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Dipartimento di Impresa e Management
Cattedra:Metodologia delle scienza sociali
Il concetto di anomia in Durkheim
Relatore: Prof. Lorenzo Infantino
Candidato: Enrico Forlino
Matricola: 192571
ANNO ACCADEMICO 2016/2017
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Ringraziamenti: A coloro che non ci sono più. Meriterebbero più di chiunque altro di
sfogliare queste pagine.
A mio fratello, senza il quale non non mi sarei neanche avvicinato ad un
simile traguardo.
Alla mia famiglia e ai miei amici, che oggi sono un tutt’uno.
A tutti voi, per ogni singolo giorno, ogni singolo istante e ogni singolo
anno, Grazie.
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Indice
Introduzione
Capitolo I - Biografia
- L’infanzia
- Gli studi
- Il ritorno in Francia
- La prima guerra mondiale
- La morte
Capitolo II - Le opere
- “La division du travail social”
- “Les Règles de la Méthode Sociologique”
- "Les formes élémentaires de la vie religieuse”
- “Le Suicide”
Capitolo III - L’anomia
- Considerazioni sul concetto di anomia riscontrato nell’autore
- L’anomia in “La division du travail”
- L’anomia in “Le suicide”
- Influenze successive
Conclusioni
Bibliografia
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Introduzione
L’anomia è un concetto riscontrabile più volte all’interno dello studio della
metodologia. Essa rappresenta l’assenza o la mancanza di leggi a livello
comprensivo, il termine stesso deriva del greco “nomos”, ossia “legge”, preceduto
dall’alpha privativa.
Le norme cui essa si riferisce sono esse stesse quelle necessarie e funzionali alle
regolazione e al controllo dell’individuo o di una stessa comunità sociale umana.
Il termine, coniato in Grecia, ha rappresentato fin dall’antichità oggetto di studio, lo
stesso Senofonte nella sua opera più famosa “L’Anàbasi di Ciro” utilizza la parola
dandole il significato di disprezzo per le leggi o, in determinati contesti, di illegalità
stessa.
E’ un concetto estremamente ampio che nel corso della storia ha avuto numerose
evoluzioni di pari passo con l’evoluzione dell’ordine societario stesso, nell’istante in
cui nasce la regolazione dell’ordine sociale, l’anomia cerca di tradursi nella
deregolazione, motivo per il quale la sua interpretazione e lo studio di essa subiscono
modificazione in base all’autore di riferimento. La ragione per cui questa si presta a
tante sfumature di significato si può riscontrare nella sua stessa ampiezza, non
concedendosi ad uno studio lineare, l’anomia viene interpretata in modo
consequenziale alle sue manifestazioni da sociologo in sociologo.
Prima di proseguire, tuttavia, bisogna riscontrare che il termine si è prestato di
conseguenza a numerose nozioni, l’una differente dall’altra e talvolta tra loro stesse
contraddittorie, ottenendo di conseguenza una funzione di pregio stilistico e
ornamentale, andando così a sbiadirne il significato assumendo un valore
principalmente estetico più che concettuale.
Il sociologo a cui farò riferimento è Émile Durkheim, per riuscire a comprendere
appieno il suo oggetto di studio e ciò che ha concesso la formazione di tale idea di
anomia, bisogna approfondire il periodo storico e la classe sociale nel quale il
sociologo è nato, passando conseguentemente per gli avvenimenti che nella sua vita
hanno modificato e segnato i suoi studi e le sue interpretazioni.
L’intenzione dell’elaborato è quella di rendere nitidi i passaggi biografici
fondamentali e i principali studi che hanno portato questo sociologo a parlare di
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anomia all’interno delle sue due opere maggiori, partendo dal concetto stesso che
esprime la parola fino ad arrivare alle manifestazioni che egli ha ritenuto di trovare
all’interno della società e del tessuto sociale del tempo, ma nondimeno tralasciando
l’influenza che egli è riuscito ad esercitare sui successivi studiosi della materia e
senza trascurare le influenze che lo stesso autore ha subito e che lo hanno portato a
sviluppare il pensiero oggi universalmente conosciuto.
E’ infatti scopo primario dell’elaborato dimostrare come questa parola e il suo
concetto rappresentino per i filosofi non marxisti la deregolazione fondamentale
delle relazioni fra l’individuo e la sua società, raggiungendo la consapevolezza
mostrata da Durkheim per cui questi fenomeni non possono considerarsi
univocamente come risultato diretto della lotta di classe, ma bensì come risultato
stesso di opposizione alla costante ricerca umana di stabilire un ordine e la diretta
formazione di visioni contrastanti ad esso.
“Di qua delle frontiere delle frontiere sociologiche , la teoria economica è apparsa
come il <<regno dell’anomia>>.”1
1 L. Infantino ; “L’ordine senza piano” ; Armando Editore ; 2011 ; Roma
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Capitolo I - Biografia e contesto storico
Émile Durkheim nasce il 15 aprile del 1858 presso Épinal in Lorena, in una famiglia
di ebrei praticanti, seppur di ceto sociale modesto culturalmente elevata. La sua
educazione primaria si svolge all’interno della comunità ebraica, il sociologo era
infatti destinato a seguire le orme familiari che avevano visto il padre e numerosi
antenati prima di lui intraprendere la formazione per divenire rabbino.
Il periodo storico nel quale Durkheim passò la sua giovinezza, fu un momento
travagliato per la sua terra natale. Infatti appena dodicenne ebbe modo di assistere
allo scoppio della Guerra Franco-Prussiana. Lo scenario politico tra le due parti era
teso da molti anni, Napoleone III si era opposto con forza numerose volte alla
rifondazione dello Zollverein attraverso quello che è conosciuto come lo
Zollparlament che avrebbe visto per l’appunto la ricostruzione di un’unione
doganale, ricomprendente anche un accordo tra la Prussia e le regioni della Germania
meridionale, vennero inoltre messe in atto pesanti minacce da parte dell’imperatore
che promise di mobilitare l’esercito e di iniziare la guerra nel momento in cui
Bismarck avesse tentato di annettere anche uno solo tra gli stati di: Baviera,
Württemberg o Baden.
Tuttavia la controversia sembrò risolversi, se non per riaprirsi solo tre anni dopo, nel
1869, la crisi fu infatti procrastinata per una semplice questione di tempo, infatti a
causa della Francia che non aveva ancora completato l’assembramento dell’esercito,
il primo ministro prussiano temeva ancora che gli stati del Sud non fossero fedeli allo
Zollparlament. I governi di Baviera e Württemberg ritennero che la loro entrata a far
parte dell’unione doganale avrebbe placato la crisi che sembrava disperarsi sempre di
più, tuttavia questa mossa non sortì alcuno degli effetti sperati.
Entrambe le fazioni apparivano desiderose di dar battaglia: da un lato Napoleone III
subentrato al governo attraverso un colpo di stato nel quale aveva provocato la fine
della seconda Repubblica Francese, dichiarandosi imperatore e reclamando poteri
assoluti, il quale si ritrovò ad essere costantemente falcidiato dagli interventi dei
politici repubblicani che chiedevano sempre più a gran voce riforme democratiche,
vide la possibilità di trasformare ancora una volta la Prussia in uno stato vassallo, il
modo di porsi di nuovo come vincitore davanti ai suoi sudditi, lo vide ottenere
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l’appoggio e la legittimazione in parlamento cui tanto anelava; dall’altro lato Von
Bismarck sicuro delle vittorie militari ottenute e della sempre più grande forza del
rinnovato Zollverein, non desiderava altro che misurarsi con l’impero francese, certo
di ottenere ancora più successi da un ipotetico conflitto.
Il 10 maggio del 1870, entrambi la ebbero vinta e le due fazioni scesero in battaglia
l’una di fronte all’altra, fu evidente fin dal primo momento che la Francia si trovasse
in una posizione di svantaggio, considerando anche la condizione di isolamento
diplomatico nella quale essa verteva, in buona parte a causa di precedenti accordi
diplomatici ancora in vigore ed anche per alcune alleanze mai ratificate.
La guerra durò circa un anno e vide la sua fine con l’inizio dell’armistizio del 28
gennaio 1871, i cui effetti videro la caduta del Secondo Impero e la nascita della
Terza Repubblica Francese, guidata da Adolphe Thiers.
Il Trattato di pace, conosciuto anche come Trattato di Francoforte, dopo una lunga
fase di trattative ebbe come firmatari i due capi di Stato e le clausole nei confronti
della nazione sconfitta furono pesanti, seppur tamponate dal neo-eletto presidente
della repubblica. Gli accordi raggiunti prevedevano infatti che venissero cedute alla
Germania le due regioni di Alsazia e Lorena comprensive di Metz e Thionville, oltre
alle quali i prussiani ottennero anche un’indennità di guerra di 5 miliardi di franchi
d’oro che sarebbero stati pagati nei successivi tre anni con l’obbligo di pagamento
entro il primo anno di un milione di franchi, con inoltre la concessione che le truppe
tedesche si fermassero nell’est della Francia fino al pagamento della stessa indennità
come clausola di garanzia fino all’avvenuto pagamento.
Venne inoltre specificato in una delle clausole del trattato, la possibilità nei confronti
dei cittadini alsaziani e lorenesi di mantenere la cittadinanza francese nel qual caso
avessero lasciato la regione entro e non oltre il primo ottobre del 1872, oppure di
rimanere in Germania e ottenere conseguentemente quella tedesca.
Fu proprio grazie a questa clausola che la famiglia di Durkheim decise di trasferirsi a
Parigi, dove il futuro sociologo proseguì i suoi studi abbandonando anche la scuola
rabbinica, in seguito alla morte del padre, prima dei suoi vent’anni.
Nel corso del suo brillante percorso egli si mostra come uno studente precoce e nel
1879, al suo terzo tentativo, riesce ad accedere alla École Normale Supérieure (ESN)
dove scelse di proseguire i suoi studi, specializzandosi in filosofia, qui infatti seguì le
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lezioni di Numa Denis Fustel de Coulanges, e scrisse le sua tesi su Montesquieu,
avvicinandosi inoltre allo studio di Auguste Comte e di Herbert Spencer.
