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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS Parco Ticino

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Chiara Dionisi, Gioia Gibelli

I PARCHI DEL XXI SECOLO

OPPORTUNITÀ E NUOVI RUOLI

I PARCHI DEL XXI SECOLO

PAPERS

Parco Ticino

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I PARCHI DEL XXI SECOLO

Parco Ticino

I PARCHI DEL XXI SECOLO

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SOMMARIO

1. I PARCHI PER UNO SVILUPPO FONDATO SUI PATRIMONI NATURALI E CULTURALI Luciano Lussignoli – Istituto Nazionale Urbanistica (INU) ..................................9

2. CONSERVAZIONE, GESTIONE E MONITORAGGIO DELLA FAUNA SELVATICA NELLE AREE PROTETTE; QUALI SFIDE PER IL XXI SECOLO? Piero Genovesi – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ........................................................................................................ 15

3. ACQUA E SISTEMI FLUVIALI: DA PROBLEMA A RISORSA Gianfranco Becciu – Politecnico di Milano ........................................................... 25 4. L’AGRICOLTURA DEL TERZO MILLENNIO Stefano Bocchi – Università degli Studi di Milano ............................................... 33

5. I SERVIZI ECOSISTEMICI E LA LORO VALUTAZIONE: RUOLO E IMPORTANZA PER I PARCHI Riccardo Santolini – UNIURB ........................................................................................ 41

6. LA PARTECIPAZIONE NELLE POLITICHE E NELLA GESTIONE DEI PARCHI DEL XXI SECOLO Mario Sartori - RETE CIVICA MILANESE ................................................................... 51

7. PARCHI LUOGHI DI ECCELLENZA E SPERIMENTAZIONE PER NUOVI MODELLI ECONOMICI: LE ECONOMIE CIRCOLARI Marco Frey - SCUOLA SUPERIORE SANT’ANNA .................................................... 61

8. COSTRUIRE INNOVAZIONE ALL’INTERNO DELLE PA Paolo Lassini – UNIMI ......................................................................................................... 73

9. CATSKILL MOUNTAIN: UNA LEZIONE PER IL XXI SECOLO Kevin Bone - COOPER UNION ..................................................................................... 81

10. VICTORIA GASTEIZ: L’ANELLO VERDE Luis Andres Orive – CEA ................................................................................................ 89

11. CLA BIOFILIA E IL RUOLO DEI PARCHI NELLA FORMAZIONE DELLA PERSONA Giuseppe Barbiero - UDVA .......................................................................................... 95

12. AREE PROTETTE E STRATEGIE DI LUNGO TERMINE PER LA CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ Dario Furlanetto – Parco Adamello .........................................................................101

COME LEGGERE QUESTO VOLUME

Il quaderno è costituito da due parti. Dovrebbero essere un fronte e un retro.In realtà si tratta di due pubblicazioni in una, entrambe di pari importanza.

Non c’è un prima o un dopo, non c’è un fronte o un retro.

Si può iniziare a leggere da una parte o dall’altra, si può anche saltare di qua e di là, a preferenza.L’importante è sapere che da qualunque parte si prenda in mano, per leggere l’altra parte bisogna capovolgerlo, come una clessidra.

Una clessidra con poca sabbia, perché poco è il tempo che serve per leggere il quaderno.

Una clessidra con poca sabbia, perché le sfide che i Parchi hanno davanti vanno affrontate subito.

Buona lettura.

PER SAPERNE DI PIÙ

CAPOVOLGIIL QUADERNO

© Parco Lombardo Valle del Ticinowww.parcoticino.it

ISBN 978-88-904785-5-0

Realizzazione: Casa editrice Edinat - Edizioni di Natura - www.edinat.itStampa Imprimart, DesioFinito di stampare nel mese di giugno 2018

PremessaIl Parco Lombardo della Valle del Ticino ha invitato esperti provenienti da diversi settori disciplinari a discutere sui nuovi ruoli e sui valori che i Parchi rappresentano oggi e potranno rappresentare nel prossimo futuro.

Una prima giornata di riflessione sul tema si è svolta il giorno 15 giugno 2016 e sono seguiti poi molti altri appuntamenti che hanno portato ognuno il suo contributo a questo quaderno.

È stato un impegno importante per ripensare il ruolo dei Parchi, in questo momento che vede l’inizio di una fase nuova: i presupposti su cui erano stati fondati i Parchi nella seconda metà del XX secolo sono mutati ed è necessario affrontare le criticità del nuovo secolo. La crisi ambientale, da una parte, ne enfatizza il ruolo, la crisi economica ne limita le risorse, la crisi sociale crea difficoltà a discernere le opportunità che i Parchi possono offrire…

Quali le strategie da mettere in campo per cogliere le opportunità?

Con il contributo di:

Parco Ticino

Hanno partecipato:

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Inizio ad affrontare questo tema ponendo e ponendomi tre domande:

1) Ha ancora senso oggi occuparsi di aree regionali protette in una società che ha sdoganato i temi dell’ambiente?2) Tutela e sviluppo rappresentano ancora una dicotomia? 3) Come rinnovare gli strumenti culturali, disciplinari e di governo?

La situazione all’inizio degli anni Ottanta, dopo trent’anni di urbaniz-zazione dilagante che aveva segnato in modo irreversibile significative parti del territorio lombardo, spinse la Regione, dopo una forte azione di convin-cimento anche sui territori, ad approvare il “Piano Regionale delle aree re-gionali protette”1. L’urbanizzazione in quegli anni vedeva a ovest due grandi conurbazioni (Milano e Saronno/Gallarate/Varese) e verso est uno sviluppo più lineare indicativamente lungo il percorso dell’autostrada A4, con adden-samenti all’imbocco delle valli principali (Bergamo e Brescia).

La situazione a oggi: trent’anni dopo la situazione non è cambiata. Il consumo di suolo regionale continua a ritmo di 21.350.000 mq all’anno, che significa che si costruisce una città delle dimensioni di Brescia ogni due anni. Il 12% di questo suolo consumato annualmente è all’interno dei Parchi.

Resta quindi la necessità di tutela specifica: occuparsi dei beni naturali e culturali, con enti e strumenti specifici, è ad oggi ancora necessario. Ed è necessario occuparsi non solo dei singoli beni, ma del loro insieme come sono ambiente e paesaggio. Intendendo con ambiente e paesaggio la ric-chezza e la complessità dei contenuti e delle relazioni sottese ai singoli beni.

1. PREMESSA

Luciano Lussignoli – INU (Istituto Nazionale Urbanistica)

1. PARCHI PER UNO SVILUPPO FONDATO SUI PATRIMONI NATURALI E CULTURALI

1 Più precisamente: LEGGE REGIONALE 30 novembre 1983, N. 86. “Piano regionale delle aree regionali protette. Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale”N

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La città di Pavia e i suoi ponti sul Ticino.

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Figura 1 – Conurbazioni e sviluppo lineare.

È necessario, quindi, dotarsi di una rinnovata capacità di lettura dei fenome-ni e degli effetti da questi determinati, una capacità cognitiva e una sensi-bilità percettiva che consentano di cogliere il valore dell’insieme, invece che dei singoli componenti.

La seconda questione riguarda la presunta dicotomia tra tutela e sviluppo.

È necessario porre alcune premesse normative. L’articolo nove della Costituzione2 e la Convenzione Europea del Paesaggio3 ci impegnano a supe-rare definitivamente questa dicotomia. Non si tratta di un punto di vista, ma di un dovere civile per il quale ci siamo impegnati come cittadini e come Pae-se, scrivendo il primo e sottoscrivendo il secondo. Nel porsi queste domande viene spontaneo porsi un dubbio, se sia preferibile la quantità o qualità di quanto si protegge. Edoardo Salzano affermava nel 1991 che “La protezione delle risorse ambientali sarà la precondizione di base per una sana crescita economica”4. Questa affermazione costituiva un ribaltamento non solo della prassi fino ad allora praticata, ma anche delle concezioni e delle logiche che governavano gli usi del territorio. Dopo venticinque anni, durante i quali si sono avvicendate diverse stagioni “pervase da un sole apparente” sostenuto dalla monetizzazione del territorio, nelle quali sono state messe in atto con-traddittorie politiche nel rapporto ambiente/sviluppo, ci si trova oggi in una situazione di crisi economica che ha moltiplicato le minacce nei confronti

2 “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”3 La Convenzione europea del paesaggio è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 19 luglio 2000 ed è stata aperta alla firma degli Stati membri dell’organizzazione a Firenze il 20 ottobre 20004 Edoardo Salzano, convegno “La città sostenibile”, Venezia, 4-5 ottobre 19915 L’art. 1 della l.r. 86/83 il piano generale delle aree regionali protette nasce “Ai fini della conservazione, del recupero e della valorizzazione dei beni naturali e ambientali del territorio della Lombardia, tenuto conto degli interessi locali in materia di sviluppo economico e sociale”

delle risorse naturali viste come ostacolo allo sviluppo. Infine è necessario interrogarsi su cosa fondare nuove prassi. Muovendo dalla consapevolezza che senza tutela e valorizzazione della qualità del territorio non c’è svilup-po della società5; ricordando che nel nostro paese la varietà fisiografica e la stratificazione storica ci hanno restituito non solo un patrimonio di grande bellezza, ma anche di grande valore economico e non solo sotto l’aspetto turistico; che non c’è automatismo fra il termine sviluppo e il termine cre-scita soprattutto se intesa in termini puramente quantitativi, al contrario “in molte situazioni lo sviluppo comporta oggi che non vi sia crescita di alcune tradizionali grandezze economiche”; che sempre più lo sviluppo è connesso alla qualità“ come qualcosa che esprime il valore che un luogo, una città, assumono per il modo in cui storia e natura, nel passato e nel presente, han-no concorso e concorrono nel connotarlo, nel configurarne l’assetto fisico e nell’organizzarne l’assetto funzionale”.

La qualità del paesaggio come elemento di base nella competizione globale. La qualità del territorio e perciò dell’ambiente e del paesaggio, può rappresentare una componente fondamentale, un valore, anche in relazione alla competitività dei territori nei confronti di uno scenario globalizzato, solo se in grado di rappresentare specificità, organicità, identità. Poter crescere le generazioni future nella consapevolezza di un ambiente e di un paesaggio unici, rappresenta un vantaggio nel confronto globale al quale loro, più di noi, saranno chiamati.

Come è possibile, infine, rinnovare gli strumenti culturali, disciplinari e di governo?

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Semplificando. Un primo passo necessario è quello di superare la se-parazione fra pianificazione urbanistica, pianificazione ambientale e piani-ficazione del paesaggio. Tre aspetti dello stesso oggetto – il territorio – non si possono muovere su percorsi paralleli che raramente s’incontrano. Anche la VAS nei processi di pianificazione non è stata in grado di fare sintesi e ra-ramente ha fornito risultati efficaci e diffusi. Altro aspetto di confusione è rappresentato dalla moltiplicazione di piani specifici e settoriali. È necessa-rio mettere ordine, eliminare sovrapposizioni, semplificare e, anche alla luce di un destino non ancora compiuto delle Province, riorganizzare contenuti, competenze di pianificazione e gestione.

Completando il disegno della struttura territoriale della Lombardia. La L.R. 86/83 prefigurava una visione; lo schema di partenza era chiaro, forse incompleto, ma conteneva già i nodi di un sistema da sviluppare.

Rinnovando e rafforzando gli strumenti di pianificazione delle aree protette e dei PLIS.

Individuando le invarianti territoriali. Nella proposta di revisione del PTR viene avanzata l’idea di individuare le invarianti territoriali quali beni co-

Figura 2 – Disegno della struttura territoriale lombarda.

muni rilevanti, identitari e non negoziabili che concorrono nel loro insieme a determinare la struttura del territorio lombardo. Le invarianti strutturali, secondo questa accezione, sono quindi gli elementi e le caratteristiche ter-ritoriali che debbono essere conservate per la loro qualità, irreversibilità, per l’appartenere alla storia del luogo e all’identità collettiva. Rappresentano i beni comuni irrinunciabili che vanno conservati e valorizzati. La persistenza nel tempo dei quali va garantita con regole e interventi specifici, perché su di essi si fondano il carattere e l’equilibrio dei sistemi ambientale, paesistico, infrastrutturale e insediativo.

Promuovendo opinioni condivise. Forse in questa città diffusa, in que-sta megalopoli padana, la rivoluzione culturale che ci viene chiesta è quella di ripartire dal progetto del territorio naturale e non costruito per trovare le con-nessioni di senso con i patrimoni naturale e culturale anche questi così diffusi.

Invertendo ruoli e gerarchie riusciremo forse a garantire una reale struttura ambientale al territorio capace di restituire identità riconoscibili ai diversi luoghi offuscati dall’obliterazione edilizia sempre più di importa-zione e omologante. Ritornare al “luogo” non è un nostalgico ritorno alle origini, ma il modo per dare senso all’uso delle risorse.

“Concludendo. I parchi non possono essere un risarcimento al consumo delle risorse naturali e

culturali prodotto dalle trasformazioni e dagli usi antropici del suolo. È però innegabile che nella

situazione attuale i parchi metropolitani e territoriali ai quali aggiungerei anche i Parchi locali

di interesse sovracomunale, rappresentano gli unici elementi di barriera e di bilanciamento

all’urbanizzazione del territorio che, come ho detto, è ben lungi dall’essere conclusa”.

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Il Servizio Consulenza Faunistica di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) è un ottimo osservatorio per raccontare le sfide della gestione faunistica; inoltre il Servizio ospita la presidenza del gruppo mondiale che si occupa di specie invasive (www.issg.org), e quindi raccoglie esperienze dirette su molte problematiche faunistiche. Nel testo si raccontano quali sono le sfide alla gestione dei parchi, utilizzando la gestio-ne faunistica anche come spunto.

Biodiversità. I Parchi sono ancora forse gli unici luoghi in cui viene evi-tata la “serializzazione” del paesaggio, l’omologazione tra i paesaggi… è vero?

La situazione mondiale vede il declino della biodiversità. Purtroppo le misure messe in atto per frenare la diminuzione di biodiversità non hanno ancora dato i risultati sperati6. A livello mondiale sono stati presi degli impe-gni su questo fronte che realisticamente non verranno rispettati e continua ancora oggi a calare e a peggiorare lo stato della biodiversità e continua-no ad aumentare le pressioni; per affrontare questi andamenti negativi si stanno attuando crescenti misure di risposta ma, purtroppo, in particolare in Italia, vengono poco implementate e applicate. L’efficacia delle risposte rimane quindi molto limitata e questo si può vedere nella Figura 3: siamo nella direzione giusta, ma con sforzi che sono inadeguati. Aumento delle pressioni, peggioramento degli stati e dei benefici, aumento delle risposte.

1. PREMESSA

Piero Genovesi - ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)

2. CONSERVAZIONE, GESTIONE E MONITORAGGIO DELLA FAUNA SELVATICA NELLE AREE PROTETTE; QUALI SFIDE PER IL XXI SECOLO?

6 Si vedano: SCIENCE Vol. 328 28 maggio 2010 “Global biodiversity: indicators of recent declines” e “A mid-term analysis of progress toward international biodiversity targets” Tittensor et alN

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Una nutria. La gestione delle specie invasive è una delle priorità dei Parchi.

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Quindi rimane una priorità per i parchi del XXI secolo quella di rispondere alla perdita di biodiversità.

La situazione italianaL’Italia è un Paese ricchissimo di biodiversità e questo significa che

il nostro impegno risulta essere molto più gravoso. Rispetto agli altri paesi dell’Unione siamo al primo posto per numero di specie e habitat, ma siamo meno attrezzati per la tutela. La ricchezza di biodiversità è un patrimonio del Paese, ma determina anche impegni gravosi. L’Italia ha firmato molte con-venzioni che impegnano alla tutela della biodiversità, ma poi spesso non rie-sce ad ottemperare agli obblighi che ne conseguono. In particolare gli obbli-ghi imposti dalla comunità europea sono molto gravosi. Confrontando i dati 2006-20127 relativi alle specie animali tutelate dalla Direttiva Habitat sembra evidenziarsi un miglioramento, sebbene il dato vada preso con cautela a causa di alcune differenze metodologiche rispetto al periodo precedente.

Molte specie in recupero. Comunque anche se il consumo di suolo in Italia è ancora a livelli altissimi, si sta assistendo a un miglioramento nella biodiversità, grazie alle migliori regolamentazioni della caccia, all’abbando-

7 Genovesi P., Angelini P., Bianchi E., Dupré E., Ercole S., Giacanelli V., Ronchi F., Stoch F. (2014). Specie e habitat di interesse comunitario in Italia: distribuzione, stato di conservazione e trend. ISPRA, Serie Rapporti, 194/2014

Figura 3 – Perdita di biodiversità in termini di pressioni, stati, benefici e risposte.

no di alcune aree pedemontane e montane (dovuto ovviamente più a cause economiche che di tipo conservazionistico): questi fenomeni hanno portato all’incremento di specie come il cinghiale e l’orso bruno, soprattutto rispetto ai picchi negativi della seconda metà del secolo scorso. Pensiamo al cinghia-le: il suo numero sta aumentando in tutto il Paese, i dati che abbiamo sono carenti, purtroppo anche i Parchi non collaborano nella raccolta dei dati. Ci sono dati migliori per le zone venabili, che non per le aree protette. Le aree protette spesso fanno progetti molto avanzati, ma non fanno rete nel rac-cogliere e mettere a disposizione i dati. Le risposte alla crescita nel numero dei cinghiali sono soprattutto di allarme. I Parchi dovrebbero essere il luogo in cui avere gli incrementi maggiori, mentre non sempre si verifica ciò.

Gestione delle emergenze. Aggiornamenti normativi: dai parchi la spinta per nuove regole? La crisi economica ha portato a un crollo della tol-leranza nei confronti di alcune specie. Riuscire a conciliare la posizione am-bientalista con quella di chi effettivamente deve convivere con questi animali non è facile. Le leggi obiettivo sono per la gestione delle emergenze, mentre è necessario mettere in campo una normativa per la gestione sul medio-lungo periodo. Alcuni dei sistemi normativi di cui ci siamo dotati nel nostro Paese sono stati disegnati quando la situazione faunistica era peggiore rispetto ad ora, per cui sono spesso percepiti come inadeguati per gestire i conflitti. Que-sta, però, è solo una parte del problema, c’è anche una generale resistenza ad attuare i piani di rimozione degli animali. Ad esempio, il parco siciliano in cui è stato ucciso lo scorso anno un agricoltore da un cinghiale (in condizioni non chiarissime), è un parco che ha sviluppato quattro piani per la limitazione dei cinghiali, ma non ha mai rimosso neppure un capo. Questo avviene per i conflitti con la componente venatoria, da un lato, e animalista dall’altro. Sugli ungulati quest’anno c’è stata anche una lunga discussione sulla legge regiona-le Toscana, che ha cercato di smantellare alcuni dei sistemi di tutela nazionale per arrivare a una gestione più efficace del cinghiale. “Una legge obiettivo per superare l’emergenza cinghiale” è un titolo che ricorrente sui giornali, ma non si dovrebbe più parlare di emergenza, occorre una gestione efficace e quoti-diana del tema. Bisogna rivedere strumenti e priorità.

