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Memoria e profezia, titolo di questa pubblicazione, pongono in evidenza due aspetti fondamentali dell'Unitalsi: La memoria, richiama il carisma del pellegrinaggio, quello della sua azione caritativa e la sua visibilità nel cuore della Chiesa e della società. La profezia, annuncia i grandi valori della vita, primo fra tutti, quello della dignità della persona, che nei malati trova la sua grandezza e in chi li serve la stessa carità di Cristo. Il libro non è rivolto solo a coloro che appartengono all'Unitalsi, ma a chi desidera conoscere e approfondire il senso della carità, fatto volto nell' esperienza di quanti servono la sofferenza. Presentazione Don Decio Cipolloni, nel suo ministero prima di vice assistente e poi di Assistente, ha attraversato un periodo particolare della storia dell'Unitalsi in cui sono avvenuti cambiamenti profondi, sia del modo di essere dell'Associazione, sia del modo di rapportarsi con il malato. Già lo Statuto del 1980 imprimeva una svolta notevole ad una Associazione nata e sviluppatasi per i pellegrinaggi a Lourdes ed ai Santuari mariani, definendola associazione di culto e di religione. stato il primo passo per arrivare allo Statuto del 1997, approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana, che riconosceva all'Unitalsi lo status di Associazione pubblica di fedeli. Intanto andava maturando e si sviluppava un modo nuovo di rapportarsi con gli ammalati, che veniva sintetizzato nell'art. 1 dello Statuto, in cui lo scopo dell'Associazione diventa quello di incrementare la vita spirituale degli aderenti e di promuovere un'azione di evangelizzazione e di apostolato verso e con le persone ammalate, disabili e in difficoltà, e l'espressione "per e con" vuole indicare un rapporto di parità e reciprocità, che si esplicita nel diritto del malato e del disabile di diventare socio effettivo, quindi non più fruitore passivo dei servizi associativi, ma parte attiva del cammino. Don Decio, con i suoi articoli su Fraternità, di cui era direttore responsabile, traccia un percorso che copre proprio gli anni dal 1980 al 1997, lasciando intravvedere, e spesso marcando, il dibattito interno e sviluppando le tematiche che erano oggetto di discussione appassionata tra i soci. Ognuno di noi, che ha vissuto intensamente quegli anni, si ritrova negli articoli di don Decio, e tutti coloro che sono entrati nell'associazione dopo il 1997 potranno capire meglio l'attuale conformazione associativa ed il perché dell'impegno sul territorio. Don Decio, in un pellegrinaggio nazionale a Lourdes che aveva come tema "la roccia", nell'omelia invitò i pellegrini "a non fare come gli abitanti di Matera, che ornano le loro case con i sassi" prendendo un abbaglio, perché solo qualche tempo dopo avrebbe conosciuto la realtà dei rioni detti

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Memoria e profezia, titolo di questa pubblicazione, pongono in evidenza due aspetti fondamentali dell'Unitalsi:

La memoria, richiama il carisma del pellegrinaggio, quello della sua azione caritativa e la sua visibilità nel cuore della Chiesa

e della società.

La profezia, annuncia i grandi valori della vita, primo fra tutti, quello della dignità della persona, che nei malati trova la sua

grandezza e in chi li serve la stessa carità di Cristo.

Il libro non è rivolto solo a coloro che appartengono all'Unitalsi, ma a chi desidera conoscere e approfondire il senso della carità,

fatto volto nell' esperienza di quanti servono la sofferenza.

Presentazione

Don Decio Cipolloni, nel suo ministero prima di vice assistente e poi di Assistente, ha attraversato un

periodo particolare della storia dell'Unitalsi in cui sono avvenuti cambiamenti profondi, sia del modo

di essere dell'Associazione, sia del modo di rapportarsi con il malato.

Già lo Statuto del 1980 imprimeva una svolta notevole ad una Associazione nata e sviluppatasi per i

pellegrinaggi a Lourdes ed ai Santuari mariani, definendola associazione di culto e di religione. stato

il primo passo per arrivare allo Statuto del 1997, approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana, che

riconosceva all'Unitalsi lo status di Associazione pubblica di fedeli.

Intanto andava maturando e si sviluppava un modo nuovo di rapportarsi con gli ammalati, che

veniva sintetizzato nell'art. 1 dello Statuto, in cui lo scopo dell'Associazione diventa quello di

incrementare la vita spirituale degli aderenti e di promuovere un'azione di evangelizzazione e di

apostolato verso e con le persone ammalate, disabili e in difficoltà, e l'espressione "per e con" vuole

indicare un rapporto di parità e reciprocità, che si esplicita nel diritto del malato e del disabile di

diventare socio effettivo, quindi non più fruitore passivo dei servizi associativi, ma parte attiva del

cammino.

Don Decio, con i suoi articoli su Fraternità, di cui era direttore responsabile, traccia un percorso che

copre proprio gli anni dal 1980 al 1997, lasciando intravvedere, e spesso marcando, il dibattito

interno e sviluppando le tematiche che erano oggetto di discussione appassionata tra i soci.

Ognuno di noi, che ha vissuto intensamente quegli anni, si ritrova negli articoli di don Decio, e tutti

coloro che sono entrati nell'associazione dopo il 1997 potranno capire meglio l'attuale conformazione

associativa ed il perché dell'impegno sul territorio.

Don Decio, in un pellegrinaggio nazionale a Lourdes che aveva come tema "la roccia", nell'omelia

invitò i pellegrini "a non fare come gli abitanti di Matera, che ornano le loro case con i sassi"

prendendo un abbaglio, perché solo qualche tempo dopo avrebbe conosciuto la realtà dei rioni detti

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Sassi della città lucana, ma non è certamente un abbaglio dire che i suoi articoli su Fraternità sono

pietre miliari che hanno segnato il cammino dell'Associazione e determinato quelle scelte di

condivisione che hanno fatto sviluppare tutta una serie di progetti e di attività che oggi sono una

caratteristica marcata dell'Unitalsi.

Gli articoli di don Decio sono frutto di un servizio vissuto intensamente e la sua storia si innesta nei

quasi 110 anni di storia dell'Unitalsi, rendendola unica e nello stesso tempo simile a tutti coloro che in

questa Associazione si riconoscono mettendosi a disposizione degli altri per donare e ricevere con

gioia, nella consapevolezza che ciascuno è responsabile dell'Amore che riceve. Salvatore Pagliuca

Presidente Nazionale U.N.LT.A.L.S.I.

61 anni, avvocato,

appartenente alla Sezione Lucana,

sposato con 2 figlie,

guiderà l’Unitalsi fino al 2016

Prefazione

Ho incontrato Don Decio per la prima volta, durante un pellegrinaggio dell'Unitalsi. accaduto ormai

tanti anni fa, quando ero Parroco a Porto Santo Stefano e cercavo esperienze forti da proporre ai

giovani e agli adulti per farli uscire dalla mediocrità.

Ero andato a Lourdes con il primo gruppo di ammalati e volontari e fui testimone di un fatto che mi

colpì e mi edificò.

Durante il pellegrinaggio sentivo continuamente chiamare "Don Decio! Don Decio!".

Guardavo attorno e non riuscivo mai a vedere in faccia la persona pressata da continue chiamate e da

innumerevoli saluti: Don Decio, infatti, correva sèmpre e sembrava un torrente alpino, che lascia

salutari spruzzi d'acqua in tutte le direzioni.

Finalmente lo incontrai faccia a faccia. Aveva il volto sorridente e accogliente: quel volto che è la sua

caratteristica e, per tanti anni, è stato il volto stesso dell'accoglienza dell'Unitalsi.

Don Decio è un pezzo bello di storia dell'amore di Dio in mezzo a noi: lo dico con convinzione e

gratitudine. Una volta, visitando il Sermig a Torino, rimasi favorevolmente sorpreso osservando la

scritta collocata sulla porta della stanza di Ernesto Olivero. Diceva così: "Non bussare! Entra, perché

la porta è già aperta!".

Così è il cuore di Don Decio: e per questo è stato amato ed è ancora ricordato con affetto, con stima e

con nostalgia.

Questa serie di articoli che vengono raccolti e pubblicati sono la storia della sua anima al servizio

dell'Unitalsi; ma sono anche, nello stesso tempo, la storia del volontario unitalsiano degli ultimi

decenni: vengono affrontati problemi molteplici e scottanti e vengono offerte risposte serene, sapienti

e attuali.

Vale la pena non disperdere questa ricchezza.

Certamente, coloro che leggeranno queste pagine ricorderanno il lungo cammino dell'Associazione e

troveranno luce per vivere evangelicamente la meravigliosa esperienza unitalsiana. Angelo Card. Comastri

Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano E’ Arciprete della Basilica Papale Vaticana,

Presidente della Fabbrica di San Pietro e

Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano.

Durante il suo ministero di parroco a Porto S. Stefano (Gr) partecipava al pellegrinaggio dell'Unitalsi Toscana a Lourdes

con un gruppo di ammalati e di giovani,

per far vivere loro questa intensa esperienza di carità.

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Il suo affetto e la sua vicinanza all'Unitalsi si sono rivelati pienamente quando,

Delegato Pontificio al Santuario di Loreto, accoglieva i treni malati

offrendo loro una testimonianza di grande spiritualità e di umanità..

I pellegrini che giungevano al Santuario si sentivano come a casa propria, accolti con piena disponibilità, non solo

dall'affetto, ma soprattutto dalla parola calda e suadente

del suo ministero episcopale.

L'Unitalsi gli è grata perché, pur nel suo complesso ministero di accoglienza,

quando giungono i malati a San Pietro, trovano sempre un posto e una benedizione speciale.

Introduzione

ccogliendo la proposta di un barelliere, fatta propria con entusiasmo dalla sezione Unitalsi

Marche, nella quale iniziai questa esperienza di grazia che segnò la mia vita, ho messo mano

al riordino degli editoriali pubblicati sulla rivista "Fraternità", quando ero direttore

responsabile e attendevo al ministero di Vice-Assistente prima e Assistente ecclesiastico nazionale

poi.

Erano riflessioni che offrivo all'Associazione nel suo difficile, ma felice, cammino ecclesiale. Erano gli

anni del nuovo Statuto e del riconoscimento giuridico, che collocava l'Associazione nell'alveo della

legalità davanti allo Stato e dell'ecclesialità davanti alla Chiesa, che la identificava come un'

associazione di culto, non solo per la promozione dei pellegrinaggi; ma anche per la formazione

spirituale dei suoi membri.

Memoria e profezia pongono in evidenza due aspetti fondamentali:

La memoria: richiama il carisma dell' Unitalsi, la sua missione e le sue altissime finalità che postulano

la fede ed una forte umanità nell'evangelizzare la sofferenza attraverso l'azione caritativa. Il mandato

di Cristo "Predicate il Vangelo e curate gli infermi", rende visibile la carità della Chiesa e come dice

Benedetto XVI nell'enciclica Spe Salvi: «Il luogo dell'agire e del soffrire diventa luogo di

approfondimento della speranza». Ideali questi né superati, né supposti, ma fondamentali per chi

vuol rendere efficace l'azione unitalsiana.

La profezia: annuncio dei grandi valori. Essa assume un nome: quello dei malati, segno sacramentale

della presenza di Cristo; quello di chi condivide con loro il patire nel segno del buon samaritano.

L'intento di questa pubblicazione non è dunque fare una memoria storica dei mille volti che hanno

segnato il cammino dell'Unitalsi in questi decenni, ma è quello di recuperare l'identità

dell'Associazione, il senso dell'appartenenza, in un rapporto privilegiato con la Chiesa, che sigilla la

sua azione caritativa; con la società, perché meglio comprenda il senso della dignità della vita, che

non passa mai per la sua efficienza, ma per l'impronta divina che ognuno porta in sé. Di proposito

non ho voluto far memoria di alcun nome di tutti coloro che hanno, con saggezza, lungimiranza e

sacrificio, speso le loro energie per consegnarci questa eccellente opera di carità. Altri porranno mano

a questa memoria storica, perché il nome di costoro resti in benedizione.

Ho desiderato corredare di foto il testo, perché esse, nel loro straordinario linguaggio, esprimono

ancor meglio il carisma dell'Unitalsi. Al fotografo Riccardo Guglielmin docente di fotografia e

fotografo esperto in comunicazione visiva applicata alla fotografia sociale, che per anni ha dato la sua

collaborazione all'Unitalsi e alla rivista "Fraternità", va il merito di aver offerto una lucida

testimonianza di fede e di umanità, cogliendo nei volti e nei gesti prima ancora che con l'obiettivo con

il cuore, la ricchezza che ogni persona esprime, sia nel dolore, sia nel servizio alla sofferenza. Per

questo il vasto repertorio delle foto qui pubblicate in maggioranza, porta il suo nome. Con lui altri

fotografi ci hanno offerto la realtà dei santuari, laddove si concentra con il dolore l'amore, con la

preghiera l'ardente fede dell'umanità.,

A

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Con l'animo grato alla Chiesa che mi ha affidato il mandato di servire l'Associazione, e a tutti coloro

che mi hanno accolto, consegno alla forza dello Spirito Santo l'Unitalsi di oggi perché 1'

organizzazione non alteri la profezia, l'efficienza non sacrifichi l'efficacia della grazia.

Un grazie a tutti coloro che pur non facendo parte dell'Unitalsi mi leggeranno.

Sottolineiamo che la maggior parte delle foto di repertorio, non disponendo degli scatti originali, sono

state estratte dalla rivista "Fraternità". Don Decio Cipolloni

Decio Cipolloni, decimo figlio, nato a Cingoli (MC) nel 1940

nella Diocesi di Camerino-San Severino Marche, viene ordinato sacerdote 1'8 aprile 1967.

Svolge il ministero di parroco a Serra San Quirico (AN) e nella Basilica di San Venanzio a Camerino (MC)

Dal 1968 entra nel mondo unitalsiano, diventando

Vice Assistente prima e poi Assistente Ecclesiastico Nazionale (gennaio '85 - ottobre '96).

Rientrato in diocesi diviene responsabile della pastorale giovanile e collaboratore del settimanale diocesano "L'Appennino

Camerte", assumendone,

poi in qualità di giornalista-pubblicista la direzione dal 2003 al 2010.

Dal novembre del 2000 all'agosto del 2008 è

Assistente spirituale presso la facoltà di Medicina dell'Università Cattolica Sacro Cuore Policlinico Gemelli (Roma).

11 15 agosto del 2008, l'Arcivescovo di Loreto, Mons. Giovanni Tonucci, lo ha nominato Vicario Generale della Prelatura.

A sinistra stendardo nazionale Unitalsi - a destra il retro fatto dipingere nel novantesimo con l'immagine della madonna di Loreto per

sottolineare i due santuari scelti dall'Associazione per i suoi pellegrinaggi

L’UNITALSI, STRUTTURA PORTANTE PER IL CAMMINO DELLA CARITÀ

iamo consapevoli che l'azione dell'Unitalsi, pur senza merito, esprime la realtà della Chiesa nel

suo stesso esistere, come fatto di aggregazione intraecclesiale e, nel suo operare, come

componente concreta di quella comunità cristiana nella quale il mistero della comunione,

attraverso soprattutto un segno «quasi sacramentale» come sono i malati, s'incarna e si manifesta.

Sentiamo, infatti, sempre più come Associazione, l'urgenza di affondare l'aratro della carità nei solchi

della Chiesa italiana là dove magistero, pastorale e diaconia si coniugano per un valido annuncio del

Vangelo e per essere vero «sacramento di Cristo». Da anni l'Unitalsi si va interrogando su come

inserirsi sempre più nel cammino della Chiesa italiana, e in proposito fa testo un Convegno Nazionale

riservato proprio a questo tema.

In quell'assise, che ebbe come maestri autorevoli pastori, si riaffermò che l'Associazione: «Vuole

essere fermento e spazio educativo per i servizi ecclesiali che trovano nella Chiesa locale, in tutte le

sue articolazioni territoriali e organizzative, la loro autenticazione ed il loro rilancio».

Attingere dalla Parola e dal Magistero per discernere i segni dei tempi

Questa disponibilità e questa presenza di servizio richiedono anzitutto all'Unitalsi di attingere con

sempre maggiore diligenza e spirito di fede alla Parola di Dio, al Magistero del Papa e dei Vescovi,

quella luce e quella capacità di discernere «i segni dei tempi» sia: per temprare di chiarezza evangelica

e di limpidezza etica tutti gli operatori della misericordia, che chiamati dal Signore, vogliono

S

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costituirsi servi della sofferenza; per rispondere agli interrogativi a volte paradossali del dolore e della

malattia, perché sia vinto dalla cultura dell'efficienza e del piacere il tentativo di demonizzazione,

così da evangelizzare ogni umana sofferenza.

