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RIVISTA TRIMESTRALEDI CULTURA, STORIA,POLITICA ED ECONOMIA

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i QUADERNIDEL TICINOi QUADERNIDEL TICINO

i QUADERNIDEL TICINO

Spedizione in abbonamentopostale - 70% Filiale di Milano

III° trimestre 2000

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2I Q U A D E R N I D E L T I C I N O

Il Centro Studi Politico-Sociali “J.F. Kennedy” detiene e tratta i dati relativi a ciascun socio - nome, cognome, qualifica, indi-rizzo e recapito telefonico - ai soli fini di attività associativa (invio di materiale informatico relativo alle nostre iniziative e dellarivista i Quaderni del Ticino). Da parte di chi non è socio, il conferimento dei dati, utilizzato con identiche finalità, è facoltativo:è possibile in qualunque momento richiedere lʼaggiornamento o la cancellazione, così come è possibile opporsi allʼinvio delmateriale scrivendo al Centro Studi Politico-Sociali “J.F. Kennedy”, Via Colombo 4, 20013 Magenta

Rivista trimestrale di cultura, storia, politica ed economiaNuova Serie - Anno VII - Numero 35Reg. Tribunale di Milano n. 47 del 7-2-1981Spedizione in abbonamento postale - 70% Filiale di Milano

Direttore Responsabile: Fabrizio GaravagliaDirettore Editoriale: Massimo Gargiulo

Redazione: Carlo Cassani, Valeriano Castiglioni, Piercarlo Cattaneo, Elio Fontana, FrancaGaleazzi, Giuseppe Leoni, Ignazio Pisani, Fabrizio Berto Provera, Fabrizio Valenti

Hanno dato la loro disponibilità alla collaborazione:Antonio Airò, Cristiana Albizzati, Luigi Albizzati, Marco Aziani, Abele Baratté, ArturoBeltrami, Gianmarco Borroni, Nicola Branca, Pier Paolo Brivio, Sergio Calò, Angelo Caloia,Simona Carnaghi, Giovanni Cassetta, Vittorio Castoldi, Giancarlo Cattaneo, Gaetano Ceriani,Luigi Ceriotti, Giovanni Chiodini, Giulio Ciampaglia, Alessandro Colombo, Teresio Colombo,Mario Comincini, Roberto Confalonieri, Adriano Corneo, Aurelio Cozzi, Giuseppe Crestani,Achille Cutrera, Giuseppe De Tommasi, Ivo Deitinger, Gigi De Fabiani, Paolo Grassi, Mario DiFidio, Carlo Ferrami, Romano Ferri, Giovanni Frascarolo, Edoardo Freddi, AlessandroGrancini, Franco Grassi, Paolo Grassi, Danilo Lenzo, Alberto Marini, Elio Malvezzi, MarcoMarelli, Alberto Marini, Carlo Morani, Paolo Musazzi, Roberto Origgi, Francesco Prina, CarloRavazzani, Luigi Rondena, Silvio Rozza, Luciano Saino, Enrico Salomi, Caterina SangalliBianchi, Teresio Santagostino, Silvano Santucci, Giuseppe Segaloni, Dionigi Spagnuolo,Maurizio Spelta, Carlo Stoppa, Piero Stoppa, Carmelo Tomasello, Emanuele Torreggiani,Mauro Valenti, Marco Varisco, Gianni Verga, Luigi Volpi, Stefano Zanelli

Editore:

Presidente: Ambrogio Colombo

Redazione ed Amministrazione:Via C. Colombo, 420013 Magenta (MI) - Tel.-fax 029792234

Prezzo di copertina: L. 10.000Arretrati Ia serie : L. 15.000, numeri monografici: L. 25.000. Abbonamento annuo: L. 35.000

Progetto grafico, impaginazione e fotocomposizione:Agorà - Magenta - Tel.-Fax 0297295339

Foto di copertina: Bosco del Ticino

Finito di stampare nel mese di Ottobre 2000 presso la tipografia S. Gaudenzio - Novara

Marco
Typewritten Text
ISSN 2038-2545
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S O M M A R I O3

• Osservatorio EconomiaUn’analisi “d’impresa” . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 5di F.B. Provera

• Aziende MunicipaliProspettive di riorganizzazione delle aziende dell’Est-Ticino . . . . . . . . . . . . . .p. 7

• ConvegnoPresente e futuro delle comunitàdell’Est-Ticino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 14

• Hanno fatto la storiaPadre Carlo Pellegrini . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 16di E. Torreggiani

• Parco TicinoQuei nuovi 7 ponti sul Ticino . . . . . . . . . . . .p. 22di L. Saino

• I boschi del nostro territorioIntroduzione alla conoscenzadei boschi nel Parco del Ticino . . . . . . . . . .p. 26di D. Bottesini

• Cooperazione nell’Est-Ticino

Giornate di studio delConsorzio Est-Ticino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 38

Il Consorzio Est-Ticino:una famiglia in crescita . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 41di G. Paganini

Basta amare la realtà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 45di G. Musi

Est-Ticino e Cooperative Edilizie . . . . . . . .p. 47di G. Mercialli

Le cooperative di consumo . . . . . . . . . . . . . .p. 49di O. Fornaroli

• Visti da vicinoIl Museo d’Arte Modernadella Fondazione Pagani . . . . . . . . . . . . . . . . .p.52di F.G.

• I Mulini della Valle OlonaLa Valle Olona e i suoi mulini . . . . . . . . . . .p. 57di G. Martinoli e A. Zibetti

• I nostri territori

Rendita urbana:una questione ormai ineludibile . . . . . . . . .p. 95di C. Colombo

Besnate: la Rivoluzione Industrialetra l’800 e il ‘900 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 97di A. Puricelli

Quando alla Malpensa non c’era l’Aeroporto (II° parte) . . . . . . . .p. 100di A.P. Guenzani

Anno Domini 1295:terremoto a Morimondo . . . . . . . . . . . . . . .p. 105di G.R.

• LavoroA scuola per forza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 110di G. Lanfredini

• Cultura del Ticino

Sulle tracce di Piero della Francesca . . . .p. 114di F. Valenti

Chiesa di Santa Maria Assunta, Magenta . .p.116di C. Lo Sardo

Umberto Maerna:un magentino in Provincia . . . . . . . . . . . . .p.119di F.B. Provera

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O S S E R V A T O R I O E C O N O M I A5

Indagine API sul secondo trimestre 2000

Un’analisi “d’Impresa”

Dall’ormai con-sueta indaginecondotta dalla

delegazione Sud-Ovestdell’Api-milano (l’orga-nizzazione che riuniscele piccole e le medieimprese) emergono da-ti contrastanti sul mon-do produttivo del nos-tro territorio. L’Api, cheha sede ad Abbia-tegrasso ed ha recente-mente eletto i nuovivertici - alla presidenzasi è insediato il cavalierLocatelli - ha esaminato la tota-lità dei dati dal mese di marzo aquello di giugno 2000. Il primorilievo che emerge in manieraevidente è il mantenimento diuna certa stabilità per l’economialocale, so-prattutto se si parago-nano i dati a quelli (molto buoni)registrati nel primo trimestre. Ildato occupazionale resta stabile,mentre in lieve flessione sonotanto la domanda interna quantoquella estera, quest’ultima inmaniera più accentuata.Si arresta, almeno per ora, la cre-scita del fatturato. Cerchiamo ora di addentrarci neinumeri, che meglio di ogni altraconsiderazione aiutano a com-

prendere lo stato delle imprese. Il22.7% dei soggetti ha registratouna contrazione degli ordinativi,mentre la quota di chi ha notatoun’espansione cala al 40.9% con-tro il 43.3% di marzo. La comparazione del fatturatopremia la provincia rispetto aMilano: nella metropoli hannovisto calare i propri ricavi il 23%degli imprenditori, nel sud-ovestil 18.2%. Non desta invece preoc-cupazione la propensione agliinvestimenti: la quota di impreseche ha investito ammonta al59.1% contro il 53.3% di marzo. Consistenti le cifre investite: il15.4% degli intervistati ha dichia-rato di aver messo sul ‘piatto’ più

Sede dell’API di Milano in Via Vittor Pisani

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O S S E R V A T O R I O E C O N O M I A6

di 500 milioni. Ci sono natural-mente dei nervi scoperti cherestano tali: in primis, senza dub-bio, l’estrema difficoltà di reperi-re del personale qualificato, dimanodopera all’altezza dellenuove sfide. Questo, si è sottoli-neato, anche in presenza di unaumento dell’offerta di lavororesa possibile dall’espansione dellavoro interinale.Chi si occupad’impresa non può che lamenta-re nuovamente l’incidenza delcosto del lavoro, che limita lo svi-luppo per il 50% esatto degliintervistati API. L’occupazione,all’interno di questo scenario,resta pressoché inalterata: il77.3% delle imprese ha mante-nuto le dimensioni del trimestreprecedente, contro il 67.4% diMilano. Hanno incrementato laforza lavoro poco meno di 10imprese su 100. Globalmente ladifficoltà consiste nel manteneregli elevati ritmi che hanno con-traddistinto i paesi dell’Unione

Europea. Nella relazioneche illustra i dati testédescritti abbiamo letto unpassaggio che ci sembrautile proporre alla rifles-sione del lettore: “Ilmomento è adatto peraffrontare i nodi struttu-rali che ancora limitano lacrescita, vista la ripresa inatto. Occorre però, nelnostro paese, riequilibra-re al più presto i contipubblici, per prevenire letensioni inflazionistiche el’aumento dei tassi d’inte-resse determinati princi-

palmente dalla crisi petroliferache negli ultimi mesi ha fatto sali-re il prezzo del petrolio. Il proble-ma centrale dell’Italia resta lacompetitività: è auspicabileintrodurre un maggiore tasso diinnovazione nei processi produt-tivi italiani”.

Fabrizio B. Provera

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A Z I E N D E M U N I C I P A L I7

Gli Enti Localidell’Est Ticino sonochiamati a dare

risposte alle problemati-che relative all’attuazionedelle leggi nazionale36/94 e regionale 21/98sull’organizzazione deiservizi idrici e alla pro-spettiva di riforma dei ser-vizi pubblici locali, cheprevede la trasformazionein S.p.A. delle aziendespeciali - municipalizzatee consortili - che gestisco-no energia (con esclusio-ne di quella elettrica), gas,ciclo dell’acqua, rifiutisolidi urbani e trasporti,nonché l’introduzione diregimi di concorrenza nelle atti-vità attualmente gestite dagli entilocali.Per favorire tale processo di tra-sformazione, il 19 gennaio 2000 iComuni di Abbiategrasso, Le-gnano e Magenta hanno realizzatoun protocollo d’intesa cui aderi-scono le Aziende speciali dei rela-tivi comuni e il Consorzio di tutelaambientale del Magentino.

Obiettivo dell’intesa è quello distudiare e realizzare le forme asso-ciative e di coordinamento piùidonee a valorizzare e salvaguar-dare la capacità imprenditoriali eil patrimonio di competenze tec-niche delle attuali aziende comu-nali e consortili. Per favorire l’indi-viduazione delle soluzioni più ido-nee alle esigenze delle comunitàdell’Est Ticino, anche al fine dellaloro rappresentazione alla

Sede Consorzio Tutela Ambientale Magentino

Servizi pubblici e ciclo integrato delle acque

Prospettive di riorganizzazione delleaziende dell’Est-Ticino

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A Z I E N D E M U N I C I P A L I8

Provincia di Milano e alla RegioneLombardia, il Centro StudiJ.F.Kennedy organizza il 16 ottobrealle ore 20.45, presso la sede in ViaC. Colombo 4 a Magenta, un pub-blico dibattito sulle prospettive diriforma del settore. Interverrannol’On. Gian-carlo Galli, relatoresulla legge di organizzazione deiservizi idrici, e l’Avvocato MarioBassani, già Presidente dellaProvincia di Milano e Docente diDiritto Am-ministrativo. Per con-sentire una riflessione sui temioggetto dell’incontro, riportiamoqui le informazioni utili sulle que-stioni aperte.

Ciclo integrato delle acque

Con la L.R. 20 ottobre 1998, n. 21 laRegione Lombardia, in attuazionedella Legge 36/94, ha individuato,per quanto riguarda l’interaProvincia di Milano, due ambititerritoriali ottimali (A.T.0) per l’or-ganizzazione del ciclo inte-grato delle acque: uno coin-cidente con l’area metropo-litana della città di Milano el’altro con il restante terri-torio provinciale.In base alla L.R. la Con-ferenza di servizio degli EntiLocali (costituita dallaProvincia - che dovrebbeas-sumere la funzione dicoordinatore - e i Comunidell’A.T.0.) stabilisce imodelli gestionali e orga-nizzativi del servizio idricointegrato, tenendo contodella situazione organizza-

tiva esistente da salvaguardare,accertata in base alla rispondenzaa criteri di efficienza, efficacia edeconomicità.con D.G.R.Lombardia 24.02.2000 n. 6/48526è stata approvata la convenzionetipo per la regolazione dei rappor-ti fra Enti locali ricompresinell’A.T.0., mentre è ancora in fasedi esame e definizione da partedella Regione la convenzione tipoper la gestione del servizio IdricoIntegrato.Peraltro è ancora da completarel’avvio della prima indispensabileprocedura attuativa della leggestessa, che è quella della “ricogni-zione delle infrastrutture idriche”(reti e impianti di acquedotto,fognatura, collettamento e depu-razione) su tutto il territoriodell’A.T.O. di competenza, il cuicoordinamento all’interno del-l’A.T.O. è affidato alla Provincia,mentre è in atto la rilevazionedelle consistenze consortili.

A.S.M. di Magenta

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L’Autorità regionale delle acque hagià individuato nei Consorzi idricie depurazione (per quanto riguar-da la Provincia di Milano) gli entiincaricati di tale operazione.

D.D.L. di riforma sui servizi pubblici locali

Il 21 aprile 1999 il Senato haapprovato il D.D.L. 4014 relativoalla riforma della normativa suiservizi pubblici locali, che modifi-ca gli articoli 22 - 23 della legge142/1990.L’obiettivo del legislatore è quellodi introdurre regimi di concorren-za - e dunque ridurre il monopolio- nelle attività (servizi) attualmen-te gestite dagli enti locali. La rifor-ma prevede che i Comuni dovran-no adottare le delibere per la tra-sformazione in S.p.A. delle azien-de speciali - municipalizzate econsortili, che gestiscono i servizinei settori a rilevanza industriale -entro il 31.12.2000 per le aziendemunicipali, un anno dopo per leaziende consortili. La proposta dilegge è attualmente all’esamedella Camera.Le attività individuate risultanoessere le seguenti:• energia, con esclusione di quel-la elettrica;• gas;• ciclo dell’acqua;• rifiuti solidi urbani;• trasporti.Con la riforma verranno a cessarele “gestioni in economia” (sonoammesse solo eccezionalmente);gli affidamenti avverranno solo

mediante gara a cui potranno par-tecipare solamente società dicapitali pubbliche o private conlimiti definiti di durata.Le concessioni e gli affidamenti incorso alla data di entrata in vigoredella riforma potranno essere pro-rogati o mantenuti per 5 anni nelcaso dell’acqua (dalla data di tra-sformazione). Per l’importanza ditale svolta storica nell’ambito deiservizi pubblici locali, il Consorziodi tutela ambientale del magenti-no ha avuto modo di informaretutti i Comuni sull’argomento,invitando gli stessi a fornire indi-cazioni precise sulla necessità ditrasformare l’azienda specialeconsortile in S.p.A..Pur prendendo atto di quantosopra ed in attesa di ulteriori pre-cisazioni che sicuramente verran-no sia livello statale che regionale,la Presidenza del Consorzio man-tiene un’azione di contatti contutti gli organi istituzionali presen-ti sul territorio, Amministrazionilocali comprese, per dare attuazio-ne ad accordi e collaborazioni peressere quanto più pronti adaffrontare questi incisivi cambia-menti sia operativi ma soprattuttodi cultura gestionale.

Istituzione del Tavolo di Coordinamento sul Ciclo delle

Acque

Per iniziativa della Provincia diMilano tutti i Consorzi idrici e didepurazione provinciali (AltoLambro, Nord Milano, Nord EstMilanese, Sud Milanese, Magen-

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tino e C.A.P.) sono stati interessatiper la istituzione del Tavolo diCoordinamento sul Ciclo delleAcque. Stante la molteplicità diproblemi di natura politica, tecni-ca, amministrativa e giuridica laProvincia ha inteso coinvolgere,sulla scorta di uno specifico proto-collo d’intesa, i Comuni suddettioperanti nell’A.T.O. della circoscri-zione provinciale. Le prospettivesono quelle di rafforzare il ruolodei Consorzi nel loro insieme conlo scopo di ottenere al termine delperiodo di salvaguardia una fortestruttura gestionale coordinata, ingrado di affrontare la concorrenzadel mercato (salvaguardia sosteni-bile dei gestori efficienti; distribu-zione razionale nel territorio delleinfrastrutture; trasformazionedegli enti in relazione alle nuovedisposizioni sui servizi pubblicilocali). Il Tavolo di Coordinamento prefi-gurato sarà articolato in:• Tavolo Istituzionale al qualepartecipano l’Assessore all’Am-biente della Provincia, che lo coor-dina, e i Presidenti dei Consorziassistiti da Segreteria organizzati-va;• Tavolo Tecnico/Amministrativoal quale partecipano i dirigenti deiSettori Idraulica e Consorzi dellaProvincia, che provvedono alcoordinamento, e i Direttori gene-rali e dirigenti amministrativi deiCon-sorzi, assistiti da segreteria. Il consorzio ha già confermato lapropria adesione alla suddetta ini-ziativa della Provincia sin dal15.03.2000.

Protocollo d’intesa fra iComuni di Legnano, Magenta

e Abbiategrasso per una azione congiunta di gestione

dei servizi pubblici e del ciclo delle acque

Con nota 15.02.2000 n. 682 ilConsorzio ha inviato a tutti iSindaci dei comuni consorziati ealla Provincia di Milano uno sche-ma di protocollo d’intesa per un’a-zione congiunta e coordinata perla gestione dei servizi pubblici delCiclo integrato delle acque. Il documento è stato approvatodal-l’Assemblea consortile nellaseduta del 26 maggio 2000.Il contenuto del documento, giàsottoscritto dai rispettivi Sindaci,dai Presidenti delle AziendeA.M.G.A. Legnano, A.S.M. Ma-genta e A.M.A.G.A. Abbiategrassoè in piena linea con gli indirizzi e lescelte di fondo sull’evoluzione deiservizi affidati al Consorzio, comedel resto ben evidenziati nellarelazione previsionale e program-matica 2000/2002 allegata alBilancio preventivo 2000 e appro-vata dalla Assemblea Consortilenella seduta del 12.11.1999. Si èpienamente convinti che l’unità diintenti fra Aziende già da annioperanti sul territorio facentecapo all’area est Ticino, una voltadato avvio all’attuazione degliA.T.O. e all’organizzazione delServizio Idrico Integrato (S.I.I),come suggellato nel protocollod’intesa sottoscritto, sortirà risul-tati decisamente positivi sia in ter-

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mini di efficienza ed efficacia, siain termini di economicità nellagestione dell’intero Ciclo delleacque nel Legnanese, Castanese,Magentino e Abbiatense. Al proto-collo d’intesa dovranno seguireulteriori atti civilisticamente con-creti che consentano la costituzio-ne di nuove e moderne strutturelocali in grado di affrontare conpieno potere ed autonomia ilnuovo meccanismo della gestionedei servizi pubblici locali. Con rife-rimento al Ciclo delle acque sideve porre, con forza, la richiestadi acquisizione di un sub - ambitoterritoriale, peraltro già ampia-mente condiviso dall’Assembleadel Consorzio.

Di seguito il testo del protocollo

Protocollo di intesa tra i co-muni di Legnano, Magenta edAbbiategrasso per una azionecongiunta per la gestione deiservizi pubblici e del ciclodelle acque

I Sindaci dei Comuni di Le-gnano, Magenta ed Abbiate-grasso riuniti presso il palazzomunicipale di Magenta il 19gennaio 2000, alla presenza econ l’adesione dei Presidentidelle proprie Aziende Speciali edel Presidente del Consorzio ditutela ambientale del Magen-tino hanno concordato quantosegue in ordine alla gestione deiservizi pubblici e del ciclo inte-grato delle acque.

Premesso• che i Comuni di Legnano,Magenta ed Abbiategrasso gesti-scono i principali servizi pubblicimediante Aziende Speciali;

• che il Consorzio di tutelaambientale del Magentino, a cuiaderiscono 30 Comuni e laProvincia di Milano, gestisce i ser-vizi di collettamento e depurazio-ne delle acque dei Comuni asso-ciati;

• che il territorio attorno aiComuni di Legnano, Magenta edAbbiategrasso e nel cui ambitoopera il Consorzio di tutelaambientale del Magentino costi-tuisce un’area ininterrotta colloca-ta nella zona ovest della Provinciadi Milano adiacente al fiumeTicino che ne costituisce il confinegeografico ed amministrativo adoccidente;

• che il capo II della legge n.36/94 disciplina la gestione delservizio idrico integrato, costituitodall’insieme dei servizi pubblici dicaptazione, adduzione e distribu-zione di acqua ad usi civili, difognatura e di depurazione delleacque reflue;

• che lo stesso capo II della legge6/94 prevede che i servizi idricisiano riorganizzati sulla base diambiti territoriali ottimali delimi-tati dalle regioni secondo i criteristabiliti dalla legge stessa;

• che la Regione Lombardia con

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legge 20 ottobre1998, n. 21 ha suddi-viso il territorioregionale in 12ambiti territorialiottimali (ATO) corri-spondenti ai confiniamministrativi delleprovincie oltre al ter-ritorio della Città diMilano;

• che tuttavia lamedesima leggeregionale ha previstoche, su propostadelle Provincie e deicomuni interessatied al fine di garantiregestioni più rispondenti ai bisogniterritoriali ed al coordinamentodei soggetti gestori esistenti, laGiunta Regionale possa istituireall’interno di un ATO dei sub-ambiti con una dimensione di abi-tanti equivalenti non inferiore a100.000;

• che il territorio gravitante intor-no ai Comuni di Legnano,Magenta ed Abbiategrasso si pre-sta sia sotto il profilo geograficoche amministrativo ad essere indi-viduato come sub-ambito per unagestione integrata del servizio idri-co.

Premesso ancora

• che il disegno di legge S 4014attualmente in avanzata fase didiscussione in Parlamento preve-de una radicale riforma della disci-

plina dei servizi pubblici localiimponendo per certi servizi,segnatamente per quelli tradizio-nalmente gestiti dalle AziendeSpeciali, l’affidamento mediantegara pubblica;

• che lo stesso disegno di leggeimpone la trasformazione delleAziende Speciali e delle AziendeConsortili in società di capitali eche, per effetto delle disposizionipreviste dal disegno di legge, i ser-vizi attualmente gestiti dalleAziende Speciali e dalle AziendeConsortili, poi trasformate insocietà, dovranno, dopo un breveperiodo di transizione, essereposti in gara; che, per garantirsi lapossibilità di salvaguardare lacapacità imprenditoriale e la dota-zione patrimoniale realizzataattraverso le attuali gestioni, appa-re assolutamente necessaria unastretta collaborazione ed unità di

A.M.A.G.A. di Legnano

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intenti tra i Comuni territorial-mente omogenei che consenta diporsi con maggiore rappresentati-vità nei confronti della Provincia edella Regione per la individuazio-ne di un sub-ambito territoriale edi affrontare con maggiore pro-spettiva di riuscita le nuove condi-zioni che potrebbero essere create,nella gestione dei servizi pubblicilocali, dal disegno di legge attual-mente in discussione;

Tutto ciò premesso e per le ragionisopra esposte i Sindaci deiComuni di Legnano, Magenta edAbbiategrasso, con l’adesione deiPresidenti dell’A.M.G A. di Le-gnano, dell’A.S.M. di Magenta,dell’A.M.A G.A. di Abbiategrasso edel Consor-zio di tutela ambienta-le del Magen-tino, concordano

• di operare congiuntamente neiconfronti della Provincia diMilano e della Regione Lombardiaperchè il territorio gravitanteattorno ai propri Comuni vengaindividuato quale sub-ambito ter-ritoriale ottimale per la gestionedel servizio idrico integrato, coin-volgendo in tale azione propositi-va tutti i Comuni appartenenti alterritorio stesso,

• di collaborare ed operare con-giuntamente nello studio e nellarealizzazione delle forme associa-tive o coordinate più adeguate perla gestione dei servizi pubblicilocali nelle nuove condizioni chefossero imposte dalla approvazio-ne del disegno di legge n. 4014,

con la finalità di salvaguardare ilpatrimonio e l’esperienza accu-mulata dalle proprie aziende;

• di attivarsi nei confronti deiComuni appartenenti al territorioindividuato nelle premesse, affin-ché aderiscano alle azioni di colla-borazione prospettate dal presen-te protocollo.

Il Sindaco delComune di

LegnanoAvv. Maurizio

Cozzi

Il Sindaco delComune di

MagentaDott.ssa

Giuliana Labria

Il Sindaco delComune di

AbbiategrassoAvv. Arcangelo

Ceretti

PresidenteA.M.G.A.

Dott. GiovanniBianchi

Presidente A.S.M.Rag. Mario

Morani

PresidenteA.M.A.G.A.

AbbiategrassoAdriano

Matarazzo

Presidente Consorzio TutelaAmbientale MagentinoRag. Antonio Oldani

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14C O N V E G N O

Analisi e prospettive di svilup-po del territorio tra Milano eTicino

Le comunità che vivono nelterritorio che va da Milano alTicino sono chiamate oggi a

confrontarsi con alcune scelte diforte impatto territoriale, assuntein ambito nazionale, regionale eprovinciale, che inciderannoprofondamente non soltanto sulleloro attività economiche e sociali,ma anche sulle stesse condizionidi vita delle loro popolazioni.Si tratta di scelte che riguardano losviluppo dell’aeroporto dellaMalpensa e delle sue infrastruttu-re di servizio, del transferimentodella Fiera di Milano a Rho, delpotenziamento delle infrastruttu-re stradali e di trasporto ferroviariodestinate a potenziare i collega-menti dell’area metropolitanamilanese con l’asse Torino-Lione econ l’asse Genova - Bellinzona -Canton Ticino, della gronda inter-media e di altre ancora. Sono tuttiinterventi necessari, in gran parteattesi da tempo e che in alcuni casigiungono con forte ritardo. Ma sono anche interventi in granparte pensati per dare risposte alla

grande Milano e che necessitanodi essere reinterpretati nel lororapporto con il territorio al fine divalorizzarne gli aspetti positivi e diminimizzare quelli negativi. Un impegno qualificante e irri-nunciabile per le amministrazionilocali e e per le rappresentanzepolitiche e sociali presenti sul ter-ritorio, chiamate a valutare gli ele-menti che caratterizzano oggi abi-tare, lavorare, strudiare e trascor-rere il tempo libero ad Abbia-tegrasso, Magenta, Castano Primo,Legnano, Gallarate, Busto Arsizio enegli altri comuni dell’Est Ticino, aformulare idonee a cogliere leopportunità offerte dai nuoviinterventi ma anche, e soprattutto,a salvaguardare le caratteristicheambientali del nostro territorio.

Su questi temi si confronterannonella primavera 2001 i protagoni-sti delle maggiori scelte sopraricordate e i rappresentanti dellecomunità dell’Est Ticino in unapposito convegno promossodalla rivista “I Quaderni delTicino” e dal centro Studi JFKennedy di Magenta.

Dal Centro Kennedy

Presente e futuro dellecomunità dell’Est Ticino

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È meglio andare in una casa inlutto che in una casa in festa; poi-ché là è la fine di ogni uomo, e coluiche vive vi porrà mente.

Ecclesiaste 7. 1,6

A Padre Carlo Pellegrini, somasca

Domenica 27 agosto 2000 alle ore23.15, il somasca Padre CarloPellegrini muore. Si trova a Como,nella sua terra natale. È assistito dasuo fratello, Don Pietro, sacerdotedella Congregazione dei Servidella Carità o Guanelliani.Mercoledì 30 agosto vengono cele-brati i funerali di Padre CarloPellegrini presso la Basilica delSantissimo Crocifisso. Sono presenti circa cento cin-quanta sacerdoti. Con il fratelloDon Pietro il Superiore Generaledell’Ordine dei Guanelliani.Presiede l’Eucaristia il SuperioreProvinciale dei Somaschi PadreRoberto Bolis. La salma viene poitumulata a Somasca, al cimiterodella Valletta accanto al Santo fon-datore dell’Ordine San GirolamoEmiliani. Gli uomini di profondafede, vissuta quindi concreta,

chiudono gli occhi con serenità.Non lasciano conti aperti. Nonlasciano nessun rancore, nessunaparola inconclusa. Lasciano,quando noi rivediamo tutta d’unfiato la loro vita apprendendodella partenza, lasciano un lungotragitto d’amore. E allora sgorganaturale il pianto per quell’amore

Padre Carlo Pellegrini

Padre Carlo Pellegrini

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che viene meno e si comprende,grande.La vita di Padre Carlo Pellegrini,ora risolta nell’eternità, è stata unpatrimonio collettivo di parole,azioni e opere.

Brevi cenni biografici

Padre Carlo Pellegrini nasce il 21dicembre 1923 a Como. In teneraetà viene accolto da PadreGiovanni Ceriani, allora Prioredella Basilica del Crocifisso, all’or-fanatrofio Santissima Annunciata.Padre Carlo Pellegrini frequenta ilprestigioso Collegio Gallio, fonda-to nel 1583 dal Cardinale TolomeoGallio ed affidato ai Somaschi.Nel 1941, a Somasca, Padre CarloPellegrini sotto la guida di PadreAntonio Rocco, fondatore delleOblate della Mater Orphanorumdi Legnano, inizia l’anno di novi-ziato. Nel 1942 emette la profes-sione temporanea, nel 1948 la pro-fessione solenne.Nel corso degli studi Padre CarloPellegrini incontra, al liceo classi-co di Corbetta, Padre LuigiBergadano, figura cardine nella dilui vita come di tanti fratelli soma-schi e studenti laici. Padre LuigiBergadano è un uomo di culturasuperiore. Conosce alla perfezionela cultura classica. La sua è unafonte preziosa. Ama ciò che inse-gna. Collega il mondo classico allaquotidianità. Mostra davanti aglistudenti come i semi del passatovivano nel presente. Che il valoredel mondo classico, seguendoSant’Agostino, si presenta sul pal-

coscenico della nostra coscienza. Ogni sua lezione dunque è un’epi-fania. Durante le sue lezioni lo spi-rito vive e ogni studente respiraquest’aria sottile e cresce. PadreCarlo Pellegrini, e molti alti con-fratelli, sono stati forgiati allascuola di Padre Luigi Bergadano ene serberanno sempre ammira-zione. Anche a distanza d’anni,Padre Luigi Bergadano spirò il 1gennaio 1985, sarà, è, impossibilenon rivederlo, risentirlo, quotidia-namente.A Roma Padre Carlo Pellegrini stu-dia teologia al Pontificio Ateneo diSant’Anselmo dei Benedettini econclude il corso con il titolo acca-demico della Licenza in Teologia.A Roma, il 17 luglio 1949 PadreCarlo Pellegrini viene ordinatosacerdote. Rientra nel Nord Italiacon l’incarico di insegnare aiseminaristi ed ai chierici di filoso-fia allo studentato di CaminoMonferrato, dove in breve divieneSuperiore.Si iscrive alla Facoltà di Lettere eFilosofia dell’Università Cattolicadel Sacro Cuore di Milano dove nel1957 si laurea discutendo la tesi:San Girolamo Miani. Contributoalla conoscenza della preriformacattolica. Nel 1965 Padre CarloPellegrini arriva a Magenta comeSuperiore ed insegnante al nuovoStudentato Filosofico TeologicoAemilianum.Sempre nel 1965 viene elettoPreposito Provinciale dellaProvincia Lombardo Veneta rima-nendo in carica sino al 1971. Nel1971 insegna morale nella scuola

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Convitto per infermiere e religioneal nascente Liceo Scientifico.Nel 1975 viene trasferito a Romapresso la Curia Generale dei PadriSomaschi come consigliere gene-rale, procuratore generale, postu-latore delle cause dei santi.Conserverà questi incarichi per 18anni. Fonda, nel 1970, la collanaFonti per la storia dei somaschi.Nel 1976 dà vita al Bollettino distoria dei padri somaschiSomascha. Per alcuni anni cura laredazione della Rivista della con-gregazione dei somaschi. E dell’Agenda Somasca.Cura e rivede Costituzione eRegole ed al nuovo testo Propriodella Liturgia delle Ore e delleMesse dell’Ordine dei ChiericiRegolari Somaschi.Nel 1986 dà grande impulso allecelebrazioni del V° centenariodella nascita di San GirolamoEmiliani, fondatore dell’Ordine ericeve da Sua Santità GiovanniPaolo II la Lettera ApostolicaCinquecento anni fa.