Grandi carnivori. Il fatto che la popolazione di alcune specie sia au-mentata riguarda anche i grandi carnivori, come l’orso: era scomparso da

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quasi tutta l’Europa centrale e occidentale, perché attivamente sterminato. Anche in Italia, fino al 1939, c’era una taglia attiva sull’abbattimento degli orsi e alla fine degli anni ‘90 la specie era praticamente scomparsa dalle Alpi. Per promuovere la ricolonizzazione della regione alpina è stato quindi attuato un progetto di reintroduzione dell’Orso bruno nelle Alpi centrali, misura questa anche prevista dal “Piano d’Azione Europeo per la Conservazione dell’Orso bruno” (Swenson et al. 2000). Il progetto, co-finanziato dall’Unione Europea tramite il programma LIFE Ursus, è stato preceduto da uno studio di fattibilità realizzato nel 1997-1999. L’intervento è stato realizzato attraverso una collabo-razione tra l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (oggi ISPRA), insieme al Parco Adamello Brenta e alla Provincia di Trento. La posizione dell’INFS sul pro-getto di reintroduzione è stata molto cauta e, prima di partire con il program-ma, è stata sviluppata una serie di studi, tra cui uno sull’opinione dei residenti, che ha dato risultati piuttosto sorprendenti perché è emerso che gli abitanti delle Alpi centrali erano in gran parte favorevoli alla reintroduzione dell’orso in Trentino. Il progetto quindi è stato portato avanti ed è stato giudicato uno dei programmi di reintroduzione di orsi più avanzati mai realizzati al mondo; i risultati biologici sono stati molto positivi, la popolazione è costantemente aumentata, ed è oggi attorno ai 50 individui. Tutte le previsioni che erano sta-te fatte si sono avverate. La Provincia di Trento sta gestendo i conflitti e tutti i danni vengono indennizzati.

Nonostante questi impegni, i problemi di accettazione e convivenza rimangono. Abbiamo avuto difficoltà all’inizio; infatti, davanti alla realtà del progetto – con l’emergere di diversi problemi pratici – si è avuto anche un calo dell’accettazione/supporto nell’opinione dei residenti. Gli animali resisto-no bene solo se la gente li accetta, perché altrimenti è molto difficile imporre una convivenza, e con la crisi economica si è avuto un crollo della tolleranza. Ai danni provocati dagli orsi nei paesi si è collegato un calo di tolleranza e c’è stato un crollo (2011) nel supporto.

E poi c’è stato il caso Daniza: nel 2014 un’orsa, già responsabile di diver-si falsi attacchi, ha attaccato una persona provocandole danni significativi. La Provincia Autonoma di Trento ha deciso in modo autonomo di procedere alla rimozione dell’animale, che però è morto durante le fasi di cattura. Questo epi-sodio ha portato a un’enorme reazione: il mondo animalista ha reagito contro

quest’azione. Localmente in Trentino, invece, c’è stata una protesta da parte delle popolazioni che non si sentivano più sicure.

Le risposte ai problemi che insorgono nella convivenza tra uomo e spe-cie selvatiche devono essere valide proprio per evitare queste reazioni. Il brac-conaggio in Italia è sempre stato a livelli bassi, molto più bassi della confinante Austria dove, invece, gli orsi vengono sistematicamente abbattuti dai caccia-tori. In Italia questo problema non c’è stato, ma da qualche anno si vedono alcuni bocconi avvelenati.

La sfida è quella di conciliare il mondo animalista, che vede come inaccettabile la rimozione di qualsiasi individuo, e le preoccupazioni

di una società che si trova ad affrontare la convivenza con questi animali.

Figura 4 – L’Italia ha il numero di specie e habitat tra i più elevati d’Europa. La ricchezza di biodiversità è un patrimonio del Paese, ma determina anche impegni gravosi.

GreciaSpagna

ItaliaFrancia

BulgariaUngheria

SlovacchiaAustria

SloveniaGermania

PortogalloPolonia

Rep. CecaRomania

OlandaRegno Unito

SveziaLettonia

DanimarcaLituania

FinlandiaBelgio

EstoniaIrlanda

LussemburgoCiproMalta

N° specie totali (*100)N° specie DH

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E parliamo del lupo. Il lupo si è espanso dai 100 individui degli anni Settanta ai 2000-2500 che sono presenti oggi nel paese. Si è assistito ad una forte espansione: è, infatti, arrivato sulle Alpi. Conoscete la storia di “Giulietta e Romeo”. Inizialmente la notizia è stata ripresa dai media e ac-colta bene dalla popolazione locale e nazionale. Ma oggi quei lupi si sono riprodotti, sono diciassette e mangiano manzi, non pecore. In Lessinia il clima è esplosivo: gli allevatori sono esasperati, gli ambientalisti sul piede di guerra. Trovare una sintesi è molto complesso, anche perché la sensibili-tà animalista è molto concentrata sul diritto del singolo individuo a vivere, molto più di quanto non succeda all’estero. Attraversare il confine per que-sti animali significa passare da un paesaggio culturale di estrema tutela, a una situazione nella quale più facilmente vengono abbattuti. Questo at-teggiamento lancia un’ulteriore sfida a chi deve gestire il problema.

Figura 5 – Espansione del lupo verso il nord Italia.

Danni indennizzati. Le diverse specie apportano dei danni alle coltiva-zioni o all’allevamento. Ma spesso il clamore sui mezzi di comunicazione non è correlato all’effettivo danno provocato. Il lupo in Lessinia fa circa 50.000€ di danni all’anno. Il ghiro in provincia di Cuneo ne fa 500.000€, più del cinghiale. Ma i danni legati al ghiro nelle zone in cui si producono le nocciole pone pro-blemi ai coltivatori, non hanno visibilità mediatica. Il conflitto non è, quindi, solo legato al costo economico, ma anche ad altri aspetti come la necessità di cambiare le attività o le modalità con cui alcune attività vengono svolte.

Specie invasive. È un fenomeno conflittuale e correlato alla globa-lizzazione. Ed è un problema poco percepito. Ma sono la principale causa di estinzioni al mondo. Per chi lavora sui temi della biodiversità sono un proble-ma molto più impellente di quanto non sia percepito al di fuori dell’ambito di ricerca. Le specie invasive sono la prima minaccia alla biodiversità, una delle prime minacce per le aree protette. Inoltre, comportano costi enormi. L’Unione Europea si è dotata di una legge sulle specie invasive, che è la prima in ambito ambientale di una certa rilevanza, dopo venticinque anni, perché proteggersi dalle specie invasive protegge anche la nostra economia e il no-stro sviluppo (impatto sulla salute, sull’agricoltura, ecc.).

Sono esemplari i casi dello scoiattolo grigio e delle nutrie. Lo scoiat-tolo grigio è un esempio molto evidente. Ancora una volta l’elevatissima sensibilità animalista, tipica del nostro paese, ha fatto sì che sia stato pratica-mente impossibile eradicare lo scoiattolo grigio. Il regolamento sulle specie invasive dell’Unione Europea, recentemente approvato, porrà nuove sfide perché imporrà l’eradicazione per alcune specie, ad esempio nutrie e scoiat-tolo grigio. I Parchi dovranno essere capaci di spiegare perché questi inter-venti, certamente non piacevoli o auspicabili, siano comunque importanti a livello di ecosistema. Il rischio è di incorrere nelle procedure di infrazione dell’Unione Europea.

Come spiegarlo? In ambito europeo le associazioni ambientaliste sono più coscienti del problema e appoggiano l’eradicazione, soprattutto quando si tratta di un intervento preventivo che, quindi, va a toccare pochi

I parchi come sentinelle di fenomeni nuovi…

2000

1992

19901985

19801975 1970

Negli anni ‘90 forte espansione del lupo

COLONIZZAZIONE DELLE ALPI

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individui. In Gran Bretagna la nutria si era diffusa in una zona a est di Lon-dra molto adatta alla specie, piena di canali. Margaret Thatcher ha imposto una eradicazione e sono state uccise circa 30.000 nutrie. Da noi ne vengono uccise probabilmente 100-120.000 ogni anno, questo non pone particolare allarme, ma se si parla di eradicazione scoppiano le proteste. Quindi, normal-mente, è meglio intervenire con l’eradicazione all’inizio del fenomeno, piut-tosto che dover poi gestire l’emergenza. Questo però non è un argomento semplice da sottoporre a chi si occupa di diritti degli animali.

Il ruolo dei Parchi:

I Parchi non possono fermare le invasioni, ma hanno un ruolo chiave per prevenire e mitigare gli impatti delle specie invasive:

1. Riserve per le specie e gli habitat minacciati.

2. Sentinelle dei problemi emergenti, per accelerare le risposte.

3. Testimoni per aumentare consapevolezza nei diversi settori della società.

4. Catalizzatori di azione anche al di fuori dei loro confini. Figura 6 – La gestione dello scoiattolo grigio è una questione irrisolta.

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1. PREMESSA

Acqua: risorsa o problema? Titolo apparentemente semplice, ma in realtà impegnativo. Lo scopo di questo intervento è di dare alcuni spunti di riflessione su alcuni aspetti relativi alla pianificazione degli usi delle risorse idriche, auspicabilmente suscitando una discussione.

L’acqua è sempre una risorsa. I problemi possono nascere in relazio-ne alla sua quantità e variabilità, ma bisogna ricordare che è una problema-tica essenzialmente di natura antropica. Questo aspetto può sembrare scon-tato, ma è giusto sottolinearlo e ricordarlo.

L’acqua può diventare un problema nel momento in cui non soddisfa pienamente le nostre esigenze. In particolare quando quantità e variabili-tà dell’acqua disponibile non ci sembrano rispondenti in modo ottimale ai nostri fabbisogni. Non solo quando essa è troppo poca, ma anche quando è troppa.

Il fatto di essere consapevoli della natura antropica del problema ci aiuta ad analizzarlo e a cercare di risolverlo. L’approccio corretto è, quindi ,quello di intervenire principalmente sulla parte antropica del problema, cioè sui fabbisogni, resistendo alla tentazione illuminista del controllo del-la natura. Assecondare questa tentazione - molto diffusa nell’ottocento, ma che ha continuato a esistere anche per buona parte del secolo scorso -, che porta a intervenire principalmente sulla risorsa, imbrigliandola, regolandola, modificandola in funzione delle esigenze antropiche, non sempre conduce alla soluzione dei problemi, ma spesso crea ulteriori conflitti e criticità.

Parola chiave: cambiamento. Il concetto di cambiamento è centrale nei problemi legati all’acqua, al punto che potrebbe essere quasi scontato. Ovviamente, è noto che la risorsa idrica è soggetta al cambiamento, nel senso che cambia nel tempo, in relazione a cicli stagionali e anche a cicli climatici.

Gianfranco Becciu – POLIMI (Politecnico di Milano)

3. ACQUA E SISTEMI FLUVIALI: DA PROBLEMA A RISORSA

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La gestione delle risorse idriche deve tenere conto dei cambiamenti climatici in atto.

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Tuttavia, nel caso della valutazione delle risorse idriche e nella pia-nificazione degli utilizzi di queste risorse, ci si limita spesso ad analizzare la variabilità della disponibilità sulla base di quanto è stato possibile osserva-re nel passato. Il rischio, in questi casi, è di considerare il passato come un quadro conoscitivo rappresentativo del futuro, sottovalutando il concetto di cambiamento, soprattutto sulle scale temporali medio-lunghe.

Altro aspetto importante è che anche i fabbisogni cambiano nel tem-po. In generale si è assistito nei decenni passati a un loro aumento, determi-nato anche dall’evoluzione degli stili di vita. Tuttavia, recentemente si inizia a osservare un’inversione di tendenza, determinata dalla crescente sensibilità ambientale che porta, da un lato, alla diminuzione degli sprechi e, dall’altro ,alla consapevolezza della necessità di tenere conto anche di fabbisogni idri-ci di tipo ambientale.

Individuare come elemento centrale il cambiamento, significa foca-lizzare l’attenzione sulla principale criticità nella gestione e nella tutela delle risorse idriche. Anzi, si può affermare che è proprio nel momento in cui non si è in grado di gestire adeguatamente il cambiamento che insorge la criticità. La gestione delle risorse idriche è stata affrontata spesso in un contesto in cui il cambiamento è stato considerato solo in termini di valori medi e di estremi (massimi o minimi), generalmente stimati in base all’osservazione del passato, trascurando l’evoluzione intrinseca dei processi, sia naturali, che antropici.

Figura 7 – L’acqua è sempre una risorsa. Può diventare un problema in relazione alla sua quantità e variabilità.

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Questo grafico evidenzia i limiti di un approccio basato esclusivamente sui valori medi. Di fronte al cambiamento si ha compatibilità tra disponibilità e fabbisogni solamente quando questi due fattori hanno ordini di grandezza suf-ficientemente distanti. Banalmente, quando la disponibilità media è molto mag-giore dei fabbisogni medi.

Negli altri casi, l’esistenza di tendenze significative di cambiamento porta inevitabilmente a situazioni di criticità, anche nei casi in cui si consi-derino cautelativamente le variazioni cicliche di disponibilità e fabbisogni osservate nel passato.

Figura 8 – I limiti di un approccio basato esclusivamente sui valori medi.

Se da un lato è possibile limitare gli effetti del cambiamento dei sistemi naturali con strategie di regolazione, che nel caso delle risorse idriche si basano sull’utilizzo di invasi naturali o artificiali e di opere di trasporto, è chiaro che una strategia efficace si deve necessariamente e principalmente basare sul governo dei fabbisogni, adattandoli ai cicli naturali stagionali e climatici. Questo significa creare un sistema di normative che, sulla base di principi di sostenibilità generale, stabiliscano diritti e limitazioni, allo scopo di evitare sprechi e abusi.

La migliore strategia di adattamento al cambiamento è proprio la com-binazione di regolazione della risorsa idrica e di regolamentazione degli usi. La regolazione consente di facilitare l’adattamento ai cambiamenti stagionali e, qualche volta, anche a quelli climatici. La regolamentazione consente di limitare i conflitti, adattando i fabbisogni al mutare delle disponibilità.

Questa strategia di adattamento al cambiamento non è nuova. I principi generali sono stati definiti già nella seconda metà del secolo scorso e sono alla base della pianificazione avanzata degli ultimi decenni per la razionalizzazione degli usi idrici e la tutela ambientale. È opportuno, tuttavia, fare una riflessione sul modo in cui essa viene applicata nella maggior parte dei casi.

Generalmente la pianificazione si sviluppa a partire dall’analisi dello stato di fatto e, poi, definisce alcuni scenari evolutivi. Questo approccio risulta essen-zialmente statico e genera, a partire da un’ottimizzazione multiparametrica, un sistema di regole di gestione fisse, stabilite a priori. La rigidità di questo approccio si traduce in un sistema di diritti d’uso riconosciuto e garantito a priori che mini-mizza i conflitti solo quando si verificano le seguenti condizioni:

• Disponibilità media maggiore della somma dei fabbisogni medi.• Variazioni della disponibilità limitate come entità e durata e comunque stimabili• finalità e vincoli d’uso non in contrasto tra loro

La strategia migliore per evitare le criticità derivanti dal cambiamento intrinseco dei sistemi naturali e antropici è l’adattamento.

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DISPONIBILITÀ - SCENARIO NON STAZIONARIO

DISPONIBILITÀ MEDIA

USI - SCENARIO 1

USI - SCENARIO 2

USI - SCENARIO 1 NON STAZIONARIO

USI - SCENARIO 2 NON STAZIONARIO

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È evidente che la realtà spesso è molto più complessa. Ci sono situazioni in cui, per esempio, i cambiamenti della risorsa idrica sono significativi e difficilmen-te stimabili e, quindi ,sembrano sfuggire a questa possibilità di pianificazione. È il caso degli scenari di cambiamento climatico. Per quanto l’entità e le cause del cambiamento climatico siano tuttora oggetto di controversie, alcune variazioni del ciclo idrologico sono comunque già osservabili:

• Un aumento di precipitazioni brevi ed intense.• Un incremento nei bacini alpini delle precipitazioni invernali piovose rispetto a quelle nevose e uno scioglimento nivale sempre più anticipato nel tempo.• Un conseguente aumento delle portate fluviali in inverno e nella prima parte della primavera e una loro diminuzione in estate.

Un altro elemento di complessità è la stratificazione storica dei diritti di derivazione idrica, spesso maturati in contesti ecologici ed economico-sociali differenti da quelli attuali, che in alcuni casi ha generato portate prelevabili dai corsi d’acqua complessivamente molto vicine (qualche volta anche superiori) alla disponibilità idrica media di lungo periodo.

Un altro elemento di criticità è la coesistenza di finalità e vincoli d’uso tra loro contrastanti. Non solo in relazione ai diversi usi dell’acqua, ma anche a consi-derazioni politiche o a necessità derivanti da relazioni internazionali.

In questo contesto reale molto complesso, l’ottimizzazione della gestione delle risorse idriche diventa spesso una chimera. Il fattore limitante non è la capa-cità di sviluppare modelli matematici sufficientemente complessi, ma la difficoltà di definire obiettivi e criteri condivisi di ottimizzazione. L’attenzione dovrebbe quindi essere spostata dalla matematica e dai modelli, alla concertazione e alla partecipazione.

L’approccio più efficace, ma anche più realistico, alla soluzione del proble-ma della gestione sostenibile delle risorse idriche è quello che ha come obbietti-vo una loro gestione dinamica.

In concreto questo non significa semplicemente considerare la variabili-tà della disponibilità della risorsa nei modelli matematici di ottimizzazione, ma concepire regole di gestione che siano flessibili, in modo da potersi adattare ai cambiamenti.

È quindi auspicabile che si sviluppi un nuovo paradigma nella pianificazione della gestione delle risorse idriche,

basato più sull’adattamento al cambiamento che su vincoli fissi, in modo da generare:

un processo partecipato di condivisione continua di obiettivi e strategie; un sistema di priorità d’uso variabili e di compensazioni condiviso;

una regolamentazione flessibile, in grado di adattarsi ai cicli climatici di breve e di medio-lungo periodo.Figura 9 – La soluzione consiste nell’adattamento al cambiamento.

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4. L’AGRICOLTURA DEL TERZO MILLENNIO

Il tema dell’agricoltura del terzo millennio è molto impegnativo. Il tema oggi, non è aumentare le produzioni agrarie di alcune colture, ma garan-tire a tutti un’alimentazione equilibrata senza distruggere le risorse del Pianeta, a partire dalla terra, dall’acqua, dalla biodiversità e dalla nostra capacità – at-traverso gli agricoltori – di utilizzarle in un quadro di sostenibilità. Il tema, oggi, è quindi fornire alle diverse aziende agrarie (nel mondo) gli strumenti idonei per consentire loro di svolgere in modo sostenibile, per sé e per la società, le molte funzioni indicate. Il tema, oggi, è rendere tutti più consapevoli e infor-mati attraverso politiche, piani, progetti e azioni di educazione agroalimentare diffusa8. Si cercano di riassumere in questo testo alcuni elementi di pensiero agronomico utili per capire i fenomeni in corso e si concluderà con una pro-posta operativa per i parchi, significativa sul come attivare nuove sinergie.