Siamo consapevoli altresì di avere il carisma del pellegrinaggio, ispirato dalla Madonna di Lourdes.

L'esperienza del servizio ai malati è da riconoscere come un vero e proprio ministero nella sua

permanente azione di sostegno e di consolazione. L'Unitalsi è così entrata in gioco, con l'azione

pastorale della Chiesa, sul versante della carità in quel preciso cantiere «dove l'uomo sofferente è via

della Chiesa perché egli è anzitutto via di Cristo stesso» (Salvifici Doloris)

Nuova presenza, nuovo impegno

Azione pastorale per e Con i malati che, afferma l'Esortazione Apostolica «I Fedeli Laici», deve essere

rilanciata, così da «Sostenere e promuovere attenzione, vicinanza, presenza, ascolto, dialogo,

condivisione e aiuto concreto verso l'uomo messo a dura prova dalla malattia» (n. 53).

Umilmente, ma con fermezza, perché ce lo insegnano loro, i malati con i quali condividiamo molto del

nostro tempo, vorremmo a noi e a tutti gli operatori pastorali ricordare che sono richiesti una

presenza e un impegno diversi:

• per superare quella concezione consolatoria che può rasentare il pietismo;

• per rendere la presenza più promozionale che assistenziale;

• perché il linguaggio non sia più invitante alla rassegnazione, che ad una positiva accettazione;

• perché non si proponga solo il Cristo Crocifisso, ma anche il Cristo risorto;

perché nella catechesi e nella liturgia come nelle attività pastorali, la sofferenza sia posta al centro

della riflessione, come occa sione privilegiata di una autentica pedagogia sulla vita e sul mistero

cristiano. Mentre i nostri occhi sono puntati sugli anni novanta in attesa di avere dai nostri Vescovi

l'autorevole documento «Evangelizzazione e testimonianza della carità» per iniziare un nuovo e

impegnato cammino, vogliamo rassicurare i nostri Pastori che le numerose associazioni caritative,

così vive nel tessuto della vita ecclesiale italiana, possono essere valida premessa per promuovere una

vera cultura di carità.

La sofferenza apre all'umanità e alla carità

L'Unitalsi nella sua configurazione, sia giuridica che pastorale, ha grande respiro nazionale e al

contempo, così intimamente legata con le sue molteplici formazioni alle singole diocesi e parrocchie,

quasi da identificarsi con loro. Essa può diventare una struttura portante del cammino di carità che

la Chiesa italiana vuole inaugurare in questo ultimo scorcio di secolo.

A questo vogliamo prepararci, rendendoci sempre più disponibili a offrire spazi e tempi di respiro

caritativo in compagnia dei malati e degli ultimi, anzitutto:

• ai Vescovi e ai sacerdoti, perché possano continuamente donare la loro umanità, e perché sia

più facile coniugare la loro realtà di maestri e pastori con quella di servi;

• ai laici impegnati e ai movimenti, perché anch'essi si facciano compagni di viaggio di coloro

che soffrono;

• al popolo cristiano, perché non lasci sopraffatto il cuore dalle semplici emozioni spirituali, ma

lo apra alla delicatezza evangelica del buon samaritano;

• alla sufficiente società, con i suoi scompensi e le sue contrad-

dizioni, perché comprenda che la pace e la giustizia non possono

che passare per la via della misericordia e dell'amore cristiano.

Se poi queste prospettive risultano ardue per la portata dell'Unitalsi, ci si perdoni averle solo pensate,

senza nessun'altra pretesa che quella di dare un volto e un nome a quella carità che vorrà proclamare

il Vangelo della misericordia negli anni novanta.

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Lo stupore di questo barelliere, capace di profonda tenerezza, trova nell'innocenza del bambino una grande luce per la sua giovinezza

IL VOLONTARIATO TRA SCELTA E VOCAZIONE

l fenomeno del volontariato - rileva una Nota Pastorale della salute nella Chiesa italiana, che

tanta affermazione ha avuto in questi anni nel nostro Paese, può essere considerato un vero e

proprio "segno dei tempi", indice di una presa di coscienza più profonda e viva della solidarietà

che lega reci-

procamente gli esseri umani» (n. 59).

Il suo campo d'azione si muove in una duplice dimensione: quella sociale e civile dove si evidenzia la

sensibilità dei cittadini a sostenere la gestione dei servizi, dando quel tocco umano alle Istituzioni,

perché non prevarichino sul diritto, né si limitino a esso; quella assistenziale nella vasta e variegata

morfologia dell'handicap, della tossicodipendenza e dell'anzianità, dando una concreta risposta, al

bisogno profondo di eliminare, attraverso l'incentivo della carità e della solidarietà ogni barriera tra

sani e malati.

Queste varie forme di volontariato che si esprimono in una molteplicità di servizi e opere, sono il

risultato di una forte spinta alla solidarietà, all'altruismo, suscitate da un'accentuata sensibilità

umana capace di muovere il cuore e la volontà a gesti di misericordia, di compassione, di aiuto

concreto.

Un volontariato con motivazioni diverse, ognuna legata a principi etici e spirituali propri; un

volontariato con efficacia diversa anche se finalizzato all'aiuto di un altro; un volontariato che pur

nella gratuità della prestazione, nella disponibilità verso gli ammalati e nello spirito di servizio, come

nel rispetto della professionalità, dovrà prevenire la tentazione di rivendicare diritti, di

strumentalizzare o di politicizzare l'operato, di richiedere qualche contropartita e soprattutto di

ridurre l'azione alla manovalanza.

La fede una luce sul volontariato

Come non invocare la fede in questa ardua impresa umanitaria per comprendere la sua originalità e

orientarne la sua azione? La Nota Pastorale sopracitata in merito dice che la «solidarietà umana

diviene più evidente e assume maggiore spessore in una visione di fede» (n. 60). E dalla fede, infatti,

che scaturisce il compito dei cristiani « ritrascrivendo - come dice Giovanni Paolo II nella lettera

"Fedeli laici" - la parabola evangelica del buon samaritano, rivelando e comunicando l'amore di

guarigione e di consolazione di Gesù Cristo» (n. 53).

Se poi inquadriamo questo compito nel contesto preciso del mandato apostolico «guarite gli infermi,

sanate i lebbrosi, gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date» (Mt 10,8) e nel comando

dell'amore che nella lavanda dei piedi assurge a stile inconfondibile di servizio, allora il volontariato

dovrebbe passare dalla sensibilità umana a quella evangelica, per dare questa impronta alla sua

opera, perché non sia più solo frutto di un'iniziativa propria, ma dono di un'ispirazione divina.

A questo proposito ancora la Nota Pastorale suggerisce alla comunità cristiana di: «aiutare a scoprire

ed educare vocazioni di servizio» (n. 62).

I

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La premessa istituzionale allo statuto dell'Unitalsi, perché fosse ancora più chiaro il ruolo

dell'Associazione, ricorda che i suoi aderenti «nella fedeltà ai sacramenti del Battesimo, della Cresima

e dell'Eucaristia, riconoscono il fondamento della loro consacrazione all'apostolato e il loro carisma

nel servizio dei fratelli ammalati, per la crescita della comunità cristiana».

In questa ottica allora il volontariato nell'Unitalsi può essere solo un punto di partenza come spinta

iniziale alle opere della misericordia per arrivare a comprendere il carisma ministeriale che lo attende.

Infatti, l'arcivescovo mons. Plotti parlando del volontariato come scelta profonda e permanente, dice

che deve essere sempre più sviluppata una dimensione vocazionale, e confessando come sia riduttiva

la parola «volontariato» per il cristiano, perché non è un prodotto né della volontà, né di chi si vuole

donare, egli afferma: «non basta proporsi, ma bisogna spiritualmente accogliere una chiamata ed un

invito del Signore». L'azione pastorale che svolge l'Unitalsi non può, dunque, prescindere da questa

specifica ispirazione, che, se parte dal volontariato, diventa poi missione di servizio. Volontari per

scelta o per vocazione? Va dunque riscoperta questa vocazione al servizio, come un dono che il

Signore suscita perché nell'avvicinare i malati, a essi si porti il Vangelo delle beatitudini e con essi si

promuova la vita cristiana. Non vogliamo affidarci solo alla nostra buona volontà, così sollecita allo

spontaneismo, alla sensibilità umana, ma così incostante e in cerca di gratificazione, soddisfatti più

per la buona azione compiuta, che per quello che si è ricevuto.

Missione che non può essere suffragata da un istintivo volontarismo, ma da una prorompente spinta

interiore, più dono di Dio che forza della nostra natura umana. Volontari per dare qualche cosa di noi

stessi, o servi per portare Cristo che senza remore, ma per un atto sconfinato di fiducia, ci consegna i

suoi panni di buon Samaritano, perché continuiamo a versare come lui sulle ferite umane l'olio della

consolazione? L'Unitalsi propone ai suoi membri di essere docili allo Spirito e di rendersi disponibili

ad accogliere questo mandato per allestire nel mondo del dolore e dell'emarginazione il cantiere della

carità perché:

• curando e consolando si annuncia i l Vangelo della speranza;

• promuovendo la crescita umana e cristiana si opera la salvezza;

• difendendo la dignità e il valore della persona si restituisce un volto umano alla società.

«I volontari - dice ancora Giovanni Paolo II nella lettera "Fedeli laici" - sono chiamati ad essere

l'immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i malati e i sofferenti» (n. 53).

Vorremmo essere tutti insieme consapevoli di questa missione che investe la nostra vita, come lo era

per quella suora infermiera incontrata con un arnese di servizio in mano, nella corsia di un ospedale,

dal suo vescovo. Restando meravigliato per questo gesto le disse: «Sorella, che cosa le tocca fare!», e

lei di rimando rispose: «Che cosa mi è concesso di fare!». Stupiti anche noi per quello che «ci è

concesso di fare», ci adopereremo perché il nostro servizio sia:

• profezia di un amore che vince ogni paura;

• recupero della sensibilità evangelica;

• fecondità di opere;

• occasione per una rivisitazione silenziosa e orante del mistero della sofferenza che, nella

solidarietà, diventa presidio per ogni umana disperazione.

(3-4-1990)

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Il peso degli anni, pur alleggerito dai meriti di una vita segnata dalla fatica, non toglie la voglia di salire ancora verso il Signore, che le

offre il sostegno in chi sa farsi prossimo

Oltre il gesto e la parola, l'espressione più alta dell'amore non può che passare per questo intenso e profondo raccoglimento, sublimato

dalla preghiera

VOLONTARI PER AMORE

a IV Giornata Mondiale del Malato trova sempre più una sua collocazione nel cuore della

Chiesa, così materna e sollecita verso il dolore dell'uomo e così preoccupata della solitudine

che l'avvolge, della paura che l'accompagna.

E su questo dolore, che si posa lo sguardo paterno e profondo del Papa Giovanni Paolo II, nel suo

messaggio per questa giornata, quando ci invita ad ascoltare «Il pianto di folle provate dalla

sofferenza; le vittime straziate dalla crudeltà della guerra; le vittime tuttora in atto, soprattutto i più

deboli, le madri, i bambini, gli anziani. Quanti sono i malati attanagliati dalla paura e dalla

disperazione?». A questo ampio scenario, fa da sfondo una società sempre più disorientata e incapace

ad arginare la violenza, a offrire strutture degne di accogliere i malati, i disagiati mentali e fisici, a

difendere i deboli.

A chi affidarsi?

Il Papa riconosce che «i lodevoli ed anche eroici sforzi di tanti operatori sanitari ed il crescente

apporto di personale volontario non bastano a coprire le concrete necessità». A questa preoccupante

situazione cerca di venire incontro la Chiesa italiana, che per la Giornata Mondiale del Malato

propone un tema di grande attualità: «Volontari: la sfida ad amare». É l'unica risposta che può essere

data alle suppliche del dolore umano. 'Perché una sfida ad amare? Perché le provocazioni nel tempo

presente, le atrocità della cattiveria umana, la massificazione delle coscienze hanno indurito il cuore

dell'uomo; il consumismo e la vita facile hanno fiaccato le volontà; i ritmi accelerati di una vita

confusa e stressante hanno reso incomprensibile il linguaggio, anonimo ogni volto, indifferente ogni

L

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umana situazione. In questo contesto, il Papa nel suo messaggio «chiede al Signore di voler suscitare

in numero ancora patronali, molti i catechisti e gli animatori liturgici, molteplici i gruppi ecclesiali,

diversi i club sportivi, musicali o ricreativi. Si tratta dì sensibilizzarci per sensibilizzare.

La Giornata del Malato è stata promossa per questo. «Volontari, la sfida ad amare» susciti nel cuore

dei credenti un'inquietudine, quella di Cristo, che ricorderà fino alla fine dei tempi «Ero malato e mi

avere visitato».

(11-12-1985)

Mentre scrivi sul diario i tuoi pensieri, Dio nel libro della vita scrive le sue opere

Il pellegrinaggio visto nella sua espressione più semplice e più nascosta del viaggio in treno. E' lì dove non giungono gli sguardi dei più,

che si rivela tutta la ricchezza umana di chi serve con amore.

ELEZIONI NELL’UNITALSI: UNA SCELTA DI SERVIZIO

llo scadere del quinquennio, l'Unitalsi chiamata a rinnovare, mediante l'istituto delle elezioni,

gli organi direttivi in seno alle sue singole formazioni. Lo statuto affida all'assemblea dei soci

effettivi ospitalieri il compito di eleggere i propri responsabili he eserciterànno il mandato per

cinque anni. Un avvenimento questo quanto mai delicato e complesso, che non può prescindere da

quella visuale di fede e da un profondo senso di responsabilità, che sole possono orientare a scelte

oculate e obiettive per quanto possibile. Vorremmo illuminare questo evento riproponendo

l'esperienza della prima comunità cristiana, quando gli Apostoli, volendo provvedere al servizio delle

mense e all'assistenza delle vedove e degli orfani, convocarono l'assemblea dei cristiani dicendo:

«Cercare tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di saggezza, ai quali

A

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affideremo questo incarico» (At 6,3). Pur non trattandosi nel nostro caso di una scelta come quella

indicata dagli Apostoli per affidare a quegli uomini il ministero diaconale, che nel sacramento

dell'ordine trova una sua specifica grazia, desideriamo però anche noi dare delle indicazioni e investire

i soci elettori di questa particolare responsabilità. Gli Assistenti Spirituali in un loro convegno vollero

lanciare un appello a proposito delle scadenze statutarie delle cariche sociali, raccomandando in una

specifica mozione «È necessaria una chiara coscientizzazione dei ruoli e degli obblighi dei soci, perché

vengano scelti con coraggio "responsabili" capaci, dinamici e testimoni di autentica fede cristiana,

tanto da incarnare il buon samaritano». Scegliere, dunque, uomini e donne sagge perché abbiano la

capacità di guidare, coordinare e promuovere la vita associativa dell'Unitalsi e possano rappresentare

l'opera, facendosi essi stessi modello di carità e di donazione per tutti gli aderenti. Il ruolo dunque di

Presidente e di Consigliere da eleggere e i ruoli di Vice Presidente, Tesoriere e Segretario da nominare

perché compongano i nuovi Consigli, non sono né un monopolio, né un'istituzione legata a qualcuno,

ma un mandato temporaneo e rinnovabile, secondo il carisma, che investe la coscienza di chi lo riceve

nell'ordine morale, spirituale e giuridico, diventando punto di riferimento e segno di unità per tutti gli

associati. Il benestare che l'Unitalsi richiede all'autorità ecclesiastica competente per i nuovi

Presidenti eletti, mentre ricorda agli elettori la responsabilità di individuare uomini e donne di

integerrima condotta cristiana e di piena comunione con la Chiesa, vorrebbe essere quasi un sigillo di

grazia e di benevolenza che viene dato a questo mandato, non più solo espressione di una volontà

democratica, ma di un servizio ecclesiale da sentire ed espletare come tale. Non possiamo nascondere

che l'istituto delle elezioni in un'opera così ecclesiale e così spirituale come l'Unitalsi non può che

richiedere sia una forte maturità democratica, sia una chiara presa di coscienza, perché gli elettori

siano capaci di valutare e scegliere al di là di ogni tentazione di personalismo fazione o pregiudizio, le

persone idonee, esclusivamente per il bene dell'Unitalsi. Evidenti difficoltà per situazioni concrete o

per limiti umani non devono turbare lo svolgimento di questo atto così importante. Gli strumenti che

lo statuto e il regolamento offrono, illuminati dallo Spirito che sempre deve vivificare la legge,

orientano con chiarezza gli attuali responsabili, perché nel rispetto delle norme, nella saggezza e

nell'obiettività, attendano con scrupolo a questo adempimento. Coscienti della responsabilità che

l'Unitalsi affida ai suoi soci elettori, tutti invochiamo il Signore con precisi e ripetuti momenti di

preghiera, perché il suo Spirito li illumini nelle scelte e dia saggezza, coraggio e umiltà a quanti

saranno chiamati a dirigere l'opera in questo nuovo quinquennio. Diversamente ci si ritroverebbe a

rinnovare gli organi direttivi di

qualche società sportiva o circolo culturale. Sentiamo di affidare questo momento che vive l'Unitalsi

alle preghiere, alle sofferenze e alla grande simpatia dei nostri malati, pietre nascoste e vero

fondamento di grazia e di luce della nostra opera. Gli elettori e gli eletti riconfermati o rinnovati,

continueranno con lo spirito di sempre a servire la sofferenza e a testimoniare così il proprio amore a

Cristo, alla Chiesa, all'Associazione.