Gli anni di Magenta

La parola e l’azione, il verbo incar-nato, segnano la sua strada. Solocosì si spiega e dipana il grandelavoro svolto. La Casa dei PadriSomaschi, il grande edificio retro-stante la Chiesa, chiusa ormai daun decennio e non più di Loroproprietà era stata costruita, all’i-nizio degli anni Sessanta, comeSeminario Teologico. Non vennecompletamente ultimata in quan-to Roma avocò a sé l’istruzione

teologica ecclesiale, infine e nonultima la crisi delle vocazioni neimpedirono la realizzazionepiena. Dunque uomo di lettere...Uomo di matematica... Uomo diorganizzazione... Uomo di ragio-neria... Uomo di amministrazio-ne... Uomo di pedagogia... Uomo digiurisprudenza... “Non esagerare adesso ...” mi sem-bra suggerisca la sua voce. La suavoce, di un semitono roco, addol-civa la sua figura che negli annidella maturità era robusta conno-tando così l’impronta contadinacome, ancora l’impronta dellaterra, la sua costante disponibilitànella cura dei piccoli.Uomo di fede... “Ah sì! Ti autorizzo”.

Il Liceo Scientifico

Uomo di fede...Ci volle in effetti una grande fedequando Padre Carlo Pellegrinivolle, con il contributo dell’alloraamministrazione comunale gui-data da Ambrogio Colombo, ilLiceo Scientifico statale distacca-mento di Legnano, oggi LiceoScientifico Donato Bramante. Correva l’anno 1973. Era una clas-se, 30 gli studenti. Un salone divisoin due da un tramezzo, di qui glistudenti, di là la sala professori.L’anno seguente quattro classi.Una seconda e tre prime. Il Liceocresceva, la società del magentinoaveva risposto positivamente aquell’azzardo. La crescita del Liceofu esponenziale. In un paio d’annii locali messi a disposizione daiPadri Somaschi furono occupati.

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Erano sette aule lungo il pianoterra subito a sinistra dall’in-gresso principale. Le necessitàdella scuola ne chiedevanoalmeno il doppio. Padre CarloPellegrini, la PresideProfessoressa Nella Dodero,un paio di studenti, in un gior-no di fine maggio, anno scola-stico 76/77, entrarono nell’alaOvest della Casa, quella chenon era stata ultimata. Trepiani da finire.Trenta le aule euna palestra. La Provincia nonaveva soldi da anticipare.Provvide Padre CarloPellegrini, che di soldi neaveva ancor meno, ma avevauno strumento in più. LaDivina Provvidenza. Fece ilgiro di tutte le parrocchie perraggranellare la cifra, eranosoldoni e in settembre, conancora l’aria che sapeva di ver-nice, il Liceo partì.

Il Convitto infermieri

Contestualmente al LiceoScientifico Padre Carlo Pellegriniseguiva la nascita e la crescita delnuovo Ospedale GiuseppeFornaroli.Precisamente la scuola del corsoper infermieri. Fu Padre CarloPellegrini che stipulò la conven-zione con l’Università Statale degliStudi di Milano, dipartimento dimedicina, per costruire il corsoinfermieri. Insegnava, in questascuola, che nel volgere di pochianni divenne esempio, formativoe professionale, in tutta Italia,

morale. La scuola chiamò alla professionemigliaia di ragazzi e ragazze pro-venienti da tutte le regioni dellapatria.Padre Carlo Pellegrini insegnavamorale in questa scuola e quandovenne chiamato dall’Ordine aRoma mantenne la cattedra. Rientrava dalla capitale, per il gior-no di lezione, con il treno dellanotte... Lo fece per anni, una voltala settimana la notte in bianco inseconda classe (non c’era più laterza). Sette, otto ore di viaggio,salvo inconvenienti...Oggi la scuola per infermieri èchiusa. Quale lungimiranza...

Padre Luigi Bergadano

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Bambini

Contestualmente ... al Liceo, allascuola infermieri, Padre CarloPellegrini seguiva i bambini. Già,la Casa dei Padri Somaschi erarifugio per tanti bambini che, allo-ra, si dicevano i bambini abban-donati.Mangiare, dormire, scuola, gio-chi,vacanze.I Somaschi erano perquei bambini, padri, madri e tutti ifratelli. (Come disse Ettore adAndromaca, “Tu sei per me padre,madre e tutti i miei fratelli”, così ilmondo classico entra nel contem-poraneo).

Lavoro ... lavoro ...

Contestualmente ... al Liceo... allascuola infermieri... ai bambini...alle richieste di lavoro... PadreCarlo Pellegrini seguiva l’ammini-strazione delle case che iSomaschi avevano ed hanno per ilmondo. Diceva Messa, visitava gli infermi,seguiva le difficili, allora più dioggi, trafile per le adozioni; davaun calcio al pallone attraversandoil campetto della casa, si facevaprestare un’auto per andare a par-lare con un magistrato, con il pre-fetto, con il sindaco di Milano oTorino e studiava la vita e le operedei confratelli di cui sarà, neglianni che spese a Roma, severo sto-rico e apologeta.A Roma ... “Ha fatto carriera, padre”. “Santapazienza!”, seguì la costruzionedella Curia Generale dei Padri

Somaschi in via di Casal Morena.

Como

Piove mercoledì 30 agosto, il lago èdi un grigio acciaio. Gli ultimi gior-ni dell’agosto si danno all’autun-no. Padre Carlo Pellegrini vienesepolto accompagnato dai confra-telli dell’Ordine. Esce da quella stessa chiesa che lovide entrare bambino.Padre Carlo Pellegrini, uomo diprofonda fede, vissuta quindi con-creta, ha chiuso gli occhi con sere-nità dopo una lunga, tormentosa,malattia affrontata senza lamento. Non lascia conti aperti. Non lascia nessun rancore.Nessuna parola inconclusa. Lasciala traccia di un lungo tragitto d’a-more. Molti, tutti, in chiesa pian-gono. Egli è stato nostro padre,nostra madre e tutti i nostri fratel-li. Si piange per quell’amore che sicomprende grande.

Le istituzioni

Presente alla cerimonia funebre inComo l’Assessore ComunaleBernardo Merlo con gonfalonedella Città di Magenta. Corona difiori e telegramma inviatidall’Amministrazione ProvincialeMilanese per volontà dell’assesso-re Umberto Novo Maerna. Due itelegrammi della RegioneLombardia. Da Milena Bertani,Assessore alle Finanze e CarloBorsani, Assessore alla Sanità.

Emanuele Torreggiani

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Il Parco del Ticino è un osservato-rio privilegiato attraverso il qualesi possono trarre valutazioni

complessive in ordine all’impattoambientale provocato da progettiche, presi singolarmente, possonotalvolta apparire poco significativimentre, se vengono rapportati ad uncontesto che già presenta un elevatogrado di stress ambientale, possonoprodurre effetti dirompenti, nonpreventivabili.È questo il caso dei nuovi ponti sulTicino che nel prossimo futuro ver-ranno realizzati. Saranno 7 i viadottidi nuova realizzazione che siandranno ad aggiungere ai 15 esi-stenti e c’è da scommettere che ilnumero sorprenderà il cittadinopoco attento alle evoluzioni del ter-ritorio in cui risiede e lo indurrà ariflettere sul futuro del polmoneverde più importante dell’Italia pro-duttiva. L’argomento nuovi ponti sulTicino evidenzia particolarmentebene il ruolo istituzionale del Parcoche, per collocazione geografica eper compiti legislativi si trova alleprese con 7 nuovi grossi problemi,per affrontare i quali occorre moltoequilibrio nel tener conto sia delle

necessità viabilistiche (peraltrosempre molto enfatizzate) sia del-l’assoluta necessità di conservazio-ne degli elementi naturali della Valledel Ticino, come prevede la leggeistitutiva del Parco.Non c’è Provincia o Comune chepossa sostituire il Parco in questafunzione, in quanto queste istituzio-ni, che pur costituiscono il cardinedell’organizzazione amministrativastorica del nostro Paese, sono carat-terizzate da delimitazioni geografi-che la cui dimensione e conforma-zione quasi mai risulta idonea adaffrontare problematiche di ben piùvasta dimensione. Ricordo, a questoproposito, che il fiume Ticino risultaa cavallo di 4 Provincie e di 2Regioni. In queste pagine trattiamol’argomento ponti, cioè di quanto dipiù dirompente si possa immagina-re per un’area larga 8/9 Km. e lungacirca 100 Km. che va da nord a sudcome il Parco del Ticino, in sensoopposto, cioè, rispetto alle piùimportanti vie di comunicazionistradali e ferroviarie che, come ènoto, presentano un corso est-ovest.Il perchè di tale preoccupazione èpresto spiegato.

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Quei nuovi 7 pontisul Ticino

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Dal punto di vista scientifico è pro-vato che i ponti rappresentano lacausa maggiore dell’alterazioneidrogeologica del fiume, in quantostrettoie obbligate la cui rigiditàcontrasta pesantemente con il regi-me di libertà idraulica di cui gene-ralmente gode il fiume Ticino. Iponti, inoltre, costituiscono unapesante interruzione artificializzatadi un corridoio ecologico di impor-tanza continentale, che serve a col-legare l’Europa Centrale al MarMediterraneo, quale risulta essere ilParco del Ticino. È importante sottolineare, a questoproposito, che in tutti questi anni ilParco ha cercato di divulgare princi-pi di carattere idraulico ed ecologicoa cui si dovrebbero ricondurre imanufatti di scavalcamento delfiume. Le indicazioni più importan-ti che il Parco ha sostenuto sonosostanzialmente due:

a) I ponti devono esse-re progettati con cam-pate della massimaampiezza possibile(con pochi piloni cheinteressano il corso delfiume) e devono sca-valcare un tratto dialveo molto profondo,al punto da garantireun deflusso morbidodelle acque con qual-siasi regime di portata. b) È necessario, insie-me alle opere ingegne-ristiche di costruzionedel manufatto, indivi-duare e realizzareopere di mitigazioneambientale con tecno-

logie idonee, tali da garantire la per-meabilità della interruzione artifi-ciale, per ciò che riguarda flora efauna.Queste sono le condizioni minimeper mantenere in efficienza un eco-sistema fluviale attraversato da col-legamenti stradali e ferroviari. Maanche quando questi principi, chesono essenziali per le funzioni diun’area naturale protetta, sono con-divisi teoricamente, occorre poi tro-vare la volontà politica, la disponibi-lità finanziaria ed anche la capacitàtecnica per trasferirli concretamen-te nel caso specifico.Deve risultare chiaro, comunque,che cosa ancora più importante diquanto sopra affermato, è il numerodelle interruzioni di un corridoioecologico. Esso deve essere ridottoal minimo essenziale altrimenti leopere di mitigazione introdotte

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Ponte di Pavia sul Ticino

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risulteranno simili ai rattoppi di unacoperta troppo logora che finiscecon lo sfaldarsi nel momento in cuise ne decide l’uso.È questo il pericolo che il Parco stacorrente in questi tempi, se si consi-dera che la maggior parte dei pro-getti riguardanti i nuovi attraversa-menti sinora sottoposti al Consorziosono inspirati (in contrasto conquanto sopra indicato) ai peggioricriteri di spreco di territorio, di frat-tura insanabile del corridoio natura-le oltre che di pesante compromis-sione del paesaggio fluviale.Ciò valesoprattutto per i ponti di ferro diTurbigo ed Oleggio per i quali, ilnome di una non condivisa esigenzaviabilistica che fa capo a Malpensa(per il sistema transportistico lom-bardo Malpensa è diventata come laMecca per i Mussulmani) è previstanon la sostituzione in loco deimanufatti in ferro esistenti, (come

fu fatto negli anni ‘50, dopo ladistruzione bellica dei pontioriginali della seconda metàdell’ottocento) ma la realizza-zione di nuovi viadotti, nellevicinanze di quelli esistenti,per i quali è previsto un utiliz-zo futuro per usi esclusiva-mente locali davvero risibile. È facile capire che operazionigià di per sé cruente e per dipiù eseguite in un ambientemolto delicato, possono assu-mere valenze catastrofiche sesi considera che ai danniambientali causati dalla rea-lizzazione della struttura-ponte, (consistenti in pesantiavvertimenti dell’alveo ne-cessari per le fondazioni delle

pile e distruzioni di aree naturaliboscate perlfluviali) vanno aggiuntiquelli dovuti a nuovi e faraonici col-legamenti stradali, che vengonoproposti, senza nemmeno ipotizza-re il recupero naturalistico delle areesinora adibite alla viabilità ordina-ria.La teoria che prevede sempre la rea-lizzazione di nuove strutture, innome di un illusorio progresso,anziché adeguamenti in sito a quel-le esistenti, in un’ottica di elementa-re rispetto per il territorio, ci riportaindietro di 40 anni e fa strame ditutti gli sforzi profusi dal Parco inquesti anni per far capire a tutti iprincipi essenziali in tema di idro-geologia e di ecologia. Per completare il quadro si aggiungala futura realizzazione di un nuovoponte per il Treno ad Alta Velocità(TAV) che verrà realizzato in comu-

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Ponte di Sesto Calende sul Ticino

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ne di Bernate Ticino e cheattraverserà addirittura un“Sito naturale di importanzacomunitaria”, seppur preve-dendo tecniche, precauzionie garanzie migliori; di duenuovi ponti (ancora da defini-re) per lo spostamento e l’am-modernamento dell’auto-strada A4 Milano-Torino,sempre in territorio diBernate Ticino; di un nuovoponte stradale sulla SS494Abbiategrasso/Vigevano, cheandrà ad aggiungersi all’attualeponte che diventerà esclusivamentedi utilizzo ferroviario, dopo il rad-doppio della linea Milano-Alessandria,ed infine il rifacimentoin loco del Ponte di Bereguardo lacui realizzazione, seppur conse-guente ad un progetto molto attentoalle componenti ambientali di unodei luoghi più tipici del Parco, com-porterà, almeno per una stagione,sostanziale sovvertimento dell’habi-tat fluviale e delle deposizioni dellafauna ittica in particolare. Questo è il quadro operativo che ilParco si troverà di fronte nei prossi-mi mesi. È chiaro che, comeConsorzio di Comuni e come Entepreposto a tutelare interessi essen-ziali, chiederemo ai politici ed aglioperatori di rispondere positiva-mente alle nostre sollecitazioni chemirano a trovare il sistema miglioreper conservare elementi naturaliunici di cui il fiume ed i territori con-nessi sono portatori privilegiati,almeno nella stessa misura con cui ilParco è disponibile a prendere inesame altre esigenze anche non

interamente condivise.Per poter proficuamente svolgerequesto arduo lavoro, chiederemol’appoggio degli amministratorilocali e dei cittadini più attenti allequestioni che riguardano il loro ter-ritorio, anche quello non necessa-riamente del Comune di residenza.Se così non fosse può accadere chenei prossimi anni il corridoio biolo-gico Parco del Ticino possa subirealterazioni di consistenza tale datrasformare radicalmente le conno-tazioni. Vogliamo allora impegnarci tuttiinsieme, convinti di avere interessiculturali e storici comuni da difen-dere (a prescindere dal ruolo cheogni singola persona è chiamata asvolgere nella vita) oppure, quandosarà successo l’irreparabile, preferi-remo perderci in contenziosi verbaliinutili, adossandoci l’un l’altroresponsabilità reciproche, secondouna pratica troppo diffusa nelnostro Paese?

Luciano SainoPresidente Parco Ticino

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Ponte del Ticino - Pontenuovo

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Iquasi cento chilometri di astafluviale possono apparire pocacosa paragonati alla superficie

delle foreste europee per averemotivi d’interesse derivanti dallediversificazioni floristiche caratte-rizzate dal diverso clima, impostoall’orografia o da salti di quotarepentini o dall’esposizione deiversanti. Da matrici geologichecomplesse che concorrono allaformazione di soprassuoli foresta-li ben caratterizzati dove le com-ponenti floristiche si rincorronoper rappresentarsi in forme moltoappariscenti o comunque bendefinite.Cosa dire poi delle tradizioni seco-lari d’uso selvicolturale che cihanno trasmesso soprassuoli pla-smati da un’economia rurale cheancora oggi sopravvivono e si pos-sono leggere in come il bosco simanifesta e dove la lettura dellecomponenti vegetali ci trasportain un mondo antico nel quale ilbosco forniva il suo sostegno allevicine popolazioni.I boschi del Parco si radicanoall’interno di 200 metri di quota,

tanto per capirci una differenza ditemperatura teorica che nonsupera i tre gradi, un suolo recen-tissimo derivante dalle ultime fasiglaciali. Eppure in questo ambitoche può apparire uniforme sonosopravvissuti oltre 17.000 ettari dibosco, un patrimonio quest’ulti-mo qualitativamente e quantitati-vamente eccezionale nel paesag-gio ormai completamente stravol-to della Pianura Padana. Il Parcoregionale lombardo della Valle delTicino presenta infatti, rispetto adaltre aree anche protette, caratteriparticolari per l’assetto territoria-le. Esso infatti non comprendeunicamente zone di elevato valoreambientale, bensì un comprenso-rio molto vasto, con superficie di90.602 ha, adiacente all’areametropolitana milanese e densa-mente popolato. Vi si svolgonorilevanti attività produttive agrico-le, specialmente nella parte meri-dionale ed industriali (nella zonanord) e sono presenti importantiinfrastrutture come l’aeroportodella Malpensa. Il comprensoriodel Parco Lombardo della Valle del

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Introduzione alla conoscenza dei boschi

nel Parco del Ticino

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Ticino è delimitato dai confiniamministrativi dei comuni lom-bardi (tutta la sponda sinistra eoltre metà della destra) intornoall’asta fluviale, dall’incile del LagoMaggiore alla confluenza con il Po,nelle province di Varese, Milano ePavia.Sugli oltre novantamila ettari dellasuperficie complessiva esistonopatrimoni naturali e storici di ine-stimabile valore, ma anche inse-diamenti assai consistenti, comele città di Pavia, Vigevano,Gallarate, Abbiategrasso eMagenta. Ecco che sotto l’aspettogeomorfologico solo apparente-mente uniforme il territorio pre-senta almeno cinque diversiambiti:- la valle incisa dal fiume (da 15 a50 metri sotto il livello normaledella Pianura Padana) che coprequasi il 59% della superficie delConsorzio e comprende i più rile-vanti elementi di valore naturali-stico: il fiume stesso e gli ambien-ti ad esso legati, foreste, presenzefaunistiche;- parte della Lomellina (destra delTicino), del Pavese e dell’Abbia-tense - Magentino (sinistra), terri-tori di pianura ricchi d’acqua avalle della cosiddetta “linea deifontanili”;- la pianura del Castanese irrigatadal canale Villoresi;- l’alta pianura asciutta a norddello stesso canale, con la vastaconurbazione Gallaratese e lezone della “brughiera”;- le prime colline moreniche delVaresotto, in buona parte boscate.Anche l’influenza storica non è

stata da poco, purtroppo la tratta-zione meriterebbe un ampio spa-zio ed in questa sede non possoche soffermarmi su un solo aspet-to ma sempre di grande interesse:quello che abbraccia l’intorno deiterritori tra Abbiategrasso eVigevano, prendendo come fulcroi boschi fino a Bereguardo.

Breve storia antica dell’uso dei boschi del Ticino

Nell’età Longobarda e Franca ilbosco fa parte del dominio fiscale:è il bosco regio; come altri beni oprerogative può essere concesso aterzi, frequentemente ad enti reli-giosi. Così in una lettera l’arcive-scovo di Milano, Roberto Visconti,nel 1359 ingiunge al vicario ed aiconsoli di Abbiategrasso di vietareil furto di legna nei boschi dellamensa vescovile. Dalla metà deltrecento in poi vedremo frequen-temente questo atteggiamento ditutela e repressione sull’uso deiboschi. Il bosco era atteso comepatrimonio che produceva selvag-gina ma, sempre più spesso, appa-re nella storia come indispensabi-le risorsa volta a soddisfare l’eco-nomia nascente oltre a quelle esi-genze primarie legate al riscalda-mento ed alla cottura dei cibi.Dagli statuti di Vigevano, si leggo-no le prime norme sulla gestionedelle foreste.Nessuno conduca capre al pascolodopo il taglio nei primi due anni (aCastelletto Ticino valeva il divietoda aprile a settembre nei boschitagliati - 1340), chi danneggia iboschi comunali e privati, chi ha

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tagliato vimini o pali per viti, chiabbia portato o acceso il fuoco, siacondannato ad una pena pecunia-ria proporzionale alla legna taglia-ta. Il taglio era codificato in modoplanimetrico spartitivo con turnidi sei anni.La comunità di Abbiategrasso pro-prietaria di un ingente perticato, eda questa di lucrosi affitti, ricorreal Duca per ottenere il rispetto deidecreti che nei territori privati edella comunità salvaguardavano ilbosco come ambiente di caccia. Tanto che il ricorso al Duca produ-ce una condanna alla stessacomunità nel 1479, che fu punitaper aver tagliato del legname nelleproprie terre.Già nel 1429 Filippo MariaVisconti richiamando una gridadel 1422 vietava il taglio dei Roverie di allievi senza licenza e che que-sta poteva essere rilasciata con ilrispetto di quattro allievi per perti-ca. Negli altri luoghi, al di fuori deiterritori delle cacce ducali, c’eralibertà di taglio.Questo spirito libertario condusseLudovico il Moro a promulgare nel1496 “volemo siano reservate tutele boschive del valle de Ticinoincominzando dove nase Ticinofora dal laco et andando dove intrain Po, così da l’uno canto comodall’altro” nella premessa conside-rava che da gran tempo si è con-sentito a chiunque di tagliareboschi, strappare, tagliare e scal-vare allievi e roveri in tutti i boschie che ciò ha portato un ingentedanno alle cacce ducali.Appare interessante come il ducasi contrapponga agli interessi delle

comunità che consideravano ilbosco come una grande ricchezzada sfruttare per il commercio, perl’uso della comunità e certo per ladifesa delle rive dalle grandi ero-sioni del fiume.La legge che arrivava da lontanoproteggeva la caccia e la selvaggi-na per Milano.In ogni caso il consumo di legna diMilano superò qualsiasi normatanto che nel 1523 la preoccupa-zione non era più l’ambiente dicaccia ma l’approvvigionamentocostante per la grande città.Per l’approvvigionamento a Paviasi usava la fluitazione e la legna eraraccolta in un mercato in riva alfiume Ticino dove il prezzo era cal-mierato per favorire i poveri, tantoda dover notificare all’ufficioProvvisione l’estensione deiboschi da tagliare, la loro ubica-zione, la qualità della legna ed imagazzini. L’abolizione dei dazi verso Milano

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intendeva poi concentrare l’afflus-so della legna, specie da Vigevanosulla capitale lombarda.Nel 1568 a Milano si ebbe una granscarsità di legna tanto che perregolare i tagli del bosco furonoemesse delle grida ogni anno. Il Giudice della Legna riceveva ledenunce di taglio, sui proprietari,sulla quantità di legna, sullemodalità di trasporto, sui boschicon più di sette anni e provvedevaad ispezionare personalmente iboschi da tagliare ed i tagli già ese-guiti nella valle del Ticino ed acoordinare il trasbordo dai carri aibarconi sul naviglio ad Abbia-tegrasso. Così per oltre un secolo. In riva sinistra l’interesse per lacaccia era riuscito a mantenereuna certa salvaguardia sui boschiche da Abbiategrasso arrivavanoalla Zelata. Il Capitano Generale delle Cacceaveva un gran da fare nel diffidarei tagliatori ed i raccoglitori dighiande destinate all’alimentazio-ne dei selvatici ma le autorizzazio-ni del Giudice della Legna non sifermarono: nel 1739 escono 600Querce dalla Zelata e 300 daBesate che vengono rimpiazzateda quattro allievi alla pertica.Solo nell’inverno 1771 il ducatoingiunge il taglio del bosco allecomunità in rivierasche di sinistraper 4680 pertiche, la legna diventasempre più indispensabile perMilano. Il censimento delle proprietà deiboschi è sconsolante, delle 10.000pertiche di proprietà di Abbia-tegrasso non ne rimane una men-

tre i privati e manomorte ne ten-gono 28.092.Tra il seicento ed il settecento èben documentato quello che giàda tempo stava capitando aiboschi. Continue richieste di auto-rizzazioni al taglio con resistenzedelle comunità sempre più preoc-cupate della consistenza deiboschi. Ma spesso le comunità sono inde-bitate e per far fronte alle necessitàalienano parte dei patrimoni ainobili, ai Trivulzio vanno 2972 per-tiche nel 1667 dei boschi diVigevano, mentre i Visconti diModrone, i Bolognini, i Dome-nicani di S. Maria delle Grazie pro-prietari della Sforzesca, continua-no ed approvvigionano le lorotenute con migliaia di carri dilegno. Le normative per il tagliodei boschi non si discostano moltoda quelle di tre secoli prima: iltaglio si può ripetere ogni noveanni, il pascolo è vietato nei primitre e la raccolta delle foglie negliultimi due. La fine del privilegiosulle aree di pertinenza delle riser-ve di caccia alla fine del settecento,portò una liberalizzazione finoallora sconosciuta: chiunque pos-sedeva boschi, stagni, fondi palu-dosi nelle riserve di caccia potevametterli a coltura senza pagare idiritti che prima erano richiesti. Il volto della valle cambiò.Così innescati dai disordini per l’e-levato prezzo della legna del 1806,solo vent’anni dopo la liberalizza-zione dei tagli si era creata unamancanza dei prodotti legnosi,selvaggina compresa, EugenioNapoleone con i decreti del 1808 e

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del 1811 pensò di correre ai ripariin modo drastico: “Sono soggetti acaccia riservata tutti i boschi e levalli del Ticino... ne’ detti boschidel Ticino non si potrà da qualun-que proprietario o fittabile di fonditagliare, far tagliare o sbroccarealberi, ovvero allievi di rovere, emolto meno l’estirpare boschi oraccogliere le ghiande senzaespressa patente”. Nelle proprietàpubbliche le norme dettavano dirilasciare ad alto fusto il 25% deicedui, il turno non doveva essereinferiore ai sette anni, si dovevanorilasciare 25 allievi per ettaro oltrequelli lasciati nei turni precedentie questi dovevano essere conside-rati alberi d’alto fusto. La legge veniva ritenuta troppopunitiva e con difficoltà era rispet-tata.Ma la scarsità di legna nel 1817veniva con forza segnalata nelVigevanasco dalle autorità locali.Le autorizzazioni “patenti” legaliproseguivano, nell’anno 1823 ven-nero concessi ai Visconti 200 carra(3,36 mc ogni carra) da opera e 620da fuoco, al conte Bolognini 200come al conte Cusani, sempredagli stessi boschi nel 1827, soloquattro anni dopo, escono altri500 carra. Via così oltre alle decinedi migliaia di piante tagliate per farfronte alla richiesta locale.Dove è appena possibile, corrutte-la permettendo, il bosco tagliatodai privati viene disboscato per farposto alle colture agricole.L’amministrazione nel 1827 volleverificare la credibilità della legge.Il risultato fu sconfortante, un solo

processo fu registrato in dieci anniin tutta la provincia di Pavia, con-tro un tale di Robecco sul Naviglio,condanna peraltro mai eseguita. In questa situazione amministrati-va gli “sfrosatori”, ossia coloro cheerano obbligati a rivendere lalegna ad un prezzo prefissato manon se ne curavano, imperavano.La legge venne abrogata nel 1877,quella nuova era ispirata al princi-pio di libertà politica ed economi-ca dove però il danno pubblicogiustificava se del caso, la limita-zione del diritto di proprietà di chiusa male ciò che possiede.

Continuando nella lettura storicadel bosco e prendendo in esame ilterritorio in fregio al Ticino aBereguardo, ci sorprende comedal 1748 non vi sono stati cambia-menti dello stato di fatto, da boscoa terre agricole, ma è capitato l’op-posto: ben 30 ettari di aree a semi-nativo arborato, seminativo irri-guo e risaie sono state abbando-nate e spesso rimboschite, al finedi ottenere nuovi boschi (boschidella Zelata).Il regime di tutela passato ci vieneconfermato dallo studio dendro-cronologico dei transetti lineri cheattraversano il fiume in quellazona. Qui emerge una situazioneveramente unica: anche sulle scar-pate a Robinia l’età della compagi-ne è compresa tra i 40/48 anni,così nelle aree igrofile ad Ontano,ossia quelle cenosi forestali pro-duttive che da sempre subisconodei trattamenti a raso con governoa ceduo e turni ravvicinati hanno

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età sempre riferibile all’immedia-to dopoguerra.Dicevamo situazione unica inquanto la struttura e la composi-zione dei boschi anticipa di circa25 anni il regime di tutela impostodall’istituzione del Parco delTicino nel 1980. D’altro cantobasta raffrontare la provvigionereale (quanta massa di alberi) peravere un’idea di quanto sia prossi-ma alla normalità (quale massa dialberi è considerata ottimale per ilautomantenimento naturale delleforeste) 224.2 mc/ha per diametrimaggiori di 17.5 cm contro 185.2mc/ha della tenuta “Bosco Ticino”di Abbiategrasso e per le aziendedella zona 145,79 mc/ha“Castagnolo”, 132,36 mc/ha“Occhio” e 126,36 mc/ha per la“Gaezia” tutte aziende con grandisuperfici dedicate a Riserva inte-grale dal 1980. I soprassuoli hannoavuto da questo risparmio provvi-gionale un beneficio permetten-

do, peraltro, una certa lettura nelledinamiche di rinsediamento dellespecie originarie nei boschi di eso-tiche. Bisogna mettere in guardiada un facile ottimismo.Molti popolamenti, dopo l’inse-diamento o dopo il rinfoltimentoartificiale hanno problemi di col-lassamento di tutte le compagini.E’ il caso dei popolamenti diRobinia radicati sulle scarpate cheriteniamo anch’essi, in gran parte,di sicura antropogenia.

Data l’instabilità delle pendici, èda ritenere che la leguminosa siastata inserita artificialmente. La specie già dopo le alluvioni del1750 era ritenuta capace “in brevetempo della redenzione della dis-sestata collina” Vittorio Amedeo(1726-96) . Poi, nel 1800 è stataaccolta nelle aziende agricolecome elemento di grande utilità:come combustibile per i forni peril pane e come paleria da vite perla capacità di bruciare senza o conuna breve stagionatura.Di fatto la specie viene a sostituireil Castagno che ancora nel 1844viene indicata come specie daincrementare nei boschi diBereguardo. La diffusione dellaleguminosa è stata inoltre incenti-vata dalla milizia forestale nelperiodo antecedente il conflittomondiale del 1939 che ha distri-buito con gran facilità le talee diRobinia provenienti dai vivai delloStato.Ora ricordando che un ceduo diRobinia abbandonato non portaalla costituzione di una fustaia

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(European research developmentprogram wood as renewabableraw material, IPLA 1986), anzi “ipolloni si allungano e dalle occa-sionali cadute di neve sussiste ilpericolo di crolli di massa o tron-camenti...” come ben evidentenella pendice di scarpata a ponen-te della Zelata. Continuando unalettura di dettaglio vi sono altrisoprassuoli antropogeni che crea-no forte preoccupazione: quelliradicati sulla scarpata con Pioppoibrido ormai in avanzata sene-scenza biologica. Altre immissionisono al momento tollerabili comequella della Quercia rossa degliAceri negundo, riccio e di monteche pur essendo capaci di rinno-varsi, la diffusione è così modestada far ritenere l’aggressività d’in-gressione di tali entità rinviata allavalutazione caso per caso, valu-tando la posizione sociale, il vigo-re vegetativo e la stabilità di ognisingolo albero.

Un discorso a parte merita la fortepresenza di Ailantus altissima,unica Simaroubacea presente inItalia. Si rileva infatti l’avvenutocollasso del soprassuolo con unospettacolo sconfortante. Alcuniettari sono aperti con bassissimacopertura arborea, fusti di Ailantotroncati emergono dal tappetocontinuo di rovi: non vi sono cherare ingressioni di originarie siaarboree che arbustive. La copertu-ra residua è affidata alla giovanespessina di Ailanto che a gruppi èparticolarmente densa.I grandi carpofori bianchi,Collybia velutipes, dei patogeni

segnano l’avvenuta distruzionedel bosco.

Tentando di proseguire nella logi-ca che lega la storia delle genti aquella del suo territorio possoentrare in un dettaglio più tecnicocirca la lettura delle caratteristichedei boschi cercando sempre dirimanere per comparazione nel-l’intorno del medio/basso corsodel Ticino.