Wilson rappresenta, anche per gli agronomi ma per tutti noi, colui che ha aperto la strada verso alcune conoscenze, ma soprattutto ha mostrato un modo nuovo ed efficace di comunicare le conoscenze scientifiche, sottoline-ando come sia necessario saperle trasporre per un pubblico più ampio. Wil-son, con la pubblicazione del suo ultimo testo9, lancia una bomba mediatica all’interno del dibattito scientifico tra land sharing10 e land sparing11 ed affer-ma: metà della terra da assicurare per la conservazione della biodiversità naturale. È un titolo bellissimo dal punto di vista della comunicazione per-ché è chiaro, molto provocatorio, crea discussione.

Il terzo millennio sarà assolutamente molto impegnativo, ci porrà di

Stefano Bocchi - UNIMI (Università degli Studi di Milano)

8 “Zolle. Storie di tuberi, graminacee e terre coltivate”. Stefano Bocchi, Raffaello Cortina Editore 2015. Pag.160ss 9 Edward O. Wilson, Metà della Terra, Codice Edizioni 2016 10 “Condivisione della terra”: nel land sharing o nel “wildlife-friendly farming” l’agricoltura, e più in generale la vita dell’uomo, si svolge in modo tale da poter condividere lo stesso spazio con la natura 11 “Suddivisione della terra”: nel land sparing la natura si riprende i suoi diritti in alcune aree e l’umanità utilizza il resto del territorio senza limitazioni

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Agricoltura del terzo millennio, fra passato, presente e futuro.

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fronte a sfide moderne e al tempo stesso antiche Dobbiamo ricordarci che l’agricoltura nasce come conflitto: Esaù, cacciatore, vendette il diritto della primogenitura al fratello Giacobbe per un piatto di lenticchie. Il cacciatore che ha fame deve scambiare la cosa più preziosa che ha per un piatto che lo sfamerà, che il fratello agricoltore gli propone. Questa narrazione nel libro della Genesi è – in termini molto moderni - un conflitto di food security12. C’era rappresentato nella narrazione biblica un conflitto di sicurezza alimen-tare: come si può sopperire alla mancanza di cibo? La risposta metaforica del testo sacro è che bisogna inventare qualcosa di assolutamente nuovo, cioè l’agricoltura.

L’agricoltura utilizza da 12.000 anni l’energia solare (unica risorsa ad avere cinque importanti caratteri: inesauribile, gratuita, diffusa, rinnovabi-le, pulita), l’acqua e la biodiversità. L’agricoltura ha una storia lunghissima che può essere raccontata per rivoluzioni13. Jacques Le Goff contesta questo modo di raccontare la storia per momenti in cui “cambia tutto” perché non è un modo neutrale. Ma imparando da Wilson, parlare di “rivoluzioni” è uno stratagemma comunicativo che funziona molto bene.

Ci sono state varie “rivoluzioni” nella storia dell’agricoltura, la cosid-detta Rivoluzione Verde è l’ultima in ordine di tempo, avviata negli anni quaranta del secolo scorso negli Stati Uniti, arriva in Europa come uno tsunami nel dopoguerra. Viene spesso citata, ma poco descritta nelle sue implicazioni, sia culturali, sia socio-economiche. Dalla metà in poi della Ri-

12 “La prima formulazione organica è stata quella proposta dalle Nazioni Unite nel 1975 che identificava nella food security la “disponibilità in ogni momento, di adeguate riserve mondiali di prodotti alimentari di base, per sostenere una rapida espansione del consumo di cibo e per arginare le fluttuazioni nella produzione e nei prezzi del cibo”, ma il concetto si è poi rapidamente sviluppato (Per una trattazione più completa si veda: “Zolle. Storie di tuberi, graminacee e terre coltivate”. Stefano Bocchi, Raffaello Cortina Editore 2015. Pag. 170ss)13 In estrema sintesi: la prima è quella basata su slash-and-burn e rotazioni nello spazio; la seconda quella dei sistemi basati su maggese-aratro leggero; la terza quella basata su maggese-aratro rovesciatore a trazione animale; la quarta è basata sulla rotazione continua. (Si veda: “Zolle. Storie di tuberi, graminacee e terre coltivate”. Stefano Bocchi, Raffaello Cortina Editore 2015. Pag. 126ss)

voluzione Verde (1970-80 ca.) si ha il principale prodotto della Rivoluzione verde, quella che può essere definita, con un ossimoro, l’agricoltura indu-strializzata, caratterizzata da:

• disconnessione dai cicli naturali;• settorializzazione;• dipendenza dal mercato; • passaggio produttivo da alimenti a commodity;• processi produttivi basati sulle tecnologie (meccaniche, genetiche, chimiche);• allargamento della scala come traiettoria dominante, (nella maggior parte del territorio italiano permane la piccola dimensione dell’azienda agraria, che cerca sempre nuovi processi di crescita attraverso diverse forme di associazione); • intensificazione come funzione tecnologica; • specializzazione; • rottura tra passato, presente e futuro; • ricerca specializzata ed esterna (l’azienda agraria risulta sempre più eterodiretta);• privatizzazione risorse.

È importante affrontare con attenzione il tema delle strategie innova-tive nel campo agricolo. L’innovazione in passato era molto lenta, e avveniva principalmente a livello di azienda agraria (farming system).

Con la Rivoluzione Verde si parla di substitution strategy, nella quale si frammentano molto le attività produttive, di controllo, di gestione, come si frammenta la cultura e, conseguentemente, le discipline che si insegnano nelle università. Per riuscire a superare questa frammentazione è necessaria una strategia ai livelli superiori, quelli definiti agroecological strategy e global strategy. Ciò implica anche una maggiore attenzione al fattore tempo: i tem-pi di evoluzione e di sviluppo specifici delle aziende agrarie sono lunghi. L’a-zienda agraria cambia indicativamente su archi temporali di alcuni decenni, siamo sostanzialmente lontani dai tempi dell’innovazione degli altri settori.

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Nella tabella seguente sono riportati alcune esemplificazioni dei livel-li di strategia di innovazione (da Bocchi et. al 2012).

L’azienda agraria è un serbatoio di ricchezze, tangibili e intangibili, di sapere incorporato che fa anche del sapere un’immagine interna da portare all’esterno. L’azienda agraria è sistema sociale e tecnico, nel quale le perso-ne si organizzano, lavorano e offrono lavoro, fanno ricorso a risorse umane e tecniche, vengono definiti gli obiettivi.

Questi possono assumere diverse connotazioni: dall’ integrazione con cicli naturali alla coevoluzione del sistema aziendale con quelli presenti nel territorio; dalla ricerca di integrazione con gli altri settori produttivi e inse-diativi alla ricerca di autonomia dai mercati degli input e differenziazione degli output; dall’abbandono progressivo della produzione di commodity alla produzione di beni sempre più contestualizzati; dalla ricerca di tecnolo-gie orientate alle competenze all’individuazione di forme di cooperazione,

creazione di associazioni; dalla intensificazione basata su quantità e qualità del lavoro, alla multifunzionalità, in continuità fra passato, presente e futuro; dalla interdisciplinarità e partecipazione, all’aumento della ricchezza sociale e territoriale.

Per uno sviluppo della cultura agroecologica si possono individuare alcuni punti critici che vanno superati:

• una generale frammentazione, in tutti gli ambiti;• una carenza di strumenti e pratiche locali, nonostante le ottime

capacità nel definire obiettivi;• L’impossibilità di importare soluzioni;• Una cultura di innovazione partecipata di sistema ancora ai primi passi.

Esiste un ambito territoriale di integrazione per la pianificazione, ge-stione, del territorio a partire dalle risorse suolo, acqua, biodiversità, lavoro (agricoltura)?

No. Potrebbe essere l’università, ma siamo ancora ai primi passi nel lungo percorso della interdisciplinarità e di studi con approccio sistemico e partecipato. A Milano stiamo cercando di attivare un polo forte su questi temi, principi e pratiche. I Parchi potrebbero essere i laboratori territoriali in cui sperimentare. Ma senza frammentare, bisogna avere un obiettivo comu-ne. Per questo facciamo una proposta.

L’agricoltura viene spesso indicata come capace di fornire servizi culturali, di approvvigionamento, di supporto e regolazione. Per evitare la frammentazione bisogna restituire all’agricoltura il fine che non è fram-mentabile: l’agricoltura deve per prima cosa fornire cibo. I servizi di for-nitura sono fondamentali rispetto agli altri servizi forniti dall’agricoltura. Un’agricoltura capace di fornire cibo, fibre, sostanze di varia natura e ma-teriali secondo una programmazione e gestione funzionale e sostenibile, è in grado anche di fornire servizi culturali, di regolazione e di supporto. Questo tipo di agricoltura sarà in grado anche di contribuire al raggiungi-mento degli obiettivi del millennio.

LIVELLI DI INNOVAZIONE

Strategia di sostituzione

Strategia agroecologica

Strategia globale

SIGNIFICATI

Le fattorie esistenti vengono leggermente riadattate, non alterate profondamente (Altieri e Rosset, 1996).

Costruire un innovativo scenario tecnico basandosi sulla regolazione biologica in regime di produzione integrata delle colture (Altieri, 1999).

Risolvere i problemi agricoli su scala globale, ripensando alla loro relazione con la società. Il fallimento dell’agricoltura intensiva è collegato al suo modello di economia industriale. Nuovi scenari nell’agroecologia (Gliessmann, 2006).

ESEMPI

Sostanze chimiche tossiche e fertilizzanti dovrebbero essere sostituiti da preparati meno inquinanti, meno persistenti nel suolo e più efficienti dal punto di vista energetico.

Applicare concetti e principi ecologici. Biodiversità, coltivazione intercalare, rotazione delle colture, impianto di sistemi agroforestali.

Studiare le relazioni tra produzione e marketing. Le relazioni tra fattorie e consumi, creando reti di marketing.

AMBITO DI RICERCA/AMBITO DISCIPLINARE

Singolo appezzamento.Monodisciplinare.

Fattorie o latifondi.Multidisciplinarietà (agronomia, ecologia del territorio, geografia, ecc.).

Distretti agricoli, Parchi regionali, bioregioni.Interdisciplinarietà.Transdisciplinarietà.Intersettorialità (agronomia, ecologia, sociologia, economia, politica).

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Dal progetto Bioregione emergono indicazioni molto interessanti riguardo alla domanda di alimenti. C’è, infatti, nel mondo una tendenza fortissima a mangiare fuori casa, sia in ambito privato (bar, ristoranti, alber-ghi), sia in ambito pubblico istituzionale (mense delle scuole, case di ripo-so, ospedali, ecc.) Abbiamo stimato che in Lombardia ci sono 220.000.000 di pasti all’anno consumati in ambito di sola ristorazione collettiva istitu-zionale. La ristorazione collettiva è una sede strategica perché lì si concen-trano i temi del consumo di cibo, dell’educazione alimentare, degli approv-vigionamenti, del collegamento città-campagna.

È stata da poco approvata una nuova regolamentazione degli ap-palti pubblici che prevede alcuni obblighi da parte dell’ente che eroga il servizio. Il D.lgs. 50 dell’aprile del 2016 recita per esempio che: “servizi di ristorazione sono aggiudicati secondo quanto disposto dall’articolo 95, comma 3. La valutazione dell’offerta tecnica tiene conto, in particolare, degli aspetti relativi a fattori quali la qualità dei generi alimentari con particolare riferimento a quella di prodotti biologici, tipici e tradizionali, di quelli a denominazione protetta, nonché di quelli provenienti da sistemi di filiera corta e da operatori dell’agricoltura sociale”.

Abbiamo in questo momento in Lombardia un mercato fortissi-mo di prodotti alimentari che istituzionalmente coinvolge pochi decisori, e moltissimi agricoltori; non sempre la domanda locale incontra l’offerta locale, molte sono gli aspetti critici da affrontare nel bene del territorio. Il Parco potrebbe/dovrebbe essere l’ambito territoriale in cui si fa inno-vazione di sistema soprattutto in questi ambiti, dove in pratica si tocca-no questioni con forti ricadute sulle risorse naturali e sui paesaggi e che potrebbero essere reali leve per arrestare i consumi di suolo, di acqua, di biodiversità e di posti di lavoro.

Wilson afferma nel suo testo che si arriverà a un picco di 10.000.000.000 di abitanti sulla terra, ma che sarà possibile gestire questa situazione, fornen-do cibo a tutti, se saremo preparati. Abbiamo bisogno di luoghi fisici e cultu-rali dove interrogarsi su questi temi, siamo ancora in tempo.

Figura 10 – La missione fondamentale dell’agricoltura è fornire cibo.

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Premessa

Le aree protette in Italia, nel corso degli ultimi decenni, hanno pro-gressivamente trasformato la loro natura, missione e funzioni, seguendo un accidentato percorso evolutivo. Le prime proposte di legge risalgono al 1964 e si deve arrivare tra dibattiti e proposte, alla legge 394 del 1991 per mettere un punto fermo. È il “periodo del 10%” in cui l’obiettivo principale era con-servare fauna e flora (il termine biodiversità è successivo) e la maggior parte possibile di ambiente naturale (verso il 10%, appunto), con un concetto di protezione fondato unicamente su divieti e vincoli in un’ottica prettamente protezionistica più che conservativa. Il processo comunque evolveva e il ruo-lo diventava più attivo con il tema della conservazione che veniva declinato attraverso il concetto di protezione, da un lato, e di “valorizzazione”, dall’al-tro. Modello che fino a oggi, in 25 anni, si è mantenuto e a volte sviluppato in forme che con la conservazione della biodiversità hanno avuto poco a che fare. Le azioni chiave che servivano a definire le competenze necessarie si possono riassumere in protezione e valorizzazione ambientale (competenze specialistiche), programmare azioni, definire risorse, misurare risultati (c. di programmazione), sviluppare modelli di gestione (c. gestionali), partecipa-zione (c. di relazione).

Anche se queste competenze permangono in relazione a ruoli e mo-delli che fanno fatica a evolversi, tuttavia oggi ci troviamo in una fase di ul-teriore cambiamento, in cui diventa necessario declinare il concetto di valo-rizzazione all’interno del paradigma dello sviluppo sostenibile forte, dove le parole chiave emergenti sono green economy, circular economy e beni comu-ni/collettivi. Accanto ai vecchi concetti, nascono una serie di nuove compe-tenze e nuovi temi come la partecipazione, la consapevolezza, la gestione efficace, la sostenibilità declinata in Crescita economica equa, Sviluppo e inte-grazione sociale, Gestione integrata e sostenibile del Capitale Naturale, Servizi

Riccardo Santolini

5. I SERVIZI ECOSISTEMICI E LA LORO VALUTAZIONE: RUOLO E IMPORTANZA PER I PARCHI

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Ranuncoli d’acqua. Tutte le specie di piante e animali arricchiscono il Capitale Naturale.

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ecosistemici con il coinvolgimento in modo integrato, del settore privato e pubblico (green economy, circular economy).

SE e Sviluppo sostenibile

In economia il Capitale Naturale è l’insieme degli stock di beni naturali che include anche il suolo, l’aria, l’acqua e tutte le specie di piante e animali proprio nello spirito della Strategia per lo Sviluppo Sostenibile, al cui aggior-namento la 221/ 2015 art. 3 dovrà provvedere.

Il paradigma dello Sviluppo sostenibile afferma che la generazione at-tuale deve essere certa di lasciare alla prossima uno stock di risorse di capitale non inferiore a quello che possiede ora, intendendo come capitale la possi-bilità di raggiungere un certo benessere attraverso la creazione di beni e di servizi dai quali dipende il genere umano. Di fatto, secondo questo punto di vista, il livello di risorse e di capacità produttiva dovrebbe essere il medesi-mo rispetto a ogni altra generazione, ma il benessere di ognuna può essere diverso in relazione al tipo di uso del proprio stock di risorse. Come definito da Pasek (1992) descrivendo lo standard di Locke, ogni generazione dovreb-be lasciare alle altre una quantità di risorse sufficiente e di buona qualità.

Tuttavia, l’interpretazione dello stock di risorse ha indotto l’elaborazio-ne di diversi modelli di sviluppo sostenibile (Turner et al. 1996) i più rappre-sentativi dei quali sono quello cosiddetto debole (SSD) e quello denomina-to forte (SSF). Per il primo, il Capitale Naturale non necessita di trattamenti particolari dal momento che è equiparato alle altre forme di capitale. In so-stanza alle nuove generazioni basta il trasferimento di uno stock di capitale aggregato non inferiore a quello che esiste ora, assumendo che ogni tipo di capitale presenti una sostituibilità perfetta. In sostanza tutti i SE hanno “pari dignità” e possono usare le funzioni/servizi ecosistemici secondo le opportu-nità indicate dal mercato o dalle politiche economiche.

Al contrario, la sostenibilità di tipo forte assume che gli elementi dello stock di capitale naturale non possano essere sostituiti dal capitale costruito dall’uomo. Infatti, alcune delle funzioni e dei servizi degli ecosistemi sono essenziali per la vita del genere umano in quanto elementi determinanti la

sopravvivenza della vita stessa (SE di supporto e regolazione). Di conseguen-za, gli ecosistemi che generano tali servizi vengono definiti capitale naturale critico non sostituibile e perciò bisognoso di valutazione e di varie forme di tutela (tra cui le aree protette), affinché gli ecosistemi possano continuare a generare funzioni anche sotto una gestione antropica sostenibile.

Di conseguenza, le aree protette diventano uno strumento fonda-mentale e irrinunciabile per le strategie di conservazione della biodiver-sità e dei processi ecologici proiettando all’esterno dei propri confini i temi della consapevolezza dell’uso delle risorse chiave e della salvaguar-dia del bene collettivo.

La LN 221/2015 Art. 70 getta le basi e innesca dei nuovi processi da cogliere per un nuovo ruolo delle aree protette nella tutela del bene pubbli-co attraverso i SE e il loro riconoscimento economico, cioè un nuovo modo di affrontare il rapporto tra la risorsa e il suo uso.

I Servizi Ecosistemici

I SE sono classificati in quattro gruppi: di supporto, di regolazione, di fornitura e culturali. Il primo è a supporto di tutto (hanno una scala dimen-sionale molto più importante, territoriale) il resto e quelli di regolazione sup-portano gli altri due. L’agricoltura è un esempio importante: vista in un’ottica di servizio diventa un elemento fondamentale per rivalutare la funzione del-le aziende e dei territori. Chi usa, il modo di usare e i servizi che quel territorio ci può dare.