Il sociologo durante i suoi studi all’École, fu fortemente influenzato da due filosofi
neo-kantiani, Charles Bernard Renouvier e Émile Boutroux, da loro egli prese alcuni
principi, come: il razionalismo, lo studio scientifico della moralità, l’anti-utilitarismo
e l’educazione secolare.
L’influenza che tuttavia ebbe modo di lasciare il segno maggiore su di lui fu per
l’appunto quella di Comte con il positivismo sociologico, che applicava il metodo
scientifico delle scienze naturali alle scienze sociali. Stando a Comte la vera scienza
sociale trova applicazione nei fatti empirici, e si cura dell’esporre anche i fatti e le
relazioni che ci sono tra le relazioni scientifiche.
Tra questi insegnamenti positivisti Durkheim attinse specialmente all’idea che la
società necessitasse di essere esaminata attraverso l’analisi dei fatti, utilizzando
inoltre il metodo scientifico e per concludere trovò utile e convenne con Comte che
per applicare a un fenomeno sociale il metodo scientifico permaneva la necessità di
eliminare tutte le constatazioni metafisiche e la speculazione filosofica alle sue
spalle. Nonostante ciò all’interno del suo percorso Durkheim criticò Comte in quanto
lo riteneva ancora troppo filosofico nella sua analisi.
Un’altra influenza fondamentale per Durkheim fu la visione epistemologica in base
alla quale egli si avvicinò al realismo sociologico. Infatti, per quanto non vi sia mai
stata una chiara ammissione da parte del sociologo, egli adottò una visione realistica
in modo da dimostrare l’esistenza di realtà sociali che andavano oltre la concezione
stessa di individuo, nella forma di relazioni oggettive tra membri della società.
Guardando fin dal principio la società in modo scientifico, si trova spesso in
disaccordo con il sistema di apprendimento francese, tanto che il suo studio
lentamente ebbe modo di procedere negli studi umanistici, quindi da psicologia e
filosofia, focalizzando l’attenzione sull’etica e sulla sociologia; arrivando ad ottenere
nel 1882 l’ambito titolo accademico della agrégation francese in filosofia.
Da quel momento in poi fu sempre più evidente il suo distacco nei confronti
dell’apprendimento e del metodo di insegnamento francese, che lo portarono nel
1885, dopo essere stato professore in numerose scuole di provincia come quelle di
Sens, San Quintino e Troyes, a lasciare la Francia in favore della Germania dove
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proseguì ancora il suo studio accademico nelle università di Marburgo, Berlino e
Lipsia. Fu proprio durante la sua permanenza a Lipsia che iniziò ad apprezzare
maggiormente gli studi empirici, lasciando il passo al metodo Cartesiano, che si
mostrava come estremamente astratto.
Per finire nel 1886, come parte della sua discussione di dottorato, egli completò la
prima bozza della famosa opera “La division du travail”.
Durante la sua permanenza in Germania, Durkheim, si concentrò nella pubblicazione
di numerosi articoli riguardanti la scienza sociale e la filosofia, rimase estremamente
affascinato in questo periodo dalle opere e dalle idee del fisico e scienziato Wilhelm
Wundt.
Le pubblicazioni del sociologo ebbero una buona risonanza nella nazione di
appartenenza e grazie a queste riuscì ad ottenere diversi premi da parte del sistema
accademico, che l’aveva portato al trasferimento nel 1887 quando l’università di
Bordeaux gli offrì la cattedra di professore per il primo corso di scienze sociali
aperto dall’università. Il titolo officiale che gli venne conferito dall’università fu
quello di “Chargé d'un Cours de Science Sociale et de Pédagogie” e ad essere precisi
il suo lavoro fu quello di insegnare pedagogia e sociologia.
Questo fu un importante passo avanti per il progresso della nazione a livello
accademico, infatti fu la prima volta che le materie sociologiche vennero insegnate in
Francia, tutto ciò portò di conseguenza all’inizio del graduale riconoscimento delle
scienze sociali come oggetto di studio. Grazie al suo insegnamento il sociologo
conferì una modifica del sistema scolastico nazionale, in favore dell’aggiunta delle
scienze sociali tra le diverse attività accademiche.
Apparivano tuttavia ancora controverse ed esposte a critiche le sue considerazioni in
base alle quali la religione e la moralità potessero essere esposte in termini di pura
interazione sociale.
Nel 1887 il sociologo sposò Louise Dreyfus, con la quale ebbe due figli di nome
Marie e André.
Nel 1893 egli pubblicò in una stesura definitiva la sua tesi di dottorato “La division
du travail”, opera nella quale trattò principalmente della società umana e del suo
sviluppo tissutale.
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A seguito della guerra, gli sviluppi politici non fecero altro che stimolare l’interesse
di Durkheim per la fenomenologia sociale; la costituzione della terza repubblica non
aveva fatto altro che avvicinarlo al mondo politico, egli infatti era un accanito
sostenitore del regime costituitosi ed essendo ebreo, con simpatie nei confronti del
socialismo, si legò alla minoranza politica, situazione nella quale si ritrovò
ovviamente galvanizzato.
Il successivo avvenimento del 1894 conosciuto con il nome di “L’affaire Dreyfus”,
portò il sociologo ad interessarsi ancora di più ai temi politici e sociologici, infatti
quell’anno il capitano alsaziano di famiglia ebrea di nome Alfred Dreyfus, venne
accusato di tradimento e di collaborazione con l’esercito tedesco, l’evento portò una
divisione all’interno della popolazione: in coloro che sostenevano la sua innocenza e
coloro che invece ritenevano fosse colpevole.
Tale evento fu una letterale crisi per la terza repubblica e mise le basi per il
passaggio tra i malumori della sconfitta della guerra franco-prussiana e per l’ingresso
nella prima guerra mondiale.
Il caso ebbe inizio il 6 ottobre del 1894 quando per l’appunto Dreyfus, ufficiale di
artiglieria, assegnato allo Stato Maggiore dell’esercito francese, si ritrovò in un
vortice di accuse di spionaggio, infatti venne additato quale il mandante di una lettera
indirizzata a Maximilian von Schwartzkoppen, nella quale veniva annunciato l’invio
di documenti militari.
Il Dreyfus era un ebreo di estrazione sociale estremamente alta, tra i tanti di origine
alsaziana che in seguito alla conquista della terra natia, aveva optato per
l’ottenimento della cittadinanza francese. Nonostante il grande patrimonio di sua
proprietà, decise di intraprendere la carriera all’interno dell’esercito, con ottimi
risultati presso l’accademia della Guerra.
Spinto dalla grande motivazione della “revanche” egli era riuscito a superare il
grande scoglio rappresentato dall’antisemitismo presente nell’esercito all’epoca, nel
nome del sogno di vedere nuovamente la bandiera francese sventolare sulla terra
d’Alsazia.
Dreyfus non incontrò solo plausi nella sua carriera militare, infatti si imbatté fin da
subito contro una forte resistenza da parte di Edouard Drumont, scrittore e polemista
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francese e direttore del giornale “La Libre Parole”, che qualche tempo dopo sarà
anche uno dei più strenui sostenitori della sua colpevolezza nell’Affaire.
Il 19 dicembre di quell’anno iniziò il processo, le accuse su Dreyfus furono mosse da
parte dello stato maggiore, avvalorate da una perizia calligrafica eseguita da
Alphonse Bertillon. Buona parte della stampa francese gridò al complotto ebraico
che tentava di minare alle basi della nazione.
Il 22 dicembre per direttissima il tribunale condannò l’imputato alla degradazione ed
ai lavori forzati presso l’Isola del Diavolo nella Guyana francese.
La situazione sembrò essere chiarita e definita, avendo trovato e condannato il
colpevole del tradimento.
Tuttavia nel primo luglio del 1895 il colonnello Georges Picquart venne nominato
capo dell’Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore e verso la fine di marzo del
1896, viene intercettata una lettera del già nominato Schwartzkoppen, indirizzata al
maggiore dell’esercito francese Ferdinand Walsin Esterhazy, motivo che portò alla
riapertura del dossier sull’affaire, vengono inoltre trovate analogie tra la grafia di
quest’ultimo e la lettera incriminate che gravava sulle spalle di Dreyfus.
Numerosi personaggi dell’epoca iniziarono a gridare al complotto, partendo dalla
moglie del condannato, lo scrittore Bernard Lazare, lo stesso colonnello Picquart e
un diplomatico italiano d’istanza a Parigi di nome Raniero Paolucci di Calboli.
Tuttavia il governo francese non si smosse, nonostante venissero presentate prove
che avrebbero quantomeno dovuto portare ad una riapertura del processo.
Il tutto portò ad una crescente tensione all’interno della repubblica, numerosi
intellettuali si avvicinarono alla causa al fine di dimostrare l’innocenza dell’imputato,
uno tra tutti Émile Zola, che dopo alcuni articoli pubblica con la complicità di un
antidreyfusard pentito, il politico Georges Clemenceau, la lettera “J’Accuse”
pubblicata sul suo quotidiano “L’Aurore” e indirizzata al Presidente della Repubblica
Félix Faure. Il giorno successivo sulle stesse pagine fu poi possibile veder
campeggiare la cosiddetta “petizione degli intellettuali”, nella quale numerosi artisti
e professori si schierarono apertamente dalla parte di Zola.
La risposta fu secca, sia lo scrittore che Picquart furono arrestati con l’accusa di
vilipendio delle forze armate.
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Le acque seppur placate apparentemente continuarono a ribollire, tanto che il 30
agosto del 1989 il maggiore Hubert J. Henry, uno degli accusatori di Dreyfus e
facente parte del controspionaggio, ammise di essere l’autore della lettera falsificata,
nella quale veniva menzionato il nome di Dreyfus, e di aver inoltre falsificato nel
tempo numerosi documenti contenuti all’interno del dossier.
La Corte di Cassazione il 27 ottobre di quello stesso anno dichiara la riapertura del
processo, annullando la sentenza del 1894 e permettendo così il ritorno di Dreyfus in
Francia.