Cenni sulla vegetazione

Le formazioni forestali presentinella bassa valle del fiume Ticino,in particolare nel tratto compresotra una linea ideale posta tra lecittà di Novara e di Milano e laconfluenza del Ticino nel Po, sonostate oggetto di uno studio fitoso-ciologico condotto dal Professor F.Sartori dell’Università di Pavia.Nello studio vengono distinte lediverse formazioni che si ritrovanonella foresta alluviale: quercetomisto, formazioni a Populus alba,formazioni a Alnus glutinosa, for-mazioni xeriche di transizione.In particolare il querceto misto, laformazione di gran lunga più dif-fusa, é stato fitosociologicamentedescritto in una nuova associazio-ne, il Polygonato multiflori -Quercetum roboris; questa, oltread alcune specie caratteristiche,annovera diverse specie dell’al-leanza Fraxino - Carpinion, degliordini Fagetalia sylvaticae ePrumetalia spinosa e della classeQuerco - Fagetea.L’associazione presenta inoltre tresottoassociazioni: l’ulmetosum

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minoris, il carpinetosum betuli el’anemonetosum memorosi che sidistinguono per la presenza dispecie differenziali.Inoltre, l’ulmetosum é caratteriz-zato dall’assenza di Acero campe-stre e da una minore presenza diAsparagus tenuifolius, e si rinvie-ne dove la falda freatica é piùsuperficiale; il carpinetosum écaratterizzato dall’assenza diPrunus padus, Prunus avium e dauna relativa povertà floristica; nel-l’anemonetosum, presente suisuoli con falda freatica più profon-da, si ha una maggiore presenza diMalus sylvestris e di Farnia in rin-novazione; l’anemonetosum, in-sieme con l’ulmetosum, costitui-sce la sottoassociazione più diffu-sa. Formazioni più igrofile delquerceto misto sono quelle aPopulus alba e ad Alnus glutinosa:la prima si trova spesso frammen-taria e in transito verso ilPolygonato multiflori - Quercetumroboris, e annovera specie dell’al-leanza Populion albae e della clas-se Querco - Fagetea; la formazionead Alnus glutinosa, ancora piùlegata all’acqua, é caratterizzatada numerose specie dell’alleanzaAlno - Padion; a queste, a causa diforti interventi di origine autropi-ca quali drenaggi e tagli a ceduo, siuniscono specie della classePhragmetetea. Le formazioni xeri-che di transizione sono insediatesu suoli a drenaggio veloce, origi-nati dall’accumulo di materialegrossolano, formanti piccoli dossirialzati rispetto alle aree contigue;in questi ambienti si trovano spe-cie degli ordini Quercetalia pube-

scentis e Prumetalia spinosae edelle classi Querco - Fagetea eFestuco - Brometea, alle quali siaccompagnano specie tipichedella brughiera.La presenza delle formazionisopra descritte si é potuta riscon-trare piuttosto facilmente nell’a-zienda Crespi: pur senza l’esecu-zione di rilievi fitosociologici veri epropri, nel corso dei rilievi foresta-li e di successivi sopralluoghiall’interno delle particelle sonostate annotate le specie presenti,che hanno consentito una inter-pretazione sufficientemente chia-ra delle diverse tipologie vegeta-zionali; la formazione meno evi-dente risulta essere quella aPopulus alba, che peraltro lo stes-so Sartori descrive come fram-mentaria, spesso in fase di transi-zione e di conseguenza di difficileidentificazione. Fenomeni di tran-sizione sono altresì presenti piut-tosto spesso anche nell’ambitodelle altre formazioni; in partico-lare all’interno del Polygonatomultiflori - Quercetum roboris lesottoassociazioni ulmetosum eanemonetosum, come sottolinealo stesso autore, sono frequente-mente mescolate tra loro.Per quanto concerne la tipologiaforestale, é interessante rifarsi aduna recente pubblicazione dellaRegione Piemonte (RegionePiemonte, IPLA: I tipi forestali nel-l’ambito della pianificazione fore-stale nella Regione Piemonte -1996); questo lavoro, nato dall’esi-genza di poter disporre di unasorta di “chiave analitica” per l’i-dentificazione dei diversi tipi di

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bosco, ai fini di una pianificazionemaggiormente rivolta verso aspet-ti naturalistici ed ecologici, distin-gue le comunità forestali in unitàfondamentali (Tipi) riconoscibiliattraverso la loro composizionefloristica specifica, oltre che daivari aspetti strutturali ed ecologici.Al tipo che rientra in una piùampia unità chiamata categoria,possono essere assegnate unitàdipendenti quali sottotipi evarianti.La schedatura dei boschi é basatasu una serie di rilievi floristicieffettuati, ovviamente, all’internodel Piemonte; nonostante ciòdiverse tipologie sono risultatevalide anche per l’inquadramentodelle formazioni presenti all’inter-no del territorio interessato dal-l’assestamento, principalmenteperché diversi rilievi sono statieseguiti in situazioni sia ecologi-camente che topograficamente adesso vicine: in particolare nellapianura Novarese e lungo il fiumeTicino. Il querceto misto vienefatto rientrare nella categoria deiquerco - carpineti, mentre il tipo éil Querco - carpineto della bassapianura; tra le 44 specie degli stra-ti arborei, arbustivi ed erbaceiindicatrici del tipo, 42 sono pre-senti nei querceti dell’azienda, 26delle quali attribuibili alPolygonato - multiflori -Quercetum roboris.Laddove si ha una presenza subor-dinata di Robinia, viene indicatauna variante con Robinia e talvol-ta con Prunus serotina.Nelle formazioni in cui si ha unanetta prevalenza di Robinia, il tipo

é costituito dal Robinieto, distintoin un sottotipo antropogeno, diimpianto o di invasione dei coltiviabbandonati, e in un sottotipo disostituzione dei boschi preesi-stenti: quest’ultimo é stato riscon-trato più volte all’interno di diver-se particelle forestali, nelle qualierano presenti 30 specie sulle 55segnalate come indicatrici, 20delle quali attribuibili alPolugonato multiflori -.Quercetum roboris: tra queste éinteressante notare, tra le speciedello strato arbustivo, la presenzadi Ulmus minor, che era inveceassente nelle specie del Querco -carpineto.Questo potrebbe essere attribuitoal fatto che molti dei rilievi, perl’inquadramento tipologico, sonostati eseguiti lungo il fiume Ticino,e in particolare nel comune diTrecate. Le formazioni ad AlnusGlutinosa sono fatte rientrarenella categoria degli Alneti: il tipoé l’Alneto di Ontano nero, con spe-cie sia dell’alleanza Alno - Ulmionche , nella variante impaludata,dell’Alnion glutinosae; su 31 spe-cie indicatrici, 29 sono state ritro-vate negli ontaneti dell’azienda, edi queste 14 sono segnalate daSartori nelle formazioni a Ontano.In alcune aree particolarmenteumide si segnala anche la presen-za di Leucojum aestivum, a trattiparticolarmente abbondante ediffuso su superfici piuttosto este-se, che forma delle fascie moltocaratteristiche, soprattutto almomento della fioritura.Le radure igrofile dove la speciearborea prevalente é Salix alba,

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sono ascrivibili al tipo Salicetoripario di Salice bianco: in questiambienti sono state ritrovate 34specie sulle 47 indicatrici del tipo,fra le quali Populus alba e Populusnigra che spesso accompagnanoSalix alba nel piano arboreo. Restano da segnalare delle forma-zioni ad Ailanthus altissima, chepossono essere considerate analo-ghe a Robinieti di sostituzione incui la Robinia é sostituitadall’Ailanto, e delle formazioni aSalix cinerea, relativamente moltodiffuse nelle zone più umide.Un ulteriore aspetto che maggior-mente può interessare in questatrattazione, è quello del mutaredella vegetazione in relazione alledinamiche legate all’andamentodel Ticino. L’ecodinamica deipopolamenti della valle del Ticinosegue alcune fasi di successioneprimarie legate alle esondazione ealle mutazioni del corso del fiumeche influenzano le fasi evolutivedei popolamenti. Le tipologie forestali di più recenteinsediamento sono le formazionidi greto radicate nelle zone diprima esondazione del fiume susabbie e ghiaie, rappresentate darecenti depositi o dagli alveiabbandonati dal fiume durante imutamenti indotti dalla dinamicafluviale nel corso del tempo.Il regime delle piene e i frequentimutamenti del corso del fiumeinfluenzano fortemente la dina-mica evolutiva dei popolamenticontribuendo a limitare l’età deglistessi a poche decine di anni; ipopolamenti sono rappresentatida saliceti di Salice bianco coeta-

neiformi monostratificati checolonizzano le zone depresse piùumide e fertili o rade formazioni aPioppo nero o ibrido sulle ghiaiepiù alte maggiormente drenate esterili, nelle condizioni di maggio-re fertilità i saliceti svolgono la loroazione colonizzatrice per circa26/30 anni dopo di che l’ecosiste-ma tende a collassare dando l’av-vio alla formazione del boscomesofilo. Sui depositi alluvionalipiù vecchi si trovano le formazionixeriche originatesi su terrenisopraelevati in dossi molto drena-ti formati da ghiaie grossolane chedanno luogo a condizioni di mar-cata aridità, tali caratteristicherappresentano una forte limitazio-ne allo sviluppo di popolamentiforestali che manifestano dinami-che evolutive molto lente che ten-dono ad arrestarsi a stadi interme-di senza poter raggiungere la con-dizione climatica. Le formazioniforestali presenti sono condizio-

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nate dalle disponibilità idriche delsubstrato e possono essere rap-presentate da formazioni mesoxe-roflie di discreta densità formateda Orniello, Acero campestre escarsa Farnia nelle condizionimeno difficili a formazioni xerofilecon sporadici Pioppi neri e speciequercine dal portamento ridotto econtorto di ridotta densità ecopertura. Nelle fasce abbandona-te dal fiume in tempi più remotil’evoluzione del popolamento rag-giunge stadi successionali termi-nali e dunque più stabili rappre-sentati da popolamenti di Farnia,Carpino e altre specie tipiche delleformazioni mesoigrofile. Questipopolamenti presentano caratteristrutturali e di complessità specifi-ca tipici delle formazioni climaci-che quali pluritratificazione dellastruttura, elevata complessità spa-ziale delle specie che contribui-scono alla formazione del popola-mento sia nello strato arboreo chein quello arbustivo che in quelloerbaceo dove sono spesso presen-ti specie indicatrici della cenosiclimatica stazionale, i veloci ritmidi accrescimento che si traduconoin elevati valori di incrementoproducono in tempi relativamentebrevi provvigioni unitarie tipichedi formazioni di età più adulte. Nonostante l’elevato grado evolu-tivo, questi popolamenti presenta-no età relativamente giovani; dal-l’analisi dell’andamento del corsodel fiume nel tempo, si osservainfatti che tali popolamenti sonoradicati sulle superfici occupatedal fiume non più di cento anni

prima o recentemente abbando-nate dal fenomeno delle pieneordinarie dove i popolamentihanno potuto evolversi in ecosi-stemi maturi. A seguito dell’esaurimento dellafase preparatoria da parte delleformazioni pioniere a Salice ePioppo nero che colonizzano lealluvioni recenti, le formazioniforestali della valle del Ticino cheoccupano le stazioni più fresche efertili dimostrano un dinamismomolto rapido in grado di condurrei popolamenti verso gradi di com-plessità ecologica prossimi a quel-li delle formazioni mesofile vicineallo stadio paraclimacico in unarco di tempo molto ridotto, gene-ralmente contenuto in un secolo.

Dario Bottesini

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Presentazione convegno

Le due giornate di studio,tenutesi il 24 e 25 giugnoscorsi, che hanno avuto

come sfondo, la suggestiva cor-nice del santuario d’Oropa, sonostate l’occasione, oltre che perricordare la fortunata esperienzadel Consorzio dell’Est-Ticino,una realtà questa che continuada più di 25 anni, anche perriflettere ed interrogarsi suinuovi scenari e sulle nuove pro-blematiche, che si aprono all’al-ba del nuovo millennio.La cooperazione, come momen-to associativo, nato inizialmenteper far fronte soprattutto a esi-genze di carattere imprendito-riale, è andato via via sempre piùallargando il proprio raggio d’a-zione, venendosi ad occuparedei vari aspetti della vita umana,

dal sociale sino al culturale, atestimonianza di come la solida-rietà rappresenti la vera essenzadi questo genere di esperienze. Volendo prendere a prestito leparole di Don Mauro, uno deirelatori che si sono avvicendatinella due giorni di Oropapotremmo concludere dicendoche: “La gente va incontratanelle sue esigenze fondamenta-li,dentro quel bisogno, bisognodi lavoro, come bisogno di feli-cità, ma soprattutto bisogno didare un senso alla nostra vita”.

È di questi valori, che il mondodella cooperazione ha bisognoper poter continuare ad affron-tare con rinnovato entusiasmole impegnative sfide del domani.

Nella due giorni di Oropa, partico-larmene apprezzato per le temati-che trattate, è stato l’intervento diDon Mauro, tenutosi nella mattina-ta di sabato 24 Giugno; ne riportia-mo qui la parte più significativa,nella quale il sacerdote ricorda l’e-sperienza vissuta, della fondazionedel banco alimentare.

Don Mauro:Io sono arrivato al banco dopo,però so cos’è successo. Un impren-ditore lombardo, penso un grandeimprenditore lombardo, DaniloFossati, in uno dei suoi viaggi dilavoro venne a conoscenza di que-sta esperienza a Barcellona, inSpagna. Cioè della possibilità di

Giornate di studio delConsorzio Est-Ticino

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recupero di tutte le eccedenze ali-mentari e della loro valorizzazionea livello sociale, cioè della distribu-zione delle eccedenze ai più biso-gnosi gratuitamente. Anche perquesto che lui, grande imprendito-re, alimentarista pensando alle sueeccedenze, pensò di poter iniziarelui stesso quest’opera e dall’incon-tro poi con Mons. Giussani nacqueil Banco Alimentare in Italia. Nelsenso che la sua semplice idea eraquesta: Io ti metto a disposizionetutto ciò di cui c’è bisogno, voi fatel’opera. Un modo un pò particolare,ma molto chiaro perché avevacompreso che quest’opera sarebbepotuta crescere solo nella gratuitàdi chi la faceva e nello svilupposempre di più di questa posizioneumana. Cos’è il Banco Alimentareoggi ? Oggi il Banco Alimentare èuna realtà che in tutto il territorio

nazionale, attraverso i suoi dicias-sette comitati regionali, attraverso isuoi quasi cinquemila enti caritati-vi, assistenziali che sono conven-zionati con lui, distribuisce generialimentari di prima necessità aquasi un milione di persone. Dadove vengono i generi alimentari ?Una parte consistente vienedall’AIMA. L’AIMA è quell’agenziadel ministero dell’agricoltura che diconcerto con la ComunitàEconomica Europea, sulle ecce-denze della produzione agroali-mentare, dalla pasta, al riso, al latte,al formaggio, ai salumi, alla carne,la carne sempre meno adesso.Comunque queste eccedenze chevengono trasformate e vengono poidistribuite in Italia alle personeindigenti. E poi all’altra parte, dallagrande industria alimentare e ades-so in modo particolare dalla grande

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distribuzione, cioè dalla granderete di supermercati. Cosa vuol dire? Che i prodotti quando sono nellavicinanza della loro scadenza, iodico vicinanza vuol dire qualchemese prima di solito, oppure quan-do per ragioni di confezionamentoo di cambi di etichettatura tuttequeste cose qui, debbono essereritirati dal mercato, costerebbemolto di più cambiare la confezio-ne che neanche fare un nuovo pro-dotto e viene dato al Don MauroBanco Alimentare. Il BancoAlimentare ritira tutti questi pro-dotti, li mette nei suoi magazzini,che vengono quotidianamente visi-tati, nel senso che su un program-ma particolare, gli enti vengono aritirare a seconda, quindicinalmen-te, mensilmente le derrate alimen-tari che poi vengono distribuite. Dachi è fatto il Banco Alimen-tare ? Èfatto oggi da almeno circa seicentopersone che quotidianamentelavorano per tenere aperti i magaz-zini e distribuire e poi soprattutto èfatto di quell’esercito e, sono circa

centomila ivolontari, soprat-tutto che si espri-mono nella gior-nata della collettaalimentare, chequest’anno sarà il25 novembre eche è coincidentecon la giornatadella colletta ali-mentare di tutti ibanchi d’Europadiciamo in tutte lenazioni europee.La caratteristica

che ha in Italia rispetto agli altripaesi è che a portarlo c’è un sogget-to realmente unitario ed è unoggetto che nasce dall’esperienzacristiana. E dico che la cosa bella èproprio qui, che mette insieme l’i-dea di gratuità e l’idea di sussidia-rietà perché il Banco non fa la caritàdirettamente, ma il BancoAlimentare aiuta chi sta sul campoad aiutare gli altri, mette nella con-dizione di far meglio il loro lavoro.Non so, una mensa per i poveri percui ci sono donne, ci sono uominiche li sono al servizio dei più pove-ri, il Banco Alimentare da le derratealimentari perché questa mensaper i poveri possa continuare. C’èuna comunità di accoglienza ? Il Banco Alimentare fornisce i gene-ri alimentari perché questo serviziopossa essere fatto ad un minor costoper esempio. È questo. Oggi il veroproblema del Banco Alimentare è ilproblema della gestione perché puressendo. Guardate il costo di gestio-ne del Banco Alimentare è questo:

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tremilacinquecento lire all’anno perogni povero che assiste. Cioè vuoldire che con tremilacinquecentolireall’anno il Banco riesce a far perve-nire i generi alimentari di primanecessità per un anno intero aipoveri. Questo è il nostro costo. Eoltretutto se fate il conto le derratealimentari che nel 99 sono statedistribuite, che sono state pari atrentamila tonnellate, cioè trentamilioni di chilogrammi di generi ali-mentari di prima necessità, il lorovalore commerciale è di centoqua-

ranta miliardi. Cioè vuol dire che sisono distribuiti centoquarantamiliardi di generi alimentari diprima necessità. Solo latte, burro,pasta, riso, olio, formaggi, salumi epoi adesso che c’è anche la grandedistribuzione, anche altro. Biscotti,caffè, legumi, tonno, cioè di tutti itipi insomma.

“Basta amare la realtà, sempre, intutti i modi... per il resto non cisono precetti”

In questi anni la famiglia delConsorzio è cresciuta arric-chendosi di persone e di nuove

cooperative. Credo sia venuto iltempo, dopo il convegno d’Angeradel 1997, di riproporre la possibi-lità di un momento di riflessioneper tutti noi.Non esistono precetti ma basta larealtà titola il tema di questo con-vegno, e la realtà ci chiede unaserie di riflessioni di cambiamentiche in questo tempo sono dettatidalla realtà stessa. Già in questimesi abbiamo avuto modo di con-frontarci su alcune tematiche che

interessano le nostre cooperative:vogliamo proseguire questo lavo-ro. Da più parti si comprende chele cooperative crescono se il lorocuore è formato da uomini conuna ragione nel vivere e capaci diprofessionalità nell’agire.Amare la realtà vuol dire anchecrescere nella capacità di affronta-re i bisogni anche attraverso il ser-rato confronto con altri. Ci inse-gna Giovanni II:“lontano dal groviglio delle occu-pazioni quotidiane, l’uomo ritrovaanzitutto la possibilità di pensare,di riflettere, di lasciar emergeredentro di sé quegli interrogativiche, se possono inquietarlo, si rive-lano però salutari per la suaanima. Su questo terreno favorevo-

Il Consorzio Est-Ticino:una famiglia in crescita

Intervento del Presidente Gianmario Paganini

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le, il Santuario è chiamato a farcadere il buon seme della Parola diDio, dal quale solamente può ger-mogliare la conoscenza della veritàe il rinnovamento della vita. Tutto,insomma, nel Santuario, deve ten-dere a far sì che il reciproco ricer-carsi di Dio e dell~uomo possadiventare incontro... Donaci oPadre di vivere l’Anno giubilaredocili alla voce dello Spirito, fedelinella sequela di Cristo, assidui nel-l’ascolto della Parola e nella fre-quenza alle sorgenti della grazia”

I quadri dirigenti delle Coopera-tive associate al Con-sorzio Est Ti-cino di Magenta, una realtà cheraggruppa una cinquantina diCooperative con diverse finalità,(abitative, consumo, sociale, servi-zi, culturale e tempo libero) si sonoritrovati a fine giugno ad Oropa perun convegno che li vedeva impe-gnati sulle prospettive future delloro agire.Il tema: “Basta amare la realtà,sempre, in tutti imodi ... per il restonon ci sono pre-cetti” tratto dauno scritto diGiovanni Testori,dava ampi margi-ni di riflessioni eproposte, se sitiene conto che lec o o p e r a t i v eerano appenauscite dalla sta-gione congres-suale, con tesi ep r o g r a m m i

approvati che impegneranno per ilprossimo quadriennio tutte lecomponenti associate.Si tratta di una verifica da nonappesantire e condizionare concomportamenti che appartengonoal passato, che pure, nel suo proce-dere, necessita di punti di riferi-mento irrinunciabili.- Impegno civile nell’agire, in unasocietà dove l’uomo deve essereprotagonista a beneficio degli altrie il cristiano un testimone che con-tinui l’azione del Creatore.- Risposta a bisogni e necessitàche stanno rapidamente cambian-do a seguito dei grandi mutamentipolitici, tecnici, economici e cultu-rali di questi ultimi anni.La stessa mondializzazione ci coin-volge con in suoi grandi effetti e cichiede nuove disponibilità e com-portamenti.- Applicazione del principio dellasussidiarietà quale elementoportante che non può venir menonell’agire e che deve essere ricono-

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sciuto da tutti gli interlocutori apartire dallo Stato sino ai singolicittadini.- Effettiva capacità gestionale diogni Cooperativa quale garanzia aisoci e alla società della capacità,linearità, efficienza e efficacia del-l’opera imprenditoriale.Su questi punti cardine si devecostituire una cooperativa. Strutture quali il Consorzio sonoriferimenti che aiutano a far nasce-re nuove esperienze facilitandoprocedure ed aiutando tutte lerealtà nel cammino burocraticoamministrativo. Saranno poi i soci iprincipali artefici del loro agire eco-nomico, in quanto essi sono i primifruitori del loro operare e su di essiricadranno i benefici della loroazione gestionale e questo vale perogni categoria di soci, dagli asse-gnatari di abitazione, ai soci consu-matori, ai soci lavoratori, ai socivolontari, ai soci fruitori di servizi,per finire ai soci sovventori.Quali sono oggi gli scenari che unacooperativa si trova ad affrontare?Nel settore abitativo, accanto allostorico ruolo di fornire case in pro-prietà, che ha visto e vede tuttoraun successo inconfutabile dellecooperative dove risparmio e qua-lità si completano, stanno emer-gendo nuove aspettative.Le case in affitto sono una neces-sità legate sia alle famiglie mono-reddito con limitate risorse econo-miche sia ad una sempre più dina-mica opportunità di posti di lavorosul territorio nazionale con conse-guente trasferimento di singolepersone o nuclei famigliari.

Il bisogno di un’abitazione dignito-sa è poi una necessità per tanti stra-nieri che regolarmente sono entra-ti a far parte della comunità nazio-nale, con il loro lavoro stabile, edindispensabile a garantire servizi emansioni scartate dai cittadini delluogo. È una situazione molto simi-le a quella che molti nostri conna-zionali, immigrati da zone depressedell’ltalia, hanno provato sulla loropelle negli anni 50/60 (legata algrande boom economico) e chetanti di loro hanno risolto anchecon la casa costruita in cooperati-va.Analogamente casi diversi necessi-tano di nuovi strumenti operativi, apartire dalle risorse da mettere incampo da parte dei soci, ai rappor-ti con gli istituti di credito, a com-portamenti culturali e necessitàeconomiche di persone provenien-ti da altri stati o continenti.Nelle cooperative di consumo ilruolo dei punti vendita di prossi-mità (in quanto collocati all’internodei centri abitati), è quello di facili-tare la spesa in modo moderno econveniente ai residenti che incon-trano difficoltà di spostamento(anziani) e di garantire spese amisura di bisogni reali non condi-zionati dal fascino dei faraonicicentri commerciali. A ciò si deveaggiungere il tentativo di porre unargine a un mercato esasperatodove qualità - genuinità - freschez-za sono sacrificati al prezzo (in que-sto contesto si possono leggere irecenti fatti legati alla commercia-lizzazione di carni alterate e desti-nate alla distruzione e finite chissà

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come sui banchi di vendita in unaEuropa che diventa sempre piùpiccola). Da qui la necessità diessere protagonisti in una distribu-zione dove il socio non sia solo unamera componente di consumo mapossa partecipare all’attività diorientamento del mercato attraver-so una società che lo vede attoredialogante verso i responsabilidella cooperativa e gli addetti allevendite. Bisognerà infine aggiunge-re una modificata ed aggiornataforma di acquisizione di merci eservizi, campi questi in costantedivenire. Le cooperative socialid’inserimento lavorativo, acquisitauna discreta solidità gestionale,necessitano per poter continuare acrescere, di lavori più complessi edi maggior valore. La diversificazio-ne del lavoro, momento di crescitae di stimolo per le residue capacitàlavorative dei soci svantaggiati,(come già per l’esperienza dell’in-serimento di portatori di handicapnella scuola), il compartecipare alla“normalità” alza di molto la qualitàdella vita in un ambiente ricco disolidarietà quale quello della coo-perazione, che si fa carico di aspet-ti economici, sociali e culturali. Èinutile ribadire che in questo setto-re si è sempre in marcia in una sfidagiornaliera volta al positivo esoprattutto personalizzata al sociofruitore e lavoratore. Per le coope-rative sociali di servizio alla perso-na si auspica che la nuova LeggeRegionale 23 possa rimpostare erilanciare nuove iniziative doveogni comunità ha il dovere di farsicarico dei problemi più scoperti dei

propri componenti più deboliattraverso strategie sinergiche traassociazioni e persone che arric-chiscono la qualità dei servizi acosti compatibili. Là dove invece lagestione è più complessa (case diriposo e strutture protette) si devesuperare con le risorse umane deisoci lavoratori, soci volontari e socifruitori l’attuale logica degli appaltieconomicamente più vantaggiosiche finiscono ad enti slegati e lon-tani dal territorio e dalla comunità,che spesso sacrificano la qualità deiservizi complessivi forniti agli ospi-ti. Infine le cooperative del tempolibero e le associazioni culturalisono iniziative riconducibili adutenze che per età e status sonodinamiche, giovanili, intellettual-mente vivaci e che con il loro agiresono propositive verso una miglio-re qualità della vita. La loro nuovafrontiera sarà quella di trovaremodi e spazi per servizi a personeche per convenzione sociale sonoescluse e stentano a farsi coinvol-gere in iniziative preconcettual-mente a loro non destinate. Questele linee di sviluppo e di sfida cheper i prossimi anni attendono lecooperative collegate tra loro nelConsorzio Est Ticino, per un impe-gno che mi auguro ricco di soddi-sfazioni.Se altre necessità si presenteranno,con la dedizione, la tenacia, laserietà e l’altruismo di sempre, ver-ranno affrontate, con la generositàdegli uomini e l’aiuto di Dio.

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Relazione sull’incontro dei rappre-sentanti delle coop. dell’area cultu-rale, sportiva e del tempo libero.

Le domande a noi poste dal-l’organizzazione del conve-gno ci hanno stimolato ad

una serie di considerazioni ine-renti alla nostra scelta di socio dicoop., alle prospettive di coinvol-gere nuovi e giovani soci, all’esserecooperativa e dei rapporti di colla-borazione costruttiva tra le coop.per il raggiungimento di obiettivicomuni.Ciò che è emerso dalla discussioneè frutto dell’esperienza, dellanostra storia personale e soprat-tutto del domandarci ancora unavolta, quali sonostate le ragioniche ci hanno fattoscegliere a uncerto momentodella nostra vita,di vivere la coo-perativa . La risposta è lacondivisione divalori laici e cri-stiani che sono lavera sostanza del-l’essere prima uo-mini e poi volen-do cristiani quali,

(la solidarietà, il benessere psicofi-sico, la salute, il potere ecc.) e checi permettono di realizzare lanostra vita anche attraverso rispo-ste ai bisogni degli altri.Ma più concretamente, ci siamodetti, è la realtà stessa che c’indicala strada da percorrere verso ibisogni dell’altro. È necessarioquindi ridare vigore e dignità allacooperazione investendo sull’uo-mo in particolare sui giovanifacendo leva sul loro bisogno distare insieme perché possano rea-lizzare sogni(obiettivi) comuni aldi là degli pseudo valori che lasocietà attuale cerca di propinargliquotidianamente.La storia del Consorzio ( tutte le

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Basta amare la realtà, sempre, in tutti i modi,

per il resto non ci sono precetti

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cooperative) è costellata diPersone le quali individuato unbisogno della gente, convincendoaltri intorno a se, hanno cercato ilmodo di trovarne una risposta ( ilgrano, la farina, il pane, il forno, laspesa, la casa ,la solidarietà, lasalute, il tempo libero, la culturaecc.).Oggi fortunatamente certi bisognisono stati superati, altri necessita-no ancora di interventi, il nostrocompito di oggi dovrebbe esserequello di guardare la realtà e diindividuare i nuovi bisogni cheemergono dalla società attuale.

Le statistiche affermano che si èinnalzata di parecchi anni la vitamedia degli italiani di conseguen-za si è allungato molto il periodopensionabile. I bisogni che nasco-no in queste persone sono tantis-simi e riguardanti soprattutto l’a-rea culturale, sport e tempo libero. Abbiamo individuato in particola-re modo il problema; della solitu-dine, del mantenimento dell’effi-cienza psicofisica, del capire esuperare i problemi burocratici ditutti i giorni, di essere informati epartecipare a situazioni culturali.La risposta a questi problemi pos-sono avvenire attraverso attivitàsocializzanti o meno che riguarda-no;il movimento (attraverso corsi diginnastica mirati, la fisioterapia,ballo, passeggiate )il gioco ( le carte, le bocce, ladama, gli scacchi, giochi solitaricon computer ecc.)l’informazione (argomenti legati

all’età, informazioni legate allaburocrazia, argomenti culturali-università 3°età-)la partecipazione (programmiteatrali, concerti, viaggi, gite edattività creative )

Molto spazio è dato oggi in campoambientale al bisogno della salva-guardia del territorio ed è moltosentito dalla gente. L’organizzare tutta una serie diattività in questo campo potreb-bero creare una serie opportunitàdi lavoro per giovani, basti pensa-re; al trattamento del sottobosco,alla realizzazioni e manutenzionedi percorsi nei parchi, alla creazio-ne di itinerari didattici, alla gestio-ne di agriturismi ecc.

A conclusione della discussione èemersa l’esigenza di conosceremeglio la realtà delle cooperativeche vivono all’interno del Con-sorzio al fine di aver una maggiorcollaborazione e un minor dispen-dio di energie nel raggiungimentodi un obiettivo trasversale comu-ne. Al Consorzio il compito di solleci-tare maggiori momenti di contattodelle varie realtà cooperative edare una maggiore visibilità allestesse nel territorio.

Coordinatore del GruppoGiuseppe Musi

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La presenza all’interno del gruppoedilizio di gran parte dei presiden-ti di cooperative e, soprattutto dicollaboratori del Consorzio rap-presentati da tecnici e costruttoriedili, è stata l’occasione di un con-fronto per mettere a fuoco alcunidei problemi emergenti in questitempi.Cercheremo quindi di sintetizzarequanto è emerso dalla discussio-ne, lasciando poi agli atti delConvegno più ampio spazio per latrattazione di questi problemi.Va detto per inciso che, come suc-cede spesso in sede di discussione,si danno per acquisite le positivitàper focalizzare gli interventi suquanto preoccupa gli operatori, inquesto caso, in particolare, la diffi-coltà oggettiva nella quale opera laCooperazione edilizia, la quale hacome obiettivo quello di dare casealle famiglie che non possonosostenere i prezzi di mercato. Inquesto momento la Cooperazionenon gode di alcun sostegno daparte dell’ente pubblico che puresi dovrebbe fare carico dei proble-mi sociali. Finite le famose 167, learee edificabili sono praticamentesolo quelle di mercato, accessibilialle immobiliari, non certo allecooperative. Né sembra essercispazio per l’edilizia convenzionatao per altre iniziative simili, stantel’assoluta assenza di finanziamen-

ti. Da qui l’opportunità che ognu-no, ai diversi livelli comunali eregionali, solleciti i politici di rife-rimento a farsi carico di questoproblema.

