Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo...

21
1 Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 Sommario A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione del nuovo codice di Marcello Clarich - Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università "Luiss-Guido Carli" di Roma Primo piano COMUNITARIO Mediazione: per il Parlamento Ue ok a obbligatorietà con incentivi e sanzioni di Marina Castellaneta (Guida al diritto) 19 settembre 2011 Sentenze del giorno LAVORO La giusta causa "salva" l'azienda dal versamento delle indennità al dirigente licenziato Corte di cassazione - Sezione lavoro - Sentenza 18 maggio-19 settembre 2011 n.19074 MEDIAZIONE IMMOBILIARE Compravendita: se l’immobile è pignorato risarcisce l’agenzia Corte di cassazione - Sezione II civile - 19 settembre 2011 n. 19095 CIRCOLAZIONE STRADALE Lesioni colpose anche a carico del passeggero che incita alla fuga dalla polizia Corte di cassazione - Sezione v penale - Sentenza 8 luglio-16 settembre 2011 n.34233 APPALTI Interdittiva antimafia, sì se il condizionamento è attendibile Consiglio di Stato - Sezione III - Decisione 6 settembre 2011 n. 5021 VITTIME DI REATO Cgue: allontanamento coatto anche se la vittima lo rifiuta Corte di giustizia della Unione europea - Sentenza 15 settembre 2011 - Causa C-483/09 E C-1/10 A CURA DI LEX24 DANNO BIOLOGICO Danno morale oltre le tabelle Alessandro Galimberti, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 13 settembre 2011, Pagina 39 TERMINE BREVE DI IMPUGNAZIONE Individuazione del dies a quo di decorrenza del termine breve: overrulling della Suprema Corte Donatella Summa, Lex24 - Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - Numero 4 del 01/09/2011, pag. 47 RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO Per le sentenze vincolo di deposito entro un anno Alessandro Galimberti, Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 14 settembre 2011 - Pagina 37 LAVORO Criteri guida nella valutazione della proporzionalità del licenziamento Vito Carella, Lex24 - Il Merito, 13 settembre 2011

Transcript of Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo...

Page 1: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

1

Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011

Sommario

A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione del nuovo codice di Marcello Clarich - Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università "Luiss-Guido Carli" di Roma Primo piano COMUNITARIO Mediazione: per il Parlamento Ue ok a obbligatorietà con incentivi e sanzioni di Marina Castellaneta (Guida al diritto) 19 settembre 2011 Sentenze del giorno LAVORO La giusta causa "salva" l'azienda dal versamento delle indennità al dirigente licenziato Corte di cassazione - Sezione lavoro - Sentenza 18 maggio-19 settembre 2011 n.19074 MEDIAZIONE IMMOBILIARE Compravendita: se l’immobile è pignorato risarcisce l’agenzia Corte di cassazione - Sezione II civile - 19 settembre 2011 n. 19095 CIRCOLAZIONE STRADALE Lesioni colpose anche a carico del passeggero che incita alla fuga dalla polizia Corte di cassazione - Sezione v penale - Sentenza 8 luglio-16 settembre 2011 n.34233 APPALTI Interdittiva antimafia, sì se il condizionamento è attendibile Consiglio di Stato - Sezione III - Decisione 6 settembre 2011 n. 5021 VITTIME DI REATO Cgue: allontanamento coatto anche se la vittima lo rifiuta Corte di giustizia della Unione europea - Sentenza 15 settembre 2011 - Causa C-483/09 E C-1/10

A CURA DI LEX24 DANNO BIOLOGICO Danno morale oltre le tabelle Alessandro Galimberti, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 13 settembre 2011, Pagina 39 TERMINE BREVE DI IMPUGNAZIONE Individuazione del dies a quo di decorrenza del termine breve: overrulling della Suprema Corte Donatella Summa, Lex24 - Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - Numero 4 del 01/09/2011, pag. 47 RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO Per le sentenze vincolo di deposito entro un anno Alessandro Galimberti, Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 14 settembre 2011 - Pagina 37 LAVORO Criteri guida nella valutazione della proporzionalità del licenziamento Vito Carella, Lex24 - Il Merito, 13 settembre 2011

Page 2: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

2

GLI APPROFONDIMENTI DI LEX24 APPALTI Le posizioni della Cassazione sulle questioni relative al contratto di appalto Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 8 settembre 2011, n. 18417 - Rassegna di giurisprudenza (Lex24) RESPONSABILITÀ MEDICA La responsabilità conseguente all'errore o ritardo diagnostico Tribunale di Palermo, Sezione 5, Sentenza 15 giugno 2011, n. 8083 - Rassegna di giurisprudenza (Lex24) CONTRATTI Fisiologia e patologia del contratto: panoramica giurisprudenziale Corte di Cassazione, Sezione II, Sentenza 9 agosto 2011, n. 17127 - Rassegna di giurisprudenza (Lex24)

Page 3: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

GUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 8 N˚ 38 24 SETTEMBRE 2011

L’ anniversario dell’entrata in vigore del Co-dice del processo amministrativo il 16 set-tembre dello scorso anno sollecita un pri-

mo bilancio.Anzitutto, va ricordato che il Codice rappresen-

ta di per sé un evento epocale. Il processo ammi-nistrativo è assurto infatti allo stesso rango delprocesso civile e penale codificati ormai da mol-tissimo tempo. Inoltre il Codice ha sistematizza-to molte novità emerse per effetto di moltepliciinterventi normativi frammentari e di sviluppigiurisprudenziali. E soprattutto ha costituito lapresa d’atto di un’evolu-zione innescata dal supe-ramento nel 1999 del prin-cipio della non risarcibili-tà del danno da lesione diinteressi legittimi. Esso in-fatti ha mutato il ruolodel giudice amministrati-vo da giudice del mero an-nullamento degli atti ille-gittimi al giudice del risar-cimento.In sede di elaborazione

del Codice, la linea di conti-nuità con la tradizione hacomunque prevalso suquella dell’innesto di innovazioni più marcate, co-me per esempio, la proposta di introdurre la figuradel giudice istruttore.A un anno di distanza si sono poi rivelati infonda-

ti alcuni timori.Anzitutto, il Codice non ha messo in ginoc-

chio, sotto il profilo organizzativo, gli uffici deiTar e del Consiglio di Stato. Qualcuno aveva pre-visto che i nuovi adempimenti e modalità opera-tive avrebbero trovato impreparate le strutture.Anzi la scorsa estate si erano levate voci che recla-mavano un rinvio dell’entrata in vigore. Certa-mente il regime transitorio per i processi contermini in corso ha creato qualche incertezza in-terpretativa. Una circolare del Presidente del

Consiglio di Stato, Pasquale De Lise, emanata asettembre, ha cercato di dare una interpretazio-ne volta a rendere operative il prima possibile lenuove norme.Un secondo timore era emerso nella discussione

tra conservatori e innovatori che ha accompagnatoil processo di codificazione fin dalla fase inizialedella legge di delega (18 giugno 2009, n. 69) esercita-ta poi con il Dlgs 2 luglio 2010 n. 104. I primi infattimettevano in dubbio l’opportunità di una codifica-zione delle disposizioni sul processo amministrati-vo. Ciò in nomedella tradizione che ha sempre visto

il giudice amministrativol’artefice degli adattamentidelle regole processuali allenuove esigenze. La giuri-sprudenza “pretoria” nelcorso di decenni ha, peresempio, esteso il giudiziodi ottemperanza anche allesentenze del giudice ammi-nistrativo, ha stabilito chele ordinanze cautelari sonoappellabili, ha costruito il ri-to sul silenzio della pubbli-ca amministrazione. Molteinnovazioni giurispruden-ziali sono state poi recepite

dal legislatore.La codificazione dunque rischiava di ingessare

il processo amministrativo togliendo spazio allagiurisprudenza pretoria. In realtà, la scelta è statadi elaborare un Codice snello, molto meno artico-lato degli altri codici processuali, con un ampiorinvio esterno alle disposizioni del codice di pro-cedura civile «in quanto compatibili o espressio-ne di principi generali» (articolo 39). Ciò dà algiudice amministrativo una certa flessibilità, inlinea dunque con la tradizione. Nel primo annodi applicazione del Codice il giudice amministra-tivo ha già confermato la sua capacità creativa.Basti pensare, per fare un solo esempio, alla sen-tenza dell’Adunanza n. 3 del 2011 che ha aperto

Il tema della settimana

È passato un anno da quel 16 settembre 2010, data dientrata in vigore del nuovo codice del processo ammini-

strativo. Quello che sembrava un “salto” nel buio per alcuni siè rivelato un momento importante per rendere più effettiva latutela dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazio-ne, tanto che a un anno di distanza, nessuno più auspica ilritorno alla precedente situazione. E così la “cenerentola” deiprocessi, cioè il rito amministrativo, ha potuto “conquistare”finalmente la stessa dignità delle norme procedurali civili epenali. Si tratta, dunque, per il professor Marcello Clarich, diun’operazione positiva, che ha bisogno di essere perfezionata.

Processo amministrativo dal “volto” dinamicodopo un anno di applicazione del nuovo codice

DI MARCELLO CLARICH - Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università “Luiss-Guido Carli” di Roma

E D I T O R I A L E

A N N I V E R S A R I

Page 4: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

GUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 9 N˚ 38 24 SETTEMBRE 2011

la strada all’azione di adempimento, cioè all’azio-ne di condanna dell’amministrazione al rilasciodi un provvedimento richiesto. E ciò nonostanteil fatto che il Governo, nell’emanare il Codice,avesse eliminato l’articolo proposto dalla Com-missione che disciplinava in modo espressol’azione di adempimento, accanto alle altre azio-ni di annullamento, di condanna, di nullità e con-tro il silenzio. L’Adunanza plenaria, accogliendoil principio di atipicità delle azioni in relazioneallo specifico bisogno di tutela fatto valere dalricorrente, ha assicurato così al processo ammini-strativo la massima flessibilità.Molto importante si sta già rivelando il poten-

ziamento del ruolo nomofilatticodell’Adunanza plenaria del Consi-glio di Stato. Infatti, in base all’ar-ticolo 99 del Codice, gli orienta-menti interpretativi da essaespressi vincolano le sezioni sem-plici del Consiglio di Stato. Que-st’ultime, se non li condividono,possono soltanto rimettere nuo-vamente la decisione all’adunan-za plenaria invitandola a un ri-pensamento. Questa novità nona caso è stata sottolineata dal Pre-sidente del Consiglio di Stato nel-la relazione annuale sull’attivitàdella giustizia amministrativaper l’anno 2011. Già in questo pri-mo anno si registra un aumento del numero dellesentenze dell’Adunanza plenaria, alcune assai in-novative come quella in tema di rapporti tra ricor-so principale e ricorso incidentale in materia dicontratti pubblici (n. 4) o quella sulla tutela delterzo che mira a opporsi all’attività intrapresasulla base di una segnalazione certificata d’iniziodi attività (n. 15).Una tendenza che già traspare dalla prima giu-

risprudenza dei Tar e del Consiglio di Stato èquella di sottolineare sempre più la cosiddettaconcezione soggettiva della tutela giurisdiziona-le innanzi al giudice amministrativo. Per moltotempo si era ritenuto infatti che il processo am-ministrativo avesse come scopo, più che la tuteladella situazione giuridica lesa, il ripristino dellalegalità violata, occasionato dal ricorso del priva-to e nell’interesse della stessa amministrazione.Il Codice è improntato invece alla concezione

