Newsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San ... · successo dal Dopoguerra in poi....

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San Bonaventura Newsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum Editoriale Il Dio di pace […] Si avverte con crescente chiarezza la necessità della comprensione interreligiosa, dell’amicizia e della collaborazione nel difendere la dignità confe- rita da Dio ai singoli individui e ai popoli, e il loro diritto di vivere in libertà e felicità. Promuovendo il rispetto di tale dignità e di tali di- ritti, le religioni interpretano un ruolo essenziale nel formare le coscienze, nell’instillare nei giovani i profondi valori spirituali delle rispettive tradi- zioni e nel preparare buoni cittadini, capaci di in- fondere nella società civile onestà, integrità e una visione del mondo che valorizzi la persona umana rispetto al potere e al guadagno materiale. Penso qui all’importanza della nostra comune con- vinzione secondo la quale il Dio che noi cerchiamo di servire è un Dio di pace. Il suo santo Nome non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza. […] Troppo spesso dei giovani vengono resi estremisti in nome della religione per seminare discordia e paura e per lacerare il tessuto stesso delle nostre società. Quant’è importante che siamo riconosciuti come profeti di pace, operatori di pace che invitano gli altri a vivere in pace, armonia e rispetto reciproco! […] Il mondo giustamente si attende che i credenti lavorino insieme con le persone di buona volontà nell’affrontare i molti problemi che si ripercuoto- no sulla famiglia umana. Nel guardare al futuro, preghiamo affinché tutti gli uomini e le donne si considerino fratelli e sorelle, pacificamente uniti nelle e attraverso le loro differenze. Papa Francesco Saluto all’incontro ecumenico e interreligioso a Nairobi (Kenya), 26 novembre 2015 NOVEMBRE 2015 focus del mese: la voce di una città ferita ma coraggiosa -Pag. 2 verso una rinascita sociale e culturale - pag. 5 oltre la paura e l’emergenza - pag. 7 l’europa e gli emigranti - pag. 10 giubileo della misericordia: il giubileo attraverso i secoli - pag. 14 la misericordia secondo san francesco - pag. 16 ecclesia: Riconoscere l’ecce Deus nell’ecce homo pag. 19 maestri francescani: tommaso da celano, la vicenda della beatificazione - pag. 22 storia e personaggi: UN MISSIONARIO TRA I LEBBROSI pag. 25 IL DIALOGO IN CATTEDRA: COME FAVORIRE IL BENE PAG. 27 tra le righe: VIAGGIO NELL’ECONOMIA - Pag. 29 cineforum: HOLMES SENZA HOLMES - pag. 31 appuntamenti: IN PROGRAMMA - PAG. 33 Francescanamente parlando: TAVOLA ROTONDA E PRESENTAZIONI DI LIBRI - pag. 36 ANNO III - Nº 34 informa 1 In questo numero:

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San BonaventuraNewsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum

Editoriale

Il Dio di pace

[…] Si avverte con crescente chiarezza la necessità della comprensione interreligiosa, dell’amicizia e della collaborazione nel difendere la dignità confe-rita da Dio ai singoli individui e ai popoli, e il loro diritto di vivere in libertà e felicità. Promuovendo il rispetto di tale dignità e di tali di-ritti, le religioni interpretano un ruolo essenziale nel formare le coscienze, nell’instillare nei giovani i profondi valori spirituali delle rispettive tradi-zioni e nel preparare buoni cittadini, capaci di in-fondere nella società civile onestà, integrità e una visione del mondo che valorizzi la persona umana rispetto al potere e al guadagno materiale.Penso qui all’importanza della nostra comune con-vinzione secondo la quale il Dio che noi cerchiamo di servire è un Dio di pace. Il suo santo Nome non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza. […] Troppo spesso dei giovani vengono resi estremisti in nome della religione per seminare discordia e paura e per lacerare il tessuto stesso delle nostre società. Quant’è importante che siamo riconosciuti come profeti di pace, operatori di pace che invitano gli altri a vivere in pace, armonia e rispetto reciproco! […] Il mondo giustamente si attende che i credenti lavorino insieme con le persone di buona volontà nell’affrontare i molti problemi che si ripercuoto-no sulla famiglia umana. Nel guardare al futuro, preghiamo affinché tutti gli uomini e le donne si considerino fratelli e sorelle, pacificamente uniti nelle e attraverso le loro differenze.

Papa FrancescoSaluto all’incontro ecumenico e interreligioso

a Nairobi (Kenya), 26 novembre 2015

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focus del mese: la voce di una città ferita ma coraggiosa -Pag. 2verso una rinascita sociale e culturale - pag. 5oltre la paura e l’emergenza - pag. 7l’europa e gli emigranti - pag. 10

giubileo della misericordia: il giubileo attraverso i secoli - pag. 14la misericordia secondo san francesco - pag. 16

ecclesia: riconoscere l’ecce Deus nell’ecce homo pag. 19

maestri francescani: tommaso da celano, la vicenda della beatificazione - pag. 22

storia e personaggi: UN mISSIoNArIo TrA I LEBBroSI pag. 25

IL DIALoGo IN CATTEDrA: ComE FAvorIrE IL BENE PAG. 27

tra le righe: vIAGGIo NELL’ECoNomIA - Pag. 29

cineforum: HoLmES SENZA HoLmES - pag. 31

appuntamenti: IN ProGrAmmA - PAG. 33

Francescanamente parlando: TAvoLA roToNDA E PrESENTAZIoNI DI LIBrI - pag. 36

ANNo III - Nº 34 informa

1

In questo numero:

LA VOCE DI UNA CITTà FERITA, INCREDULA, IMPAURITA

MA FORTE DEL SUO CORAGGIO, DELLA DIGNITà E DELLA BELLEZZA

di Monica Donati*

Sono italiana e vivo a Parigi da venti anni.

Per lavoro. Per amore.

Parigi è una città fantastica. Cosmopolita. Accogliente.

Ma anche con una tensione latente e con delle innegabili problematiche di integrazione, soprattutto nelle periferie.

Queste periferie che già, a più riprese, negli anni scorsi, sono venute alla ribalta della cronaca e che sono oggi, purtroppo, il serbatoio umano dei terroristi di Daech.

Da un paio d’anni le tensioni e gli episodi di violenza si sono accelerati, nelle “banlieues” e in tutta la Francia.

Il 2015 è iniziato sotto terribili auspici con gli attentati, senza precedenti, a Parigi, alla rivista satirica Charlie Hebdo e al supermercato ebraico Hyperkacher.

Attacchi ideologici, sconvolgenti.

In cui si puniva la libertà di espressione, in cui si puniva una religione.

La città si era allora mobilizzata, stretta intorno alle istituzioni, alla sua gente, in una enorme manifestazione nelle vie di Parigi e nelle città di provincia.

Eravamo tutti Charlie.

Poi i mesi sono passati. Avevamo quasi dimenticato di essere Charlie...

focus del mese

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E venerdì 13 novembre sera una serie di attacchi sapientemente coordinati, hanno seminato terrore e morte in diversi punti della città: una sala da concerto mitica, il Bataclan, uno stadio, delle terrazze di bar e di ristoranti.

Bilancio: 130 morti e tantissimi feriti.

Tanti giovani, tanti artisti, giornalisti, insegnanti, musicisti. Di diciannove nazionalità diverse.

Il bersaglio stavolta non era un organo di stampa, non era una sinagoga.

Il bersaglio era ben più vasto, era la vita, la spensieratezza, la gioventù, la musica, il calcio, la convivialità...

Il bersaglio era un modo di vivere, quello di una città, quello di una nazione intera.

Tutti noi parigini conoscevamo qualcuno al Bataclan quella sera.

Tutti noi parigini piangiamo oggi un vicino, un collega, il marito di un’amica...

All’indomani dell’attacco la città era tetanizzata.

Musei, supermercati, cinema chiusi come non era mai successo dal Dopoguerra in poi.

Eravamo tutti in casa, attaccati alle reti d’informazione, a leggere freneticamente la stampa, a percorrere i social network per avere notizie, per sapere dove si nascondeva il pericolo, per capire quello che stavamo vivendo, per confrontarci, per trovare le parole.

Dappertutto si leggeva l’incredulità, la paura, l’incertezza, ma quasi mai il rancore e il desiderio di vendetta.

Io ho letto soprattutto la speranza, il coraggio e la dignità.

Come quelli di un giovane giornalista rimasto vedovo che dichiarava ai terroristi, con un bellissimo testo, che non avranno mai il suo odio né quello di suo figlio di appena 17 mesi.

Come quello di un’anziana signora che affermava di voler fraternizzare con i 5 milioni di musulmani e di battersi solo contro 10 mila barbari.

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Come quelli poi, a migliaia, di anonimi, lasciati, fin dal giorno dopo, davanti al Bataclan, davanti ai luoghi colpiti, insieme ad un lumino, ai fiori. Messaggi d’amore, di speranza, di fraternità.

I parigini hanno ricominciato ad uscire, a frequentare i luoghi pubblici, le terrazze dei ristoranti e dei caffè, a farlo proprio come un gesto d’amore, un gesto di sfida e di coraggio.

Allora oggi io voglio essere ottimista e amo questa città come non mai.

Non vogliamo vivere nella paura, non vogliamo nasconderci in casa, guardare l’altro, il diverso, con sospetto.

Parigi è bella e forte perché non cederà al panico.

É bella e forte perché continuerà a far brillare tutti i suoi colori, le sue differenze e anche le sue incoerenze.

É bella perché continuerà a danzare e a far rumore, a cantare e a vivere la notte.

É bella perché brinderà sempre alle terrazze dei caffè.

É bella perché ribelle e insolente.

Parigi è bella perché è libera e questa libertà nessun terrorista al mondo ce la potrà mai togliere.

*Addetta stampa della casa di produzione cinematografica parigina MK2

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DALL’EMERGENZA TERRORISMO PUò SCATURIRE L’OPPORTUNITà PER UNA RINASCITA SOCIALE E CULTURALE

di Giulio Cesareo*

I tragici fatti di Parigi ci hanno improvvisamente riportato a quei sentimenti di indignazione, insicurezza e paura, che in più di un’occasione il nuovo millennio ha portato con sé, a partire dagli attacchi dell’11 settembre 2001.L’elemento particolarmente terrificante negli attentati del novembre 2015 è stata però la pianificazione scientifica, che ha permesso di condurre in contemporanea una serie di attacchi che hanno gettato l’opinione pubblica in un senso di impotenza collettivo, che favorisce l’azione eversiva stessa. Il terrorismo infatti non è una guerra, non ha lo scopo di conquistare territori, quanto di prostrare la forza coesiva di reazione e causando un progressivo scollamento sociale, in cui vige sempre più la regola del “si salvi chi può”: in questo modo il nemico diventa praticamente inoffensivo.Si tratta del principio divide et impera: un popolo diviso e demoralizzato, infatti, non è un nemico temibile, neppure se risponde militarmente. È un po’ quello che è successo in Afganistan e Iraq: dopo la guerra i continui attentati terroristici hanno completamente impedito la normalizzazione politica e sociale, in modo da lasciare fondamentalmente indisturbati questi gruppi estremisti nella persecuzione dei loro interessi. La geopolitica contemporanea è certamente qualcosa di molto complesso, che sfugge alle analisi riportate dai mass media: lo stesso Stato Islamico, infatti, sembra un’entità suo malgrado funzionale alla destabilizzazione dell’intero bacino mediterraneo, probabilmente allo scopo di favorire altri interessi nell’ombra: per il controllo del petrolio, per il commercio delle armi, per il traffico di esseri umani (l’esodo dei profughi), per mutare gli equilibri internazionali della regione, ecc.Ora, perfino in un’Europa piena di ingiustizie sociali e culturali, nonostante lo stile di vita elevato abbastanza diffuso e le altisonanti parole come fraternità, libertà e uguaglianza, è inevitabile che questi gruppi eversivi trovino tanto terreno fertile, perché chi non ha e non é niente, o quasi, non ha paura di niente per avere finalmente qualcosa, fosse pure il proprio nome sui giornali.