Un secondo problema deriva dal-l’analisi del mercato. Nel nostroPaese il mercato immobiliare inproprietà è ormai al 75%, sicchésembrerebbe non esserci più il“problema casa”, a meno di nonrivolgerci a quel restante 25% che,in effetti, sembrerebbe compostoda coloro che non saranno mai ingrado di sostenere l’onere per l’ac-quisto della casa.Si tratta in particolare di famigliedisagiate, anziani rimasti soli,lavoratori extracomunitari, perso-ne soggette alla mobilità del lavoroe quindi impossibilitati ad assu-mere una residenza stabile.È un target per il quale la soluzio-ne sembra essere la costruzionedella casa in affitto, problema cheper il momento risulta già presen-te nelle aree metropolitane.È evidente che la cooperazione dasola non può farsi carico di questoproblema, ma può essere di note-vole supporto ai comuni ed alleregioni le quali devono farsi caricodi attuare leggi che appunto per-mettano questi interventi. Ormai non più riproponibili le167, i comuni dovrebbero destina-

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Est-Ticino eCooperative edilizie

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re risorse a questo servizio che noisvolgiamo, in modo chiaro e arti-colato, diversificando appunto lepercentuali per la casa in affitto ein proprietà, attraverso conven-zioni e reperimento di aree edifi-cabili.

Il dibattito si è chiuso sul proble-ma della qualità della casa, argo-mento che dal confronto tra lediverse realtà presenti, ha mes-soin evidenza come buona parte delcontenzioso al momento dellaconsegna della casa, derivi dall’es-sere questo un prodotto prevalen-temente artigianale, soggettoquindi direttamente anche agliumori dell’uomo ed alle particola-ri e diverse condizioni di lavoro.Ciò non di meno, si è unanime-mente convenuto che una miglio-

re e più puntuale progettazione,una migliore organizzazione delleimprese costruttrici ed anche unamaggiore sensibilità e comparteci-pazione dei soci alla vita coopera-tivistica, potrebbero senza menoaumentare la qualità generale delprodotto e diminuire le cause delcontendere.

Coordinatore del GruppoGiuseppino Mercialli

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dida

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Le cooperative di consumo

Nel convegno di OROPA ilgruppo delle cooperative diconsumo - composto dai

nuclei di Buscate, Inveruno,Magenta e Magnago - seguendogli stimoli ricevuti ha affrontato ediscusso tematiche scaturite daquattro differenti ma interconnes-se aree: i VALORI, i SOCI, i MER-CATI e le STRUTTURE.Questi temi sono stati affrontatisotto diverse angolazioni prospet-tiche anche dagli oratori che sisono avvicendati nel trascorreredei lavori e ne hanno determinatoil positivo svolgimento che sem-bra peraltro destinato a produrreulteriori sviluppi nel futuro.In particolare, ha marcato a fuocola riflessione di don T.Inzoli sulsenso ed il significato dello “stareinsieme perchè? per chi? per checosa? “che incorniciava in modoperfetto anche quanto avevamoprediscusso nel recente passatocirca la nostra strategia. E cioè:

- VISIONE: INSIEME SOLIDALIVERSO UN MONDO MIGLIORE

- MISSIONE: OFFRIRE ALL’ASSO-CIATO e al SIMPATIZZANTE UNACASA AMICA che gli permetta di:

- Avere il negozio a portata dimano; (prossimità)- Rifornirsi con criterio; (qualità evarietà)- Trovare prezzi ragionevoli; (con-

venienza)- Praticare la solidarietà. (per glialtri)La discussione, partendo dalle dif-ficoltà e incertezze attuali e incen-trata sulla metamorfosi in atto, hamesso in luce le asperità, la plura-lità di idee, le diverse enfasi filolo-giche, le molteplici aspettative, icondizionamenti psicologici, ma -in sintesi - la sofferenza che sidovrà mettere in conto nel transitostorico verso l’evoluzione. D’altro canto, quelli che voglionouna cura purchè possibile senzasofferenza, sono come coloro chepromuovono il progresso purchèpossibile senza alcun cambia-mento. La nostra evoluzione, ilnostro mutamento, la nostra stra-da obbligata sarà perciò, attraver-so la sintesi organizzativa di uncoordinamento ancora più stretto,verso una affiliazione di più ampiorespiro.Dalle tantissime considerazioniemerse nel dibattito, sono statepresentate tutta una serie di pro-poste che ci coinvolgeranno tuttiper i mesi a venire. Proposte non tutte di facile edimmediata attuazione, ma sicura-mente dettate dalla grande passio-ne di migliorare e rendere più pro-ficua e dinamica l’attività che pre-stiamo.Le conclusioni possono essere sin-tetizzate nel modo seguente:- Nei mercati dove operiamo non

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si puòrimanerepiccoli esoli;- Senzau n ad i m e n -s i o n eminima( c i r c a300 mld.di fattu-rato) nons isopravvi-ve;-

Essenziale la competitività: negliacquisti e la logistica nell’immagi-ne, nelservizio, nel rendere il negozio unpunto di incontro;- Il nuovo non deve spaventare;(va solo capito!)- Noi siamo stati chiamati ad unacooperazione importante;- A nostra volta, dobbiamo chia-mare i soci a collaborare;- I soci, a loro volta, chiameranno iclienti a divenire soci. Con questacatena solidale si creeranno altresìrisorse per la progettazione e losviluppo dei valori e delle attivitàfuture; ma soprattutto sarà laCOOPERAZIONE VERA! Ci si èchiesto: Ma dove approderemo?Che fine farà la nostra storia?Dovremo perdere tutto quello cheabbiamo costruito con anni disacrifici? E la nostra immagine? E imutui ancora aperti chi se li pren-derà in carico?

Quante domande (non solo que-ste evidentemente) si sono pre-sentate e ancora di più si presente-ranno alla nostra sensibile voca-zione cooperativa!Le risposte, ovviamente, non cisaranno subito tutte; molte poi letroveremo insieme. A Oropa peròè emerso uno strumento che ciaiuterà a coglierle; sono tre parole:- IDENTITA’ (mantenere integral-mente i nostri valori)- INTEGRAZIONE (affiliarci perdiventare più forti)- DIFFERENZIAZIONE (conserva-re l’immagine che abbiamocostruito nel tempo)Se procederemo con accortezzasolidale, lungimiranza, uso dellecompetenze disponibili e deglistrumenti giuridici potremo fareun lavoro che sarà apprezzatoanche dai nostri figli.

Coordinatore del GruppoOrazio Fornaroli

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Percorrendo l’autostrada deiLaghi in direzione Varese,all’uscita del casello di

Castellanza, subito un cartello indi-ca la via per giungere a quello chepuò essere definito un vero e pro-prio “museo all’aria aperta”: è ilMuseo d’Arte Moderna dellaFondazione Pagani, un’impresasicuramente unica in tutta Italia.Agli occhi del visitatore, il museo,inaugurato nel 1957, si presentacome un vasto parco di circa qua-rantamila metri quadri, una veraoasi artistica, in cuisono collocatecentinaia di operetra sculture e mo-saici; opere realiz-zate da artisti ditutte le più svariatetendenze estetichedell’arte contem-poranea e di di-verse nazionalità ecreate con i mate-riali più diversicome il marmo, lapietra, il bronzo, ilferro, l’acciaio, illegno, il vetro ed

altri ancora. Questa raccolta puòessere definita unica nel suo gene-re, sia per il numero di opere che vihanno trovato sistemazione, sia perla notorietà degli artisti italiani estranieri rappresentati, sia per lavastità dell’area che essa ricopre,ma soprattutto, per il fatto che èesposta “en plein air” ossia”in pienaaria”. L’idea che ha ispirato il suocreatore, Enzo Pagani, è stata quelladi portare le opere d’arte all’aperto,al contatto diretto con la natura, arespirare aria libera, come già spes-

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Museo all’aria aperta

Il Museo d’Arte Modernadella Fondazione Pagani

Panoramica dell’ingresso al Museo

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so in passato fecero gli antichi greci. Dal punto di vista architettonico ilmotivo dominante che scandiscel’imponente complesso è la formaesagonale, poligono austero nellarigida regolarità che anticipa ladilatabile armonia del cerchio,estremo limite della forma geome-trica e simbolo solare, che vediamoruotare a ritmare l’intera strutturain ogni orientamento e in ogniproiezione.Ogni aiuola del Parco ha una formaesagonale di 15 metri di diametro,nella quale sono collocate le statue.Ogni artista ha avuto a propriadisposizione un vasto spazio che gliha consentito la massima libertàd’impostazione e di azione plastica.Il piano di massa architettonico èarricchito ed integrato da muridisposti asimmetricamente, suiquali sono stati eseguiti i mosaici erilievi di diversi pittori. Infatti, comesi è già detto, il Parco-Museo ospita,oltre alle sculture, numerosi e vario-pinti mosaici come elementi figura-tivi in funzione cromatica e vivaciz-

zante del suo panorama generale.In poche occasioni come questastatue e mosaici hanno goduto egodono di una giusta ed imponentedignità ed in poche occasioni comequesta il territorio e l’intera Na-zione si sono arricchiti di nobiliopere d’arte realmente moderne.Nel Parco stupisce il fatto che le dif-ferenze stilistiche fra opere spessomonumentali non creano squili-brio e confusione. Questa omoge-neità, nella varietà, è determinatasia dal comune rapporto con l’ele-mento unificatore naturale (alberi,prati, cielo) che dall’uniforme soli-dità dei materiali usati, ma soprat-tutto dal sapiente fattore architetto-nico: la ricorrenza del motivo esa-gonale. Ed è proprio l’esagono aconferire una movimentata elo-quenza al muro perimetrale ed allesue aperture e a delimitare i fianchidella tribuna di quello che puòessere ritenuto un gioiello di archi-tettuere: il teatro all’aperto che sierge nella zona sud-est del Parco. Sitratta di un vero e proprio anfitea-tro che richiama fortemente quellidegli antichi greci e che è stato ed ètuttora palcoscenico di moltepliciattività che vanno dagli spettacolimusicali e alle rappresentazioniteatrali ad incontri, dibattiti e mani-festazioni culturali di vario genere. È importante sottolineare come legradinate del teatro siano voluta-mente rivolte verso il Parco stessoin modo così da far avere agli spet-tatori l’affascinante visione degliattori inseriti, con la loro recitazio-ne, fra le sculture ed il verde dellanatura. La Fondazione Pagani

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Parco del Museo

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quindi non è soltanto un grande ebellissimo parco-giardino, con tantivialetti e aiuole circondate da unaparticolare vegetazione, fatta di pinimarittimi, betulle, robinie, cipressie rododendri. È anche un impor-tante centro di cultura dotato disale per mostre temporanee di pit-tura, di spazi per esposizioni disculture e di padiglioni-studio pergli stessi artisti, nei quali sono statespesso allestite mostre ad alto eselezionato livello qualitativo; iltutto sempre con quel carattere d’a-vanguardia e di ricerca tipico dellavoro di Pagani. Un altro aspettofondamentale del Museo consistenel fatto che non si tratta del solitomuseo statico, immobile nel tempoe nello spazio, costruito per farsiammirare con distacco e con docileaccondiscendenza, magari dettatadagli obblighi della cultura e del-l’informazione. Al contrario, que-st’impero della scultura, questa“Isola di Pasqua”, come lo stessoPagani ha più volte definito la suafelice e vivacissima invenzione, èun fatto naturale, un avvenimento eun evento del mondo della natura,guidato, educato e sorvegliato conla forza dell’amore e dell’intelligen-za da un artista che si è sempremosso proprio secondo i ritmi cir-colari della natura. Pagani è riusci-to a realizzare tutta questa magnifi-cenza in trent’anni, sostenuta da luifinanziariamente, senza alcunintervento statale e con liberoaccesso. Il primo pezzo ad entrarenel Museo è stato Il giardino bucoli-co di Jean Arp nel 1948, al quale nesono seguiti centinaia, in rappre-

sentanza di cinquantadue Paesi edegli artisti più legati alla ricerca einternazionalmente noti. Le opereastratte di Arcipenko, Arp, Man Ray,Sonia Delaunay, Bauquier, Haus-mann, Richter e di altri nomi difama internazionale, non sonooggetti a sé, lavori avulsi dall’am-biente naturale, fanno invece partedella terra, del verde e di un disegnostrutturale inteso a vivificare e arendere dinamiche forme e mate-rie, a toglierle dalla staticità damuseo e dal ruolo di reperti degnidi compassata attenzione . A diffe-renza delle altre due Fondazioniimportanti esistenti in Europa, laMaeght (Francia) e la Louisiana(Danimarca), veri e propri museistatici, documenti di un certoperiodo della storia, la FondazionePagani invece va di pari passo conessa. “È una cosa viva” dice Pagani“aderente all’evolversi della cultu-ra”. “È un’operazione continua chemi costa molta fatica, sono un capi-tano di ventura che conduce la suabattaglia giorno per giorno andan-do incontro a difficoltà enormi. Quando mi alzo la mattina mi ripe-to che l’uomo deve servire. Alloravado avanti per realizzarmi e realiz-zare.” Si può quindi tranquillamen-te affermare come la FondazionePagani sia un’impresa grandiosa,sicuramente unica in Italia e nonsoltanto perché opera di un uomoche ha fatto tutto da solo, conimmensa fatica ed in virtù della suaappassionata fede per l’arte. IlMuseo Pagani è stato motivo d’or-goglio sia per Legnano sia perCastellanza ed in seguito lo è diven-

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tato anche per l’intera nazione eper tutti i cultori dell’arte a livellointernazionale. Esso ha portato aduna ripresa di interesse per la scul-tura e ciò proprio in un paese dovela pittura è sempre stata di granlunga l’interesse prioritario delpubblico. Occorre sottolineare infi-ne che l’intera realizzazione mostrai limiti, i pregi e i difetti di un’inizia-tiva personale dalla quale non vadisgiunta una certa improvvisazio-ne che il motivo ricorrente dell’esa-gono non riesce interamente a cor-reggere.Questo Museo d’Arte Modernaall’aperto non sembra voler tenereconto dell’ambientazione delle sueopere. Le sculture, i rilievi ed imosaici si susseguono infatti comein una mostra, lungo i viali e leaiuole: nel loro insieme, tutte que-ste opere, molto diverse per impo-stazione, ricordano vagamente uncimitero monumentale, tipico

dell’Italia industriale di fineOttocento, dove alle figure allegori-che ricordanti la vita eterna e laperennità del ricordo, sono statesostituite le inquietanti “cose” orga-niche, i minacciosi agglomerati diframmenti meccanici, le impassibi-li forme geometriche della sculturadi oggi. Accanto a piccole opere in metallo,che richiedono un’ambientazioneinterna, troviamo opere più impo-nenti, magnificamente inserite nel-l’ambiente naturale: fra esse spicca-no le cinque grandi cariatidi in pie-tra della locarnese d’adozioneRosalda Gilardi, il murale e lacolonna del siciliano Tinè.Il Museo Pagani riallaccia un miticopassato direttamente al futuro, etuttavia si esprime in sintonia conl’inquieto e mutevole fervore deltempo presente. F.G.

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Sculture in bronzo di André Bloc

ENZO PAGANI - FONDATORE DEL MUSEOENZO PAGANI, nato a Legnano nel 1920, era figlio di undecoratore di chiese. Da bambino seguiva il padre nei suoilavori e fu così che nacque in lui la vocazione del pittore.Studiò all’Accademia di Brera a Milano e fece parte diimportanti movimenti di ricerca artistica e culturale. Erapittore, scultore, mosaicista, oltre che mercante d’arte.Negli anni ‘40 e ‘50 aprì le Gallerie Pagani del Grattacielo;prima a Legnano, poi a Milano, in Via Brera, e si occupòparticolarmente di tutti i movimenti di ricerca sul pianoculturale ed artistico, nazionale ed internazionale. Nel1957 diede l’avvio alla grande avventura del parco-museo,un sogno utopistico che diventò realtà per forza d‘amore.Quest’opera rappresenta il metodico disegno di una realtàvissuta giorno per giorno con rinnovato entusiasmo, convivissimo senso di immaginazione.Pagani partecipò intensamente anche alla vita politica esociale e, per questa sua partecipazione attiva, gli furonoconferite prestigiose benemerenze. Inoltre diversi stati este-ri gli attribuirono numerosi riconoscimenti per importan-ti meriti artistici e culturali. Scomparso nel 1993, lasciò lagestione al figlio Luca, architetto e designer, che vi si dedicòfino alla sua prematura morte avvenuta nel 1996.

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I territori dell’Olona

La valle Olona e i suoi mulini

Introduzione

Il mulino rappresenta il puntod’origine delle trasformazioniterritoriali che, dalla fine del ‘700

in Europa e, in seguito, in Italia, deli-nearono il profilo della città indu-striale, stravolgendo gli equilibriinstaurati da secoli. “Questi com-plessi produttivi, ma anche luoghidi vita, hanno espresso nelle lorostrutture e nell’organizzazione deglispazi, i bisogni, la situazione econo-mica, i rapporti generatisi nel volge-re del tempo tra gli uomini”.Indagare i mulini, quei pochi esem-pi risparmiati dall’avanzare inesora-bile dell’allora nascente grandeindustria, “significa porre l'attenzio-ne su uno degli oggetti più significa-tivi della storia del lavoro dell’uomo,almeno dal Medioevo in poi, arri-vando ad una sorta di stratificazionedi un “folklore del mugnaio”, “cop-pia tecnologica e culturale” che ciconsente di cogliere una somma dicomportamenti, di immagini, dirappresentazioni individuali e col-lettive, caratteristiche della culturapopolare, ma non solo di questa”.Il mulino costituisce il primo esem-

pio di sfruttamento “industriale”delle acque, sollevando l’uomo dalgravoso compito della molitura deicereali e, dall’XI-XII secolo, ancheda altri lavori faticosi, permettendo,inoltre, la scoperta di nuovi sistemidi lavorazione.

La Valle Olona rappresenta unesempio formidabile di questacapacità dell’uomo di riscattarsidalle fatiche del lavoro, ma anchedalla povertà di un territorio chenon consentiva, se non in minimaquantità e con rese scarse, lo sfrutta-mento agricolo. Lo sviluppo produt-tivo della valle, a cavallo dei secoliXIX e XX, trae origine dalla presenza,già dal ‘500, di una fitta e organizza-ta rete di mulini da grano, che con-sentirono, grazie all’impiego delleloro ruote idrauliche e cadute d’ac-qua, l’impianto dei primi opifici.Inoltre, la possibilità di disporre inloco di grande quantità di forzalavoro a basso prezzo, a causa delpoco redditizio lavoro nei campi, ela tradizionale propensione, matu-rata dai contadini tra le mura dome-stiche, a diverse attività protoindu-striali, in particolare alla tessitura,

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fornì una manodopera spesso nonqualificata, ma almeno non inesper-ta. L’incentivo a una produzione ditipo industriale fu, comunque,sostenuto dalla lavorazione delcotone, quando, in un reciprocoprocesso osmotico, la produzione digrano diminuì e le prime fabbrichesi impiantarono nei mulini dellavalle, trasformandoli progressiva-mente in stabilimenti per la filatura.I mulini non sono, se non in qualcheraro caso, esempi di grande interes-se architettonico. La maggior partedelle strutture presenta un aspettoanonimo e dimesso, di evidentematrice rurale. Tuttavia, essi sono latestimonianza di un modo che oggiè ormai perduto, ma che comunquerappresenta il nostro più prossimopassato, nonché l’origine dell’attua-le paesaggio urbano. “Per questodevono essere considerati “beni cul-turali”, non inquanto “opereuniche”, ma inquanto espres-sioni di un siste-ma di vita che èparte integrantedella nostra sto-ria e della nostratradizione”.

Il territorio: ilfiume Olona ela sua valle

-Descrizione del-l’ambiente fisico- -Toponomastica:origine del nomeOlona

L’origine del nome è molto remota. Dal punto di vista etimologico hapresentato diverse difficoltà inter-pretative e ha dato vita a pareridiscordanti. Alcuni studiosi presu-mono possa derivare da Ola (dallaradice celtica ol), “cosa umida”. Mal’interpretazione più accreditataindividuato come termine origina-rio “Orona” o “Urona” (come, ancoraoggi, viene chiamato il fiume neldialetto locale). Si pensa che questotermine possa "derivare dalla radicemediterranea - our che con le altre -eur e - ir significa “acqua” (corren-te)”. Pertanto, Orona (o Urona)sarebbe stato, in origine, un nomecomune per indicare il corso d’ac-qua e, in seguito, divenne nome pro-prio di questo fiume.“Il passaggio poi dalla forma anticadi Orona a quella moderna di Olona[...] si spiega con le comuni leggi

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della fonetica (per pronunciarlomeglio) e delle callifonia (un suonopiù melodioso)”.Nel corso dei secoli, come testimo-niano le carte geografiche e i docu-menti antichi, il fiume ha assuntodiversi nomi, tra i quali Ollona,Olonna, Olueunda e Auruna, oltre aigià citati Orona o Urona. Il trattoderivato del fiume, che conduceva leacque al fossato della città di Milanoin epoca romana, veniva chiamatoVetra o Vepra. In seguito, il corso fudeviato nel nuovo fossato, poi dive-nuto Naviglio.

Il corso del fiume Olona

L’Olona, nonostante la limitata por-tata idrica, ha avuto un ruolo di pri-mario rilievo, durante i secoli, per losviluppo delle popolazioni residentiin valle. Le sue acque infatti veniva-no utilizzate per irrigare i prati ecome risorsa potabile, per azionare inumerosi mulini esistenti lungo ilsuo corso, vi si praticava la pesca e,dal secolo scorso, per l’impiantodelle prime industrie. Tale impor-tanza ha tratto origine più che altrodalla caduta complessiva: tra le sor-genti e Milano, per un corso di 71,50km., vi è un dislivello di circa 435 m.,con una pendenza media del 6%.

Il fiume è alimentato esclusivamen-te dalle sorgenti, da alcuni affluenti,da diverse fontane, dalle acquemeteoriche stagionali e dalle colatu-re dei terreni; ad accrescere la suaportata non intervengono ghiacciainé laghi. Il ramo principale nascesulle Prealpi presso Varese, in loca-

lità La Rasa, in Val di Brinzio ai piedidi Santa Maria del Monte, dove sonoposte le sue sorgenti, a m. 548,85slm. Esso conta come affluenti i tor-renti Legnone, Grassi, Boccaccia,Brasche, Pissabò, Valle del Forno eSesnivi. Un secondo ramo scendedalla Valganna, dove nasce, inComune di Induno Olona, ed è ali-mentato principalmente dalleacque della Fontana degli Amma-lati. Esso riceve quattro affluenti, itorrenti Margorabbia, Valfredda,Valpissavacca, Pedana dellaMadonna.I due rami si congiungono poco piùa valle, fra i Comuni di Varese (loca-lità Sant’Ambrogio) e Induno Olona.A monte del Ponte di Pré, nelComune di Malnate, l’Olona ricevele acque del torrente Bevera, il mag-giore affluente, e del Rio Vellone (chenasce a Varese).Il fiume prosegue formando un’am-pia rientranza fra Malnate e Lozza,per poi procedere regolarmente,seguendo naturali avvallamenti delterreno, con direzione nord-ovestsud-est, attraverso i territori diCastiglione Olona, Lonate Ceppino,Cairate, Fagnano, Solbiate, Olgiate,Legnano, Nerviano e Lucernate,presso Rho. Il corso dell’Olona puòessere suddiviso in quattro tratte:una alta, compresa tra i Comuni diVarese, Induno e Malnate (Alta ValleOlona); una media, fino a Nerviano(Media Valle Olona); una meridiona-le, pianeggiante, fino a Milano; unaterminale, caratterizzata dall’attra-versamento dei terrazzi del Po, finoa San Zenone (PV).Secondo F. Poggi, il percorso del

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fiume si mantiene naturale fino aLucernate, dove “piega bruscamen-te verso levante per breve tratto diletto artificiale, per riprendere poi aCerchiate una direzione parallelaprimitiva, colla quale giunge fino aS. Siro, fra la Cascina Moja e laCascina Mojetta”. Dopodiché “ilfiume nuovamente cambia direzio-ne e, percorrendo una linea tortuo-sa, giunge all Cascina Olona, pressola strada Arzaga. Lì nuovamentedevia verso levante e va a scaricarsinella darsena di Porta Ticinese”.La ricostruzione del corso originariodell’Olona è piuttosto difficoltosa.La deviazione, infatti, risale a un’e-poca molto remota e il trascorreredei secoli ne ha definitivamentecancellato le tracce. Generalmentesi ritiene che l’opera sia stata esegui-ta dai Romani, al fine di condurreacqua pulita ai bagni pubblici di SanLorenzo, per mezzo di un ulteriorecanale di deviazione, la “Vepra” (o“Vetra”). Le acque in eccesso veniva-no smaltite attraverso un altro alveo,ora abbandonato, che “partendodalla Cascina Foppa e Foppetta, col-legava un tempo l’Olona a qualchecorso d’acqua, che viene ora chia-mato Lambro Meridionale e che,certamente, prima della costruzionedel Naviglio Grande (sec. XI) avevaaltra origine che non l’attuale scari-catore di quel Naviglio a S.Cristoforo”.Originariamente il corso dell’Olonanon terminava in Milano, ma prose-guiva fino a immettersi nel Po a SanZenone, dove oggi sbocca il cosid-detto Olona Pavese. Nonostante ladifficoltà nell’identificare l’antico

tracciato, seguendo gli avvallamentinaturali del terreno e i toponimi, èpossibile ipotizzare che il fiume pas-sasse da Cascina Olona, SettimoMilanese, Baggio e Cesano Boscone.È possibile, però, pensare che ilfiume passasse per Trezzano, attra-versando i territori di CascinaOlona, Settimo Milanese, Seguro,Muggiano, Cascina Nuova.Dal Naviglio Grande si passa per ilCavo Belgioioso, San Pietro e Badile,seguendo la Roggia Colombara,oppure per Corsico e Assago,seguendo la Roggia Vecchia.Da Lacchiarella passa un corso d’ac-qua che conserva il nome Olona eche attraversa i territori diPontelungo, Lardirago, Vistarino,Genzone e Corte Olona, per poi sfo-ciare nel Po a San Zenone, appunto.Se incerta appare la ricostruzionedell’antico corso, è certo che"l’Olona che si scarica alla Darsenadi Porta Ticinese e quella che si sca-rica nel Po a San Zenone costituiva-no nei primi anni dell’Era Volgare,un solo fiume”.Grazie all’esistenza di molte sorgen-ti e fontane, oltre ai diversi affluenti,il fiume Olona gode della possibilità

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di mantenere un corso d’acquaperenne. Ad esempio, a Biumo(Varese) sgorgano le acque dellaFontana Calda di Sant’Ambrogio; aCastiglione Olona vi sono Gli Occhidi Castiglione, costituiti da un insie-me di sorgenti incanalate in un col-lettore; a Bergoro (Fagnano Olona)una fontana detta di Manigonda èricca di acque minerali, utilizzate findal secolo VIII per scopi medicinali.Le fontane d’Olona furono semprepulite e mantenute libere da detritiche avrebbero potuto impedire illibero afflusso delle acque. Numerose e frequenti furono, per-tanto, le ispezioni, al fine di cono-scerne lo stato ed eventualmenteintervenire con opportuni espurghi.Luigi Mazzocchi riferisce della loroenorme importanza, “poiché il pic-colo fiume non è alimentato che daacque meteoriche, di conseguenzanei periodi di grande siccità le sueacque si esaurirebbero se non sifosse provveduto ad ampliare, siste-mare e mantenere le sorgenti peren-ni, ad acquistarne di nuove ed a ren-derle meglio attive infiggendo inesse molti tubi acquiferi”.

Il fiume Olona come fulcro della vitaeconomica e sociale della valle

Come accennato nel precedentecapitolo, nonostante la modestaportata idrica, il fiume Olona haassunto un ruolo prioritario per losviluppo civile, sociale ed economi-co delle popolazioni che, durante ilcorso dei secoli, hanno abitato lesue rive. Le acque del fiume furonoimpiegate al servizio dell’agricoltu-

ra, della pesca, dell’artigianato, delcommercio e dell’industria, in rela-zione al periodo storico.Uno dei momenti di maggior splen-dore della Valle Olona fu l’epoca delContado del Seprio, tra il 1100 e il1200, nella quale, numerose furonole lotte tra i Comuni e per l’indipen-denza dall’Impero. Il Contado sigarantì una posizione di indubbiaimportanza in merito al commercioe al traffico tra l’Europa continenta-le, Milano e Roma. Nel ‘400, le popo-lazioni del Seprio furono ricordateper la loro “abilità a trattare le acque,tenendo puliti gli alvei dei fiumi,costruendo canali, rendendoli vivi eprolifici di prodotti (rane, pesci,torba, acque limpide) per l’uomo ele sue esigenze”. I contadini furonotra i primi a usufruire delle terre edelle acque d’Olona prima ancorache venissero costruiti i mulini. Inseguito, essi continuarono la loroattività a fianco dei mugnai, deipescatori e dei torchiatori d’olio,fino a che, con la costruzione dellegrandi fabbriche, non abbandona-rono definitivamente i campi.L’agricoltura in questi territori si svi-luppò verso la fine del XII secolo, inmodo particolare nel tratto inferioredell’Olona, da sud di Legnano aMilano, dove il fiume, uscito dallastretta valle, scorre in aperta pianu-ra. Qui la pratica dell’irrigazione deicampi con le acque d’Olona e difontanili, era più agevole e venivaconcessa dietro richiesta di appositalicenza. Tuttavia, nel “LiberConsuetudinum Mediolani” (1216)si parla esplicitamente di “favormolendini” in quanto i mulini da

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grano erano con-siderati strutturedi utilità pubbli-ca, poiché da essidipendeva l’ap-provvigionamen-to delle farine perl’alimentazioneprimaria dellacittà [Milano] e del Contado”. Gli antichi Statuti di Milano, prima,e le Nuove Costituzioni, in seguito,stabilirono gli orari in cui era con-cessa l’irrigazione, in relazione allatratta di fiume, allo scopo di evitarel’eccessiva riduzione del corpo d’ac-qua nel fiume e nelle rogge, cheavrebbe causato disturbi al regolarefunzionamento dei mulini da grano.Dai Catasti d’Olona, redatti duranteil corso dei secoli, si evince che icontadini non erano possessoridelle terre e raramente i mugnai deimulini, bensì affittuari o “livellari” dienti ecclesiastici o di nobili, proprie-tari dei prati irrigui e dei complessimolitori.Secondo il sopralluogo dell’inge-gner Barca (1608), risulta che lungoil corso dell’Olona lavoravano ben116 mulini, tra cui anche un“maglio” per il rame, una “folla” perpanni e diversi torchi da olio, per untotale di 463 rodigini. Nel XVIII seco-lo, infatti, l’attività molitoria rag-giunse il suo massimo sviluppo.Nel 1772, l’ingegner Gaetano Raggirilevò la presenza di 106 mulini,compresi un filatoio di seta, un“maglio” per il rame, due “folle” perpanni e alcuni torchi da olio, che uti-lizzavano complessivamente 424

rodigini. Già dal 1600, la valle appa-riva come un “fitto reticolo di mulinicostantemente sollecitati dallanecessità di controllare l’affluenzairregolare e scarsa dell’Olona, evi-tando di dipendere in maniera trop-po diretta dai cicli stagionali”. Per laValle Olona si può, pertanto, parlaredi sistema territoriale.A cavallo tra ‘600 e ‘700, si registraro-no continui passaggi di proprietà dibeni immobili e diritti sulle acque,tali da rendere la situazione incon-trollabile. Tuttavia, molti mulinirimasero proprietà della stessafamiglia per secoli, così come imugnai che li gestirono si traman-darono la professione di padre infiglio. Tale attività era, infatti, garan-zia di lavoro e guadagno sicuri. Fuproprio la necessità di avere un qua-dro più rispondente alle reali condi-zioni di sfruttamento del fiume, chespinse l’Amministrazione d’Olona acommissionare diverse visite diricognizione.Verso la fine del ‘700, il Diparti-mento dell’Olona, con capoluogoMilano, era, dal punto di vista eco-nomico, il più importante di tutta laRepubblica Cisalpina, confermandoil ruolo trainante per l’economiadell’intero territorio lombardo.Tra XVIII e XIX secolo, la proprietàiniziò così a essere frazionata: diver-

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si mugnai ebbero, infatti, la possibi-lità di riscattare i mulini in cui lavo-ravano; contemporaneamente, gliimprenditori, che impiantavano iprimi opifici, offrivano somme ele-vate per l’acquisto degli impiantimolitori, le cui ruote idraulichevenivano sfruttate per muovere imacchinari.Con l’800, dunque, molti mulini,che fino ad allora erano stati utiliz-zati soltanto per macinare il grano,furono progressivamente trasfor-mati nei primi nuclei industriali.Furono proprio la facilità d’uso delleacque dell’Olona, la posizione geo-grafica favorevole e strategicamenteconnessa a mercati e vie di comuni-cazione, unite alle capacità impren-ditoriali locali, a porre le basi per ilprocesso d’industrializzazione ita-liano. La Valle Olona, soprattutto neltratto medio, infatti, costituisce unodei primi esempi della trasforma-zione industriale nel nostro Paese.Nei primi anni dell’Ottocento, laValle Olona conservava in largamisura una struttura essenzialmen-te agricola: i maggiori proventi veni-vano dalla coltivazione di cereali,patate, canapa e, in piccola quan-tità, dall’allevamento di bestiame;mentre la produzione industriale emanifatturiera aveva ancora un’in-cidenza complementare. “Il fiumi-cello Olona in un intervallo di 45km. Dalle vicinanze di Varese a quel-le di Milano darebbe moto secondofonti le più sicure a 424 ruote, tredi-ci delle quali servono a grandiosefilature”, così scrisse, nel 1884 , CarloCattaneo. In quell’epoca, la realtàdella valle era in rapido mutamento:

l’agricoltura lasciò gradualmenteposto alle attività industriali, chedavano maggiori possibilità di lavo-ro a uomini, ma anche a donne efanciulli.Allo scadere del secolo, sulle rivedell’Olona si contavano 128 opifici,tra cui 13 filature, 3 cartiere, 5 tessi-ture, 4 concerie. Il numero dei muli-ni da grano era sceso a 90 e, da lì apoco, si ridusse ulteriormente e conrapidità.