soggettiva ponendo al centro le situazioni sogget-tive, i bisogni di tutela e le azioni. Sulla base diquesta impostazione, per esempio, l’Adunanzaplenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 2001, so-pra citata, ha potuto affermato la priorità del-l’esame del ricorso incidentale rispetto a quelloprincipale, anche se quest’ultimo sembra fonda-to. In questo modo, molte aggiudicazioni di con-tratti pubblici non vengono travolte, anche sepresentano profili di illegittimità.Un difetto del Codice, rilevato da molti com-

mentatori e che è venuto alla ribalta proprio inquesti giorni, riguarda la soluzione compromisso-ria in tema di azioni di risarcimento del danno che

cercava di superare lo scontro tragiudice ordinario e giudice ammi-nistrativo.Il primo era propenso ad am-

mettere l’azione risarcitoria pura,cioè non collegata all’azione di an-nullamento dell’atto produttivodel danno; il secondo era attesta-to a difesa del principio della pre-giudizialità tra azione di annulla-mento e azione di risarcimento,ridotta quest’ultima al ruolo di unsemplice completamento e inte-grazione dell’azione di annulla-mento.Il Codice ha ammesso l’azione

risarcitoria pura, ma l’ha assog-gettata a un termine di decadenza di 120 giorni eha previsto una penalizzazione in sede di quanti-ficazione del danno nel caso in cui non sia stataproposta l’azione di annullamento. Il Tar Sicilia(Palermo, 7 settembre 2011, n. 1628) ha ora solle-vato la questione di costituzionalità di un termi-ne così breve rispetto a quello di prescrizioneordinario di cinque anni. Vedremo come risolve-rà la questione la Corte costituzionale.Nel complesso, pur con questi e altri difetti, il

Codice sta dando più dinamismo al processo ammi-nistrativo rendendo più effettiva la tutela. Il Codicepuò dunque festeggiare in serenità il suo primo an-no di vigenza. Oggi quasi nessuno auspica un ritor-no al passato. n

Per saperne di più:

www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com

Un difetto del nuovo ritoè venuto alla ribalta

proprio in questi giornie riguarda la soluzione

di compromessoin tema di risarcimento

del dannoche cercava di superare

lo scontrotra giudice ordinario

e amministrativo

E D I T O R I A L E

A N N I V E R S A R I

Page 5: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

GUIDA AL DIRITTO IL SOLE-24 ORE 10 N˚ 38 24 SETTEMBRE 2011

RIMANDO ALL’URLL’articolo è trattato in modo approfonditosu un file nel nostro sito o in un sito istituzionale

www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com

DirettoreResponsabile:ELIA ZAMBONI

Redazione:AgostinoPalomba (caporedattore) -RosaMa-ria Attanasio (vicecaporedattore) - Vito Biello (caposervi-zio) -DanielaCasciola (caposervizio) -CarmineDePasca-le (caposervizio) - Remo Bresciani (vicecaposervizio) -SimonaGatti (vicecaposervizio) - Nicola Barone - Beatri-ce Dalia - Roberta Giuliani - FrancescoMachina Grifeo -PatriziaMaciocchi - Vittorio Nuti - Luigi Petrella - Giam-paolo Piagnerelli - Paola Rossi - Alessandro Vitiello.

Progetto grafico: Design e Grafica - Il Sole 24 ORE AreaProfessionistiSede legale e Direzione: Via Monte Rosa, n. 91 - 20149MilanoRegistrazione Tribunale di Avezzano n. 117 del 27 luglio1994Redazione: Piazza dell’Indipendenza, 23 B, C – 00185 -Roma - Tel. 063022.6307- 063022.6400 - Telefax063022.6606Il Sole 24ORE S.p.A. Tutti i diritti sono riservati. Nessunapartedi questoperiodicopuòessere riprodotta conmez-zi grafici e meccanici quali la fotoriproduzione e la regi-strazione. Manoscritti e fotografie, su qualsiasi supportoveicolati, anche se non pubblicati, non si restituiscono.Servizio Clienti Periodici: Via Tiburtina Valeria (S.S. n. 5)km 68,700 - 67061 Carsoli (AQ). Tel. 063022.5680 oppure023022.5680 - Fax 063022.5400 oppure 023022.5400Abbonamento annuale (Italia).Guida alDiritto (rivista +supplementi): euro 275,00.per conoscere le altre tipologiedi abbonamento edeven-tuali offerte promozionali, contatti il Servizio Clienti (tel.02oppure06.3022.5680;mail: [email protected]). Gli abbonamenti possono essere sotto-scritti con carta di credito telefonandodirettamente al n.02 oppure 06 3022.5680, oppure inviando la fotocopiadella ricevutadelpagamentosul c.c.p.n. 31481203via faxallo 02 oppure 06.3022.5406.Arretrati (numeri settimanali e dossier mensili/bime-strali): € 18 comprensivi di spese di spedizione. Per ri-chieste di arretrati e numeri singoli inviare anticipata-mente l'importo seguendo le stesse modalità di cui so-pra. I numeri nonpervenuti possono essere richiesti col-legandosi al sito http://servizioclienti.periodici.ilso-le24ore.com entro due mesi dall'uscita del numero stes-so.Concessionaria esclusiva di pubblicità: Focus MediaAdvertising - “FME Advertising Srl di Elena Anna Rossi &C.”-Sede legale:P.zzaA.deGasperin.15 -Gerenzano(VA)- Direzione e Uffici: Via Canova n. 19 - 20145 Milano; tel.02.3453.8183- fax02.3453.8184-email [email protected]: Il Sole 24ORE S.p.A. - Via Tiburtina Valeria (S.S.n. 5) km 68,700 - 67061 Carsoli (AQ).

Proprietario ed Editore: Il Sole 24 ORE S.p.A.Presidente: GIANCARLO CERUTTIAmministratore Delegato: DONATELLA TREU

Richiami al sito internet di Guida al Diritto

SEZIONI RIVISTA

LEGISLAZIONE

IL DOCUMENTO ON LINE

www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com

PRIVACY E NUOVE TECNOLOGIE:DAL GARANTE ISTRUZIONI PER L’USO

DI SMARTPHONE E TABLET

Scarica dal nostro sito la schedacon le riflessioni per un corretto e consapevole

trattamento dei dati personali

Il «documento della settimana»ti aiuta nell’interpretazione

GIURISPRUDENZA

G U I D A A L L A L E T T U R A

Page 6: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

5

A CURA DI GUIDA AL DIRITTO . COMUNITARIO Mediazione: per il Parlamento Ue ok a obbligatorietà con incentivi e sanzioni di Marina Castellaneta (Guida al diritto) - 19 settembre 2011

Anche il Parlamento europeo interviene sulla mediazione. E lo fa con l’adozione della risoluzione del 13 settembre relativa all’attuazione della direttiva sulla mediazione tra gli Stati membri e la sua adozione nei tribunali.

La direttiva 2008/52/Ce del 21 maggio 2008 su taluni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale ha infatti determinato diversi problemi applicativi in alcuni Stati membri (in Italia è stata recepita con Dlgs n. 28 del 4 marzo 2010).

L'attuazione del 2013 - In vista della comunicazione sull’attuazione, programmata per il 2013, è necessario fare il punto sulle luci e le ombre del nuovo sistema. Tra i diversi aspetti analizzati dai parlamentari europei quello della confidenzialità nel rapporto tra mediatore e parti nei confronti del quale l’Italia ha adottato un approccio rigoroso al contrario della Svezia che rimette la questione alla scelta delle parti.

Sul fronte più controverso in Italia riguardante l’obbligatorietà della mediazione, il Parlamento riconosce che l’articolo 5, paragrafo 2 della direttiva consente agli Stati di rendere obbligatorio il ricorso alla mediazione “o di sottoporlo a incentivi o a sanzioni, sia prima che dopo l’inizio della procedura giudiziaria”, ma questo solo se è garantito alle parti il pieno diritto di accesso al sistema giudiziario nazionale.

Legittima l'obbligatorietà - Riguardo all’Italia, il Parlamento, preso atto delle polemiche riguardanti l’obbligatorietà della mediazione, ritiene che, al pari di altri Paesi in cui essa è obbligatoria, come Bulgaria e Romania, la mediazione possa contribuire a una soluzione rapida delle controversie riducendo i tempi eccessivamente lunghi della giustizia civile.

Gli eurodeputati poi puntano all’adozione di norme comuni per l’accesso alla professione di mediatore sia per favorire un livello elevato dal punto di vista qualitativo, sia per “assicurare standard di formazione professionale elevati” con un sistema di accreditamento dei mediatori che possa valere in tutta l’Unione europea.

© RIPRODUZIONE RISERVATA LAVORO La giusta causa "salva" l'azienda dal versamento delle indennità al dirigente licenziato Corte di cassazione - Sezione lavoro - Sentenza 18 maggio-19 settembre 2011 n.19074

Solo la presenza della giusta causa nel licenziamento di un dirigente “salva” l’azienda dall’obbligo di versare l’indennità di preavviso dovuta invece se c’è la sola “giustificatezza”. La Corte di cassazione, con la sentenza 19074 fa chiarezza sulle nozioni di “giustificatezza”, prevista dal contratto dei dirigenti, e di “giusta causa” e “giustificato motivo” che riguardano invece i lavoratori subordinati.

La confusione tra giustificatezza e giusta causa - A far confusione tra i tre concetti è stata – secondo gli ermellini – la Corte d’Appello di Genova che, nel decidere sul licenziamento di un dirigente un po’ troppo “collaborativo” con la concorrenza, ha ritenuto sufficiente verificare la “giustificatezza” della sanzione ritenendo superfluo indagare l’esistenza della giusta causa. Omissione contro la quale l’azienda ha fatto ricorso alla Cassazione incassando il parere favorevole della Suprema corte. I giudici di piazza Cavour - dopo aver ricordato che anche per il dirigente è escluso il licenziamento discriminatorio – spiegano la differenza tra “giusta causa” e “giustificatezza”.

Anche per il dirigente escluso il licenziamento discriminatorio - La prima nozione scatta in presenza di un fatto che, valutato in concreto, è tale da ledere in maniera grave il rapporto fiduciario, mentre per la seconda che interessa i dirigenti, ruolo ancor più vincolato al rapporto di fiducia, è sufficiente che il licenziamento non sia pretestuoso e discriminatorio ma sia stato disposto in buona fede per valide ragioni. In quest’ultimo caso il dirigente può perdere il diritto all’indennità supplementare, prevista dal suo contratto, ma, in assenza di giusta causa, mantenere quello all’indennità di preavviso.

L’indennità di preavviso - La verifica che i giudici di merito hanno “dimenticato” di fare avrebbe fatto si che al dirigente “amico della concorrenza” non fosse riconosciuta alcuna indennità. Quello che la Cassazione nega all’azienda è invece l’indennizzo del danno materiale e all’immagine: la prova del comportamento censurato non dimostra, infatti, automaticamente il pregiudizio subito.