Negli ultimi anni, le quattro categorie di SE proposte da MEA (2005) supporto, di regolazione, fornitura e culturali, pur rimanendo generalmente di attualità, sono state modificate in modo sostanziale dall’Agenzia Europea per l’Ambiente all’interno della Classificazione Internazionale dei Servizi de-gli Ecosistemi (CICES - Haines-Young e Potschin, 2013) e anche dal TEEB (de Groot, 2010). Di conseguenza, i servizi di regolazione e i servizi di supporto alla vita assumono un’importanza chiave nel determinare e garantire la fun-zionalità degli ecosistemi (flusso di energia, di informazioni e lavoro) e diven-tano utili per stimare le soglie di usabilità rispetto agli altri SE. Essi sono come

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le funzioni vitali per mantenere il nostro metabolismo basale: permettono la funzionalità del sistema e se l’ecosistema funziona bene, è in grado di fornire tutti gli altri servizi.

Di conseguenza, in un processo di sviluppo di PSEA riferito a SE di uso diretto (es. utilizzo del legname di un bosco, cioè di approvvigionamen-to), la valutazione dei SE di carattere “fisiologico” o biofisico (supporto/re-golazione) diventa necessaria per determinare la dimensione critica minima dell’impatto e la salvaguardia nel tempo della funzione collettiva del bene, cioè l’utilità sociale (fissazione di C, trattenimento del suolo, di acqua ecc.) e il benessere derivante, nonché per mantenere intatte o incrementare le sue funzioni (commi a e b art. 70).

Questo schema che a titolo di esempio si riferisce a un’area foresta-le, evidenzia il Valore Economico Totale (VET). Quanto vale un bosco? I più risponderebbero seguendo esclusivamente la prima colonna di schema a blocchi, cioè in base alla produzione di legname. Tradotto secondo i termini di ecologia economica, essi considerano solo il SE di approvvigionamento, il valore d’uso diretto. Tuttavia, che noi lo vogliamo o no, il bosco funziona e sviluppa dei servizi (supporto/regolazione) di uso indiretto, cioè quelle fun-zioni che permettono all’ecosistema di funzionare ma che indirettamente sono indispensabili alla nostra sopravvivenza come la fissazione di CO2, de-purazione e trattenimento di acque e di suolo ecc. A questi si aggiungono i valori di esistenza (valori che il bosco trasmette). Dobbiamo iniziare a misu-rare il peso e il valore di questi elementi.

In passato la valutazione era fatta in modo più frammentario e meno sistematico. Oggi abbiamo metodi che ci permettono di sviluppare valu-tazioni più dettagliate attraverso una peculiarità e complementarità tra gli strumenti: infatti la valutazione dei SE è un processo di sistema.

Ogni anno gli ecosistemi italiani erogano beni e utilità paragonabili (per difetto) a € 71,3 mld (Scolozzi et a. 2012). Il VET dei Parchi Nazionali (mi-surato con la Disponibilità a Pagare DAP) è € 402,3 mil (Marino 2014).

Ci sono ormai ottimi esempi di PSEA fra cui quelli che interessano la risorsa acqua, forse sono i più significativi. Il Life MGN ne ha sviluppati alcuni e tra questi il riconoscimento economico da parte di HERA spa delle funzioni di mantenimento della qualità e quantità di acqua (SE re-golazione e approvvigionamento) delle sorgenti presenti in un bosco del Parco Interregionale del Sasso Simone e Simoncello (Morri et al. 2014). Questo esempio, in cui gli introiti verranno ovviamente impiegati per il mantenimento di tali funzioni, diventa ancor più importante se consi-deriamo l’Unità Ecologico-Funzionale di riferimento (bacino del fiume Marecchia RN) su cui insiste una domanda idropotabile che dipende nel periodo estivo da circa 5 mil di persone. Diventa a questo punto, sempre più evidente il ruolo nuovo che devono assumere le aree protette cer-cando di capovolgere il progressivo processo di isolamento causato dalle trasformazioni d’uso del suolo al di là dei loro confini.

Quanto vale un bosco?

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Quali azioni

Le aree protette devono inserirsi all’interno dei processi di pianifica-zione in modo nuovo, con criteri ecologico-economici, all’interno di un pro-cesso di sviluppo che deve essere durevole oltre che sostenibile, lavorando sui temi della consapevolezza, della gestione efficace e della sostenibilità come crescita economica equa, in relazione a una perequazione territoriale che riconosca il ruolo di chi mantiene e gestisce la qualità delle funzioni eco-sistemiche indispensabili, in una Gestione integrata e sostenibile del Capitale Naturale socialmente inclusiva. Per questo occorre:

• evidenziare il ruolo funzionale dell’area protetta all’interno di UNITÀ ECOLOGICO/ECONOMICHE FUNZIONALI (ambiti di gestione, bacini idrogeografici, ecoregioni ecc.) in cui sviluppare il processo di valutazione e gestione delle risorse;• innescare processi di perequazione territoriale d’area su base ecosistemica;• sviluppare processi di relazione interdipendente tra prodotti tipici e di qualità con il mantenimento delle funzioni ecologiche vitali del territorio;• integrare le azioni tra i settori di governo (es. Ministeri, Assessorati ecc.) con finalità di mantenimento delle funzioni ecologiche e delle risorse; • comprendere gli effetti potenziali del capitale naturale dell’area protetta e delle sue funzioni ecologiche e le relative dipendenze economiche considerando le interazioni alle diverse scale per evitare gli impatti del fuori scala;• comprendere come le popolazioni locali possano influire e/o dipendere dalle funzioni ecologiche e ampliarne i benefici;• collaborare e comunicare con le autorità e le comunità attraverso un processo trasparente e partecipato;• sviluppare approcci ecologico-economici per una fiscalità nuova (es. PSEA).

Figura 11 – Sono numerosi i servizi ecosistemici offerti dall’ambiente naturale.

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COME VALUTARE I SERVIZI ECOSISTEMICI

Alcuni esempi sono reperibili all’interno del progetto Life+MGN (Making Good Nature). Un esempio di politica, in Italia, è quello che si sta sviluppando sul fiume Marecchia, vicino alla città di Rimini.

Sebbene sia misconosciuto, il fiume offre a questa città un servizio ecosistemico unico: fornisce, infatti, l’acqua necessaria a supportare il massiccio flusso turistico estivo (che si attesta ogni anno attorno ai 2.000.000 di pernottamenti nel mese di agosto). In questo contesto, l’Università di Urbino sta promuovendo una sinergia tra Parco del Sasso Simone e Simoncello, Hera SpA e Comune di Casteldelci per la funzione ecologica di produzione di acqua da parte dell’alta valle (Morri et al 2014; Life Mgn).

PER SAPERNE DI PIÙ

• De Groot, R.; Fisher, B.; Christie, M.; Aronson,J.; Braat, L.; Haines-Young, R.H; Gowdy, J.; Killeen, T.; Maltby, E.; Neuville,A.; Polasky, S.; Portela, R. and Ring, I., 2010. Integrating the ecological and economic dimensions in biodiversity and ecosystem service valuation. Draft Chapter 1 of The Economics of Ecosystems and Biodiversity (TEEB) study.

• Haines-Young, R. and Potschin, M., 2013. Common International Classification of Ecosystem Services (CICES): Consultation on Version 4, August-December 2012. EEA Framework Contract No EEA/IEA/09/003 (Download at www.cices.eu or www.nottingham.ac.uk/cem)

• Hastik R., Basso S., Geitner C., Haida C., Poljanec A., Portaccio A., Vrščaj B., Walzer C., 2015. Renewable energies and ecosystem service impacts. Renewable and Sustainable Energy Reviews 48 (2015) 608–623

• LIFE+ Making Good Natura - Making public Good provision the core business of Natura 2000 - codice LIFE11 ENV/IT/000168

• www.lifemgn-serviziecosistemici.eu/IT/home/Pages/default.aspx

• MEA [Millennium Ecosystem Assessment] (2005) Ecosystems and Human Well-being: Synthesis. Island Press, Washington, DC.

• Morri E., Pruscini F., Scolozzi R., Santolini R., 2014. A forest ecosystem services evaluation at the river basin scale: Supply and demand between coastal areas and upstream lands (Italy). Ecological Indicators 37: 210– 219. http://dx.doi.org/10.1016/j.ecolind.2013.08.016.

• Pasek J., 1992. Obligation to future generations: a philosophical note. In World Development, vol XX:513-521.

• Santolini R., Morri E. and D’Ambrogi S., 2016. Connectivity and Ecosystem Services in the Alps. In: C: Walzer (ed.) ALPINE NATURE 2030– Concepts for the next generation From Protected Areas to an ecological continuum. German Federal Ministry for the Environment, Munchen

• Turner R.K. , D.W. Pearce e I. Bateman, 1996. Economia ambientale. Il Mulino, Bologna

• Wallace, K. (2008) Ecosystem services: Multiple classifications or confusion? Biological Conservation, 141, 353-354

Reticolo idrografico conoideconfini provincialiconoide MarecchiaBacino idrografico Marecchia

Conoide del FiumeMarecchiaFalda di 100 mln m3

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Alcuni degli spunti che si propongono qui sono in realtà già in atto, mentre alcuni potrebbero sembrare quasi utopici e poco realizzabili in una situazione difficile per le aree protette come quella in cui ci si trova.

Quali possono essere gli obiettivi fondanti dei Parchi del XXI secolo?

Tre erano i capisaldi delle strategie europee a cavallo degli anni 2000 e della stessa legislazione regionale degli anni ’80: biodiversità, paesaggio e sostenibilità (uso accorto e rigenerazione delle risorse).

Rispetto a questi temi, qual è lo stato della partecipazione, come la cittadinanza concorre alla realizzazione di queste politiche? Oggi in generale in Italia, i cittadini e le comunità locali concorrono in misura decisamente modesta alla definizione e all’attuazione delle norme, dei piani e dei proget-ti per la tutela della biodiversità e del paesaggio.

Come? Quali sono gli strumenti esistenti che permettono alle citta-dinanze di esprimersi?

Con il pronunciamento dei soggetti organizzati espresso attraverso procedure consultive delle pubbliche Amministrazioni.

Con la contrapposizione organizzata e conflittuale a decisioni di natu-ra pubblica, espressa anche attraverso petizioni, manifestazioni pubbliche, raccolte di firme o referendum.

Con proposte “dal basso” di iniziative di tutela, riqualificazione, inno-vazione (scaturiscono quasi sempre da progetti episodici di breve durata, che non lasciano poi traccia: agende 21 locali, laboratori partecipativi...).

Mario Sartori Rete Civica Milanese

6. LA PARTECIPAZIONE NELLE POLITICHE E NELLA GESTIONE DEI PARCHI DEL XXI SECOLO

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Per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità è necessaria la partecipazione dei cittadini.

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Con l’espressione di istanze, proposte e proteste sul governo dell’am-biente e del territorio attraverso la Rete.

Con il lavoro sistematico delle associazioni per la tutela del territorio e dell’ambiente.

Con rappresentazione del “sentire diffuso” nei confronti di progetti a elevata incidenza ambientale, offerta dagli organi d’informazione e/o rac-colta attraverso inchieste e sondaggi.

Quale evoluzione del ruolo della partecipazione pubblica nelle aree protette e nei Parchi in particolare?

Negli anni ’80 il tema non era maturo. È con gli anni ’90 (Conferenza di Rio, Agenda 21, conferenza di Aalborg…) che il tema della partecipazio-ne viene associato al tema della sostenibilità ed è qui che, anche negli sce-nari d’azione delle aree protette, diventa importante il compito di costruire partecipazione intorno agli obiettivi statutari dei Parchi.

Siamo nella seconda metà degli anni ‘90 e in quegli anni parte in Eu-ropa, ma anche il Italia e in Lombardia, la stagione delle Agende 21 locali che vedono spesso protagonisti i Parchi e gli enti locali nei Parchi; stagio-ne che ora, quantomeno in Lombardia, si può dire abbia esaurito il suo ruo-lo di stimolo e di coinvolgimento civico; e non ha lasciato grandi strascichi.

Bisognerà attendere la Convenzione Europea del paesaggio del 2000, (purtroppo già in buona sostanza finita nel dimenticatoio) per regi-strare un’ulteriore maturazione del tema, che mette al centro delle politiche del paesaggio il rapporto tra le comunità e il loro ambiente di vita “Paesag-gio designa una parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere risulta dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrela-zioni” (C.E.P. , Art. 1).

LA CONVENZIONE EUROPEA DEL PAESAGGIO

La C.E.P. si basa sull’assunto che il paesaggio debba diventare, “...un tema politico d’interesse generale, poiché contribuisce in modo molto rilevan-te al benessere dei cittadini europei che non possono più accettare di subire i loro paesaggi, quale risultato di evoluzioni tecniche ed economiche decise sen-za di loro. Il paesaggio è una questione che interessa tutti i cittadini e deve venir trattato in modo democratico, soprattutto a livello locale e regionale”.

Per questo la Convenzione pone l’attenzione sulla necessità di definire e attuare un’organica “Politica del Paesaggio” per la quale le autorità (e quindi anche i Parchi) devono “predisporre le procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti interessati alla definizione e alla realizzazione delle politiche del paesaggio” (C.E.P. art. 5). Nel 2005 su questo tema si è sviluppata un’esperienza interessante nel Parco dell’Adamello: Il pro-getto 3P “Paesaggio partecipato nel Parco” che ha sviluppato una politica del paesaggio ai sensi della Convenzione, con il concorso delle realtà locali.

Quindi una POLITICA DEL PAESAGGIO PARTECIPATA per ampliare gli spazi di democrazia per i cittadini e favorire il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

Qui s’introducono due aspetti estremamente importanti e attuali. Il primo significa aumentare la possibilità che anche le politiche dei Parchi siano rappresentative di interessi profondi, strategici e/o contingenti, delle comunità dove operano. E quindi c’è anche un discorso di operatività delle scelte e/o di ricaduta.

Il secondo aspetto è favorire il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Questo tema è collegato con un altro tema che è stato rilan-ciato da Jeremy Rifkin14, che rilegge la storia dell’evoluzione umana come una serie di salti antropici come momenti in cui gli individui hanno capito che per progredire, per poter attingere a ulteriori fonti di energia, era ne-

14 Rifkin Jeremy, “La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi” Mondadori , 2010

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

cessario interagire con altre persone, facendosi empaticamente carico delle esigenze di altri individui, gruppi, settori e comunità. Parlare di partecipazio-ne, quindi, significa collaborazione, basata su questi due pilastri fondamen-tali: la convergenza di interessi, cioè vedere la parte comune delle necessità; costruire un rapporto empatico tra chi mira a questi obbiettivi e la comunità. Facendo partecipazione con questi obiettivi si evidenzia la cosiddetta SCA-LA DELLA PARTECIPAZIONE, che in realtà è fatta di tre momenti:

OPPORTUNITÀ D’INFORMARSI. Si parte dal diritto dei cittadini a essere informati e formati (qui rientra anche il diritto all’educazione all’am-biente), ma anche a veder valorizzati, nelle decisioni pubbliche, i saperi diffusi, le esperienze e le iniziative spontanee.

OPPORTUNITÀ DI ESSERE CONSULTATI. Si passa al diritto ad essere ascoltati nella formazione delle decisioni prima che queste diventino defi-nitive e irreversibili (livello consultivo).

OPPORTUNITÀ DI ESSERE COINVOLTI. Il punto d’arrivo riguarda l’opportunità (che è anche un diritto) a concorrere direttamente alla forma-zione delle decisioni (leggi, piani, programmi), alla definizione dei progetti, alla loro attuazione e ad avere un ruolo nella gestione delle risorse e dei servizi d’interesse pubblico (collaborazione sistematica).

Perché la collaborazione è importante, non c’è decisione autorevole e non c’è trasformazione che non abbia alle spalle una significativa colla-borazione tra soggetti e interessi diversi; dove la collaborazione non c’è, o non si arriva alla decisione, oppure la decisione è ininfluente (è la storia di tanti “ineccepibili” piani e programmi/progetti del tutto inattuati).

Questo vale in particolare in materia di tutela delle risorse naturali, di biodiversità e di sostenibilità, gli interessi e i soggetti direttamente coin-volti sono gli interessi vitali delle comunità, ma anche i soggetti che più direttamente influiscono sulle risorse ambientali. Ne consegue che nelle aree dove si esercita un’attenzione speciale a queste problematiche, il rap-porto tra le politiche pubbliche da un lato e le comunità e i protagonisti dell’economia del territorio dall’altro rappresenta un fattore chiave.

In realtà, la scommessa di fondo è quella – per i gestori dei Parchi e per le comunità e gli operatori – di collocarsi dalla stessa parte e di remare nella stessa direzione. Mentre spesso ci si confronta con situazioni conflittuali.

COLLABORAZIONE CON (TRA) CHI INFLUISCE MAGGIORMENTE SUL-LE RISORSE: i protagonisti dell’economia produttiva, con particolare riferimen-to al settore agricolo; i Consorzi irrigui; i Distretti e le organizzazioni agricole; gli amministratori locali e degli Enti territoriali; i titolari di attività produttive, con particolare riferimento ai settori energetici e delle tecnologie ambientali e costruttive; gli operatori del commercio e della distribuzione; gli operatori del turismo e della ristorazione; gli operatori culturali e i gestori dei beni/servizi cul-turali; i gestori dei servizi di pubblica utilità con particolare riferimento ai servizi ambientali e ai servizi della mobilità collettiva; la scuola; i cittadini e le associa-zioni impegnate nella salvaguardia e valorizzazione del territorio.

È necessario passare da una partecipazione discontinua a un proces-so sistematico e duraturo. Le modalità di collaborazione per una cooperazio-ne sistematica che si propongono sono le seguenti:

Definire e formalizzare per ciascuna politica (pianificazione, program-mazione, progettazione, intervento, gestione) una strategia di coinvolgi-mento e collaborazione dei settori, delle comunità e dei cittadini che pos-sono contribuirvi.

Organizzare forme e ambienti di interazione sistematica con i sogget-ti individuati (non bastano le consulte, gli incontri una tantum, le consulta-zioni formali in occasione delle approvazioni dei piani); servono anche so-luzioni tecnologiche per far fronte alla dispersione territoriale e permettere un’interazione asincrona.

Giungere a ‘progettare insieme’ e a forme di accordi territoriali e tema-tici per lo sviluppo coordinato delle iniziative.

Individuare insieme i percorsi di fattibilità e le fonti di finanziamento.

Mettere a punto e attuare iniziative di comunicazione, informazione e

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

formazione della comunità al fine di valorizzare le opportunità del territorio.

Affidare la realizzazione e la gestione delle opere, degli interventi e dei servizi ai soggetti più idonei a conseguire, nel tempo, gli obiettivi.

Esercitare un costante monitoraggio sull’efficacia degli interventi, ap-plicare regole univoche di trasparenza e controllo sociale.