“Chi s’indugia s’arretra, è massimapiù che mai intesa a nostri giorni; es’indugiano tutti coloro che avendoun capitale alle mani se lo lascianosgocciolare con poco frutto in invec-chiati. Che è mai la macinazione dipoco grano a fronte di quell’utileche può dare la forza motrice appli-cata ai bisogni sempre nuovi delmondo moderno? [...] I molini nonsono più un accessorio di grandipossessioni, un massaro mugnaio,in luogo di un massaro agricoltore;quasi tutti hanno affermato il lorolivello, ne hanno fatto uno stabile ilquale possono tranquillamente tra-passare a chi ha migliore educazio-ne e maggior coraggio”.

Fino agli anni ‘60 di questo secolo,paesaggio della valle è stato caratte-rizzato da ciminiere fumanti, schiu-me multicolori galleggianti sulfiume, abitazioni fatiscenti e malsa-ne. Le prime lamentele provocatedall’inquinamento risalgono a metà‘800, quando i mugnai, che ancoramacinavano con metodi antichi,videro giungere ai propri muliniacque sporche e malsane.

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Dal 1970 a oggi, molte attività alta-mente inquinanti sono state allon-tanate dalle rive dell’Olona e quellerimaste hanno in parte ridotto gliscarichi con l’impianto di depurato-ri. La fase post-idustriale, a causadell’invecchiamento indotto dallasempre più rapida obsolescenza deiprocessi produttivi, ha determinatoil trasferimento delle attività produt-tive, soprattutto le più nocive, inPaesi in via di sviluppo. Inoltre, lacrescente terziarizzazione delle areeurbane ha incrementato ulterior-mente il processo di abbandonodelle strutture produttive.

Il Parco intercomunale della ValleOlona

Nel 1998, i Comuni di FagnanoOlona, Solbiate Olona, OlgiateOlona, Gorla Maggiore, GorlaMinore e Marnate si sono consor-ziati per costituire un parco di inte-resse sovracomunale in Valle Olona.Il parco, del quale è stata redatta unavalutazione di fattibilità, è tuttora infase di progettazione. La politica diconservazione dell’identità territo-riale, della quale esso si fa promoto-re, è fondata sul coordinamento del-l’azione programmatoria di tutte leAmministrazioni locali coinvolte. Una prima fase prevede il riconosci-mento e la delimitazione degliambiti spaziali di conservazione deifattori fisico-naturalistici dell’iden-tità paesistica. La strategia di con-servazione è rivolta al consolida-mento dell’intelaiatura paesisticastoricamente stratificata, allo scopodi perpetrare uno sviluppo della

qualità territoriale e il mantenimen-to di un accettabile grado di vivibi-lità del territorio stesso (modalitàd’uso sostenibile del territorio),attraverso l’eliminazione - nel lungoperiodo - di tutti i processi di erosio-ne e disgregazione dell’identità ter-ritoriale.L’obiettivo finale è la costruzione diun insieme interconnesso di aree adelevata concentrazione di compo-nenti ambientali significative (reteecologica). La funzionalità ecologica dell’insie-me è determinata da fasce di con-nessione e raccordo, formate daorganizzazioni lineari residuali ditessuto territoriale agricolo-boschi-vo antico (riequilibrio ecologicoattivo del territorio).Il progetto culturale, sul quale è fon-dato il parco, prevede la conserva-zione delle specificità e delle singo-larità culturali del territorio; la valo-rizzazione delle emergenze storico-monumentali (da quelle dei nucleistorici compatti contrapposti lungoi margini opposti della Valle Olona,fino a comprendere le cascine stori-che sparse nel territorio e i mulininel fondo valle); la comunicazione,l’informazione e la sensibilizzazionedei cittadini, in merito ai valoriambientali e culturali con i qualispesso convivono senza poternetrarre benefici (qualità della vita,cultura...). I temi su cui è pensato il progettosono la storia locale, la difesa delpaesaggio alla grande e alla piccolascala, la collaborazione con ilmondo agricolo, l’attività di fruizio-ne e osservazione della natura, ecc.

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SCHEMA DIRETTORE DI PROGETTO

• “documento dinamico” (apertoagli arricchimenti programmaticiderivanti dal contributo delle nume-rose forze interessate alla valorizza-zione dell’ambiente, a partire daalcuni presupposti strategici;• no alla concezione vincolistica(confronto a tutti i livelli con le realtàambientali limitrofi; ricezione di sti-moli utili per lo sviluppo delle areeinteressate in termini compatibilicon i principi generali della cono-scenza e del rispetto dei luoghi;• riqualificazione (recupero di tuttele potenzialità insite nella strutturaecosistemica dei territori comunaliinteressati, all’interno dei quali sonoindividuate e circoscritte le aree conelevata valenza naturalistica da sal-vaguardare nella loro integrità e davalorizzare con gli interventi che sirenderanno possibili;• riqualificazione dei siti e delleunità ambientali oggetto di degrado,difesa del paesaggio alla piccolascala, recupero e valorizzazione deisingoli elementi del linguaggio stori-co-architettonico locali;• delimitazione delle aree (armoniafra benefici ecologici e vantaggi eco-nomici a lungo termine; coinciden-za con elementi visivamente evi-denti (strade e altre infrastrutture,percorsi campestri o sentieri, fossi,margini riconoscibili di aree boscateo di campi coltivati, discontinuitàmorfologiche...); indicazione dellearee di interesse naturalistico (zoneagricole e a copertura boschiva),

degli elementi conoscitivi del terri-torio (emergenze monumentali,nuclei antichi compatti, chiese, villee giardini, cascine, mulini e opificicon caratteri di testimonianza stori-co-culturale...).

Il mulino da grano

Cos’è un mulino. Alcune definizioni

Il termine mulino (o molino) provie-ne dal latino tardo molinum,sostantivo neutro dell’aggettivomolinus, derivato di molêre, “maci-nare”. Si indica con tale termine la macchi-na con la quale viene compiutaun’operazione di macinazione, cioèsi frantumano dei corpi solidi ridu-cendoli in particelle di piccole o pic-colissime dimensioni. Generalmente per mulino non siintende soltanto il dispositivo con ilquale si esegue la macinazione, maanche i locali o l’intero edificio chelo contengono. In origine, mulino era soltanto lamacchina - e l’edificio - per la maci-nazione dei cereali, soprattutto delgrano, allo scopo di trasformarli in

dida

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semole e farine; dal bassoMedioevo, si iniziò a costruire anchemulini per macinare anche altrimateriali (castagne secche, olive,gesso, cemento, pigmenti, ecc.) eper eseguire qualsiasi altra lavora-zione (follatura di panni, produzio-ne di carta, ecc.). Per estensione,dunque, mulino divenne sinonimodi opificio, o di qualunque comples-so azionato da ruote idrauliche.Secondo il tipo di energia sfruttata edell’apparato macinante si distin-guono: mulini a vento, ad acqua(fissi o mobili, a marea), a vapore, aenergia elettrica, ecc.; mulino a pal-menti, a dischi, a pala, a martelli, apalle, a pestelli, a pendolo.

Evoluzione del mulino: breve sto-ria della molitura

Nel neolitico avvenne il passaggioda un’economia improntata princi-palmente sulla caccia e sulla raccol-ta a un’economia fondata sulla pro-duzione di cibo. Fecero la loro com-parsa due invenzioni in campoagrario fondamentali - seppur informe rudimentali - nella storiaumana: l’aratro e l’irrigazione, checostituirono l’origine di quella cheviene chiamata rivoluzione agricolaneolitica.Da quel momento, la macinazionedei cereali divenne uno dei proble-mi fondamentali che l’uomo hadovuto affrontare e risolvere, inizial-mente con dispositivi rudimentali.In quell’epoca i cereali, dopo la bat-titura (eliminazione della loppa),venivano frantumati a mano a colpidi pietra e, in seguito, con l’uso di

mortaio e pestello di pietra o dilegno duro. Un procedimento anco-ra più semplice consisteva nelriscaldamento dei grani con pietrearroventate e loro successivo strito-lamento con le mani. Intorno al 2500 a. C., in Egitto, lamolitura dei cereali era eseguita conmacine “a sella” (rulli fatti rotolaresu pietre piatte); mentre nella Greciaclassica fu introdotto il mulino apressione, in cui il grano venivamacinato per schiacciamento.Tutti questi sistemi rudimentalisono tuttora diffusi presso le popo-lazioni in via di sviluppo.Dal III secolo a. C., nel bacino delMediterraneo, comparve la macina(o mulino) a mano, una delle primeapplicazioni del moto rotatorio. Lamacina era originariamente costi-tuita da due rudimentali dischi dipietra piatti sovrapposti (palmenti),quello superiore bucato e attraver-sato da un bastone, per mezzo delquale era possibile farlo ruotare suquello sottostante. In seguito, lamacinazione a palmenti fu perfe-zionata, introducendo il mulinoarabo, mosso dalla forza animale.Intorno al 1000 a. C., si cercò di dareforme più razionali ai palmenti. IRomani realizzarono una macina(“mola versatilis”, o “manumolae”)costituita da blocchi monoliticiopportunamente sagomati, il sotto-stante fisso, di forma conica e quel-lo superiore mobile, con due cavitàdi forma anch’essa conica, unite peril vertice con un foro comunicante. Il grano, caricato dall’alto, venivaschiacciato all’interfaccia fra di essiper la rotazione attorno all’asse ver-

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ticale della macina. Il vantaggiorispetto ai precedenti sistemi dimolitura è rappresentato dal fattoche essa utilizzava un moto di tipocontinuo, non complesso comequello alternativo, quindi azionabilesfruttando dapprima la forza ani-male e, successivamente, la corren-te di corsi d’acqua.Tra il II e il I secolo a. C., nelle regio-ni collinose del vicino Oriente furo-no introdotte, probabilmente dagliArabi, le prime ruote idrauliche: ilcosiddetto mulino greco o scandi-navo, a ruota orizzontale connessadirettamente alla macina tramite un

asse verticale, sull’estremità delquale erano calettate le pale a cuc-chiaio inclinate, alimentate da unadoccia d’acqua. Tale ruota potevafunzionare per piccoli volumi d’ac-qua a corrente molto rapida, carat-teristici delle zone montane; inoltre,il flusso della doccia doveva esserecostante. La potenza erogata da talemacchina era di circa 0,4 W., ingrado di soddisfare poco più che l’e-sigenza di un nucleo domestico,quindi poco adatto alla produzionea scopo commerciale della farina. Di fatto, “nella sua primissimaforma, il mulino scandinavo implicaanch’esso un cambiamento dell’ori-gine della potenza motrice, daimuscoli animali a una macchinaazionata dall’acqua corrente, piut-tosto che un nuovo livello di produ-zione dell’energia”.Nel I secolo a. C., Vitruvio descrisseper la prima volta la ruota idraulicaad asse orizzontale (o mulino vitru-viano), con macina connessa indi-rettamente tramite sistema di rudi-mentali ingranaggi (ruote dentate)di legno, capace di moltiplicare lavelocità di rotazione della macinarispetto a quella della ruota idrauli-ca. Con un rapporto tra numero digiri della macina e numero di giridella ruota pari a 5:1, si poteva rag-giungere una potenza di circa 2,2 W.,in grado di macinare quasi 15 kg. digrano all’ora.La ruota del mulino vitruviano era,in origine, alimentata “per di sotto”,mossa cioè direttamente dal corsod’acqua, che ne colpiva le pale drit-te. Tuttavia, questo sistema garanti-va un buon rendimento soltanto se

Bocche d’irrigazione regolari - da CON-SORZIO DEL FIUME OLONA, Le BocchePrivilegiate per rispetto ai progetti di intro-duzione di nuove acque in Olona, 1907.

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impiantato su correnti d’acqua rapi-de e con volumi idrici costanti.Successivamente, si scoprì che erapiù efficiente impiegare un sistemadi alimentazione “per di sopra”, conruota a cassette, in grado di sfruttareil peso dell’acqua. Il flusso dell’ac-qua doveva, però, essere ben direttoe regolato: l’acqua proveniente dalfiume veniva raccolta prima in unbacino (bottaccio) e, tramite unachiusa (stramazzo), giungeva sullecassette della ruota, per mezzo di uncanale di legno (doccia). Questosistema consentiva di sfruttare van-taggiosamente anche i corsi d’acquaa flusso lento o a volume variabile: lachiusa consentiva di innalzare illivello dell’acqua fornendole il cari-co sufficiente per muovere la ruota.Un terzo sistema di alimentazione,“per di fianco” (o ruota a cassette“colpita alle reni), era una combina-zione dei due sistemi precedenti. Vitruvio trattò del mulino a proposi-to delle macchine per sollevare l’ac-qua, un’altra applicazione dellaruota idraulica, sulla quale era fissa-ta una serie di bacinelle che si riem-pivano in un bacino, durante larotazione, e scaricavano il loro con-tenuto in un altro bacino, posto auna quota maggiore. Come affermaMarc Bloch, “nel mulino ad acqua[...] è forse possibile scorgere lo svi-luppo, a breve intervallo, di un’in-venzione che, essendosi proposta inun primo tempo di facilitare l’irriga-zione, trovò il suo luogo naturale làdove l’agricoltura fu sempre unalunga lotta contro la siccità dell’e-state”. Il più consistente sistemamolitorio dell’era romana di cui si

ha testimonianza è quello diBarbegal, presso Arles (Francia),risalente al 308-316 d. C. L’impiantoera formato da un doppio canalecostruito su un declivio avente pen-denza di 30° e dislivello 18,60 m., ali-mentato per mezzo di un acquedot-to. In esso erano poste otto ruote dilegno mosse “per di sopra” (quattroper ramo). Ognuna di esse avevadiametro 2,20 m. e larghezza 0,70 m.ed erano fissate con piombo agliassali di ferro; gli ingranaggi,anch’essi di legno, erano alloggiatiin camere poste sotto le macine, dueper ciascuna ruota. Le macine ave-vano diametro 90 cm. e quella supe-riore era munita di tramoggia perl’alimentazione. La capacità molito-ria di ogni serie macine era di circa15-20 kg./h. L’impianto era dunquein grado di macinare circa 240-320kg./h., che corrispondono a circa 2,8tonnellate di farina in una giornatadi dieci ore: una produzione suffi-ciente ad alimentare una popolazio-ne di 80000 persone e, dato che nelIII secolo Arles contava circa 10000abitanti, destinata a soddisfare larichiesta locale e quella dell’esercitodel Narbonese.Tuttavia, le civiltà mediterraneeantiche, seppur grandissime consu-matrici di farina, non sfruttarono sugrande scala il mulino vitruviano; lasua diffusione capillare in tuttaEuropa dovette attendere ilMedioevo.I mulini a Roma erano azionati dacavalli o asini, ma soprattutto dallaforza umana. La crescita economicadipendeva direttamente dall’espan-sione militare, quindi dall’acquisi-

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zione di bottini, tributi e prigionieridi guerra, che garantivano la produ-zione; mentre i cittadini liberi pote-vano essere impiegati nell’esercito,assicurando così il processo espan-sionistico. Fino al II secolo d. C.,nella Roma imperiale, l’impiegodella schiavitù costituì il sistemaproduttivo principale, essendoquello più a buon mercato, e “i pro-prietari dei latifundia non avevanoalcuna ragione di installare dellemacchine costose, quando i mercatie le loro stesse case rigurgitavano dibestiame umano”. Un’invenzionenon si diffonde se il suo bisognosociale non è largamente avvertito.In tutto il mondo antico non erasentita l’esigenza di trasformare unsistema che comunque era in gradodi soddisfare la domanda. “La pro-duzione in massa dei beni avrebbeinfatti significato una sovrapprodu-zione nel mondo antico, che investi-va il suo capitale in schiavi e terreni”. Questo però produsse un generaleristagno per quanto riguarda l’inno-vazione tecnologica, che si protras-se fino alla caduta dell’Impero.Oltre a cause di ordine socio-econo-mico, alla mancata diffusione delmulino ad acqua concorrevanoanche cause di natura geografica:esso non poté diffondersi laddovenon esistevano corsi d’acqua oppu-re la loro portata non era adeguataall’impianto di ruote idrauliche. Lacostruzione di mulini idraulici fuperciò circoscritta alle zone ricchedi fiumi e torrenti, o nelle quali si erain grado di ottenere flussi d’acquaabbondanti e costanti, oppure lad-dove sussistevano una forte doman-

da di farina e una inadeguata offertadi manodopera a buon mercato. Lepopolazioni che vivevano su un ter-ritorio privo di corsi d’acqua conti-nuarono a utilizzare i vecchi sistemidi molitura, fino alla fine del XIIsecolo, quando fu introdotto il muli-no a vento.Verso la fine dell’Impero (III-IVsecolo), si verificarono le condizioninecessarie alla diffusione del muli-no ad acqua: “abbassamento gene-rale della popolazione; restrizioni,in particolare nel rifornimento dimano d’opera servile; tendenza infi-ne, dopo la dissoluzione dei grandiraggruppamenti di schiavi nutritidirettamente dal padrone, a disper-derne i componenti su appezza-menti staccati dal demanio”, mentre“la concentrazione di energia eraottenuta mediante l’impiego digrosse squadre di uomini”.Con la crisi e la caduta dell’Impero(V secolo) e per tutto l’altoMedioevo, si incrementò lo sfrutta-mento della forza idraulica per lamolitura, grazie all’applicazione delmulino vitruviano - che rese dispo-nibile un più alto grado di rendi-mento per quanto riguarda la pro-duzione di energia - in sostituzionedella forza prodotta dall’uomo edagli animali. Nacque così unanuova figura professionale artigia-nale specializzata: i “molitores” o“molendarii”, cioè i mugnai.

“Al tempo in cui fu introdotta laruota idraulica come motore prima-rio, una rivoluzione spirituale [l’av-vento del cristianesimo] aveva spaz-zato via la concezione classica del

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carattere degradante del lavoromanuale. La schiavitù aveva sempreabbassato la condizione economicae sociale dei liberi artigiani, ridottoal minimo i loro salari e li avevaesposti al disprezzo delle classi intel-lettuali. Insieme con la scarsadomanda dei prodotti, essa avevafrustrato l’inventiva meccanica equindi l’affermazione di metodi effi-caci per produrre merci a buon mer-cato per tutti. [...] Il cristianesimonon solo modificò l’atteggiamentodel cittadino verso il povero e loschiavo, ma attaccò a fondo la con-cezione classica esaltando il valoredel lavoro manuale. [...] Si aprivacosì la porta a una concezionesecondo cui la natura doveva essereasservita all’uomo e le sue forzeavrebbero dovuto essere vinte eaggiogate per facilitare il compito ela vita dell’uomo stesso. [...] Ilmondo antico non sognò l’imbri-gliamento di queste forze [che con-siderava] soprannaturali [dotatecioè di anima propria] fino all’av-vento del cristianesimo, che con lasua opposizione all’animismo aprìla via a un uso razionale delle forzedella natura”.

Tuttavia, i vecchi sistemi di molitu-ra, azionati dalla forza umana o ani-male, non cessarono di essere utiliz-zati, soprattutto nelle zone prive dicorsi d’acqua e nelle case dei conta-dini; oppure nei periodi di piena, disiccità, durante le gelate o le alluvio-ni, durante gli assedi, a causa dei fre-quenti spostamenti, nei periodi incui i corsi d’acqua venivano inter-rotti, oppure a causa del diritto di

disporre di questi ultimi, dellanecessità di costruire opere di presae canalizzazione, delle spese dimanutenzione degli impianti. Tral’altro, l’uso di macine portatili amano consentiva di eludere, duran-te il viaggio, i diritti di molitura.La realizzazione di un mulino adacqua divenne vantaggiosa quandofinalmente si ebbe la possibilità dimacinare grosse quantità di cereali.Questo poté avvenire nelle granditenute monastiche o signorili, dovefurono infatti installati i primi gran-di impianti molitori. La causa prin-cipale dell’impiego su vasta scala delmulino idraulico rimane, comun-que, la carenza di manodopera.Condizione che si verificò in conse-guenza della crisi del mondo greco-romano. Così, dal IX secolo, si reseindispensabile l’integrazione e, inalcuni casi, la sostituzione del lavoroumano con l’energia idraulica. Dal XI secolo l’impiego su vastascala della ruota idraulica rivolu-zionò non solo la molitura dei cerea-li, ma essa iniziò a prestarsi, grazie anotevoli innovazioni tecniche e,soprattutto, al perfezionamento del-l’albero a camme, al funzionamentodi qualsiasi tipo di macchinario,condizionando la distribuzione ter-ritoriale delle attività produttive, chefurono impiantate lungo i corsid’acqua.Nel XII secolo l’energia idraulica, inEuropa, costituiva la più importantefonte energetica, utilizzata per la fol-latura di panni (gualchiere), la torci-tura della seta, nella lavorazione deilegnami (segherie), nelle miniere(per sollevare minerali, aerare e dre-

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nare le gallerie e i pozzi), nellametallurgia e siderurgia (per frantu-mare i minerali, azionare mantici emagli nelle fucine, molare lame),per tagliare e levigare il marmo, pro-durre olio (frantoio e torchio per leolive), per la produzione del malto(birrerie), per macinare la polvere dasparo e i pigmenti, per preparare lapasta per la carta (cartiere), nellaconcia dei pellami, per sollevare etrasportare l’acqua (pompe) eoggetti di ogni genere.Nel XVIII secolo si costruivanoruote idrauliche aventi diametrovariabile tra 1 e 3,5 m., per unapotenza corrispondente di 13,5 CV.Contemporaneamente si iniziaronoa progettare le prime macchine attea sostituire la fatica umana e a mol-tiplicare la produzione. Si cercò diinventare nuovi meccanismi chepermettessero di ottenere maggiorirendimenti, quindi potenze in usci-ta sempre più elevate. Lo studio del-l’ingegneria meccanica, verso la finedel Medioevo, si occupò principal-mente del problema della trasmis-sione della forza motrice; del modopiù razionale e conveniente diaddurre l’acqua alla ruota, attingen-done la giusta quantità; del dimen-sionamento delle pale, in modo dasfruttare con il massimo profitto sial’energia di posizione sia l’energiacinetica dell’acqua; della giusta pen-denza da dare alla gora nella suaparte finale, per minimizzare glisvantaggi causati dall’accumulod’acqua sotto la ruota, con conse-guente suo rallentamento.Tutte le macchine progettate ecostruite in questi secoli erano rea-

lizzate principalmente in legno; tut-tavia si fece sempre più sensibile lanecessità di impiegare le partimetalliche più soggette all’usura(rotismi, valvole, assi, supporti,perni, cuscinetti, piattabande, cate-ne, ecc.).Questi studi e le migliorie che essiportarono favorirono l’espansione eil moltiplicarsi di ruote idrauliche edi attività da esse azionate. La diffu-sione del mulino ad acqua fu agevo-lata anche dall’introduzione in tuttaEuropa dei mulini galleggianti72,montati su barche e chiatte, facil-mente trasportabili lungo i corsid’acqua dove la corrente era piùfavorevole, oppure per garantire laproduzione durante gli assedi,all’interno delle città. Furono realiz-zati anche mulini a marea inFrancia, dove comparvero nel 1125-1133 presso la foce dell’Adour; suc-cessivamente in Gran Bretagna e aVenezia. Si moltiplicarono, di conse-guenza, anche le controversie inmerito ai diritti di proprietà e d’usodelle acque tra mugnai e proprietaridi mulini, pescatori, addetti allanavigazione di chiatte e barche,danneggiati a causa delle opere dipresa superiori.Un ruolo di spicco nel processo didiffusione del mulino ad acqua fuassunto dai monaci cistercensi, cheutilizzavano l’energia idraulica oltreche per la molitura del grano, pertutte quelle attività produttivenecessarie a rendere autosufficientile loro abbazie. Essi si interessarono,in particolare, alla costruzione diforge con magli idraulici e furonopionieri nell’uso di questi nella

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metallurgia del ferro. Meccanizzando il piùpossibile i lavori tradi-zionalmente svolti dal-l’uomo, i monaci avreb-bero così avuto piùtempo per le questionispirituali.Durante i secoli XVI e ilXVII furono migliorate letecniche costruttive dimacchine e meccanismigià conosciuti, ma so-prattutto furono inven-tate e costruite nuovemacchine sempre piùcomplesse e più stretta-mente correlate tra loro. Questo fupossibile grazie a un “aumento del-l’accuratezza e della precisione nelcoordinamento delle varie partidelle macchine”. Fu impiegato un numero sempremaggiore di ingranaggi, viti senzafine e apparati meccanici in gradodi produrre il moto. In questo perio-do si iniziò a costruire strumenti diprecisione e si fecero notevoli passiavanti nel campo della meccanicastrumentale. Nel XVII secolo si costruirono ruoteidrauliche che raggiungevano i 10m. di diametro, ma la maggior partedei mulini, in quell’epoca, impiega-vano ruote con diametro compresotra 2 e 4 m. Si preferì, infatti, dotare imulini di più ruote, al fine diaumentarne la potenza, piuttostoche affrontare i problemi connessialla concentrazione di energia suun’unica ruota.Tuttavia, nonostante gli importantisviluppi tecnici, il materiale fonda-

mentale per la costruzione dellemacchine rimase il legno, mentrel’uso dei metalli, a causa dell’ancoralto costo di lavorazione, fu riserva-to alle parti che necessitavano dimaggiore durata e robustezza; oltread essere destinato agli oggetti dilusso e alle armi.In quell’epoca, non furono apporta-te innovazioni nella costruzione diruote idrauliche, se non per quantoriguarda la ruota orizzontale senzaingranaggi. Pertanto i sistemicostruttivi delle ruote rimasero persecoli quelli indicati da Vitruvio e daitrattatisti che lo seguirono. Nel 1579,Jacques Besson descrisse una ruotaorizzontale di nuova concezione, inuso nella Francia meridionale, ingrado di sfruttare l’effetto di reazio-ne dell’acqua sulle lamine ricurve(pale) della ruota. Furono applicatinuovi principi di sfruttamento dellacorrente grazie ai quali si rese piùefficace e meglio controllata la forzasviluppata dal moto dell’acqua sullepale, aumentando così le prestazio-

Mulino Bosetti a Fagnano Olona (VA): piano terra, primo locale moli-torio: “molazza” per il “pannello” (mangime per animanli).Foto Alessandro Zibetti, 1998

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ni della ruota. Questa innovazionecostituì un ulteriore passo verso l’in-venzione della turbina idraulica.Le notevoli capacità progettuali deicostruttori di mulini settecenteschisono testimoniate dalla complessitàe dalla grande quantità macchinerealizzate in quell’epoca e illustratenelle tavole dell’Encyclopédie diDiderot e D’Alembert.Nella seconda metà del XVIII secolo,John Smeaton calcolò i rendimentiottenibili con i vari tipi di ruota,dimostrando che l’alimentazione“per di sotto” non consentiva disuperare - a causa dell’azione diret-ta dell’acqua sulle pale - un rendi-mento del 22 %, contro il 63 % otte-nuto da una ruota alimentata “per disopra”. Tuttavia, per disporre di unsimile rendimento, era necessariomantenere la velocità perifericadella ruota intorno ai 60 m./min..Proprio Smeaton iniziò a utilizzareruote, alberi e corone di ghisa, insostituzione dei vecchi meccanismidi legno, aprendo la strada allo svi-luppo della grande industriamoderna, che, in seguito, soppiantòl’uso della vecchia ruota ad acqua,per sostituirla con la turbina idrauli-ca e poi a vapore.Fino all’inizio del XIX secolo, quan-do furono realizzati i primi lamina-toi a cilindri, la macinazione delgrano veniva realizzata esclusiva-mente con macine a palmenti dipietra. Con l’introduzione dei laminatoi acilindri, fu rivoluzionata l’industriamolitoria: il sistema della “bassa (opiatta) macinazione” fu sostituito daquello dell’ “alta (o graduale) maci-

nazione”. Il sistema tradizionale -“bassa macinazione” - veniva realiz-zato con macchinari molto semplicie installazioni economiche: localinon molto ampi, alcune coppie dimacine a palmenti, un buratto persetacciare la farina e alcuni pulitoriper il grano. la macina superiorecorreva molto vicina (“bassa”,appunto) a quella inferiore, i cerealivenivano pertanto ridotti in farinamolto velocemente. Tuttavia, acausa della forte pressione e dellafrizione esercitate dalle macine,insieme alla parte farinacea dellegranaglie, veniva triturata anche lacrusca, difficilmente separabiledalla farina, anche dopo vari pas-saggi al buratto. la forte pressione,inoltre, produceva un eccessivoriscaldamento dei prodotti, che nediminuiva ulteriormente la qualità.Il sistema dell’ “alta macinazione”poteva essere praticato con gli stessimulini a palmenti, variando oppor-tunamente la distanza fra le macine,che venivano poste a una distanzamaggiore. Occorrevano, tuttavia, più passaggiper ottenere una farina fine comequella prodotta con il sistema della“bassa macinazione”. L’ “alta macinazione” iniziò ad esse-re economicamente praticabile conl’introduzione dei laminatoi a cilin-dri, con cui il grano era gradualmen-te sgretolato in semole sempre piùfini, con intermedie separazionidelle crusche, al fine di ottenere sfa-rinamenti più precisi su prodottiliberati dagli strati corticali.“Dal mulino... alla fabbrica”

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“I mulini ad acqua sono i prototipidella fabbrica del XVIII e XIX secoloprima che l’utilizzazione del vaporesoppiantasse la forza motrice idri-ca”. Il mulino è stato la prima “mac-china industriale” - il primo esem-pio, cioè, di macchina associata a unedificio - e il sistema delle ruoteidrauliche e degli ingranaggi con-nessi costituì un prezioso elementosu cui impiantare una fabbrica,nella fase iniziale dell’industrializza-zione. “Non a caso - nota AntonelloNegri - il termine con cui inInghilterra si indicava originaria-mente il mulino, mill, venne utiliz-zato anche per fabbriche tessili (cot-ton mill), per cartiere (paper mill),per la metallurgia (steel mill) fino asignificare, senza specifiche conno-tazioni produttive, opificio, fabbri-ca, stabilimento”.“I mulini da grano si pongono allabase del successivo sviluppo indu-striale, rappresentando insiemel’impianto della forza motrice pri-maria, l’acqua, e il modello edilizio acui si è uniformata la maggior partedegli edifici industriali, soprattuttonella fase di avvio”. Le prime indu-strie, dunque, erano localizzate inprossimità di corsi o cadute d’ac-qua, al fine di sfruttarne la forzamotrice attraverso le ruote dei muli-ni esistenti. In un primo momento,le nuove attività si affiancaronosemplicemente all’attività molitoria,senza peraltro sostituirsi a essa:nello stesso complesso potevanocoesistere mulino da grano, filatoio,folla di carta o di panno, ecc. Successivamente, invece, questeattività soppiantarono il vecchio

mulino da grano, si scatenò una verae propria corsa per accaparrarsi leruote già impiantate sui fiumi.Sul finire del XIX secolo si iniziaronoa costruire grandi mulini industriali,nei quali furono centralizzate tuttele operazioni fino ad allora svolte innumerose unità produttive sparsesul territorio. Dapprima essi furonoazionati con motrici a vapore, chesostituirono le ruote e le turbineidrauliche, e in seguito con turbineidroelettriche. Le dimensioni e l’a-spetto estetico degli impianti muta-rono notevolmente. “A un’architet-tura anonima e povera, legata a tra-dizioni e modi costruttivi locali, sisostituirono strutture e forme detta-te dalle necessità della produzioneindustriale, che si avvaleva di uno“stile internazionale” valido in Italiacome già in Inghilterra e nelle regio-ni industrializzate del restod’Europa”. Grazie all’impiego sem-pre più massiccio dell’energia elet-trica, i nuovi insediamenti produtti-vi furono svincolati dai corsi d’ac-qua, fino allora fonte di energiamotrice, per impiantarsi lungo le viedi comunicazione principali o incittà. L’industrializzazione dell’atti-vità molitoria condusse a un pro-gressivo abbandono degli impiantitradizionali. Soltanto alcuni vecchimulini, i cui proprietari ebbero adisposizione i capitali necessari alrinnovamento dei macchinari, con-tinuarono a macinare fino agli anni‘50 di questo secolo e, in alcuni raricasi, fino agli anni ‘70-’80.I mulini situati in contesti urbani - osuccessivamente inglobati dall’e-spansione urbana - che subirono la

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trasformazione d’uso, difficilmentesopravvissero all’aggiornamentotecnologico. Le strutture ancora oggi esistenti,seppur versanti in pessime condi-zioni, sono quelle che, inserite incontesti lontani dalla cultura indu-striale e, di conseguenza, dalla pras-si obbligata del rinnovamento con-tinuo, hanno mantenuto anchedurante questo secolo la propriafunzione di mulini da grano; oppu-re, quando è cessata definitivamen-te l’attività molitoria, non sono stateabbattute per lasciare posto ad altrecostruzioni, ma sono state sempli-cemente abbandonate o riutilizzate.Le ruote idrauliche ancora oggi esi-stenti sono, quindi, quelle conser-vate nei mulini che hanno mante-nuto la loro funzione fino alladismissione. Raramente si trovanoruote di legno e con pale dritte,oppure ruote mosse “per di sopra”;si tratta per lo più di ruote di ferromosse “per di sotto”, con pale ricur-ve (di tipo “Poncelet”). Insieme allamaggior parte delle testimonianzearchitettoniche (gli edifici dei muli-ni) e tecnologiche (i macchinari inessi contenuti), si è persa quasicompletamente quella fitta rete dicanali e rogge che, non solo serviva-no all’alimentazione degli impiantie all’irrigazione della campagna, mache, già in epoca antica e fino all’ini-zio di questo secolo, strutturavanol’intero territorio, disegnandone iprofili, delimitando i confini e con-ferendogli identità.