Viene condannato, seppur con pena decisamente minore, anche l’Esterhazy, con lui
alla riapertura del processo lo stesso Dreyfus viene condannato nuovamente a dieci
anni da parte della corte militare, che ancora subiva forti pressioni da parte dello
Stato Maggiore, seppur questa volta con circostanze attenuanti.
Inutile apparve ai fini elettivi questa sentenza, che si mostrò ben più che impopolare,
tanto che alle elezioni del Parlamento nazionale venne eletta una maggioranza
liberale.
Tutto ciò portò tra l’altro al governo il Presidente del Consiglio Pierre Waldeck-
Rousseau, il quale riuscì a risolvere proponendo a Dreyfus l’assoluzione tramite
domanda di grazia, per quanto questa richiedesse l’ammissione di colpa. Fu tuttavia
grazie a questo, nonostante l’iniziale riluttanza dell’imputato, che l’affaire si risolse.
Solo dopo dodici anni che avvenne la completa riabilitazione del suo onore, senza
alcuna riapertura del processo che venne dichiarato completamente chiuso solo in
seguito ad una completa amnistia.
E’ normale che un tale caso abbia portato un forte avvicinamento di Durkheim alla
scena politica, in quanto l’uomo al centro delle accuse e del tifone mediatico, si
trovava in una condizione di nascita non dissimile dalla sua, entrambi infatti era stati
costretti ad allontanarsi dall’Alsazia e dalla Lorena contro la loro volontà pur di
mantenere la cittadinanza francese, entrambi erano di fiera origine ebraica, entrambi
erano e sarebbero stati più volte disconosciuti ed oggetto di scherno da parte
dell’identità nazionale che ancora riscontrava in sé una forte impronta antisemita,
cosa che appariva molto retrogrado nei confronti di coloro che, seppur per questioni
di guerra o di mero studio, si erano ritrovati in contatto con l’ambiente germanico.
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Nel 1895 il sociologo pubblicò il suo manifesto “Les Règles de la Méthode
Sociologique”, opera attraverso la quale l’autore si preponeva l’obiettivo di spiegare
cosa fosse la sociologia e cosa fosse necessario attuare per migliorare il suo studio e
la sua affermazione, in contemporanea fondò all’università di Bordeaux.
Nel 1897 pubblicò anche “Le Suicide”: un caso di studio, che si presentò come
esempio di quella che è una monografia sociologica.
Durkheim fu inoltre un pioniere nell’uso del metodo quantitativo in criminologia,
durante il suo caso di studio su quello che era il fenomeno del suicidio.
Nel 1898, fondò anche “L’Année Sociologique”, il primo giornale francese di scienze
sociali, con l’ambizione di pubblicare il lavoro di quello che era un numero sempre
più grande di studenti e collaboratori.
Nel 1902 Durkheim raggiunse l’obiettivo che si era prefissato da lungo tempo,
diventando professore presso La Sorbonne, aveva per l’appunto aspirato da sempre a
quella posizione, ma il tutto risultò estremamente difficile considerato che la facoltà
parigina mostrò numerose difficoltà ad accettare l’ammissione di quel corso di laurea
tra quelli trattati.
Divenne professore ordinario di scienza dell’educazione nel corso del 1906, e venne
nominato Preside di “Educazione e Sociologia” nel 1913, considerando anche che
nell’istruzione del sistema accademico francese le opinioni di lungo corso di
Durkheim diventarono sempre più importanti nella formazione di nuovi professori, lo
studio delle sue opinioni diventò obbligatorio nella formazione e acquisì così tanto
prestigio da essere nominato consulente del ministero dell’educazione.
Nel 1912 pubblicò inoltre la sua ultima grande opera: “Les formes élémentaires de la
vie religieuse”, un trattato che si occupò di porre un’analisi sociologica di quelle che
sono le tradizioni religiose e di dare un’analisi stessa di ciò che spinge l’individuo a
seguire i precetti religiosi.
Le sventure per Durkheim iniziarono con le prime avvisaglie della Prima Guerra
Mondiale, essendo da sempre vicino alla sinistra patriottica che a quella
internazionale, risultò difficile con lo scoppio del conflitto rendere manifesta tale
distinzione.
Inutile dire che le sue origini e la sua coscienza nazionalista lo avevano portato con il
venire del tempo a non riuscire ad impegnarsi nella propaganda nazionale, il che lo
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aveva fatto avvicinare sempre di più ad un meno marcato schieramento, tutti fattori
che lo esposero facilmente al mirino della destra francese estremista e in netta ascesa.
Nel 1914, precisamente nel 28 giugno, durante le celebrazioni per la festa nazionale
serba, l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, erede al trono d’Austria-
Ungheria e la moglie Sophie Chotek von Chotkowa, erano a Sarajevo in visita
ufficiale, vennero entrambi uccisi dall’attivista di matrice nazionalista serba Gavrilo
Princip. Tale avvenimento scatenò la crisi diplomatica che infiammò le tensioni
latenti e segnò l’inizio della guerra in Europa.
Nei giorni che seguirono, la Germania era convinta di risolvere prontamente il
conflitto, sollecitando l’Austria e l’Ungheria ad aggredire la Serbia. Circa un mese
dopo l’omicidio la potenza austriaca inviò un ultimatum alla Serbia, attraverso il
quale pose delle richieste che se accettate avrebbero impedito la discesa in guerra, di
queste ne venne accettata solo una parte, il che portò a causa delle alleanze stabilitesi
precedentemente un’entrata delle grandi potenze europee di allora all’interno del
conflitto.
Nessuno, fino a quel momento, aveva creduto alla possibilità che tale conflitto
sarebbe potuto perdurare oltre un paio di mesi, o almeno non oltre la Pasqua del
1915.
Nel corso delle prime fasi del conflitto, dopo l’inizio delle ostilità tra Austria-
Ungheria e Serbia, la Germania seguendo il piano Schlieffen dichiarò guerra alla
Russia e dopo un paio di giorni alla stessa Francia, era opinione comune che l’unico
modo di riuscire a gestire una guerra su due frontiere differenti, fosse necessario e
non opzionale lo svolgere di una guerra lampo di non oltre sei settimane per la
conquista della Francia.
Per tutta la durata delle ostilità la situazione per Parigi non fu semplice, la stessa
manovra operata dalla Germania prevedeva infatti la presa di Parigi.
Incalzante e devastante per l’esito del successo di quest’opera fu lo stesso ingresso
dell’Inghilterra all’interno del conflitto. Azione che rallentò di molto le azioni sul
fronte occidentale concedendo una riorganizzazione dell’esercito francese e dello
Stato Maggiore trasferitosi a Bordeaux nonostante le schiaccianti perdite. In questo
specifico frangente mentre gli Alleati resistevano sul limitare del confine cercando di
arginare i movimenti dell’esercito avversario, circa un milione di parigini fuggiva
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dalla città in preda al panico, coloro che rimasero videro la loro città di appartenenza
venire tramuta letteralmente in una grande trincea a cielo aperto. Questo segnò
profondamente, insieme alle accuse, alla salute di Durkheim che nel 1915 venne
anche a conoscenza della morte di suo figlio durante la ritirata balcanica, perdita per
la quale il sociologo non riuscì mai più a riprendersi, rimanendo profondamente
segnato.
Negli ultimi anni della sua vita, essendo emozionalmente e psicologicamente
devastato, si ritirò, mentre la sua salute non faceva altro che peggiorare. Fu proprio a
Parigi che il 15 novembre 1917 venne stroncato da un ictus.
L’autore venne sepolto nel cimitero di Montparnasse a Parigi.
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Capitolo II : Le Opere
Nel 1893 Durkheim pubblica “La division du travail” o “La divisione del lavoro
sociale”, opera che rappresenta la sua tesi di dottorato presso Lipsia, egli infatti pone
davanti a sé il quesito del perché l’individuo diventi sempre più autonomo con
l’evoluzione sociale divenendo tuttavia sempre più vittima della dipendenza del resto
della società. Dice infatti: “L'individuo si sottomette alla società e quest'atto di
sottomissione è la condizione della sua liberazione. Per l'uomo la libertà consiste
nella liberazione da forze fisiche cieche e irriflessive; egli ottiene ciò opponendo a
queste la grande e intelligente forza della società, sotto la cui protezione si rifugia.
Ponendosi sotto l'ala della società egli si trova, in un certo senso, a dipendere da essa.
Ma si tratta di una dipendenza liberatoria.”2
Viene posta una seria differenza in atto tra i due tipi di solidarietà riscontrabili, come
quella che poteva considerarsi parte delle cosiddette società premoderne, all’interno
delle quali l’unica cosa a far da conto a nome dell’amalgamazione sociale non era
altro che parte di un comune sottostare ad autorità predominanti, come la famiglia o
la tribù, motivo per il quale il legame che mantiene l’unità sociale coesa non è altro
che la mancanza di un’individualità e di divisione del lavoro. Nelle società moderne
il problema è eguale, seppure per ragioni opposte, come la perfetta e assoluta
divisione del lavoro che non concede la possibilità di dividersi dalla collettività,
nonostante la completa scissione dell’individuo dal collettivo poiché esso non è
autosufficiente ma bensì dipende da altri per la sua stessa sopravvivenza.
L’autore non vede all’interno della società un’individualizzazione anarchica, ma
bensì suppone che ogni condotta sia nel bene o nel male un atto di pura attinenza a
regole di condotta sancite. Non ci può essere dunque morale senza obblighi o
sanzioni, infatti agli occhi del sociologo l’anomia non è altro che uno dei tanti effetti
collaterali della divisione del lavoro.
L’anomia infatti rappresenta nella sua interpretazione iniziale una mancanza di
regolamentazione sociale che impedisce la cooperazione fra funzioni specializzate.