Tra gli strumenti e metodi di COLLABORAZIONE E PARTECIPAZIONE:

La gamma degli strumenti e dei metodi per dare sistematicità ed ef-ficacia alla partecipazione è ampia e non è utile puntare esclusivamente e univocamente su una modalità o una tecnica di interazione. Ma vanno se-gnalate due particolari metodologie.

Quella del bilancio partecipativo, che appare tra i percorsi più inte-ressanti e promettenti, anche quando viene applicato a interventi di piccola scala, perché dà l’opportunità, a parità di rilevanza ambientale delle destina-zioni possibili delle risorse, alla comunità di orientare le scelte verso ciò che è più atteso (interesse) e più sentito (empatia), superando il senso di estraneità rispetto alle politiche pubbliche.

L’adozione di sistemi online di informazione (e formazione), comunica-zione e relazione (e-participation) tra: amministratori (del Parco e locali), pro-duttori, consumatori (con particolare riferimento ai GAS), operatori della logi-stica/distribuzione e cittadinanza. Un sistema informativo/partecipativo online che offra alla comunità del Parco la possibilità di valorizzare e di accedere alle ini-ziative, ai servizi e ai prodotti. Una piattaforma informativa/interattiva che faciliti anche l’interazione tra i soggetti (pubblici e privati) nell’organizzare iniziative, nel gestire progetti, nel promuovere imprenditorialità ambientale.

Alcuni possibili temi di collaborazione

Agricoltura e risanamento territoriale. Mantenere, consolidare e sviluppare (bio-diversificare) le produzioni agricole e assicurare i servizi agro-ambientali con i soggetti interessati a:

Soddisfare una quota significativa della domanda alimentare del ter-ritorio con prodotti locali.

Promuovere l’agricoltura come motore di economia, innovazione, biodiversità, sostenibilità.

Valorizzare il ruolo e l’offerta dei servizi ambientali da parte dell’agri-coltura: cura delle risorse (acqua, suolo, risorse biologiche), prevenzione idrogeologica, sequestro Co2 mitigazione climatica, biodiversità.

Valorizzare l’offerta di cultura, socialità e tempo libero che il territorio agricolo propone ai cittadini.

Fermare, rafforzando l’economia rurale, il consumo di suolo e la per-dita di paesaggio.

La creazione di sistemi di informazione, comunicazione, formazione e relazione per e tra: produttori, consumatori (con particolare riferimento ai GAS) ed operatori della logistica/distribuzione per consentire:

Ai cittadini e ai consumatori organizzati di individuare produttori, prodotti e servizi dell’agricoltura eco-sostenibile e di interagire con loro.

Ai produttori di proporre e promuovere i propri prodotti e servizi, di connettersi con la domanda di individuare altri produttori, distretti e/o servi-zi distributivi con cui promuovere nuovi servizi e opportunità.

Al Parco di accompagnare la formazione di una nuova imprenditoria agricola eco-sostenibile con specifici servizi di formazione, informazione e affiancamento tecnico, in collaborazione con gli operatori, i Distretti, le orga-nizzazioni dei produttori e gli Enti deputati alle politiche agricole.

Ai titolari di servizi di ristorazione e di alloggio che operano nel terri-torio rurale (agriturismi), cascine multifunzionali e di ristorazione che impie-gano prodotti del territorio, offrono servizi e propongono eventi culturali e ricreativi di proporsi e valorizzare la propria offerta.

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

A promuovere iniziative di recupero e messa a coltura di terreni mar-ginali o dismessi.

Individuare e attuare, con gli operatori e gli enti locali, soluzioni per la gestione ottimale delle risorse idriche e delle acque irrigue, con riferimen-to alla responsabilizzazione diretta dei principali fruitori/consumatori della risorsa (cittadini compresi).

Promuovere soluzioni avanzate ed efficienti per la produzione, di-stribuzione e il consumo di energia e la sinergia tra produzioni agricole ed energia.

Mettere a punto progetti ed iniziative per la mobilità sostenibile e la connessione ciclabile e ciclo-turistica.

Adottare negli allevamenti criteri logistico/gestionali orientati al be-nessere animale oltre che alla salubrità/qualità delle carni e dei prodotti lat-tiero/caseari.

Concludendo

Serve un cambio di passo e serve vedere il coinvolgimento della cit-tadinanza del Parco non come un rischio di perdita di ruolo, ma come un’op-portunità di rilancio della funzione dei Parchi e del rapporto di empatia con il territorio.

Serve, però, una strategia di partecipazione che, al di là della difesa delle competenze, dell’esasperazione dei conflitti e della rassegna delle opi-nioni, premi invece i soggetti e le iniziative che si facciano carico degli obiet-tivi strategici dei parchi del XXI secolo.

Servono, dunque, percorsi e strumenti di partecipazione attiva che siano trasparenti, organizzati e inclusivi e dunque: finalizzati (conoscere e condividere l’obiettivo principale del processo); strutturati (supportati da un metodo e da regole di interazione e accompagnati da un’agenda di percorso, da rendicontazione dei risultati, da strumenti efficienti e di largo e agevole ac-

cesso); aperti alla partecipazione più ampia e trasparenti (anche grazie all’uso delle opportune tecnologie); propositivi (fino a influire sulla scala della proget-tualità, dell’attuazione e della gestione degli interventi e delle attività); di lungo periodo (in modo da coprire l’intero percorso decisionale e attuativo); tali da assicurare sostenibilità economica agli interventi (pubblici e privati), e compe-titività, redditività e attrattività ai settori dell’economia sostenibile; di ampia ri-sonanza e rappresentatività degli interessi e delle competenze; con una forte legittimazione preliminare (Patto partecipativo); capaci di consolidare via via in documenti formali (decisioni) le convergenze, gli scenari e le progettualità condivise e di darne comunicazione e risonanza pubblica; gestiti in moda da re-sponsabilizzare gli attori nell’attuazione di quanto deciso, per quanto ciascuno ne abbia potestà, possibilità e competenza.

Stabilire relazioni: è il presupposto indispensabile per l’efficacia delle politiche di sostenibilità è la possibilità di cooperare tra i soggetti interessati al cambiamento delle prassi ad alta incidenza ambientale e alla promozione delle attività ecosostenibili. Per far questo, condizione base è l’aumento della capacità del Parco e delle Amministrazioni di stabilire relazioni di condivisione e di collabo-razione con/e tra individui, imprese, gruppi d’interesse e comunità locali.

Questa capacità di relazione richiede di:

• saper leggere e far emergere una convergenza d’interessi anche nei contesti di potenziale conflitto o di indifferenza rispetto agli obiettivi del Parco;• costruire una relazione di tipo empatico;• una disponibilità della pubblica amministrazione a riconoscere capacità e ruoli di altri nella costruzione delle decisioni ma, soprattutto, nell’attuazione dei piani/progetti e nella gestione delle risorse e dei servizi ambientali (sussidiarietà);• passare da una prassi basata sull’enfasi sulle norme e sui piani e sul ruolo monocratico del Parco a un metodo basato sulla programmazione di interventi e gestioni che coinvolgano le comunità, gli operatori e i cittadini.

Nella programmazione non può mancare la strategia partecipativa.

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Introduzione: nuovi modelli economici

Dobbiamo far riferimento a due concetti fondamentali, che per il mo-mento sono sostanzialmente uno contenuto nell’altro: green economy e cir-cular economy. Il concetto di green economy ha un grande vantaggio, perché è stato identificato dalle principali istituzioni a livello internazionale come il concetto che rappresenta i nuovi modelli economici. Quindi, al di là del fatto che possa essere inflazionato dal punto di vista mediatico, dal 2011 il tema è stato individuato come significativo per definire un nuovo modello di svilup-po verso il quale dovremmo tendere.

Dal 2011, perché è questo l’anno in cui vengono pubblicati due docu-menti chiave preparatori alla conferenza Rio+20 del 2012:

1. Il Rapporto della United Nations Environment Programme (UNEP) “Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication”15: documento che articola cosa significhi, dal punto di vista degli investimenti ma anche delle possibilità di sviluppo, per una decina di macro-settori rilevanti porsi nella prospettiva della green economy.

2. Il documento OCSE “Towards Green Growth”16 che, invece, si riferisce al concetto di crescita ed è complementare al precedente.

1. PREMESSA

Marco Frey, Scuola Superiore Sant’Anna

7. PARCHI LUOGHI DI ECCELLENZA E SPERIMENTAZIONE PER NUOVI MODELLI ECONOMICI: LE ECONOMIE CIRCOLARI

15 Documento scaricabile dal sito: http://web.unep.org/greeneconomy/resources/green-economy-report 16 Documento scaricabile dal sito: http://www.oecd-ilibrary.org/environment/towards-green-growth_9789264111318-en

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L’abbazia cistercense di Morimondo, nel Parco Lombardo Valle del Ticino, sede di eventi culturali.

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Grazie a questi documenti, dal 2011 si è identificata la green eco-nomy come “un’economia capace di produrre un benessere, di migliore qualità e più equamente esteso, migliorando la qualità dell’ambiente e salvaguardando il capitale naturale”. In questa definizione vi sono alcuni concetti che cercano di risolvere le contraddizioni insite nel modello di svi-luppo precedente. In primo luogo la fortissima polarizzazione tra i Paesi che stanno meglio e consumano di più e Paesi che stanno peggio e consumano di meno. Il tema del benessere, quindi, è una questione centrale: perché non è possibile chiedere ai Paesi meno sviluppati di risolvere le problemati-che ambientali prima di pensare alle loro esigenze primarie. Tra l’altro, que-sto concetto è stato ben espresso a RIO+20, perché si è posta al centro in quella sede una green economy equa. In altri termini la ricerca dell’equità e di una riduzione delle differenze è fondamentale nel perseguire un modello di sviluppo più sostenibile.

A questa si aggiunge l’ultima parte della definizione: “migliorando la qualità dell’ambiente e salvaguardando il capitale naturale”. Si vede come il termine qualità ritorni ben due volte nella definizione. Si parla di uno svi-luppo qualitativo. Non si tratta della decrescita (degrowth) di Serge Latou-che, anche se molti dei contenuti di Latouche vengono ripresi. Ci può essere crescita, ma si tratta di crescita qualitativa, e la qualità della crescita è legata alla qualità dell’ambiente. Questa che abbiamo analizzato è la definizione dell’UNEP, l’agenzia delle nazioni Unite che si occupa di ambiente, ma non è stata messa in discussione dall’OCSE che, rappresentando i Paesi più svi-luppati, non può essere senz’altro considerata un’istituzione ambientalista.

Più recentemente, dopo Rio+20, è emerso il concetto di circular economy. La circular economy si sviluppa a partire dalla green economy e può esserne considerata una parte meglio caratterizzata. Nasce a partire dal tema della chiusura dei cicli, soprattutto dei materiali, dei rifiuti come risorsa. Nella definizione della MacArthur Foundation in realtà gioca su due dimensioni: quella dei materiali fisici e quella dei materiali biologici. Ed è questa seconda parte che ci interessa maggiormente all’interno del ragio-namento sui Parchi. Possiamo quindi definire la circular economy: “un’eco-nomia che sia rigenerativa per definizione: i materiali biologici sono pro-gettati per rientrare nella biosfera, e i materiali tecnici sono progettati per

circolare con una minima perdita di qualità”17. Significa che bisogna pensa-re ex-ante a quelli che sono i cicli di rigenerazione: non è banale e richiede progettualità. Una progettualità che può trovare spazio soprattutto in sedi come quelle dei Parchi e delle sperimentazioni che qui possono essere ef-fettuate.

DOMANDE

• I Parchi oggi, sono un po’ al margine del sistema economico imperante in quanto sono stati limitati nella crescita. Non hanno, dunque, un modello economico consolidato. La “libertà” che deriva da questa parziale emarginazione può essere un’opportunità per inventare/sperimentare nuovi modelli utili per un mondo in trasformazione?

• I Parchi potrebbero dunque diventare luoghi di eccellenza per economie verdi vere che nascono dalle risorse e dai paesaggi?

• In un mondo in cui il 70% della popolazione vive in aree urbane e il 100% detiene stili di vita urbani, qualcuno deve conservare la conoscenza diretta dei cicli e dei comportamenti naturali. Il valore dei Parchi dipende dunque dal valore del capitale naturale e da quello del capitale culturale conservato e trasmesso. Quanto vale un Parco?

• I benefici che i Parchi inducono sui territori e sulle città: Quanto valgono i servizi diretti e indiretti erogati al territorio e alle città?

17 Ellen MacArthur Foundation.

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Per rispondere a queste domande è importante riprendere alcuni dei dati che si leggevano nel rapporto Federparchi - Aster “Parchi come luogo di intreccio tra green economy e green society”18. L’importanza della presenza del Parco nel territorio, per esempio. (Fig. 12)

In questo primo grafico si vede come prevalga la dimensione della tutela paesaggistica-ambientale e degli assetti idrogeologici. Ma il secondo è l’aspetto simbolico o dell’identità territoriale. Rispetto alla valorizzazione delle risorse è importante il tema delle diverse identità. Spesso i Parchi sono luoghi della conservazione dell’identità, rispetto ai cambiamenti che avven-gono al di fuori, ma anche rispetto allo spostamento verso le aree urbane della popolazione. Il terzo è culturale, come incubatore di pratiche sostenibi-li. Il Parco su queste basi non sembrerebbe creare sufficiente sviluppo per le imprese, ma principalmente nella dimensione turistica. Il turismo di qualità

17 Documento presentato a Roma il 11-12 dicembre 2013 in occasione della conferenza nazionale ‘La natura dell’Italia’: www.parks.it/federparchi/dettaglio.php?id=24977

Figura 12 – Importanza della presenza del Parco per il territorio sotto il profilo...

fa parte della logica della green economy, ma deve essere portatore di una dimensione di attrattività di lungo periodo in cui anche le iniziative impren-ditoriali trovino spazio di azione.

Il secondo grafico (Fig. 13) afferma che le relazioni principali dei parchi sono con i rappresentanti degli interlocutori economici, il che può essere funzionale a una strategia che ne valorizzi la funzione di attrattività intesa in senso ampio.

Figura 13 – Relazioni con gli attori territoriali da rafforzare o migliorare.

Figura 14 – In che senso e in quale misura il Parco ha prodotto sviluppo.

del paesaggio, della tutela ambientale, degli assetti idrogeologici

associazioni del commercio e del turismo

associazioni imprenditoriali dell’agricoltura

amministrazioni locali

attirando flussi di visitatori dall’esterno

stimolando la domanda di servizi legati ad ambiente e tempo libero

incentivando sperimentazioni e buone pratiche sostenibili

contribuendo alla qualità della vita culturale

contribuendo a far conoscere le produzioni locali

stimolando l’innovazione tra gli imprenditori del territorio

simbolico e dell’identità territoriale

culturale, come incubatore e promotore di pratiche sostenibili

economico, sotto il profilo dell’attrattività di flussi di visitatori

economico, come sede o spunto per iniziative imprenditoriali

per niente poco abbastanza molto

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 %

8,7 90,4

7,2 27,7 65,1

37

35,8

32,1

12 32,5 55,4

6,3 39,2 54,4

29,3 41,5 26,8

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 %

6 34,9 59

7,3 35,3 57,3

10,1 32,9 57

7,7 37,2 55,1

19,3 43,4 37,3

23,1 43,6 33,3

no o marginalmente in misura contenuta sì

66 67

I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Figura 15 – Sintesi.

Vi è poi un terzo grafico (Fig. 14) estratto dallo stesso rapporto. Nella dimensione prospettica, in coerenza con quanto evidenziato in precedenza, è importante capire che si deve puntare principalmente su due ambiti: svi-luppo dell’imprenditoria locale e incentivazione di sperimentazioni e buone pratiche sostenibili.

Questo che segue è un grafico che ci permette di fare una prima sin-tesi di quanto sinora visto.

1. È importante riuscire a mettere a sistema le tante e diverse iden-tità. Biodiversità, food diversity, identità socio-culturali… In una situa-zione in cui il Paese Italia sviluppa poco e sfrutta poco nella competi-zione internazionale la grande varietà di identità che lo caratterizzano. Il brand Italia a livello internazionale è fortissimo, ma non riesce sem-pre a emergere.

2. Il capitale (non solo naturale, ma anche antropico, ecc.): esiste uno stock che devo preservare, perché altrimenti riduco il valore che

genera. In economia è normale che per valorizzare debbo conservare bene e viceversa. Nella cultura ambientalista c’è più opposizione tra questi due termini; invece bisogna ritrovare un equilibrio.

3. Terzo, capacità distintive e di innovazione. Distintive: cioè che ci portino a emergere, a essere percepiti come differenti. Di innova-zione: in questo ambito si può evidenziare come la crescita digitale e green viaggino di pari passo. Il digitale è un potenziatore dei valori, grazie alla sua pervasività e alle nuove prospettive che veicola (sha-ring economy, Internet delle cose...).

4. Con tutti questi termini elencati fin qui, si genera attrattività. Il Parco si deve focalizzare sul generare un’attrattività completamente alternativa a quella urbana (“stare nella Natura”) ma allo stesso tempo complementare (filiere corte, per esempio Parco Sud Milano).

5. Infine, sviluppo sostenibile ed equo, cercando di risolvere le con-traddizioni. Bisogna trovare un compromesso di coesistenza.

In una visione prospettica abbiamo visto come prevalga la concezio-ne del Parco come laboratorio e sperimentazione di pratiche, modelli di ge-stione, progetti da riprodurre e generalizzare sul territorio.

Un nuovo modo, quindi, d’intendere l’area protetta come officina del-la green economy, non separata dal territorio, ma neanche subordinata alle strategie immediate di questo. Il Parco così concepito può essere assunto come luogo che informa di sé il sistema produttivo, l’agire amministrativo, le politiche di sviluppo locali.

Tornando alla logica della circolarità, la questione in una prospettiva di lungo periodo è di perseguire non soltanto un’economia circolare, ma una società circolare.

Ma anche limitandosi alla dimensione più ambientale, il tema di base è apparentemente semplice: l’abbondanza e il basso costo delle risorse na-turali ha portato il sistema economico a un modello lineare.

Identità (territoriali)

Sviluppo(sostenibile

ed equo)

Attrattività(extraurbana)

Capacità(distintive e di innovazione)

Capitale(naturale)

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Per la circolarità: serve un orientamento strategico

Altri flash: Business priority, non ragionare in una prospettiva di corto periodo. Alcuni degli strumenti: l’Impronta ecologica promossa dall’Unio-ne europea cerca di rendere visibili immediatamente tutti gli impatti delle nostre scelte, lungo tutta la catena di distribuzione (supply chain). Uso delle risorse e mantenimento delle risorse nel tempo. E così via…

Per riuscire a ragionare in quest’ottica, per portare un sistema che non è circolare ad avvicinarsi alla circolarità, bisogna applicare adeguate strate-gie di policy making, incentivi, una circolazione dell’informazione, strumenti innovativi, capacità di pianificare… e un uso ben bilanciato di strumenti vo-lontari e obbligatori, perché i secondi non funzionano particolarmente bene in questa prospettiva.