Page 7: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

6

© RIPRODUZIONE RISERVATA

MEDIAZIONE IMMOBILIARE Compravendita: se l’immobile è pignorato risarcisce l’agenzia Corte di cassazione - Sezione II civile - 19 settembre 2011 n. 19095

Stop agli agenti immobiliari “faciloni” che si lasciano andare a comunicazioni di cui non sono certi o che non hanno verificato personalmente. Durante lo svolgimento della mediazione, infatti, l’agente deve muoversi seguendo l’ordinaria diligenza richiesta al professionista. E se non lo fa rischia una condanna per truffa e anche di dover risarcire la parte lesa. La Corte di cassazione, con la sentenza 19095/2011, ha confermato la condanna inflitta dalla Corte di appello di Bari ad una agenzia locale per aver fatto sottoscrivere un contratto preliminare di acquisto di un fondo rustico - con relativo anticipo e pagamento della commissione - senza però aver informato l’acquirente che sull’immobile gravava una ipoteca giudiziale.

Il mediatore risponde delle informazioni che fornisce

Per la Suprema Corte, che ha condiviso l’argomentazione dei giudici dell’Appello, se è vero che il mediatore non è tenuto a svolgere indagini di natura tecnico giuridica, “come l’accertamento della libertà dell’immobile oggetto del trasferimento, mediante le visure catastali e ipotecarie”, tuttavia “è comunque tenuto ad un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale”. Non solo, la Corte entrando nello specifico ha anche chiarito che ciò “comprende, in positivo, l’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, e, in negativo, il divieto di fornire informazioni su circostanze che non abbia controllato”.

Non basta la dichiarazione della venditrice

Ed è qui che è scattata la responsabilità dell’agente il quale, come risulta anche dal connesso procedimento penale arrivato a sentenza definitiva, “aveva assicurato la promissaria acquirente che l’immobile fosse libero da pesi, basandosi su dichiarazioni rese per iscritto dalla venditrice”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CIRCOLAZIONE STRADALE Lesioni colpose anche a carico del passeggero che incita alla fuga dalla polizia Corte di cassazione - Sezione v penale - Sentenza 8 luglio-16 settembre 2011 n.34233

In caso di fuga dalla polizia con incidente finale, risponde del reato di lesioni colpose anche il passeggero che incita il conducente a fuggire. La Corte di cassazione, con la sentenza 34233, respinge il tentativo del ricorrente di far proclamare la sua estraneità all'incidente in cui era stato ferito un automobilista coinvolto nella rocambolesca corsa di una Jaguar per sfuggire alle forze dell'ordine. La Corte respinge la tesi della difesa tesa ad affermare la sola responsabilità del conducente dell'auto. Chiara la volontà del passeggero che, "accomunato dall'intento di sottrarsi ai controlli" aveva incitato il guidatore alla fuga. Diversamente - conclude la Corte - avrebbe potuto approfittare dei momenti in cui l'auto rallentava o si fermava per scendere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA APPALTI Interdittiva antimafia, sì se il condizionamento è attendibile Consiglio di Stato - Sezione III - Decisione 6 settembre 2011 n. 5021

L’interdittiva antimafia non ha finalità di accertamento di responsabilità, bensì di anticipare l’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche e indiziarie. Di conseguenza, non occorre che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, ma è sufficiente la mera possibilità di interferenze della criminalità. Questi i principi ribaditi dal Consiglio di Stato con la decisione n. 5021 del 6 settembre 2011 con la quale è stato respinto il ricorso presentato da una ditta di pulizia alla quale l’Azienda sanitaria locale aveva revocato il servizio in seguito all’applicazione dell’autorità prefettizia della misura preventiva. Secondo il Collegio l’adozione della misura interdittiva è legittima poiché l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità risulta attendibile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA VITTIME DI REATO

Page 8: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

7

Cgue: allontanamento coatto anche se la vittima lo rifiuta Corte di giustizia della Unione europea - Sentenza 15 settembre 2011 - Causa C-483/09 E C-1/10

Il diritto dell’Unione non osta a che un provvedimento obbligatorio di allontanamento venga adottato in tutti i casi di violenza domestica, anche quando la vittima intenda ristabilire la coabitazione con il proprio aggressore. La misura, infatti, mira a tutelare oltre agli interessi della vittima anche quelli più generali della collettività.

Non solo ma il diritto ad essere ascoltati nel processo non attribuisce alla vittima anche il diritto di scegliere il tipo di pena cui si espone l’autore dei fatti in base alle norme dell’ordinamento penale nazionale né l’entità della stessa. Lo ha stabilito la Corte di giustizia della Ue, con la sentenza del 15 settembre nelle cause riunite C-483/09 e C-1/10.

Il caso era quello di due fratelli spagnoli condannati per maltrattamenti nei confronti delle rispettive compagne alla pena che vieta loro di avvicinarsi alla propria vittima o di riavviare contatti per il periodo, rispettivamente, di 17 e 16 mesi. Poco tempo dopo la condanna, però i due signori hanno ripreso la vita in comune con le rispettive compagne e ciò su iniziativa di quest’ultime. A quel punto sono stati arrestati e condannati per mancato rispetto del provvedimento di allontanamento.

Entrambi hanno proposto appello dinanzi al Tribunale provinciale di Tarragona, Spagna, sostenuti dalle rispettive compagne.

Per la Corte però, la Decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, non contiene nessuna disposizione relativa al tipo ed all’entità delle pene che gli Stati membri devono adottare nei rispettivi ordinamenti ai fini della repressione degli illeciti penali. In tal senso, la Corte conclude che la decisione quadro non implica che una misura di allontanamento obbligatoria, come quella oggetto della causa principale, non possa essere pronunciata contro il parere della vittima.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

A CURA DI LEX24 . DANNO BIOLOGICO Danno morale oltre le tabelle Alessandro Galimberti, Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 13 settembre 2011, Pagina 39 La liquidazione del danno biologico, anche se calcolata in applicazione delle "tabelle milanesi", non esclude per la vittima il riconoscimento ulteriore del danno morale. A distanza di tre mesi dallo sdoganamento universale del "metro" del tribunale lombardo (sentenza 12408/11, depositata il 7 giugno), la Cassazione (Terza civile, 18641/11, depositata in cancelleria il 12 settembre) torna sul risarcimento da fatto illecito, per ribadire che né la giurisprudenza e neppure il corpo normativo hanno mai escluso la sussistenza di altre voci di danno, esistenziale o morale, accanto a quello biologico. Il caso esaminato dai giudici della Terza riguardava la breve e dolorosa esistenza di un bambino, che a causa di un parto travagliato - e della colpa medica ricostruita e affermata nel processo – visse poco più di 11 anni con il 100% di invalidità. In primo grado il ginecologo e la Asl Liguria erano stati condannati a risarcire 1,2 miliardi di lire per il minore e 300milioni a testa i genitori, verdetto parzialmente rivisto in Appello, ma solo per trasferire integralmente il debito a carico del professionista. Alla Cassazione i legali del medico chiedevano quindi di riconoscere l'illiceità del risarcimento nella parte ulteriore rispetto alla liquidazione del danno biologico (per violazione dell'articolo 2059 del codice civile: « Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge»), ritenendo che «il danno non patrimoniale da lesione del diritto alla salute costituisce una categoria ampia e omnicomprensiva contenente tutti i pregiudizi patiti dal danneggiato». Ma i giudici di legittimità, nel rileggere i repertori e anche gli interventi normativi successivi alla quattro famose sentenze delle Sezioni Unite sulla razionalizzazione dei danni non patrimoniali (dalla 26972 alla 26975 del 2008) hanno disatteso tutte le richieste del medico. Innanzitutto, scrive il relatore, le note tabelle milanesi, "universalizzate" a giugno dalla Cassazione stessa, non hanno mai cancellato il danno morale come «voce integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale», anche perché «non avrebbero potuto farlo senza violare un preciso indirizzo legislativo» intervenuto dopo le sentenze del 2008. Con i Dpr 37 e 191 del 2009, infatti, il legislatore ribadiva la differenza di principio tra le due voci di danno, impedendo solo (all'articolo 5) le duplicazioni risarcitorie; e se per il danno biologico il legislatore rinvia al Codice delle assicurazioni, per la determinazione del danno morale invece offre gli indicatori della «entità della sofferenza e del turbamento dello stato d'animo, oltre che della lesione alla dignità della persona (...) in misura fino a un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico». Quanto alla giurisprudenza, numerose pronunce post-2008 hanno ribadito «il criterio della congiunta attribuzione del risarcimento da danno biologico e da danno morale liquidato», quest'ultimo in una percentuale del primo «salvo

Page 9: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

8

personalizzazione». La decisione 29191/08, per esempio, esclude che «possa qualificarsi il valore dell'integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, sicchè vanno eslcusi meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico» che confinavano, nel caso di specie, il danno morale al 30% di quello biologico riconosciuto. La Terza ha infine sottolineato, a proposito di un ulteriore motivo di ricorso nel caso dello sfortunato bimbo ligure, la «inconcepibilità di un'omessa liquidazione del danno morale nei confronti di un bambino per il quale i danni sofferti «si mostrano tra i più gravi che la persona possa subire per la concreta considerazione delle condizioni di vita del danneggiato direttamente derivanti dalle patologie accertate». © RIPRODUZIONE RISERVATA LA SENTENZA Sentenza 18641/11 della Terza Sezione Civile L'indirizzo di cui si discorre si è espressamente manifestato attraverso la emanazione di due Dpr, il n. 37 del 2009 e il n.191 del 2009, in seno ai quali una specifica disposizione normativa (l'articolo 5) ha inequivocamente resa manifesta la volontà del legislatore di distinguere, concettualmente prima ancora che giuridicamente, all'indomani delle pronunce delle Sezioni Unite di questa corte (che in realtà, a una più attenta lettura, non hanno mai predicato un principio di diritto funzionale alla scomparsa per assorbimento ipso facto del danno morale nel danno biologico, avendo esse viceversa indicato al giudice del merito soltanto la necessità di evitare, attraverso una rigorosa analisi dell'evidenza probatoria, duplicazioni risarcitorie) tra la voce di danno cosiddetto biologico da un canto, e la voce di danno morale dall'altro. TERMINE BREVE DI IMPUGNAZIONE Individuazione del dies a quo di decorrenza del termine breve: overrulling della Suprema Corte Donatella Summa, Lex24 - Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - Numero 4 del 01/09/2011, pag. 47 Il fenomeno del cd. overruling ricorre (soltanto) quando si registra una svolta inopinata e repentina rispetto ad un precedente diritto vivente consolidato che si risolve in una compromissione del diritto di azione e di difesa di una parte. Elementi costitutivi sono quindi: l'avere a oggetto una norma processuale, il rappresentare un mutamento imprevedibile, il determinare un effetto preclusivo del diritto di azione o difesa. LA MASSIMA Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, Sentenza del 11 luglio 2011, n. 15144 Termine breve di impugnazione – Dies a quo del termine breve – Registrazione della sentenza – Ripercussione in tema di tempestività del ricorso – Overrulling giurisprudenziale La sentenza in commento analizza le problematiche afferenti il dies a quo da cui far partire il termine breve per l'impugnazione. In particolare, viene fatto riferimento alla fattispecie descritta dall'art. 183 del Regio Decreto n. 1775 del 1933, norma questa che individua – sebbene in via indiretta - quale requisito necessario per far decorrere il termine breve di impugnazione l'avvenuta registrazione della sentenza. SINTESI NORMATIVA La massima in questione involge, in primo luogo, l'art 326 c.p.c. che regola la decorrenza del termine breve di impugnazione e stabilisce: “I termini stabiliti nell'articolo precedente sono perentori e decorrono dalla notificazione della sentenza, tranne per i casi previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 dell' articolo 395 e negli articoli 397 e 404, secondo comma, riguardo ai quali il termine decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al numero 6 dell' articolo 395, o il pubblico ministero ha avuto conoscenza della sentenza. Nel caso previsto nell' articolo 332, l'impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti”. Inoltre, la sentenza fa riferimento alla normativa che riguarda il deposito e la pubblicazione della sentenza del T.S.A.P., ovvero l'art. 185 del regio Decreto n.1775 del 1933 il quale sancisce: “la pronunciazione e la forma delle sentenze si osservano le norme stabilite negli articoli 356 e 360 del Codice di procedura civile. La pubblicazione delle sentenze incidentali o definitive avviene mediante deposito in cancelleria, a cura del presidente o di chi ne fa le veci, dell'originale sottoscritto dai votanti. Il cancelliere annota in apposito registro il deposito ed entro tre giorni da tale deposito trasmette la sentenza con gli atti all'ufficio del registro e ne dà avviso alle parti perché provvedano alla registrazione. Restituiti la sentenza e gli atti dall'ufficio del registro, il cancelliere entro cinque giorni ne esegue la notificazione alle parti, mediante consegna di copia integrale del dispositivo, nella forma stabilita per la notificazione degli atti di citazione.