2 E. Durkheim; Selected Writings ; trad. inglese, Cambridge University Press, Cambridge 1972
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Nella sua opera l’anomia assume un tono oscuro essa, insieme alle altre patologie da
lui indicate (come: la burocrazia e la divisione del lavoro obbligatoria e l’alienazione
del lavoratore dai suoi compiti parcellari), viene interiorizzata ed unita assieme ad
altre patologie, e per poter avere una chiara distinzione tra di esse è necessario
effettuare a parte le definizioni accessorie che ingombrano il termine fin troppo
oscuro.
Detto ciò essa può inizialmente apparire in quest’opera del sociologo molto più
vicina alla causa delle crisi economiche o riscontrabile negli scontri fra capitalisti e
lavoratori nella perdita dell’unità, nella quale si incontrerebbe la divisione del lavoro
che andrebbe invece mantenuta al fine del mantenimento della comune opera che è la
sopravvivenza del tessuto sociale stesso.
Vi è, inoltre, da aggiungere che all’interno della sua opera Durkheim non vede una
divisione del lavoro tecnica come quella che si può riscontrare in Smith, ma dunque
una divisione di tipo sociale, funzioni specifiche che collaborano l’una con l’altra in
cambio delle specializzazioni reciproche pur di sopravvivere.
Infatti si può riscontrare da un’analisi su Durkheim che “ Il primo tema della
riflessione durkheimiana riguarda in particolare il rapporto tra la società di mercato e
l’ordine sociale. Ed è il tema che ci interessa di più. Se dovessimo ricorre ad
un’espressione sintetica per descrivere l’atteggiamento di Durkehim nei confronti
della <<grande società>>, dovremmo utilizzare termini come <<smarrimento>> o
<<incomprensione>>”.3
E da una seconda: “Costretto a farmi violenza per riconoscere i meriti di Durkheim,
non avendo simpatie per Pareto, mantengo per Max Weber l'ammirazione che ho
avuto per lui sin dal tempo della mia gioventù, anche se su numerosi punti, anche
importanti, mi sento molto lontano da lui. La verità è che Max Weber non mi irrita
mai, anche quando gli do torto, mentre per Durkheim provo un senso di disagio,
anche quando i suoi argomenti mi convincono.”4
La società si fa dunque macchina nell’ipotesi di Durkheim, e per fare in modo che
essa funzioni senza arrivare a pressioni costrittive di bilanciamento che in un modo o
3 L. Infantino ; “L’ordine senza piano” ; Armando Editore ; 2011 ; Roma 4 A. Raymond ; “Le tappe del pensiero sociologico”; CDE; Milano ; 1984.
18
nell’altro portino ad una eguaglianza di opportunità: in questa visione del mondo
ogni uomo parte dallo stesso status e va ad occupare in base alle proprie capacità il
proprio posto all’interno della compagine sociale, il movimento di pressione che in
questo caso la macchina societaria deve riuscire ad applicare artificialmente è
l’abbattimento o la rimozione delle barriere sociali naturali, preparandosi alla
formazione e costituzione di un momento di partenza sociale eguale, al fine di
concedere a tutti una partecipazione attiva.
Il tutto sfocia nella teoria finale esposta dall’autore secondo la quale il massimo della
divisone del lavoro, unita con il massimo della specializzazione, non porteranno se
non a una maggiore collaborazione ed il conseguente inasprimento delle classi non
condurrà ad un conflitto, ma bensì ad un’interdipendenza, per quanto nessuno
soggetto sociale sarà più minimamente autonomo senza il suo corrispettivo inferiore
o superiore che sia, o senza la religione come interconnessione. Ripete in proposito:
”Se dunque esiste una verità che la storia ha reso indubbia, questa è proprio
l'estensione sempre minore della porzione di vita sociale che la religione ricopre. In
origine essa si estendeva su tutto; tutto ciò che era sociale era religioso; i due termini
erano sinonimi. In seguito, a poco a poco, le funzioni politica economica e scienza si
sono rese indipendenti dalla funzione religiosa, costituendosi a parte e assumendo un
carattere temporale sempre più accentuato. Dio – per così dire – che in principio era
presente a tutte le relazioni umane, si ritira progressivamente da esse; abbandona il
mondo agli uomini e alle loro controversie.”5
In questo Durkheim pone le basi di un’idea di mondo, che presenta divisioni e
diseguaglianze, separandolo diametralmente lungo le linee della solidarietà umana,
per l’appunto è la divisione del lavoro a porre il valore morale alla base di essa, è
possibile osservare all’interno di esse due categorie solidarietà, rifacendosi al
“consensus” esperito nelle opere di Comte, per questo infatti il consensus consisteva
in un buon funzionamento dell’insieme, attraverso la collaborazione armonica delle
parti consistenti nella globalità.
Le due forme di solidarietà riconoscibili sono quella meccanica, caratteristica e
riconoscibile nelle società semplici, in cui la divisione del lavoro è scarsa, infatti le
5 E. Durkheim; “La Divisione del lavoro sociale”; trad. it. Il saggiatore; 2016 ; Milano
19
funzioni lavorative operate dai membri di questo tipo di società sono
tendenzialmente poco differenziate ed hanno ben poche possibilità di sviluppare
personalità autonome, l’individualismo raggiunto in questi casi è scarso ed è la
coscienza collettiva a smuovere costantemente le azioni dei singoli, prevalendo un
interesse molto più simile a quello di una coscienza di tipo tribale o generalmente
premoderna . Per definire ciò viene utilizzato il termine meccanico in modo tale da
far concepire al meglio l’ipotesi che per l’appunto le singole componenti del tessuto
sociale non sono altro che simili nella loro realtà e nelle loro funzioni.
L’altra forma riscontrabile è invece la solidarietà organica, distinguibile
principalmente nelle società moderne, attraverso la crescita esponenziale della
popolazione, l’aumento della convivenza in territori fisici sempre più limitati porta
ad un addensamento della densità morale, che corrisponde in fin dei conti ad una
conseguente ed inevitabile diversificazione delle funzioni operate dal singolo e la
conseguente necessità di diversificare l’assetto lavorativo. Questa diversificazione
espone la società ad un tipo di solidarietà diversa ossia quella organica, prodotto
diretto e innegabile della mancata autosufficienza dell’individuo in cambio appunto
di una sua personalizzazione, esso ottiene di conseguenza la possibilità di
differenziarsi.
Quanto per l’appunto esposto nella tesi di dottorato del sociologo preliminarmente e
come pubblicazione successivamente, rappresenta uno dei primi passi fatti nei
confronti dello studio sempre più apprezzato e riconosciuto su territorio francese
della sociologia e del comportamento del singolo individuo.
Questo tipo di studio diventa sempre più elaborato portando alla stesura e la
successiva pubblicazione de “Le Régles de la méthode sociologique” pubblicato nel
1893, all’interno di questo nasce la scienza della sociologia così come l’aveva
inizialmente prevista e impostata Comte, la teoria viene formulata in opposizione al
senso comune ed al pregiudizio presente all’epoca nelle classi sociali inferiori, viene
creata appunto un’aperta differente contestazione delle discipline filosofiche o
scientifiche che fossero.
Durkheim fin dai suoi studi giovanili aveva a lungo apprezzato la teorizzazione
comtiana del paradigma sociale, ma tuttavia l’aveva sempre ritenuta eccessivamente
limitata ad un approccio teorico e poco pratico.
20
La sua esigenza metodologica permise la definizione di fenomeni richiedenti una
spiegazione scientifica.
Secondo l’autore, l’oggetto stesso della sociologia è rappresentato dai fatti sociali
nella misura in cui essi appaiono irriducibili alle loro manifestazioni individuali,
sono infatti nulla più che l’applicazione fisica di una coscienza individuale e si
comportano come applicazione pratica della stessa.
“L'individuo entra in società facendo violenza alla sua natura e superando il proprio
livello di singolo. La società è, quindi, una coercizione che l'individuo subisce
dall'esterno”.6
Vi è di conseguenza una prevalenza del sociale sull’individuale, con una conseguente
forza di leva maggiore della sociologia rispetto all’individuo. A livello storico le
posizioni adottate erano decisamente contrastanti con l’ideale comune, considerando
anche solo il fatto stesso, che la scienza psicologica era da poco oggetto di studio e
ancor da meno considerata come scienza e non più come ciarlataneria, mancava
ancora qualche anno prima che Freud teorizzasse e operasse la messa a fuoco sulla
definizione di super-io che comprovava la tesi illustrata da Durkheim, mostrando
come appunto per questo tipo di attestazione il sociologo si può mostrare come un
precursore. In entrambi infatti l’individuo si pone come non autosufficiente e di
conseguenza vieni fuori la ricerca di una globalità cui appartenere pur diventare parte
di un qualcosa in cui esprimere la sua individualità che altrimenti apparirebbe
rarefatta.
Vi è anche da aggiungere che l’agglomerato sociale ipotizzato da Durkheim è in ogni
caso influenzato dalla genia ebraica dalla quale lui stesso proviene, insieme ad alcune
palesi influenze che sono proprie sia di questo tipo di fede sia dello stesso ceto
borghese in cui è cresciuto.
Sostenne infatti: “La società è per i suoi membri ciò che Dio è per i suoi fedeli.”7
Il manifesto chiarifica che la sociologia non è altro che la scienza dei fatti sociali,
all’interno espone due tesi fondamentali per le quali la sociologia è da considerarsi
scienza, la prima prevede che essa abbia uno specifico oggetto di studio, a differenza
della filosofia o della psicologia, l’oggetto di studio della sociologia sono i fatti 6 E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano 7 E. Durkheim; “La Divisione del lavoro sociale”; trad. it. Il saggiatore; 2016 ; Milano
21
sociali; in secondo luogo deve applicare il metodo scientifico portandosi il più vicino
possibile alle considerazioni delle scienze esatte, questo modo dovrebbe
teoricamente evitare il pregiudizio e il giudizio soggettivo nell’analisi dei vari casi.