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Mi pare che non si possa allora non dare ragione a papa Francesco, quando accusa questa “cultura” dell’esclusione e dell’emarginazione, nella consapevolezza che questa violenza non è soltanto follia e crudeltà di qualcuno, ma sintomo aberrante di una malattia sociale globale, in cui l’Occidente vuole i vantaggi della sua leadership universale, ma non se ne vuole assumere le responsabilità e gli oneri, né all’interno dei propri confini, né all’estero.A mio avviso pertanto, invece di lasciarsi dominare da questo senso di impotenza collettivo e irrazionale, la politica e la società civile

delle nostre democrazie dovrebbero cominciare a interrogarsi sulle cause di questi eventi, per leggerli cioè come segnali, sintomi, grida di un malessere oramai ingestibile. Proprio in questi primi anni del nuovo millennio, in effetti, l’Occidente ha fallito nella gestione dei conflitti, perché ha fatto ricorso a una modalità di intervento pressoché unicamente militare.Speriamo allora che i grandi del mondo, nonostante le pressioni popolari per soluzioni immediate, colgano la sfida di una risposta globale al male eversivo dei nostri giorni. Questo comporterà necessariamente in Occidente una revisione di una politica interna escludente e internazionale aggressiva, chiederà una “conversione” del nostro stile di vita, che tutti ci invidiano e che non vogliamo condividere con il resto del pianeta, comporterà un impegno serio per una maggiore equità nella redistribuzione della ricchezza e per una seria promozione culturale globale, ecc.Se sapremo cogliere questa opportunità, forse queste tragiche morti dei giorni scorsi diventeranno la scossa per una rinascita sociale in una cultura dell’inclusione per il nostro mondo in decadenza. Le culture infatti nella storia trionfano sempre nella solidarietà e nella collaborazione ma si ammalano e muoiono nella difesa oltranzista dei propri privilegi e vantaggi. Allo stesso tempo spero che noi cristiani, presenza povera eppur vera del Dio amore in questo mondo, sappiamo con la nostra vita indicare l’esigenza e il valore di una conversione personale e sociale nell’ottica dell’equità. La fede nel Crocifisso risorto, che è l’unico Signore della storia, colui che ha la chiave per interpretarne il senso e il valore, ci rivela infatti che il Regno di Dio é già in questo mondo, alla maniera del seme, che nel terreno muore, germoglia, cresce come piccola cosa ma poi porta frutto. E il fatto stesso che l’unico giudice della storia sia il Crocifisso ci permette di intuire nella fede che le difficoltà, le ingiustizie, i fallimenti possono diventare momenti privilegiati per fare l’esperienza che tutto crolla, perché tutto é effimero e passa, ma che Egli resta come fondamento incrollabile. E Cristo resta non come qualcosa, come un’idea, un valore morale, ma come l’Amore, che salva, perdona e ricostruisce ponti e relazioni proprio dove l’uomo ha sperimentato il male, la divisione, la morte. In Lui, infatti, siamo così tanto amati da poter cominciare ad amare perfino i nemici e così sperimentare già su questa terra la vita del cielo: le relazioni gratuite nell’amore. E ciò non significa non impegnarsi per risolvere i problemi e perseguire i colpevoli, ma al contrario vuol dire non lasciarsi dominare dalla logica della vendetta e dell’odio, per imparare anche dal male a condurre insieme una vita migliore, per il bene nostro e di chi ci seguirà.

*OFMConv, docente di Teologia morale, Metodologia e Teologia trinitaria

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DOPO LE STRAGI DI PARIGI ALCUNI INTERROGATIVI PER ANDARE OLTRE LA PAURA E L’EMERGENZA SICUREZZA

di Domenico Paoletti*

Il 13 novembre di Parigi, come l’11 settembre di New York, è una data che ha segnato la storia cambiando il nostro vivere quotidiano. Nessun analista dei fenomeni sociali lo aveva previsto, ecco perché nessuno lo dimentica nella grande incertezza di cosa potrà ancora succedere.La strage di tante persone innocenti, che vivevano momenti di vita normale tra amici in un ristorante o uno svago del venerdì sera a Parigi, viene analizzata sotto vari punti di vista con una varietà di interpretazioni da rendere difficile fare il punto della situazione. L’attenzione che, a mio avviso dovrebbe accompagnarci dopo il grande sgomento per i fatti accaduti, è di non fermarci al fenomeno che ha colpito al cuore la nostra umanità, in particolare il nostro mondo occidentale. Perché così facendo ci illudiamo di estirpare il male senza andare alle radici del male, come la storia insegna. Historia magistra vitae, il problema è che ha pochi allievi disposti ad imparare, altrimenti non si spiega che dopo i fallimentari interventi in Afganistan, in Iraq e in Libia ancora si insiste su questa linea senza quel discernimento richiesto da una situazione così drammatica e complessa.Senz’altro va distinto il fanatismo omicida dell’Isis dalla cultura islamica. Il fondamentalismo disumano e aberrante ha diverse radici. Una è quella a cui si richiama i terroristi, una presunta verità che si vuole imporre con la più spietata violenza omicida. Questo è una lettura dell’Islam piegato alla violenza per vari interessi. A tale proposito va sempre ribadito e condiviso che tutto ciò che è contrario alla ragione – come aveva detto chiaramente Benedetto XVI a Regensburg nel settembre 2006 – non viene dal vero Dio. Un magistrale discorso, allora tanto contestato dallo stesso nostro mondo occidente che ora dichiara la guerra, contraddicendo in parte quel relativismo imperante secondo cui tutte le religioni sono sullo stesso piano.

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La violenza è contraria alla ragione. E ciò pone il grande problema del rapporto delle fedi religiose con la verità della ragione. Il fanatismo, specie quello che si esprime nella violenza, non tiene conto di questo rapporto di vitale importanza. È del tutto evidente che a questo proposito le religioni non sono affatto tutte uguali, come viene normalmente insegnato nelle nostre scuole in nome di una laicità vuota.

La violenza va combattuta sempre e ovunque, individuandone le radici da estirpare. Una delle radici è in quella accennata di una parte del mondo islamico che utilizza il Corano per lotte interne tra sunniti, e tra sunniti e sciiti. Ma più che di Islam si dovrebbe parlare del conflitto tra arabi. Basti pensare che l’aberrante mostro del Daesh/Isis ha goduto e gode di oscure complicità nella penisola araba e nel mondo turco. Qui va intrapresa una dura lotta ai vari livelli delle diversificate convivenze politiche ed economiche tra paesi occidentali e paesi che sostengono l’Isis.Ma oltre a questa radice che si annida nel mondo islamico, meglio nel mondo degli interessi tra arabi, c’è una radice che viene alimentata dalla nostra cultura occidentale. La debolezza dei nostri paesi occidentali non consiste tanto nella mancanza di intelligence, di cui giustamente si parla tra molti analisti di guerra al terrorismo. In realtà la debolezza più preoccupante è nell’aver smarrito o rinnegato i valori universali e duraturi, più precisamente nel non cercare e riconoscere il vero senso della vita. Quindi l’altra radice, che dovrebbe maggiormente inquietarci e scuoterci, risiede nella nostra cultura relativista che ha rimosso il desiderio e la conseguente trasmissione del senso dell’esistenza. Una cultura ossessionata dal progresso economico con l’unica certezza di far dipendere la felicità unicamente dalla crescita del proprio benessere, dal proprio star bene e nel soddisfare i propri capricci – come spesso ha stigmatizzato Benedetto XVI – non riempie il cuore dell’uomo, anzi produce un senso di vuoto. L’uomo economicus è in realtà un essere contro natura perché l’economia è per le relazioni e non per tagliare i legami. Come non avvertire perplessità e turbamento di fronte a una cultura, diffusa nelle nostre società, più attenta a promuovere e legittimare per esempio il matrimonio omosessuale – visto come una conquista della civiltà e non come una decadenza dell’Occidente – che il matrimonio naturale, l’unico aperto alla vita e al futuro?L’uomo è innanzitutto e rimane un cercatore di senso. Non è il caso di interrogarci se il mondo che stiamo costruendo non produce molti scartati (cf. i continui richiami di papa Francesco) con giovani “poveri di senso”?

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Non è forse qui l’altra radice del terrorismo, causato dal fascino che l’integralismo violento esercita su giovani “poveri di senso”? È questa la prospettiva che va tenuta presente con un’attenzione non uguale, ma molto maggiore di quanto ci si stia attivando per vincere il terrorismo con la forza delle armi e la distruzione causata dai bombardamenti. Alla sfida dell’integralismo terroristico, che affascina le menti e riscalda i cuori di alcuni dei gruppi dei nostri giovani, si risponde aumentando la ricchezza di senso della nostra cultura, iniziando a chiederci che vision, che idea abbiamo della scuola. È semplicemente assurdo perché fortemente rivelativo di come siamo messi – se la notizia riportata dai media risulta vera – che una gita scolastica in visita al Cristo di Chagall in mostra a Palazzo Strozzi a Firenze sia stata annullata da un Consiglio scolastico per non offendere gli allievi di fede musulmana. Cosa insegniamo ai nostri ragazzi? Una tolleranza politicamente corretta non nasconde forse un vuoto di senso, di identità, di mancanza di radici, di appartenenza e, quindi di futuro?Scossi e sgomenti siamo chiamati a ripensare profondamente la nostra cultura ricordando il valore infinito della vita umana, sempre e dovunque, di cui nessuno può disporre mai e in nessun luogo. E come non riconoscere al cristianesimo l’aver ridato dignità ad ogni persona umana, dal concepimento alla morte naturale, nel rispetto per la sua libertà che trova la realizzazione nella verità che è solo amore? Basta rileggere la Deus caritas est, la prima enciclica di Benedetto XVI, scritta dieci anni fa (porta

la data del 25 dicembre 2005), dove si ricorda che il cristianesimo ha nell’amore «il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana … Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio». Ecco la ragione del legame «inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo». Questo amore è credibile perché vera pienezza di senso. In Gesù Cristo è il nuovo e vero umanesimo che va ripensato e riproposto con convinzione e, specialmente, con coerenza di condotta bella e gioiosa – come ci ripete papa Francesco – nella nostra cultura aperta, inclusiva e rispettosa perché l’amore vero è sempre rispettoso, proponendosi ed esponendosi, e mai imponendosi.