(9-10-1995)

Giovanni paolo II si intrattiene con il personale dell'Unitalsi mentre ricorda loro l'amore che rivelano a nome della Chiesa nel servizio

alla sofferenza

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IL RICONOSCIMENTO ECCLESIALE: PRIVILEGIO O MISSIONE?

iamo troppo abituati a guardare i gruppi, le associazioni, i movimenti e altre realtà ecclesiali in

un'ottica approssimativa lasciandoci prendere da facili simpatie o da pregiudizi, che ci chiudono

alla conoscenza, quando non addirittura al rispetto e all'accoglienza. Eppure ognuno ha il suo

carisma, la sua profezia, la sua missione, anche se velate dai condizionamenti umani e dalle vicende

che ne possono mortificare l'identità. Ripensare alla natura, al carisma e alle finalità di

un'associazione o movimento, significa ridare motivazione e forza alle scelte, all'azione, come altresì

verificare impegno, intenzioni e comportamenti, perché siano sempre trasparenza di altissimi ideali.

Ecco allora la riflessione sulla natura dell'Unitalsi, sulla sua costituzione, diremmo quasi fisiologica.

L'opera iniziata timidamente dalla debolezza di un malato si è talmente consolidata e diffusa da

essere oggi una realtà a dimensione nazionale. La vastità dell'operatività e la consistenza della sua

azione pastorale le hanno richiesto di assumere una veste giuridica sia davanti alla Chiesa come

davanti allo Stato. La nostra attenzione ora è posta sulla sua natura ecclesiale. Il 14 dicembre 1980 la

Presidenza della CEI, per mandato del Consiglio Permanente ha «riconosciuto l'Unitalsi come opera

ecclesiale avente finalità di culto, con la debita approvazione dello Statuto e la nomina dell'Assistente

Nazionale».

La forza di un riconoscimento.

Vorremmo insieme comprendere qual è stata la portata di questo

riconoscimento ecclesiale per rispondere in pieno alle attese della Chiesa e alle esigenze della

comunione e della missione.

Un'illuminazione in merito ci viene da una nota pastorale sui «criteri di ecclesialità» emanata nel

1981 dalla Commissione Episcopale per l'Apostolato dei Laici. In essa leggiamo che vi sono alcune

associazioni che «non si limitano a vivere e operare nel quadro della legittimità e della libertà, tutte

garantite dalla Chiesa, ma desiderano e chiedono all'autorità ecclesiastica una particolare ed esplicita

approvazione, che di solito si esprime con il termine "riconoscimento" e possono dirsi "associazioni

riconosciute". Per questo assumono uno speciale rilievo nell'organismo ecclesiale, perché il loro

rapporto con l'autorità pastorale si articola in modo più preciso ed impegnativo» (n. 18). L'Unitalsi

non poteva non chiedere questo particolare e esplicito riconoscimento alla CEI, essendo il suo servizio

ai malati, un mandato scaturito dal ministero apostolico che hanno ricevuto i Vescovi «di curare gli

infermi». La CEI ha tenuto sicuramente conto, nel concederle il riconoscimento, del suo impegno

primario espresso nella premessa istituzionale quando dice che «si fa collaboratrice nelle mani dei

Vescovi per assistere e curare gli infermi... modello di vita cristiana e di carita-tevole assistenza nelle

parrocchie e nelle diocesi, entro i limiti organizzativi approvati dai Vescovi». E da questa dichiarata

disponibilità alla Chiesa che l'Unitalsi ha dato finalmente alla sua azione caritativa quell'identità

ecclesiale, indispensabile per un efficace servizio alla sofferenza.

Il suo valore ecclesiale

Il riconoscimento è un atto ricco di valore ecclesiale che anche se non comporta una «identificazione»

tra l'Unitalsi e la Chiesa, tuttavia pur coinvolgendo tutta se stessa nelle proprie scelte, non si può

sottovalutare che in qualche modo essa esprime la realtà della Chiesa nel suo stesso esistere, sia come

«aggregazione» di uomini e donne cristiani, sia come espressione di una comunione che nel segno

«quasi sacramentale dei malati» s'incarna e si manifesta.

S

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Al termine di ogni processione Eucaristica a Loreto, l'Arcivescovo Pasquale Macchi riservava un saluto personale ad ogni malato, in un

gesto paterno di grande umanità

Il suo valore spirituale

Il riconoscimento assicura a tutti gli aderenti:

• il valore spirituale dell'opera, il pellegrinaggio ne è l'espressione massima;

• la sua capacità d'incidenza, basti pensare all'aumento sorprendente di adesioni specialmente

tra il mondo giovanile;

• l'utilità per la credibilità che offre a ogni Chiesa che ne accoglie il servizio. Esso contiene

un'implicita «raccomandazione» fatta ai fedeli, perché se vogliono possono trovare nell'Associazione

una strada sicura per motivare la fede. È un valido aiuto per chi vuole impegnarsi in modo

permanente e organizzato al servizio della sofferenza.

È téstimonianza della promozione del laicato da parte della Chiesa che gli affida la responsabilità di

animare il mondo della malattia e di inserirsi pienamente nella sua attività pastorale. Infine il

riconoscimento ecclesiale nella sua rilevanza nazionale comporta un apprezzamento positivo di non

lieve entità per le Chiese locali, là dove l'Unitalsi già opera, e d'incoraggiamento là dove potrebbe

essere accolta per operare.

La responsabilità dell'Unitalsi

Il peso morale di questo riconoscimento che si estende a tutta la Chiesa italiana, chiede all'Unitalsi di

far convergere con il carisma del pellegrinaggio e il ministero del servizio, nelle scelte della Chiesa e

delle diocesi interessate, il proprio contributo di idee e di forze alla pastorale della sofferenza,

adoperandosi perché non solo siano conosciuti gli obiettivi, ma possano essere pienamente realizzati.

Non vogliamo considerare il riconoscimento ecclesiale un connotato giuridico che vuole metterci al

sicuro, o farci conquistare buone posizioni negli spazi ecclesiastici, quanto piuttosto sottolineare il

valore teologico e pastorale dell'Associazione. Riteniamo però che non bastano questi contenuti, che

per sua natura ha in sé l'Unitalsi, perché sia un'associazione ecclesiale, ma è necessario che il suo

cammino si inserisca pienamente nelle pieghe della vita ecclesiale delle diocesi e delle parrocchie, e

questo resta un ideale da perseguire. Un riconoscimento che interpella non solo l'Associazione nella

sua struttura e nelle sue scelte operative, ma i singoli soci, chiamati a intessere la loro vita di questa

«mentalità ecclesiale» perché vincano le tentazioni di un accentuato laicismo latente anche nei

cristiani più impegnati. L'ecclesialità non può che spingere a vivere la comunione e all'Unitalsi è dato

di sperimentare il prodigio in un modo così toccante e concreto specialmente nei momenti forti del

pellegrinaggio e nella comune esperienza del servizio. L'esigenza della comunione a cui l'Unitalsi vuol

tendere, non può che passare attraverso la disciplina ecclesiale, perché la sua ecclesialità non resti

virtuale, ma pastoralmente operativa. Oggi però sembra prevalere più la libera iniziativa negli

operatori che una comune norma pastorale di comportamento, per esprimere con più forza non solo la

comunione, ma per raggiungere con più efficacia la grazia della salvezza. L'adesione affettuosa al

magistero della Chiesa, il recupero della vita parrocchiale, una forte e costante catechesi,

promuoveranno un vero cammino di Chiesa. Affidandoci all'opera insostituibile dei sacerdoti, datici

dall'autorità ecclesiastica come Assistenti Spirituali saremo certi di non deludere la Chiesa, che ci ha

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dato fiducia, e con la quale vogliamo. percorrere la stessa via, quella dell'«uomo» redento da Cristo.

Mi auguro che il dono dell'ecclesialità abbia la forza di suscitare un'accentuata esigenza di

interiorizzare e qualificare il servizio; una coscientizzazione della vita associativa, così pregnante di

attività e di iniziative, quanto così bisognosa costantemente di una forte tensione spirituale e

culturale.

Se poi ci è consentito per un momento di sognare, chi sa che un giorno l'Unitalsi non possa essere,

come l'Azione Cattolica, un'associazione «scelta in modo particolare dall'Autorità ecclesiastica» per

essere più «strettamente unita al suo ufficio apostolico», perché la Chiesa sia aiutata a essere più

visibilmente «icona del buon Samaritano» e come la Vergine Maria grembo materno di misericordia?

(5-6-1989)

Sono loro, gli assistenti ecclesiastici dell'Unitalsi a sigillare di grande l'azione caritativa dell'Associazione, perché svolga il suo mandato

di servizio alla sofferenza non a nome proprio, ma a nome e per conto della Chiesa.

L'ASSISTENTE ECCLESIASTICO: UN MINISTERO IN CONFLITTO?

l «riconoscimento» ecclesiale dell'Unitalsi ci spinge a porre in evidenza uno dei fondamentali

requisiti che lo determinano, quello della presenza del sacerdote in seno all'Associazione stessa.

La Nota Pastorale sui «Criteri di ecclesialità» infatti,

chiede che da parte dell'Associazione ci sia «l'impegno

a riconoscere la presenza e l'azione dei sacerdoti, nominati dal Vescovo, sentiti i responsabili della

stessa associazione "mandati" all'associazione come espressione visibile di piena comunione ecclesiale

e di positivo raccordo pastorale, oltre che come aiuto offerto dalla Chiesa per una più profonda e

completa formazione apostolica degli associati» (n. 20, B. c.).

Questo requisito trova pieno consenso nello statuto dell'Unitalsi che chiede all'autorità ecclesiastica

competente di nominare nelle diverse formazioni nazionale, sezionale e sottosezionale, su proposta dei

rispettivi Consigli, gli Assistenti Ecclesiastici, definiti dalla stessa premessa istituzionale «maestri di

spirito e segno della più completa fedeltà ai pastori ed al Papa».

Queste prospettive sono state messe a fuoco in un recente convegno nazionale per gli Assistenti

Ecclesiastici dell'Unitalsi. 1160 sacerdoti provenienti da tutte le regioni d'Italia hanno visibilmente

sottolineato la comune appartenenza a una Associazione nella quale cercano dì sostenere il cammino

di fede dei volontari e dei malati, fruendo da loro una carica umana e spirituale non facile a percepirsi

in altri servizi pastorali.

Mons. Plotti, mediando le indicazioni sancite dal Concilio per i sacerdoti animatori delle associazioni

laicali, ha riaffermato che l'Assistente Spirituale dell'Unitalsi «deve essere e fare il prete,

essere pastore, animatore, deve preparare il pellegrinaggio, deve spingere al coraggio».

Mansioni differenti: unico ministero

Il ruolo preciso ed essenziale, comprensivo delle più ovvie ragioni apostoliche, trova grandi ostacoli

nell'essere svolto, come richiede la stessa azione caritativa dell'Unitalsi, perché, se non mancano in

genere la disponibilità del cuore e le attitudini umane degli Assistenti, manca però il tempo, oberati

da altri impegni pastorali, considerati primari nel ministero sacerdotale, quali la parrocchia,

I

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l'insegnamento, gli uffici di Curia. Conciliare, dunque, le diverse esigenze pastorali è tanto più difficile

quando questo ministero non lo si fa rientrare a pieno titolo nel complesso delle realtà ecclesiali. Sono

molti oggi i sacerdoti impegnati nelle associazioni, nei movimenti e negli organismi pastorali delle

proprie diocesi. Se tornassimo a inquadrare il nostro ministero nell'ottica della Presbyterorum

Ordinis, allora potrebbero prendere più autorevolezza e considerazione i molteplici servizi che si

svolgono. «I presbiteri anche se si occupano di mansioni differenti, sempre esercitano un unico

ministero sacerdotale in favore degli uomini. Tutti i presbiteri hanno la missione'di contribuire a una

medesima opera, sia che esercitino il ministero parrocchiale o sopraparrocchiale, sia che si dedicano

alla ricerca dottrinale sia che svolgono altre opere d'apostolato o ordinate all'apostolato» (n. 8).

Prescindendo, dunque, dalle fatiche pastorali che assediano i giorni e le settimane e creano

indubbiamente conflitti nel dover dividere la propria disponibilità, la consapevolezza di esercitare lo

stesso ministero sacerdotale e di adempiere all'unico mandato del Vescovo, nelle diverse mansioni

affidate, non dovrà far sentire l'Assistente diviso in se stesso, né tanto meno colpevolizzato dall'una o

dall'altra realtà pastorale. Si adoperi invece ad educare sia la parrocchia, sia l'Associazione al senso

della Chiesa, perché né l'una, né l'altra si approprino o rivendichino la sua presenza, ma considerando

lo stesso cammino di fede, sappiano contempe rare le esigenze e accogliere in intensità il suo servizio

sacerdotale. Quanto sarebbe negativo se la comunità o lo stesso presbiterio considerassero alternativo

o addirittura alienante il servizio dato da un sacerdote o da un parroco a un'associazione?

Perché, dunque, l'opera dell'Assistente nella vita associativa, non sia un'azione privatizzante, né

riduttiva del suo ministero, ecco l'esigenza di non interrompere la tensione pastorale, ma anzi di

amplificarla nel contesto dell'intera Chiesa locale.

Rapporto privilegiato con il Vescovo

Consapevoli di essere mandati dal Vescovo all'Associazione, dobbiamo sentirci «molto vicini

collaboratori del Vescovo». Una collaborazione che non può ridursi a qualche episodico invito,

quanto piuttosto sia accogliendo le sue indicazioni pastorali, sia rendendolo partecipe delle attività e

del cammino spirituale dell'Associazione. Una collaborazione che consentirà al Vescovo di

sottolineare ancora con più evidenza la sua scelta preferenziale per i malati, avendo egli ricevuto,

come del resto ogni Vescovo, nell'ordinazione episcopale, il grembiule del servizio.

Rapporto con il presbiterio diocesano

Credo che non sia stato sottolineato abbastanza il rapporto che dovrebbe intercorrere tra l'Assistente

e il suo presbiterio diocesano, nella prospettiva di questo preciso mandato che non è un hobby

personale, né una delega in bianco «ma un servizio di non minore importanza di quello legato alla

parrocchia o agli uffici di Curia» anche i sacerdoti — dice il Concilio — che sono addetti a opere

superparrocchiali o superdiocesane, siccome esercitano preziose opere di apostolato, sono meritevoli

particolari attenzioni (Christus Dominus, n. 29). L'animazione spirituale in una associazione non può

che essere accolta dal Presbiterio diocesano come un servizio pastorale alla Chiesa locale e, quindi,

indirettamente un servizio alle singole parrocchie, alle quali si mettono a disposizione la ricchezza

spirituale e il carisma dell'Associazione.