L’intero testo si basa sul fatto che vi sia un collegamento olistico tra i fatti sociali, nel
senso che non bisogna soffermarsi sulle proprietà intrinseche ad un sistema, in
quanto esso avrà una fenomenologia alle sue spalle estremamente circoscritta. Il
significato stesso del fenomeno si trova alle sue spalle in quanto è la sommatoria
funzionale delle parti a dare una spiegazione, in quanto tutto è irrevocabilmente
collegato, gli eventi sociali in questo senso hanno due principali caratteristiche sono
esterni e coercitivi nei confronti dell’individuo, in questo senso essi non
rappresentano unicamente il comportamento dell’essere umano, ma vanno a
rappresentare le regole stesse che vengono istituite e chiamate in causa per regolare
suddetto comportamento, il fatto sociale non solo avviene ma viene anche adottato
dalla società in cui esso si manifesta, come regola e buona norma di condotta, così
come è stato per le la legge, la lingua e la moralità esse diventano parte stessa del
sistema pur essendo nate come un semplice fenomeno di sociologia, alcuni di essi
sono diventati anche costrittori e vincolanti, in quanto talmente parte dell’individuo
da essere trasmessi nel processo di socializzazione ed educazione, diventando
appunto essi stessi il sistema di riferimento.
I fatti sociali vengono distinti nell’opera in due differenti tipologie: fatti normali e
fatti patologici.
Nel primo caso di interesse un fatto sociale è da considerarsi normale per un
archetipo sociale determinato, considerando una fase determinata del suo sviluppo
quando esso si presenta nella media delle società di una certa e data specie, nella fase
corrispondente della loro evoluzione, possiamo verificare i risultati del metodo
precedente mostrando che la generalità del fenomeno stesso dipende anche dalla vita
collettiva del tipo sociale presa in esame, questo tipo di controllo risulta necessario in
quanto si riferisce ad una determinata specie sociale che non abbia ancora compiuto
la sua integrale evoluzione.
Il patologico a sua volta resta per questa linee di principio all’opposto, ossia è un
fatto sociale di questo tipo quel qualcosa di non riconducibile ad una società o ad un
tipo specifico, risultando anormale e scorretto.
22
Questa suddivisione permette di analizzare la differenza tra giusto e sbagliato
all’interno della società e come essa si ripercuota sugli individui di appartenenza,
modificandone le scelte, diventando così anche uno studio utile per coloro che
misero le basi per la nascente scienza della criminologia.
Viene riconosciuto come fatto sociale ciò che il sociologo definì: “qualsiasi maniera
di fare, fissata o meno, suscettibile di esercitare sull'individuo una costrizione
esteriore; o anche (un modo di fare) che è generale nell'estensione di una data società
pur possedendo una esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni
individuali”8.
Per analizzarli era dunque necessario a suo avviso l’utilizzo del metodo scientifico,
metodo che non corrisponde a quello matematico-sperimentale, la sociologia deve
infatti essere metodologicamente autonoma. L’unico modo per esplorare la realtà
sociale, e dunque interpretarla, è uscire dall’idea di attenersi alla speculazione teoria
lasciando appunto la capacità di concentrarsi tuttavia nell’indagine empirica.
E’ occupazione del sociologo in questo senso non essere legato a preconcetti e
visioni personali della realtà lasciandosi trascinare nei fatti sociali non in modo
soggettivo ma bensì oggettivo, l’osservazione deve essere fatta con il massimo
dell’imparzialità e dell’impersonalità possibili, per quanto una visione del tutto
oggettiva non sarà mai ottenibile.
Ciò che appare rivoluzionario nelle ipotesi dell’autore è che la sociologia dovrebbe
porsi come una funzione di diagnosi nei confronti dei problemi della società e porsi
davanti ad essa come cura dei mali in essa esistenti, lo studio serve infatti a proporre
cure per un eventuale male.
La società può rendere i comportamenti collettivi migliori di quelli individuali nella
massima parte dei casi, purché la società stessa intervenga attivamente.” 9
Tale visione ispirerà in seguito la visione del semiologo inglese Herbert Spencer, che
ritenne dopo i suoi studi il sistema sociale come un essere vivente autonomo.
Fu Spencer a dire: “Il progresso, quindi, non è un accidente, ma una necessità. La
civiltà non è un prodotto dell'arte, ma è parte della natura: è una cosa sola con lo
sviluppo dell'embrione o lo schiudersi di un fiore. Le modificazioni che l'umanità ha
8 E. Durkheim; “Le regole del metodo sociologico”, trad. it; Edizioni di Comunità; 2001; Roma 9 E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
23
subito e cui è ancora soggetta discendono da una legge che sottende l'intera creazione
organica; e se la razza umana non si estingue e l'insieme delle condizioni resta
immutato, tali modificazioni devono infine realizzarsi compiutamente.”10
Gli studi sociologici dell’autore non si sono limitati unicamente allo studio del
tessuto sociale, inteso come collettività e più in generale a spiegare i limiti e le
caratteristiche della scienza sociologica, egli si è soffermato su di alcuni studi
posteriori, come l’ultimo pubblicato nel 1912: “Les formes élémentaires de la vie
religieuse”, elaborato su ciò che è la religione, definendola come un puro e semplice
fenomeno sociologico, tale studio si dimostrò particolare proprio perché portato a
compimento da parte di un ebreo praticante. Durkheim attribuisce lo sviluppo della
religione alla sicurezza emotiva che essa concede nel vivere collettivo.
Il suo studio delle società totemiche in Australia ha portato alla conclusione che ogni
animale o pianta venerato dai clan in qualità di potere sacro o di rappresentazione
stessa del divino, non fosse altro che la società stessa. Stando alla sua interpretazione
l’uomo primitivo non associava il provare un sentimento ad un altro, ma bensì anche
agli oggetti presenti nel loro ambiente, questa interpretazione lasciò lo spazio alla
possibilità che sentimenti e poteri soprannaturali venissero automaticamente asciutti
agli oggetti, lasciando che questi oggetti portassero al totemismo. Nell’essenza della
religione, trovò e ricercò il concetto di “sacro”: fenomeno che univa tutte le religioni.
Viene infatti spiegato come la trasformazione in simbolo della coscienza collettiva
fosse fatta attraverso la figura dell’animale totemico. Attraverso un semplice vessillo
di questo tipo gli aborigeni australiani ottennero coscienza di sé stessi all’interno di
un sistema di conoscenze offerto dal gruppo sociale stesso.
In un certo senso Durkheim reinquadra nella religione e nella sua ragione sociale un
certo senso di cameratismo e solidarietà, cercando di inquadrare tra le differenti
religioni un denominatore comune che potesse spiegare la loro origine.
Era interesse di questo studio infatti cercare di comprendere l’aspetto empirico e
sociale al di sotto della religione, che è comune a tutte le religioni e va oltre il
concetto di spiritualità e di divino.
10 H. Spencer; “Social Statics”; 1851
24
All’interno del manifesto egli definisce: “Una religione è un sistema solidale di
credenze e pratiche relative a cose sacre, cioè separate, interdette, le quali uniscono
in un’unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono11”.
In questa definizione non vi è un esplicito riferimento al soprannaturale o a Dio, egli
inquadra la concezione di ciò che al di sopra come qualcosa di legato a doppio filo
con lo sviluppo della scienza, facendo rientrare nella classificazione di metafisico
tutto ciò che non può altrimenti essere spiegato razionalmente e che non rientra nella
sfera di competenza del naturale.
Per spiegare ciò si pone anche l’obiettivo di parlare di religioni come il Buddhismo,
nelle quali l’importanza di una divinità è messa in secondo piano rispetto alle Quattro
Nobili Verità.
Vengono quindi riscontrati tre concetti basici ossia: ciò che è sacro, ossia tutte le
manifestazioni inspiegabili che ispirano nell’osservatore timore, rispetto e devozione;
le credenze e le pratiche religiose, ossia tutti quelle che creano uno stato emozionale
di “effervescenza collettiva” e che portano i simboli di stampo totemico ad essere
investiti di sacra importanza; per finire la comunità morale, che prevede un gruppo di
persone che condividono una filosofia morale. Mappati questi tre concetti il
sociologo decide di concentrarsi specificatamente sul sacro che viene a questo punto
inteso come il vero fulcro della religione, definendo ciò che è sacro come idee
semplici collettive che vedono fissate su oggetti materiali.
Durkheim vede nella religione una delle fondamentali istituzioni sociali
dell’umanità, che ha permesso la formazione di altri fatti sociali. E’ la stessa
religione ad offrire agli esseri umani il senso di coscienza collettiva più forte che si
possa incontrare, essa infatti corrisponde ad una forza emersa nelle prime società di
cacciatori e raccoglitori, di modo che il sentimento di "effervescenza collettiva” si
espandesse all’interno dei gruppi, portandoli ad agire in nuovi e differenti modi,
creando in un certo senso l’idea che fosse una forza esterna e nascosta a guidarli.
Con il venire del tempo tuttavia ogni sensazione veniva simbolizzata le interazioni
diventano ritualizzate portando la religione stessa ad un livello superiore di
organizzazione, dando adito alla divisione tra sacro e profano.
11 E. Durkheim, “Le forme elementari della vita religiosa”; trad. it. Mimesis Edizioni; 2013; Milano
25
In ogni caso Durkheim riteneva che la religione nelle società moderne stesse
perdendo sempre più terreno in quanto scalzata dalle scienze e dal culto
dell’individuo.
Tuttavia per quanto questa possa perdere potere e importanza essa avrà comunque un
giocoforza sui fondamenti della società moderna e le interazioni sociali che la
governano, per l’appunto essa avrà anche con l’avvento di nuove forze comunque fa
leva così come in passato nei punti in cui si è esposta.
Per quanto egli veda la società come un periodo di transizione dove riconosce
unicamente mediocrità morale, e per quanto la religione abbia avuto effetto nel suo
momento di espansione su società premoderne, Durkheim riconosce la capacità di
aver dato vita a numerosi costrutti sociali, incluso lo sviluppo di società più grandi.
Nel suo lavoro di ricerca Durkheim si è concentrato sul totemismo ossia la religione
degli aborigeni australiani e dei nativi americani, quella che viene classificata come
la più antica forma di religione e che allo stesso tempo dovrebbe possedere proprio
per la sua semplicità le forme più elementari di religione.