L’Avvento che iniziamo ci ripropone il Dio vivo e vero perché umile nella grotta di Betlemme e amore crocifisso sul legno della croce. È il Dio-Amore che ha vinto il peccato e la morte morendo e risorgendo.

*OFMConv, docente di Teologia fondamentale

@fraterdominicus

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L’EUROPA E GLI EMIGRANTILA PROPOSTA FRANCESCANA TRA LIBERTà E ACCOGLIENZA

di Orlando Todisco*

È fondamentale l’inizio o ‘il cominciamento’. Come in campo teologico la conversione o meglio, il cambio di vita è provocato dall’accoglienza da parte di Dio - il primato della misericordia - così in campo esistenziale e politico l’accoglienza può contribuire a modificare il modo d’essere degli emigranti, irrigidendoli o flessibilizzandoli. Ma a quale condizione?

a. La cultura europea de-teologizzata – L’accoglienza in nome di una cultura de-teologizzata è davvero significativa? ed è in grado di dar vita all’integrazione dialogale? Finora sono state preminenti le questioni relative all’economia e alla sicurezza sul presupposto della denuncia comune del terrorismo. Il che induce a ritenere che la nostra cultura consideri tutto il resto secondario – religione, valori, senso – non attendendosi un granché dagli altri universi culturali. Se così, questa cultura è l’opposto speculare della cultura musulmana, che ritiene a sua volta le altre culture, perché ‘differenti’, inutili o dannose. Se ruota solo intorno a problemi economici e di sicurezza militare, lasciando in ombra tutto il resto, l’accoglienza non provoca una reazione amicale nel ‘sentire musulmano’, alimentato dalla fonte religiosa.

b. La cultura musulmana tendenzialmente teocratica – È noto che il testo sui diritti fondamentali dell’uomo approvato il 10 dicembre del 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite non fu sottoscritto dall’Arabia Saudita come da altri paesi arabi, a causa di sostanziali riserve in materia di libertà di coscienza e di matrimonio. Così come la Dichiarazione del Cairo dei diritti dell’uomo nell’Islam del 1990 non fu promulgata e la Carta araba dei dritti dell’uomo di quattro anni più tardi non fu ratificata. È la comunità che ha diritti, non il singolo membro. Molti Stati arabi si fondano unicamente sulla legge coranica, la quale non distingue il potere religioso da quello civile.

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Il giudice per esercitar bene il suo mestiere deve essere anche teologo, e il teologo in fedeltà alla sua missione indica al legislatore le norme da varare perché il cittadino viva in conformità ai

dettami del Corano. Ora, è possibile risolvere l’accoglienza limitandosi ai problemi relativi alla sicurezza militare, al terrorismo, all’economia, prescindendo da quest’anima religiosa che ne costituisce la forza coesiva? È possibile occuparsi del mondo civile, trascurando il mondo religioso, lasciando cioè ad altre istituzioni (per es. la Chiesa) il

dialogo su questi temi etico-teologici? Proseguire su questo binario non equivale forse a dar luogo a un dialogo tra sordi?

c. Dialogo tra sordi - Se i due moduli culturali sono così distanti l’uno dall’altro - l’Occidente non conosce che la ragione come strumento e spazio di discussione, il mondo islamico la religione - la convivenza sotto lo stesso tetto acuisce i contrasti e stabilizza la distanza. Non è forse vero che la ragione porta al controllo di ciò intorno a cui riflette, relegando la religione nel privato, perché e in quanto è incontrollabile, in contrapposizione all’impostazione islamica? Se è così - ed è così - è questa ragione che il mondo islamico combatte e rifiuta, quella che, ritenendola socialmente indisciplinabile, abbandona la religione agli umori del soggetto. Il problema allora è la ragione – non si può trascurare questo dato elementare e cioè non può essere la ragione a far sedere intorno a un tavolo Islam e Europa, dal momento che è proprio questa il pomo della discordia.

d. La libertà al posto della ragione - Allora - ecco la proposta francescana - non è la ragione il paradigma fondamentale, ma la volontà, secondo cui le cose non sono perché razionali, ma sono perché volute. E cos’è la verità se non la forma che assume la volontà o meglio la realizzazione dei suoi disegni? Mettere a fondamento la volontà equivale a dire che le cose sono non perché ne avessero diritto, ma perché gratuitamente volute e chiamate all’essere. Chi di noi viene all’essere da sé? Si viene all’essere perché sei chiamato da chi poteva non chiamarti. Dunque, l’altro che ha voluto o che ti ha voluto ti precede. Dunque, al centro la volontà dell’altro. Chi è l’altro e di chi la volontà? L’altro è Dio e la volontà è la sua. Su questo l’accordo dell’Islam è pacifico, soprattutto nella versione asciarita. Il dialogo Europa-Islam è per questa via possibile.

e. Divaricazione delle strade – Posto a fondamento la volontà, come intenderla? Come volontà di libertà o volontà di potenza? Ebbene, la posizione francescana è che la volontà di Dio è volontà di libertà. Egli crea, non distrugge; ci vuole concreatori, non esecutori; ci vuole simili a sé per nobiltà e apertura, non per remissione e sudditanza. Non è sufficiente amare Dio. È necessario amare come ama Dio, proteggendo, custodendo, perdonando, accogliendo.

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Sullo sfondo di questo paradigma - la volontà divina - come si fa a essere violenti e predatori; a non essere creativi e gratuiti, a non arricchire il banchetto dell’essere ma a depredarlo; a non proteggere l’altro sopratutto se debole dal momento che è a immagine di Dio? Ma anche a questo livello la strada è con alcuni percorribile, con altri senza uscita, fermi all’assunto generale secondo cui Dio ha parlato e a noi non resta che esser fedeli a quella parola, senza alcun commento.Il controllo, che l’Occidente realizza attraverso la ragione, il mondo islamico lo consuma attraverso la religione. Cosa, dunque, è davvero assente nell’uno e nell’altro versante? La libertà, come spazio per tutti e per ciascuno. Nell’un caso si ha la ragione scientifico-tecnica che, in misura che prende il sopravvento, trasforma il mondo in un enorme apparato tecnico; nell’altro la religione che, sacralizzando tutto, umilia l’uomo trasformandolo in eco di una voce lontana; nell’un caso conta l’efficienza, nell’altro l’ubbidienza. Fuori di quest’alternativa, il francescano propone come insostituibile fonte di dignità il territorio della libertà creativa, ove ognuno possa lasciare un segno del proprio passaggio nel tempo.

f. Dal paradigma teorico al paradigma pratico ovvero l’accoglienza – Se a livello teorico il panorama resta ondeggiante, occorre passare al livello pratico. L’importanza del periodo storico che stiamo vivendo sta proprio qui, nella conferma del grande ruolo che svolge la prassi ai fini della trasformazione della teoria. Al centro l’accoglienza degli immigrati, non filtrata però attraverso la ragione - necessari per far fronte ai problemi di lavoro, per la mano d’opera che scarseggia, per rimpinguare il fondo pensionistico attraverso l’immissione sul mercato di forze fresche … - ma testimoniata su quello sfondo di religiosità che la ragione tende a relegare nell’ambito del privato. In Austria e altrove la gente comune si è messa a disposizione, spinta dalla partecipazione a una situazione problematica rispetto a cui non si sente estranea. Ora, quale la forza teorica di questa testimonianza? Certo, da non riporre nella logica della ragione – il popolo non è sceso in piazza dietro il pungolo di calcoli o di interessi particolari, ma sotto l’onda prepotente di una solidarietà che viene da lontano – le radici cristiane dell’Europa. Occorre allora richiamare come modello la condotta liberale e effusiva di Dio, non trascurando la ragione, non però come padrona del territorio, ma come potenza preziosa per tradurre in concreto questa accoglienza amicale, religiosa e profondamente umana.

g. La forza retroattiva dell’accoglienza nei riguardi della cultura occidentale - La forza dell’accoglienza come movimento popolare sta nell’insieme dei presupposti dottrinali, altamente teologici, da richiamare, riattivando l’ispirazione cristiana della nostra cultura secolarizzata.

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Se a livello propriamente teorico la dimensione religiosa della vita viene relegata per lo più ai margini - è la ragione che la relega nel privato - grazie e attraverso l’accoglienza quella dimensione religiosa si fa prepotentemente presente e diventa ‘pubblica’, senza con questo indebolire la separazione tra trono e altare, tra religione e politica. Il recupero delle implicazioni teologiche dell’‘accoglienza’ - il carattere sacro dell’altro, fine e non mezzo d’alcunché perché figlio di Dio - non comporta forse la problematizzazione della nostra cultura sostanzialmente mondanizzata e la riattivazione del fondo sorgivamente teologico?

h. La forza retroattiva dell’accoglienza nei riguardi della cultura degli emigranti - Se induce gli Europei a ripensare in modo più benevolo la matrice religiosa della propria cultura con uno stile di pensiero e di vita più flessibile, la forza significativa dell’accoglienza popolare induce gli emigranti a riflettere su ciò che la loro cultura non ha e cioè proprio questa accoglienza, espressione di quella libertà iscritta nel fondo di ogni essere umano. Da qui una sorta di ripensamento complessivo da parte del mondo islamico intorno alla cultura ereditata, che forse sul lungo periodo potrà dare ottimi frutti – le nuove generazioni chiederanno conto del perché vivano là dove non son nate e la risposta non potrà essere che la mancanza della libertà. Più del dibattito culturale, può forse la prassi popolare, le cui espressioni di vita rinviano a quella pluralità di motivi sorgivamente religiosi che inducono alla riflessione e al cambiamento oltre che di sguardo, anche ‘categoriale’.

Se è assoluta e senza condizioni, l’accoglienza diventa proprio per questo potente motivo di autoriflessione su ciò che è assente nella propria cultura. Si rivada alla parabola evangelica del Figliol prodigo – constatando che il padre l’accoglie festeggiandone il ritorno, quel figlio egoista e presuntuoso ripudia il precedente stile di vita e riprende a vivere da figlio riconoscente. La conversione dopo l’accoglienza, il pentimento dopo il

perdono. È il fascino segreto del primato della misericordia.