Un mandato di grazia e di autorevolezza

L'aver accettato o l'accettare in futuro il mandato del Vescovo di fare l'Assistente dell'Unitalsi sia

ascritto anche questo a una grazia che giunge al nostro sacerdozio perché:

• si arricchisca di umanità;

• recuperi nel cammino con i laici animatori delle realtà terrene il suo originario carisma

apostolico «Nos vero ministerio verbi et orationi instantes erimus» (Noi invece ci dedicheremo alla

preghiera e al ministero della parola - At. 6,4);

• conosca il patire e il soffrire;

• si adorni della pazienza evangelica.

Senza nascondere la fatica che l'animazione pastorale porta con sé, l'Assistente entra

nell'Associazione con serenità, sapendo di trovare accoglienza e affetto da parte dei suoi diretti

collaboratori che ne hanno espresso già apprezzamento, proponendo al Vescovo la sua nomina. Nello

stesso tempo sa di avere la sua autorevolezza pastorale, che pur giocata nei meccanismi della

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struttura, non dipenda da essa, né tanto meno ne fruisce forza, ma ricevutala dal Vescovo, che lo ha

costituito in questo ministero, la esercita, condividendone l'ansia e la fatica con i laici.

La carenza di sacerdoti, specialmente giovani e la ridotta disponibilità di quanti sono preposti ad

animare pastoralmente l'Associazione, possono scoraggiare i nostri buoni laici, che invocano con

insistenza questa guida spirituale, questa insostituibile missione sacerdotale.

La dinamica dell'azione caritativa che nell'Unitalsi assume il volto tipico della misericordia, dai

connotati più affascinanti, quali la serenità, la delicatezza, l'umanità, il coraggio, espresse dal malato

nel paradossale e al tempo stesso evangelico mistero della sua sofferenza, spingono l'Assistente a

imprimere un «sigillo» quasi «sacramentale» a quest'opera perché sia segno vivo di Cristo e della sua

Chiesa, madre di misericordia.

(1-2-1990)

Mons. Alessandro Plotti, arcivescovo di Pisa e Presidente nazionale dell'Unitalsi, consacra l'altare posto nella cappella del Salus,

ristrutturato e ampliato per una migliore e degna accoglienza dei malati

Il Cardinale Camillo Ruini Vicario Generale di Sua Santità e Presidente della C.E.I., che sempre ha seguito con attenzione il cammino

dell'Unitalsi, saluta i malati l'11 febbraio 1996 nella Basilica di San Pietro.

LA PARROCCHIA, SPAZIO ECCLESIALE DA CONQUISTARE O DA SERVIRE?

entre l'estate sta arrivando tra folate di caldo e acquazzoni, più viva e intensa si fa la

stagione dei pellegrinaggi che ha già in attivo 40 treni per Lourdes, 12 per Loreto e uno per

Fatima. In questo intreccio di partenze e di rientri, di ritardi e di attese, ecco segnato

l'itinerario di riflessioni che scandiscono il ritmo spirituale dei pellegrinaggi. Il tema pastorale «Con

Cristo pietre vive» vademecum di questi viaggi dello spirito, è proteso a far recuperare ai cristiani in

M

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forza del battesimo ricevuto, la responsabilità di promuovere la loro fede, di testimoniare il Vangelo e

di santificare il mondo e la sua storia.

Se vogliamo entrare nel vivo delle sollecitazioni offerte da un tema così affascinante, credo

provvidenziale per la nostra azione pastorale fermare l'attenzione su «la Chiesa edificio di Dio per gli

uomini». Verità che motiva e orienta ogni scelta di fede, sia personale che comunitaria.

È nella Chiesa, infatti, che si custodisce e si celebra Cristo, è dalla Chiesa che è arrivato a noi il

Vangelo, la sua grazia e nella Chiesa che si attualizza la sua presenza. Questa inaccessibile ricchezza

di grazia che la Chiesa custodisce «trova la espressione più immediata e visibile nella parrocchia; essa

è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case

dei suoi figli e delle sue figlie» (Fedeli Laici n. 26)

E proprio perché le nostre case, le nostre famiglie, come le nostre

sedi operative, sono tutte avvolte da questa presenza, vogliamo ora guardare con gli occhi della fede

la parrocchia, per ritrovare quel volto che esprime il mistero di Cristo presente e operante in essa.

Movimenti e associazioni per la chiesa locale

L'impegno dei cristiani nel partecipare alla vita della Chiesa mettendo in opera compiti e carismi

trova la sua primaria necessaria espressione nella Chiesa locale «Cercate di fare unità nei pensieri, nei

sentimenti, nelle iniziative intorno ai vostri parroci e con essi intorno al Vescovo che é il visibile

principio e fondamento di unità nella Chiesa particolare» (Giovanni Paolo II - 31 marzo 1984).

Superando le motivazioni umane che spesso pregiudicano la nostra stima e fiducia nelle parrocchie,

liberi da interpretazioni più legali che pastorali, vincendo la tentazione del campanile o quella di

un'evasione sistematica dalla vita parrocchiale, recuperiamo il desiderio di concretizzare la nostra

fede nella dimensione parrocchiale, luogo preciso di impegno, di testimonianza, di verifica e di

esercizio della propria missione. Il pericolo di un'autosufficienza spirituale e di estraniazione dalla

vita pastorale locale, cui i movimenti e le associazioni sono esposti, può superarsi se si vive la piena

comunione con i propri pastori.

La stagione spirituale che sta vivendo la Chiesa italiana attraverso i molteplici movimenti e

associazioni che permeano in modo efficace tutti i settori della sua vita, si annuncia come una nuova

primavera di evangelizzazione.

Se però guardiamo nel suo complesso la vita delle nostre parrocchie, abbiamo la sensazione che non

arrivi loro in pienezza questa ossigenazione spirituale, per ridare impulso e forza alla loro missione

pastorale. Se poi ci si avvicina alla parrocchia per promuovere un inserimento ci si ritrova spesso a

cercare spazi da occupare, più che servizi da offrire e qualche volta chiedendo anche di essere

«sponsorizzati». Le mete educative di associazioni e movimenti non possono che sollecitare in ogni

singolo aderente, un forte senso di Chiesa e un forte senso della sua parrocchia, luogo concre to della

sua testimonianza e confronto quotidiano della sua fede. L'Unitalsi, pur non avendo nella tradizione

una collocazione territoriale nella parrocchia, viene però a contatto con essa mentre svolge la sua

azione caritativa. Mons. Plotti, nostro Assistente, più volte ha richiamato la nostra responsabilità di

animatori della carità, interrogandoci su come educhiamo i nostri ammalati a essere in comunione

con i fratelli sani nelle comunità parrocchiali.

L'analisi e le prospettive del nostro impegno sollecitano alcune ovvie considerazioni perché l'Unitalsi

vuole aiutare i suoi ammalati e volontari a conoscere meglio e ad amare la vita di parrocchia, come

termine fondamentale di sussistenza spirituale. La vita parrocchiale ha le sue esigenze e i suoi ritmi, i

suoi appuntamenti, le sue mete pastorali che non saranno una scelta di campanile, di confini o di

proprietà sulle persone o sui loro carismi, quanto una comune esperienza della vita liturgica,

pastorale e caritativa a cui tutti dovrebbero fare riferimento.

Nella riflessione che Mons. Plotti fa sulla «Chiesa edificio di Dio per gli uomini», sottolinea che in

questo edificio devono trovare posto privilegiato i sofferenti e i poveri. Ecco l'opera dell'Unitalsi volta

a promuovere questo inserimento concreto e permanente dei malati nell'ambito della comunità

parrocchiale, perché sia vinta almeno nella vita ecclesiale quell'emarginazione che nel tessuto sociale

resta una tra le più vistose smagliature.

I malati nel cuore di ogni domenica

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L'offerta del pellegrinaggio ai malati di una parrocchia, siano essi nelle rispettive famiglie, siano negli

istituti o case di cura, vuole essere un'occasione privilegiata per far recuperare loro pienamente il

senso di parrocchia e per aiutarli, se ci fosse bisogno, di ritrovare il loro posto nella comunità. Se é

vero, come afferma il Concilio, che il senso della comunità parrocchiale fiorisce soprattutto nella

celebrazione comunitaria della Messa domenicale, allora si comprende meglio l'amabile istanza di un

handicappato che diceva: «Quanto sarebbe bello se un fratello o una sorella si prendesse l'impegno di

portare un invalido alla Messa domenicale, perché

anche noi vorremmo avere la gioia di ritrovarci insieme agli altri per lodare e ringraziare il Signore!».

E che dire di tutti quei malati che la domenica vengono privati della comunione, solo perché a loro è

stato riservato il venerdì o un altro giorno?

Non potrebbero i ministri straordinari dell'Eucarestia partire dalla Messa domenicale per portare il

Signore a quanti sono restati a casa, accompagnando naturalmente questo gesto con un servizio di

carità reso prima e dopo quello dell'Eucarestia?

I Sacramenti doni della comunità

Come non privilegiare la parrocchia nell'amministrazione dei Sacramenti, nell'iniziazione cristiana,

evitando per quanto possibile Prime Comunione e Cresime dei ragazzi disabili nel pellegrinaggio,

perché non diventi anche questo un altro segno di emarginazione, pur comprendendo le situazioni di

disagio delle loro famiglie. Se esse li stanno inserendo nel contesto scolastico, perché non aiutarle a

inserire i figli in quello catechistico per un cammino comune con i loro coetanei, così da educarsi

insieme alla solidarietà, all'accoglienza e all'amore fraterno? Potranno essere molte le difficoltà sia

nelle strutture organizzative, come in quelle pedagogiche, ma non per questo si dovrà rinunciare a

quelle mete sacramentali custodite dalla fede della comunità cristiana, che vuole con amore offrirle ai

suoi figli per presidiare di affetto la loro crescita e la fragilità della loro condizione. A chi chiedere se

non alla parrocchia il sacramento dell'Unzione dei malati, perché nella fede della comunità si innalzi

la preghiera per coloro che saranno santificati e sollevati nella loro malattia dalla potenza dello

Spirito e dall'olio della consolazione e del servizio di una comunità che ne condivide dolore e

speranza?

Per una parrocchia più accogliente e fraterna

Un'azione pastorale dunque quella dell'Unitalsi che, pur senza pretese, vuole infondere nei suoi

volontari e nei suoi malati amore e venerazione per la parrocchia, perché sia aiutata a essere sempre

più amabile casa di famiglia, fraterna e accogliente, cuore dei nos tri paesi, oasi di pace delle nostre

città condensate di problemi e di anonimato, casa di Dio e degli uomini! Valga l'impegno dei gruppi

ecclesiali e delle associazioni a far recuperare in ciascuno dei loro membri il senso di un'appartenenza

gioiosa, costruttiva ed edificante alla propria parrocchia, che resta sempre il segno visibile della

Chiesa di Cristo.

(7-8-1989)

Non solo il dialogo e il reciproco ascolto, ma soprattutto la preghiera può affinare i sentimenti e rendere prezioso il rapporto tra chi è

segnato dalla sofferenza e chi è chiamato a condividerla.

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LA DISCIPLRA ECCLESIALE CHIAVE CHE APRE ALLA CARITÀ

'atteso documento della Conferenza Episcopale Italiana su «Comunione, comunità e disciplina

ecclesiale» è arrivato quasi come a sigillare il discorso che i nostri Vescovi avevano iniziato nel

1981 parlando di «Comunione e Comunità», itinerario di riflessione e di impegno pastorale per

gli anni Ottanta. I documenti che si sono succeduti quali «Eucarestia, comunione e comunità»,

«Comunione e comunità missionaria» hanno scandito un ritmo forse troppo accelerato rispetto al

cammino difficile delle nostre comunità, ma nello stesso tempo hanno aperto gli orizzonti a quelle

mete pastorali a cui non eravamo né educati né preparati, dopo la pentecoste del Concilio Vaticano

II. E giusto riconoscere a conforto e incoraggiamento, l'autorevolezza magisteriale e pastorale dei

nostri Vescovi italiani che si è imposta all'ammirazione e alla stima delle Conferenze Episcopali di

altre nazioni. La chiarezza nel saper leggere i «segni» di questi nostri tempi così contraddittori e allo

stesso tempo così carichi di fermenti e di aspirazioni e l'intuizione pastorale nel saper individuare gli

itinerari da percorrere per una rievangelizzazione della società si compendiano ora in questo appello

che i Vescovi fanno, richiamando tutti i cristiani a ritrovare la loro unità di intenti e di azione in

quella comunione che passa attraverso la disciplina ecclesiale.

Senza lasciarci prendere dalla tentazione di accantonare dopo una sommaria lettura questo

documento, come potrebbe essere successo per quelli usciti in precedenza, credo necessario porre al

centro dei nostri riferimenti ecclesiali questa tela, sulla quale debbono essere intessute tutte le nostre

azioni pastorali.

L'Unitalsi, dal canto suo, come afferma il nostro Assistente Mons. Plotti nell'ultimo Convegno di

Loreto «Vuole essere strumento d'impegno pastorale ed ecclesiale dentro i problemi più scottanti e

più drammatici della società odierna».

Il cammino di carità in questo ambito così delicato della malattia e dell'handicap deve dunque

continuare a inserirsi nel filone di quella disciplina ecclesiale che si esprime nell'accoglienza delle

norme giuridiche e pastorali e nel senso più ampio in quelle morali che la Chiesa per mandato divino

propone ai suoi figli.

Questo atteggiamento obbedienziale alla Chiesa come punto di partenza e come orientamento è ben

messo in evidenza nella premessa istituzionale dello statuto dell'Unitalsi, là dove si afferma che

l'Associazione «Si fa collaboratrice nelle mani dei Vescovi per assistere e curare gli infermi, nello

spirito del Vangelo, in primo luogo con la formazione spirituale, morale ed ecclesiale dei suoi soci».

Come allora si può prescindere dalla comunione con la Chiesa e da un autentico feeling con il suo

magistero perché sia assicurata una formazione sostanziale e globale dei nostri soci?

L'autentica per le coscienze

Il documento al n. 43 ricorda che «La coscienza morale del cristiano vive, e si educa attraverso

l'ascolto della voce dello Spirito, che parla nel suo intimo e nello stesso tempo attraverso l'ascolto

della voce del medesimo Spirito, che parla nella Chiesa e si esprime nel magistero degli apostoli e dei

loro successori».

Quando poi la premessa al nostro statuto parla dei rapporti associativi, sottolinea che la «Comunione

fra gli scritti viene favorita dalla presenza degli Assistenti Ecclesiastici, nominati dai Vescovi, quali

maestri di spirito in segno della più completa fedeltà ai Pastori e soprattutto al Papa». Non

intenderemo mai prescindere dalla fedeltà ai pastori, consapevoli che la nostra missione di carità non

può che fondarsi sul mandato apostolico di curare gli infermi, affidato da Cristo ai Vescovi. Sappiamo

che i malati non sono nostri né tanto meno può essere nostra la proposta cristiana che vogliamo con

loro accogliere e realizzare.

La promozione e la difesa della loro vita per una autenticazione del loro carisma e della loro umanità

richiede a quanti lavorano in questo cantiere una chiarezza teologica perché ci si ispiri a quell'etica

cristiana che al di sopra di manipolazioni o di esaltazioni resta la via maestra per ogni autentico e

globale sviluppo dell'uomo. Nelle conclusioni del Convegno sulla Promozione della Vita Mons. Plotti,

rivolgendosi ai Vescovi così si esprimeva: «Si augura che i Pastori della Chiesa che è in Italia, tanto

attenta ai problemi della vita umana, le affidino con fiducia questo delicato compito, in armonia con

gli orientamenti e le scelte pastorali dell'intera Chiesa per fare delle Parrocchie centri vivi e

L

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propositivi di un'efficace comunione nell'amore e nel servizio a tutti coloro che cercano ed esigono

qualità di vita più ispirate alla forza travolgente del Vangelo di Gesù Cristo».

Strumento di servizio pastorale

La disciplina ecclesiale è anche uno strumento per un cammino fraterno e pastoralmente valido tra

sacerdoti e laici.

Infatti «Il rapporto clero-laici afferma il documento soffre ancora, da una parte per le tracce di una

mentalità "clericale" dura a morire, dall'altra per il disimpegno o, all'opposto, lo spirito di

rivendicazione che finisce col misconoscere l'autentico mistero della comunione ecclesiale» (n. 62).

Considero provvidenziale l'aver sperimentato nella vita associativa dell'Unitalsi questo rapporto tra

laici e clero richiesto da una parte, perché laicale è il timbro dell'associazione, privilegiato dall'altra

perché vera palestra di collaborazione, di partecipazione e di corresponsabilità per la stessa missione

di carità.