Page 10: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

9

Il cancelliere comunica alle parti il dispositivo delle ordinanze quando non siano state pronunziate in presenza di esse, mediante notifica a norma del comma precedente. La notificazione è fatta al domicilio o residenza dichiarati o eletti, a norma dell'art. 158; al contumace va fatta mediante inserzione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana . In ogni caso, oltre alla questione di merito sottesa alla decisione della controversia, vi è anche la questione afferente le conseguenze processuali del mutamento interpretativo di una norma che può avere ripercussioni sui giudizi in corso o su quelli futuri. Codice di procedura Civile: art. 326 Codice di procedura Civile: art. 645 Regio Decreto n. 1775 del 1933, art. 183 IL COMMENTO La sentenza in commento si occupa delle questioni afferenti la decorrenza del termine breve per l'impugnazione nonché delle ripercussioni di un c.d. overrulling giurisprudenziale sui procedimenti pendenti. In particolare, viene analizzata la disposizione che prevede la notifica dell'Avviso di trasmissione della sentenza del Tribunale Superiore delle acque pubbliche all'ufficio del registro e la Suprema Corte si chiede se questa notifica possa essere considerata atto idoneo per far decorrere il dies a quo del termine breve d'impugnazione o se invece è necessario attendere la restituzione della sentenza da parte dell'ufficio del registro e la conseguente notifica della sentenza. Il Giudice di legittimità, ritiene che – considerando anche il mutamento legislativo in materia di registrazione delle sentenze – quella prescritta dall'art. 183 del regio decreto 1775/33 non sia più atto necessario alla decorrenza del termine breve d'impugnazione. A questo punto – poiché tale interpretazione comporta la tardività dell'impugnazione proposta nel giudizio di merito – la Corte si interroga sugli effetti di un arresto innovativo in ambito processuale dal quale derivi la decadenza di un ricorso ritualmente depositato. La Giurisprudenza sul punto era stata chiara nel ritenere, con una metafora esemplificativa, che non fosse possibile cambiare le regole del gioco a partita già iniziata, intendendo così ritenere che una volta iniziato il giudizio non fosse possibile a seguito di un cambiamento interpretativo pregiudicare il diritto di difesa di una delle parti (cfr. Cass., Ordinanza n. 14627 del 17 giugno 2002). Emblematico in materia il caso della nota sentenza delle SS UU con la quale, ribaltando un consolidato orientamento, venivano ridotti alla metà i termini del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. In tal caso, il giudice di legittimità, a seguito della sua pronuncia, ha fatto si che molti giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo venissero dichiarati improcedibili. In ogni caso, comunque, il giudice di merito, pur applicando immediatamente l'indirizzo della Corte ha utilizzato una serie di espedienti (remissione in termini, ecc..) per non comprimere il diritto di difesa delle parti del giudizio. Va rilevato tuttavia che, al di là delle soluzioni pratiche adottate dalla giurisprudenza per risolvere i vari problemi pratici, la visione adottata dalla dottrina – che risulta anche la più ragionevole – è quella di ritenere rituale e non suscettibile di invalidazione ex post l'atto compiuto nel vigore ed in conformità della precedente giurisprudenza tutelando in questo modo la parte che abbia riposto il proprio affidamento in un pregresso diritto vivente di cui non fosse prevedibile il mutamento. A questo punto, però, la Suprema Corte spiega le modalità con cui l'interprete deve affrontare i mutamenti interpretativi e specifica il significato del c.d. overrulling giurisprudenziale. In particolare, viene chiarito che anche le sentenze della Suprema Corte, qualora apportino delle innovazioni consistenti ad una norma processuale, hanno efficacia retroattiva e devono, al pari delle leggi, sottostare al principio di ragionevolezza non potendo quindi arrivare a frustrare l'affidamento ingenerato nel cittadino nella disposizione previgente. Ciò posto, la Cassazione ritiene che nella fattispecie sottoposta al suo esame, nell'ambito della quale applicare la nuova interpretazione giurisprudenziale comporterebbe una preclusione processuale, non possano essere pregiudicate le garanzie legate al diritto di difesa. Pertanto, il Giudice di Legittimità, in adesione con quanto affermato nel corpo della pronuncia, ritiene che l'eccezione di inammissibilità del ricorso, che non avrebbe rispettato il termine breve di impugnazione, decorrente dalla data della ricezione del dispositivo (avvenuta prima della registrazione) deve essere respinta. Inoltre, tale interpretazione risulta ancora più ragionevole se si considera che, nel caso di specie, siamo di fronte ad un cambio repentino della giurisprudenza connotato dall'imprevedibilità che deve necessariamente lasciare spazio alla tutela del diritto di difesa e del giusto processo.

Page 11: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

10

ORIENTAMENTI “..Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c., "ratione temporis" applicabile, anche in assenza di un'istanza di parte, se, esclusivamente a causa del predetto mutamento, si sia determinato un vizio d'inammissibilità od improcedibilità dell'impugnazione dovuto alla diversità delle forme e dei termini da osservare sulla base dell'orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso...” (Cassazione civile sez. II, 17 giugno 2010, n. 14627). “...Il principio secondo cui, alla luce della norma costituzionale del giusto processo , la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo incorre in un errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ex art. 184 bis c.p.c., si applica solamente nell'ipotesi in cui il mutamento giurisprudenziale abbia reso impossibile una decisione sul merito delle questioni sottoposte al giudice scelto dalla parte e non quando la pretesa azionata sia stata compiutamente conosciuta dal giudice dotato di giurisdizione secondo le norme vigenti al momento dell'introduzione della controversia, come all'epoca generalmente interpretate, atteso che in tale ipotesi il ricorrente, senza poter lamentare alcuna lesione del suo diritto di difesa, già pienamente esercitato, mira ad ottenere un nuovo pronunciamento sul merito della questione. (Nella specie, relativa all'impugnazione della sanzione disciplinare della destituzione ai sensi dell'art. 58 del r.d. n. 149 del 1931 per il personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in concessione, il Tar aveva rigettato il ricorso, con conseguente formazione del giudicato implicito sulla giurisdizione che non era mai stata oggetto di contestazione; nelle more del giudizio di impugnazione, le S.U., innovando sul punto, avevano affermato che la materia a seguito dell'entrata in vigore del d.lg. n. 29 del 1993 era devoluta al g.o. e il Cons. Stato aveva affrontato d'ufficio la questione - pur ormai preclusa - affermando, in ogni caso, la giurisdizione del giudice amministrativo; contro questa decisione il ricorrente ha proposto ricorso ex art. 362 c.p.c., che la S.C. ha dichiarato inammissibile)...”(Cassazione civile sez. un. 11 aprile 2011, n. 8127). RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO Per le sentenze vincolo di deposito entro un anno Alessandro Galimberti, Il Sole 24 Ore Norme e Tributi 14 settembre 2011 - Pagina 37 Il ritardo di più di un anno nel deposito di una sentenza lede il diritto al giusto processo del cittadino che attende di conoscere le ragioni della decisione; quindi il magistrato che ne è responsabile è passibile di un richiamo disciplinare. Le Sezioni unite della Cassazione (sentenza 18696/11, depositata il 13 settembre), intervenendo sul caso di un giudice catanese già assolto dal Csm, fissano un nuovo parametro temporale per valutare il comportamento delle toghe, traendolo da una decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo (Werz c. Suisse, 22015/05). Secondo la Cedu, richiamata dalla sentenza depositata ieri, l'impiego di oltre un anno nella stesura della motivazione lede il diritto al giusto processo della parte che attende di conoscerla se si considera che, nel campo della giustizia civile, la giurisprudenza europea «ha affermato che la durata del processo di Cassazione non dovrebbe in genere eccedere l'anno», termine entro cui deve essere espletata tutta l'attività preliminare alla pubblicazione della sentenza. Tanto basterebbe, a giudizio delle Sezioni unite, per rivedere l'assoluzione del magistrato in servizio in Sicilia, incolpato per aver ritardato fino a quattro anni e mezzo il deposito di una motivazione, e in altri casi quasi tre anni (il caso approderà a un nuovo collegio disciplinare delle toghe). Ma la Cassazione poi aggiunge un altro correttivo al dispositivo del Csm, che per giungere al proscioglimento del collega aveva ritenuto necessaria la dimostrazione di tre condotte (gravità, reiteratezza e mancata causa di giustificazione) in aggiunta alla «abitualità» del "lassismo". Il quarto aspetto – l'abitualità nel ritardare i depositi – è stato cassato dalle Sezioni unite per mancanza di aggancio normativo: una cosa è la «reiteratezza», dato obiettivamente misurabile (parametro peraltro previsto dal Dlgs 109/2006), altro è l'abitualità che «evidenzia una qualità personale dell'incolpato che si rapporta alla palese negligenza e scarsa laboriosità del magistrato». Non solo. Nell'analisi dei tre presupposti per arrivare all'incolpazione del giudice ritardatario, le Sezioni unite forniscono una interpretazione chiara della sussistenza dei requisiti di gravità, reiteratezza e mancata giustificazione. Riferendosi alla legge delega (150/2005), la Corte sottolinea che «grave» e «ingiustificato» sono condizioni concorrenti del ritardo, e che quindi devono sussistere reciprocamente, insieme alla «reiteratezza». In sostanza, scrive il relatore, «i tre attributi analizzati sono tutti rilevanti per integrare l'infrazione, sia pure con funzione diversa, dando luogo alla fattispecie disciplinare la mera ripetizione e gravità dei ritardi, sempre che manchino cause di inesigibilità dell'ottemperanza dei precetti normativi sui termini per il deposito delle sentenze». © RIPRODUZIONE RISERVATA LAVORO Criteri guida nella valutazione della proporzionalità del licenziamento Vito Carella, Lex24 - Il Merito, 13 settembre 2011

Page 12: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

11

Corte di Appello di Potenza, Sezione Lavoro, sentenza 30 settembre 2010, n. 545/2010 – Giudice relatore