Durkheim per questo tipo di studio sulla religione venne criticato sia dal punto di
vista empirico sia da quello teoretico da parte di coloro che erano luminari nei
rispettivi campi, tra queste una critica di spicco fu quella ricevuta da Arnold Van
Gennep, esperto di religioni e rituali ma anche del sistema di credenze australiano,
questi sosteneva che la visione di Durkheim fosse l’assenza di posizione critica nel
suo studio, essendo questa passata più che altro tramite le parole di mercanti e preti
prendendole per buone, anche riguardo quelle che risultavano dubbiose. L’accusa
mossa affermava che Durkheim si basasse su uno schema etnografico fisso e
tendenzialmente prefabbricato. Nonostante questo genere di critiche il lavoro di
Durkheim ottenne riscontri estremamente positivi presso gli studiosi successivi,
poiché lavoro stimolante nei confronti dello studio della materia e figlio di un
interesse e di una teoria largamente accurata.
“Le religioni, come spiegazione del mondo, sono prive di valore. Ma traducono in
forma simbolica, necessità sociali, interessi collettivi. Le religioni sono la forma
26
primitiva con cui le società prendono coscienza di se stesse e della loro storia. In
campo sociale, sono quel che è la sensazione nell'individuo”12
L’ultimo dei macro-argomenti affrontati da Durkheim di cui è importante fare una
panoramica è il suicidio trattato per l’appunto nel libro “Le suicide” pubblicato nel
1897.
Quest’opera ebbe un grosso impatto sulla sociologia e più in generale sulla società
stessa, infatti esso rappresentò il primo studio metodologico di un fatto sociale nel
contesto di un ambito societario. Esso rappresenta in pratica il caso di studio del
fenomeno del suicidio, una pubblicazione innovativa per l’argomento trattato per il
modo in cui venne posta essendo tra i primi e tra i migliori esempi di come dovrebbe
essere una monografia sociologica.
Stando allo studio, ciò che si evince è che il suicidio è un termine da applicarsi a tutti
i casi di morte che risultano direttamente o indirettamente da un atto positivo o
negativo che sia ad opera della vittima stessa, conscia dell’effetto che essa andrà a
produrre.
“Il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui
fa parte l'individuo.”13
Il che implica che nella sua visione il suicidio verrà ad applicarsi in un ordine di
quattro tipologie differenti: egoistico, altruistico, atomico e fatalistico.
In ordine, dal primo viene a riconoscersi come suicidio egoistico uno che rifletta un
lungo senso di non appartenenza o il non essere ben integrati all’interno di un
ambiente societario, una forma di sentimento che a lungo andare può portare allo
stremo delle forze di volontà chi ne è vittima. Infatti questa assenza può risultare una
crescita di apatia, malinconia, depressione e più in generale una sensazione di vuoto
e il sentirsi senza scopi, condizione che viene inquadrata nell’idea che essa sia effetto
di un’eccessiva individualizzazione, effetto che si produce su tutti quegli individui
che non si riconoscono, non sufficientemente legati a gruppi sociali, valori, norme,
tradizioni e obiettivi. Se infatti soggetti che corrispondono ad una simile descrizione
vengono lasciati senza il giusto supporto o guida, sono molto più facilmente capaci
12 E. Durkheim, “Le forme elementari della vita religiosa”; trad. it. Mimesis Edizioni; 2013; Milano 13 E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
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di compire un gesto estremo. Un esempio nel quale si ritrova grande riscontro è
quello di coloro che non sono convolati a nozze in particolare se uomini celibi, in
quanto non riescono facilmente a ritrovare la propria stabilità e una connessione con
le norme sociali in vigore.
A seguire, nel suicidio di tipo altruistico si inquadrano persone che si sentono
sopraffatte da un obiettivo o credenze di tipo comune. Questo può avvenire in società
che posseggono un’alta integrazione ed all’interno delle quali i bisogni
dell’individuo sono meno importanti di quelli della società e della comunità stessa,
questo tipo di suicidio prevede l’integrazione all’opposto capo della scala rispetto al
suicidio egoistico. In questi casi la stessa scelta posta da chi compirà l’atto è
marginale e rara, considerato che il bisogno dell’individuo sarà del tutto ininfluente
rispetto al benessere societario. Un esempio di questa linea di pensiero è
rappresentato con una piccola eccezione: infatti nel caso del servizio militare
l’individuo è indotto a pensare che la sua morte porterà un netto vantaggio alla
società in cui vive.
A seguire il suicidio anomico, riflette una confusione morale e una carenza di
attaccamento sociale, spesso derivanti da una situazione sociale drammatica e uno
sconvolgimento economico. Questo è il prodotto della deregolazione morale e una
conseguente carenza nella definizione di aspirazioni legittime che avvengono
attraverso una vincolante etica sociale che impone un determinato ordine sulla
coscienza individuale. Questa rappresenta un sintomatico fallimento di quello che è
lo sviluppo economico e della divisione del lavoro sociale, nel produrre quella che
era stata definita solidarietà organica. Le persone non sanno quale sia il loro posto
all’interno della globalità provocando così uno stato di disordine morale, dove le
persone non conoscono i limiti dei propri desideri e sono in un costante stato di
delusione. Tutto ciò può accadere quando essi incorrono in uno stato di
modificazioni estreme in fatto di ricchezza, da una totale rovina economica fino a un
guadagno piovuto dal cielo, in entrambi i casi infatti le aspettative precedenti della
vita sono spazzate vie e nelle loro facoltà il bisogno di nuove si manifesta solo in
seguito alla possibilità che si rendano conto delle nuove relazioni e dei nuovi limiti.
Per finire, l’ultimo tipo di suicidio analizzato è quello fatalistico che avviene quando
una persona è eccessivamente controllata, il suo futuro è in qualche misura
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considerato come scritto e non modificabile e più in generale questi si ritrovano
strozzati da un’eccessiva disciplina. In questo caso si tratta dell’opposto del suicidio
anomico e si manifesta tendenzialmente in società all’interno delle quali vi è un
regime morale talmente oppressivo, che gli abitanti preferiscono nettamente morire
invece di continuare a vivere in quella determinata condizione, viene posto come
esempio cardine quello di un prigioniero che preferisce togliersi la vita piuttosto che
continuare a vivere all’interno di un carcere nel quale è costretto a subire abusi
costanti o controllo eccessivo sulla propria esistenza.
Questi quattro suicidi in fine dei conti non sono altro che le derivazioni degli
squilibri di due forze sociali che sono l’integrazione sociale e il controllo morale,
Durkheim sotttolinea infatti gli effetti di varie crisi sugli aggregati sociali, così come
la guerra, portano un aumento dell’altruismo e del tipo di suicidio ad esso collegato,
inoltre il disastro economico o un boom improvviso vanno ad aumentare l’anomia e
l’ingerenza dei suicidi da essa derivanti.
“L'uomo si muove fra due poli opposti: la sua natura individuale o profana, e la sua
natura sociale o sacra. Come individuo, l'uomo cerca di perseguire un proprio fine
particolare; come membro della società è portato a perseguire fini generali
collettivi.”14
Lo studio ha portato a queste determinate conclusioni:
• il tasso di suicidi è più elevato negli uomini che nelle donne, per quanto una
donna sposata senza figli per lungo tempo avrà una maggiore probabilità di
porsi davanti questa determinata scelta;
• il tasso di suicidio è più elevato per coloro che sono soli rispetto a coloro che
sono impegnati in una relazione di tipo sentimentale o sessuale;
• il tasso di suicidio è più elevato tra i fedeli di confessione protestante che tra
quelli di fede ebraica o cristiana;
• il tasso di suicidio è più elevato tra i soldati che tra i civili;
• il tasso di suicidio è più elevato nei periodi di pace che di guerra, egli ebbe
modo di porre quest’analisi in base al colpo di stato di Napoleone III e alla
guerra tra Italia e Austria;
14 E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
29
• il tasso di suicidio è più elevato nei paesi Scandinavi;
• il tasso di suicidio è spesso più elevato se l’individuo è più acculturato, per
quanto questa distinzione scenda in secondo piano rispetto a quella della
religione, infatti per quanto la popolazione ebraica abbia spesso una cultura
superiore essi possiedono un tasso di suicidio inferiore rispetto ad altre fedi.
Tuttavia per quanto lo studio operato dal sociologo ha ottenuto con il venire del
tempo sempre un plauso maggiore, è stato riscontrato da parte di più studiosi a livello
storico che esso possiede una falla a livello ecologico, infatti le statistiche di cui egli
si è appropriato nel tempo sono spesso non corrette in quanto soggette al “paradosso
di Simpson”, nel quale micro-eventi vengono spiegati attraverso macro-proprietà
portando dati di per sé irrilevanti o peggio in determinate condizioni facilmente
fraintendibili.
Nonostante le numerose critiche che il lavoro di questo autore ha incontrato nel corso
del tempo, vi è da dire che a livello sociologico si può riconoscere un’estrema
conoscenza della materia e uno studio pionieristico del quale ancora oggi vengono
raccolti i frutti.
Specialmente nella sua nazione di provenienza, la Francia, i suoi scritti hanno portato
ad un graduale riconoscimento dell’autorevolezza del singolo e una conseguente
approvazione della materia, che non è stata più considerata da un certo momento in
poi come qualcosa di fallace e tendenzialmente fallimentare ma è diventata essa
stessa una scienza metodologica dalle cui applicazioni pratiche sono stati colti
numerosi vantaggi per accademici e pedagoghi fino alla nostra epoca.
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Capitolo III - L’anomia
All’interno delle opere di Durkheim, in particolare nella “La division du travail
social” e ne “Le suicide”, viene utilizzato un termine arcaico come “ἀνοµία”, parola
riconducibile alla “Anàbasi” di Senofonte all’interno della quale era riconducibile
all’assenza o al disprezzo della legge stessa, modificandolo e nel caso specifico
divulgandolo.
Il concetto che il termine dovrebbe esprimere appare in ogni caso complesso, infatti
il sociologo non lascia minimamente esperire un concetto di assenza normativa, ma
ne parla come un attivo squilibrio o implacabile volontà.