Nella chiarezza dei ruoli, degli ambiti e delle competenze, laici e sacerdoti possono in questa

congiunzione di obiettivi esprimere ciascuno i loro carismi pur nella fatica di comporre le molteplici

esigenze richieste dalle finalità pastorali e al contempo stesso dalle possibilità tecnico-organizzative.

Chiamati a condurre questa ardua

impresa che pesa in egual misura sulle spàlle dei laici e dei sacerdoti, non nascondendo la comune

fatica di vincere quella tanto umana tentazione di invadere i campi, scambiare i ruoli o di non saper

attendere i tempi di maturazione dei singoli, l'Associazione desidera far risuonare nel tessuto della sua

complessa e diffusa vita associativa le esigenze della disciplina ecclesiale: perché tutti i soci si rendano

capaci di testimoniare nell'Associazione uno spirito comunionale forte e convinto; perché si rafforzi la

propria adesione affettuosa e cosciente al magistero della Chiesa, mediante un recupero di quella vita

parrocchiale, punto indispensabile di partenza e di costante confronto per qualsiasi esperienza

cristiana, portata avanti nei singoli movimenti o gruppi ecclesiali; perché le nostre opere abbiano un

unico timbro, quello ecclesiale.

Nella consapevolezza che la forte esperienza di servizio alla sofferenza può essere una vera palestra di

educazione per tanti uomini e donne, ci impegneremo a entrare sempre di più nell'edificio dell'amore,

adoperando quella indispensabile chiave della disciplina ecclesiale, capace di farci sperimentare la

pienezza della comunione e della verità.

(1-2 1989)

Non è tanto quello che doni, ma è quello che ricevi, da chi pur inchiodato in una carrozzella sa rivelarti la forza dell'amore che si

sprigiona dal suo cuore

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E' nella formazione attraverso questi sussidi di catechesi che l'Unitalsi sostiene i suoi soci, perché là dove c'è la carità non manchi la

Parola di Dio, là dove c'è molta parola, non manchi la carità.

L’UNITALSI UNA «CORSIA PREFERENZIALE» PER LA CATECHESI

ccorre incoraggiare le associazioni, i movimenti e i gruppi di fedeli, siano essi destinati alla

pratica della pietà, all'apostolato diretto, alla carità e all'assistenza, alla presenza cristiana

nelle realtà temporali. Tutti quanti raggiungeranno meglio la Chiesa se, nella loro

organizzazione interna e nel loro metodo di azione, sapranno dare un posto importante a una seria

formazione religiosa dei loro membri.

«Ogni associazione di fedeli, in seno alla Chiesa ha il dovere di essere per definizione educatrice della

fede» (Esortazione Apostolica "La Catechesi nel nostro tempo", n. 70). Sono puntualizzazioni che nel

magistero di Giovanni Paolo II in quel documento chiave sulla «Catechesi tradendae» dopo undici

anni dalla sua promulgazione, tornano a definire l'esigenza di sollecitare una seria e sostanziale

formazione religiosa in tutti coloro che vogliono adoperarsi per una profonda azione apostolica e

caritativa. L'appello ai movimenti e alle associazioni, perché siano nella Chiesa «educatrici della fede»

sembra ancora oggi coglierci di sorpresa, preoccupati più forse di attendere alle impellenze della

carità, che alla compenetrazione della Parola, che la svela e dell'Eucarestia che la alimenta.

Quanto poi all'essere educatori nella fede con la nostra azione caritativa, riconosciamo che, parlano le

nostre opere, ma converrebbe che qualche volta parlassimo di più noi, perché di cose ne abbiamo da

dire a chi cerca non solo amore, ma anche risposte al proprio dolore.

Catechesi per vivere in Cristo e nella Chiesa

È in questa direzione che il nostro Arcivescovo Assistente Mons. Plotti ha voluto premere

l'acceleratore proponendo nel Convegno degli Assistenti il tema «Quale catechesi per l'Unitalsi».

«Una permanente catechizzazione ed una più sistematica riflessione — dice Mons. Plotti — sulle

tematiche della fede e della Carità, sono i presupposti per una "vocazionalità " da vivere nell'impegno

quotidiano di servizio ai fratelli sofferenti». Se lo statuto della nostra Unione pone come specifico

impegno quello di aiutare soci e malati nella loro formazione spirituale, la Catechesi resta lo

strumento più idoneo e cui affidarsi, perché malati e sani insieme, promuovendo il cammino di fede,

diventino essi stessi annunciatori della Parola e testimoni della carità. Perché risulti pregna di

significato questa parola «Catechesi» senza ridurla o al senso di indottrinamento, per rifarci a una

pura conoscenza mnemonica del compendio delle verità religiose, o a una scuola di addetti ai lavori, è

necessario ribadire che essa è cammino di fede e di conversione per la vita cristiana, non finalizzata al

sapere, ma a vivere in Cristo e nella Chiesa.

Allora i destinatari non sono solo alcuni privilegiati più o meno sensibili a questo discorso, ma tutti i

cristiani, se non vogliono spegnere la loro fede e squalificare la loro credibilità.

Il guaio è che non pochi a volte, anche di quelli impegnati in prima persona nelle opere ecclesiali, si

sentono sufficienti nella fede e nella conoscenza religiosa, tenendo per valido ed esauriente quasi fosse

stato un diploma di laurea, il catechismo di prima comunione o della cresima.

O

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Come dunque non desiderare e programmare per la propria vita questo appuntamento con la

Catechesi che la Chiesa propone, con un insegnamento cristiano organico e sistematico. È necessario

partire dall'iniziazione cristiana o per altre tappe sacramentali, come nelle molteplici occasioni della

vita personale, familiare e sociale, per convincersi che non si può oggi vivere da veri cristiani, senza

una consapevolezza del mistero di Cristo, delle esigenze del suo Vangelo, del senso del vivere e

dell'operare.

Catechesi, sintesi tra Parola e Carità

L'Unitalsi fra tutte le associazioni è e può essere sempre più una corsia preferenziale per la Catechesi,

sia per i destinatari che le sono riservati, sia per i tempi e luoghi privilegiati di fede e di preghiera,

come per la testimonianza della carità, che la esplicita e la rende efficace. Afferma, infatti, Mons.

Nervo che la via della carità è già evangelizzazione, ma senza l'annuncio diretto dell'amore di Dio è

incompleta, come l'annuncio senza la carità è inefficace. Non dovrebbe rincresce né a noi dell'Unitalsi,

né alle nostre comunità cristiane, come ai movimenti, riconoscere che spesso là dove c'è la Carità,

manca la Parola, là dove c'è molta Parola, manca la Carità. La Catechesi postula questa sintesi,

perché sia dato un fondamento alla carità, ispirazione e motivazione a chi la opera.

Destinatari protagonisti

All'Unitalsi offrire dunque questa corsia preferenziale, perché nessuna occasione come nessun

programma della sua vita associativa prescindano da una catechesi rivolta:

ai malati, mediante l'amicizia cordiale, il sostegno psicologico e la condivisione per dare senso e

trascendenza alla sofferenza;

al personale di assistenza (barellieri, sorelle, medici) perché riscoprano la dimensione vocazionale del

loro servizio e con itinerari differenziati, nel rispetto anche dei tempi di ciascuno, siano aiutati quanti

sono ai bordi della fede, per accoglierla, quanti vi sono dentro per consolidarla, così da suscitare in

tutti forti tensioni spirituali; ai sacerdoti perché prima di essere catechisti si pongano in una

condizione di formazione permanente, partecipando alle iniziative diocesane, sia nell'Unitalsi,

facendo proprie le linee pastorali e ideologiche dell'Associazione, per un'animazione spirituale incisiva

e credibile.

Il convegno riservato agli Assistenti ha voluto focalizzare il ruolo proprio del sacerdote come

animatore della catechesi, valorizzando i tempi e gli spazi sacri del pellegrinaggio e della carità, per

promuovere un impegno catechistico serio, sistematico e pecu-

liare, calato nella realtà unitalsiana. Le pie esortazioni, i fervorini, le sollecitazioni devozionali, non

bastano più, né per consolare il malato, né a gratificare chi lo assiste. Occorrono messaggi forti e

provocatori, essenziali e chiari, capaci di piegare la durezza del cuore, la ribellione degli spirito, e di

vincere i compromessi della vita. I sussidi liturgici-pastorali che accompagnano la vita associativa

dell'Unitalsi segnano il cammino di questo itinerario catechistico, che attraverso la pedagogia della

carità, vuole condurci nel cuore stesso della Chiesa per educarci alla fede e alla missione, nel cuore del

mondo per testimoniare la verità sull'uomo, e l'amore di Cristo per lui.

(11-12 1990)

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Sono gli Atti del convegno nazionale che si celebra ogni anno. L'ideatore fu Mons. Luigi Poletti, di v.m. mentre a dare grande impulso

sarà Mons. Alessandro Plotti che, in qualità di Assistente nazionale prima e presidente poi, promuoverà con successo…

In questo gesto di intensa preghiera le ginocchia si piegano davanti al mistero di Dio, che si abbassa a mettere le mani nel catino per

lavare i piedi agli apostoli.

LA CARITÀ TRA AZIONE E CONTEMPLAZIONE

olendo insieme con voi lettori affidare le nostre riflessioni al grande tema della Carità, che

segna non solo il cammino di quanti esercitano direttamente le opere della misericordia, ma

della stessa Chiesa italiana che ne ha celebrato con solenne e memorabile intensità il

Convegno a Palermo, richiamiamo alla mente quanto il papa Giovanni Paolo II affermò in quella

assise: «Sì, cari fratelli e sorelle, diciamolo ad alta voce con vera convinzione del cuore, non c'è

rinnovamento, anche sociale che non parta dalla contemplazione. L'incontro con Dio nella preghiera

immette nelle pieghe della storia una forza misteriosa che tocca i cuori, li induce alla conversione e al

rinnovamento. Ogni credente cerchi di fare maggiore spazio alla preghiera nella propria vita». Chi

erano per lui quei cari fratelli e sorelle a cui si rivolgeva? Non solo i delegati presenti al Convegno di

Palermo, ma tutti i cristiani impegnati a rinnovare con la loro testimonianza e con le opere della

carità il volto della società. Un richiamo che vogliamo dunque far nostro, chiamati anche noi sul

versante della scelta preferenziale dei poveri a rendere la società più giusta, più solidale, più fraterna.

Questo appello alla preghiera e alla contemplazione trova piena accoglienza anche nell'Unitalsi e ne

sottolinea l'urgenza la parola autorevole di Mons. Plotti (Presidente nazionale Unitalsi) in una densa

e profonda riflessione che ha offerto nell'omelia per la dedicazione dell'altare della cappella del Salus

Infirmorum a Lourdes. «La nostra Associazione si potrà anche dilatare, potrà aumentare le sue

V

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iniziative, ma se non c'è questo riferimento alla benedizione del Signore, se non si ha questa

convinzione che noi siamo la discendenza di questa carità, se non sappiamo vedere Cristo in ogni

malato, se non avremo dentro il nostro cuore la presenza di Cristo e del suo Vangelo, non riusciremo a

trasformare la nostra Associazione in uno strumento di evangelizzazione». E prosegue: «Ecco un altro

aspetto importante: la nostra formazione spirituale. Mi impegno perché dentro l'Unitalsi ci sia questo

respiro soprannaturale e spirituale». Non nasce, forse, questa presa di coscienza da un recupero della

preghiera e della contemplazione? Questo interrogativo postoci da Mons. Plotti resterà sempre

attuale e provocatorio per noi chiamati in prima fila a vivere: un forte e genuino senso di Chiesa; ad

avere una cosciente consapevolezza che la nostra attività nelle molteplici espressioni che vanno dal

pellegrinaggio, punta più alta della preghiera e della contemplazione, ai soggiorni estivi, ai momenti

culturali ricreativi e conviviali, appartiene all'azione pastorale che la Chiesa ha affidato all'Unitalsi,

perché nell'esercizio della carità evangelizzi il mondo della malattia; a custodire integro il carisma

dell'Unitalsi e a farne memoria specialmente alle giovani generazioni perché sia visibile e credibile il

ministero della carità; a rendere profetica ogni azione, ogni scelta, ogni iniziativa, perché si

annuncino i grandi valori della vita, della solidarietà, della fraternità, dell'accoglienza e del servizio.

Se ben noti ci sono questi principi, perché siano una luce e idee forza per ogni azione ecclesiale e

sociale, è necessario in questo tempo di profondi mutamenti per valutare problemi, per identificare le

priorità e i mezzi di soluzione, possedere il discernimento evangelico, frutto sempre della preghiera e

della contemplazione, che prima di spingere all'azione invita a rivedere: nell'origine dell'Unitalsi come

di ogni opera di carità il progetto di un provvidenziale sostegno divino offerto al dono fragile

dell'uomo sofferente; nel dono del pellegrinaggio il recupero della fede, un cammino di conversione, un

tempo forte di preghiera e di fraternità, una genuina devozione alla Madre di Dio, alla Vergine della

Pietà; nella sua struttura monolitica e piramidale, così efficiente e così capillare uno strumento per

organizzare la carità, senza perdere la sua vitalità evangelica; Nel cammino di fede e di formazione la

possibilità di leggere anche la situazione socio-culturale ed ecclesiale della nostra Associazione, non

solo nella sua complessa compagine umana, ma anche nel suo contesto spirituale dove più evidente si

manifesta la preziosità del dolore e la grazia di chi l'accoglie. Per questo, non va dimenticato che la

cultura moderna da una parte circonda il dolore «dell'enfasi del silenzio», perché né di malattia, né di

morte, né dell'handicap si deve parlare; dall'altra con stridente contrasto la circonda «dell'enfasi dello

spettacolo» quando la sofferenza è provocata dalla violenza, dalla drammaticità, dalla ricerca del

sensazionale, in una banale e disumana strumentalizzazione. Per non essere inficiati da questa

cultura, è necessario ascoltare quanto i malati, i disabili, gli anziani vorrebbero dire a voce alta alla

nostra società e a tutti noi «Non vergognatevi di noi, non censurate il dolore, non esaltatelo

nemmeno, non nascondetelo, non fateci sentire inutili, abbiamo anche noi qualche cosa da dire e da

dare». Non ritengo superfluo ascoltare la loro voce, perché volendo adeguare le iniziative e le attività

associative a queste richieste forti e pressanti, non vogliamo rincorrere i modelli di sviluppo della

società, privilegiando l'organizzazione all'animazione, l'efficienza all'efficacia, la struttura al carisma.

Giova qui ricordare una significativa riflessione che il prof. Garelli relatore al Convegno di Palermo

fece in questi termini: «Lasciatemi sognare una Chiesa che di qui al Duemila abbia il coraggio di

prendersi un "anno sabbatico", di operare uno stacco profondo, un momento di sospensione per

riprendere con nuovo slancio e maggiore "levità" la sua missione nel Paese, per far sì che la religione

non comprima la fede, l'organizzazione non attenui la profezia». Questo sogno vorremmo far nostro,

perché ha bisogno anche la nostra azione caritativa di uno stacco, di una sospensione. Oh se, per un

anno potessimo ritrovarci insieme sani e malati, lontani da ogni attività, solo per contemplare il

dolore, per restare in ginocchio davanti al Signore, per toccare con la nostra vita le sue piaghe

per comprendere il mistero del suo amore, la grandezza della nostra missione, la grazia che contiene in

sé la carità! Oh se ci fosse concesso veramente di immergersi in questo silenzio orante, perché sia

restituita alla forza dello Spirito la nostra azione, al mandato del suo amore la nostra carità.

(1-2 1996)

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Queste mani che hanno abbracciato i figli, guidandoli nel cammino della vita, ora stringono il bastone, unico appoggio nella sua

vecchiaia, mentre seduta in carrozzella, pregando, offre al suo Signore la fatica della sua vita e il peso dei suoi anni.

Quando accompagni un amico in difficoltà sappi, che mentre spingi la carrozzella, chi ti porta è lui.

LA CARITÀ, IL NUOVO VOLTO DELLA SOLIDARIETÀ

e molti e tra questi anche noi, abbiamo definito il nostro oggi «il tempo della disonestà

concordata», vorremmo però anche dire che questo è il tempo della solidarietà ritrovata,

anelito così umano e così diffuso, capace di muovere in una profonda tensione le forze migliori

della nostra gente e soprattutto dei nostri giovani.