Dott.ssa Caterina Marotta Lavoro subordinato – Licenziamento – Giusta causa – Esame degli addebiti – Necessità della valutazione dei fattori che hanno contribuito a formare l'elemento psicologico della condotta del lavoratore – Rilevanza del comportamento del datore di lavoro Per stabilire l'esistenza della giusta causa di licenziamento occorre considerare lo specifico comportamento tenuto dal dipendente, non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento all'intensità dell'elemento psicologico. Ciò al fine di accertare se la sanzione risulti proporzionata ai fatti contestati e la condotta idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente. In tale valutazione occorre guardare alla posizione e al comportamento di entrambe le parti del rapporto di lavoro, dando rilievo anche agli atteggiamenti del datore che possono aver inciso sulla condotta del dipendente. Lavoro subordinato – Licenziamento – Giusta causa – Rilevanza del comportamento del datore di lavoro nella verifica in concreto della lesione del vincolo fiduciario L'inadempimento del dipendente giustifica il licenziamento solo se è idoneo a ledere in modo grave il vincolo fiduciario. La presenza di questa lesione va desunta non in astratto, bensì in concreto, guardando anche allo specifico comportamento del datore di lavoro che non può qualificare come grave una condotta reiterata, qualora - pur potendo - non abbia adottato misure utili a evitarne la ripetizione. Il fatto Un operaio, assunto presso un'azienda del settore alimentare e successivamente licenziato, si era rivolto al Tribunale di Melfi per chiedere che fossero dichiarate la nullità del termine apposto al contratto, con conseguente conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la nullità del licenziamento e il diritto a essere reintegrato nel posto di lavoro, con condanna della società datrice al pagamento della retribuzione dovuta e al risarcimento dei danni. In proposito, aveva osservato: • di aver lavorato per diversi anni per una società, svolgendo ininterrottamente le mansioni di elettricista; • che, a seguito di difficoltà aziendali, era stato collocato in mobilità; • che, dopo il fallimento della società datrice di lavoro, era stato assunto con contratto a tempo determinato da altra società; • che gli era stato imposto il cambio delle mansioni, con assegnazione al lavaggio di bottiglie e al reparto etichettatura; • di aver cercato, senza esito, un dialogo con il datore di lavoro; • che, esasperato dall'indifferenza di quest'ultimo, era entrato in una cabina elettrica dell'azienda e aveva minacciato di interrompere l'erogazione dell'energia, per ottenere un colloquio; • di aver ottenuto tale colloquio, conclusosi - tuttavia - negativamente; • di essere, allora, nuovamente entrato nella cabina dell'Enel allo scopo di rivendicare il proprio diritto a svolgere le mansioni di elettricista; • che ciò aveva determinato il suo licenziamento. Espletata l'istruttoria, il Tribunale aveva escluso che il lavoratore fosse stato assunto per svolgere le mansioni rivendicate e, dunque, che fosse stato operato ai suoi danni un demansionamento; aveva, pertanto, ritenuto che il comportamento tenuto per protestare contro i vertici della società non potesse ritenersi giustificato e, sottolineatane la gravità, aveva reputato sussistente una giusta causa di licenziamento. Avverso tale sentenza il lavoratore aveva depositato gravame. La Corte di Appello di Potenza, all'esito del giudizio: • ha dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato stipulato tra le parti e, per l'effetto, ha qualificato il rapporto di lavoro come a tempo indeterminato; • ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento, ordinando alla società resistente di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro; • ha condannato la società datrice a corrispondere al lavoratore il risarcimento del danno. I motivi della decisione Nella decisione sulla vicenda sottopostale, la Corte preliminarmente esamina il contratto di lavoro a termine stipulato dal ricorrente, per verificarne la legittimità e, dunque, qualificare la natura del rapporto. Il punto d'avvio di quest'analisi é rinvenuto negli accordi (intercorsi tra la società resistente, la Regione Basilicata e le organizzazioni sindacali) con i quali si era stabilito come intervenire sul bacino dei lavoratori collocati in mobilità a seguito del fallimento della ditta cui era subentrata la società evocata in giudizio dal ricorrente. La Corte, in particolare, si sofferma sul contenuto di un accordo sindacale con il quale la resistente - cui il Ministero delle Politiche Agricole aveva assegnato, in concessione trentennale, lo stabilimento di trasformazione ortofrutticola - si era impegnata ad assumere a tempo indeterminato, attingendo alle liste di mobilità aperte dal fallimento della società che l'aveva preceduta, gli operai che avevano lavorato alle dipendenze della fallita. In quest'accordo si era precisato che, nelle more del completamento del piano delle assunzioni a tempo indeterminato, la società avrebbe potuto procedere ad assunzioni a termine “in relazione alle effettive esigenze produttive aziendali”.

Page 13: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

12

Per la Corte, questa riserva non permette di affermare la sussistenza, a carico della resistente, dell'obbligo di assumere il ricorrente stipulando un contratto di lavoro a tempo indeterminato, attribuendogli la stessa qualifica professionale rivestita precedentemente e le stesse mansioni prima svolte. Tale conclusione consente di sgomberare il campo dal tentativo della difesa del lavoratore di inquadrare il comportamento di quest'ultimo nell'alveo dell'art. 1460 cc., proprio per l'assenza di un inadempimento del datore di lavoro. Ciò posto, tuttavia, l'esame della condotta del lavoratore, sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo, conduce i Giudici a ritenere la sanzione irrogata non proporzionata ai fatti contestati. Sotto il profilo oggettivo, infatti, la Corte rileva: - che il ricorrente si era chiuso per due volte all'interno della cabina elettrica minacciando di togliere la tensione, ma non vi aveva dato concreta attuazione; - che i due episodi avevano trovato soluzione in brevissimo tempo; - che la pregressa attività di elettricista svolta dal lavoratore era elemento per ritenere che egli avesse una concreta capacità di dominio della situazione, con conseguente riduzione del rischio per l'incolumità generale. Con riguardo al profilo soggettivo della condotta, la Corte valuta le presunte espressioni minacciose che, secondo l'addebito, il lavoratore avrebbe pronunciato in azienda a seguito dell'assegnazione delle mansioni di carrellista, e le ritiene insussistenti. L'eventualità che il ricorrente “stendesse” con il carrello la prima persona incontrata in fabbrica ovvero che, mandato ad altra linea di produzione, “facesse saltare” l'impianto, é letta dai Giudici come una preoccupazione ricollegata allo svolgimento di un'attività nella quale il lavoratore non aveva alcuna esperienza, piuttosto che come un tentativo intimidatorio volto a ottenere quanto rivendicato. Ciò in considerazione delle risultanze istruttorie; riferendosi al ricorrente, infatti, uno dei testi escussi aveva dichiarato: “... quel tipo di lavoro lo spaventava e diceva in proposito: ho paura di mettere sotto qualcuno ...”; altro teste aveva aggiunto: “ ... ricordo che l'AM rispose che non poteva fare il carrellista perché non sapeva farlo e rischiava di far male a qualcuno o di arrecare danni alla fabbrica ...”. Sempre con riguardo al profilo soggettivo, la Corte dà rilievo ai fattori che hanno contribuito a formare la volontà che ha sorretto la condotta del lavoratore. I Giudici partono dalla considerazione di un dato significativo: il ricorrente aveva svolto la propria attività lavorativa ultratrentennale di elettricista sempre presso il medesimo stabilimento, con un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato iniziato nel 1978, proseguito poi - ancora come rapporto a tempo indeterminato - con una nuova società e, a seguito della cessazione dell'attività di quest'ultima, con ripetuti contratti a termine con le diverse società che avevano rilevato la gestione del complesso industriale. Ciò ha - per la Corte - generato nel ricorrente l'aspettativa di svolgere, all'interno di quello stesso stabilimento in cui aveva operato per tanti anni, le medesime mansioni nelle quali aveva maturato la propria esperienza professionale, un'aspettativa che era andata delusa per ragioni che, pur giuridicamente fondate, ben potevano sfuggire alla comprensione di un operaio di modeste condizioni economiche e culturali, improvvisamente privo di un'acquisita tranquillità del posto di lavoro. I Giudici, inoltre, nella valutazione della formazione della volontà del lavoratore, danno un peso significativo a due fattori "esogeni": innanzitutto, al comportamento della società ricorrente che, pur pienamente consapevole della situazione del primo, si era mostrata poco incline ad una interlocuzione diversa dalla secca prospettazione dell'assegnazione delle mansioni di carrellista; in secondo luogo al fatto che il contratto di lavoro stipulato dalle parti era privo di quegli elementi indispensabili per una piena conoscenza delle ragioni dell'assunzione a termine e mancava di precise indicazioni in ordine alle mansioni che il lavoratore avrebbe dovuto svolgere, il che lasciava apparire al ricorrente la propria condizione ancora più incerta. All'esito di questa valutazione, la Corte ritiene, dunque - fermo restando l'oggettivo rilievo disciplinare del comportamento tenuto dal ricorrente -, che il fatto addebitato non sia così grave da incidere irrimediabilmente sul vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, rafforzata in tale convinzione dall'apparato sanzionatorio previsto dal c.c.n.l. di categoria, che punisce con il licenziamento infrazioni ben più gravi rispetto a quella addebitata all'appellante. Commento L'irrogazione della sanzione del licenziamento, stante la sua particolare afflittivitá, é sottoposta alla rigorosa osservanza del limite della proporzionalità rispetto all'addebito contestato. In altri termini, il datore di lavoro può procedere all'adozione di un provvedimento così grave soltanto qualora il comportamento del lavoratore sia altrettanto grave, ossia quando abbia inciso, facendolo venir meno, sul vincolo fiduciario che deve intercorrere tra le due parti del rapporto. In questa valutazione della gravità della condotta del dipendente un rilievo significativo ha l'analisi dell'elemento soggettivo: "In tema di licenziamento per giusta causa, la mancanza del lavoratore deve essere tanto grave da giustificare l'irrogazione della sanzione espulsiva e, pertanto, il comportamento del prestatore va valutato non solo nel suo contenuto oggettivo - con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate - ma anche nella sua portata soggettiva, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all'intensità dell'elemento psicologico dell'agente" [così, tra le tante, Cassazione Lavoro, Sentenza n. 7518 del 28 marzo 2010]. É l'elemento soggettivo della condotta addebitata, infatti, a qualificare come inadempimento un fatto che, altrimenti, non sarebbe tale o a permettere di inquadrare come lecito un comportamento all'apparenza lesivo del dovere di correttezza. Si pensi, per restare alla caso esaminato dalla Corte di Appello di Potenza, alle presunte espressioni minacciose pronunciate dal lavoratore: proprio la ricostruzione della volontà del dipendente permette ai Giudici di ritenere insussistente un fatto che, se considerato sotto il solo profilo oggettivo della condotta, pare essersi configurato.