Ultimo passaggio: se ragioniamo in termini di lungo periodo ci ser-ve uno scenario adeguato. Lo scenario di lungo periodo più utile è quello degli “Obiettivi di sviluppo sostenibile” (SDG) delineati dall’ONU nell’ambito dell’Agenda 2030. Uno scenario eccellente, molto ampio, che va declinato in modo preciso e dettagliato, attraverso i 169 target.

O in altri termini: quali sono le cause che generano le “perdite” che assottigliano il flusso (ovvero le “forze centrifughe”) e quali azioni di policy possono avere un effetto centripeto.

Mentre la natura e le politiche ambientali mirano a un “cerchio per-fetto”. Tutto ciò ha senso economico? Come siamo effettivamente messi in questo processo?

Nello schema che segue proviamo a evidenziare le forze centripete e centrifughe che possono favorire o frenare lo sviluppo dell’economia circo-lare. Senza entrare nel merito dello schema, che richiederebbe troppo tem-po, si può per esempio comprendere come si possano fare scelte di design orientate alla green economy, che possono premiare rispetto alla visibilità del pubblico e degli interlocutori. Con questo approccio, si può fare un design ambientalmente orientato.

Figura 16 – Modello lineare.

Figura 17 – Modello circolare. Figura 18 – Obiettivi di sviluppo sostenibile ONU.

70 71

I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Che differenza c’è tra Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite (MDGs) che hanno caratterizzato l’agenda 2000-2015 e SDGs? Si vede nello schema della figura 19.

Gli obiettivi più importanti dal punto di vista dell’ambiente sono quelli relativi a Planet (6-12-13-14-15) a cui si affiancano quelli economici del Prosperity (7-8-9-10-11). Questa dimensione non era presente nei MDGs dove prevaleva la dimensione sociale (1-2-3-4-5), che ora viene affiancata oltre che quella ambientale e da quella economica. Occorre poi sottolineare come tenere le tre dimensioni connesse sia importante ed efficace.

Nello schema della figura 20 si vede, infine, la situazione italiana ri-spetto agli SDG. Se ha senso pensare che nel nostro Paese il Capitale Natu-rale sia una componente strategica, da valorizzare nelle tre dimensioni, cioè sociale, economica e ambientale, allora bisogna mettersi a lavorare su questi temi in una dimensione collettiva, misurando il delta. Quando ci si muove al momento giusto, in modo proattivo si ottengono grandi risultati e grande visibilità.

Figura 19 – Differenze tra MDGs e SDGs.

DignitàEliminare la povertà

e combattere le disuguaglianze

PersoneAssicurare la salute,

l’educazione e l’inclusione

di donne e bambini

PianetaProteggere

gli ecosistemiper la società e per i nostri

bambini

CollaborazioneCatalizzare un’adesione

globale ai principi

dello sviluppo sostenibile

GiustiziaPromuovere

società giuste e pacifiche

e istituzioni salde

ProsperitàColtivare

un’economia forte,

inclusiva e trasformativa

1 5 2 3 4 6 12 13 14 15 17 16 7 8 9 10 11

1 23 4 5 6 7 8

MD

GS

S

DG

S

2000

2030

2015

Figura 20 – Situazione italiana rispetto agli SDG.

Obiettivo 1: Povertà zero1.1 Tasso di povertà1.2 Divario economico

Obiettivo 2: Fame zero2.1 Bilancio lordo dei nutrienti agricoli2.2 Tasso di obesità

Obiettivo 3: Salute e benessere3.1 Aspettativa di vita sana3.2 Soddisfazione della vita

Obiettivo 4: Istruzione4.1 Raggiungimento diploma secondario4.2 Punteggi PISA

Obiettivo 5: Uguaglianza di genere5.1 Quote rosa in Parlamento5.2 Divario di genere

Obiettivo 6: Acqua e igiene6.1 Percentuale di acqua potabile sulle intere risorse interne6.2 Popolazione collegata a impianti di depurazione

Obiettivo 7: Energia pulita7.1 Intensità energetica7.2 Percentuale di energie rinnovabili

Obiettivo 8: Economia e lavoro8.1 Reddito pro capite8.2 Tasso di occupazione

Obiettivo 9: Infrastrutture e innovazione9.1 Investimenti fissi lordi9.2 Spesa per ricerca e sviluppo

Obiettivo 10: Diseguaglianze10.1 Indice Palma ratio

10.2 Indice PISA Social Justice

Obiettivo 11: Città sostenibili11.1 Particolato nell’aria

11.2 Rapporto stanze/persone

Obiettivo 12: Sostenibilità12.1 Produzione di rifiuti cittadini

12.2 Consumo domestico di materiali

Obiettivo 13: Clima13.1 Emissioni di CO2 legate alla produzione

13.2 Emissioni gas Serra/Prodotto Interno Lordo

Obiettivo 14: Oceani14.1 Indice Ocean Health

14.2 Giacimenti ittici sovrasfruttati

Obiettivo 15: Biodiversità15.1 Aree protette terrestri

15.2 Lista rossa degli uccelli

Obiettivo 16 Istituzioni16.1 Omicidi

16.2 Indice di corruzione

Obiettivo 17: Partnership17.1 Assistenza allo sviluppo

17.2 Monitoraggio degli SDGs

rank 1-5 rank 6-13 rank 14-20 rank 21-27 rank 28-34

Posizionamento italiano rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030

72 73

I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

L’entusiasmo con cui sono nati le Regioni e i Parchi negli anni Settan-ta-Novanta purtroppo non si è rinnovato oggi all’atto di nascita delle città metropolitane.

Nello scorso secolo

Nella nascente cultura ecologica degli anni Settanta i Parchi erano vi-sti come un nuovo mezzo innovativo e straordinario per la difesa immedia-ta del territorio e dell’ambiente in assenza di altri strumenti normativi, così nel 1974 nasce il Parco Ticino; nel 1983 la Legge regionale sul Piano generale delle aree regionali protette; nel 1990 il Parco Sud Milano. Sono stati anni bellissimi con grandi contraddizioni. In parallelo all’entusiasmo diffuso, vi era la convinzione che la difesa dell’ambiente fosse una prerogativa esclusiva dell’Ente pubblico e delle associazioni ambientaliste, dato che il privato per definizione inquinava attraverso le proprie attività produttive. Vi era una vi-sione critica anche verso l’agricoltura e la selvicoltura e il loro eventuale lato positivo per l’ambiente era ritenuto legato solo agli aspetti più tradizionali e desueti.

Si ricorda, per esempio, che nel 1975 una norma transitoria della re-gione Lombardia vietò di fatto ogni tipo di taglio dei boschi. Fortunatamen-te nel 1976 la prima legge forestale regionale, fortemente innovativa, ride-finì modernamente il taglio dei boschi in una visione corretta, ricordando la necessità della gestione attiva del bosco e vincolando, per la prima volta in Italia, anche i boschi di pianura.

In quegli anni si è visto il passaggio dallo Stato centralista statico, con certezze normative immutabili, al decentramento regionale e locale. In Lombardia si è così sviluppata una grande capacità di strategia e innova-zione attraverso leggi, normative, piani e programmi relativi all’urbanistica, al territorio e al settore agroforestale nel suo complesso.

1. PREMESSA

Paolo Lassini, DISAA, UNIMI

8. COSTRUIRE INNOVAZIONE ALL’INTERNO DELLE PA

N. C

AN

OVI

Il Parco lombardo del Ticino governa un territorio di oltre 92mila ettari conciliando le esigenze della protezione ambientale con quelle sociali ed economiche.

74 75

I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Nel nuovo secolo si apre una fase in cui non ci sono più le certezze normative statali, ma vacilla anche la capacità di innovazione regionale, si è in una situazione molto logorata, nella quale si cede troppo spesso sia a ec-cessi di estemporaneità che di garantismo politico e tecnico amministrativo.

Nel secolo scorso vi è stata grande attenzione politica e una grande disponibilità di fondi dedicati alle aree protette, alla formazione di nuovi boschi e sistemi verdi, alla formazione di personale qualificato nelle aree protette, con la creazione di ARF e poi ERSAF, con la creazione della Rete Natura 2000. Questa attenzione è andata scemando nel nuovo secolo.

Nel secolo scorso si è privilegiata una politica di acquisizioni e di de-manializzazione per la difesa delle aree naturali, forse anche eccessiva fino a ritrovarsi con un carico di manutenzione ordinaria non in grado di essere gestita. Così è stato per il Parco del Ticino, per il Parco Sud Milano e per Er-saf. L’acquisto dai privati di beni da conservare e proteggere a totale carico dell’Ente pubblico ha avuto una sua logica e storia nel passato, ma ora non è più sostenibile, né equa socialmente; oggi forse ha bisogno di un rinno-vamento coinvolgendo nella conservazione e sviluppo delle aree protette maggiormente i privati e in particolare gli agricoltori.

Ragionando sull’attualità in relazione al ruolo dei Parchi si può osser-vare che:

• È assente di un quadro di riferimento strategico politico nazionale e regionale e vi è un logoramento della capacità innovativa degli enti pubblici.

• È poco conosciuto il ruolo positivo che i Parchi regionali, le aree protette in generale, i PLIS, hanno svolto e svolgono ancora oggi dalla nascita e nel nuovo secolo, nonostante le criticità che si evidenziano.

• Ora varie nuove istituzioni e normative possono garantire quanto garantivano nel passato solo i Parchi, cosi per le norme forestali, idrogeologiche, rurali, ambientali, paesaggistiche e contenimento

dell’uso del suolo. Tutte queste nuove normative tuttavia sono settoriali e spesso non interagiscono tra di loro.

• Gli enti gestori delle aree protette hanno una ridotta autonomia sia economica sia di personale.

• La scarsa attenzione ai Parchi ha favorito un logoramento dei livelli politici e del personale.

• I demani degli Enti pubblici e dei Parchi sono spesso abbandonati o comunque sottoutilizzati.

• Anche a seguito della dismissione delle competenze alle province, tranne fortunate eccezioni, vi è una assenza sostanziale di vigilanza e presidio ambientale sul territorio.

• Il mondo agricolo e il mondo ambientale pubblico non si parlano ancora abbastanza; così, per esempio, dal 2012 i distretti rurali milanesi nascono senza la partecipazione e l’accompagnamento dei rispettivi Parchi.

Una grande opportunità: lo sviluppo del sistema rurale

Nell’ultimo secolo varie leggi regionali iniziano a considerare il valore del suolo e a prevederne la difesa in vari modi, ma ancora non considerano che una vera difesa del suolo si ha promuovendone la valorizzazione, intesa come sviluppo rurale.

La politica agricola comunitaria, ma anche varie direttive promuovo-no lo sviluppo rurale, ma non è chiaro che cosa s’intenda per rurale. La dire-zione culturale è verso la concezione di un sistema rurale inteso come l’insie-me unitario dei territori esterni alle città. Per essere considerato un sistema, questo territorio non può essere definito come la sommatoria dei suoi con-tenuti e caratteristiche quali: reti ecologiche, agroforestazione, strutture e infrastrutture agricole e non agricole. Deve, viceversa, avere un approccio di conoscenza e di valutazione unitario e una sua autonomia funzionale e di

76 77

I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

valori Il sistema rurale deve interagire con il sistema urbano, ma non esserne subordinato e considerato come uno spazio di espansione dell’urbanizzato.

Come si può gestire il sistema rurale è la questione che si sta affron-tando all’interno dell’INU tra agronomi, architetti e ingegneri. È necessario de-finire che la parte rurale del territorio ha una sua unitarietà, all’interno della quale gli agroecosistemi sono il tessuto portante, ma non esclusivo. Il minimo deflusso vitale nel Ticino non è un limite che può essere tutelato senza com-prendere appieno le interazioni con il sistema complesso della irrigazione.

L’art. 4 quater, comma 2 e 3 L. 31/2008 della Regione Lombardia reci-ta: “La Regione riconosce il suolo agricolo quale spazio dedicato alla produ-zione di alimenti, alla tutela della biodiversità, all’equilibrio del territorio e dell’ambiente, alla produzione di utilità pubbliche quali la qualità dell’aria e dell’acqua, la difesa idrogeologica, la qualità della vita di tutta la popolazio-ne e quale elemento costitutivo del sistema rurale. La Regione considera il sistema rurale una componente fondamentale del suo sistema territoriale e ritiene che le criticità emergenti sul consumo di suolo agricolo devono esse-re affrontate con adeguate politiche...“

In un incontro interprofessionale si è provato a definire il sistema ru-rale quale: “Il territorio non urbanizzato costituito da ecosistemi a vario gra-do di naturalità, attività e strutture e infrastrutture agricole ed extragricole, dove gli ecosistemi agricoli, forestali, naturali gestiti dall’uomo sono il tessu-to prezioso e indispensabile”.

I Parchi del XXI secolo

Il ruolo futuro dei Parchi potrebbe essere la regia dello sviluppo del sistema rurale del proprio territorio, in quanto sistema in grado di esprime-re la maggior biodiversità. I Parchi, grazie alla visione unitaria del territorio rurale che possono avere, dovrebbero occuparsi del coordinamento, della pianificazione e programmazione e accompagnamento dello sviluppo ru-rale e degli agroecosistemi, non sostituendosi, ma attraverso e con gli Enti istituzionalmente già preposti, evitando duplicazioni e occupandosi diretta-mente degli aspetti naturalistici. Il Parco dovrebbe catalizzare le risorse e le

energie esistenti per lo sviluppo rurale complessivo. Il Parco può diventa-re una reale opportunità di sviluppo.

Le criticità e le difficoltà per perseguire questo obiettivo, prima che economiche, sono di capacità di governo verso obiettivi precisi, di accom-pagnamento, di catalizzazione delle risorse esistenti private e pubbliche.

I parchi, per esempio, fin da ora possono promuovere e sviluppare progetti integrati di area: attraverso l’accompagnamento, la formulazione di indirizzi di competenza pubblica, il raggiungimento delle realizzazioni e del loro monitoraggio, lasciando la progettualità e l’operatività ad altri sog-getti pubblici e privati e della società civile in grado di svolgerle.

I Parchi potrebbero dedicarsi anche ad azioni dirette sul territorio a carattere sperimentale e in caso di assenza dell’iniziativa privata, con l’im-piego prevalente di giovani. Si potrebbero sviluppare dei cantieri scuola di recupero ambientale, anche con immigrati.

I Parchi possono godere di alcune opportunità in relazione a un nuovo ruolo.

Riconoscimento dei servizi ecosistemici certificati

• Copertura di un vuoto sulla pianificazione e programmazione dei territori rurali.

• Rete di personale qualificato sul territorio regionale, dipendente o funzionale alle aree protette.

• Disponibilità di beni demaniali valorizzabili e di aree rurali pubbliche e private rigenerabili. • Disponibilità di fondi europei, di compensazione (compensazione forestale, compensazione L.R. 12/2005, compensazione L.R. 31/2014, compensazioni infrastrutture): tutti inutilizzati.

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

• Sviluppo di accordi quadro territoriali quale, per esempio, l’AQST Milano metropoli rurale.

Alcuni obiettivi e servizi che entro il 2027 potrebbe conseguire la rete delle aree protette attraverso il coordinamento, accompagnamento, indirizzo, ricerca fondi, rischio condiviso con le attività del territorio.

• Riduzione delle emissioni in agricoltura: -20%.

• Incremento della sostanza organica nel terreno: +0,5%.

• Incremento della biodiversità del 20%: da 12 a 25 m/ha di siepi e filari.

• Raddoppio dell’occupazione agricola (oggi 1 persona ogni 10 ha).

• Gestione attiva e programmata con adeguata economia di scala di tutti i beni demaniali dei Parchi e delle aree protette, fatta eccezione per le aree programmate per l’abbandono all’evoluzione naturale.

• Copertura di almeno un quarto della ristorazione pubblica con prodotti del territorio.

• Raddoppio in rete della capacità di ospitalità rurale per una fruizio-ne integrata.

• Recupero del 10% della volumetria rurale esistente per attività ex-tra-agricole produttive e sociali compatibili: deve rimanere parte inte-grante dell’attività agricola.

Proposta di ristrutturazione del personale della rete attuale dei parchi e delle aree protette, riunendolo in due direzioni generali della Re-gione Lombardia in relazione alle due principali funzioni.

Vigilanza: Direzione generale di vigilanza e salvaguardia regionale (Corpo forestale regionale, del resto già approvato dalla L.R. 2/2002, Istitu-

zione del Corpo Forestale Regionale): monitoraggio sui vincoli, prevenzione, vigilanza, repressione ed educazione ambientale.

Pianificazione, programmazione, gestione: Direzione Generale, per la gestione delle aree protette: struttura tecnico amministrativa unitaria a livello regionale, che risponde sia a un livello politico centrale (Giunta-Asses-sore delegato), sia all’attuale livello politico dei Parchi: tende a raggiungere gli obiettivi definiti, indirizzando e utilizzando per quanto possibile gli Enti già esistenti; si occupa direttamente degli aspetti naturalistici; promuove e coordina interventi integrati d’area sul proprio territorio rurale. È stato appli-cato in Finlandia.

80 81

I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

L’intervento è suddiviso in quattro parti: una breve introduzione storica del sistema idrico della città di New York; una descrizione delle problematiche che si presentano sul futuro dell’acqua di New York, la gestione della riserva di Catskill, che protegge le riserve acquifere che abbeverano N.Y.; alcune conclusio-ni in un momento storico di incertezze sull’ambiente globale.

Il primo esempio di un rapporto virtuoso con l’acqua è Venezia: un’isola praticamente priva d’acqua dolce e accerchiata d’acqua salata. A Venezia ogni campo (le piazze intorno a cui si organizzano i quartieri) ha nel suo centro una struttura tipica: il pozzo. I pozzi sono una parte essenziale delle strategie per la raccolta dell’acqua in città. A Venezia, ogni campo è in primo luogo una super-ficie per la raccolta delle acque piovane. Questo esempio di multifunzionalità dello spazio pubblico è importante per noi, nel XXI secolo, perché convivono: architettura dello spazio pubblico, protezione delle risorse e infrastrutture.

Un’altra città su di un’isola accerchiata da acqua salata, praticamente senza riserve idriche, è Manhattan. In origine, l’acqua di New York era prover-bialmente cattiva, tanto che si dice che i cavalli di Philadelphia si rifiutassero di berla. Storicamente i reflui della città e le riserve d’acqua si trovavano fian-co a fianco. Le malattie infettive dovute ad acqua contaminata erano molto diffuse: a New York si sono avute diverse epidemie di colera. Anche gli incen-di erano un problema ricorrente nella città. Dopo il grande incendio del 1832 la città organizzò il prima sistema idraulico urbano.

Il sistema idrico di New York è sempre stato caratterizzato per il suo carattere di innovazione. La città costruì enormi infrastrutture per portare in città acqua di buona qualità, da molto lontano. La ricchezza d’acqua di qualità portò a un aumento del consumo giornaliero pro-capite. Ciò deter-minò un miglioramento della qualità della vita: da allora il consumo d’acqua è continuato ad aumentare.