Vale la pena attardarci su questo termine «solidarietà», perché nella vasta sfumatura più che dai suoi

significati, dalle sue espressioni identificate da chi per ragioni diverse di fede, di ideologie ne ha fatto

esperienza, si possa cogliere quel senso più alto, più sublime che può uscire dal cuore dell'uomo.

Ci viene incontro in questo il Catechismo della Chiesa Cattolica, che parlando di solidarietà umana la

definisce «amicizia» o «carità sociale», sottolineando così la delicatezza dei suoi gesti e la tensione

spirituale della sua azione. Forse ci coglie di sorpresa che la Chiesa collochi la solidarietà tra le virtù

«eminentemente cristiane, perché essa attua la condivisione dei beni spirituali ancor più che di quelli

materiali» (Formula del Catechismo n. 1948). Ma perché il suo spirito possa aprirsi agli orizzonti

S

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divini, Giovanni Paolo 11 nell' Esortazione Apostolica «I Fedeli Laici» fa appello alla carità «perché

sostenga ed animi un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano» (n. 41).

Parafrasando un'immagine di san Tommaso che amava chiamare la filosofia ancella della teologia, io

oso chiamare la solidarietà ancella della carità. Se non ci è difficile conoscere e sperimentare i gesti

della solidarietà che si manifestano nella concretezza e nella personalizzazione di chi li compie e di chi

ne beneficia, molto più difficile

è comprendere il senso, lo spessore e il tenore della carità nella sua accezione più che umana, divina.

Nelle sue elevazioni mistiche l'apostolo Giovanni stigmatizza in quella ispirata affermazione «Deus

caritas est» (I Gv 4,8) la sostanza, l'immagine, il senso, la forza e la sublimità di questa «parola»,

perché non si confonda né con i sentimenti umani, né con le espressioni pietistiche, riservate ai

sensibili di cuore o ai benintenzionati in cerca di gratificazioni.

Allora possiamo dire che la carità è l'amore di Dio diffuso nei nostri cuori, è lo stesso amore di Cristo

consegnato a noi nel cenacolo, perché potessimo amare come ama Lui e servire come ha servito Lui.

Forse abbiamo amato troppo con il nostro amore umano, interessato, limitato, presuntuoso e gli altri

non lo hanno capito, anzi possono averlo travisato o perfino colpevolizzato. Potremmo chiederci «ma

come si fa ad amare come ha amato Cristo»? necessario che l'amore sia:

• gratuito, senza contropartita di alcun genere;

• sovrabbondante, che va oltre ogni misura, senza calcoli;

• di preferenza per i peccatori, specialmente quelli che io ho già giudicato e condannato;

• che si estenda a tutti, compresi i nemici, io aggiungo e a tutti quelli che mi stanno sullo

stomaco;

• concreto, perché non si possa inventare la persona da amare, ma si raggiunga ogni uomo nella

singolarità della persona, come nell'interezza della sua problematica esistenza;

• visibile, né per fregiarsi di meriti, né per posare davanti alle telecamere, ma per «illuminare

anche la strada degli altri». A questo punto ci si deve interrogare, come dice Mons. Nervo «Se il

nostro atteggiamento costante ed il metodo conseguente è agire come protagonista efficiente che

organizza la carità nella Chiesa o è ricevere con umiltà e riconoscenza, momento per momento il dono

della carità e farlo fruttare con amore?»

Credo che questo interrogativo mi colloca più tra gli organizzatori della carità, che tra gli uomini

della carità, desiderosi come Madre Teresa di Calcutta di attingere ogni giorno dall'Eucaristia questo

ineffabile dono, perché pervada di delicatezza, di affetto, di tenerezza quelle braccia di misericordia,

che si aprono in una organizzata forma di solidarietà a raccogliere quanti sono ai bordi della dignità e

dell'esistenza umana. Le molteplici opere della solidarietà, in un crescendo di coscientizzazione sociale

trovano il loro specifico contesto «nella ripartizione dei beni, nella remunerazione del lavoro, nella

solidarietà tra poveri e ricchi, tra imprenditori e dipendenti, tra paesi e nazioni, tra sani e malati».

Esse non devono esaurire i loro interventi in una sorta di «agenzia umanitaria», che potrebbe persino

imprigionare fra le sue maglie organizzative lo spirito dell'uomo. Eppure sappiamo che all'uomo non

basta un gesto di solidarietà, ha bisogno di carità, ma il vero e fondamentale atto di carità nei suoi

confronti è l'annuncio del Vangelo, che solo può rivelargli i suoi destini temporali ed eterni.

Confessiamo pure come esperti operatori di carità, che di opere ne abbiamo compiute molte,

moltissime, ma di Vangelo ne abbiamo annunciato poco.

Che la solidarietà possa avere un altro volto, quello della carità, ma che la carità non abbia altra

concretezza, che quella della solidarietà, perché ogni uomo scopra che Dio lo ama.

(7-8 1993)

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Immagine questa che può essere una vera icona della maternità, che ha avvolto di tenerezza la nostra vita.

"LA CARTA VERDE" DELLA SOLIDARIETÀ

una attenta lettura della società con i suoi sintomi di effervescenza, di squilibrio, di

potenzialità e di sorprendenti testimonianze di solidarietà, come di nascosti, ma ugualmente

significativi eroismi, non si può lasciar passare sotto silenzio una presenza così appariscente

come quella dei giovani, carica di speranza e al contempo di delusioni, di stanchezze e di impegni, di

immobilismo, come di prorompente dinamismo.

L'ambito che più manifesta il disagio sociale è la condizione giovanile, vissuta nella sua strutturale

fragilità, tanto più marcata, quanto più è rivestita di carenza affettiva, di conflitti familiari, di

handicap fisici o morali.

Se poi pensiamo ai mali della società, molteplici e complessi, sono essi che insidiano lo stesso tessuto

psicologico e spirituale dei giovani, portatori come sono di ideali, di potenzialità, di scoraggiamenti e

di effimero.

Eppure la giovinezza custodisce in sé una inesauribile ricchezza di carismi e di idealità,

un'illuminazione e una risposta di speranza, capace di vincere il disagio strutturale in cui è immersa, a

condizione che provvidenziali forze educative consentano di farla esprimere in precise scelte di vita.

La tendenza a esaltare la libera decisione del giovane come valore assoluto e autonomo della sua

espressione, non fa che congelare le sue aspirazioni, ridurre la sua dimensione umana e spirituale,

condizioni fondamentali per salvare la dignità della sua vita e per promuoverla nei suoi aspetti fisici e

intellettivi, perché giunga alla pienezza della maturità umana. Gli appannaggi offerti ai giovani

dalla cultura dell'immagine, dalla filosofia del potere e del piacere, non consentono di evidenziare il

primato dell'essere sull'avere, il valore della persona sul mito dell'estetica e dell'efficienza, l'esigenza

della solidarietà e del dialogo sull'individualismo e la solitudine.

La mia lunga e personale esperienza vissuta nella nostra Unitalsi, che da decenni e decenni serve la

sofferenza per promuovere la vita degli anziani, dei portatori di handicap e dei malati, testimonia non

solo un'alta percentuale della presenza giovanile, ma una sua qualificata partecipazione,

accompagnata da una forte capacità di donazione, di coraggio e di una speranza non comune. Ai

giovani sani e malati, nella comune esperienza della giovinezza, come nella difficile avventura della

loro vita, insidiata da mille contraddizioni, va offerta la possibilità di sperimentare la gioia del

servizio e di farsi messaggeri di speranza per tanti coetanei provati dal peso dell'handicap o

scoraggiati dalla delusione della vita. Con gli occhi di genitori e di educatori sarà necessario aprirsi

sempre più all'accoglienza di tutti quei giovani che attendono nelle molteplici associazioni di

volontariato di esprimere quel carisma irripetibile di giovinezza di cui tutti hanno bisogno.

Le stesse associazioni possono diventare di fatto luoghi privilegiati per aggregare più giovani

possibili, perché in un cammino sostenuto dai grandi valori umani e cristiani, gratificati dall'amicizia

e dalla condivisione, siano presidiati di affetto e sollecitati al bene. Il sociologo Silvano Burgalassi

scrive «Ad una gioventù che appare come un arcipelago in movimento rapido la cui caratteristica

A

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essenziale é data dalla non certezza dei propri fini e dei propri traguardi esistenziali», ecco stagliarsi

davanti le grandi vette del volontariato, palestra che educa alla gratuità e consente di crescere in

umanità, ridimensionando la propria esistenza in una costante visuale di servizio e di gratificante

altruismo, risposta concreta a chi chiede solidarietà e condivisione. La consapevolezza, infatti, di una

esistenza interdipendente gli uni dagli altri, non solo nella vita privata, ma anche in quella sociale,

economica e culturale e soprat tutto nella inevitabile condizione di bisogno in cui versano tanti

uomini e donne, crescendo oggi la folla dei poveri, dei disadattati, dei malati, degli emarginati, fa

scaturire urgente l'esigenza della «solidarietà umana».

Una parola questa, ormai quasi consumata nel linguaggio politico, ma ancora lontana da un discorso

culturale, che la incarni nella pedagogia scolastica, in una rinnovata formazione civica e in una

equilibrata educazione familiare.

Una parola però che sta trovando piena accoglienza nel tessuto sociale, grazie a migliaia di uomini e

donne, di giovani e ragazze che sono come in un santuario la sua vera «icona». Di fronte a uno stato

sociale prostrato da fenomeni fattisi cultura di morte, di accentuati squilibri e di fuorviante contro

testimonianza, vorremmo affidare ai giovani la vera «carta verde» della solidarietà che sola può

salvare da una società ad alto rischio come la nostra.

Ai giovani che si impegneranno per la solidarietà, sarà consentito di togliere le barriere della sfiducia,

dell'indifferenza e del vittimismo, lanciando al mondo la sfida dell'essere «giovani oggi», per diventare

«uomini saggi» domani.

Ai centri di informazione, a quelli della cultura e della politica, alle forze sociali ed ecclesiali, la

sollecitudine di raccogliere questa sfida e proporre con forte e avvincente testimonianza la solidarietà,

unico linguaggio d'intesa nei conflitti generazionali, garanzia per custodire nel tempo che passa la

giovinezza dello spirito, e unica risposta alla persistenza della sofferenza e alla prepotenza umana.

(7-8 1992)

Non passare oltre, ma fermati davanti a chi è segnato dall'infermità, perché la tua vita è consumata da altri limiti, quelli che non sono

né umani, né solidali.

LE VIRTÙ UMANE IL VERO "LOOK" DELL’UOMO

a condizione umana, pur nella caducità delle cose, nella provvisorietà delle situazioni e nella

fugacità del tempo, trova la sua consistenza nella perennità dello spirito che la sublima e nella

sapienza del cuore che rende amabile ogni fatica.

Questa forte spinta spirituale che nei cristiani si esprime in una chiara testimonianza di fede, deve

assumere una sua specifica configurazione, come dice il Concilio nel decreto sull'Apostolato dei laici

«dallo stato di matrimonio e di famiglia, di celibato e di vedovanza, dalla condizione d'infermità,

dall'attività professionale e sociale».

Da qui l'invito del Concilio a non tralasciare di coltivare assiduamente le qualità e le doti a essi

conferite corrispondenti a tali condizioni e di servirsi dei propri doni ricevuti dallo Spirito Santo.

L

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«Quanti poi seguendo la loro vocazione si sono iscritti a qualcuna delle associazioni o istituti

approvati dalla Chiesa, si sforzino parimenti di assimilare fedelmente la peculiare caratteristica di

vita spirituale propria dei medesimi» (n. 4).

In questa prospettiva pedagogica rientra positivamente l'Unitalsi, che, anche se non pretende di

avere «la sua specifica spiritualità, sa che il carisma del servizio alla sofferenza esercitato con fede,

porta con sé una grazia e contribuisce gradualmente a maturare la vita spirituale ed umana dei soci».

Lo stesso Mons. Plotti afferma in una riflessione che il servizio unitalsiano deve maturare le doti

personali. «infatti colui che vuole aiutare il malato a integrarsi e ad accettarsi deve essere fornito di

doti e di capacità personali ricche e mature». Quale possibilità

viene offerta a quanti con spontanea e generosa disponibilità scelgono la via del volontariato e nel

nostro caso del servizio pastorale alla sofferenza e quale responsabilità si assumono, chiamati non a

dare qualcosa, ma a donare se stessi, e quello che di più prezioso hanno, la loro ricchezza umana, la

limpidezza della fede, la forza dell'amore tenero e profondo come quello di Dio.

Possibilità e responsabilità che possono perdere la loro efficacia, o perché manca la consapevolezza e

il senso dell'opera che si compie, o perché prevale la spinta emotiva che tutto esaurisce nella

gratificazione del momento.

Il rapporto allora non è tra l'aiuto che io do al malato, ma tra la mia persona e la sua, per uno

scambio di doni.

Qui dunque entrano in gioco le persone con il loro corredo di virtù e di limiti, di doni e di possibilità.

Ecco ancora il Concilio che, nell'invitare i laici all'apostolato, si appella "alla loro competenza

professionale, al senso di famiglia e al senso civico, e a quelle virtù che riguardano i rapporti sociali: la

probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo", senza le quali non ci può

essere neanche vera vita cristiana.

Abituati senza difficoltà a sottoporsi a test psicologici pur di poter evidenziare una idoneità di

servizio, pronti a rispondere con sicurezza ai requisiti richiesti o per assunzioni di ruoli, o per scatti di

carriera, non dovremmo far fatica, nel segreto della nostra coscienza, a misurare la nostra maturità,

la nostra idoneità, e a cercare i requisiti richiesti per essere pienamente uomini e svolgere degnamente

questo ministero di carità. Proviamo a pronunciare a voce alta queste virtù indicate dal Concilio,

perché non risultino una nostalgia dei tempi passati, una utopia per quelli presenti, ma possano

consolidarsi in chi si impegna a viverle, emergere in chi le ha dimenticate, accoglierle in chi ne ha

perso la dimensione e il gusto.

Competenza professionale.

È, infatti, nell'esercizio della propria professione che l'uomo e la donna esprimono le proprie capacità

intellettive dando un'impronta umana alle complesse attività lavorative, perché siano un servizio alla

comunità e mai una strumentalizzazione dei bisogni dell'uomo.

Competenza professionale, frutto di una coscienza morale, che rispettando le esigenze della scienza e

della tecnica non si lascia travolgere dai ritmi economici, né dalle richieste di chi conta o di chi può

pagare di più.

Il senso di famiglia

Quel senso che sembra aver perso la sua forza e aver reso fragile il vincolo matrimoniale, confusa la

convivenza familiare, arido il focolare domestico, quasi impossibile la fedeltà coniugale.

Quanti sposi bocciati da questa dura prova familiare, quanti genitori falliti nella loro capacità

educativa, eppure piuttosto che sbattere l'uscio e andarsene sono al proprio posto per recuperare

l'amore, ricucire i rapporti, infondere un nuovo supplemento d' anima.

Il senso civico

Se è vero che non si può essere buoni cristiani se non si è bravi cittadini, se è necessario come ricorda

Mons. Plotti che "la società ha bisogno di persone vere e umanamente mature", deve essere in prima

persona percepito il senso dello Stato, il bisogno di rispettare le leggi, di rifiutare con determinatezza

una quasi concordata disonestà civica, così diffusa e spesso anche giustificata, perché la famosa

«trasparenza» non sia un palliativo dei politici, ma una condizione esistenziale di ogni cittadino.

La probità

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Una virtù che accompagna l'uomo ed evidenzia la sua integrità morale in un equilibrio umano e

affettivo, che sa superare la tentazione del successo, del compromesso e del piacere, capace di

custodire la purezza del cuore e la nobiltà dei sentimenti. Probità che fa rifuggire da una sensualità

sempre più emergente, volta a disonorare la dignità femminile e a rendere banali i sentimenti

dell'uomo.

Lo spirito di giustizia

Una giustizia che non è rivendicazione di diritti, ma impegno di professare i propri doveri nel rispetto

di ogni uomo, soprattutto degli indifesi, perché siano salvaguardati i loro diritti e promossa la loro

vita in nome di una giustizia, che si fa misericordia e amore secondo il dettame evangelico.

La sincerità

Giù la maschera dell'ipocrisia, del perbenismo, della convenienza per dare spazio alla verità dei

sentimenti, delle parole e della retta intenzione, che deve guidare ogni azione umana, anche la più

sublime come quella della carità, perché sia un autentico atto di amore.