*OFMConv, docente di Filosofia francescana

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IL GIUBILEO ATTRAVERSO I SECOLI

di Tomislav Mrkonjić*

Due anni dopo la sua elezione, papa Francesco, con la bolla Misericordiae vultus ha indetto il 13 marzo 2015 un altro Giubileo straordinario che si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione di Maria e si chiuderà il 20 novembre 2016, solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo. Nella serie degli anni santi, ordinari e straordinari, questo è il trentesimo anno giubilare. È dedicato alla misericordia e ai 50 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II.Rifacendosi al Giubileo ebraico, celebrato ogni 50 anni (caratterizzato dal riposo della terra, la restituzione delle terre confiscate e dalla liberazione degli schiavi) il Giubileo cristiano, come è ben noto, ebbe inizio con la bolla Antiquorum habet fida relatio di papa Cajetani, Bonifacio VIII (*1230, papa 1294-1303), datata il 22 febbraio 1300, festa della Cattedra di San Pietro.L’incipit della Bolla Antiquorum habet intendeva riprendere la tradizione secondo la quale si poteva lucrare l’indulgenza plenaria in occasione dell’apertura del nuovo secolo; per questa ragione l’avvio del Giubileo fu fissato dall’inizio dell’anno 1300 computato secondo lo stile dell’Incarnazione (25 marzo). La data del 22 febbraio (quindi del 1299), la festa della Cattedra di San Pietro si inserisce, probabilmente, nel quadro della lotta tra Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo IV di Valois, detto il Bello, e intende sottolineare il primato del potere spirituale rispetto a quello temporale del re, nonché della Chiesa in generale rispetto al nascente stato nazionale. È inoltre da rilevare che la bolla non parla dell’elemosina, ma solo dell’indulgenza plenaria che si poteva lucrare visitando, trenta volte se i pellegrini erano romani, e quindici se erano stranieri, le basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura per tutta la durata dell’anno 1300, previa contrizione e confessione dei peccati.Clemente VI (*1291, papa 1342-1352) nel 1350 ridusse l’intervallo di 100 anni a 50, per parificarlo al Giubileo ebraico, nonché per permettere a ciascuno di lucrare l’indulgenza plenaria giubilare; Urbano VI (*1318, papa 1378-1389) ridusse l’intervallo a 33 anni (durata della vita terrena di Gesù), però morì prima di iniziare le celebrazioni; Paolo II (*1417, papa 1464-1471) infine ridusse l’intervallo agli attuali 25 anni. L’ultimo Giubileo ordinario fu quindi celebrato nel 2000.

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giubileo della misericordia

I giubilei straordinari ebbero inizio con Pio XI che con la bolla Quod nuper l’8 aprile 1933 indisse il Giubileo straordinario dedicato alla ricorrenza centenaria della Redenzione e, data la situazione nell’Europa, alla pace. Giovanni Paolo II nel 1983, in occasione del 1950º anniversario della morte e risurrezione di Gesù, indisse un altro Giubileo straordinario, e Benedetto XVI proclamò l’Anno Paolino, dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 dedicato a San Paolo in occasione del bimillenario della nascita dell’Apostolo.“Misericordiosi come il Padre, è il motto dell’Anno Santo” straordinario indetto da papa Francesco. Anche se tutti i Giubilei sono dedicati alla misericordia di Dio, la Chiesa in modo speciale da Giovanni XXIII in avanti ha dato spazio alla “misericordia”; Paolo VI e Giovanni Paolo II l’hanno privilegiata (dilatantur spatia caritatis) e la predicazione di Papa Francesco è tutta ispirata alla misericordia.La Misericordia e il Vaticano II sono quindi i fari che ci guideranno nel Giubileo di papa Francesco.

La misericordia perché “La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la misericordia di Dio. La sua vita è autentica e credibile quando fa della misericordia il suo annuncio convinto. Essa sa che il suo primo compito, soprattutto in un momento come il nostro colmo di grandi speranze e forti contraddizioni, è quello di introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di Dio, contemplando il volto di Cristo.” (MV, n° 25).

E il Vaticano II perché la Chiesa di nuovo sente il bisogno dell’aggiornamento. In altre parole perché la Chiesa vuole essere inclusiva e non esclusiva, avvicinare e avvicinarsi al mondo sempre più globale e sempre più lontano dai “valori non negoziabili”.A questo bisogna aggiungere l’aspetto personale della spiritualità di Papa Francesco, riconoscibile anche nella scelta di dedicare il Giubileo alla misericordia. Aderendo all’iniziativa della Treccani, rivolta a una cinquantina di personaggi, di indicare la parola che ha “cambiato la propria vita”, papa Francesco ha scritto: “Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore: la misericordia”. Ha ribadito, quindi, la scelta del suo motto sullo stemma pontificio miserando atque eligendo, il programma che con tenacia e vigore cerca di imprimere nella vita della Chiesa.

*OFMConv, docente di Storia della Chiesa

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DOVE È MISERICORDIA E DISCREZIONE, IVI NON È SUPERFLUITÀ NÉ DUREZZA LA MISERICORDIA SECONDO SAN FRANCESCO D’ASSISI

di Emil Kumka*

Il titolo è la citazione proveniente dall’Ammonizione XXVII, 6, e credo che esprima in modo assai esplicito la misericordia come l’ha intesa, vissuta e insegnata il Serafico Padre. Le opposizioni lessicali, tanto tipiche e caratteristiche del suo espletare le realtà divine e spirituali immersesi nella umana limitatezza, fanno capire gli accenni e la spiccata sensibilità verso la misericordia, di cui lui per primo fu benefattore e fattore, secondo le parole del Testamento: Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia (Test 2). Usare la misericordia ha il significato attivo e passivo, ogni volta quando viene adoperata giova sia per chi la riceve sia per chi la offre. Perché? Semplice: la misericordia - essendo attributo della Carità - è sempre creatrice, sanatrice e legatrice, eliminando ciò che è contrario al senso divino dell’agape è condivisione di tutto per il bene di ognuno.Ritengo significativo il legame dei contrari usati dal Santo nel versetto che propongo nel titolo. La misericordia impone discrezione, silenzio, povertà dei gesti e delle parole, perché l’amore è silenzioso, non sopporta clamore, grido, faccia, bella figura, posto d’onore e laudi pubbliche, ciò che noi miserabili cerchiamo fino allo sfinimento morale, spirituale, psichico e a volte fisico. Non abbiamo capito un tubo dell’amore… Francesco invece sì, perciò tutti lo vogliono e lo cercano, perché è intrinseco nella natura umana, creata a immagine e somiglianza di quella divina, di tendere, di seguire, di annusare il bene autentico e le sue più svariate espressioni. Quando invece il rumore inizia a prevalere diamo tutto il peggio di noi nelle espressioni fanatiche, talebane, guidate dall’inviolabile prevaricazione.

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Ciò comunque vestito in drappelli di osservanza del diritto e delle regole, della tradizione, delle mille leggi umane formate per perversare la troppo esigente, e secondo umani insensata, logica di Dio basata sulla misericordia e discrezione. Siamo malati, dobbiamo riconoscerlo e lasciare fare a Dio perché ci guarisca con la sua misericordia, guidandoci verso una nuova mentalità di vivere. San Francesco è stato definito Alter Christus per la sua piena conformazione a Gesù, ma lui non si è mai sentito un “perfetto”, quanto piuttosto un bisognoso della misericordia di Dio perché siamo fermamente convinti che non appartengono a noi se non i vizi e i peccati (RnB XVII,7). Il Serafico Padre, poi, scrisse nella Lettera ad un Ministro le parole che sono un vero inno francescano di misericordia:

E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me servo suo e tuo, se farai questo, e cioè che non ci sia alcun frate al mondo che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo, che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia di tali fratelli. E notifica ai guardiani, quando

potrai, che tu sei deciso a fare così. […] Se qualcuno dei frati per istigazione del nemico avrà peccato mortalmente, sia tenuto per obbedienza a ricorrere al suo guardiano. E tutti i frati che fossero a conoscenza del suo peccato, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma abbiano grande misericordia verso di lui e tengano assai segreto il peccato del loro fratello, perché non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati. […] Lo stesso custode poi provveda misericordiosamente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesimo, se si trovasse in un caso simile. (EpMin 9-12, 14-15, 17).

Egli mostra come la misericordia riporta l’altro alla vita nonostante qualsiasi peccato, proprio il contrario di quello che facciamo quando diciamo a una persona che ha sbagliato: “per me tu sei morto!”. Stiamo alla vigilia dell’Anno Giubilare della Misericordia annunziato dal papa Francesco. Nel XIII secolo san Francesco chiese e ottenne l’indulgenza della Porziuncola, chiamata oggi Il perdono di Assisi. Conosciamo l’episodio, ma sono convinto che pochi, se non addirittura nessuno, riesce a trovare nelle Fonti francescane la descrizione del fatto. Affinché non rimaniamo ancora ignari propongo un brano del Diploma del vescovo Teobaldo d’Assisi.

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Stando il beato Francesco presso Santa Maria della Porziuncola, il Signore durante la notte gli rivelò che si portasse dal sommo pontefice, il signor Onorio, che temporaneamente si trovava a Perugia, per impetrare l’indulgenza per la stessa chiesa di Santa Maria della Porziuncola, appena da lui restaurata. Egli […] si presentò davanti al detto signor Onorio e disse: «[…] Supplico vostra santità che l’arricchiate di un’indulgenza senza offerte di denaro». Egli rispose: «Non è conveniente fare questo perché chi richiede un’indulgenza, bisogna che la meriti dando una mano. Ma dimmi di quanti anni vuoi e quanta indulgenza vi debba concedere». E santo Francesco replicò: «Santo padre, la sua santità voglia dare non anni, ma anime». E il signor papa riprese: «In che modo vuoi anime?». Il beato Francesco dichiarò: «Santo padre, voglio, se piace a sua santità, che quanti verranno in questa chiesa confessati e pentiti e, come è conveniente, assolti dal sacerdote, vengano liberati dalla pena e dalla colpa in cielo e in terra dal giorno del battesimo fino al giorno e all’ora della loro entrata nella suddetta chiesa». (Diploma di Teobaldo, FF 2706/10-11).

*OFMConv, Docente di Francescanesimo

Con questi due articoli, San Bonaventura informa inaugura la nuova rubrica che accompagnerà il Giubileo della Misericordia (8 dicembre 2015- 20 novembre 2016). Uno spazio per approfondire il senso di questo Anno Santo indetto da papa Francesco.

Per seguire, passo dopo passo, gli eventi:sito del Giubileo

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RICONOSCERE L’ECCE DEUS NELL’ECCE hOMO

di Domenico Paoletti*

Si è da poco concluso il quinto Convegno nazionale delle Chiese che sono in Italia. Un appuntamento decennale, che segna il cammino della Chiesa italiana nel dopo Concilio, atteso per la tematica al centro del dibattito culturale e della crisi odierna, sempre più compresa come “questione antropologica”. L’icona che riassume il convegno è senz’altro l’ecce homo, la scritta che l’angelo tiene sopra il

capo del Cristo glorioso nell’affresco della cupola del Brunelleschi di Santa Maria in Fiore dove si è celebrato il convegno. La scritta fa riferimento all’esclamazione di Pilato o, secondo alcuni esegeti, nel testo greco del IV Vangelo sarebbe Gesù stesso a dire Ecce homo. Il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, nel saluto iniziale ha ricordato che la cattedrale che accoglie i convegnisti, è la casa della fede e della cittadinanza, “frutto della cultura di un popolo consapevole di quale fosse la radice che la faceva germinare e che alimentava l’umanesimo che andava costruendo per offrirlo come un dono all’intero mondo. Tale radice era così chiara alla coscienza di questo popolo che la fece incidere sul cielo a cui rivolgeva lo sguardo in questo luogo sacro, nel miracolo ardito e perfetto della cupola di Filippo

Brunelleschi, dove volle fosse l’immagine della meta verso cui siamo in cammino, che ha al suo centro Gesù, in cui riconosceva la pienezza dell’umano. «Ecce homo», proclama l’angelo che scorgete sopra il capo del Cristo glorioso, volto compiuto del disegno d’amore del Padre sull’umanità. In questa indicazione il Convegno ha già il cammino tracciato”. La stessa icona è stata ripresa da papa Francesco nel suo magistrale discorso del 10 novembre: “Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è Ecce Homo. Guardatelo e lasciate che vi guardi”. Partendo da questa icona, il papa ha parlato dei sentimenti di Gesù: umiltà, disinteresse e beatitudine che sono i segni dell’umanesimo cristiano - del nuovo e vero umanesimo - e i tratti del suo corpo che è la Chiesa. Il papa ha sottolineato che Gesù Cristo è il nuovo umanesimo, quel Gesù che non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione.

ecclesia

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Papa Francesco ha ribadito che possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo, volto di un “Dio svuotato”, simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati. La Chiesa più che elaborare visioni antropologiche spesso astratte, è chiamata a riconoscere e ad aiutare a riconoscere Cristo che si incarna in ogni uomo.