Come funziona la macchina mulinoIl mulino è innanzi tutto una mac-

china. Più precisamente, in esso èespressa, per la prima volta nellastoria della tecnica, la simbiosi tramacchina e edificio. Questa associa-zione è strettamente connessa a evi-denti esigenze di economicità erazionalizzazione degli spazi e dellavoro in essi svolto, allo scopo dimassimizzare le condizioni geo-morfologiche in cui il mulino è inse-rito - simbiosi tra edificio e contestoterritoriale - e minimizzare i costi. Come ogni macchina, il mulino ècostituito da diverse parti, il cui cor-retto coordinamento garantisce lafunzionalità dell’intero sistema.

Il sistema delle rogge

La roggia molinara - o più semplice-mente roggia - era il canale derivatoartificialmente, attraverso un’appo-sita chiusa di derivazione (o porta),dal fiume o dal torrente allo scopodi alimentare le ruote idrauliche.In origine, le ruote erano immersedirettamente nel corso d’acquaprincipale. Dai primi secoli dopo ilMille, soprattutto per merito deimonaci cistercensi, che iniziaronoun’intensa opera di bonifica e orga-nizzazione dell’irrigazione e del ter-ritorio, furono realizzati sistemi dipresa sempre più perfezionati ecomplessi, costituiti da sbarramen-ti, dighe, sfioratori e chiuse.“Anticamente per la derivazionedall’Olona delle rogge molinare si for-mavano attraverso al fiume le chiuseanche con sole pietre mobili, o conterra, o con passoni e fascine. Le testedei passoni segnavano la competenzad’acqua devoluta all’inferiore molino.

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Ma ad ogni piena quelle chiuse veni-vano distrutte o sconnesse.

Ora questi manufatti sono tutticostruiti in muratura colla cresta inpietra o in cemento. La loro manuten-zione è a carico degli utenti che utiliz-zano le acque così derivate. È assoluta-mente proibito ogni sopralzo dellachiusa anche se temporaneo per nonledere i diritti di altri utenti. È pure vie-tato di formare chiuse anche instabilia valle delle bocche d’irrigazione perfavorirne la erogazione”.Gli sbarramenti venivano impiegaticon il duplice scopo di creare unascorta d’acqua (bacino o bottaccio),soprattutto se il corso d’acqua era acarattere torrentizio - come nel casodel fiume Olona - e di alzare il livellodell’acqua nel bacino di raccolta, alfine di accrescere il salto utile a for-nire la quantità di energia necessa-ria al movimento delle ruote.Durante i periodi di inoperosità delmulino o di piena, l’acqua venivafatta defluire attraverso gli scolma-tori (o scaricatori) posti a monte del-l’edificio idraulico, manovrandoopportunamente sulle chiuse.Lungo le sponde delle molinarevenivano aperte le bocche (o boc-chelli) d’irrigazione, attraverso iquali si faceva defluire l’acqua utileall’agricoltura.La roggia molinara e il tratto delfiume tagliato dalle chiuse di deriva-zione (ramo “morto”) formavanoun’isola (o insula), a servizio delmugnaio. Tale isola poteva essereirrigata - per la produzione di forag-gio - mediante un apposito bocchel-lo libero (senza chiusa).

L’edificio idraulico o nervileL’edificio idraulico (nervile) costitui-va il sistema di distribuzione dell’ac-qua sulle ruote. Esso era formato dauna serie di corsie o canarelle (inrelazione al numero delle ruote esi-stenti), controllate da altrettanteparatoie mobili (o bocca al nervile),poste attraverso la roggia molinara.Manovrando opportunamente suqueste era possibile regolare il flussod’acqua allo scopo di ottenere unacorrente costante diretta, attraversoil canale di alimentazione, sulle paledella ruota.Almeno una corsia - detta spazzera -doveva rimanere libera (senzaruota) e sempre aperta, con la fun-zione di scaricatore del nervile, alloscopo di garantire il giusto apportod’acqua al mulino inferiore (più avalle) e, contemporaneamente, nonpregiudicare, a causa del riflusso, ilcorretto movimento delle ruote almulino superiore (a monte).Lungo la serie di paratoie era postauna passerella (ponticella) di servi-zio alla manovra delle stesse, checonsentiva anche il passaggio dauna parte all’altra della roggia e, neimulini doppi, il collegamento fra diessi.

Esisteva anche un altro tipo di strut-tura, però meno diffusa: il “mulinointerno”. Era costituito da un corpo di fabbri-ca sporgente sulla roggia, nel qualeera praticata un’apertura ad arcosotto cui girava la ruota.Le parti costituenti il nervile erano,in origine, realizzate interamente,come le ruote idrauliche, con legno.

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Già dal ‘700 le parti in legno logoredegli edifici idraulici furono pro-gressivamente sostituite con strut-ture di pietra e/o cotto. Quando, verso la fine del XVIII seco-lo, le vecchie ruote di legno furonosostituite dapprima con ruote dighisa e, in seguito, di ferro, anche lestrutture che componevano l’edifi-cio idraulico subirono pesantimodificazioni, connesse all’impiegodi motori idraulici più potenti. Generalmente, nei mulini chenel’600 utilizzavano più di tre ruotedi legno, queste furono sostituite,nel corso dell’800, con una o dueruote di ferro di tipo “Poncelet”. Di conseguenza, diverse corsie furo-no soppresse, modificando così lastruttura originaria dei nervili.

Le ruote idraulicheLa ruota idraulica (o motore idrauli-co), insieme al sistema di ingranaggiconnessi, spesso di grandi dimen-sioni, era l’elemento più vistoso delmulino, quello che, all’esterno, lo

caratterizzava e lodistingueva dagli altriedifici. Un mulino potevaavere una o più ruote,in relazione alle suedimensioni e alnumero di macineche vi lavoravano.La funzione dellaruota idraulica eraquella di trasformarel’energia cinetica for-nita dall’acqua inlavoro meccanico(moto rotatorio), con

il maggior rendimento possibile. Laruota era imperniata a un asse(albero motore) supportato dacuscinetti che poggiavano sullespalle del canale di alimentazione(corsia). Per mezzo dell’alberomotore il moto era trasferito all’in-terno dell’edificio. Qui, attraversoun sistema di ingranaggi (o di puleg-ge e cinghie) più o meno complesso,veniva ridotto o moltiplicato secon-do le esigenze e distribuito median-te alberi verticali alle macine e allealtre macchine del mulino.

Ruota alimentata “per di sotto”Era costituita da una serie di palepiane di legno fissate a distanzaregolare lungo la periferia di unaruota, anch’essa di legno. Il canale dialimentazione era leggermenteinclinato e consentiva di dirigere ilflusso d’acqua sulle pale. L’urto pro-duceva una pressione in grado diimprimere alla ruota un moto rota-torio, la cui velocità era funzionedella forza trasmessa e della resi-

Mulino Bosetti a Fagnano Olona (VA): nervile con ponticella, visto dalponte d’accesso all’ex Oleificio Salmoiraghi. Foto Alessandro Zibetti, 1998

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stenza da vincere (inerzia). La velocità di efflusso dell’acqua eracostante. Quanto maggiore era talevelocità tanto minore risultava laqualità del lavoro che essa era ingrado di compiere, essendo minimala pressione esercitata dall’acquasulle pale. Per vincere l’inerzia, laruota, sotto la spinta idraulica, assu-meva una velocità conseguenteall’equilibrio che si stabiliva tra lapressione dell’acqua sulle pale e l’i-nerzia stessa.All’uscita della ruota, l’acqua ritor-nava al fiume attraverso una gora discarico la cui pendenza, se adegua-ta, riduceva al minimo la stagnazio-ne, che avrebbe causato il rallenta-mento della ruota.• Rendimento della ruota alimenta-ta “per di sotto”. Le ruote alimentate "per di sotto"erano poco redditizie dal punto divista del rendimento: le perdite dicarico lungo le pareti del canale dialimentazione riducevano la velo-cità della ruota, l’acqua arrivava conviolenza sulle pale riducendo ulte-riormente l’energia utile e le abban-donava conservando una discretavelocità, trattenendo altra energia.RENDIMENTO MASSIMO = 25%, incorrispondenza di una velocità dellaruota pari a 0,45 volte quella dell’ac-qua sulle pale; ben il 75% dell’ener-gia in ingresso era dissipato112.

Ruota alimentata “per di sopra” o “acassette”Era una ruota di grandi dimensionisulla cui circonferenza era posta unaserie di cassette (di legno o metallo)in grado di contenere l’acqua addot-

ta dall’alto, attraverso un canale(doccia) che attingeva nella gorasuperiore, appena sotto il pelo del-l’acqua.La ruota girava per effetto dell’appe-santimento delle cassette riempited’acqua poste sul lato a valle: l’ener-gia di posizione dell’acqua venivatrasformata in energia meccanicadisponibile sull’asse della ruota. Le cassette dovevano, pertanto,essere in grado di scaricare l’acquain esse contenuta più in basso possi-bile e permettere - attraverso i forel-lini praticati sul fondo, che consenti-vano la fuoriuscita dell’aria - il riem-pimento e l’abbandono dell’acqua ilpiù velocemente possibile.Questo sistema era utilizzatosoprattutto nei tratti iniziali dei corsid’acqua, o comunque dove i declivinaturali lo consentivano, general-mente per cadute molto alte, mapovere d’acqua.

• Rendimento della ruota alimenta-ta “per di sopra” o a “cassette”.Durante il moto, la ruota producevaforza centrifuga, quindi il suo rendi-mento era tanto maggiore quantominore era la velocità di rotazione(di cui la forza centrifuga è funzio-ne). Inoltre, con velocità di rotazio-ne bassa era possibile alimentare laruota evitando urti e riducendo lavelocità di abbandono dell’acquadalle cassette.RENDIMENTO MASSIMO = 75%,con una velocità periferica di circa 1m./sec. Il basso numero di giri del-l’albero motore ottenibile potevaessere moltiplicato attraversoopportuni ingranaggi.

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Ruota alimentata "per di fianco"Questa ruota era costituita da palepiatte, cinte per un tratto da uncanale stretto a forma di settore cir-colare, alla cui sommità era postal’alimentazione. Era una combina-zione tra il sistema “per di sotto” equello “per di sopra”: l’acqua primaagiva sulle pale con forza viva (“perdi sotto”), poi, costretta tra le paleinferiori e il condotto, continuava adagire per effetto del suo peso (“per disopra”), finché non veniva scaricatanella gora inferiore. Era possibile farprevalere un effetto sull’altro,variando la posizione dell’alimenta-zione (pelo dell’acqua). Tuttavia,essendo più vantaggioso il sistema“per di sopra”, si preferiva alimenta-re la ruota attingendo l’acqua dalbacino di raccolta poco sotto il pelo

libero dell’acqua, sfruttando la suaenergia di posizione.

Vantaggi• il salto era sfruttato integralmente:l’acqua abbandonava le pale soloquando raggiungeva la gora di scari-co;

• la ruota sopportava soltanto lacomponente tangente alla circonfe-renza della forza peso dell’acqua,cioè la sola utile alla trasmissionedell’energia, riducendo così l’attritosui cuscinetti.

Svantaggi• notevole resistenza opposta almoto dell’acqua dalle pareti dellacorsia;

• imperfetta tenuta tra condotto epale (perdite, che potevano essere inparte ridotte aumentando opportu-namente il numero dei giri).

• Rendimento di una ruota alimen-tata “per di fianco”RENDIMENTO MASSIMO = 65%,con dimensioni della ruota pari a:diametro = 3÷6 m.; larghezza = 0,5÷2m.; salto = 1÷3 m.114.

Ruota di tipo “Poncelet”Era una ruota di ferro a pale ricurve,rese quasi tangenti a essa, in corri-spondenza del suo diametro ester-no. L’energia trasmessa dall’acquaalla ruota era aumentatai: l’acqua iningresso non urtava le pale, evitan-do così di perdere velocità ed ener-gia e, all’uscita, abbandonava le palecon una velocità minima, scarican-

Percorso attuale del fiume Olona e suo bacinoimbrifero.

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do alle stesse tutta l’energia disponi-bile. Le perdite per attrito eranoquasi annullate dalla pendenza delcanale. La ruota di tipo “Poncelet”era una ruota alimentata “per disotto” che consentiva di ottenere unrendimento maggiore rispetto allaruota a pale piane, conservandonela maggior velocità di rotazione.

• Rendimento di una ruota di tipo“Poncelet”RENDIMENTO MASSIMO = 60%, incorrispondenza di una velocità dellaruota pari a 0,55 volte quella dell’ac-qua in ingresso116.

Ruota ad asse verticaleEra costituita da un mozzo al qualeerano fissate (o calettate diretta-mente su esso) delle pale di legnoricurve e inclinate (a cucchiaio). Laruota era montata su un asse che eralo stesso della macina, semplifican-do così al massimo la trasmissionedel moto.L’alimentazione era costituita dauna canalina (doccia) inclinatadiretta sulle pale.

• Rendimento di una ruota ad asseverticaleRENDIMENTO MASSIMO = 20%,con una velocità periferica pari a 0,7volte la velocità dell’acqua all’in-gresso. Era una ruota adatta per altecadute, ma povere d’acqua.

Le macineIl complesso delle macine era postosu un soppalco di legno, sorretto darobuste travi, anch’esse di legno, aldi sopra del sistema di trasmissione

del moto, al piano terreno.Le macine tradizionali erano dette apalmenti orizzontali sovrapposti ederano costituite da due grossi epesanti dischi di pietra: una macinafissa o “giacente” (inferiore) e unamobile, “corsoia” o “corridore”(superiore). L’albero motore o palo[F] attraversando la macina fissa sicongiungeva a quella mobile trami-te branche di fissaggio innestatenelle intaccature scavate nella facciainferiore di questa (punto d’appog-gio). Allo scopo di garantire il perfet-to parallelismo fra le due macine, lamacina mobile veniva equilibratacon opportune colate di piombo.La distanza fra le macine potevaessere variata, al fine di macinarevari tipi di cereali oppure ottenerediversi tipi di farina, alzando oabbassando la macina mobilemediante la regolazione di un’appo-sita vite (o leva), che permetteva diagire sulla posizione dell’albero.Ogni macina era generalmente rea-lizzata con un solo blocco di pietralocale; le migliori erano però costi-tuite da varie pietre accuratamentescelte, legate con gesso e solidamen-te serrate con cerchiature di ferro. Inorigine, i diametri delle macinevariavano tra m. 1,80 e m. 2,80; inseguito, si preferì non oltrepassareun diametro di m. 1,30, per un pesodi ciascuna macina pari a 7(8 quin-tali. Sulle facce adiacenti delle duemacine - le superfici di macinazione- venivano praticate delle scanalatu-re (o canette) non eccessivamenteprofonde e con andamento legger-mente obliquo rispetto ai raggi,dirette dal centro alla periferia, in

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modo tale che, accoppiate le duemacine, esse agissero, durante larotazione, come lame di forbice. Lescanalature avevano anche lo scopodi “far respirare” la farina, evitandoche si surriscaldasse. Le macineandavano picchiettate con un appo-sito martello circa ogni otto giorni,altrimenti la superficie macinante siconsumava (“faceva il ghiaccio”) e ilgrano scivolava su di essa. Dopo l’e-secuzione di questa operazione, laprima farina prodotta contenevaparecchie impurità, pertanto ilmugnaio era solito tenerla per il suoconsumo personale.Le due parti costituenti la macinaerano chiuse da un coperchio dilegno (cassa o cassone) e sormonta-te da una tramoggia di alimentazio-ne di legno di forma troncopirami-dale [I]. All’uscita della tramoggia(bocchetta) era posto uno scivolo[L], al quale veniva trasmesso unmoto sussultorio da un rocchettoesagonale [K] solidale con l’alberomotore, che provvedeva ad alimen-tare opportunamente le macine. Legranaglie entravano così nel forocentrale della macina rotante(occhio della macina) e, giungendoall’interfaccia tra le due macine,erano trascinate dalla macina rotan-te che imprimeva loro il moto.Essendo l’interstizio minore delledimensioni dei grani, questi veniva-no stritolati e i loro frammenti (fari-na e crusca) procedevano, secondocerchi sempre più ampi, fino adabbandonare le macine e a raggiun-gere l’anello di raccolta, posto tra lemacine stesse e la cassa. Da quierano sospinti, attraverso un foro

d’uscita e una canalina, nell’apposi-to separatore (vaglio o buratto),azionato meccanicamente da unalbero, che riceveva anch’esso ilmoto, opportunamente rallentato,dalla ruota idraulica.

Il manufatto architettonicoIl mulino, generalmente, era un edi-ficio anonimo e spoglio dal punto divista stilistico, di evidente matricerurale. Tuttavia, in esso si realizzavauna perfetta compenetrazione traun’architettura tradizionalmentespontanea, ma funzionale, e lenecessità tecniche connesse con lapresenza e l’uso del sistema di mac-chinari “andanti ad acqua” che locaratterizzava, ai rapporti sociali eproduttivi in esso espressi. Il com-plesso edilizio del mulino presenta“soluzioni progettuali che, eliminataogni pratica decorativa, traduconol’esigenza di una corretta risoluzio-ne del problema forma-funzione,secondo una concezione razionaleed economica, che la lunga praticadei costruttori di mulini avevarafforzato e consolidato”.Il mulino “è immediatamente rico-noscibile dalla pianta articolata [...]la complessità della pianta corri-sponde alla varietà delle funzioni:abitazione, locali di lavoro, rustici”.Nelle zone montane si ritrovano perlo più edifici isolati di piccoledimensioni, dalla pianta general-mente rettangolare, sviluppati sunon più di due piani, quasi esclusi-vamente destinati a mulino e abita-zione. Scendendo verso zone più pianeg-gianti, si incontrano complessi edili-

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zi più articolati, dalla pianta irrego-lare, costituita da diversi corpi difabbrica di due o tre piani, sviluppa-ta lungo il corso d’acqua; fino a rag-giungere la pianura aperta, dove gliedifici presentano un carattere piùcompatto e massiccio, dalla piantapressoché quadrata. In essi eranoriuniti tutti gli elementi necessarialla vita del nucleo rurale: il mulinovero e proprio, il granaio, le abitazio-ni del mugnaio e dei suoi aiutanti, lacantina, i piccoli rustici, la stalla, ilfienile e il portico.L’elemento fondamentale per l’uti-lizzazione razionale degli ambientiera il vano scale. Infatti l’edificio delmulino si elevava, solitamente, perdue o tre piani: i prodotti in corso dimacinazione compivano un percor-

so lungo la verticale, scendendo pergravità dai piani superiori alle suc-cessive macchine installate ai pianiinferiori. Pertanto l’attività svoltanel mulino era organizzata vertical-mente, sui vari livelli. Il locale moli-torio si trovava al piano terreno,disposto lungo la roggia molinara, evi si accedeva direttamente dall’e-sterno attraverso il portico. I localisituati al primo (e all’eventualesecondo) piano erano usati per lacarica dall’alto dei cereali da maci-nare, che venivano sollevati origina-riamente con funi e carrucole, inseguito con nastri trasportatori, ele-vatori a tazze, coclee. In altri locali,sempre ai piani superiori, eranoposti diversi macchinari che servi-vano per preparare i cereali allamacinazione (pulitura, separazione,cernita). I silos per immagazzinare ivari tipi di granaglie e farina, gene-ralmente, attraversavano tutta l’al-tezza dell’edificio, per renderedisponibile i materiali di macinazio-ne ai vari piani.Nei complessi di gradi dimensioni, ilocali posti accanto al locale molito-rio erano destinati al frantoio e altorchio dell’olio e, dal XVIII secolo,alla “pista” (o “pila”) per il riso o alla“folla” per la produzione di panni ocarta.I locali più lontani dagli impiantierano riservati all’abitazione delmugnaio e della sua famiglia; talvol-ta erano presenti anche le abitazionidei braccianti alle sue dipendenze.Anche la cucina era un elementofondamentale nell’organizzazionedelle attività e nello svolgimentodella vita sociale al mulino. i trattati-

Mola versatilis (ricostruzione): a. sezione deipalmenti; b. attività lavorativa nel cortile diuna villa rustica romana, in primo piano unamacina azionata da forza animale.

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sti, dal ‘500 al ‘700, ne sottolineanol’importanza e l’ampiezza: “Questacucina non vorrebbe meno di diecipassi per verso, accioché tutti atavola vi capino e non s’affollino edetta cucina abbia due finestre unadi qua e una di là”; “[...] gran cucinacon forno, focolare, pozzo eacquaio”. Essa era situata in posizione centra-le, spesso adiacente al locale molito-rio, e comunicante direttamentecon l’esterno attraverso il portico.Un altro importantissimo elementocompositivo del mulino era la corte,che aveva la sua matrice originarianell’azienda agricola lombarda o,molto più anticamente, nei siti pro-duttivi cistercensi, e che sarà ripresoanche nei primi opifici. La corte erauno spazio aperto interno (circon-dato dai vari corpi di fabbrica), diforma generalmente rettangolare oquadrata, funzionale allo svolgi-mento del ciclo produttivo. Essafungeva da disimpegno per i diversiedifici, ma svolgeva anche unimportante ruolo di socializzazione,sia per le persone che abitavano nelmulino, sia per chi vi si recava perfar macinare il proprio grano.Fino al XVI-XVII secolo la stalla, dimodeste dimensioni, e i fienili(sovrastanti questa) erano integratinell’edificio del mulino, mentre nelcorso del XVII secolo, furono posti,insieme alla cantina, in rustici sepa-rati, talvolta preceduti dal portico."Grande attenzione è prestata aipavimenti degli ambienti rustici e diservizio, per cui la cantina aveva il“suolo di gerone”, smalto di calce eghiaia, e la stalla il “viale di cotto”

quando ancora tutte le abitazioniavevano pavimenti di terra”. I primi ambienti ad essere pavimen-tati furono, comunque, quelli adibi-ti alla macinazione dei cereali.Nelle zone in cui la conformazionedel terreno lo consentiva, soprattut-to verso la pianura, erano frequenti imulini doppi (o appaiati), cioè costi-tuiti da due nuclei posti sulle duesponde della roggia (uno sull’isola) ecollegati tramite la ponticella.Questa soluzione consentiva disfruttare convenientemente ununico nervile, nel quale eranoimmerse le ruote idrauliche, in cor-sie parallele, a servizio di entrambi imulini. Spesso i due nuclei svolge-vano differenti funzioni: in un muli-no, ad esempio, si macinavanocereali, mentre nell’altro vi lavoravauna “folla”, oppure un torchio d’olioo una “pila” da riso.In alcuni casi, soprattutto in epochepiù remote, i mulini doppi eranocostituiti da due unità produttiveautonomamente organizzate: sortein tempi differenti, differenti eranoanche i proprietari, i conduttori eaddirittura i nomi. In seguito(dall’800), molti complessi di questotipo furono unificati sotto lo stessoproprietario, condotti dallo stessomugnaio e connotati con un unicotoponimo.Un’altra soluzione progettuale eracostituita dai mulini in cascata,impiantati nelle zone ricche di disli-velli naturali, in cui le ruote eranodisposte in serie, per salti successivi:la gora di scarico della ruota amonte formava la doccia di alimen-tazione della ruota successiva.

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I materiali impiegati nella costruzio-ne dei mulini erano quelli utilizzatiper tutti gli edifici rurali: secondo lapratica edilizia tradizionale (rurale)e i più collaudati sistemi artigianali,venivano utilizzati i materiali piùfacilmente e convenientementereperibili, che spesso era lo stessofiume a fornire. Non esiste, tuttavia,un’uniformità di pratica edilizia: laposizione degli insediamenti hainfatti determinato significative dif-ferenze. Nelle zone montane si tro-vano complessi realizzati per lo piùcon pietre e sassi dalla forma irrego-lare, legati da un impasto grezzo, avista o, talvolta, coperti da uno spes-so strato d’intonaco. Negli edificicostruiti in pianura compare più fre-quentemente il mattone, intonacatoo a vista. Tuttavia i due materiali - lapietra e il mattone - venivano quasisempre affiancati e integrati nellacostruzione dei mulini. Le struttureorizzontali (solai) erano originaria-mente realizzate con travi e impal-cati di legno. Dal XIX al XX secolo,con l’impianto nei mulini di mac-chinari sempre più complessi epesanti, le vecchie travi di legnofurono sostituite con profilati a dop-pio “T” di ferro. Le coperture aveva-no struttura di legno a due o piùfalde, rivestite con manto di pietre(nelle zone montane) o di coppi (inpianura), sostituiti in epoca recentecon tegole di tipo marsigliese.

“Millwright”: il costruttore di muliniIl costruttore di mulini era colui che,avendo dimestichezza con ogni spe-cie di lavoro artigianale e disponen-do di alcune conoscenze teoriche,

sapeva progettare, costruire e ripa-rare gli ingranaggi e le strutture pro-duttive del mulino. La professione del costruttore dimulini aveva origine da quella delcarpentiere. Infatti, fino alla secon-da metà del XVIII secolo, il legno eraancora la materia prima più impor-tante nella costruzione delle mac-chine. Una precisa definizione diquesta figura professionale è datadall’ingegnere inglese WilliamFairbairn (1861):“Il costruttore di mulini dei tempiandati era in certo senso il solo rap-presentante dell’arte di costruirmacchine; veniva considerato unaautorità per tutti i problemi relativiall’impiego del vento e dell’acqua,comunque venissero impiegatequeste forze nelle officine. Egli eral’ingegnere della regione in cui abi-tava: era una specie di factotum. [...] Come altri artigiani erranti, egliandava al mulino con il suo vecchiogrido “Pentole da aggiustare!” che inquesto caso si riferiva alle macchine.[...] In genere era un calcolatore per-fetto; aveva nozioni di geometria edi agrimensura. Spesso conoscevaanche le cose essenziali della mate-matica pratica. Era in grado di calco-lare la velocità, la resistenza e lapotenza delle macchine; sapeva ese-guire disegni in pianta ed in sezionee si intendeva di case, tubazioni efognature, che sapeva costruire inogni forma e in tutte le condizioniche gli si presentassero. Sapeva eri-gere ponti, costruire canali ed ese-guire molti generi di lavori, che sonoora compito degli ingegneri edili. Dital sorta erano gli uomini che pro-

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gettavano, e costruiva-no la maggior partedelle macchine nelnostro paese fino allametà o alla fine delsecolo scorso [XVIII]”.

Nel caso lombardo - edella Valle Olona in par-ticolare - la figura del“millwright” non haancora avuto una pecu-liare definizione. Nelleconcessioni rilasciatedai Regi GiudiciCommissari del FiumeOlona durante il ‘700(conservate pressol’Archivio storico delConsorzio del Fiume Olona), si facenno a un possibile costruttore dimulini. “Si concede licenza a qua-lunque Maestro di lavorare, ed acco-modare il Molino [...] sit[uato] soprail Fiume Olona nel Territorio di [...]facendovi intorno tutte quelle ripa-razioni vi saranno bisogno [...] o perfarvi intorno altre riparazioni, atte-sochè ai nervili, o soglie de’ Molini, ecapelli delle Chiuse de’ medesimiMolini, e soglie delle Bocche [...]”. Da questa formula traspare chiara-mente la figura di un artigiano ingrado di risolvere diversi problemiin relazione al corretto funziona-mento del mulino.Nonostante non sia pervenutoalcun nome, questa figura profes-sionale doveva sicuramente avereun certo rilievo e godere di un’altaconsiderazione, per le sue abilitàtecniche e progettuali. Il sapere dicui il costruttore di mulini era depo-

sitario non va, tuttavia, letto nelsenso di una progettazione innova-tiva, ma di “prudente applicazionedi capacità assodate dalla prassi tra-dizionale e ripetitiva”. Infatti, “cam-biamenti di ogni tipo, scientifica-mente determinati o no, non veni-vano adottati fino a quando la loroutilità non era stata provata pratica-mente”. Va ricordato, inoltre, che lamaggior parte dei mulini è ascrivibi-le alla secolare tradizione dell’edili-zia rurale, strutture rappresentativedi una pratica che soltanto verso lametà del XIX secolo subirà unprofondo mutamento.Tra ‘800 e ‘900, l’improvvisazione el’empirismo che avevano caratteriz-zato le prime fabbriche, edificate daicostruttori di mulini, fu scalzato dauna preparazione più specifica eappropriata all’impiego delle nuovetecnologie, caratteristica del tecnicospecializzato; figura che emerse con

Mulino Bosetti a Fagnano Olona (VA): piano terra, primo localemolitorio: macine da grano a palmenti di pietra.Foto Alessandro Zibetti, 1998

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l’istituzione in tutta Europa delleScuole superiori Politecniche.

Il mugnaioDal Medioevo - come si è visto - laproprietà dei mulini era concentrataesclusivamente nelle mani di pochisoggetti (signori ed enti monastici),che ne detenevano il diritto d’uso,che a causa della vastità dei propripossedimenti (latifondi) non pote-vano seguirne personalmente lesorti.La gestione diretta dei mulini,soprattutto se il proprietario nonrisiedeva in loco, veniva pertantodemandata a persone di sua fiducia,i “livellari”, che ne ricevevano il dirit-to, con tutte le attività connesse:“ottenere le relative licenze, pagare idiritti al proprietario, riscuotere ilcanone d’affitto dal mugnaio “con-duttore”, controllare che venisseeseguita la manutenzione straordi-naria”. Il livellario, essendo direttocontribuente alle spese e potendocontare su un periodo di gestionedell’immobile abbastanza lungo,era considerato alla stregua del pro-prietario. Questo diritto, come tutti idiritti feudali, era ereditario e venivamantenuto fino a che la successionedi sesso maschile era garantita. Generalmente, i livellari dei mulinine erano anche “conduttori”, cioèsvolgevano direttamente l’attività dimugnaio. Talvolta, invece, soprat-tutto se tenevano “a livello” diversimulini, li davano in affitto ad altriconduttori, o mugnai. Le “posses-sioni” dei mulini, che di normavenivano affittati con un contrattonovennale, comprendevano oltre

agli edifici un appezzamento di ter-reno che li circondava, ampio unadecina di ettari. [...] la campagna deimulini era [...] coltivata al fine dirispondere essenzialmente al fabbi-sogno delle famiglie che vi abitava-no, per cui vi era un’ampia diversifi-cazione di prodotti ma non certo ungrosso impegno agricolo, che siriflette anche nell’organizzazionedei nuclei edificati”.Il contratto in natura era la forma dipagamento più diffusa, a cui eralegato “un notevole numero di clau-sole relative ai frutti del soprasuolo,in particolare modo della foglia dimorone [gelso] sempre di dirittodominicale, e alla vendemmia cheviene sempre divisa a metà”. Potevano essere stipulati anchecontratti di natura mista (in denaroe in natura) oppure in denaro. Sitrattava comunque di contrattisenza scritture.“L’affitto aveva una durata di noveanni: i locatori s’impegnavano a ver-sare ogni anno 4 staia di frumento,10 di segale, 2 di avena, 2 di miglio e2 di grano saraceno, più un maialedel peso di 150 libbre; una clausolaspecificava il corrispettivo in denaro(6 soldi per libbra) nel caso che ilpeso del maiale fosse stato inferioreo superiore a quello stabilito. Inoltre, erano previste le “onoranze”:un paio di capponi e mezzo pannodi lino” [...]. I locatori prendevano inconsegna il mulino "corredato didue asini "bonis atque idoneis", diuna leviera e di sei gualchiere, es’impegnavano a restituirlo “potiusmelioratum quam deterioratum” ailocatari”.