Page 14: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

13

É sempre l'elemento soggettivo, inoltre, a differenziare per gravità, in base all'intensità della colpa, comportamenti oggettivamente identici. Per comprendere quanto detto, rimando alla giurisprudenza formatasi in tema di scarso rendimento. Le Corti italiane ritengono che la ridotta produttività del lavoratore non integri ex se un inadempimento, a meno che il mancato raggiungimento del risultato atteso e oggettivamente esigibile sia accompagnato da colpa (differenziando, in tal caso, l'ipotesi in cui non si sia intenzionalmente voluto raggiungere il risultato minimo previsto dall'ipotesi in cui il mancato risultato sia imputabile a scarsa attenzione del dipendente). Maggior chiarezza sul punto può trarsi anche dalla giurisprudenza formatasi in tema di sanzioni disciplinari per la violazione, da parte dei bancari, dell'obbligo (sancito dal c.c.n.l. del settore creditizio) di informare il datore di lavoro in ordine alle inchieste penali nelle quali si trovino coinvolti. Mi riferisco, in particolare, a quanto emergente dal confronto tra Cass., sez. Lav., 10 agosto 2006, n. 18150 e Cass., sez. Lav., 19 agosto 2004, n. 16273 [entrambe edite in CED Cassazione e oggetto di riflessione da parte di Conti, Commento a Cass., sez. Lav., 10 agosto 2006, n. 18150 in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 1 febbraio 2007, N. 1, Pagina 53]. Nella prima delle due pronunce, i Giudici hanno ritenuto legittimo il licenziamento, non condividendo la tesi, sostenuta dal lavoratore, secondo cui la violazione della citata disposizione contrattuale era da ritenersi irrilevante, poiché non aveva impedito alla banca di venire a conoscenza dei fatti da altre fonti. La Cassazione, nel pronunciarsi sulla vicenda, parte dal presupposto per il quale l'obbligo di collaborazione é espressione del principio di correttezza, a sua volta elemento rilevante nel rapporto fiduciario: "la clausola contrattuale tende a rendere il datore di lavoro compiutamente e precisamente informato circa vicende che possono incidere gravemente sul rapporto di lavoro bancario ed impone al lavoratore un dovere di leale collaborazione col datore, finalizzato alla conservazione del necessario legame fiduciario". Nel caso in questione, per i Giudici l'ostinato rifiuto di fornire le informazioni ripetutamente richieste dalla banca (tenuto conto del fatto che l'imputazione formulata a carico del lavoratore riguardava i reati di usura e di bancarotta fraudolenta) rivela una consapevole indifferenza rispetto a un interesse significativo del datore e incide gravemente sul rapporto fiduciario, giustificando così l'adozione della sanzione espulsiva. La seconda delle due pronunce, invece, ha escluso - in una fattispecie analoga, sotto il profilo oggettivo, a quella appena descritta - la ricorrenza della giusta causa di licenziamento, proprio poiché nella condotta del lavoratore inadempiente non ha ravvisato eguale atteggiamento soggettivo. Dall'istruttoria, infatti, era emerso che il lavoratore era stato indotto all'errata interpretazione della norma sull'obbligo informativo da un parere non corretto del proprio legale di fiducia e da un altro parere di un rappresentante sindacale. A differenza della prima fattispecie esaminata, mancava nel dipendente quella consapevole indifferenza rispetto all'interesse del datore di lavoro e, quindi, difettando la colpa, non poteva dirsi che il comportamento censurato avesse leso il vincolo fiduciario. I casi riportati evidenziano - come già detto - il rilievo determinante, nell'individuazione dell'illecito disciplinare e della sua gravità, dell'elemento soggettivo che accompagna la condotta del lavoratore oggettivamente individuata. Orbene, proprio al fine di operare la valutazione di questo elemento la Corte di Appello di Potenza, partendo dal principio secondo il quale “il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della immediata sanzione espulsiva rispetto all'infrazione commessa si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso" (così Cass., sez. Lav., 8 gennaio 2008, n. 144, in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, 1 novembre 2008, N. 11, Pagina 885 con nota di Vinciguerra), individua una serie di utili criteri interpretativi. Peso significativo ha, anzitutto, la condizione del lavoratore medesimo (nel caso di specie, un operaio di modeste condizioni economiche e culturali, per di più privo di un'acquisita tranquillità del posto di lavoro, che percepisce come un'ingiustizia, non potendone comprendere le ragioni giuridiche, il 'demansionamento' subito). Inoltre, rilevanti si rivelano i fattori, estranei alla persona del lavoratore, che incidono sul processo di formazione dell'elemento soggettivo del dipendente, tra i quali l'atteggiamento del datore di lavoro (che, nel caso di specie, ben consapevole della situazione del dipendente, si era mostrato niente affatto disposto a un dialogo volto anche soltanto a spiegare le ragioni dell'assegnazione alle nuove mansioni, al fine di renderla comprensibile). Alla stregua di queste considerazioni, i Giudici escludono che il comportamento censurato sia idoneo, nella sua portata soggettiva, "a ledere in modo grave, cioè tale da farla venire irreparabilmente meno, la fiducia che il datore deve avere nel proprio dipendente, considerato che trattasi di fatti che non risultano manifesta espressione di ribellione o trascuratezza nei confronti degli assetti dell'impresa". In altri termini, la Corte di Appello di Potenza pare introdurre nel giudizio sulla proporzionalità del licenziamento e, in particolare nell'esame dell'elemento soggettivo, categorie proprie della dottrina penalistica. Il rilievo dato alla convinzione del lavoratore di essere - anche se infondatamente - vittima di un'ingiustizia richiama da vicino concetto di errore sull'esistenza di una causa di giustificazione (in questo caso, l'inadempimento dell'altra parte) che, in ambito penale, rende punibile il fatto solo a titolo di colpa e, dunque, più lievemente. Si tratta, a mio avviso, di un utile parametro valutativo, soprattutto considerato che il licenziamento é misura che può rivelarsi devastante nella vita di chi lo subisce e che, dunque, va adottata solo a fronte di condotte inadempienti pienamente consapevoli. La Corte di Appello, peraltro, ritiene l'atteggiamento del datore di lavoro rilevante non solo quale fattore di formazione della volontà del lavoratore e, dunque, utile a ricostruire il profilo soggettivo della condotta di quest'ultimo, ma anche quale elemento del fatto dal quale evincere l'interesse del datore medesimo alla prestazione inadempiuta e, dunque, l'entità della lesione dallo stesso subita a causa della condotta del dipendente.

Page 15: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

14

Se, infatti, l'inadempimento rilevante ai fini della risoluzione del rapporto deve essere grave avuto riguardo all'interesse del contraente adempiente, dall'atteggiamento del datore di lavoro possono trarsi dati per desumere che, in realtà, per quest'ultimo il comportamento del lavoratore grave non sia. Per essere chiaro, vengo al caso esaminato dalla Corte di Appello di Potenza. I Giudici sottolineano che, a seguito del primo dei due accessi non autorizzati nella cabina elettrica, la società datrice non aveva immediatamente adottato alcun accorgimento al fine di evitare il ripetersi dell'episodio, che pure aveva descritto come tanto grave da giustificare un licenziamento. Ritengono questo un elemento significativo per escludere che - nella valutazione dell'azienda - il fatto fosse stato considerato come idoneo a ledere in modo grave il vincolo fiduciario. In altri termini, parafrasando il ragionamento della Corte, nell'indagine sulla legittimità del licenziamento il Giudice, una volta qualificata come grave la condotta del lavoratore, non può desumere da ciò solo la presenza della lesione del vincolo fiduciario, ma deve guardare anche allo specifico comportamento tenuto dal datore di lavoro, poiché dallo stesso possono evincersi elementi idonei a desumere che per quest'ultimo tale lesione, in realtà, non vi sia stata. APPALTI Le posizioni della Cassazione sulle questioni relative al contratto di appalto Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 8 settembre 2011, n. 18417 - Rassegna di giurisprudenza (Lex24)

Contratti - Appalto - Rovine e difetti di cose immobili - Decadenza dalla garanzia - Denuncia del committente - Decorrenza del termine - Dalla conoscenza dei difetti - Necessità - Portata

In tema di garanzia per gravi difetti dell'opera ai sensi dell'art. 1669 c.c., il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo. (F.Cia) (1)

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 8 settembre 2011, n. 18417 Presidente Oddo - Relatore Mazzacane - P.M. Scardaccione (Rigetta, App. Palermo, 20 ottobre 2004, n. 1113)

Riferimenti normativi:

Codice Civile, articolo 1669

(1) In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 23 gennaio 2008, n. 1463. In argomento, negli stessi termini, vedi anche, Cassazione civile, Sez. I, sentenza 1 febbraio 2008, n. 2460

____________________________

Contratti - Appalto - Rovina e difetti di cose immobili - Azione di responsabilità - "Dies a quo" del termine di decadenza - Individuazione - Vizi occulti o non conoscibili dell'opera appaltata - Azione di garanzia - Prescrizione - Decorrenza - Individuazione

In tema di appalto, il termine di un anno per la denuncia di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669 c.c., a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale; il termine di prescrizione dell'azione di garanzia, ai sensi dell'art. 1667, terzo comma, c.c., decorre dalla scoperta dei vizi, da ritenersi acquisita dal giorno in cui il committente abbia avuto adeguata conoscenza degli stessi, da ritenersi acquisita, in assenza di anteriori esaustivi elementi, solo a seguito del disposto accertamento peritale. (F.Cia) (1)

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 11 agosto 2011, n. 17225n. 17225n. 17225n. 17225 Presidente Schettino - Relatore Nuzzo - P.M. Russo (Rigetta, App. Catania, 21 luglio 2005, n. 768)

Riferimenti normativi: Codice Civile, articoli 1667, 1669

Page 16: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

15

In argomento, confronta, Cassazione civile, Sez. I, sentenza 1 febbraio 2008, n. 2460, Cassazione civile, Sez. III, sentenza 19 agosto 2009, n. 18402.

____________________________

Contratti - Appalto - Subappalto - Esecuzione delle opere in subappalto - Consapevolezza o consenso del committente - Effetti - Legittimità del subappalto - Conseguenze

La consapevolezza o anche il consenso, sia antecedente, sia successivo, espresso dal committente all'esecuzione, in tutto o in parte, delle opere in subappalto, valgono soltanto a rendere legittimo ex art. 1656 c.c. il ricorso dell'appaltatore a tale modalità di esecuzione della propria prestazione, e non anche ad instaurare alcun diretto rapporto tra committente e subappaltatore. In difetto di diversi accordi eventualmente intercorsi direttamente tra tali soggetti, il subappaltatore risponde della relativa esecuzione nei confronti del solo appaltatore e, correlativamente, solo verso quest'ultimo, e non anche del committente, può rivolgersi ai fini dell'adempimento delle obbligazioni, segnatamente quelle di pagamento, derivanti dal subcontratto in questione. (F.Cia) (1)

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 2 agosto 2011, n. 16917n. 16917n. 16917n. 16917 Presidente Oddo - Relatore Piccialli - P.M. Pratis (Rigetta, App. Roma, 3 marzo 2005, n. 1000)

Riferimenti normativi: Codice Civile, articolo 1656 (1) In argomento, in senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 11 agosto 1990, n. 8202.

____________________________

Contratti - Appalto - Garanzia per le difformità e vizi dell'opera - Tutela del committente - Mancata eliminazione dei vizi e dei difetti dell'opera da parte dell'appaltatore - Domanda di risarcimento del danno - Esperibilità - Oggetto

La tutela apprestata al committente dall'art. 1668 c.c., si inquadra nell'ambito della normale responsabilità contrattuale per inadempimento e pertanto, qualora l'appaltatore non provveda direttamente all'eliminazione dei vizi e dei difetti dell'opera, il committente, ove non intenda ottenere l'affermazione giudiziale dell'inadempimento con la relativa condanna dell'appaltatore e l'attuazione dei suoi diritti nelle forme dell'esecuzione specifica, può sempre chiedere il risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla spesa necessaria all'eliminazione dei vizi, senza alcuna necessità del previo esperimento dell'azione di condanna all'esecuzione specifica. (F.Cia) (1)

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 14 luglio 2011, n. 15520n. 15520n. 15520n. 15520 Presidente Oddo - Relatore Carrato - P.M. Fucci (Rigetta, App. Bologna, 5 maggio 2005, n. 525)

Riferimenti normativi: Codice Civile, articolo 1668 (1) In termini, vedi, Cassazione civile, Sez. III, sentenza 10 gennaio 1996, n. 169.