Allora dire ecce Deus vuol dire ecce homo. Questa è la novità inaudita e la verità del cristianesimo, pienezza di umanità. Il discorso del papa, da riprendere e assimilare, ha riproposto una visione “sacramentale” del nuovo umanesimo che trova la sua fondazione e il suo statuto veritativo-agapico sul mistero dell’incarnazione del Verbo eterno di Dio che chiama l’uomo a partecipare alla sua stessa vita divina, una partecipazione che passa attraverso il

fratello da amare come Lui ci ha amato, “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Il convegno ha avuto solo due relazioni che hanno offerto stimoli e prospettive per i lavori di gruppo, secondo le cinque vie (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) suggerite nella Traccia verso Firenze. La prima affidata al sociologo Mauro Magatti che parlando dell’Italia in crisi di identità ha suggerito tra l’altro “se prestiamo ascolto non a ciò che è gridato, ma a ciò che è sussurrato, possiamo capire che ciò che ancora manca all’umanesimo del nostro tempo è ammettere che la misura dell’uomo non sta in nessuna misura. La sua misura non si può colmare con nessuna potenza. Non sta in nessun consumo. In nessuna tecnologia. In nessun potere. In nessuna procedura, in nessun progresso. Ciò che ci manca lo possiamo riconoscere “aprendoci alla logica della concretezza, intesa come pratica di affezione (amore) aperta alla trascendenza e per questo capace di ricomporre la frammentazione che dilaga nella nostra vita personale e sociale”. In uno dei passaggi Magatti ha richiamato come “senza il movimento dell’uscire - che si declina prima di tutto nell’ospitalità, cioè nel far entrare - non sarà possibile riaccendere quel dinamismo vitale da cui deriva quella capacità di tenere insieme concreto e universale che è il segno più distintivo di ciò che è italiano”. La seconda relazione è stata quella del teologo Giuseppe Lorizio che ha presentato come la fede in Gesù Cristo genera un nuovo umanesimo, invitando a riconsiderare e a promuovere una cultura dei

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legami attraverso le alleanze, in particolare ha considerato l’alleanza uomo-natura, l’alleanza uomo-donna, l’alleanza fra generazioni, l’alleanza fra popoli, l’alleanza fra religioni, l’alleanza cittadino-istituzioni, l’alleanza Cristo-Chiesa.

Concludendo l’intervento il prof. Lorizio ha auspicato “una «cultura dell’incontro» e una teologia che sappia farsi carico dei conflitti ponendosi alle frontiere (papa Francesco) … Il nuovo umanesimo che si genera dalla fede è l’umanesimo della nuova alleanza, il cui memoriale si rinnova in ogni celebrazione eucaristica. Questa nuova alleanza, realizzatasi in Cristo, va vissuta e attualizzata nelle alleanze, spesso infrante o compromesse, che ciascuno di noi e le nostre comunità, con sporgenza verso la società civile, è chiamato a

porre in atto, custodendo legami e vincoli autentici e chiedendo e offrendo misericordia, perché avvenga ai diversi livelli una vera riconciliazione sul piano individuale e su quello comunitario”.Molto si è lavorato nei duecento gruppi, con sintesi in assemblea, attorno ai cinque verbi da imparare a ri-coniugare in Cristo per un nuovo umanesimo: uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare. Da evidenziare che il convegno, più che soffermarsi sui verbi, con riflessioni erudite e spesso astratte, si è caratterizzato per il dinamismo sinodale impresso dal discorso di papa Francesco. Lo stile sinodale di Firenze, richiamato e rimbalzato in tutti i gruppi di condivisione e nei vari momenti del convegno, sarà d’ora in poi la parola d’ordine e l’impegno della Chiesa italiana e delle nostre comunità cristiane. Una Chiesa che sta ricentrando la sua identità sulla categoria popolo di Dio chiamato a camminare insieme (= sinodos) verso la stessa meta (=metodos) che diventa metodo sinodale. Sentendo le risonanze dei partecipanti si coglie tale clima sinodale fraterno che ha caratterizzato il convegno.Per conoscere il nuovo e vero umanesimo occorre guardare Cristo perché «in realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (GS 22) e «chiunque segue Cristo, uomo perfetto, diventa anche lui più uomo» (GS 41). Concludendo questa breve nota sul convegno di Firenze non si può non riconoscere nello stile di Francesco di Assisi i tratti del nuovo umanesimo che è germogliato attorno alla sua figura evangelica di uomo “riuscito” grazie ai tratti della fraternità minoritica che abbraccia tutti e tutto con umiltà, gratitudine e gioia.

*OFMConv, docente di Teologia fondamentale

@fraterdominicus

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TOMMASO DA CELANO: LA VICENDA LEGATA ALLA BEATIFICAZIONE

Prosegue l’approfondimento su Tommaso da Celano, in vista del convegno internazionale, in programma il prossimo 29 gennaio al Seraphicum,

dal titolo “Tommaso da Celano, agiografo di san Francesco”

di Angelo Paleri*

Fra Tommaso da Celano morì il 4 ottobre 1260 nel monastero delle Clarisse di S. Giovanni in Val di Varri (Aq), presso cui prestava servizio come confessore, ed il suo corpo fu sepolto in chiesa separatamente, non insieme agli altri defunti. Quando il monastero fu abbandonato dalle Clarisse (intorno al 1476, secondo il Wadding), i Minoriti del convento di Tagliacozzo (Aq) ne prelevarono i resti mortali per seppellirli nella propria chiesa di S. Francesco, a cui il frate apparteneva de familia, mentre manteneva la cura delle monache.Di conseguenza il 16 marzo 1517 su richiesta del vescovo dei Marsi Giacomo Maccafani, il giudice Giovanni Luchino Arnuzzi, Delegato del papa Leone X, de mandato Domini papae, auctoritate apostolica nobis commissa et qua fungimur in hac parte, elaborò il “Monitorio contro il Guardiano e Custode di S. Francesco di Tagliacozzo [Frater Dominicus] e gli altri frati che ardirono trasportare alla loro chiesa il Corpo del B. Tommaso”. Fra Domenico, il guardiano del convento di Tagliacozzo, sicuramente si oppose all’ingiunzione di restituire questa preziosa reliquia, e benché non sia noto dalle fonti il seguito del processo, ogni secolo successivo ne testimonia l’esistenza nella chiesa di Tagliacozzo.Come è confermato dalle testimonianze scritte dei secoli seguenti, che lo chiamano con i nomi di beato o santo, la presenza del corpo di Tommaso da Celano è al centro della devozione dei fedeli di tutta quella zona. Ma, a differenza di numerosi altri membri dei tre ordini francescani del primo secolo, per fra Tommaso da Celano non ci sono indizi per provare che si sia intrapresa la strada affinché ne fosse riconosciuto il culto ab immemorabili praestito, secondo la legislazione introdotta da Urbano VIII nel secolo XVII.

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MAESTRI FRANCESCANI

Frattanto, al termine di una ricognizione dei resti mortali, avvenuta probabilmente nel 1758 (di cui non sono stati ancora ritrovati gli Atti, ma di cui si sono visti chiarissimi indizi nella ricognizione successiva) tali resti vengono riposti in un’urna con la scritta: B. Thomas de Celano Sancti Francisci Discipulus Scriptor Chronicar et Sequentiae Mortuor, mentre una lapide nell’altare maggiore dello stesso periodo gli si riferisce come B. Thomae.

Soltanto nel secolo XX si prende decisamente la strada proposta da Urbano VIII per ottenere nella Chiesa la decisione ufficiale della santità di fra Tommaso da Celano, apparentemente mai concessa prima. Il 24 settembre 1960, in occasione del settimo Centenario della sua morte, il vescovo di Avezzano (dei Marsi = Marsorum), Mons. Domenico Valerii, ne permise la ricognizione del corpo, presente una notevole folla di fedeli.Alcuni anni dopo, il 24 maggio 1968, il medesimo vescovo nominò una Commissione Storica per raccogliere e vagliare il molteplice materiale (autobiografico, biografico, processuale, cultuale, iconografico, bibliografico), composta dai seguenti: prof.ssa Fausta Casolini OFS (presidente), p. Giovanni Odoardi OFMConv., dott. Michele Carusi.

Il loro materiale, raccolto in tre volumi dattiloscritti e successive aggiunte, venne inviato all’esame dell’Ufficio Storico-agiografico della Congregazione per le Cause dei Santi, tramite l’istanza del Postulatore generale OFMConv. del tempo, p. Antonio Ricciardi OFMConv.Finalmente l’8 settembre 1970 lo stesso vescovo istruì il Tribunale per il Processo super cultu ab immemorabili praestito, i cui Atti vennero esibiti alla Congregazione per le Cause dei Santi il 16 dicembre 1971. Aperti i sigilli il 16 febbraio seguente, il Relatore generale dell’allora Ufficio Storico, p. Melchiorre da Pobladura OFMCap. consegnò alla Postulazione uno schema da seguire nell’elaborazione della Positio, con l’intenzione di sintetizzare il risultato della Commissione Storica. Negli anni seguenti (1973-1980) vengono redatti tre successivi tentativi di Positio, che trovano tre diversi Relatori generali in carica nell’Ufficio Storico della Congregazione, e che vengono da costoro considerati insufficienti.Con la promulgazione della Divinus Perfectionis Magister (25 gennaio 1983) cambia notevolmente la legislazione riguardo alle cause storiche, per le quali diventa necessario dimostrare l’eroicità delle virtù dei Servi di Dio vissuti in un tempo del quale non restano più testimoni oculari (sia in tempi più recenti, come un secolo fa, come addirittura diversi secoli fa).In primo luogo viene adempiuta una formalità a cui non si era ancora giunti: il 27 novembre 1991 viene concesso il voto di validità per il Processo di Avezzano portato avanti nel 1970-71. Al tempo stesso era stato nominato un nuovo Relatore della Causa nella persona di Yvon Beaudoin, OMI, sostituito al termine del suo mandato (14 giugno 1996) da p. Cristoforo Bove, OFMConv., che purtroppo muore nel 2010.

