gli aiuti allo sviluppo sono stati usati come “incentivo positivo” per convincere il governo di Kabul a firmare a latere un’intesa sui rimpatri). Un aspetto chiave della loro strategia è appunto la scelta strumentale di dare la priorità alla lotta contro i trafficanti di migranti. Un recente studio della Queen Mary university di Londra, intitolato Effects of Eu’s anti-smuggling policies on civil society actors e realizzato in collaborazione con Centre for european policy studies (Ceps) e l’ong Picum, s’interessa proprio all’elaborazione di questa strategia e alle sue conseguenze. Se in passato governi e istituzioni europee puntavano il dito principalmente contro l’immigrazione detta irregolare, dal 2015, anno dell’Agenda europea sulla migrazione, hanno aggiustato il tiro: i criminali non sono i migranti ma i trafficanti, che li derubano, li torturano e li mandano a morire nel loro tentativo di attraversare i confini europei. È l’assenza di vie legali di accesso al territorio dell’Unione ad aver creato la trappola libica e le traversate mortali. Uno slittamento consolidato dal vertice di Abidjan, al termine del quale il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha dichiarato: “Dobbiamo fare sì

che le persone bloccate in Libia e altrove possano tornare a casa in modo sicuro”, sorvolando sul fatto che l’obiettivo di quelle persone non è tornare nel paese che hanno lasciato ma raggiungere in modo sicuro l’Europa, e che è l’assenza di vie legali di accesso al territorio dell’Unione ad aver creato la trappola libica e le traversate mortali. Nel comunicato diffuso il 1 dicembre i leader africani ed europei ribadiscono di voler “assicurare il benessere di migranti e rifugiati”, un impegno formulato fin dal primo giorno del vertice, in cui è stata annunciata la creazione di una “task force congiunta” contro le reti di trafficanti, per “salvare e proteggere le vite di migranti e rifugiati lungo le rotte e in particolare in Libia”. Come osserva lo studio della Queen Mary university, dal 2015 sono già state adottate diverse misure per contrastare questo traffico: il rafforzamento del mandato dell’agenzia Frontex e delle operazioni navali Triton e Poseidon, la creazione di un Centro europeo contro il traffico di migranti dell’Europol, il lancio dell’operazione militare Eunavfor Med Sophia, la presenza di funzionari delle istituzioni europee negli hotspot in Italia e in Grecia per raccogliere informazioni sui trafficanti. Concretamente i risultati sono stati pochi (e in alcuni casi disastrosi, come dimostra lo scandaloso processo contro Medhanie Tesfamariam Berhe, vittima di uno scambio di persona), ma si è radicata l’idea che la lotta al traffico di migranti sia di fondamentale importanza. L’attacco alle ongSecondo gli autori della ricerca, a subire gli effetti di queste misure è stata soprattutto la società civile, in particolare le ong attive al fianco dei migranti, oggetto di tre modalità di policing o controllo: l’intimidazione e il sospetto (alimentati anche da alcuni mezzi d’informazione); il disciplinamento (che si è concretizzato, per esempio, nel codice di condotta elaborato per le ong che prestano soccorso nel Mediterraneo); e i procedimenti penali, resi possibili dalle norme europee in materia di favoreggiamento dell’immigrazione detta irregolare, che lasciano agli stati membri ampia libertà nella definizione del reato (sia riguardo alla necessità di constatare o meno un profitto economico sia riguardo all’esenzione prevista per “motivi umanitari”). Sostenendo di lottare contro il traffico di migranti, gli stati europei sono così riusciti a gettare un’ombra sulle ong, scomodi testimoni delle morti e delle sofferenze provocate dalla

13

Page 14: Newsletter periodica d’informazione anno XV nu… · Web viewRoma, 30 novembre 2017- (AdnKronos) - Nell'anno 2016, il numero di extracomunitari che svolge prevalentemente un lavoro

chiusura delle frontiere dell’Unione. Ma l’obiettivo principale rimane quello di ostacolare i movimenti delle persone in viaggio verso l’Europa, trattenendole sempre più a sud: dal Mediterraneo ai campi di detenzione in Libia, e ora dai campi libici verso i loro paesi di origine. Uno dei grandi successi dei governi europei al vertice di Abidjan è stato proprio quello di presentare come una partnership tra eguali la collaborazione dei paesi africani al piano urgente di rimpatrio dei loro cittadini detenuti nei campi libici, sempre in nome della lotta contro i trafficanti. Camerun, Costa d’Avorio, Ghana, Guinea-Conakry, Marocco, Nigeria, Senegal: sono alcuni dei paesi che negli ultimi giorni hanno avviato o annunciato delle operazioni di rimpatrio dei loro cittadini dalla Libia. I programmi di ritorno detto volontario, gestiti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), esistono da tempo, ma stiamo per assistere a un’impennata. Secondo la Bbc, l’Oim conta di rimpatriare quindicimila persone entro Natale, mentre il quotidiano belga Le Soir evoca un “obiettivo ufficioso” più generico (tra le centomila e le duecentomila persone da rimandare in patria). Tra le persone già rimpatriate c’è il camerunese Emile Monkam che, intervistato dall’emittente televisiva Africa News, ha lanciato un appello: “Non prendete la rotta libica”. Sono già alcuni mesi, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che i viaggi verso l’Europa si stanno diversificando. Come sempre quando i governi europei decidono di chiudere una rotta, se ne riaprono altre. E il traffico di migranti continua a prosperare.

CNN: Lybia slaves: “I wa sold”http://edition.cnn.com/specials/africa/libya-slave-auctions

14