© RIPRODUZIONE RISERVATA RESPONSABILITÀ MEDICA La responsabilità conseguente all'errore o ritardo diagnostico Tribunale di Palermo, Sezione 5, Sentenza 15 giugno 2011, n. 8083 - Rassegna di giurisprudenza (Lex24) Congiunto - Decesso - Patologia diagnosticata tardivamente dai sanitari - Condizioni fisiche del paziente già inesorabilmente compromesse sin dai primi accertamenti - Responsabilità professionale - Insussistenza. (Cc, artt. 1176, 2236) La lamentata perdita di chanches del congiunto, deceduto a causa di una grave patologia asseritamente diagnosticata tardivamente dai sanitari, non può intendersi configurabile e tale da dar luogo alla risarcibilità di un pregiudizio in capo agli eredi, nelle ipotesi in cui si accerti che sin dall'atto dei primi accertamenti le condizioni fisiche del paziente erano già inesorabilmente compromesse. In circostanze siffatte, come nella fattispecie al vaglio dell'adito Giudice, il nesso di

Page 17: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

16

causalità tra la lamentata tardiva diagnosi ed il decesso del soggetto deve intendersi correttamente escluso, qualora pacificamente risultante dalla redatta relazione peritale che l'evento morte era collegato ad una intrinseca patologia di cui il paziente era portatore, secondo una valutazione probabilistica assolutamente preponderante rispetto alla diversa incidenza probabilistica dell'ipotesi in anticipata diagnosi. Deve, pertanto, escludersi in radice la possibilità di affermare che, data per compiuta la condotta omessa, sarebbe stata più probabile la sopravvivenza del paziente rispetto a quanto in concreto realizzatosi. Tribunale di Palermo, Sez. 5, Sentenza 15 giugno 2011, n. 8083 Responsabilità professionale del medico - Omesso ricovero del paziente colpito da infarto miocardio acuto - Accertamento del nesso causale tra condotta colposa del sanitario e decesso del paziente - Diritto degli eredi al risarcimento del danno non patrimoniale. Sussiste la responsabilità professionale del medico curante che per non aver disposto il ricovero ospedaliere al paziente colpito da un infarto miocardio acuto, complicato da scompenso cardiaco, laddove il medico curante, nonostante sia stato contattato ripetutamente, non abbia ritenuto necessario predisporre il ricovero. L'accertamento peritale dal quale si evinca che un tempestivo ricovero ospedaliero con conseguente inquadramento diagnostico ed un altrettanto tempestivo trattamento terapeutico, pur non garantendo la sopravvivenza del paziente, certamente avrebbe ridotto il tasso di mortalità induce a ritenere che il paziente, se tempestivamente ricoverato e sottoposto a trattamenti idonei, avrebbe avuto una possibilità di sopravvivenza attestata intorno al 50%-70%. Alla luce di siffatte considerazioni deve concludersi per la sussistenza del nesso causale tra la condotta del medico, della quale deve ritenersi accertata la natura colposa, e la morte del paziente. Ne consegue il diritto degli eredi al risarcimento del danno non patrimoniale rappresentato dalla sofferenza soggettiva conseguente alla perdita del rapporto parentale. Detto danno deve certamente ritenersi sussistente in capo ai figli del deceduto in quanto facenti parte del nucleo familiare che naturalmente si forma. Tribunale di Trento, Civile, Sentenza 9 giugno 2011, n. 496 Diagnosi errata - Responsabilità dell'ente clinico - Esclusione - Onere della prova - Erronea lettura di radiografia. In tema di responsabilità dell'ente ospedaliero o clinico in relazione ai danni riportati dal paziente, in particolare, per una diagnosi errata o, comunque, incompleta, atteso che siffatta responsabilità deve essere ricondotta nell'ambito di quella professionale medica, deve ritenersi applicabile la disciplina di cui all'art. 2236 c.c.. L'azienda ospedaliera, in particolare, non risponde dei danni derivanti da prestazioni che comportino la soluzione di problemi di particolare difficoltà (salvo i limiti necessariamente connessi al dolo ed alla colpa grave) purché offra compiuta dimostrazione circa l'esistenza, nel caso concreto, di siffatto presupposto attenuativo. Non può, in particolare, ritenersi attenuata o attenuabile la responsabilità dell'Ente in relazione all'omessa diagnosi di una frattura delle dita del piede atteso che tale patologia risulta rilevabile con la semplice lettura dell'esame radiografico, lettura che, per consolidata esperienza medica, non risulta particolarmente difficoltosa. Tribunale di Monza, Sezione 1 Civile, Sentenza 12 aprile 2011, n. 1130 Sanità - Medico - Responsabilità professionale - Errore diagnostico - Contenuto. (Cp, articoli 43 e 589) In tema di colpa professionale medica, l'errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca a inquadrare il caso clinico o si addivenga a un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli e accertamenti prudenzialmente doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. Tribunale di Brescia, Penale, Sentenza 8 ottobre 2010, n. 3457 Risarcimento danni - Sanità - Responsabilità del sanitario - Ripartizione dell'onere della prova - Adempimento dell'obbligazione e risarcimento del danno - Inadempimento rilevante e qualificato - Nesso di causalità tra inadempimento e produzione del danno. In merito alla responsabilità del sanitario, è venuto meno il meccanismo di ripartizione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c. Esso è identico sia che il creditore agisca per l'adempimento dell'obbligazione, sia che agisca al fine di ottenere il risarcimento del danno per l'inadempimento. Così, in merito alla prova del nesso di causalità, l'inadempimento rilevante è soltanto quello che costituisce la causa ovvero la concausa efficiente del danno; ne consegue pertanto che il creditore che agisca per l'inadempimento ha l'onere di allegare un inadempimento qualificato, ovvero astrattamente idoneo alla produzione del danno. E' onere del debitore, poi, dimostrare che siffatto inadempimento non vi sia stato o che, pur essendovi stato non ha causato il danno. Orbene, nel caso di specie ha diritto a veder risarcito il danno sofferto, in occasione di un intervento di escissione di un tatuaggio dalla spalla destra, (danno consistente in un'enorme cicatrice), la paziente nei cui confronti il sanitario non abbia dato prova di aver diligentemente adempiuto la prestazione emergendo, dagli atti di causa, l'errore diagnostico dallo stesso compiuto nel garantire la perfetta riuscita dell'intervento in due sole sedute di laserchirurgia. Tribunale di Nola, Sezione 2 Civile, Sentenza 26 luglio 2010, n. 1896

Page 18: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

17

Igiene e sanità - In genere - Omessa diagnosi tempestiva di malformazione del feto - Ritardo nell'interruzione della gravidanza - Danno non patrimoniale - Sussistenza - Risarcimento - Obbligo. L'errore diagnostico ha impedito alla gestante di ricorrere all'aborto terapeutico nei primi 90 giorni di gestazione, così che l'aborto è stato effettuato in seguito, a gravidanza ormai inoltrata, cagionando alla donna un danno non patrimoniale, per l'evidente maggiore difficoltà di gestire un aborto in stadio inoltrato – l'errore diagnostico era relativo alla presenza di una malformazione nel feto. Tribunale di Napoli, Sezione 6, Sentenza 1° giugno 2010 Responsabilità professionale - Responsabilità medica - Errore diagnostico - Risarcibilità dello stato d'ansia provocato da ritardo nella diagnosi - Sussistenza - Valutazione del danno - Ricorso ai criteri equitativi - Sussistenza. L'errore diagnostico che comporta un ritardo nell'accertamento di una grave malattia, anche nel caso in cui non abbia avuto alcuna influenza negativa sull'evoluzione, sul trattamento e sulla prognosi di questa, è comunque idoneo ad ingenerare nel paziente uno stato d'ansia (e quindi un danno non patrimoniale) da "incertezza diagnostica", situazione che, pur essendo grossolanamente assimilabile all'inabilità temporanea, può tuttavia essere risarcita, ove provata, solo facendo ricorso ai criteri equitativi. Tribunale di Treviso, Sezione 1 Civile, Sentenza 25 marzo 2010, n. 578 © RIPRODUZIONE RISERVATA CONTRATTI Fisiologia e patologia del contratto: panoramica giurisprudenziale Corte di Cassazione, Sezione II, Sentenza 9 agosto 2011, n. 17127 - Rassegna di giurisprudenza (Lex24) CONTRATTO IN GENERALE EfFFICACIA DEL CONTRATTO Contratti in genere - Efficacia del contratto - Caparra confirmatoria - Nozione. (Cc, art. 1385) La caparra confirmatoria costituisce un contratto che si perfeziona con la consegna che una parte fa all'altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d'inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale). (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 9 agosto 2011, n. 17127 - Presidente Triola - Relatore Petitti - P.M. Lettieri (Cassa App. Trieste, 12 agosto 2005, n. 568) (1) Conforme, vedi Cassazione civile, Sez. II, sentenza 15 aprile 2002, n. 5424. Contratti in genere - Efficacia del contratto - Caparra confirmatoria - Oggetto - Consegna di assegno bancario - Ammissibilità - Perfezionamento del contratto - Incasso del titolo da parte del prenditore - Violazione - Effetti. (Cc, art. 1385) Avuto riguardo alla funzione dell'assegno bancario, la caparra confirmatoria ben può essere costituita mediante la consegna di quest'ultimo, perfezionandosi l'effetto proprio della caparra al momento della riscossione della somma recata dall'assegno, e, quindi, salvo buon fine. Tuttavia, allorquando una parte accetti la dazione della caparra con assegno bancario, è suo onere quello di porre all'incasso il titolo, nel senso che, ove l'assegno non venga posto in riscossione, il mancato buon fine dell'assegno bancario - che preclude il raggiungimento dello scopo proprio della consegna della caparra - è riferibile unicamente al comportamento del prenditore. In altri termini, in tale ipotesi, il comportamento del prenditore del titolo che, dopo averne accettato la consegna, ometta poi di porlo all'incasso, trattenendo comunque l'assegno e non restituendolo all'acquirente, è contrario a correttezza e buona fede, e comporta a carico del prenditore medesimo l'insorgenza degli obblighi propri della caparra, nel senso che ove risulti inadempiente all'obbligazione cui si riferisce la caparra, egli sarà tenuto al pagamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell'assegno. (F.Cia) Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 9 agosto 2011, n. 17127 - Presidente Triola; Relatore Petitti - P.M. Lettieri (Cassa, App. Trieste, 12 agosto 2005, n. 568)