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“Carlo Giuseppe Panesio che tienein affitto un mulino dal marcheseLuigi Biumi paga “d’annuo fittomoggie 4 frumento, 8 mistura, lire70, capponi 12, fasci 14 di fieno o 35denari e le riparazioni sono a suocarico”. “Giovanni Battista de Ponte che ha alivello due mulini, uno da Gio Portadi ben 6 ruote, per cui paga lire 285 eun altro dall’Abbazia della Cavedraper lire 34, soldi 7, denari 6”.

Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIXsecolo, i “livellari” (in certi casianche i “conduttori”), accumulandoa poco a poco ricchezza, riuscironoad affrancarsi dal rapporto di subal-ternità con i proprietari e riscattaro-no i mulini che gestivano, o in cuilavoravano. “Alcuni mulini, apparte-nenti in due-tre unità a un medesi-mo mugnaio mantengono inaltera-ta la proprietà per decine di anni, o avolte anche di più: si hanno così veree proprie “dinastie” di mugnai o dilivellari che si trasmettono per gene-razioni il diritto di esercitare l’atti-vità molitoria secondo una linea dicontinuità che attraversa tutto ilSettecento e talora parte del secolosuccessivo”.Anche l’attività di mugnaio vera epropria, come il diritto tenere “alivello” il mulino, era tramandata dapadre in figlio e, con il passare deltempo, i nomi dei mugnai divenne-ro costanti al punto da assumere lavalenza di toponimo per l’identifica-zione dei mulini.Era compito del mugnaio la curadell’edificio del mulino, della ruotaidraulica e delle opere di presa

(chiuse, roggia molinara, edificioidraulico). Doveva inoltre provvedere allamanutenzione delle macine, checonsisteva nell’arrotarle o scalpel-larle con un apposito martellettod’acciaio a doppia penna, mettendoin evidenza le scanalature sullesuperfici di macinazione.La figura del mugnaio e il suo ruolonella società rurale sono ben focaliz-zati da Carlo Ginzburg ne Il formag-gio e i vermi, nel quale racconta levicissitudini di un mugnaio friulanodel ‘500, Domenico Scandella dettoMenocchio, accusato e, in seguito,condannato al rogo per eresia dalSant’Uffizio di Portogruaro.Menocchio svolgeva prevalente-mente l’attività di mugnaio, tuttaviapraticava anche altri mestieri, tra cuiil muratore e il carpentiere. Sapendoleggere, scrivere e “far di conto”,aveva ricoperto più volte la carica di“camararo”, cioè di amministratoredella pieve di Montereale; era statoanche podestà del paese e delle“ville” circostanti; rappresentante -insieme ad altre tredici persone -della “vicinía” di Montereale, con ilcompito di eleggere i “responsabilidella redazione dell’estimo”. Menocchio veniva chiamato anchea svolgere il ruolo di stimatore nellecause tra proprietari e affittuari, efaceva da garante nei contratti fraquesti. Inoltre aveva fatto il maestrodi scuola, l’oste e il suonatore di chi-tarra alle feste.La posizione di questo mugnaio nelmicrocosmo sociale del suo paeseera dunque di un certo rilievo. Tanto dissimile non doveva, comun-

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que, essere la condizione di altrimugnai: molti sono gli elementiestensibili a tutta la categoria pro-fessionale.Tuttavia, “la secolare ostilità tra con-tadini e mugnai aveva consolidatoun’immagine del mugnaio furbo,ladro, imbroglione, destinato perdefinizione alle pene infernali. Èuno stereotipo negativo largamentetestimoniato da tradizioni popolari,leggende, proverbi, fiabe, novelle”. Bisogna anche aggiungere che tramugnai e feudatari locali, i qualidetenevano il privilegio di molitura,sussisteva un vincolo di dipendenzadiretta. Pertanto, la particolare con-dizione sociale ed economica deimugnai tendeva a isolarli dallacomunità in cui vivevano: la profes-sione che essi svolgevano li distin-gueva nettamente dalla massa ano-nima dei contadini, pur lavorandoanch’essi la terra.

“Nascere mugnaio” è una grandefortuna, come se il mulino, le espe-rienze e le capacità si trasmettesserosoprattutto per via biologica. E non è infrequente che un mugnaiolasci un testamento o un’eredità,indizio quest’ultimo di una condi-zione economica e sociale un po’particolare, non identificabile nécon le classi più elevate ma neppurecon i ceti più bassi, ai quali tuttaviasi avvicina, condividendone la con-dizione di lavoratore. Egli mantiene un certo tratto distin-tivo proprio perché dirige una mac-china automotrice che compie unservizio, socialmente rilevante, sottoil suo controllo”.

Il fatto che Menocchio fu ulterior-mente emarginato con l’accusa dieresia, come moltissimi altri mugnai- la cui presenza fu notevole nellesette ereticali medioevali, masoprattutto fra gli anabattisti - nondeve stupire:“Il mulino era un luogo d’incontri, dirapporti sociali, in un mondo preva-lentemente chiuso e statico. Un luogo di circolazione delle idee,anche come l’osteria e la bottega.Certo, tra i contadini che si accalca-vano alla porta del mulino, sul “ter-ren molle e ‘l fango, brutto / delpiscio delle mule del paese” [Andreada Bergamo] per far macinare il lorograno, si sarà parlato di tante cose eil mugnaio avrà detto la sua. [...] lestesse condizioni di lavoro facevanodei mugnai - analogamente a gliosti, ai tavernieri, agli artigiani itine-ranti - un gruppo professionale ten-denzialmente aperto alle nuove ideee propenso a diffonderle! Inoltre i mulini, generalmente fuoridall’abitato e lontani da sguardiindiscreti, erano adattissimi a ospi-tare raduni clandestini”.

La giornata del mugnaioLa giornata lavorativa iniziava alle 3-4 del mattino e, solitamente termi-nava alle 11-12 di sera. Durante laguerra, o quando c’era necessità simacinava ventiquattr’ore su venti-quattro. Occorreva macinare tutti igiorni: se si fermavano le macine per2-3 giorni, la farina “faceva le ragna-tele”. Il mulino funzionava tuttol’anno, ma il periodo in cui si lavora-va maggiormente era l’inverno.

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Per macinare 100 kg. di farina siimpiegava circa tre quarti d’ora oun’ora, in relazione alla qualità dellafarina (fine o grossa). In un giorno simacinavano 5-10 quintali di farina.Al sabato si pulivano le macchine ela domenica era giorno di riposo.

Il mulino come simboloNell’arco dei secoli, i mulini diven-nero tanto diffusi e importanti per lavita economica e sociale dellecomunità, al punto di acquistarevalenze simboliche e allegoriche,spesso contraddittorie.Nel Medioevo, al mulino furonoattribuiti caratteri negativi: “l’azionedella macina che lavora per ilmugnaio, con l’acqua e il vento, chesono forze della natura, e quindi diDio, assume significati che lascianoadito a strane spiegazioni. Che diredi un uomo [il mugnaio] che vendeil suo tempo in cambio di denaro,quando il tempo appartiene solo aDio? La Chiesa infatti vede spesso inlui il diavolo e il suo luogo sarà l’in-ferno, in cui non può mancare ilmugnaio ladro”. Va però ricordatoche proprio i monaci cistercensicontribuirono in modo massiccioalla diffusione del mulino, impie-gandolo nelle più svariate attività,con lo scopo di liberare il loro tempodalle attività materiali e dedicarsimaggiormente alla preghiera.In molte canzoni popolari, tuttavia,il mulino veniva descritto comeluogo d’incontro e di gioia, ilmugnaio e la mugnaia apparivanocome figure invidiate e corteggiate.Il mulino stesso divenne, in alcunicasi, simbolo della vita, in tutte le

sue accezioni: la festa, il matrimo-nio, la sessualità, l’utopia socialecontadina (“mulino di giustizia, dilibertà e uguaglianza”), ecc.; in altricasi esso apparve, insieme al suomugnaio, che ne deteneva i segretidel funzionamento, come simbolodella meccanica dell’universo. Nonostante l’associazione conun’immagine negativa, la Chiesautilizzò l’archetipo del mulino perrappresentare il divenire dell’AnticoTestamento nel Nuovo. Nel mulinomistico, Mosé a sinistra versa ilgrano (Antico Testamento) nella tra-moggia, mentre San Paolo a destraraccoglie la farina (NuovoTestamento). Del mulino mistico sidiffusero due varianti: il “mulino deipeccati", di origine mediterranea, eil "mulino dell’Eucarestia”, cono-sciuto soprattutto nell’Europa cen-trale e orientale.Nel “mulino dei peccati” l’animapentita veniva triturata e il peccato-re confessato veniva condotto allacomunione. Il “mulino dell’Eucarestia”, invece,raffigurava l’allegoria della transu-stanziazione. Era costruito dal PadreEterno, sostenuto dagli Evangelisti,che ne costituivano i quattro piloni,la ruota rappresentava gli Apostoli,la mola i Dottori della Chiesa e l’ac-qua lo Spirito Santo. La farina che neusciva si trasformava nel Cristo,sotto forma di ostie, raccolto daiSanti Gregorio, Agostino e Girolamo,che impartivano la comunione aifedeli. Il “mulino della giovinezza”era, invece "un mulino meravigliosoche trasforma mogli brutte, storte,bisbetiche in belle ragazze, dopo il

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dovuto pagamento s’intende [...]esso pare un prolungamento delmulino degli amori, ma anche tra-duzione profana del mulino misti-co”0. Ancora una volta, la figura delmugnaio assumeva valenze diaboli-che. Con il termine mulino di pre-ghiere si indica un manufatto diforma cilindrica o prismatica,imperniato su un asse, in grado diruotare a mano, oppure mediante laforza dell’acqua o del vento. Sullasuperficie laterale sono fissati rotolidi carta recanti formule e preghiere(o sono direttamente incise sul cilin-dro). Tale dispositivo è utilizzato nelbuddismo lamaistico (in tibetanokhorlo, in mongolo khordu), al finedi realizzare “una benefica diffusio-ne delle virtù insite nella formulastessa (frequentissima è la sacrosan-ta Om mani padme hum)”.È possibile scorgere la connessionedel mulino di preghiere con la“ruota della legge”, propria del bud-dismo primitivo.

Il Mulino di AmlodhiG. De Santillana e H. von Dechendutilizzano l’archetipo del mulinoper accomunare la categoria dei“messaggi” riguardanti il fenomenodella precessione degli equinozi,contenuti in diverse tradizioni mito-logiche.Nel mito scandinavo, Amlodhi pos-sedeva un mulino favoloso, dalla cuimacina uscivano oro, pace e abbon-danza. Questo mulino, dalle dimen-sioni ciclopiche, non poteva esseremosso dalla forza umana, pertantodel suo funzionamento furono inca-ricate due fanciulle giganti, Fenja e

Menja. Per motivi imprecisati, le due gigan-tesse furono costrette a lavorarvigiorno e notte, senza fermarsi: “Alla panca del mulino furono con-dotte, per avviare la pietra grigia; eglinon concesse loro né riposo népace, attento al cigolio del mulino.Il loro canto era un ululato, chedisperdeva il silenzio; “Abbassate la tramoggia e allentatele pietre!”“Eppure egli voleva che macinasse-ro ancora”.Quando tutti furono addormentati,Fenja e Menja, infuriate, comincia-rono a far girare il mulino a grandevelocità, finché i grossi supporti,

Mulino Bosetti a Fagnano Olona (VA): pianoterra, primo locale molitorio: macine da granocon tramoggia. Foto Alessandro Zibetti, 1998

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seppur fasciati di ferro, si spezzaro-no. Il mulino fu, in seguito, rubatoda un re del mare, Mysinger, e cari-cato con le due gigantesse sulla suanave. Questi ordinò a Fenja e Menja diriprendere a macinare, ma dallamacina usci soltanto sale. Esse con-tinuarono a macinare finché lanave, per l’eccessivo peso,sprofondò:“Or si son rotti i grandisupporti del mulinofasciati di ferro.la grande maniglia volò via,il telaio crollò”.

Posatosi sul fondo, il mulino conti-nuò a girare, macinando rocce esabbia. Formò così un vasto gorgo, ilMaelstrom.In questa leggenda - e in molte altresimili - De Santillana e von Dechend

identificano la rappresen-tazione mitica della pre-cessione degli equinozi:una visione della sferaceleste come un vasto ecomplicato congegnoche, come una ruota dimulino, una macina, o ungorgo, gira all’infinito. Isuoi movimenti sono cali-brati dal Sole, il qualesorge, nell’arco dell’anno,nelle varie costellazionidello zodiacali. I quattro punti chiavesono gli equinozi di pri-mavera (in cui il Sole entrain Pesci) e d’autunno(Sole in Vergine) i solstizid’inverno (Sole inSagittario) e d’estate (Sole

in Gemelli). Tuttavia, a causa dellaprecessione, questi punti subirannouno sfasamento: l’equinozio di pri-mavera passerà all’Acquario e quel-lo d’autunno al Leone; mentre il sol-stizio d’inverno passerà alloScorpione e quello d’estate al Toro.Nell’archetipo, l’asse del mulino(della ruota o della macina) - secon-do De Santillana e von Dechend - èassimilabile all’asse del mondo (axismundi) del pensiero scientificoantico: un asse che si prolunga finoal Polo Nord della sfera celeste (perl’osservatore posto nell’emisferoboreale).

“[Nel mito] è meglio non pensareall’asse in termini puramente anali-tici, una linea alla volta, e conside-rarlo invece un tutt’uno con la strut-tura avvolgente alla quale è collegato

Mulini galleggianti ancorati sotto gli archi di un ponte sulla Sennaa Parigi - da un manoscritto francese del 117.

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[...]. Come il raggio faa u t o m a t i c a m e n t epensare al cerchio, cosìl’asse deve evocare idue cerchi massimideterminati dallasuperficie della terra, icoluri equinoziale esolstiziale”.

“La rotazione dell’as-se polare non deveessere disgiunta daicerchi massimi che sispostano insieme adessa nel cielo: l’arma-tura viene immagina-ta come un tutt’unocon l’asse”.L’immagine che nerisulta - una strutturasferica, composta dadue cerchi interse-canti sospesi a unasse - va consideratacome uno “strumentoconcettuale” costrui-to per individuareappunto il fenomenodella precessioneequinoziale:“[...] ciò che viene segnalato è l’ar-matura di un’età del mondo, quellastessa macchina del cielo che giraper più di duemila anni e in cui ilsole sorge sempre negli stessi quat-tro punti cardinali per poi, lenta-mente, passare da quelle coordinatecelesti a quattro nuove costellazioniper i due millenni successivi.

Ecco perché il mulino si rompe sem-pre, perché in un modo o in un altro

i grandi supporti volano via, perché irivetti di ferro saltano, perché l’albe-ro si frantuma”.

Giovanna MartinoliAlessandro Zibetti

(Parte prima)

I M U L I N I D E L L A V A L L E O L O N A92

Schema di nervile per mulino doppio - da CONSORZIO DEL FIUMEOLONA, Le Bocche Privilegiate per rispetto ai progetti di introduzione dinuove acque in Olona, 1907.

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Viale Europa 59/A

21010 Cardano al Campo (Varese)

Telef. (0331) 261.755 - Telefax 261.41

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Con queste brevi note cheseguono al precedente arti-colo sulla rendita urbana e

lo sviluppo delle città, si vuoleportare gli operatori al convinci-mento che mentre in aree “nor-mali”, cioè non sottoposte a pres-sione di induzioni esterne, la ren-dita urbana rappresenta un pro-blema importante da affrontarecon sollecitudine, nell’area in-fluenzata dagli effetti indotti diMalpensa la questione non puònon essere affrontata subito, penanon uno sviluppo insoddisfacen-te, bensì lo sviluppo stesso e lariqualificazione delle città coin-volte.Il tema, come più volte accennatoè fondamentale per le sue implica-zioni sullo sviluppo e la ristruttu-razione qualificata della città o-dierna. Il plusvalore delle aree edegli immobili dismessi e/o fati-scenti condiziona lo sviluppo, masoprattutto condiziona negativa-mente le modalità della crescita; sipensi al risultato limitante degli

interventi di ristrutturazione edili-zia rispetto a quelli di ristruttura-zione urbanistica. Occorre comunque fare qualchepremessa.Ancorchè ineliminabile il plusva-lore immobiliare non deve esseretroppo demonizzato; esso rappre-senta infine la gratificazione senzala quale difficilmente gli operatoriprivati farebbero alcunchè per losviluppo edilizio delle città.Occorre solo trovare il giusto equi-librio tra le aspettative di profittodi singoli e le esigenze generalidella Comunità. Tuttavia oltre uncerto limite, e questo lo abbiamosuperato, le rendite diventanoostacoli insormontabili per lo svi-luppo. Non si può negare che larendita smodata sia l’effetto di unapianificazione sbagliata, sia nellaindividuazione dei fabbisogni chenella predisposizione delle capa-cità insediative reali. L’errore statutto nella disparità, spesso ma-croscopica tra capacità insediativateorica dei piani regolatori, come

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La città di Malpensa

Rendita Urbana:una questione

ormai ineludibile

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deve essere calcolata per legge, ecapacità insediativa reale, cioè laeffettiva quantità di abitanti inse-diabili.Si tende quasi sempre a sottosti-mare le previsioni in abitanti poi-chè é su queste che vengono cal-colati i fabbisogni di aree da vinco-lare e destinare ad attrezzaturecollettive. Il meccanismo di asse-gnazione del fabbisogno abitati-vo(un locale per abitante e 100metri cubi per locale) è di per sèpenalizzante se si pensa che ladotazione reale in atto nellaRegione é superiore a 1,5 vani perabitante.Alle già notevoli sfasature di ordi-ne tecnico si aggiungono strozza-ture d’altro tipo; molto spesso laprevisione e la volontà degli am-ministratori non collima coi pro-grammi dei singoli detentori diaree fabbricabili, programmi enfa-tizzati da eccessive aspettative otroppo dilazionati nel tempo.Anche le necessarie operazioni dipianificazione esecutiva, riman-dano nel tempo le attuazioni,giàostacolate a loro volta dalla com-presenza di protagonisti diversinello stesso ambito; inoltre la ten-denza a far coincidere l’attuatoredel piano col realizzatore delleopere edili, si costituisce come fat-tore monopolizzante e di ritardo.Il sostanziale fallimento dell’azio-ne pubblica mediante le acquisi-zioni a prezzo politico di aree peredilizia economica o convenzio-nata (PEEP), nonchè per areedestinate alla pro-duzione (PIP),impone il perseguimento di altre

vie più efficaci,l’uso di strumenti ilpiù possibile “automatici”, ancheper coinvolgere la totalità degliimmobili.Oggi nel territorio influenzato daMalpensa siamo di fronte ad unavera e propria scommessa.Da un lato un territorio mal cre-sciuto, un contenitore urbanotroppo vasto, bisognoso di conso-lidamento e riqualificazione.Dall’altro stanno emergendo con-tenuti sociali ed esigenze abitativee di strutture enormi.Solo se correttamente governati idue fenomeni porteranno ad unasintesi positiva e potranno diven-tare l’occasione di una ricostruzio-ne qualificata dei nostri borghi epiccole città. In più c’è l’esigenzadi preservare dall’edificazione learee agricole ormai residuali edincomprimibili per ovvie esigenzeambientali.La via è obbligata.Occorrono previsioni insediativein abitanti il più possibile reali ecommisurate alle ipotesi più esu-beranti:e per contenere l’uso disuolo occorre l’assegnazione divolumetrie più che generose,men-tre nelle modalità di sviluppooccorre privilegiare soprattutto gliinterventi di ristrutturazioneurbanistica dell’esistente.Il governo della crescita si dovràattuare sulla base della quantità diaree destinabili ad uno sviluppocosiddetto “compatibile”, piutto-sto che sulle soglie massime diabitanti.

Claudio Colombo

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Attorno alla metà dell’Otto-cento, in gran parte dell’lta-lia settentrionale, iniziò il

processo di industrializzazione,favorito non solo dalla crisi dell’a-gricoltura e dal conseguente esu-bero di mano d’opera, ma ancheda una classe dirigente dispostaad investire capitali in nuove ediverse attività.Il Gallaratese giocò un ruolo fon-damentale in questo processo ditrasformazione, grazie soprattuttoal suo settore predominante e trai-nante: quello tessile. La tessitura,infatti, che fino ad allora era consi-derata, nella maggioranza dei casi,un’attività complementare so-prattutto dell’attività agricola,un’attività cioè che serviva adarrotondare le scarse entrate,assunse in breve tempo, grazieall’intraprendenza di alcuni ope-ratori locali, un’importanza cheandò ben oltre i confini d’ltalia.Allo sviluppo industriale del Gal-laratese contribuì poi non poco lacostruzione della centrale idroe-lettrica di Vizzola Ticino, realizzataalla fine del secolo grazie a capita-li raccolti nelle nostre zone dallaSocietà Lombarda per la distribu-zione dell’energia elettrica nelGallaratese, costituitasi nel 1887

per lo sfruttamento delle forzeidrauliche del Ticino. L’impianto, il secondo realizzatoin Italia dopo quello di Tivoli ed ilpiù grande allora esistente inEuropa con i suoi 20.000 HP, fuinaugurato ufficialmente nel 1901dal Re arrivato a Gallarate in trenoe portato poi in carrozza a VizzolaTicino.Da quella centrale si diramaronoben presto le condutture elettricheche permisero il funzionamento dinuovi macchinari in sostituzionedei vecchi azionati a mano od avapore. L’industria locale potè cosìdecollare e fare del Gallaratese, permolti anni, uno dei poli produttivipiù famosi nel mondo.Anche Besnate svolse un ruolo pri-mario in questo processo di rivo-luzione industriale, grazie all’atti-vità di alcuni imprenditori, primofra tutti il Cav. Federico EnricoMylius. Non è possibile individua-re una data esatta di inizio dell’at-tività dell’opificio costruito dalCav. Federico Enrico Mylius. Sicuramente doveva essere giàattivo nel 1880, in quanto notizie,anche se vaghe, relative alla suacostruzione si riscontravano giàanni prima. Inoltre un primo edifi-cio risultava già inserito nelle

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Besnate:la Rivoluzione Industriale

tra l’800 e il ‘900

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mappe del Cessato Catasto del1885. L’attività svolta fu inizial-mente di tessitura, poi anche difilatura, e subito questa fabbricaassunse un ruolo primario nell’in-dustria cotoniera di allora.A dimostrazione dell’importanzadi questo opificio, quando nel1883 fu costituita a Milanol’Associazione Cotoniera e BorsaCotoni. Tra i nomi dei fondatori,riportati su “ll Sole”, compareanche quello di Federico EnricoMylius dell’omonima ditta diBesnate. Era quell’organismo unadelle prime forme di associazioni-smo industriale che portò ad unavantaggiosa e fattiva collaborazio-ne ed alla pubblicazione delListino Borsa dei Cotoni che servìad orientare gli operatori del set-tore Notizie abbastanza dettaglia-te su questo opificio ci pervengo-no dal “Piccolo Corriere”, unperiodico attivo dal 25 Febbraio1888 al 12 Settembre 1889, chepubblicò, dopo visite effettuatedirettamente dai propri cronisti aisingoli stabilimenti, diversi artico-li illustranti le principali industriedell’Alto Milanese. Lo stabilimen-to tessile di Besnate fu trovato nel1888 in fase di espansione e rinno-vamento. Vi erano occupate circa100 operaie addette a 132 telai. Erain fase di costruzione un altro opi-ficio di circa 1500 mq. dove avreb-bero operato ben 330 telai e 240operaie. Si producevano alloratessuti in cotone in genere e, fattosaliente ed innovativo, mentrenelle altre aziende si usavanomacchine azionate a vapore, qui

compariva l’uso dell’energia elet-trica, quindi ancor prima dellacostruzione della centrale idroe-lettrica di Vizzola Ticino. Questa energia era prodotta conl’aiuto di una macchina a vapore,e precisamente una locomotivacollocata nei sotterranei dell’opifi-cio: questa azionava una dinamoe l’energia da essa prodotta per-metteva il funzionamento dimotori collegati ad un sistema ditrasmissioni a cinghia che mette-vano in movimento i telai posti aipiani superiori. La locomotivaveniva alimentata a carbone; que-sto arrivava tramite ferrovia allavicina stazione e da qui venivaportato alla fabbrica con carri trai-nati da cavalli. L’energia elettricaqui prodotta serviva anche ad illu-minare parte delle vie del paese.La ditta era allora affidata ad undirettore, in quanto il proprietario,risiedendo a Milano, si limitava asaltuarie visite di controllo; occu-pava numerose maestranze e nonsolo di Besnate e ben presto fudotata di una struttura di servizi,per l’epoca, all’avanguardia: unasilo per i figli dei dipendenti,mensa e dormitori per gli operai,principalmente donne, che veni-vano dai paesi più lontani.Nell’opificio, attorno al 1905-1910,erano occupati ben 560 operaiaddetti ai vari reparti di filatura,ritorcitura e tessitura meccanica.Il 15 Aprile 1920 la ditta F.E. Myliuscedeva la proprietà dei suoi stabi-limenti di filatura e tessitura diBesnate, congiuntamente a quellidi Cogozzo V.T., alla ditta “Antonio

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Bernocchi & F.lli” di Legnano, che,nel 1921, prendeva la denomina-zione “Società Anonima Bernoc-chi”. Questa continuò l’attivitàdella precedente ditta ampliando ifabbricati e potenziando i macchi-nari. Ebbe il massimo svilupponegli anni Trenta. Poi, nel dopo-guerra, iniziò un lento ma inesora-bile declino che portò allo chiusu-ra dell’opificio.A conclusione di queste brevi notesull’inizio dell’attività industrialein Besnate, vorrei dire che, se laditta Mylius fu quella che portò lavera rivoluzione industriale ediede una svolta economica alpaese, un’altra azienda è degna diessere menzionata, anche se la suaattività non fu di lunga durata: la “Tessitura Cooperativa Operaia di

Besnate” costituitasi il 28 Aprile1907. Fu un’iniziativa di notevolerilevanza in quanto non solo sitrattava di uno dei primi esperi-menti produttivi cooperativisticisocialisti sorti in Italia, ma ancheperchè, fatto assolutamente inno-vativo per i tempi, la maggioranzadei membri del Consiglio d’Am-ministrazione, per statuto, dovevaessere composto da donne. Come si è detto, purtroppo, l’a-zienda ebbe breve vita; dopo alcu-ni anni l’opificio fu rilevato daldirettore tecnico Luigi Marcorache ne proseguì in proprio l’atti-vità.

Angelo Puricelli

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Cartolina degli anni ‘30 con rappresentati gli stabilimenti Bernocchi

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Nel 1799 Giovanni Battista Tosiiniziò con fiducia e coraggiogli esperimenti di bonifica

nella grande proprietà acquistata inbrughiera nel 1796. Come abbiamodetto, il nome di “Malpensa”, in ori-gine, apparteneva alla cascina alcentro dell'appezzamento, vennepoi esteso alle terre circostanti edinfine a tutta la zona. Occorre notareche la cascina Malpensa esisteva giàda qualche anno con tale nome,appartenente a quella stessa fami-glia Giudici dalla quale Tosi avevaacquistato le terre sulle quali avevaintrapreso i lavori di bonifica.Possiamo ipotizzare che uno deimotivi per cui i Giudici decisero lavendita fu proprio la scarsa redditi-vità del suolo e la “malpensata” diutilizzarlo a scopo agricolo. Taleappellativo era usato con una certafrequenza nell’alta Lombardia, veni-va assegnato tutte le volte che i risul-tati agricoli noncorrispondevano alle aspettative:cascine o località chiamate "Mal-pensa" o "Malpensata" sono riscon-trabili anche a Busto Arsizio,Mesenzana, Vercurago (BG).La cascina, che poi il Tosi organizzòed ampliò, esisteva già nel 1781,come prova una sentenza delSenato di Milano in data 11 Gen-

naio, riguardante Federico Uberti diOrta, condannato alla confisca deibeni ed al supplizio della ruota, “peraver ucciso Gerolamo Saporito dellaCassina Malpansa (sic), territorio diSomma, mediante colpo di schioppocarico di palla, con attentata ruberiadel denaro esistente presso il medesi-mo su la pubblica strada che dallabrughiera cardanasca conduce aquesto Borgo di Gallarate”. I lavori agricoli proseguirono all’ini-zio dell’Ottocento dai figli: Dott.Carlo e Canonico Luigi, con dissoda-mento dei terreni e formazione diampie strade di accesso, con grandeimpiego di manodopera ed inve-stendo un cospicuo capitale.Malgrado le difficoltà, i risultati furo-no spesso promettenti. Incontrarono ammirazione dei con-temporanei la coltivazione dei gelsi(piante di grande importanza perl’allevamento dei bachi e quindi perla produzione della seta), del grano,del granoturco, persino della vite,tanto che il Verri, in un suo articolodel 1810 parla di “ottimo vino”.L’acqua indispensabile alle colture,soprattutto in un territorio così per-meabile e perciò arido, era ottenutada un grande pozzo profondo 70 m. Il Canonico Luigi Tosi(1763-1845) èfamoso per essere stato legato da

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Quando alla Malpensa

non c’era l’aeroporto ...

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profonda amicizia con AlessandroManzoni. Quest’ultimo gli era statoaffidato, al rientro in Italia nel 1810,dall’Abate Degola, che ne avevacurato la conversione a Parigi. Il Tosiaveva assunto la direzione spiritualedell’illustre letterato, oltre che dellamoglie e della madre. Pare che ilManzoni fosse più volte ospite dellacascina; in essa discusse coi Tosi gliesperimenti di coltivazione del coto-ne; egli era infatti molto interessatodalla possibilità di utilizzare nuovimetodi agricoli e tentare produzioninon tradizionali.Interesse ed amicizia portarono iManzoni anche ad investire denaroin terreni e coltivazioni.Alla Malpensa gli esperimenti relati-vi al cotone durarono a lungo, con-seguendo anche risultati incorag-gianti, ma non tali da costituire unsicuro riferimento economico.Con la nomina di Luigi Tosi aVescovo di Pavia, avvenuta nel 1823,si affievolirono sia i contatti colManzoni, sia gli interessi relativi allecoltivazioni, tanto che nel 1838 le

proprietà vennero vendute al Sig.Luigi Cabiati e nel 1849 all’Avv. Rajadi Milano.Un’altra situazione era nel frattem-po intervenuta a condizionare l’uti-lizzo dell’area. Politicamente laLombardia faceva parte del RegnoLombardo-Veneto, strettamente di-pendente dall’Impero Austriaco. L’esercito austriaco considerò, findai primi anni di esistenza delRegno, l’importanza della fascia diterritorio che fiancheggiava il Ticino,quale possibile quadro di operazionimilitari in una non improbabileguerra col Piemonte dei Savoia.L’interesse strategico e la condizionedel territorio ne facevano il luogoideale per le esercitazioni militari,che in effetti cominciarono a svol-gersi in zona dal 1821 in poi. Abbiamo un documento interessan-te di tale impiego nella Cronaca diGallarate redatta dal macellaioGaetano Pasta in un linguaggioestremamente spontaneo, derivatodirettamente dal dialetto, che mo-difichiamo leggermente in alcuneparole per renderlo più comprensi-bile al lettore moderno “Anno 1831. Il giorno 17 Maggio hanno incomin-ciato a piantare N. 24 cassinotti nellabrughera vicino a Vizzola, e poco lon-tano dal Ticino, per alloggiare i sol-dati; i primi a venire sono stati i cac-ciatori del terzo battaglione, in segui-to sono venuti i Crovatti delReggimento Kaiser Valardini, poi iLinchistei e i Latermani Quandofurono sul punto di fare quella gran-de manovra che in seguito ne dove-vano fare N. 14, un Crovatto, nelmanovrare il proprio fucile, ha ucciso

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Resti della murata in pietra del pontemediante il quale la “Via ferrata di rimorchiodelle barche” attraversava l’attuale strada traSomma Lombardo e la Malpensa.