La definizione al meglio alla quale si può fare riferimento è: la “malattia dell’infinita
aspirazione”, poiché senza limiti che possano essere soddisfatti il desiderio e
l’aspirazione diventano sempre più forti e irraggiungibili, spronando in questo modo
l’uomo a fare sempre del suo peggio pur di raggiungerli.
Per Durkheim, l’anomia cresce e si espande in una situazione di mancato
collegamento tra le persone, all’interno di gruppi sociali con standard specifici più
ampi oppure semplicemente nelle situazioni di carenza di un’etica sociale,
condizione che va a produrre una maggiore deregolazione sociale ed un’assenza di
aspirazioni corrette.
Nella prima opera, che si può in toto esprimere a livello concettuale con queste frasi:
“Le passioni umane si fermano solo dinanzi a una potenza morale che rispettino. Se
manca una qualsiasi autorità di questo tipo, la legge del più forte regna e, latente o
acuto, lo stato di guerra è necessariamente cronico. Mentre le funzioni economiche
un tempo rappresentavano solo una parte secondaria, esse ora stanno al primo posto.
Di fronte a loro vediamo arretrare sempre più le funzioni militari, amministrative e
religiose.” 15
Durkheim riconduce il concetto di anomia alla solidarietà meccanica la quale non
dovrebbe essere per nessuna ragione riconducibile ad una società, nella quale
dovrebbe essere, al contrario, riscontrabile quella di tipo organico vista
l’individualizzazione e una corretta divisione del lavoro se portata a compimento o a
15 E. Durkheim; “La Divisione del lavoro sociale”; trad. it. Il saggiatore; 2016 ; Milano
31
buon fine. Infatti se è presente nel tessuto sociale, la solidarietà di tipo organico è
impossibile che venga a costituirsi il fenomeno anomico, la sensibilità ai bisogni
collettivi comporta automaticamente un’evoluzione che porta alla divisione del
lavoro.
Durkheim utilizza il termine in proposito del fenomeno dell’industrializzazione, una
irreggimentazione di massa che non si può adattare a causa della sua stessa inerzia,
nel momento in cui essa porterà alla resistenza del cambiamento si otterrà una
ciclicità nei comportamenti collettivi anche solo puramente a livello economico. Pur
di fare in modo che nulla cambi all’interno del pensiero societario preimpostato
dall’industrialismo baluardo a difesa della suddetta inerzia.
Conseguentemente si riconosce in quest’opera nell’anomia come una patologia
principalmente derivante da una scorretta divisione del lavoro, diventa anomico il
pensiero di colui che seppur parte di una società di tipo moderno non riesce a rivedersi
all’interno del tessuto sociale mostrandosi in alcuni aspetti anarchico o sbandato. E’ la
mancanza di comprensione che non portando ad uno sviluppo dell’individuo o del suo
pensiero non gli concede la minima possibilità di sentirsi parte della collettività portando
fino allo stremo la conseguente condizione mentale di isolamento che può sfociare in
disprezzo per le leggi e per lo status generale pubblico, d’altronde non è possibile per chi
non si riconosce in un determinato asset regolamentativo trovare la propria posizione
nella griglia di divisione dei compiti e di responsabilità poiché mancheranno tasselli
fondamentali nello sviluppo dell’individuo e della sua personalità, infatti se questi si
mostrerà propenso a non trovare la propria collocazione avrà fatica nell’accettare e
comprendere quella altrui.
Si riscontra in base a tale definizione che “ Ne La division du travail, Durkheim associa
la nozione di anomia sopratutto al sistema di divisione del lavoro che caratterizzano le
società dopo di lui qualificate come <<industriali>>: <<Le rotture parziali dea solidarietà
organica>> che sono, per esempio, i fallimenti commerciali testimoniano <<che alcune
funzioni nonni sono adattate le une alle altre>>. La lotte di classe o, nel linguaggio di
Durkheim, l’<<antagonismo del lavoro e del capitale>> è un’altra manifestazione
dell’anomia (si noti che si implica per corollario che l’<<alienazione>> in senso marxista
non è per Durkheim che una manifestazione e una conseguenza dell’anomia). Un’altro
esempio di <<anomia>>: la specializzazione della ricerca scientifica, che cresce senza
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tregua, comporta un effetto di atomizzazione che rappresenta anch’esso, agli occhi di
Durkheim, una rottura della solidarietà organica. Questi tre esempi hanno in comune il
fatto di descrivere fenomeni che sembrano incompatibili con l’immagine della società-
organismo, che trapela incontestabilmente dalla nozione durkheimiana di <<solidarietà
organica>>”.16
Invece nel suo studio del suicidio in seguito pubblicato sulla sua opera omonima al
fenomeno del 1897, Durkheim associò l’anomia all’influenza della carenza di norme o
alla presenza di norme troppo rigide tuttavia, questa assenza o rigidità era un sintomo di
anomia, causato a sua volta da una eventuale carenza di un adattamento differenziato che
dovrebbe consentire di vedere le leggi come niente più che un’evoluzione naturale dovuta
all’auto-regolazione in modo da svilupparne alcune dove non ancora non ne esistono o
per cambiare quelle che sono troppo rigide od obsolete.
Come viene enunciato dall’autore infatti: “Ci sono due tipi di cause extrasociali cui si
può attribuire a priori un'influenza sul tasso dei suicidi: sono le disposizioni
organico-psichiche e la natura dell'ambiente fisico.”17
In particolare ricorrendo a questo campo di studio come già enunciato si riprende il
concetto di “suicidio anomico” esposto nell’opera, questa forma di suicidio che
Durkheim riconosce nell’ambito sociologico è un atto di estrema disperazione che trova
la sua essenza e la sua giustificazione in una massima aspirazione sociale o meno che sia
nella quale non vi è speranza di trovare un limite, essa infatti si basa sulla condizione che
non vi è modo di rifuggire uno stimolo che non può trovare soddisfazione, a causare
questo tipo di condizione provocate da varie falle o anomalie come ad esempio un
repentino cambiamento di una situazione economica personale, come ad esempio
un’enorme guadagno o una bancarotta, colui che ne sarà soggetto si ritroverà in modo
non graduale a dover modificare i propri interessi e i propri bisogni, è esattamente in
questa situazione che non sapendo come colmare le proprie aspettative e il rinnovo di
esse si troverà a sperimentare un desiderio inconscio inumano e non confacente alle
regole del proprio sistema di riferimento che non porterà altro che odio nei confronti dello
stesso insieme ad una volontà di non rispettarne le massime strutturali di base.
16 Boundon R., Bourricaud F.; “Dizionario critico di sociologia” ; trad. it. Lorenzo Infantino, Armando Editore ; 1991 ; Roma 17 E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
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E’ proprio in base a tal proposito che si ritrova la seguente definizione:” Ne Le Suicide, la
nozione di anomia assume un significato leggermente diverso e forse più preciso di per il
solo fatto che questa volta essa è inserita in un insieme di due dicotomie concettuali. La
prima dicotomia oppone i concetti di egoismo e di altruismo. Il concetto di egoismo
utilizzato da Durkheim si identifica in un certo modo con il concetto corrente di
individualismo: l’egoismo è molto radicato in una società in cui gli individui hanno
principalmente a regolare il loro comportamento non su valori e norme collettive, ma sul
libero arbitrio. La propensione media degli individui all’<<egoismo>> o al suo contrario
l’<<altruismo>>, varia secondo le società, le culture e le situazioni. Una società a
solidarietà <<meccanica>> (una società cioè in cui la divisione del lavoro è poco
sviluppata e in cui la solidarietà risulta meno della complementarietà che dalla
rassomiglianza) è in questo senso più <<altruista>>. Ai fini della determinazione dei
comportamenti individuali, le norme collettive giocano un ruolo più importante nelle
società tradizionali piuttosto che nelle società moderne. Altre esemplificazioni della
distinzione: il protestantesimo spinge più del cattolicesimo all’<<egoismo>>; i celibi
sono più facilmente egoisti dei padri di famiglia.
La seconda dicotomia oppone i concetti di anomia e di <<fatalismo>>. C’è anomia
quando le azioni degli individui non sono più regolate da norme chiare e costringenti.
In questo caso, le azioni rischiano di fissarsi su obiettivi fuori portata, di abbandonarsi
alla scalata del desiderio e della passione, di cedere all’hybris. C’è fatalismo quando le
norme limitano fortemente l’autonomia di cui beneficia l’individuo nelle scelte dei suoi
fini e dei suoi mezzi. Come l’egoismo e l’altruismo, l’anomia e il fatalismo assumono
importanza diversa a seconda delle società, delle culture e delle situazioni. Una
<<disciplina oppressiva>> incita al <<fatalismo>>. In compenso, <<il mondo
dell’industria e del commercio>> è essenzialmente anomico, nel senso che le norme alle
quali sono assoggettati gli attori sociali lasciano loro un largo margine di autonomia. Sul
piano collettivo, questa autonomia genera degli effetti di <<rottura della solidarietà
organica>> (crisi) e, sul piano individuale, l’esposizione al rischio, all’incertezza,
eventualmente al fallimento e al disordine.
Allo stesso modo, un altro degli esempi preferiti da Durkheim, l’istituzione del divorzio,
accresce l’autonomia degli sposi; il ricorso ad esso indica e implica uno spostamento dei
costumi, sull’asse fatalismo-anomia, verso il polo dell’anomia. Dietro la tipologia
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egoismo-altruismo, anomia-fatalismo, si trova un’intuizione fondamentale di Durkheim,
che cioè l’intensificazione della complessità dei sistemi sociali comporta
un’individualizzazione crescente dei membri della società e quindi maggiori effetti di
<<deregolazione>>. E c’è anche una presa di posizione ideologica. Durkheim auspica - la
conclusione ottenuta ne La division du travail lo dimostra - il sorgere di una società in cui
gli individui siano guidati da un sistema di valori e di norme, cioè da una morale che in
inciti e li inviti a essere soddisfatti della loro posizione nel sistema di divisione del
lavoro; il concetto di anomia, evoca, in fondo, l’attaccamento di Durkheim al modello
semplicistico e contestabile che assimila società e organizzazione, anzi società e
organismo.”18
L’anomia resta, nonostante l’iniziale significato greco di fuorilegge o di mancata
applicazione della legge in una condizione di generale illegittimità, è arrivata a diventare
simile al concetto di anarchia attuale e di assenza di regole; ciononostante all’interno
dell’idea d Durkheim traspare principalmente come una reazione contro una risposta a un
controllo regolatore della società ciò significa che è distinta dall’anarchia che consiste
nell’assenza di ruoli di governanti e sottoposti e più in generale nel concetto di disordine.