1. PREMESSA

Prof. Kevin Bone (testo tradotto e adattato da C. Donisi)

9. CATSKILL MOUNTAIN: UNA LEZIONE PER IL XXI SECOLO

Mappa storica dell’isola di Manhattan: grandi opere hanno portato acqua potabile in città.

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

La popolazione cresceva e ancora di più cresceva l’uso quotidiano della gente. La città ha dovuto confrontarsi con questo fenomeno di crescita della popolazione e dell’uso dell’acqua.

Al crescere della popolazione è cresciuto tantissimo il consumo d’ac-qua pro-capite, tanto che tutte le volte che sono stati fissati dei target ra-gionevoli, questi sono stati superati. New York fronteggiava la crescita di popolazione continuando a costruire nuove strutture e a fare manutenzione

Figura 21 – Tabella popolazione/uso acqua (New York).

di quelle esistenti. Central Park Reservoir è il serbatoio principale della città. L’infrastruttura idraulica della città ha continuato a crescere in dimensione e sofisticatezza. Le strutture idrauliche sono delle sfide ingegneristiche. La diga Croton sul fiume Hudson (1906) è un esempio meraviglioso del sistema idraulico newyorkese.

L’esplosione dell’immigrazione di inizio secolo, con il passaggio da 1.500.000 a 5.000.000 di abitanti, ha posto nuove sfide. Grazie a nuovi ma-teriali è stato possibile incrementare la dimensione delle strutture di ad-duzione dell’acqua. La ricerca fatta sui nuovi materiali in questo periodo storico è fondamentale ancora oggi. Nel lasso di tempo dal 1907 al 1924 si costruì l’acquedotto dei monti Catskill, una catena montuosa parte delle catene degli Appalachi, nel bacino est del fiume Hudson. La cosa interes-sante è che l’acqua di questo acquedotto non è in pressione, ma scende verso New York per gravità. Le tubazioni si presentano come dei fiumi in-tubati: sono delle meravigliose strutture ingegneristiche. Il 95% dell’acqua arriva a New York City senza l’utilizzo di apparecchi idraulici, dunque senza energia. Questo è molto importante oggi dal un punto di vista della so-stenibilità dell’intero sistema. Per fare un paragone, un terzo dell’energia prodotta nello stato della California, viene usato per movimentare l’acqua.

Il maggior problema da affrontare per portare a New York l’acqua dei monti Catskill era quello di superare il fiume Hudson. Sono stati fatti diversi studi per superare il problema. Cento anni fa, si è realizzato un tunnel molto sovradimensionato, con un orizzonte temporale di lunghissimo periodo: è un’opera che, probabilmente, riuscirà ad adempiere il suo dovere egregia-mente ancora per i prossimi cent’anni. Si tratta di meravigliose strutture in-gegneristiche e di sperimentazioni che sono diventate best practice dell’in-gegneria idraulica.

Con l’ingresso nell’epoca moderna, nel 1950 la popolazione della città si va stabilizzando, ma il tasso di utilizzo giornaliero dell’acqua con-tinua ad aumentare. La città di New York deve andare a cercare l’acqua più lontano. Il sistema idraulico della città va oltre al bacino dell’Hudson e inizia a prendere acqua anche dal bacino del fiume Delaware, con struttu-re ingegneristiche di dimensioni eccezionali. Inizia, comunque, a rendersi

Anno

1664

1790

1820

1850

1870

1880

1890

1910

1920

1930

1950

1960

1970

1980

1990

Popolazione

1.500

33.131

123.706

696.115

942.292

1.164.673

1.441.216

4.766.883

5.620.048

6.930.446

7.891.957

7.781.984

7.894.862

7.071.639

7.322.564

Consumogiornaliero

litrigiorno/persona

45

296

303

288

295

417

466

535

569

625

682

701

724

84 85

I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

evidente che l’unico modo per mantenere le riserve è di diminuire il con-sumo pro-capite d’acqua.

Questa carrellata storica ci insegna che, per una buona gestione della risorsa idrica, è necessario:

• impegnare le migliori tecnologie disponibili;

• raccogliere il supporto di tutti i soggetti interessati;

• mantenere le risorse idriche in mano al gestore pubblico;

• pensare e impostare strategie sul lungo periodo.

Nel 1997 la città di New York, nell’ottica di preservare la sua riserva idrica, ha sviluppato un programma di protezione dell’ambiente natura-le dei monti Catskill. L’accordo per la protezione dei bacini idrici fu ide-ato dall’allora Commissario del Dipartimento di Protezione Ambientale della città di New York: Albert Appleton. Il principio da cui nasce l’idea di quest’accordo è pragmatico: è più economico preservare la qualità dell’ac-qua all’origine, conservando la qualità dell’ambiente naturale da cui essa sgorga, piuttosto che depurarla prima che arrivi in città. L’accordo coinvol-ge 60 comuni, 12 villaggi e 8 Contee, che si collocano in un’area di 4.900 chilometri quadrati.

Gli elementi chiave del programma della città di New York per la pro-tezione dei bacini idrici sono i seguenti:

• La premessa strategica alla base del programma è che la miglior garanzia di avere acqua di buona qualità viene dal mantenimento al meglio dell’ambiente naturale dei monti Catskill.

• La strategia non è stata quella di negare specifiche minacce per la qualità dell’acqua per allinearsi a delle norme generali, ma, come sottolineato dal commissario Albert Appleton, di rivestire d’oro l’ambiente naturale dei monti Catskill.

• Andare incontro alle necessità della popolazione locale di sviluppare attività economiche. Si è evitato di prevaricare sulle attività agricole esistenti, cercando di collaborare il più possibile con gli agricoltori.

La città di New York ha messo a punto un programma diviso in due fasi principali. In primo luogo, diminuire il più possibile tutte le fonti d’in-quinamento esistenti, quindi prevenire le minacce di inquinamento che si potessero ripresentare nel tempo.

Si sono quindi messe in campo diverse strategie per la diminuzione delle fonti di inquinamento esistenti:

• Progettazione integrata della gestione dei fondi agricoli per controllare l’inquinamento da fonti agricole. Il problema principale era quello di capire con gli agricoltori come tenere le mucche fuori dai ruscelli e i liquami degli allevamenti bovini lontani dall’acqua.

• Migliorie degli impianti per il trattamento dei liquami nel bacino idrico. Tutti gli interventi per il trattamento delle acque nei singoli comuni sono stati completamente finanziati dalla città di New York. In questo modo si è ottenuto il positivo supporto da parte dell’opinione pubblica locale.

• Sistemazione dei pozzi neri privati, con priorità per i pozzi collocati a meno di 400 metri dai corsi d’acqua.

• Interventi mirati per la sistemazione di fonti puntuali di inquinamento (per esempio, industriali).

• Riqualificazione dei ruscelli.

• Pulizia stagionale del bacino del Kensico. Sono emerse diverse problematiche relative al deflusso, specialmente da parte dei Parchi locali e da parte dell’aeroporto della contea di Westchester County.

86 87

I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Strategie per la riduzione del rischio futuro di inquinamento:

• Nuove regole del bacino idrico per controllare le attività maggiormente inquinanti ed evitare lo sviluppo di nuove attività inquinanti.

• Revisione integrata dei nuovi insediamenti e assistenza tecnica per la pianificazione; ancora una volta non si è chiesto alle città di spendere del denaro per aumentare la qualità della pianificazione, ma si è offerto gratuitamente una consulenza di alto livello.

• Sviluppo di progetti per la comunità e alleanza con le comunità locali dei monti Catskill per individuare programmi di sviluppo economico locale compatibili con il bacino idrico.

• Gestione delle risorse naturali per aumentare la vitalità ecologica del bacino idrico.

• Monitoraggio intensivo della qualità dell’acqua e controlli sotto la supervisione di esperti esterni per assicurare le performances ambientali.

Nel 2006, sotto la presidenza di George Bush, si sviluppò molto ne-gli Stati Uniti l’estrazione di gas naturale tramite fratturazione idraulica. Lo stato di New York – forte dell’esperienza maturata con il programma per la protezione dei bacini idrici – ha reagito alla diffusione di questa cattiva pratica con un documento molto importante “FINAL IMPACT ASSESSMENT REPORT”.

Alcune considerazioni finali:

• Meno acqua si usa, meno acqua si deve trattare. Questo è il primo punto.

• Impiegare le migliori tecnologie disponibili – ingegneristiche ed ecologiche.

• Offrire supporto a tutti gli stakeholders, puntando a politiche win-win (le politiche che si mettono in atto devono essere buone politiche per le comunità che vivono nel bacino idrico e buone politiche per i cittadini che usano l’acqua di quel bacino).

• Tenere l’acqua in mano pubblica a tutti i costi.

• Progettare con un orizzonte temporale lungo e saper anticipare i cambiamenti inaspettati che possono accadere.

• Riconoscere che l’era della gestione (management) ha sostituito l’era della costruzione (building). Non abbiamo più bisogno di costruire nuove strutture per il trasporto delle acque, è giunto il momento di gestire al meglio quelle che abbiamo.

Le sfide del XXI secolo:

• Diminuzione della disponibilità d’acqua.

• Stress idrico nelle società e negli ambienti naturali.

• L’aumentato benessere porta a un incremento nell’uso dell’acqua.

• Cambiamenti climatici.

• Cambiamenti nelle precipitazioni.

• Cambiamenti nei modelli di deflusso.

Penso che gli educatori devono essere in prima linea per insegnare con un’ottica attenta a tutti questi problemi.

PER SAPERNE DI PIÙ

• http://cwconline.org

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

Vitoria Gasteiz, 250.000 abitanti, capitale politica dei Paesi Baschi (con Bilbao e San Sebastian), ha investito sull’ambiente e il paesaggio a partire dalla fine degli anni ’90 con una strategia di lungo periodo, la strategia verde, che ha portato alla città il premio di Capitale verde d’Europa del 2012. Questo evento ha indotto una piccola rivoluzione, visto che a vincere il titolo è stata una città del sud Europa, alle prese con la crisi economica: è stato un fatto significativo, specialmente rispetto alle capitali del centro-nord Europa.

Vitoria Gasteiz vanta un modello, nato negli anni ’90, in un periodo

di crisi economica. Questa è stata affrontata dando valore strategico all’am-biente e al paesaggio, investendo in un’agenzia per l’ambiente urbano, il CEA, che ha messo a punto la “strategia verde” per lo sviluppo della città. Il CEA è un Centro di Ricerca pubblico, di cui Luis Andres Orive è fondatore e direttore da 25 anni.

La strategia verde è nata da un’idea: un patrimonio paesaggistico e culturale avrebbe potuto fare di Vitoria Gasteiz molto più di una città. Oggi Vitoria è caratterizzata da un territorio di alta qualità, che va ancora valo-rizzato per poter avere una politica urbana efficiente, sensibile, sostenibile, ecologica. Un territorio di qualità permette di sviluppare una strategia ur-bana di qualità, nella quale si valorizzano: la densità; la mobilità dolce; la biodiversità; l’integrazione tra idraulica ed energia; la trama verde urbana e territoriale.

La strategia verde è partita da un’analisi del contesto ampio d’insieme nel quale si colloca la città. Non è possibile pensare a una strategia verde senza considerare la relazione con il territorio, dal punto di vista della biodi-versità, idrogeologico, boschivo...

Una strategia trasformata in un modello attento alla gestione della mobilità, all’uso del suolo e all’adattamento al cambiamento climatico: tut-

1. PREMESSAProf. Luis Andres Orive (testo tradotto e adattato da C. Donisi)

10. VICTORIA GASTEIZ - L’ANELLO VERDE

Vitoria Gasteiz, la capitale basca premiata per il suo progetto di Anello Verde.

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I PARCHI DEL XXI SECOLO PAPERS

te questioni che vanno gestite in modo unitario, per avere un modello di città ecologica. L’obiettivo alla base di tutto era, ed è, quello di restaurare il paesaggio di margine, puntando sulla qualità ecologica e paesaggistica ade-guata a una città moderna. L’anello verde della città è l’elemento che meglio permette di apprezzare il modello di territorio. Lo sviluppo dell’idea dell’a-nello verde è stato avviato all’inizio degli anni Novanta e nel 1995 è stato presentato al congresso di Barcellona. Il focus era riqualificare il paesaggio di margine che tutte le città hanno, cercando di dare a questo paesaggio una qualità ecologica e paesaggistica adeguata a una città moderna.

La realizzazione dell’anello verde è stata semplificata dalla presenza di numerose aree pubbliche nell’areale. Il sistema idrico è stato un altro ele-mento molto utile per la realizzazione dell’anello verde, che è cresciuto un po’ alla volta, sostenuto da una strategia di lungo periodo, volta ad aumen-tare la funzionalità ecologica di tutto il territorio, mettendo in rete il sistema dei Parchi attorno alla città, il sistema verde a sud, il fiume a nord, attraverso antichi boschi e antiche vie d’acqua. L’anello verde ha quindi un ruolo multi-funzionale: agricolo, ecologico, paesaggistica, idrologico.

Gli sviluppi urbani previsti a est e a ovest dialogano con l’anello ver-de, facendo ben comprendere come la strategia dell’anello verde sia com-patibile con lo sviluppo urbano. Gli anni Novanta sono stati per la Spagna un periodo di forte crescita urbana ed è stato molto importante per la città avere un progetto chiaro sulla base del quale discutere le diverse proposte che venivano di volta in volta avanzate: un parco tematico, un campo da golf…

Il modello dell’anello verde ha permesso di frenare molti progetti che sarebbero stati antiecologici, incompatibili con la strategia di sviluppo verde della città. Ha svolto quindi un importante ruolo nel frenare una certa urba-nizzazione che sarebbe stata in contrasto con i principi ecologici e ambien-tali dell’anello verde. Gli interventi realizzati invece, sono caratterizzati da semplicità ed economicità. Hanno ottenuto un paesaggio con alto tasso di biodiversità e molto attrattivo per l’uso pubblico.

Gli sforzi economici pubblici si sono concentrati su pochi progetti che

hanno il ruolo di icona del progetto, come il centro Ataria (QVE Arquitectos) Centro parco delle zone umide di Salburua. Un edificio spettacolare, perfet-tamente integrato nel suo intorno territoriale (Fig. 21).

Vitoria, oggi, è una città caratterizzata da un territorio di alta qualità che va valorizzato per poter avere una politica urbana efficiente, sensibile, sostenibile, ecologica. Il modello di territorio che abbiamo – e che ci è valso il premio come capitale green dell’Europa – è un modello attento alla ge-stione della mobilità, dell’uso del suolo e una gestione dei problemi legati al cambiamento climatico... Sono un insieme di questioni che vanno gestite in modo unitario, per avere un modello di città ecologica.

L’elemento che ha maggiormente aiutato nella progettazione e re-alizzazione dell’anello verde è stato il tema delle inondazioni, perché una delle funzioni ricoperte dall’anello verde è quella di area esondabile per i momenti di piena. I Parchi nella cintura verde contribuiscono a prevenire i pericoli delle inondazioni e, di conseguenza, permettono di risparmiare de-naro e salute dei cittadini. È stato molto importante coinvolgere il pubblico nel progetto dell’anello verde. Se all’inizio si è trattato di un impegno abba-stanza gravoso, ora i cittadini e gli investitori hanno ben compreso l’impor-tanza dell’anello verde.

Non è raro, oggi, trovare nelle pubblicità degli immobili in vendita il ri-chiamo all’anello verde: evidenza del riconoscimento da parte della popola-

Figura 22 – Il centro Parco dell’Anello verde.

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zione del valore aggiunto che l’anello verde dà alle proprietà immobiliari che vi si affacciano o che vi sono vicine19. L’anello verde è ormai entrato nell’im-magine della città di Vitoria Gasteiz, tanto da essere usato come “elemento testimonial” della città, e da essere fotografato dai turisti che visitano la città. Sta funzionando anche dal punto di vista ecologico. Si è lasciato alla natura spazio per fare il suo lavoro, senza esagerati investimenti e senza forzature: ciò sta portando i suoi frutti in termini di biodiversità e bellezza del paesag-gio. Il sistema ecologico, è a pochi minuti di bicicletta dal centro medioevale della città e dà vita a paesaggi normali per i cittadini di Vitoria.

Perché tutto funzioni, è però necessaria una buona politica di educa-

zione ambientale. L’anello verde conta quasi due milioni di visitatori all’anno. Questi devono avvicinarsi alla natura adattandosi a essa, aiutando a mante-nere la condizione d’equilibrio tra urbano e naturale. Il modello immaginato negli anni ’90 ha spinto Vitoria Gasteiz a promuovere la rete ecologica pro-vinciale e, recentemente, quella regionale.

Nel 2012 l’anello verde che ha ridefinito e riqualificato tutti i margini urbani, era pressoché completato. Nello stesso anno l’Unione Europea ha lanciato il concetto di infrastrutture verdi. Da qui è partito il progetto di ri-naturalizzazione dell’avenida principale della città, un grande progetto di riqualificazione urbana che ha riportato alla luce, nel centro della città, un corso d’acqua precedentemente deviato e intubato. Questo è il risultato del-la sinergia tra investimenti nella ricerca, strategie di lungo periodo, coraggio, e coinvolgimento della cittadinanza.

Figura 23 – Nel parco di Salburua vivono, tra gli altri, cervi e ardeidi.

19 L’Anello verde è anche su Trip Advisor: dimostrazione evidente della sua riconoscibilità e del ruolo nella promozione della città e dei suoi servizi (N.d.T.)

PER SAPERNE DI PIÙ

• www.vitoriagasteiz.org

• www.architetturaecosostenibile.it/green-life/curiosita-ecosostenibili/vitoria-casteiz-capitale-verde-europea-2012-957/

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Quali spunti può offrire la biofilia all’educazione ambientale propo-sta dai Parchi?

La biofilia è, letteralmente, l’amore per la vita. È innata negli esseri umani, che sono attratti e cercano spontaneamente una relazione con ciò che è vivo. Secondo l’ecologo americano E.O. Wilson, che per primo ha for-mulato l’ipotesi della biofilia, essa si sostanzia in un complesso di regole di apprendimento, che si sono stratificate nel corso dell’evoluzione dell’uma-nità e che tuttora informano i nostri rapporti con l’ambiente naturale.

Negli ultimi dodici anni in Valle d’Aosta, io e i miei collaboratori del Laboratorio di Ecologia Affettiva abbiamo condotto una serie di verifiche sperimentali dell’ipotesi della biofilia e abbiamo scoperto che la biofilia si struttura in due facoltà mentali fondamentali: l’attenzione e l’empatia. La biofilia ha effetti sia sulla capacità individuale di rigenerazione dell’atten-zione dopo una fatica mentale, sia sulla capacità di partecipare emotiva-mente alle diverse forme di vita non umane.