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Inoltre viene incorporato al materiale raccolto un prezioso studio giuridico-storico sul Monitorium, redatto dal noto giurista e storico francescano, p. Andrea Boni OFM.Con le nuove norme si doveva comunque procedere super cultu ab immemorabili praestito atque super virtutibus. Questo rendeva particolarmente arduo proseguire nella Causa di fra Tommaso, in quanto sono realmente scarse o quasi inesistenti le testimonianze super virtutibus, a meno che non le si desuma dai suoi stessi Scritti: ma la cosa non è del tutto accettabile nell’attuale prassi della Congregazione! Il seguente Postulatore generale, p. Ambrogio Sanna OFMConv., riordinò il Summarium Documentorum con l’aiuto di p. Giovanni Odoardi OFMConv., mentre il suo successore p. Cristoforo Zambelli OFMConv., curò un voluminoso aggiornamento bibliografico, per facilitare la realizzazione di una futura Biographia ex Documentis.Più recentemente la Congregazione ha nominato il 31 marzo 2014 un altro Relatore, p. Vincenzo Criscuolo OFMCap., mentre il nuovo collaboratore esterno per la redazione della Positio, Giuseppe Casarin, ha aggiornato ulteriormente la bibliografia. Resta tuttavia aperta la ricerca archivistica per ulteriori informazioni sulla fama sanctitatis del nostro frate, importanti per arricchirla.

*OFMConv, Postulatore generale dell’Ordine

“TOMMASO DA CELANO, AGIOGRAFO DI SAN FRANCESCO” 29 gennaio 2016 - Auditorium del Seraphicum (via del Serafico, 1 Roma)

Sessione della mattina: ore 9-13 / Sessione del pomeriggio: ore 15-17.30

Il programma del convegno

Contatti:[email protected]@gmail.com

Info utili: Metro Linea B, fermata Laurentina / Autobus 30, 31,761, 764, 765 / Parcheggio interno

Possibilità di pernottare e consumare i pasti presso il Seraphicum

Per informazioni e prenotazioni: [email protected] Sito web per le info sull’accoglienza: www.seraphicum.org

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PADRE GIUSEPPE SCOMA, MISSIONARIO TRA I LEBBROSI IN ZAMBIA

di Francesco Costa*

Lo scorso agosto, nell’aula consiliare del Comune di Prizzi (Palermo), alla presenza tra gli altri del Ministro provinciale p. Giambattista Spoto, è stato commemorato nella sua città natale il missionario francescano dei Frati Minori Conventuali p. Giuseppe Scoma, operoso e indefesso lavoratore nella Vigna del Signore.Nato a Prizzi (Palermo) nel 1923, professo tra i Minori Conventuali a Montevago (Agrigento) nel 1939, ordinato sacerdote a Palermo nel 1947, nello stesso anno tornò a Montevago. Qui lo ebbi Vicerettore (con poteri di Rettore), ma anche professore di letteratura italiana e di scienze matematiche negli anni 1948-50. Da Rettore sapeva usare con i postulanti un occhio severo e l’altro sorridente, trattando tutti paternamente e in modo imparziale. Ci educava al culto del canto, disponendo egli di gradevole voce tenorile, non gagliarda ma intonata. Era anche un abile esecutore al pianoforte.Dotato di buona comunicativa, come docente riuscì a farmi capire qualcosa degli odiati e ormai dimenticati logaritmi. Più duraturo, anzi grato, il ricordo delle sue lezioni sul capolavoro di Alessandro Manzoni, I promessi sposi, dal quale era affascinato. Contagiati dall’entusiasmo del professore, gli alunni ne seguivano con interesse i sapidi rilievi sulla personalità del Manzoni, sul suo stato di grazia nel costruire i vari personaggi fantastici e storici del romanzo, sulla psicologia dei protagonisti principali (Renzo e Lucia, don Abbondio, p. Cristoforo, Gertrude, l’Innominato…), non trascurando di far risaltare l’umorismo manzoniano, la bellezza poetica delle descrizioni, la sapienza dei paragoni, la ricchezza degli aforismi e delle similitudini.Da Montevago passò a Marineo (Palermo), svolgendo ancora l’incarico di Rettore, e abbinando, suppongo, la stessa attività di docente fino al 15 agosto 1955, quando il Ministro generale del tempo, p. Vittorio Costantini (poi vescovo), gli permise di coronare il sogno, accarezzato fin dal suo ingresso in collegio, di recarsi in terra di missione. Seguì una breve sosta di preparazione a Roma e poi, senza far ritorno in Sicilia per evitare ai familiari il dolore del distacco, partì alla volta della Rodesia del Nord, oggi Zambia, presso la Missione di San Francesco dei Frati Minori Conventuali in Solwezi.Ben sapeva il giovane p. Giuseppe Scoma che recarsi in missione non era come andare a diporto. Cominciò a lavorare tra i lebbrosi, allora molto numerosi in Zambia. Non mancava d’estro e d’inventiva. Il suo obiettivo era studiare il modo d’aiutare i poveri malati e render meno precaria la loro esistenza.

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storia e personaggi

Nacque così in piena foresta, a circa 50 km. da Solwezi, pur tra immaginabili fatiche, un grande complesso (lui fondatore e animatore), comprendente un lebbrosario, un ospedale con piccolo aeroporto, appartamenti per le famiglie dei ricoverati, una scuola per segretarie, la scuola primaria: il tutto sistemato in vari plessi, dotati di energia elettrica e acqua potabile.Un lavoro umanitario di così ampio respiro, sorto per la cura e il sostegno dei malati di lebbra, non poteva essere ignorato dalle pubbliche autorità. Il 25 maggio 1987 il Presidente dello Zambia, Kenneth David Kaunda, in segno di stima e di gratitudine, nel corso di una solenne cerimonia nella capitale Lusaka, conferì al p. Scoma un caratteristico collare con medaglione (già concesso al fondatore della missione mons. Francesco Mazzieri), “per meriti filantropici”. In quell’anno (1987) p. Scoma aveva trascorso in missione ben 32 anni. Rimase a lavorare sul posto svolgendo le mansioni di parroco e anche di Guardiano. Ottimo conoscitore del kaonde, la lingua in uso nella zona di Slwezi, iniziò la faticosa traduzione di tutti i libri liturgici riformati dal Concilio Vaticano II (messali, lezionari, liturgia dei sacramenti e dei sacramentali), completandola in Sicilia, dove dopo 40 anni di vita missionaria, nel 1994, per la malferma salute, era tornato definitivamente. Purificato da lunga sofferenza, p. Giuseppe Scoma a 82 anni chiudeva la sua intensa giornata terrena a Palermo l’8 agosto 2005, presso la parrocchia del S. Cuore (Noce). È sepolto a Prizzi nella tomba di famiglia.In Zambia la memoria del p. Giuseppe Scoma è più viva che mai. Nell’estate scorsa erano in Sicilia, il Ministro della Giustizia zambiano, dr. Ludovico Sondashi con la moglie Virginia. Il 26 luglio, entrambi hanno voluto recarsi a Prizzi per un omaggio di gratitudine alla tomba dell’indimenticabile “bwana” Scoma, per 40 anni amico e benefattore del popolo zambiano, specialmente dei più fragili e deboli. Il Ministro zambiano Sondashi ha avuto anche modo di ricordare le benemerenze di “Father Iosif” nei suoi confronti, per essere stato battezzato, e poi protetto e aiutato con tanto amore nella vita, nello studio e nella formazione.Nell’accennata commemorazione a Prizzi per il decennale della morte del p. Scoma, la figura dell’insigne missionario prizzese, poco nota anche in patria, è balzata a tutto tondo nella Relazione del p. Felice Fiasconaro, Superiore e professore al Seraphicum di Roma: “Una vita per la Missione”, puntuale rievocazione del religioso e missionario siciliano dalle rare capacità organizzative. Molti gli interventi di personaggi della cultura, tra i quali piace citare quello della nipote del missionario, Rosalia Spallina Scoma. Presente anche l’ispiratore della manifestazione prizzese, p. Giorgio Leone, che ha riproposto la proiezione del filmato che evoca le imprese missionarie del p. Scoma: Zambia regno di speranza, su testo di p. Gianfranco Grieco e regia del giornalista Dante Alimenti. Ha concluso il Sindaco di Prizzi Luigi Vallone, che, salutando i convenuti, ha preannunciato la dedica di una via cittadina al p. Giuseppe Scoma.

*OFMConv, docente emerito della Facoltà

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Fra Felice Fiasconaro

UNA CATTEDRA PER FAVORIRE IL CONFRONTO TRA LE CULTUREE UNA CONVIVENZA CHE MIRI AL BENE DELL’UOMO

di Biagio Aprile*

L’esperienza della Cattedra di “Dialogo tra le Culture” nasce otto anni fa sulla base di alcune riflessioni circa l’importanza di una presenza della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” in Sicilia, a Ragusa in particolare, sede di uno dei conventi più antichi dell’Ordine. L’istituzione di una Cattedra, in tal senso, costituirebbe uno dei canali attraverso cui una Facoltà si rende presente in un determinato territorio.Sono stati molteplici i fattori che hanno spinto ad intraprendere una tale iniziativa: l’affermarsi del fenomeno sempre più consistente dei flussi migratori; le trasformazioni socio-culturali dell’ambiente in tempi rapidissimi; il bisogno di offrire un servizio qualificato circa la comprensione dei fenomeni interculturali in atto e le ricadute nel territorio; offrire, infine, un apporto teologico capace di declinarsi in percorsi formativi per i diversi ambiti della società. Nello spirito del dialogo, la Cattedra è frutto di una sinergia di forze che vede in campo come enti promotori la Facoltà Teologica “San Bonaventura”, la Diocesi di Ragusa e la Provincia dei Frati minori conventuali di Sicilia; mentre, nel tempo, ha stretto relazioni di collaborazione con diverse istituzioni laiche, quali Università statali italiane (Catania, Bergamo, Pisa), Università straniere (La Manouba di Tunisi), e con Ordini professionali quali medici, avvocati, ingegneri, architetti.Obiettivo primario della Cattedra è favorire, in chiave multi e trans-disciplinare, i presupposti fondamentali per un dialogo tra le culture, sviluppando i grandi temi: Dio, l’uomo e il mondo inerenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam. Attraverso un’attività formativa integrale, ovvero capace di studiare l’essere umano sotto le sue diverse dimensioni, la Cattedra mira altresì ad una esperienza concreta di dialogo interculturale e interreligioso, usufruendo dei contributi di esponenti di diversa estrazione culturale, affinché sia anche frutto di un vissuto, animato dalla comune ricerca di Dio e del Bene dell’uomo.

il dialogo in cattedra

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Il metodo è quello di affrontare i temi in maniera scientifica, ma anche trasversale, nel senso di un dialogo tra le diverse discipline nel contesto della complessità dei saperi e quindi come una valida risposta al richiamo alla Nuova evangelizzazione fatto dagli ultimi Pontefici e più volte oggetto dei documenti del nostro Ordine.Oggi, alla luce dei grandi stravolgimenti epocali in cui siamo immersi, la Cattedra è attenta a mantenere uno stile umile di servizio accademico-culturale. Rappresenta un punto di riferimento in un territorio che ha visto la chiusura di quasi tutte le facoltà universitarie, sorte contemporaneamente ad essa. Ma, soprattutto, cerca di risponde all’urgente esigenza di accompagnare processi educativi e

formativi che aiutino a ricomporre il tessuto sociale molto frammentato e svuotato dei valori significativi e largamente condivisi. A tal proposito non possiamo non fare un breve cenno agli angoscianti fatti di Parigi che aprono questioni antiche e nuove di non facile soluzione, sintetizzate in due grandi problematiche di fondo, comuni a tutte le fedi religiose e laiche: il propagarsi delle ideologie e la ricerca di facili consolazioni in risposte banali e senza verità.