Vista infatti con il filtro che la espone all’esterno come disordine sociale essa è
inquadrabile più facilmente come conseguenza di un cambio repentino di standard di
valori della società e più propriamente da un punto di vista economico in meglio o peggio
e dunque una significante discrepanza tra la singolare moralità e tra i valori professati
comunemente e cosa fosse ottenibile nella vita di tutti i giorni, questo andò contro la
teoria tendenzialmente elaborata fino a quel momento che prevedeva la combinazione di
eventi negativi e di depressione nella vita di una persona.
La considerazione di Durkheim appare in ogni caso non univoca tra le due opere per
quanto non del tutto dissimile tra le due opere.
La tesi sviluppata da Durkheim viene riaperto lo studio dell’anomia questa volta da un
punto di vista micro-sociologico rispetto ad uno macro-sociologico, infatti venne ispirato
dal punto di vista di devianza e struttura sociale, egli infatti sostiene che la disgregazione
sociale sia causata dalla complessità della società organica moderna come atto di
ribellione.
18 Boundon R., Bourricaud F.; “Dizionario critico di sociologia” ; trad.it Lorenzo Infantino, Armando Editore; 1991; Roma
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La devianza infatti secondo Merton è prodotta da anomia, a sua volta figlia e causa di una
tensione di basi culturali. Per creare un adattamento ai valori societari si possono
riscontrare cinque tipi di comportamento: in primo luogo la conformità che consiste bel
sottostare alle mete e ai mezzi; il secondo l’innovazione, chi non accetta di sottostare alla
legalità per inseguire e raggiungere le propri e mete; il terzo corrisponde al ritualismo
ossia chi non si riconosce nelle mete ma si muove secondo ai mezzi a disposizione
accontentandosi; per finire il quarto assenza dei primi e dei secondi che non seguono né
mete suggerite dalla società né i mezzi da essa offerti; in ultimo luogo vi è la ribellione
associabile all’anomia cioè il rifiuto di mezzi e delle vette ma con sostituzione di nuovi e
non necessariamente accettabili. Questo rappresenta uno studio positivista con interessi
sulla struttura sociale, essa è definita come teoria più che altro funzionalista.
Per quanto lo sviluppo di questa teoria porta a determinate considerazioni: “È chiaro che
le variabili utilizzate da Merton permetterebbero di dare ancora molte altre definizioni
della nozione di anomia. Il che è sufficiente a dimostrare che, se da un lato la tipologia di
Merton fornisce una macchina euristica, dall’altro essa contribuisce a spezzettare la
nozione di anomia in una moltitudine di significati possibili. La diversità delle delle
misure empiriche di <<anomia>> che sono state proposte riflette quindi la molteplicità di
significati di un concetto la cui unità è, in fin dei conti, essenzialmente negativa: in senso
mertoniano , l’anomia appare fin dal momento in cui ci si allontana dal caso limite, nel
quale i membri della società dispongono di mezzi leciti, accettati come tali, per
raggiungere scopi definiti da valori che esse hanno interiorizzato. Non si è qui molto
lontani da Durkheim, per il quale l’anomia cresce nella misura in cui il <<fatalismo>> -
nozione che descrive le società sovraintegrate - decresce.19
Simile interpretazione si riscontra in seguito “Secondo Merton il meccanismo di sviluppo
dell’anomia prevede, da un lato, una grande spinta culturale a raggiungere la meta del
successo e, dall’altro lato, la diffusione e l’accettazione culturale di tre assiomi, validi per
tutti, anche coloro che non possiedono mezzi sufficienti per realizzare le aspettative
sociali: <<primo: tutti dovrebbero tendere alle stesse nobili mete, dal momento che queste
sono aperte a tutti>>; <<secondo: l’apparente insuccesso del momento non è che una
tappa intermedia verso il successo finale>>; <<terzo: il vero insuccesso consiste nella
19 Boundon R., Bourricaud F.; “Dizionario critico di sociologia” ; trad. it. Lorenzo Infantino, Armando Editore; 1991; Roma
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diminuzione dell’ambizione e della rinuncia>>.20
20 Robert K. Merton; “ Teoria e struttura sociale” Vol.1 Teoria Sociologica ; trad. It. Il Mulino; 2000 ; Bologna
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Conclusioni
Nella mia tesi ho cercato di spiegare il fenomeno conosciuto come anomia in sociologia,
in particolare in riferimento al filosofo e sociologo, appartenente al periodo storico a
cavallo tra ‘800 e ‘900, di nome Émile Durkheim. Mi sono concertato sul contesto storico
per poter giustificare alcune delle sue idee in quanto per tutta la durata della sua vita la
Francia, sua terra di origine è stata flagellata da numerosi conflitti e una situazione
politica instabile di transizione tra monarchia o impero per passare completamente a
repubblica. Ho esposto alcune delle opere maggiori che come esplicato si sono occupate
di sociologia o di fenomeni prettamente sociali sul funzionamento della globalità,
soffermandomi in modo particolare e maggiormente approfondito su “Le suicide” e “La
division du travail social” è evidente che in queste due opere l’anomia venga
approfondita e applicata a quelli che sono i comportamenti di specifici soggetti sottoposti
a questa forma di patologia sociale.
Dalla mia opera di ricerca e di comprensione di quanto viene espresso dalle parole di
Durkheim e in seguito riguardo questo specifico argomento da Merton ispirato dal
fenomeno inquadrato precedentemente, sono riuscito a concludere che l’anomia per
quanto sia ancora oscura e possa essere tranquillamente analizzata sotto numerosi punti di
vista cambiando radicalmente significati, si può qualificare come una malattia del tessuto
sociale e del pensiero individuale.
Ciò che si evince infatti è che in ogni caso essa si distingue nettamente da una filosofia di
stampo anarchico o di mera ribellione così come viene inquadrato da Merton, rappresenta
invece una mancanza di partecipazione alle comune regole sociali e al comune rispetto
delle leggi, come qualcosa di involontario e di intrinseco ai soggettivi che ne sono affetti,
infatti appare come un desiderio imprecisato il cui unico effetto è quello di portare fuori
asse il singolo rispetto ad una visione di regolamentazioni collettivi e di sistemi
funzionali, ed è esattamente questa condizione che non concede al singolo la serenità
portandolo sempre più a compiere azioni che sfalderanno la collocazione a lui destinata
nell’assetto societario.
Non è dunque sufficiente definire l’anomico come fuorilegge, poiché la vastità del
termine va a testimoniare non una carenza o un disprezzo ma una letterale fuoriuscita a
prescindere dal fatto che questa si dimostri come pratica o come semplice influenza sul
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comportamento e sul modo di vivere.
E’ dunque da riscontrarsi una patologia anomica, non derivante da scelte ma
intrinseca e devastante per la sana sopravvivenza dell’individuo nel sistema che si
può ricondurre all’alienazione marxista espressa appieno nel concetto: “È
l'alienazione dell'auto-coscienza che pone la cosalità”21. Seppur nell’alienazione si
parli, come appena enunciato, di disumanizzazione mentre nell’anomia sarebbe più
corretto parlare di frattura nella struttura dell’individuo.
21 K. Marx; “Opere filosofiche giovanili” ; trad. It. Editori Riuniti; 1969 ; Roma
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Bibliografia – Il concetto di anomia in Durkheim
1) L. Infantino ; “L’ordine senza piano” ; Armando Editore ; 2011 ; Roma
2) E. Durkheim; Selected Writings ; trad. inglese, Cambridge University Press,
Cambridge 1972
3) L: Infantino ; “L’ordine senza piano” ; Armando Editore ; 2011 ; Roma
4) A. Raymond ; “Le tappe del pensiero sociologico”; CDE; Milano ; 1984.
5) E. Durkheim; “La Divisione del lavoro sociale”; trad. it. Il saggiatore; 2016 ;
Milano
6) E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
7) E. Durkheim; “La Divisione del lavoro sociale”; trad. it. Il saggiatore; 2016 ;
Milano
8) E. Durkheim; “Le regole del metodo sociologico”, trad. it; Edizioni di Comunità;
2001; Roma
9) E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
10) H. Spencer; “Social Statics”; 1851
40
11) E. Durkheim, “Le forme elementari della vita religiosa”; trad. it. Mimesis
Edizioni; 2013; Milano
12) E. Durkheim, “Le forme elementari della vita religiosa”; trad. it. Mimesis
Edizioni; 2013; Milano
13) E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
14) E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
15) E. Durkheim; “La Divisione del lavoro sociale”; trad. it. Il saggiatore; 2016 ;
Milano
16) Boundon R., Bourricaud F.; “Dizionario critico di sociologia” ; trad. it.
Lorenzo Infantino, Armando Editore ; 1991 ; Roma
17) E. Durkheim; “Il suicidio” ; trad. it. BUR; 2007 ; Milano
18) Boundon R., Bourricaud F.; “Dizionario critico di sociologia” ; trad.it Lorenzo
Infantino, Armando Editore; 1991; Roma
19) Boundon R., Bourricaud F.; “Dizionario critico di sociologia” ; trad. it. Lorenzo
Infantino, Armando Editore; 1991; Roma
20) Robert K. Merton; “ Teoria e struttura sociale” Vol.1 Teoria Sociologica ; trad.
It. Il Mulino; 2000 ; Bologna
21) K. Marx; “Opere filosofiche giovanili” ; trad. It. Editori Riuniti; 1969 ; Roma