Nella nostra indagine sulla biofilia abbiamo preso come punto di riferimento la Teoria della Rigenerazione dell’Attenzione sviluppata dagli psicologi ambientali americani Rachel e Stephen Kaplan. Secondo que-sta teoria, la nostra capacità di attenzione diretta è limitata. Quando ci si concentra su un determinato compito, trascorso un certo lasso di tempo, emerge la fatica mentale, che rende difficile mantenere la concentrazione. Per riprendere a svolgere un lavoro che richiede concentrazione è necessa-rio prima rigenerare il potenziale di attenzione diretta. Fra i vari fattori che influenzano la rigenerazione dell’attenzione, i coniugi Kaplan hanno indi-viduato due condizioni ambientali dove la rigenerazione del potenziale di

Giuseppe Barbiero, Laboratorio di Ecologia Affettiva, Università della Valle d’Aosta – Université de La Vallée D’Aoste

11. LA BIOFILIA E IL RUOLO DEI PARCHI NELLA FORMAZIONE DELLA PERSONA

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I Parchi sono protagonisti nelle attività di educazione ambientale.

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attenzione diretta risulta maggiormente efficace: la semplice immersione nella Natura selvatica (wilderness) e alcune pratiche di meditazione, tra cui la mindfulness. Sulla base di queste osservazioni, nel nostro programma di verifica sperimentale dell’ipotesi della biofilia abbiamo studiato la qualità e i tempi di rigenerazione dell’attenzione diretta dopo una fatica mentale in un campione di 150 bambini di scuola primaria, posti in quattro condi-zioni:

• una condizione di base: in classe dopo l’intervallo; • una condizione di mindfulness: in classe, dopo un’attività di silenzio attivo;• due condizioni di wilderness: nel bosco e durante un trekking in Natura.

Abbiamo osservato che i bambini immersi nella wilderness tendono a essere molto più rapidi ed efficienti nel rigenerare la propria capacità attentiva dopo una fatica mentale e che questa capacità si consolida se i bambini possono utilizzare semplici esercizi di mindfulness. Inoltre, abbia-mo dimostrato per la prima volta che non solo gli adulti, ma anche i bam-bini sono consapevoli delle differenze nel potere rigenerativo dei diversi ambienti. E fra tutti gli ambienti, il bosco è risultato di gran lunga il luogo percepito come più rigenerativo dai bambini. Il fatto che i bambini mani-festino una predisposizione genetica a riconoscere nel bosco l’ambiente più rigenerativo non è una sorpresa dal punto di vista della biologia evo-luzionistica.

Assecondando la loro naturale predisposizione per la natura, il Parco può diventare il luogo privilegiato per rigenerare la capacità di attenzione dei bambini, in modo molto più efficace rispetto a qualsia-si tipo di ambiente scolastico.

Per le sue caratteristiche filogenetiche intrinseche, la biofilia costi-tuisce la base fisiologica e il potenziale psichico dal quale è possibile fare emergere l’intelligenza naturalistica, l’ottava manifestazione di intelligen-za umana, secondo la classificazione proposta dallo psicologo americano Howard Gardner nella sua Teoria delle Intelligenze Multiple. L’intelligenza

naturalistica viene definita come l’abilità di entrare in connessione pro-fonda con gli esseri viventi non umani e di apprezzarne l’effetto che questa relazione ha su di noi e sull’ambiente esterno. Questa forma di intelligenza richiede quattro competenze: (1) un’abilità sensoria sviluppata con la quale si percepiscono gli organismi viventi; (2) una capacità di ra-gionamento che permette di distinguerli e di classificarli in base ad alcuni parametri logici; (3) una particolare sensibilità emotiva verso ciò che è “na-turale”; (4) una certa sapienza esistenziale che consente di legare insieme tutte queste qualità.

Se ai bambini viene impedito di sviluppare un adeguato rapporto con la Natura e la biofilia non viene stimolata a sufficienza, allora l’intel-ligenza naturalistica non si manifesta. Ciò provoca un ritardo nello svi-luppo psichico dei bambini che può diventare un Disturbo da Carenza di Natura (Nature Deficit Disorder).

Il sistema scolastico italiano ha finora sottovalutato l’importanza della outdoor education, cioè la capacità di insegnare fuori dalle aule sco-lastiche. Il Parco può giocare un ruolo fondamentale, soprattutto per i bambini di scuola primaria. Abbiamo infatti rilevato che le esperienze fon-damentali che permettono ai bambini di esprimere le proprie potenzia-lità biofiliche e di sviluppare la propria intelligenza naturalistica si realiz-zano tra i 3 e i 9 anni di età. È particolarmente importante quindi favorire il contatto con la Natura in questa fascia d’età. Il bambino che stabilisce una buona relazione con la Natura ha maggiori probabilità di sviluppare da adulto un più solido equilibrio personale e una maggiore consapevolezza ecologica.

Per i bambini di scuola primaria è fondamentale attivare un canale emotivo con la Natura. Il PARCO può diventare il luogo privi-legiato dove stabilire in modo continuativo un legame affettivo con la Natura e stimolare in questo modo l’intelligenza naturalistica dei bambini.

È necessario quindi che l’educazione ambientale proposta dai Par-chi ritrovi la sua vocazione originaria di pedagogia dell’intelligenza natu-

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ralistica, educando le persone a riconoscere primariamente le peculiarità dello stato vivente della materia. Chi sa riconoscere – intuitivamente o co-gnitivamente – la particolare armonia propria di ciascun organismo viven-te, finisce per provare un profondo senso di meraviglia verso tutto ciò che è vivo. Perché ogni creatura vivente è unica e irripetibile. La vita, in questo senso, è davvero sacra. E la biofilia ne celebra la sacralità. Un’efficace peda-gogia dell’intelligenza naturalistica non può che partire da qui.

PER SAPERNE DI PIÙ

• Giuseppe Barbiero (2017) Ecologia affettiva. Come trarre benessere fisico e mentale dal contatto con la Natura. Mondadori, Milano.

• Giuseppe Barbiero, Rita Berto (2016) Introduzione alla biofilia. La relazione con la Natura tra genetica e psicologia. Carocci, Roma.

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La “funzione primaria” delle Aree Protette, comunque organizzate e ovunque situate nel mondo, è quella della tutela e valorizzazione di natura e paesaggi, ovvero di quei beni comuni che possono ben essere riassunti nel termine coniato nel secolo scorso da Edward Wilson: biodiversità20.

Le necessità di tutela e valorizzazione della biodiversità, e priorita-riamente della sua conoscenza e della comprensione dei fenomeni che la rappresentano, sono ampiamente trattati in numerosi e documentati lavo-ri che vedono da anni impegnate Università, ricercatori, Governi e Istituzio-ni di tutto il pianeta; ciononostante, il tasso di estinzione delle specie, che in natura è valutato intorno alle 1-10 specie estinte su 1.000.000 specie/anno, negli ultimi 100 anni è aumentato di circa 1.000 volte.

Ciò ha fatto sì che il fenomeno in assoluto più drammatico che evi-denzia il passaggio dall’Olocene all’Antropocene21 sia individuato, non tan-to e non solo nei cambiamenti climatici e nei fenomeni a essi correlati, ma proprio nella costante e inarrestabile riduzione di biodiversità del pianeta22.

La situazione risulta ancor più tragica se riflettiamo sull’ignoranza che accompagna il fenomeno. Sulla Terra si stima vivano da 10 a 100 milio-ni di specie, e già questa forbice dà ragione delle lacune di conoscenza in materia, ma mentre all’apparenza si potrebbe pensare che oramai si cono-sce “quasi tutto”, la verità è che l’uomo, animale egoista per definizione, ha

1. PREMESSA

Dario Furlanetto, Parco dell’Adamello

12. AREE PROTETTE E STRATEGIE DI LUNGO TERMINE PER LA CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ

20 Edward O. Wilson, La diversità della vita, Rizzoli, Milano 199321 Paul Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene, Mondadori, Milano, 200522 Johan Rockstrom e Anders Wijkman, Natura in bancarotta, Edizioni Ambiente, Milano, 2014

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Valle di Cadino, nel Parco dell’Adamello.

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concentrato le sue ricerche quasi unicamente sulle specie di proprio im-mediato interesse, soprattutto per trarne cibo, medicinali, materiali d’uso.

Così sappiamo poco dei circa 1,3 milioni di invertebrati che popo-lano la Terra, quasi nulla della meiofauna che popola le barriere coralli-ne o la spuma dei frangenti del mare e degli oceani, pochissimo o quasi nulla delle specie che popolano il Pleuston (nella fascia dove si sviluppa la tensione superficiale delle acque marine) o il Benthos (la biosfera pro-fonda delle acque).

Quello che spaventa in tanta ignoranza e che ancor meno si sa della straordinaria rete di relazioni, di flussi di materia ed energia che legano tra loro le specie e che fanno della biosfera una sorta di grande corpo viven-te23, del quale noi rappresentiamo una parte e, se non fosse per i danni che riusciamo ad arrecare, nemmeno la più importante.

Tra gli habitat maggiormente minacciati, ovvero dove maggiore è la perdita di biodiversità, oltre alle celebrate foreste tropicali e alle barrie-re coralline, vi sono gli ecosistemi delle zone temperate caratterizzati da acque dolci. E la nostra Regione, ricca di fiumi, laghi e zone umide entra a pieno titolo, per tali evidenze, nel novero degli habitat da tutelare con particolare attenzione e cura.

La risposta globale al fenomeno di perdita di biodiversità si può far nascere con la definizione nel 1992 a Rio de Janeiro, della “Convenzione sulla Diversità Biologica” declinata, dopo defatiganti incontri e trattative internazionali con il Target di Aichi alla COP 10 di Nagoya, in Giappone, nel 2010.

Gli obiettivi strategici individuati a Nagoya, in buona parte influen-zati anche dai “Millenium Developement Goals” - dichiarazione delle Na-zioni Unite per la sostenibilità del pianeta firmata nel settembre 2000 - si possono riassumere brevemente in alcuni concetti chiave: conoscenza della biodiversità e ricerca; uso sostenibile delle risorse naturali; tutela di

ecosistemi e specie; distribuzione equa dei servizi ecosistemici alla popo-lazione; gestione e pianificazione partecipata delle risorse naturali e del paesaggio.

Le strategie individuate per raggiungere tali obiettivi sono anch’es-se riassumibili in alcuni concetti chiave: garantire la permanenza dei servizi ecosistemici; conservare le specie minacciate; pianificare e realizzare reti ecologiche; istituire nuove aree protette e rafforzarne il ruolo.

Edward Wilson, nel suo più recente lavoro “Metà della Terra”24, definisce l’uo-mo “la mente della biosfera”. Lo straordi-nario biologo-filosofo, uno degli scienziati più aperti e innovativi di questo secolo, esalta il concetto che solo la mente umana – la cultura umana – prodotto essa stessa dell’evoluzione della vita, possa e abbia la capacità di salvare il pianeta. Ciò a patto che l’uomo sappia controllare il proprio egoismo di specie comprendendo appie-no la prima legge dell’ecologia, così come la formulò con grande semplicità Garret Hardin25 - “In natura non è mai possibile fare una sola cosa” - imparando con umiltà ad accettare il principio che ogni nostra in-trusione nei cicli naturali è causa di effetti plurimi, molti dei quali imprevedibili o ir-

reversibili. Ogni ecosistema è costituito non solo da organismi viventi ma è rappresentato da una rete di organismi specializzati, intrecciati e intessuti insieme. L’uomo deve quindi applicare il “principio di precauzione” a ogni azione diretta a influenzare o modificare tale rete di relazioni: infatti, in natura non è mai possibile fare una cosa sola!

23 James Lovelock, Gaia. A New Look at Life on Earth, Oxford University Press, Oxford, 1979

24 Edward O. Wilson, Metà della terra, Codice Edizioni, Torino, 201625 Garret J. Hardin, Ecology, Economics and Population Taboos, Oxford University Press, Oxford, 1979

Figura 24 – “Metà della terra, salvare il futuro della vita”l’ultima opera di Edward Wilson.

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Sulla base di tali principi, Edward Wilson affida all’umanità del terzo millennio un compito strategico: salvare metà della Terra, strutturare una rete mondiale di Aree Protette – solo in piccola parte oggi esistente – par-tendo dalle aree meno compromesse del pianeta. E nelle zone temperate, tra gli habitat maggiormente minacciati, ovvero dove maggiore è la perdi-ta di biodiversità, vengono messi in evidenza gli ecosistemi caratterizzati da acque dolci: i grandi fiumi e laghi del pianeta; le zone umide costiere; le paludi e le torbiere delle aree interne.

Quindi, le Aree Protette del terzo millennio saranno il soggetto isti-tuzionale che dovrà assumersi il compito di tutelare la biosfera, proteggen-do habitat, ecosistemi, specie e con essi il grande patrimonio genetico che le rappresenta e il grande patrimonio culturale che l’interazione millenaria con l’uomo ha saputo creare: la biodiversità dei paesaggi.

Se riteniamo tali concetti veri e necessari, allora dobbiamo guar-darci intorno: cosa possiamo fare noi, cosa manca al nostro territorio per tentare di assolvere tale compito? Il vuoto maggiore di questa Nazione è la tutela integrata e completa del suo grande fiume per eccellenza, tra l’altro, l’unico grande fiume dell’Europa continentale a non essere ancora stato completamente irreggimentato e addomesticato: il Po. Forse iniziare dal Po, dalle sue acque, dalle sue terre, dalla sua biodiversità e dai suoi pae-saggi, dalla sua forza rigeneratrice, ci servirà come sfida per non dover “ … tacere per la vergogna di ammettere che tutto era già successo e che non avevamo fatto nulla per impedirlo …”26.

Più in generale, poiché la “funzione primaria” delle Aree Protette è la conoscenza e la tutela della biodiversità, come possiamo assolvere tale compito? Con quali conoscenze e con quali strumenti? Non certo riferen-dosi alla “Strategia Nazionale per la biodiversità”27, deludente quanto inu-tile architettura di governance priva di reali strumenti di azione, ma innan-zitutto con la conoscenza: essere coscienti del patrimonio che si ha in dote e che va tutelato, valorizzato e saggiamente utilizzato. Questa è la prima e

26 Paolo Rumiz, da Morimondo, cronaca di un grande viaggio lungo il Po, la sua gente e i suoi

paesaggi. Paolo Rumiz, Morimondo, Feltrinelli, Milano, 201327 AAVV, Strategia Nazionale per la biodiversità, Ministero Ambiente, Roma, 2010 Figura 25 – La tutela della biodiversità deve essere funzione primaria delle aree protette.

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imperativa azione da mettere in campo da parte delle Aree Protette.

Uno degli strumenti messi a disposizione per valorizzare il proprio Patrimonio Naturale (mi piace usare il termine “Patrimonio” – avuto in dote dai padri – piuttosto che “Capitale”, termine legato alla politica finanziaria) è quello della definizione, conoscenza e valorizzazione dei Servizi Ecosiste-mici. Il concetto di SE è ampiamente trattato in altre parti di questo lavoro, è una teoria in rapida evoluzione che risulterà utile per definire, con alcuni dati economici di paragone, l’immenso valore dei servizi resi all’umanità dagli ecosistemi.

Quello che invece qui voglio evidenziare, perché trovo profonda-mente sbagliato, è pensare a un mercato dei servizi ecosistemici e a for-me di pagamento (i PES) degli stessi. Pensare che la biodiversità supersti-te possa essere valutata in base a quanto rende sui mercati finanziari mi fa inorridire. Se uno degli elementi necessari, nella svolta etica che deve accompagnare la tutela della biodiversità, è insito nella demolizione del concetto di “crescita” per sostituirlo con quello di “prosperità”, allora il PES, ovvero la riduzione a moneta del valore degli ecosistemi – magari per met-terli sul mercato (proprietà e usi dell’acqua dolce docet) – è una strada pericolosa sulla quale è meglio evitare di avventurarsi.

Infine, occorre ricordare che le Aree Protette sono strumenti isti-tuzionali, ovvero amministratori di beni, soprattutto beni comuni, affi-datigli dalla collettività. In quanto strumenti istituzionali i Parchi sono soggetti a un indirizzo e controllo politico, quindi vedono in campo figu-re non solamente tecniche e scientifiche ma anche rappresentanti delle forze sociali che operano sui territori. Tale presenza risulta fondamenta-le per creare, mantenere e rafforzare quella rete di rapporti che devono portare a un’amministrazione saggia e lungimirante dei beni tutelati e dei Servizi Ecosistemici.

La politica dei Parchi, proprio per quanto più volte ribadito nei con-cetti precedentemente espressi, ancor più che per altre Istituzioni, deve

28 Ekkerhart Krippendorff, L’arte di non essere governati, Fazi Editore, Roma, 2003 29 Mario J. Bergoglio, Laudato si’ - Lettera enciclica, Città del Vaticano, 2015

Figura 26 – La Valle Adamè. Nelle zone temperate, gli ecosistemi caratterizzati da acque dolci sono gli habitat più minacciati e, quindi, quelli da tutelare con più attenzione.

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essere ispirata a un’etica sostenuta da passione, generosità, responsabilità, lungimiranza e perseveranza. Una politica ispirata a una sorta di “ecosiste-ma istituzionale” dove il Parco si ponga quale facilitatore tra i vari soggetti di governo del territorio affinché cooperino in rete e con sinergia28.

Chi amministra i Parchi e i beni comuni che essi rappresentano deve saper ottimizzare le prestazioni e minimizzare i costi, deve sperimentare ogni possibilità per passare da una crescita economica “estensiva” a una crescita economica “intensiva”, deve saper sostituire in ogni azione il con-cetto di ricchezza “quantitativa” con quello di ricchezza “qualitativa”. In poche parole, deve assumersi un compito immane: essere da esempio e riferimento nel necessario adattamento delle Istituzioni a governare una futura umanità sostenibile29.

Dunque, compito della politica dei Parchi è quello di sperimentare forme di economia sostenibile, dove il livello biologico scorra insieme con il livello culturale, soprattutto ispirandosi ai cicli e alle reti che compon-gono l’universo. Solo così la “mente della biosfera”, insita nelle Istituzioni che amministrano le Aree Protette, riuscirà a coniugare conoscenza e co-operazione, ridando dignità e valore alle abilità locali, alle economie oggi ritenute marginali, alla biodiversità culturale.

Se il compito primario affidato al personale, ai tecnici e ai ricercatori che operano nei Parchi è quello della conoscenza, tutela e gestione della biodiversità in ogni sua espressione, definendo e sviluppando ogni azione necessaria alla sostenibilità delle azioni svolte negli ecosistemi tutelati e gestiti, il compito primario affidato alla politica dei Parchi è quello di essere coscienti di svolgere la straordinaria funzione di gestori del mondo vivente e come tali di essere all’altezza, con parole e azioni precise e coerenti alla propria missione, di porsi all’apice dell’attenzione collettiva nell’ammini-strazione dei beni comuni e nella transizione verso una società e un’eco-nomia sostenibili.

Figura 27 – Le Aree Protette sono amministratori di beni comuni, affidatigli dalla collettività.

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