Come affermato di recente da Luigino Bruno, giornalista di Avvenire: “Fede e ideologia crescono assieme, intrecciate una dentro l’altra e solo un lavoro duro e intenzionale può e deve ogni tanto distinguere e separare. La produzione di false - in quanto facili - consolazioni è un tipico frutto di una fede diventata ideologica. Si inventano paradisi artificiali, sicuri e chiari al posto di quello vero, incerto e misterioso e si generano illusioni solo perché incapaci di elaborare le delusioni di una fede non vana” (In cerca di chi cerca verità, in Avvenire 1.11.15).

*OFMConv, docente di Patrologia e direttore della Cattedra di dialogo tra le culture

Per maggiori informazioni sulla Cattedra: sito web

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VIAGGIO NELLA SOCIETà MEDIEVALE, AL CUORE DELL’ECONOMIA DI MERCATO

Oreste BAZZICHI, Dall’economia civile francescana all’economia capitalistica moderna. Una via all’umano e al civile dell’economia (con prefazione di Stefano Zamagni)Armando Editore, Roma 2015

Recensione a cura della Redazione

Come scrive Stefano Zamagni nella prefazione, il saggio di Oreste Bazzichi “è alquanto singolare nel panorama scientifico contemporaneo”; e lo è perché egli mostra, documenti alla mano, che la società medievale, a partire dal monachesimo di San Benedetto e proseguendo con l’analisi della Scuola fran-cescana nei secoli dal Duecento al Cinquecento, racchiude in sé il “cuore” dell’economia di mercato, nonostante il grande sociologo tedesco Max Weber attribuisca all’influsso dell’etica calvinista l’origine dello “spirito del capitalismo”, condizionando la posizione della storiografia economica moderna.In un’epoca di grandi trasformazioni socio-economiche i pensatori della Scuola francescana medie-vale e tardo-medievale, a contatto con il popolo e testimoni della cosiddetta “rivoluzione mercantile”, scelgono una alternativa al feudalesimo, teorizzando la cultura della persona umana nell’economia e il rapporto che questa deve avere con l’etica per la costruzione di una società all’insegna della sussidia-rietà e della solidarietà. Proprio ai francescani, fautori della povertà volontaria, è toccato muovere dal profondo della storia e portare a riva un’azione teorica e pratica molto efficace sul popolo, riuscendo a dare una forte accelera-zione al sistema sociale e allo sviluppo civile.Dunque, i filosofi e teologi francescani (Pietro di Giovanni Olivi, Giovanni Duns Scoto, Alessandro Bonini di Alessandria, Guglielmo d’Ockham, Astesano di Asti, Gerardo di Odone, Bernardino da Siena, Luca Pacioli, Alberto da Sarteano, Giovanni da Capestrano, Angelo Carletti da Chivasso, Bernardino da Feltre e tanti altri), consapevoli delle problematiche nuove che emergevano dalla società, hanno saputo sincronizzare attività speculativa con la pratica pastorale del vivere quotidiano in mezzo alla gente, il pensiero con l’azione, la mistica con il lavo-ro, l’economia con la felicità pubblica, il bene con il ben-essere, la teoria con la prassi.La prospettiva culturale nuova parte dalla distinzione tra una somma di denaro qual-siasi e una somma di denaro efficientemente inserita o da inserirsi all’interno di un processo produttivo.

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tra le righe

Giovanni Duns Scoto

Solo quest’ultima, infatti venne definita come “capitale” e solo a questa si associò un valore aggiunto (valor superadiungtus) legato alla possibilità di offrire un rendimento; ne conseguì che il prezzo del capitale aveva sempre un valore superiore al valore del denaro che lo misurava, e che doveva quindi essere remunerato come “lucro cessante”, oltre che come atto virtuoso attento al benessere collettivo. L’elemento discriminante – come precisa il teologo provenzale fra Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298) nel trattato di economia politica De emptionibus et venditionibus, de usuris, de restitutionibus – sta proprio nel firmo proposito del proprietario/capitalista/imprenditore di impiegarlo negli affari: questa distinzione costituì lo spartiacque tra l’interesse legittimo e l’usura proibita canonicamente.L’idea della produttività del capitale per lo sviluppo e il bene comune fu davvero rivoluzionaria e la si com-prende se si considera che il denaro diventava etico quando veniva immesso nel processo produttivo per una finalità di benessere collettivo. E la conseguente felice intuizione dei Monti di Pietà, fu un’istituzione cittadi-na, dedita all’assistenza, ma anche un’iniziativa di carattere economico-creditizio, che agì da ammortizzatore sociale in un contesto economico statico e soggetto a rapidi tracolli. Se i Monti di Pietà costituirono i prodromi delle odierne Casse di Risparmio e delle organizzazioni del cre-

dito cooperativo, i Monti Frumentari, che prestavano ai contadini il grano e l’orzo per la semina, evitarono anche ad essi, come agli artigiani ed ai piccoli imprenditori, il ricorso al prestito usurario. Secondo l’encicli-ca Caritas in veritate (2009) di Benedetto XVI questo metodo originale offre spunti e parametri per un rinnovato rapporto tra credito e cittadini anche oggi.

Lo studio di Oreste Bazzichi, partendo dai testi dei pensatori francescani, ci introduce ad un nuovo paradig-ma etico-economico che, in questo momento assai delicato della nostra storia e del nostro presente, non è fuori luogo proporre: la via all’umano e al civile dell’economia. Esso si sviluppa in sei capitoli, che affrontano, da angoli culturali diversi, un tema unitario: quello di una continuità del lessico socio-economico della Scuola francescana, fondata sulla tradizione filosofica volonta-ristica (e non dell’oggettivismo tomista). Il primo capitolo focalizza gli aspetti che riguardano il contesto politico, socio-economico, culturale e reli-gioso, che ha dato vita alla genesi della proposta francescana. Il secondo muove dalle origini del pensiero francescano: la storicizzazione dello Spirito Santo nei processi temporali, ideata da Gioacchino da Fiore e inaugurata da Francesco d’Assisi. Nel terzo viene preso in esame il contributo che la Scuola francescana, diede, sul piano teorico, all’elabo-razione dei primi indicatori economici, e sul piano pratico, ad istituzioni, capaci di supportare l’efficienza sociale e l’interazione tra capitale monetario e capitale umano e tra beni economici e beni relazionali. Il quarto capitolo presenta una lettura dei principi fondamentali che costituiscono i valori del nucleo del mo-dello socio-economico francescano: reciprocità, lavoro, gratuità, relazione, fraternità, bene comune. Il quinto capitolo mostra come i semina humanitatis dei pensatori francescani abbiano attraversato e influen-zato – lungo l’arco dei secoli – il paradigma socio-economico. Il sesto capitolo getta un ponte tra passato e presente, mostrando come le risposte dal passato siano motivi di riflessione alle domande del presente.

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HOLMES SENZA HOLMESIL NUOVO FILM DEDICATO AL PIù FAMOSO DEI DETECTIVE

di Emanuele Rimoli*

Un film di Bill Condon. Con Ian McKellen, Milo Parker, Laura Linney, Hattie Morahan, Patrick Ken-nedy, Hiroyuki Sanada. Drammatico (104 min), Gran Bretagna, USA 2015.

Negli ultimi anni Sherlock Holmes, il brillante e indomabile detective di Arthur Conan Doyle (1859-1830), ha acquistato una certa popolarità sul piccolo e grande schermo – si pensi ai due film di Guy Ritchie (Sherlock Holmes, 2009; Gioco di ombre, 2011) e la riuscitissima serie TV con Be-nedict Cumberbatch e Martin Freeman partita nel 2010 e ormai prossima a cominciare la quarta stagione. Ma questo nuovo Holmes rinnega parecchio quello dei rac-conti. Tratto dal romanzo di Mitch Cullin “A slight trick of the mind” (2005), l’infallibile detective di Baker Street è l’uo-mo senza il mito: non ha mai portato il berretto attribuitogli dall’amico Watson, non fuma la pipa e usa la lente solo ora che è anziano. Nel film di Bill Condon, infatti, Holmes è un anziano di 93 anni in pensione da tempo. Si è ritirato in una remota fattoria del Sussex con la signora Munro, sua governante, e Roger, il figlio della donna, un ragazzino dall’intelligenza vivace. Deduzioni più modeste hanno rimpiazzato gli acuti slanci logici con cui Sherlock anticipava le parole di un cliente o risolveva gli enigmi. Il nemico ormai è la vecchiaia o, meglio, la memoria che lo sta abbandonando, non più il temibile Mo-riarty. Mentre il film scorre, l’appassionato lettore di Conan Doyle aspetta il momento solenne in cui il cinismo, l’intelligenza e la pungente ironia del detective s’intrecciano ed esplodono in massime tipo: «Nulla è insignificante per una mente superiore», oppure la classica: «Il fatto è che lei vede ma non osserva; qui sta la differenza!».

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Cineforum

Ma se qui si cerca lo Sherlock Holmes dei racconti si rimane delusi: il ritmo è lento e malinconico, e il bravissimo Ian McKellen (Il Signore degli anelli; X-men; Lo Hobbit) incarna l’anzianità del detective fino all’esasperazione: colpi di tosse, affanno, momenti di totale assenza e brevi sprazzi di vivacità per piccoli e momentanei sforzi.

Il risultato è un Holmes senza energia né spigliatezza, ma completamente addomesticato e ammansito, privato di tutto ciò che lo rende Holmes. Senza la sua tipica spigolosità è un vecchio buono, a tratti dol-ce e rassicurante. Un personaggio come tanti altri. Un terribile tradimento di co-lui che diceva di sé: «Trascorro tutta la mia vita nel continuo sforzo di sfuggire alla banalità dell’esistenza». Se però ci si tappa il naso e si guarda il film “senza Holmes”, senza cioè sperare di vedere in azione lo Sherlock di Baker Street, il lavoro di Condon diventa una sorta di meditazione sulla vita, sul peso della solitudine e la bontà dei rapporti. L’unico mistero che Holmes deve affrontare, infatti, è proprio se stesso: la sopraggiunta vecchiaia e la perdita della memoria, il fallimento di un caso irrisolto e dall’esito tragico, i senti-

menti che si fanno meno domabili dal suo sempre più debole raziocinio euclideo, la solitudine che svela fragilità e paure. In questi termini il film svela il suo lato tenero, a tratti struggente, che racconta con toni delicati e un po’ rosei aspetti dell’anzianità che potrebbero appartenere a chiunque. «Eccellente» direbbe Watson; «Elementare» risponderebbe Holmes.