La cortesia

Non è una benevola concessione, né un manierismo o tanto meno uno stereotipato galateo da vivere,

ma una attenzione carica di rispetto, di delicatezza e di riservatezza, di liberalità verso gli altri,

perché sia resa amabile la loro vita. Cortesia che vince la prepotenza, previene i conflitti, spinge al

perdono.

La fortezza d'animo

Le prove della vita, la persistenza del dolore, la durezza di un lavoro ingrato, la morigeratezza dei

costumi temprano lo spirito, rendono forti gli animi, ma l'abbondanza delle cose, il facile successo, un

consumismo sfrenato, una vita di salotto e di effimero fiaccano la volontà, invecchiano il cuore e

rendono impossibile affrontare la fatica della vita.

Saremo forti d'animo se ci lamenteremo di meno della vita e ci accontenteremo di più, mutuando la

fortezza da chi ci è maestro di coraggio e di speranza, senza esaltare la sofferenza degli altri e

piangere, sfiduciati, la nostra.

Sta a noi ora misurarci con queste virtù umane perché nel servizio unitalsiano ritrovino la loro

genuinità e siano divisa da indossare per una vera e autentica maturazione.

Che siano loro, queste virtù a formare, il nostro «look».

Se poi il desiderio dell'uomo sarà quello di imitare il Signore Gesù, allora non sarà più immagine di se

stesso, ma diventerà «icona» di Cristo e come lui autentico buon samaritano.

(7-8 1990)

È in quel bicchier d'acqua dato per amor suo che si rivela il Signore nel volto luminoso di chi sa donare con gioia.

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E' nell'incontro tra il dolore innocente di un bambino e la vita sufficiente di un giovane, che si può ritrovare il senso di una esistenza

vissuta per amore, più che per rassegnazione.

L'AZIONE CARITATIVA, VERA PALESTRA PER OGNI VIRTÙ UMANA

e riflessioni offerte sulle virtù umane, ispirandoci al Concilio, se trovano risonanza di consensi

in quella parte dell'opinione pubblica ancora sensibile ai valori dell'uomo e alla sua dirittura

morale, dall'altra pongono l'interrogativo di come fare proprie queste virtù, perché siano il

\ vero corredo dell'uomo, posto a giocare la sua vita in una corsa affannosa verso l'avere più che

l'essere, verso il piacere più che il dovere. Le virtù umane, dunque, non nascono da una pura e

semplice inclinazione naturale, né da una spiccata sensibilità istintiva, ma da un lungo e complesso

cammino educativo, fatto fin dalla più tenera età in quell'alveo così delicato della famiglia, della

scuola e della Chiesa. La formazione dell'individuo non può prescindere da queste fondamentali

componenti, che dovrebbero restare sempre luoghi privilegiati di pedagogia per una vera maturità

umana, per una formazione culturale e per un cammino di fede.

Se il Concilio, come abbiamo scritto in precedenza, sottolinea tra le virtù umane da coltivare, la

competenza professionale, la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza

d'animo, il senso di famiglia e il senso civico, ci chiediamo come possano nascere e maturarsi in un

contesto sociale disimpegnato, contraddittorio e soprattutto in un uomo così fragile psicologicamente

e così vulnerabile nel suo spirito? Eppure siamo convinti che queste virtù possono trovare facile

accesso in particolari esperienze di vita, in forti tensioni spirituali, in contesti dichiaratamente

proposi-

tivi, quali l'azione apostolica e quella caritativa. Ce lo ricordano i Vescovi in un documento del

Consiglio Permanente della CEI su «La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese» quando dicono che

«con gli ultimi e con gli emarginati potremo tutti recuperare un genere diverso di vita, demoliremo

innanzitutto gli idoli che ci siamo costruiti, denaro, potere, consumo. Riscopriremo poi i valori del

bene comune, della solidarietà, della corresponsabilità e avremo la forza di affrontare sacrifici con un

nuovo gusto di vivere. Questa esigenza di rinnovamento è ampiamente intuita tra la gente e rivela

comunque che è ormai tempo di misurarsi non sul vuoto di tanti discorsi, ma su progetti concreti che

abbiano senso». (numeri 6-7)

L'Unitalsi sa, senza suo merito, ma solo per dono, che il mandato di servizio alla sofferenza, esercitato

con fede, porta con sé una grazia e contribuisce gradualmente a, maturare la vita spirituale dei soci,

inserendoli in una vera palestra educativa per ogni virtù umana. Come cogliere in questa esperienza

quelle spinte profetiche che permettono una maggiore identificazione con il mondo dello «Spirito» e

dell'«Uomo»?

possibile dunque che nel cammino solidale con i malati nasca:

un nuovo parametro di valutazione della vita. L'interrogativo infatti sul senso della propria esistenza

e il desiderio profondo di scoprire la propria identità, sicuramente mai pienamente emersa nelle

amorfe espressioni quotidiane, trovano nella dinamica della solidarietà un volto e un cuore

L

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finalmente capaci di uscire dall'anonimato. Urge essere segno visibile di un amore che eleva le persone

alla dimensione dello spirito, evidenziando la forza del loro amore e togliendo il velo delle apparenze

per cogliere l'umanità, la dignità e la grandezza in esse nascoste;

• una nuova coscienza morale, capace di far recuperare nei rapporti umani quella verità, che

sola può autenticare gli affetti e i sentimenti,

• il dialogo e l'accoglienza, dando sempre più spazio alla trasparenza, come vera e integrale

misura dell'uomo, che vuole essere riferimento etico per l'esuberante libertarismo di molte coscienze;

• una provocazione costante, per ricucire il tessuto sociale lacerato dai conflitti e dalla civiltà

del benessere, che ha emarginato anziani, disabili e poveri, i più idonei a farci comprendere il senso

della giustizia sociale, come appassionata difesa dei diritti dei deboli e degli indifesi, condizione

indispensabile per una convivenza serena e pacifica;

• il senso della gratuità, che nel dono totale di sé agli altri, specialmente in stato di bisogno,

spinge alla solidarietà e alla condivisione. «La Chiesa ed ogni cristiano devono improntare alla

gratuità e alla sovrabbondanza tutte le forme di servizio all'uomo, anche quelle meno facili

dell'impegno professionale, sociale e politico» (cit. Evangelizzazione e testimonianza della Carità n.

22).

Sarà allora l'esperienza della gratuità a ridare valore e competenza alla professione, discernimento per

un equo e giusto guadagno, soddisfazione alla fatica di ogni giorno.

Se lo vuoi dunque, nell'esercizio della carità ti è dato di misurare la tua umanità e raggiungere la

pienezza della maturità, per essere oggi «un testimone più che un maestro».

(2-3-1991)

Quale treno se non quello dei malati, può regalare un'indescrivibile gioia ed un'emozione, capaci di trasformare la fatica in sollievo e la

sofferenza in preghiera?

SUI BINARI DELLA FEDE

l 14 Aprile 1988 partono da Verona 4 treni dei malati per Lourdes. Aprono la stagione dei

pellegrinaggi segnando il passo ad altri innumerevoli treni che si avvicenderanno, assicurando

costante la presenza ai piedi della Grotta fino al 14 ottobre, quando la Lombardia ed il Lazio

chiuderanno questo evento di grazia, questa ' marcia della fede e della speranza cristiana. Saranno

rappresentate tutte le regioni d'Italia, l'Isola di Malta e la Repubblica di San Marino. Faranno

quadrato attorno alla Grotta in un abbraccio ideale di fraternità e di comunione ecclesiale, vescovi e

sacerdoti, genitori e figli, giovani ed adulti, sani e malati, professionisti ed operai, pensionati ed

I

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anziani, per testimoniare la realtà di un popolo che è incamminato con Maria verso il Signore. Anche

noi, come i treni, correremo sui binari della fede per:

• ritrovare la serenità dello spirito;

• consolidare nella verità e nella carità la provvisorietà della vita;

• testimoniare il coraggio nella fatica, la gioia di servire, la speranza di attendere i nuovi tempi

della pace e dell'amore.

L'Unitalsi sente di portare con sé a Lourdes tutta la realtà della Chiesa locale e della comunità civile,

consapevole di compiere un servizio a nome di quella Chiesa, che per mandato evangelico, è chiamata

a «curare gli infermi».

Sui binari della fede verso Lourdes, grazie alla forza e alla benevolenza del. Signore, faremo correre

una porzione eletta della Chiesa italiana, perché continui ad avere un senso la sua presenza ed

efficacia la sua missione apostolica.

(3-4-1988)

La processione Eucaristica a Lourdes, momento saliente di ogni giorno, presieduta dal Cardinale Ugo Poletti, Presidente nazionale

dell'Unitalsi, testimone qualificato dell'opera di carità che l'Associazione ha svolto nella sua storia più che secolare.

PELLEGR1NI IN CERCA DI IMPEGNO PIÙ CHE DI EMOZIONI

l pellegrinaggio, che per l'Unitalsi si fa impegno di servizio nel promuoverlo e nell'animarlo, ci

pone in cammino per introdurci nel mistero di Dio e del suo . amore, effuso con il Battesimo nei

nostri cuori. Vai in cerca di una tua identità e ti preoccupi di darti un'immagine, ma non sai che

la tua identità è quella

• . cristiana e la tua immagine quella di Cristo?

Da quel giorno (ne sappiamo almeno la data?) siamo stati segnati in un modo incancellabile ed

indissolubile all'impegno della fede ed abbiamo ricevuto il potere di essere figli di Dio.

Il messaggio di Lourdes e i segni che lo esprimono ti riconducono al mistero del tuo Battesimo; non

cercare dunque altro in essi, ma solo ciò che ha operato in te il Signore.

Nella conversione del cuore restituisci l'innocenza battesimale alla tua vita

Se ci guardiamo "dentro" ci scopriamo inclinati al male ed immersi in tante miserie. 11 bene ci attrae,

il male ci convince. È per questa nostra condizione di peccatori che nel giorno del Battesimo la chiesa

pregò per noi che tra le seduzioni del mondo avremmo dovuto lottare contro lo spirito del male

perché la potenza della morte e resurrezione del Signore, ci liberasse dal potere delle tenebre, ci

rendesse forti e ci proteggesse nel cammino della vita.

L'itinerario dunque segnato per tutti noi è quello battesimale. Posti dinnanzi alla santità di Dio, alla

immacolatezza di Maria, alla dignità del Battesimo che ci è stata donata, ripercorriamo la strada di

quell'innocenza mediante il sacramento della penitenza (Santa Confessione) che «instaura e

rinvigorisce» il dono fonda-

mentale della conversione ricevuto nel Battesimo e diventa terapia indispensabile per una intensa

crescita nella vita spirituale.

I

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Nella Chiesa per incontrare Cristo e per incontrarsi tra gli uomini

Con le promesse battesimali abbiamo professato la nostra fede nella Chiesa cattolica. È nella Chiesa

infatti che si custodisce e si celebra Cristo.

Come fu una famiglia ad accoglierci nella nascita, così è stata un'altra famiglia, nel Battesimo, ad

accoglierci, la parrocchia, che ora vogliamo guardare nella fede, ritrovandone quel volto che esprime

il mistero di Cristo presente ed operante in essa.

Come non ti sei scelto una famiglia, ma hai accolto quella che ti è stata donata, così non puoi scegliere

la tua parrocchia, né tantomeno i tuoi preti, ma accogli quelli che ti sono messi a fianco e con loro,

rendila più amabile e splendente perché ritorni ad essere il cuore dei nostri paesi, l'oasi di pace delle

nostre città condensate di problemi e di anonimato, la casa di Dio e degli uomini.

Tu pietra viva per costruire con Cristo la sua Chiesa

Se dobbiamo guardare, come dice Isaia, alla pietra da cui siamo stati tagliati, ecco apparire davanti

ai nostri occhi quella pietra che i costruttori hanno scartato, ma che è divenuta la pietra angolare,

«sasso d'inciampo e pietra di scandalo».

Tagliati da questa pietra che è Cristo, con l'unzione crismale fatta dal sacerdote sul nostro capo

subito dopo il Battesimo, venne posto nella nostra vita il sigillo di una esistenziale e vitale

appartenenza a Lui che ci ha costituiti sacerdoti, re e profeti.

Non aver paura di essere una pietra scartata, perché la forza della tua testimonianza e l'efficacia della

tua missione cristiana non possono che passare per la via della persecuzione.

Contando non su quello che hai, ma su quello che sei, indossa anche tu come il Cristo «il grembiule»

del servizio.

Maria immagine e madre della Chiesa pietra di particolare bellezza

In questa meravigliosa costruzione della Chiesa, Dio ha posto Maria pietra di particolare bellezza,

come modello per ogni cristiano che voglia essere pietra viva.

È per questo che innalziamo gli occhi a Maria, tempio del Signore, che rifulge nel cuore del suo

Santuario come modello delle virtù.

Vergine illibata per l'integrità della fede, modello sublime di umiltà e di carità, incrollabile nella

speranza, forte nel dolore.

Poveri nella speranza, oppressi dal tedio della vita, paurosi di fronte alla malattia e alla morte se lo

vogliamo, possiamo trovare in lei rifugio e conforto, perché Ella nel corso della storia è stata sempre

«la speranza dei fedeli», il conforto dei disperati.

In cammino con Cristo per costruire insieme l'edificio dell'amore

L'intensa esperienza del pellegrinaggio ci ha ricondotto alle radici del nostro Battesimo,

consentendoci di rivivere la sua grazia, rivalutare i suoi doni e di rinnovare gli impegni assunti.

a Cristo, pietra angolare e fondamento della nostra speranza, Signore e Re dell'universo che affidiamo

l'ardua impresa di costruire l'edificio dell'amore sulle rovine delle famiglie senza gioia, delle città

senza pace, della società senza giustizia, frantumate da quella torre di Babele fatta

d'incomunicabilità, di arrivismi e di costanti prevaricazioni.

Non dovremmo perderci tra i nostri problemi, ma guardare alla missione che ci attende. Sui binari

della speranza e della fiducia continueremo insieme il nostro servizio perché:

• i nostri malati siano sempre più «esperti in umanità » e testimoni di coraggio;

• i nostri volontari servi inutili del Vangelo.

(3-4-1989)

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A Lourdes si può riconoscere che veramente Dio ha scelto i poveri, perché noi ricchi imparassimo ad andare a braccetto con loro.

IL PELLEGRINAGGIO, CAMMINO DI POVERI IN CERCA DI BEATITUDINE

Io voglio restare povera” disse istintivamente Bernardetta a un giornalista che le faceva

balenare il miraggio del guadagno, mentre a qualcuno che cercava di far scivolare delle monete

nelle sue tasche rispondeva: «Mi bruciano».

Lei, la figlia di un mugnaio sfrattato, pastorella, infermiera e malata, forte e irremovibile nella sua

fedeltà al messaggio, possiamo dire che è stata una nitida immagine di quella povertà evangelica sulla

quale ha fissato lo sguardo la Vergine.

Sarà dunque come ha annunciato Mons. Plotti, il tema della povertà a guidare i nostri pellegrinaggi,

a provocare i nostri animi, perché l'incontro con la grotta di Massabielle non susciti solo emozioni, ma

ci avvicini al Vangelo dei poveri per iscrivere tra essi anche il nostro nome.

Alzeremo dunque lo sguardo nei nostri pellegrinaggi verso quel monte delle Beatitudini al quale

possono accedere i piccoli, i semplici, i miti, coloro che soffrono.

Quanti dunque si propongono di andare a Lourdes, siano essi nella veste di malati o di sani, saranno

invitati a incontrarsi nella povertà di chi ha scelto quel luogo e di chi ne ha fatto essere il «suo

paradiso». Però perché il discorso sulla povertà e l'impatto con essa, segnata dalla presenza del divino

impressa su quella roccia, tanto angolosa e ruvida, quanto familiare e accogliente, non crei solo

stupore, ma consenta di comprendere il mistero, accoglierne il messaggio e viverne la grazia, ci viene

proposto di percorrere un itinerario pedagogico per farci tutti discepoli del dettato evangelico

che l'annuncia come una beatitudine.

Per questo Mons. Plotti ha offerto otto piste catechistiche, valido strumento pastorale per inquadrare

i nostri pellegrinaggi nell'ottica evangelica e in quella ecclesiale.