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un Tirolese; allora il Generale Ciccifece subito terminare la manovra, eha sospeso anche tutte quelle giàdestinate da fare, rimandando tuttial suo quarberé”.Col 1832 la decisione di trasferirenella zona della Malpensa il teatrodelle esercitazioni militari diventòdefinitiva, abbandonando la prece-dente area delle “groane” di Monza,destinate al rimboschimento.A queste esercitazioni partecipava-no soldati provenienti da ogni partedell’Impero, essi erano visti concuriosità ma anche con un po’ diapprensione dalla popolazione degliabitati circostanti.Leggiamo ancora dalle Cronache delPasta: “Anno 1832 nella brugheravicino alla Malpensa hanno piantatiN. 48 casotti per alloggiare i militari;il giorno 20 Maggio arrivarono aGallarate 200 crovatti del Reg-gimento Ottaciani, si sono fermatidue mesi e dieci giorni, e poi sonopartiti per la brughiera. I medesimisono ancora ritornati per dieci gior-ni, poi partirono tutti. Nel prato delBellora vicino al ponte che mette aCrenna vi era una meda di fieno permantenere tutta la cavalleria che sitrovava in contorno, la quale medaera lunga 50 passi e alta 20 braccia. Il giorno primo Settembre passò daGallarate un battaglione di cacciato-ri, provenienti da Tradate, ed anda-vano in Brughera, passarono anche ipontieni ed anche un altro battaglio-ne di cacciatori provenienti daVarese. Il giorno 3 vennero 200Ungheresi che si fermarono per 40giorni. Il giorno 17 passò un batta-glione del Reggimento Kaiser ed i

Bacconi, Italiani”...Il giorno 5 Ottobre tutte le truppe cheerano in contorno a Gallarate sonoandati in brughiera a fare una gran-de rivista, tutti in pieno rango, conbande e tamburini; vi era di ogni reg-gimento, cioé Croati di 3 Reg-gimen-ti, Kaiser Valardini, S. Giorgio,Agalini, Granatieri italiani, Bacconi,Kaiser, Richter, Linchistei, Later-mani, Ehinschin, Cacciatori Tirolesi,Cavalleria Ussara di due qualità,Dragoni 60 pezzi di cannoni, ottobande, sei Generali nonché Radetskied un Generale Piemontese con alcu-ni Capitani.Dopo la grande rivista hanno fattoun poco di manovre a fuoco; e poitutti i Generali Colonnelli, Maggioried altri si sono messi da parte e tutti isoldati che erano nel campo passaro-no loro davanti incolonnati a suonodi banda e con i tamburini, era assaibello da vedere, dopo sono andatitutti a casa, erano 34.000 uomini. Ilgiorno 11 Ottobre tutta la truppadoveva andare in brughiera, passatoSomma, per fare tre manovre in tregiorni consecutivi ed anche di notte,doveva essere una finta battaglia, maper una dirottissima pioggia dovette-ro retrocedere. Dopo tre giorni similiil Generale ordinò di retrocedere, nonpotendo fare nessuna manovra, il 13partirono per Montichiari dopo averstrappato tutti i casotti che erano inbrughiera. A Gallarate vi erano 40 e più presti-nai i quali facevano tutto il pane cheabbisognava per tutta la truppa, taliprestinai erano assai cattivi e spessofacevano baruffe; in Beccaria si

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macellavano 15, 16, 17 vitelli e 3-4manzi per ogni settimana”.Nella seconda metà dell’Ottocentola Cascina Malpensa era spessochiamata dal popolo “CascinaRadetzky” dal nome del GeneraleJohann Joseph Franz Karl Radetzky,Conte di Radetz, Comandante delletruppe austriache di stanza inLombardia tra il 1831 ed il 1948, poiCapo dell’Esercito austriaco durantela prima guerra di Indipendenza, edinfine Governatore Generale delLombardo Veneto dal 1849 al 1857. Si diceva infatti che la cascina erastata sede di Radetzky e del suo StatoMag-giore durante la decisiva batta-glia di Novara del 23 Marzo 1849. Inattesa di conoscere documenti atti aconfermare tali voci, possiamo rite-nere che il nome sia derivato dalfatto di aver ospitato il Generaledurante alcune delle numeroseesercitazioni svoltesi nelle vicinan-

ze. Nel 1851 fu lo stessoImperatore FrancescoGiuseppe a voler pre-senziare alle grandimanovre indette in suoonore, con la partecipa-zione di due corpi diarmata e grande impie-go di cavalleria. Le catti-ve condizioni atmosfe-riche condizionaronoancora una volta losvolgimento delle ope-razioni. Nel frattempocontinuava il lento svi-luppo dell’abitato diCase Nuove: esso avevaormai assunto la strut-tura di un piccolo paeseautonomo. Era costitui-

to da due raggruppamenti di fabbri-cati rurali, il nucleo maggiore posse-deva anche una chiesina, dedicata aS. Margherita, costruita nel 1779 suiniziativa dei Visconti, che vi aveva-no trasferito gli arredi appartenutialla demolita cappella di S.MariaLauretana di Somma. Le aree adibi-te a coltivazione di competenza del-l’abitato erano in diretto contattocon quelle della Malpensa, costi-tuendo un insieme di notevoleestensione. Nel 1858 una nuova ori-ginale iniziativa interessò il territoriodella Malpensa. Iniziò in tale annol’attività della “Via ferrata di rimor-chio delle barche” da Tornavento aSesto Calende. Lo scopo di taleopera era quello di assicurare il col-legamento mediante barche traMilano o Pavia, ed il bacino del LagoMaggiore, per il trasporto di passeg-geri e merci. I barconi, giunti a

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Case nuove ametà dell’Otto-cento. Nel nucleo abitatoprincipale si notano la chie-sina, il forno (F) elo stagno (S) chegarantiva unariserva d’acquaper usi agricoli.Ad occidente, pa-rallela alla stradaproveniente daSomma Lom-bardo, corre la“Via ferrata di ri-morchio dellebarche”.

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Tornavento provenienti dai Navigli,superavano il tratto che li separavada Sesto Calende, difficile da risalireper via d’acqua, mediante il trasferi-mento su carrelli mossi su rotaie daltraino dei cavalli, ricorrendo persinotalvolta all’aiuto della spinta delvento sulle vele. Infatti, mentre ladiscesa dei natanti avveniva rapida-mente, anche in meno di due ore,pur tra le difficoltà causate dallaforte corrente e dagli ostacoli natu-rali, la risalita era estremamentelenta e difficile, impiegando parec-chi giorni. Il tracciato della ferroviasuperava difficoltà non indifferenti,dovendo mantenere pendenze limi-tate nell’attraversamento di un terri-torio in alcuni tratti molto irregolare.Fu necessario perciò costruire opered’arte quali ponti e rilevati, le cuitracce sono ancora visibili. Un carroimpiegato su tale ferrovia è espostoal Museo Eu-ropeo Cagliari diRanco. L’iniziativa ebbe uno dei piùentusiasti fautori in Carlo Cattaneo,

aveva un riferimento in un simileintervento nello Stato americanodell’Ohio, e coinvolse forti investi-menti. Scriveva nel 1857 lo storicoCesare Cantù nella sua famosaopera “Grande illustrazione delLombardo-Veneto”: “Per la salita alcontrario le navi procedono a con-vogli (cobbie) di dieci o dodici unite,e tratte a rimorchio da cavalli, ev’impiegano più giorni. Onde toglie-re questa irregolarità si pensò deri-vare un canale diretto da SestoCalende, ma venne testè approvatauna strada ferrata a cavalli promossada Francesco Besozzi, mediante unasocietà anonima: opera già inoltrata,e che nel 1858 sarà a compimenta diquale vantaggio però non sarebbepel commercio una ferrovia da SestoCalende a Milano per Gallarate!”L’idea del traino a vento ed a cavalliappariva avveniristica ed economi-camente valida, non teneva peròconto delle grandi modifiche chestavano avvenendo nel campo deitrasporti, ma soprattutto in campopolitico: nel giro di pochi mesi, tra il1860 ed il 1861 la situazione cambiòrapidamente, con inevitabili riflessianche sul territorio della Malpensa:l’unità d’Italia divenne infatti unarealtà, il Ticino non era più confinedi Stato. Qualche anno più tardivenne realizzata anche la ferroviavagheggiata dal Cantù, il progressoavanzava, il tempo del vento e deicavalli stava finendo.

A.P. Guenzani

(Questa seconda parte è la continua-zione del trattato pubblicato sul N.33de “I Quaderni del Ticino”)

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La cascina Malpensa al centro delle aree coltivate e del relati-vo sistema viario, a metà dell’Ottocento.

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Questo articolo, corredato dialcune note redazionali indi-cate tra parentesi tonde è libe-

ramente tratto da uno studio fattodalla prof.ssa Costa Barbè Antoniapubblicato sul n.2 anno III -ottobre1996 della rivista della FondazioneAbbatia Sancte Marie de Mori-mundo (pag.57-64), che si ringraziaper aver concesso l’autorizzazionealla pubblicazione***.

Molti di noi ricorderanno il disastro-so terremoto del settembre 1997 diAssisi oppure quello accaduto nelmaggio 1975 nel Friuli, le cui scossefurono percepite sensibil-mente anche nella nostrazona.La Pianura Padana lom-barda attualmente è abasso rischio sismico manon è sempre stato così;infatti nel Medioevo laLombardia fu oggetto diun’attività sismica piùintensa.Abbiamo rare notizie inproposito e neppure sap-piamo quali danni furonoprovocati: allora non c’e-

rano la scala Mercalli o la scalaRichter e i metodi per la misurazio-ne della “magnitudo” erano un pòrudimentali. Diversi documentiattestano concordemente che nel-l’anno 1295 nell’Italia settentrionaleci furono terremoti di forte intensitàle cui scosse furono chiaramenteavvertite anche nel monastero deimonaci cistercensi di Morimondo.

Ci sembra utile delineare breve-mente alcuni avvenimenti piùimportanti di quello scorcio di finesecolo.Le repubbliche marinare di Genova

Anno Domini 1295:terremoto

a Morimondo

veduta di Morimondo

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I N O S T R I T E R R I T O R I106

e Venezia erano in lotta da anni per ilpredominio delle rotte commercialiverso l’Oriente, che avevano assuntouna maggiore importanza a seguitodelle Crociate e dei viaggi di MarcoPolo in Cina dal 1272 al 1292.Giotto aveva ricevuto l’incarico diaffrescare la Basilica Inferiore di SanFrancesco ad Assisi; nel 1293 Danteaveva composto la “Vita Nova”.Nel 1294, a seguito della rinuncia diPapa Celestino V, sul soglio pontifi-cio era salito Bonifacio VIII, che di lìa poco avrebbe indetto il PrimoGiubileo per l’anno 1300. Nel 1274 era morto San Tomasod’Aquino.I monaci di Morimondo dovetteroprovare un bello spavento e proba-bilmente temettero per la chiesa cheera quasi terminata ( i lavori inizia-rono nel 1182 e terminarono nel1296. L’avvenimento fu registrato daun monaco che fece le sue annota-zioni su un foglio di un codice cheattualmente è custodito presso laBiblioteca Nazionale di Parigi (foglio89 r del codice NOUV. ACQ. LAT.1400).Qui leggiamo alcune interessantinotizie (scritte con diversa calligra-fia ) tra cui la menzione di successi-vi terremoti.Si legge : “L’anno del SignoreMCCXCV (1295) in giorno di sabato,il terzo del mese di settembre, versol’ora nona ( ore 15 circa) ci fu un ter-remoto della durata di un Credo..”Nella “Storia di Milano” volume 1(Milano 1855) l’autore BernardinoCorio ricorda così lo stesso avveni-mento”.. nell’anno 1295, quando eraPretore di Milano Amighetto Tan-

gentino di Brescia, sotto il dominiodi Matteo Visconti... al terzo sabatodi settembre circa all’ora di nonatremò tutta la terra di Milano e con-tado”.Il Corio fece un errore di traduzioneche ha condizionato anche diverseopere successive. Egli ha tradotto“terzo sabato del mese di settembre”invece di “sabato, terzo giorno delmese di settembre”: in tal modo ladata fu spostata dal 3 al 17 settem-bre. La notizia di un terremoto avve-nuto alla stessa data è confermatadallo storico Giorgio Giulini in“Memorie spettanti alla storia diMilano” vol.IV (Milano 1855). Egliparlando del trattato di pace deiMilanesi con i Lodigiani e iCremaschi, riferisce che.. “l’allegrez-za di quel giorno fu turbata da unasensibile scossa di terremoto chefece traballare il suolo della città edella campagna milanese nel terzosabato di settembre. Si aggiunse unincendio riguardevole, per cui bru-ciò tutta la casa del comune delBroletto vecchio, dove abitavaMatteo Visconti..” ( pag.772).

Nel saggio di storia,geografia ebibliografia sismica “I terremotid’Italia (Torino 1901) del Baratta apagina 41 si dice..” Circa l’ora nonadel 17 settembre si sentirono dellefortissime scosse a Milano, che inBergamo incussero grandissimo ter-rore ed apportarono molti danni. Assai gagliardo fu pure a Como eprovincia.. fu sentito certamenteanche a Monza, ma la cronaca lodice avvenuto alle ore 9 dal 3 set-tembre..”

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Anche in quest’ultimo documentocompare la stessa ambiguità di data:fu il 3 o il 17 settembre?

Altre testimonianze confermanoche le medesime scosse di terremo-to furono avvertite anche a Verona enei territori d’oltralpe: ne parlano gli“Annales Colmarienses XIII- XIV” diColmar in Alsazia; gli “AnnalesHalesbrunnenses,XIV” (Heilsbronnpresso Norimberga) parlano di ungrande terremoto nell’anno 1295durante l’ottava di Sant’Agostinoverso mezzogiorno.Anche gli “Annales OsterhovensesXV” di Osterhofen in Bassa Bavieraparlano di un terremoto avvenutodurante l’ottava di Sant’Agostinonell’anno 1295.Se consideriamo che la festa liturgi-ca di Sant’Agostino ricorre il 28 ago-

sto la data più probabile quindisembra essere stata il 3 settembre. Si possono quindi fare due ipotesi:a) si è trattato del medesimo terre-moto del 3 settembre 1295b) oppure fu una serie di scossesismiche - “sciame” - durante laprima metà del mese di settembre.

Sempre dal medesimo “foglio 89 r”apprendiamo che avvennero dueterremoti anche nell’anno 1304.Il primo terremoto fu avvertito versola mezzanotte tra giovedì 23 evenerdì 24 ottobre: le scosse duraro-no più a lungo: quanto la recita del“Miserere” ( salmo 50).Non si conosce l’entità dei dannicausati; si sa che fu avvertito indiverse zone come scrive il Baratta(op.cit, p.44).. “23 ottobre 1304 sullamezzanotte del 22 ottobre a Parma edintorni.. a Piacenza e nella regioneEstense.. a Ferrara grandissimo ter-remoto..”

Dalla cronaca del monastero diMorimondo sappiamo infine che ilsecondo terremoto del 1304 avven-ne tra giovedì 17 e venerdì 18 dicem-bre verso mezzanotte: si avvertì unaforte scossa seguita per due ore daforti rombi “ factus fuit gravis et ter-ribilis valde terremotus cum ingentimugitu e rugitu,simili spatio II hora-rum”. Un’ultima breve notizia di ter-remoto indicata dal Codice è regi-strata verso mezzogiorno (ora sesta)di sabato 16 ottobre 1322.Questo terremoto però non trovariscontri in altri testi.

G.R.

Chiesa di Morimondo

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110L A V O R O

Forti perplessità sulla riforma dell’obbligo

A scuola per forza

I l nuovo anno scolastico, chesegna l’inizio della “rivoluzione”destinata ad innalzare l’obbligo

fino all’età di 18 anni, è ormai avvia-to a pieno ma ci sia permesso fareun passo indietro e recuperare i datistatistici relativi alla chiusura del-l’anno 1999-2000 per segnalare undato che induce ad alcune preoccu-pate riflessioni. Si tratta del numero elevato di boc-ciature registrate nella prima classedegli istituti superiori. Questo crediamo stia a significareche parecchi giovani, giunti al termi-ne della scuola media inferiore, siaccostano agli studi superiori conscarse motivazioni. Sono i ragazziche sono indirizzati per propensio-ne (o anche per necessità) ad inter-rompere gli studi e ad affrontare ilnon facile percorso di avviamentonel mondo del lavoro, ai quali peròviene imposto di rinviare la loroscelta, e rimanere più o meno “par-cheggiati” in un istituto superiore(senza contare i costi non indiffe-renti per le famiglie). L’innalzamento dell’obbligo scola-stico è una questione sulla quale piùdi una volta abbiamo espresso fortiperplessità. Non è, intendiamoci, una battagliadi retroguardia e lungi da noi l’idea

che occorra frenare la crescita cultu-rale della popolazione italiana. Èpiuttosto riconoscere la realtà dimolti giovani che manifestano atti-tudini al lavoro decisamente nonvalorizzate, incentivate, formate. Non valorizzate dalle famiglie che,influenzate da discutibili tendenze,sono convinte che indirizzare i figliverso professioni che vengono defi-nite “manuali” significhi declassar-ne le prospettive future. Non incen-tivate dai modelli che impongononell’immaginario comune (...sipensi ai messaggi che arrivano dallapubblicità) dove si favoleggianoimprobabili “professioni in carriera”e si dimenticano figure professiona-li molto rrichieste e, conseguente-mente, di concrete prospettive. Non formate dai rapporti incerti trascuola, istituzioni e mondo del lavo-ro, da cui una cronica incapacità dicomunicare e collaborare per unavalorizzazione dei giovani e un loroapproccio di conoscenza e di oppor-tunità con le centinaia di “mestieri”che il mercato chiede ed offre. Insomma la riforma si presenta conampie smagliature. Certo, non siparla più di “istruzione obbligatoria”ma di “obbligo formativo” per cui,dopo il compimento dei 15 anni unragazzo si trova di fronte tre strade:

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proseguire gli studi alivello superiore, fre-quentare corsi di for-mazione professio-nale regionali oppureessere assunto conun contratto di ap-prendistato (caratte-rizzato dall’alternan-za formazione-lavo-ro) o con uno delladurata formativa di240 ore. L’impressione è che aquesto punto ci sitrovi di fronte unvero e proprio “salto nel vuoto”.L’allestimento formativo, incluso nelfarraginoso sistema dei cosiddetti“crediti formativi”, è ancora incom-pleto. Gli stessi enti locali rilevanocome manchi una mappa reale delleopprotunità a disposizione dei gio-vani in quanto è vero che esistonocorsi di formazione professionalema coprono solo un piccolo seg-mento di mestieri. La riforma dellascuola deve invece armonizzarsicon quella della formazione profes-sionale e intraprendere una “terzavia” rappresentata dall’inserimentodiretto dell’apprendista nel mondodel lavoro, in una bottega, in unlaboratorio, con il titolare a fare damaestro all’allievo. Da qui l’ideadella “bottega scuola” che la nostraorganizzazione sostiene e pratica inquesti anni. Temiamo, con una certapreoccupazione, che si stia aprendouna fase confusa dove chi non pro-seguirà negli studi superiori finirà inun imbuto e, per adempiere all’ob-bligo, sarà costretto a frequentare

corsi non rispondenti alla sua voca-zione di creatività e manualità oaddirittura “fuori dal mercato dellefigure professionali”. L’obbligo for-mativo escluderà quindi l’esperien-za diretta nella bottega o nell’offici-na per riproporre ancora le pareti diun’aula scolastica ad offrire unbagaglio nozionistico e puramenteteorico destinato a sfumare in brevetempo. Siamo convinti che non cisia sistema peggiore per ignorareattitudini e creare inquietanti sac-che di disagio e disoccupazione chetener lontano i ragazzi dalla cono-scenza e dalla materiale consapevo-lezza di ciò che potrebbe fare con leloro mani, con l’ingegno, la tenacia,la passione. Un sistema scolasticoche si convince della sua efficaciasolo perché aumenta l’età scolaresenza preoccuparsi di costruiresecondo le propensioni e le capacitàreali dei ragazzi non ci sembra onoriil suo ruolo educativo e di crescitadella società.

Gabriele LanfrediniSegr. Generale dell’Unione Artigiani della Pr. di Milano

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Il Rotary Club di Magenta, stapredisponendo l’organizza-zione di un’iniziativa a carat-

tere artistico-culturale. Si tratta sicuramente di unamanifestazione degna di nota,che dimostra ancora una volta,quanto l’area del magentino siaattenta e sensibile, rispetto allosviluppo e allo studio di talitematiche. L’occasione, è stata propiziatadalla recente riapertura al pub-blico del Coro della Chiesa diSan Francesco in Arezzo, dovesono visibili e si possono ammi-rare in tutta la loro grandezzafinalmente restaurati, gli affire-schi di Piero Della Francesca de“La leggenda della Croce”. Nella basilica aretina, trovanospazio alcune tra le opere piùbelle al mondo realizzate dal-l’artista toscano. Il viaggio nellaterra di Piero Della Francesca,che toccherà le città d’Arezzo,Cortona e i borghi di Monter-chi, Anghieri e San Sepolcro,luoghi dove sopravvivono in-tatti alcuni dei suoi dipinti più

celebri, offre a tutti i magentinie non solo, l’opportunità di farrivivere l’arte di un grande delquattrocento, purtuttavia nellediverse epoche a torto, nonsempre sufficientemente valo-rizzata. A tuttoggi comunque, lasua pittura spaziosa e monu-mentale, e impassibilmente ra-zionale, rappresenta uno deiraggiungimenti più alti degliideali artistici del primo Ri-nascimento, un’età nella quale,arte e scienza erano unite davincoli profondi. Come il grande Leonardo, an-che Piero fu un grande speri-mentatore, grande maestro del-l’affresco, venne definito da unsuo contemporaneo, nonchéconcittadino, Luca Paccioli(1494), “Il Monarca della Pit-tura”.Poco dopo la morte, occorsa il12 ottobre del 1492, in quel diBorgo San Sepolcro, suo paesenatio, la sua opera venne benpresto dimenticata e solo Gior-gio Vasari nelle due edizionidelle sue “Vite” (1550; 1568), gli

Percorso artistico

Sulle tracce di Piero della Francesca

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dedicò un breve profilo. Ma leopere del maestro di SanSepolcro, erano immancabil-mente destinate a nuova gloria,tanto che nel settecento e nel-l’ottocento i “pre-raffaelliti” tor-neranno ad ammirare e ap-prezzare la tecnica di PieroDella Francesca. Tuttavia, saranno gli studi con-dotti nel secolo appena conclu-sosi, a far riacquistare all’artista

del quattrocento, quel ruolo diprima grandezza, che gli com-pete a pieni titoli, nello sviluppodella pittura moderna italiana.

Fabrizio Valenti

La

Resurrezione

(affresco)

Borgo San

Sepolcro,

Pinacoteca

Comunale

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C U L T U R A D E L T I C I N O116

Le tavole del Bergognone dalMuseo diocesano ad un’altraimportante mostra: “IL CINQUE-CENTO LOMBARDO. DA LEO-NARDO A CARAVAGGIO. “

Le due tavole di AmbrogioBergognone della Chiesadell’Assunta e attualmentealla mostra “Splendori al

Museo Diocesano - arte Ambro-siana da IV al XIX secolo” negliantichi chiostri di Sant’Eustorgio,andranno ad un’altra importantemostra, in Palazzo Reale: “IlCinquecento lombardo. DaLeonardo a Caravaggio”- dal 3ottobre al 25 febbraio- CatalogoSkira editore. La manifestazione è promossa dalComune di Milano e dallaSoprintendenza di Brera ed ècurata dal prof. Flavio Caroli.Le tavole magentine, dal 13 aprileesposte al museo Diocesano,sarebbero dovute rientrare il 29ottobre. Sono state invece richie-ste dai curatori della nuova mostraa Don Fausto Giacobbe, che hacortesemente acconsentito al

nuovo prestito.La mostra si inaugura il 3 ottobreed esporrà riproduzioni fotografi-che delle opere fino al 29 ottobre(data di chiusura della mostra aldiocesano); il giorno successivo letavole verranno trasportate dauna ditta specializzata a PalazzoReale insieme a capolavori diLeonardo, di Bramante,Bartolomeo Suardi detto ilBramantino, Bernardino Luini,Simone Peterzano (maestro diCaravaggio ) e di Caravaggio.L’esposizione attuale al MuseoDiocesano e l’inserimento delleopere nel catalogo della Electa evi-denzia che i due dipinti magentinipossano avere un’origine comunea due dipinti dello stesso autoreconservati alla National Gallery diLondra: una “Orazione nell’orto” euna “Salita al Calvario”. Nadia Righi, storica dell’arte, cheha una conoscenza diretta delleopere della Galleria londinese,nella scheda del catalogo ravvisacon rigore scientifico una serie dianalogie.Le opere magentine, inediteprima del restauro scientifico, cheho avuto l’onore di eseguire nel

Chiesa di Santa Maria Assunta,

Magenta

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1996 e finanziato dal Rotary clubdi Magenta, sono racchiuse nellachiesa di S. Maria Assunta deiPadri Celestini di Magenta.Il polittico dove sono inserite ècollocato nella cappella di SanGiuseppe (la terza a sinistra perchi entra). Le tavole sono stateadattate al complesso cinquecen-tesco in un momento successivo,probabilmente nella seconda me-

tà dell’Ottocento, in seguito ad unintervento di restauro.Il “Cristo flagellato” reca in basso adestra la data 1501, periodo diprofonda religiosità dell’artista,che si esprime pienamente nelladolorosa e commovente umanitàdel “Ecce Homo”. Gesù è raffigura-to seduto su un basamento dimarmo, il suo collo e le mani sonolegati da un unico cappio connodo scorsoio al collo. Fra le mani, invece della vergaaurea - simbolo dei re - gli è statamessa una canna di bambù spez-zata. Il rosso porpora della tunica èottenuto attraverso velature dilacca di robbia. L’intensità vibran-te e trasparente di questo partico-lare rosso è una preziosità croma-tica che contraddistingue la suatecnica pittorica.Per i paesaggi alle spalle di Gesù ilprof. Ambrogio Cislaghi proponela seguente lettura che condividopienamente: dietro l”’Ecce Homo”vi è raffigurata una scena di mieti-tura - battitura del grano, control-lata da un armigero a cavallo (enon si può trascurare il riferimen-to al sacrificio eucaristico)Dietro il “Cristo flagellato”, invece,I’allusione architettonica a unacorte nobile porticata farebbe rife-rimento al cortile del Tempio (oltrei portici di questo cortile si intrave-de un pinnacolo del Tempio stessoinsieme ad una costruzione mili-tar-civile identificabile con la torreAnionia). Sulle pareti del portico cisono delle raffigurazioni pittori-che che alludono a una seduta di

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una qualche corte (nell’ordine, diGesù davanti a diverse corti lanotte dell’arresto: il Sinedrio, lacorte di Erode, il Pretorio diPilato), mentre nel cortile si vedo-no personaggi reali con maschera,- simbolo d’inganno e falsità oltreche presagio di tragedia - ( il tradi-mento di Pietro?).In queste opere il Bergognone è

al culmine della sua maturitàartistica. L’impianto iconografico mostra laconoscenza diretta delle opere diLeonardo (La Vergine delle roccie)e Bramante (Cristo alla colonna),coniugata ad una ricerca di reali-smo umano e intimo, che qui sirealizza anche attraverso il contra-sto tra interno meditativo inpenombra del portico e lumino-sità degli sfondi, prepotentemen-te in contrapposizione.Questa nuova mostra costituisceun ulteriore riconoscimento del-l’importanza di queste opere nelpanorama dell’arte del Rinasci-mento lombardo.

Carmelo Lo Sardo*

*(Il Prof. Carmelo Lo Sardo è uno spe-cialista per la conservazione ed ilrestauro di dipinti).

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BILANCIO DI UN ANNO

Sono trascorsi un anno e pochimesi dalla nomina di UmbertoMaerna, ingegnere magentino

schierato da anni (prima nel Msi, poiin An) sulla ‘riva destra’ dello schie-ramento politico, ad assessore pro-vinciale all’Agricoltura, Parchi,Protezione Civile ed Edilizia Varia. La vittoria di Ombretta Colli e delPolo fu clamorosa, quasi roccambo-lesca: il centro destra issò la sua ban-diera su palazzo Isimbardi-sededella Provincia di Milano- per unamanciata di voti su Livio Tamberi, ilpredecessore della signora Gaberpartito coi favori del pronostico. Inquesti mesi l’attività dell’Ente è statadavvero intensa, anche perché laProvincia è al centro di un radicaleprocesso di trasformazione dovutoal passaggio di competenze. Sino adoggi, senza neppure un frangente dipausa, Umberto Maerna si è perciòcalato nel suo ruolo di amministra-tore di un comparto (quello agricoloed ambientale) alquanto delicato.Anzitutto una considerazioneimportante: a palazzo Isimbardi eramancato, per tutti i cinque annidella giunta Tamberi, un esponentedel nostro territorio: va accolta per-ciò con grande favore-di là daglischieramenti politici- la possibilità

di poter tornare a contare su degliesponenti del vasto comprensoriomagentino-abbbiatense castanese.Il metodo adottato da Maerna si èbasato sull’acquisizione delle neces-sarie competenze tecniche, maidisgiunte tuttavia da un colloquiofitto, serrato e continuo con gli espo-nenti delle associazioni di categoriache rappresentano il settore. Perpoter esercitare un forte ruolo diguida e di coordinamento la stradaintrapresa è quella del rafforzamen-to delle realtà intermedie territoriali:ecco perciò, esempio concreto, ilsostegno alle tante fiere zootecni-che-Abbiategrasso, Inveruno, Al-biate, Cesate e Lentate sul Seveso-

Umberto Maerna: un magentino in Provincia

UmbertoMaerna

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che testimoniano la volontà di rin-novarsi nella tradizione. L’assessorato ha inoltre già predi-sposto un piano organico di educa-zione alimentare in tutte le scuoledel territorio: un contatto tra le folteschiere di studenti e un team dinutrizionisti, tecnologi alimentari edietologi. Gli impegni più gravosi,com’è facile intuire, riguardano peròla gestione dei parchi e il processoradicale di cambiamento dell’agri-coltura: vediamo quali sono gliobiettivi che Maerna intende conse-guire nel breve termine.

PARCHIConiugare esigenze di tutelaambientale e di sviluppo è la primanecessità di una politica dei parchi,strettamente legata alla fermavolontà di recupero e tutela del terri-torio attraverso lo sviluppo di atti-vità agricole e terziarie connessecon quelle agricole (agriturismo eturismo rurale in primis). Un puntofermo vuole essere la riconsegna aicittadini delle aree urbane noncostruite o degradate con azioni dibonifica e attrezzatura a verde: crea-re polmoni di pace laddove lo svi-luppo, pensiamo soprattutto all’hin-terland milanese, è stato più aggres-sivo e massiccio. La tutela dei Parchiregionali e locali di interesse sovra-comunale sarà attuata attraverso ilrestauro ambientale, un confrontoserrato coi Consorzi, la massimafruibilità dei Parchi e delle areeverdi.

AGRICOLTURAIl momento attuale è caratterizzato,

in campo agricolo, da una fortetransizione. Gli effetti della LeggeRegionale 11/98, che ha deciso i tra-sferimenti di competenza allaProvincia, si completerà proprioentro la fine del 2000. Posto che l’a-gricoltura provinciale milanese sicaratterizza per alti livelli d’innova-zione tecnologica, e che l’area mila-nese si sta confermando sede di unnuovo rapporto tra città e campa-gna, l’assessorato di UmbertoMaerna si è posto sin da subito l’o-biettivo di snellire le procedure chehanno dato troppa rigidità allaspesa pubblica, ma anche quello ditutelare l’agricoltura biologica, svi-luppare la qualità dei prodotti e stu-diare un giusto rapporto tra la rura-lità del territorio e la successivaurbanizzazione. Il solco è stato dun-que tracciato, ora si tratta più chemai di raccogliere i frutti di un’azio-ne politica ed amministrativa chevuole andare lontano conservandonel contempo radici antiche (quel‘primato’ della politica così ingiusta-mente vilipeso nel recente passato).

POLITICAMENTE“L’azione di profondo rinnovamentoperseguita dalla giunta Colli e da tuttoil Polo-sottolinea Maerna evidenzian-do il dato prettamente politico diquesti mesi d’amministrazione- stadando i primi frutti. La strada intra-presa porterà all’assunzione, da partedella Provincia, di un ruolo da prota-gonista: valorizzazione delle realtàlocali e confronto diretto con tutti inostri interlocutori sono i mezzi perraggiungere questo obiettivo”

Fabrizio B. Provera

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