*OFMConv, Docente di Antropologia teologica e Direttore del Cineforum Seraphicum

@fratemanu

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appuntamenti

CINEFORUM SERAPHICUM

Nuova stagione per il Cineforum Seraphicum. Alle ore 21 del venerdì la proiezione nell’auditorium, in replica il sabato alle 16 con la partecipazione di ospiti che danno vita al dibattito di approfondimento sulle tematiche del film. Il programma delle prossime proiezioni: venerdì 27 e sabato 28 novembre: “Interstellar”, regia di Christopher Nolan;venerdì 4 e sabato 5 dicembre: “Il nome del figlio”, regia di Francesca Archibugi;venerdì 11 e sabato 12 dicembre: “Torneranno i prati”, regia di Ermanno Olmi;venerdì 18 e sabato 19 dicembre: “Il sale della terra”, di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado

IN CAMMINO VERSO IL NATALE

Il Seraphicum intraprende il cammino di preparazione al Natale con un nuovo ciclo di incontri biblici dal titolo “Dio con noi” - Il Vangelo del Natale secondo Matteo, promossi e tenuti da fra Germano Scaglioni, docente di Nuovo Testamento. Dopo il primo appuntamento, sabato 28 novembre sul tema “ Il Vangelo secondo Matteo”, il calendario prevede altre due meditazioni il 5 e 12 dicembre rispettivamente su “Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo (Mt 1)” e “La stella e le Scritture (Mt 2)” il 12 dicembre.

FEDEBOOK PER CONDIVIDERE IL VANGELO

Torna “Fedebook - Insoliti modi di condividere l’eterna Parola”, l’approfondimento settimanale del Vangelo a cura dei frati studenti della Sveglia Francescana. L’iniziativa prevede la condivisione, attraverso il canale YouTube del gruppo, di riflessioni sulla lettura del Vangelo delle domeniche e delle solennità. “Spazi per aprire il cuore su ciò che della Parola ci ha toccati - spiegano -, cercando di unire la freschezza dell’evangelizzazione di strada con lo studio teologico fatto nelle aule della Facoltà San

Bonaventura dei Frati Minori Conventuali”. I video saranno accessibili, oltre che dal canale YouTube e dalla pagina Facebook della Sveglia, sulle pagine Twitter e Facebook della Facoltà.

NELLA TERRA DEGLI INCA

Lunedì 30 novembre, a Cracovia, si svolgerà il convegno “Nella terra degli Inca”, organizzato dall’Istituto degli Studi Francescani. L’appuntamento conclude la preparazione in vista della beatificazione dei padri conventuali Michal Tomaszek e Zbigniew Strzalkowski - della Provincia di Sant’Antonio di Padova e del Beato Giacomo della Streppa - martiri del Perù, in programma il 5 dicembre a Lima. Nel corso del Convegno fra Emil Kumka, docente di Francescanesimo, terrà una relazione a carattere storico intitolata “La presenza francescana in Perù lungo i secoli”.

PREMIO “GIUSEPPE DE CARLI”

Si svolgerà giovedì 3 dicembre, a partire dalle ore 16, presso l’Aula Álvaro del Portillo della Pontificia Università della Santa Croce (Piazza Sant’Apollinare, 49 a Roma), la cerimonia di consegna della terza edizione del Premio giornalistico “Giuseppe De Carli”, introdotta da una tavola rotonda sul Giubileo della Misericordia. L’evento è promosso dall’Associazione culturale “Giuseppe De Carli - Per l’informazione religiosa”, con il patrocinio accademico della Pontificia Facoltà teologica “San Bonaventura” – Seraphicum e della Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce. Alla tavola rotonda, dedicata al tema “Comunicare la carità nel Giubileo della Misericordia”, parteciperanno fra Raffaele Di Muro, OFMConv, docente di Teologia Spirituale al Seraphicum e assistente spirituale nel Carcere di Rebibbia; il Rev. Giacomo Pavanello, responsabile a Roma dell’Associazione “Nuovi Orizzonti” e Missionario della Misericordia; il Rev. John Wauck, docente di Letteratura e Comunicazione della Fede all’Università della Santa Croce; Andrés Beltramo, vaticanista di Notimex e Vatican Insider. Modera Michela Nicolais, redattrice dell’Agenzia SIR. Nell’occasione sarà presentato il libro “Informazione religiosa oggi. L’esempio di Giuseppe De Carli”, a cura di Elisabetta Lo Iacono e Giovanni Tridente. Per maggiori informazioni: Associazione GDC.

“CAFFè BIBBIA E PENSIERO”

Secondo appuntamento, venerdì 4 dicembre, per il percorso biblico-filosofico dal titolo “Caffè Bibbia e Pensiero”, promosso dalle Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe alle ore 18.30 presso la sede delle Missiorarie dell’Immacolata Padre Kolbe, in via Vincenzo Di Marco, 29 (scala A/III piano) a Palermo. Gli incontri, curati da Denise Adversi, dottore in filosofia per quanto riguarda la parte filosofica della conversazione, e dalla professoressa Anna Maria Calzolaro, docente di Mariologia, per gli

aspetti biblico-teologici, affronterà questa volta il tema della violenza. Due gli spunti per la riflessione: “È la violenza che costituisce l’anima segreta del sacro” (René Girard) e “Non prendete nulla di ciò che è votato allo sterminio” (Gs 6,18). Per info: tel. 091 300553.

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DUE NUOVI APPUNTAMENTI CON LA SVEGLIA FRANCESCANA

Due nuovi appuntamenti con l’evangelizzazione di strada della Sveglia francescana, il gruppo composto dai frati minori conventuali del Seraphicum che martedì 8 dicembre sarà a piazza di Spagna a Roma per la festa dell’Immacolata, accompagnando i fedeli sui passi di Maria come strumento della misericordia di Dio. Una ventina i frati presenti, assieme alla Milizia dell’Immacolata, sin dalle 7.30 del mattino con dialogo, preghiera, confessioni, canti e predicazione, sino all’arrivo di papa Francesco per il tradizionale omaggio floreale e la preghiera ai piedi della statua dell’Immacolata. Secondo appuntamento nella serata di venerdì 18 a Trastevere per condividere, in uno dei luoghi più caratteristici della città, la loro gioia di testimoni del messaggio di Cristo.

UN CONVEGNO SUL VESCOVO STROSSMAYER

“Strossmayer, Roma e il Vaticano I - Sinodalità nella Chiesa cattolica e unità delle Chiese cristiane” è il tema del convegno che si terrà per l’intera giornata di mercoledì 9 dicembre alla Pontificia Università Gregoriana, in occasione del bicentenario della nascita di Josip Juraj Strossmayer (1815-1905), vescovo di Đakovo (o Bosnia e Sirmio). Al convegno, organizzato dall’Arcidiocesi di Osijek-Đakovo, dalla Facoltà Teologica di Đakovo e dalla Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Gregoriana in collaborazione con il Pontificio Collegio croato di San Girolamo, parteciperà anche fra Tomislav Mrkonjić,

docente di Storia della Chiesa e Scriptor dell’Archivio segreto vaticano. Oltre a fare parte del coordinamento scientifico, fra Mrkonjić terrà, nel pomeriggio, una relazione su “Le fonti su Strossmayer negli Archivi Vaticani”. Il programma del convegno.

LA DEUS CARITAS EST TEMA DEGLI INCONTRI MENSILI

Sarà l’enciclica “Deus caritas est” di papa Benedetto XVI la traccia scelta dalla Facoltà per i nuovi incontri di formazione proposti al territorio. Un percorso di riflessione che mette assieme il magistero di Benedetto XVI e quello giubilare di Francesco, articolandosi in incontri mensili. Il primo appuntamento è in programma domenica 13 dicembre sul tema “Le parole dell’amore: Eros e Agape - differenza e unità” e sarà tenuto da fra Domenico Paoletti. Il 17 gennaio sarà la volta di fra Germano Scaglioni su “La fede biblica: Gesù Cristo amore incarnato di Dio”; il 7 febbraio fra Giulio Cesareo, “La Chiesa «comunità d’amore»” e, ultimo incontro, il 6 marzo con fra Raffaele Di Muro su “San Massimiliano M. Kolbe, martire della carità”. Gli incontri iniziano alle 9.15 con la relazione, dalle 10 alle 12 il tempo di silenzio e lettura, alle 12 la celebrazione eucaristica e alle 13 il pranzo, da prenotare presso la portineria del Seraphicum entro il giovedì precedente all’incontro (info allo 06 515031).

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TAVOLA ROTONDA NELL’ANNO DELLA VITA CONSACRATA“Religiosi e Chiesa particolare oggi. Questioni aperte” è il tema della tavola rotonda svoltasi il 20 novembre

al Seraphicum, promossa dalla Pontificia Facoltà teologica “San Bonaventura” in collaborazione con la Pontificia Università Antonianum e con l’Istituto Teologico di Assisi. La tavola rotonda, promossa nell’Anno della Vita consacrata, è partita dagli atti del convegno “Molte membra un corpo solo. Religiosi e Chiesa particolare oggi”, svoltosi ad Assisi nel novembre dell’anno scorso, per affrontare le questioni rimaste aperte, attraverso un confronto e approfondimento tra esperti.

PRESENTAZIONE LIBRI Mercoledì 24 novembre, presso la sala riviste della biblioteca della Facoltà, è stato presentato il libro “La teologia politica contemporanea”. Paradigmi, autori, prospettive (edito dalla casa editrice Studium) del professor Vincenzo Rosito, docente di Filosofia teoretica. Sono intervenuti: i professori Andrea Grillo del Pontificio Ateneo San Anselmo, Virginio Marzocchi della Sapienza - Università di Roma e Antonio Iaccarino della Pontificia Università Lateranense. Ha moderato l’incontro fra Emanuele Rimoli.

“Al di là di ogni pregiudizio - Le trattative per il concordato tra la Santa Sede e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni/Jugoslavia e la mancata ratifica (1922-1938)” è il libro di fra Igor Salmič (Gregorian & Biblical Press, 2015), docente di Storia della Chiesa, presentato il 25 novembre. A illustrare il testo, vincitore del Premio Bellarmino 2014, i professori Don Roberto Regoli della Pontificia Università Gregoriana, Massimiliano Valente dell’Università Europea di Roma e Rita Tolomeo della Università di Roma “Sapienza”. Moderatore dell’incontro il prof. p. Silvano Giordano (OCD), docente alla Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum” e alla Pontificia Università Gregoriana.

IN PAROLE FRANCESCANE

Ama veramente il suo nemico colui che non si duole per l’ingiuria che l’altro gli fa, ma spinto dall’amore di Dio brucia a motivo del peccato dell’anima di lui, e gli mostra con le opere il suo amore.

(San Francesco, Ammonizione IX: FF 158)

PONTIFICIA FACOLTÁ TEOLOGICA “SAN BONAVENTURA” SERAPHICUMVia del Serafico, 1 - 00142 RomaSan Bonaventura informa è a cura dell’Ufficio Stampa del Seraphicum Responsabile: Elisabetta Lo Iacono ([email protected])

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