Page 19: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

18

Contratti in genere - Efficacia del contratto - Caparra confirmatoria - Dichiarazione di recesso con contestuale richiesta di restituzione della somma versata a titolo di caparra e di rimborso delle spese - Comunicazione reciproca dell'altra parte diretta al recesso ed alla restituzione - Conseguente risoluzione del contratto - Per mutuo consenso - Esclusione - Domanda di adempimento successivamente proposta da una delle parti - Preclusione. (Cc, artt. 1385 e 1453) Qualora un contraente comunichi la dichiarazione di recesso con contestuale richiesta di restituzione della somma versata a titolo di anticipo (o caparra) e di rimborso delle spese sostenute ed il contraente asserito inadempiente comunichi anch'esso la volontà di recedere - pur attribuendo l'inadempimento all'altra parte - e la disponibilità alla restituzione delle somme richieste, si verifica la risoluzione del contratto atteso che le due dichiarazioni di recesso - pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nell'ipotesi del mutuo consenso, in quanto muovono da premesse contrastanti - sono tuttavia dirette all'identico scopo dello scioglimento del contratto e della restituzione delle somme versate, con la conseguenza che resta preclusa la domanda di adempimento successivamente proposta da uno dei contraenti. (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 26 luglio 2011, n. 16317 - Presidente Triola - Relatore Matera - P.M. Fedeli (Rigetta App. Lecce, 14 settembre 2005, n. 288) (1) In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 14 marzo 1988, n. 2435. Contratto in generale - Efficacia del contratto - Esecuzione di buona fede - Clausola generale di buona fede e correttezza Violazione - Effetti - Incidenza sulla validità degli atti negoziali - Esclusione - Fondamento. (Cc, artt. 1175 e 1375) Dalla distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto discende che la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla validità dell'atto negoziale, poiché dal fondamentale dovere che grava su ogni contraente di comportarsi secondo correttezza e buona fede - immanente all'intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 della Costituzione, e sottostante ai precetti legali di comportamento delle parti di un rapporto negoziale - il codice civile fa discendere conseguenze che possono, a determinate condizioni, anche riflettersi sulla sopravvivenza dell'atto (come nel caso dell'annullamento per dolo o violenza, della rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso comportano responsabilità risarcitoria (contrattuale o precontrattuale), ma che, per ciò stesso, non sono evidentemente mai considerate tali da determinare ex se l'invalidità dell'atto, ancorché l'obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere imperativo. E questo anche perché il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite; e, peraltro, il carattere sempre più frammentario e sempre meno sistematico della moderna legislazione impone molta cautela nel dedurre da singole norme settoriali l'esistenza di nuovi principi per predicarne il valore generale e per postularne l'applicabilità anche in settori ed in casi diversi da quelli espressamente contemplati da singole e ben determinate disposizioni. Non si è mai dubitato che il Legislatore possa isolare specifiche fattispecie comportamentali, elevando la relativa proibizione al rango di norma di validità dell'atto, ma si tratta pur sempre di disposizioni particolari, che nulla consente di elevare a principio generale e di farne applicazione in settori nei quali analoghe previsioni non figurano. (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezioni Un, sentenza 19 luglio 2011, n. 15764 - Presidente Vittoria - Relatore Morcavallo - P.M. Ceniccola (Cassa App. L'Aquila, 11 agosto 2008, n. 1234) (1) In argomento, citate anche nella decisione in esame, vedi, Cassazione civile, Sez. Un, sentenza 19 dicembre 2007, n. 26724, Cassazione civile, Sez. L, sentenza 6 ottobre 2005, n. 19415. CONTRATTO IN GENERALE FORMAZIONE ED ELEMENTI DEL CONTRATTO Contratto in generale - Formazione ed elementi del contratto - Conclusione del contratto - Proposta - Accettazione - Offerta precisa e particolareggiata rivolta ad una parte - Vera e propria proposta e non semplice dichiarazione generica di disponibilità - Configurabilità - Ulteriori trattative per esprimere l'accettazione - Necessità - Esclusione. (Cc, art. 1326) Deve ravvisarsi una vera e propria proposta contrattuale e non una semplice dichiarazione generica di disponibilità, solo quando una parte rivolga all'altra un'offerta precisa e particolareggiata di conclusione di un determinato contratto, completa di tutti gli elementi essenziali, in modo tale che l'altra parte possa esprimere la sua accettazione con il semplice consenso senza bisogno di ulteriori trattative. (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 14 luglio 2011, n. 15510 - Presidente Oddo - Relatore Bursese - P.M. Scardaccione (Rigetta App. Firenze, 25 maggio 2005, n. 844) (1) In termini, vedi, Cassazione civile, Sez. L, sentenza 24 maggio 2001, n. 7094.

Page 20: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

19

Contratto in generale - Formazione ed elementi del contratto - Conclusione del contratto - Proposta - Dichiarazione di valida proposta contrattuale - Caratteri - Completezza, univocità ed attualità dell'impegno manifestato - Necessità - Conseguenze. (Cc, art. 1326) In tema di contratti, affinché sia configurabile una proposta - idonea a determinare, nel concorso dell'adesione del destinatario, la conclusione di un valido contratto - occorre che la dichiarazione del proponente sia completa, nel senso di contenere tutti gli elementi del futuro contratto, e che, inoltre, non sia accompagnata da riserve sul suo carattere attualmente impegnativo, perché la dichiarazione che non manifesti una decisione, ma sia rivolta al destinatario solo per impostare una trattativa o per esprimere una disponibilità dell'autore senza la volontà di esporsi al vincolo contrattuale se non dopo ulteriori passaggi valutativi, non conferisce al destinatario stesso il potere di determinare, con l'accettazione, l'effetto conclusivo del contratto. (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 14 luglio 2011, n. 15510 - Presidente Oddo - Relatore Bursese - P.M. Scardaccione (Rigetta App. Firenze, 25 maggio 2005, n. 844) (1) In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 7 luglio 2009, n. 15964 Contratto in generale - Formazione ed elementi del contratto - Conclusione del contratto - Proposta - Natura - Presupposto - Volontà del proponente di impegnarsi contrattualmente - Sussistenza implicita - Proposte pervenute al destinatario tramite un terzo - Accertamento - Necessità. (Cc, art. 1326) La proposta di concludere un contratto, costituendo un atto giuridico di natura negoziale diretto a provocarne l'accettazione da parte del destinatario, presuppone la volontà del proponente di impegnarsi contrattualmente; detta volontà - che vale a distinguere la proposta dalla semplice manifestazione della disponibilità a trattare - mentre è di norma implicitamente desumibile dal fatto che il proponente abbia indirizzato al destinatario un atto che abbia un contenuto idoneo ad essere assunto come contenuto del contratto, deve, invece, essere concretamente accertata ove la proposta sia pervenuta al destinatario tramite un terzo, in particolare dovendosi verificare se la trasmissione dell'atto sia avvenuta ad iniziativa di chi ha formato il documento ovvero del terzo, all'insaputa di quello. (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 14 luglio 2011, n. 15510 - Presidente Oddo - Relatore Bursese - P.M. Scardaccione (Rigetta App. Firenze, 25 maggio 2005, n. 844) (1) In termini, vedi, Cassazione civile, Sez. III, sentenza 3 luglio 1990, n. 6788. CONTRATTO IN GENERALE INVALIDITÀ DEL CONTRATTO Contratti in genere - Invalidità del contratto - Nullità del contratto - Condizioni - Azione di annullamento, risoluzione o rescissione del contratto - Rilevabilità d'ufficio della nullità - Ammissibilità - Ultrapetizione - Esclusione - Fondamento. (Cc, artt. 1418, 1421 e 1453) Il giudice può rilevare d'ufficio la nullità di un contratto, a norma dell'art. 1421 cod. civ., anche se sia stata proposta la domanda di annullamento (o di risoluzione o di rescissione del contratto, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l'assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo; ne consegue che il rilievo di quest'ultima da parte del giudice dà luogo a pronunzia non eccedente i limiti della causa, la cui efficacia resta commisurata nei limiti della domanda proposta, potendo quindi estendersi all'intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente. (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 30 agosto 2011, n. 17804 - Presidente Schettino - Relatore Bursese - P.M. Golia (Rigetta App. Cagliari, 14 luglio 2005, n. 418) (1) In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. III, sentenza 7 febbraio 2011, n. 2956. CONTRATTO IN GENERALE SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO Contratto in generale - Scioglimento del contratto - Risoluzione del contratto per inadempimento - Diffida ad adempiere - Gravità dello inadempimento - Accertamento - Necessità - Esclusione - Fondamento. (Cc, artt. 1454 e 1455) In tema di diffida ad adempiere, avuto riguardo alla lettera della norma di cui all'art. 1454 c.c. e considerato che la stessa non menziona in alcun modo l'importanza dell'inadempimento, neppure con un semplice rinvio formale alla previsione di cui all'art. 1455 c.c., se ne deve dedurre che il grave inadempimento non assurge ad elemento essenziale della

Page 21: Newsletter - Edizione n. 31, 13 - 19 settembre 2011 ... · A CURA DI GUIDA AL DIRITTO In questo numero ANNIVERSARI Processo amministrativo dal "volto" dinamico dopo un anno di applicazione

20

risoluzione di diritto per diffida ad adempiere, al pari di quanto accade nelle altre due ipotesi di risoluzione per clausola espressa e per termine essenziale, essendo presupposto imprescindibile della sola risoluzione giudiziale. (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 17 agosto 2011, n. 17337 - Presidente Schettino - Relatore Scalisi - P.M. Russo (Rigetta App. Brescia, 9 giugno 2005, n. 499) (1) Contra, vedi, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 4 maggio 1994, n. 4275, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 13 marzo 2006, n. 5407, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 18 aprile 2007, n. 9314. CONTRATTO IN GENERALE TUTELA DEL CONSUMATORE Contratti - Tutela del consumatore - Clausole vessatorie - Modificazione unilaterale di una o più condizioni del contratto da parte del professionista - Vessatorietà della clausola in assenza di giustificato motivo - Fondamento. (D.Lgs. 06.09.2005, n. 206, artt. 33 e 34) In tema di contratti conclusi con i consumatori, è vessatoria la clausola, contenuta nelle condizioni generali di contratto, che riconosce unilateralmente al professionista la facoltà di modificare le disposizioni economiche del rapporto contrattuale, anche in mancanza di un giustificato motivo, così come richiesto, in via generale, dall'art. 1469-bis, quinto comma, n. 11, attualmente riprodotto nell'art. 33, secondo comma, lettera m), del d.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005, non potendosi qualificare tale previsione negoziale come meramente riproduttiva dell'art. 118 del d.lgs. n. 385 del 1 settembre 1993, nella formulazione anteriore alla modifica introdotta con l'art. 10 del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito nella legge n. 248 del 4 agosto 2006, sia perché l'esclusione della vessatorietà delle clausole riproduttive delle disposizioni di legge, prevista nell'art. 1469-ter, terzo comma, ed attualmente riprodotta nell'art. 34, terzo comma del d.lgs. n. 206 del 2005, trova applicazione solo quando ne venga trasposto il nucleo precettivo e non, invece, quando il predisponente si avvalga autonomamente di una facoltà prevista dalla norma, isolandola dal contesto normativo in cui si colloca, sia perché l'art. 118 del d.lgs. n. 385 del 1993 ha una portata applicativa non limitata ai contratti con i consumatori. (F.Cia) (1) Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 18 agosto 2011, n. 17360 - Presidente Petti - Relatore Spagna Musso - P.M. Russo (Cassa con rinvio App. Bologna, 9 marzo 2009, n. 327) (1) In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. I, sentenza 21 maggio 2008, n. 13051 © RIPRODUZIONE RISERVATA