Annunciamo da queste colonne i singoli temi nella loro dizione, perché si evidenzino in uno sguardo

d'insieme le tappe da percorrere per educarci anche noi come dice papa Giovanni XXIII «ad una

povertà contenuta e benedetta, che ha poche esigenze, che protegge il fiorire delle virtù più nobili e

più alte, e prepara alle elevate ascensioni della vita».

La povertà come beatitudine evangelica

Quale povertà; quella delle cose perché non soffochino lo spirito, quella del cuore perché sia capace di

amare Dio, quella delle opere perché non servano per possedere, ma per donare.

I laici impegnati a liberare il mondo dalla povertà

Perché ogni uomo sia restituito alla sua dignità, alla sua libertà e ai suoi diritti, è necessario che sia

vinta la fame, allontanata la miseria, fatta giustizia agli oppressi, curate le malattie e condannata

ogni forma di emarginazione.

La malattia una particolare condizione di povertà

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I malati sono la vera «icona» della povertà evangelica, perché con le limitazioni e la sofferenza che

portano iscritte nel loro corpo e nelle loro facoltà «pongono in maggiore rilievo il mistero dell'essere

umano con tutta la sua dignità e grandezza».

Il malato, l'anziano e l'handicappato causa di conflitti sociali da sanare

Se è vero che il valore della vita non passa mai per la via della salute e dell'efficienza, ma per la

dignità impressa in ogni uomo, nessun malato soffra perché emarginato e nessun sano perché

intollerante.

L'Unitalsi servizio comunitario ed ecclesiale alla povertà dei malati

Servire la sofferenza è fermarsi accanto a ogni malato. Non passare «oltre», perché si senta amato da

Cristo, accolto dalla Chiesa, presidiato di affetto fraterno.

Barellieri e sorelle, chiamati a vivere personalmente la povertà evangelica

Non ti basti dare mani, tempo e possibilità, sappi donare più che te stesso il tuo amore per il Signore,

e con esso tutto quello che hai ricevuto, perché non diventi tuo ciò che è di Dio.

La malattia tra povertà e speranza

Nella malattia ci si sente spogliati della salute, di sicurezza, di considerazione, di possibilità e di

affetto, ma come Lui, rivestiti solo di amore, forza inesauribile di intime gioie e di segrete speranze.

La Madonna, modello esemplare di povertà

Come su di lei si posò lo sguardo di Dio, si posino anche i nostri occhi per contemplare la povertà della

sua casa, la semplicità della sua vita, l'umiltà del suo cuore, la ricchezza del suo amore, la grazia della

sua santità. Se deponessimo le vesti della nostra opulenza, allora potremmo indossare quelle della sua

povertà, annuncio profetico di evangelica beatitudine.

Che ogni pellegrino possa sperimentare la gioia della povertà evangelica, per diventare «icona» di

quelle beatitudini che sono state il fascino dei santi, la fatica dei cristiani, la tristezza dei gaudenti.

(3-4 1992)

La fiaccolata segna nel pellegrinaggio a Loreto uno dei momenti più forti, grazie all'indimenticabile don Luigi Paoletti, che volle farla

diventare celebrazione delle tenebre e della luce, perché meglio risplendesse il cammino di carità della Chiesa…

IL VANGELO, LAMPADA CHE SEMPRE DEVE ARDERE IN OGNI SANTUARIO

el suo magistero, Giovanni Paolo II ha parlato spesso dei santuari dedicati alla Beata

Vergine, qualificandoli come luoghi: «Di particolare pellegrinaggio del popolo di Dio, il quale

cerca l'incontro con la Madre di Dio, per trovare nel raggio della materna presenza di "colei

che ha creduto" il consolidamento della propria fede» (Redemptoris Mater n. 28).

Sembra, questa affermazione, definire efficacemente la vocazione del santuario e il carisma del

pellegrinaggio, identificandone ruoli precisi da non dimenticare né tantomeno da mortificare. È in

questa prospettiva che devono convergere gli sforzi dei responsabili sia dei santuari come dei

N

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pellegrinaggi e a questa finalità devono tendere quanti si mettono in viaggio per raggiungere quei

luoghi dichiarati da Paolo VI «le cliniche dello spirito». Potrebbe questa essere una pia esortazione e

rimanere tale se non ci chiedessimo insieme come proporre oggi, attraverso il santuario e il

pellegrinaggio, il messaggio evangelico, di fronte non solo a una nuova cultura, ma anche a nuovi

pellegrini. Una accentuata caratteristica della cultura contemporanea è la netta separazione che si è

fatta tra il tempo del lavoro, strutturato da efficienza e razionalità, e il tempo libero riservato al

disimpegno più totale, alla ricerca del piacere e alla privatizzazione di noi stessi, con il rischio di

incorrere in forme di lassismo spirituale e morale.

È al tempo libero che oggi si affidano gli hobby da coltivare, le attività da intensificare, i grandi

movimenti di massa, gli itinerari

turistici, «alcuni allettanti e singolari», altri tipicamente culturali e religiosi. Un fenomeno però

sorprendente e in rapido sviluppo, nonostante l'impressione contraria che si potrebbe avere in un

mondo sempre più secolarizzato, è il pellegrinaggio, espressione di devozione popolare, con vere e

proprie caratteristiche culturali.

a questi uomini e donne che scelgono di qualificare il loro tempo libero, consacrandolo all'esperienza

del pellegrinaggio, che va offerta la possibilità di riappropriarsi di quella spiritualità sommersa

dall'invadente materialismo; di sperimentare nello spazio sacro del santuario la presenza di Dio; e di

giungere a capovolgere i criteri di giudizio, i valori, la mentalità, i principi e i modelli di vita di oggi,

mediante una radicale rievangelizzazione della propria esistenza.

I moventi che spingono oggi tanta gente verso i santuari sono tanti, da quelli ancora genuini di una

«religiosità popolare» espressione, in alcuni di una fede profonda e di una equilibrata devozione, e in

altri di una sterile manifestazione di gesti cultuali e devozionistici, senza impegnarsi in una autentica

adesione di fede, a quelli di esclusivi interessi cultuali o turistici.

E questa «religiosità popolare che va evangelizzata, senza un pregiudiziale rifiuto, ma accogliendola e

purificandola dalle sue scorie e valorizzandone gli aspetti positivi, per ricondurla verso una genuina e

limpida espressione di fede in Dio «in spirito e verità».

Tocca al santuario, col fascino della sua austerità, del suo silenzio, delle sue liturgie, dei suoi segni e

soprattutto della "icona" che ne costituisce il cuore, avvolta di eloquente misticismo, tenere sempre

accesa la lampada del Vangelo, perché di essa si illuminino quanti vi giungono, deponendo l'abito del

turista per vestire quello del pellegrino, l'abito del fariseo per indossare quello del pubblicano.

Maria nella luce del Vangelo

La lampada accesa del Vangelo perché «l'immagine di Maria» laddove numerosi santuari ne

custodiscono come in uno scrigno, la sua «icona», corrisponda ai dati evangelici che la rivelano

«pelleg rina nella fede» e al magistero della Chiesa, che invita i fedeli a innalzare la mente della «sacra

immagine» all'immagine evangelica di Maria di Nazareth, umile e povera, donna del grembiule,

prima ancora che donna coronata di stelle.

Il Vangelo della misericordia

la lampada accesa del Vangelo, perché il santuario sia luogo privilegiato di quella misericordia

riservata in abbondanza ai peccatori e identificata nel volto paterno e amabile dei confessori. Pur

inchiodati per ore e ore al loro ministero di grazia, non si lasciano prendere dalla stanchezza, ma nella

verità e nella pazienza, si impegnano ad ascoltare e incoraggiare chi piange il proprio peccato e a

suscitare con soave forza, un serio emendamento di vita in chi non ne sente il bisogno. Però né ai

pellegrini frettolosi, né ai confessori affaticati o troppo abituati, potrà risaltare il prodigio di amore

che il Signore opera nel segreto delle coscienze, né tanto meno percepire la grazia di quella

misericordia effusa, così in abbondanza dal Signore.

Il Vangelo della carità

La lampada accesa del Vangelo, perché il santuario manifesti la carità nei gesti più veri e genuini,

dell'accoglienza e dell'ospitalità verso i pellegrini e soprattutto verso gli anziani, gli infermi, i

portatori di handicap, ai quali vanno riservate «le attenzioni più delicate, i posti migliori, gli orari più

adatti e le celebrazioni che tengono conto della loro peculiare condizione» (dal documento pontificio

sull'Anno Mariano n. 76).

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Una carità tanto provocatoria, perché chiede al santuario spazio, strutture e impone di eliminare le

barriere, quelle architettoniche e quelle psicologiche, riservando i primi posti naturalmente non ai

facoltosi, né ai notabili, ma a loro, a quelli che hanno la forza di dare volto, cuore e senso al Vangelo

di Gesù Cristo.

«I pellegrini - dice Mons. Plotti - saranno aiutati a scoprire il valore della sofferenza nei malati,

presenti in gran numero nei santuari e a capire che la vera forza di conversione del mondo sta proprio

in questa "profezia" che il malato sa vivere e testimoniare».

Il Vangelo della povertà

La lampada accesa del Vangelo perché il santuario esprima la ricchezza della povertà, nella sobrietà

delle strutture e dei mezzi, nel decoro degli spazi sacri, così che il senso del divino non sia sommerso

né dall'eccesso di sfarzi, né da spot pubblicitari, né dall'abbondanza di oggetti religiosi fattisi anch'essi

più beni di consumo o talismani, che segni di un efficace richiamo alla fede.

Ai pellegrini che giungono al santuario sia concesso di scorgere tra mille candele che ardono, la

lampada del Vangelo, impegnandosi ad accendere a essa la propria fiaccola, perché possano entrare in

pienezza nel mistero di Dio.

(7-8 1991)

La luce della Grotta di Lourdes raggiunge il cuore di chi sa sostare davanti al mistero che avvolge l'animo umano.

Il Papa Giovanni Paolo II nonostante la sua visibile sofferenza, nella giornata del malato, saluta nella Basilica di San Pietro i bambini.

PERCHÉ IL "VANGELO DELLA VITA” FACCIA ANCORA NOTIZIA

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i sono già spente purtroppo le luci della ribalta anche su questa Enciclica «Il Vangelo della

vita». Perché queste pagine di impareggiabile portata storica, consegnate da Giovanni Paolo II

in questo ultimo scorcio di secolo non restino tra le conoscenze giornalistiche, è necessario che

dalle agenzie di stampa passino nei luoghi privilegiati della cultura, nei laboratori di genetica, nei

centri di ricerca scientifica, nel mondo sanitario e in quello più sconfinato della sofferenza, nei

tribunali e nei luoghi di pena, e naturalmente nel cuore di ogni comunità cristiana, perché vescovi,

sacerdoti e laici si facciano suoi testimoni e profeti.

Vorremmo in particolare noi sacerdoti, animati dalla «carità pastorale», essere compenetrati dallo

spirito profetico del Papa che ha consacrato la sua infaticabile vita di uomo, così fortemente segnata

dalla sofferenza e il suo indefettibile ministero apostolico a difendere la vita e a esaltarne la grandezza

umana.

Abbiamo preferito che passasse il momento corale di tantissime voci, risuonate all'indomani della

pubblicazione dell'Enciclica, per lasciare che fossero ora le opere, il coraggio e i gesti eroici di tanti

uomini, donne e giovani a testimoniare la gratitudine al santo Padre e a rassicurarlo che

continueranno a scrivere, anche con il sangue, questo inviolabile «Vangelo della vita».

Dall'osservatorio della sofferenza, dove più evidente si percepisce la necessità di accogliere, difendere

e promuovere la vita dell'uomo, per l'esperienza che da anni accompagna il nostro ministeo, si evince

che coloro che hanno più profondo il senso della vita, la amano e la celebrano, sono proprio i malati, i

disabili.

Se poi la luce della fede ne segna il cammino, hanno anche la forza interiore capace di infondere negli

altri una tale serenità da restare confusi.

Sono essi in prima persona a scrivere con il dono fragile del loro handicap il «Vangelo della vita»,

perché ogni figlio ricamato nel grembo di sua madre possa vedere la pienezza della luce e ogni

morente possa fissare quella del suo tramonto.

Sono essi a testimoniarci che il dramma vissuto dall'uomo contemporaneo, la sventura che può

azzerare la sua esistenza, non è la sofferenza fisica, la disabilità, la malattia, ma come afferma il

Papa: «l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, tipica del contesto sociale e culturale dominato dal

secolarismo. L'eclissi che porta inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale proliferano

l'individualismo, l'utilitarismo e l'edonismo. Così i valori dell'essere sono sostituiti da quelli dell'avere»

(n. 23).

È di questo dramma, che segna in modo quasi irreversibile specialmente le giovani generazioni, che

dobbiamo tutti prendere coscienza e farcene pienamente carico. E in questa prospettiva che va

affrontato il Vangelo della vita.

Ma in che misura è viva nei cristiani di oggi, questa coscienza del male che travolge le coscienze, della

corruzione che segna per la vita una innocenza, della dissolutezza che, se viola l'integrità del corpo,

distrugge la sublimità dei sentimenti, se coltiva i vizi rende incapaci a percepire la bellezza delle

virtù, a gustare il senso del sacro, a elevarsi a nobili e santi pensieri?

Quanto colpiscono di più la nostra sensibilità le immagini di un bambino ucciso dalla prepotenza

umana, che quello violentato dalla depravazione, senza lasciarci scuotere dalla durezza della parola di

Cristo, perché comprendessimo fino in fondo la gravita e il dramma del male che distrugge le

coscienze. «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli si menta al

collo una macina girata da asino e venga gettato nel mare» (Mc. 9,42).

Ha sempre risuonato con forza nella mia sensibilità pastorale la constatazione di quella madre, che

compresa del bene inestimabile della bontà del figlio, preferirebbe piangerlo al cimitero, più che

dietro le sbarre di un carcere. «È dunque nell'intimo della coscienza morale che l'eclissi del senso di

Dio e dell'uomo, con tutte le sue molteplici e funeste conseguenze sulla vita, si consuma».

Il Papa, oltre che parlare della «coscienza di ciascuna persona», afferma: «la coscienza morale della

società giunge a creare e a consolidare vere e proprie strutture di peccato contro la vita» (n. 24).

Questa amara constatazione cala come un macigno sulla mostra storia, sulla sua «cultura», che in

altri tempi potevano chiamare «umanistica» e che oggi per i fenomeni che attraversano la convivenza

civile dobbiamo chiamare «di morte».

S

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Non è dunque il conflitto tra il bene e il male a muovere i passi della nostra storia personale e quella

dell'umanità, ma «la confusione - come afferma ancora il Papa - tra il bene e il male a condurre sulla

strada della sua degenerazione più inquietante e della più tenebrosa cecità morale» (n. 24), il

cammino dell'uomo, avvolto nella sua più insipiente sufficienza.

E in questo deserto di una società inaridita dalla filosofia del piacere e del consumo, logorata dalla

prepotenza dei suoi mali, dalla frenesia delle sue conquiste, che deve rinascere il senso della vita, la

coscienza del bene e del male, il primato dello spirito e la vera grandezza umana.

È questa innata speranza, che nell'affermazione evangelica «Io ho vinto il mondo», suscita i profeti

della vita, i testimoni della coerenza cristiana, gli uomini dell'onestà professionale, i promotori della

giustizia, i difensori dei deboli, gli uomini della comunicazione sociale tanto affezionati alla verità,

quanto al rispetto di ogni persona e di ogni suo dramma, i genitori di provata virtù, gli educatori

saggi e credibili, i servi della carità, i giovani trasparenti di limpidezza e di generosità.

Ad essi in modo specifico è affidato il compito di:

• ripresentare l'immagine autentica della vita umana, negli ideali

che la illuminano, nelle responsabilità che la impegnano, nella vocazione all'amore che la realizza e la

fa giungere alla sua pienezza;

• di abbattere le strutture di peccato che nella torre di Babele trovano ancora i loro contrafforti,

per ricostruire, prima ancora che la città terrestre, le coscienze al senso di Dio e dell'uomo, perché non

capiti più che qualcuno si tolga la vita nell'abitacolo della sua auto, qualche altro se la consumi tra gli

allucinogeni di esaltanti esperienze, altri se la corazzino di potere, altri se l'avvolgano di angoscia,

altri infine se la macchino di sangue.

Se sarà ancora il Vangelo della vita a fare «notizia», non avremo più il «mostro» in prima pagina, ma

il volto di una società più umana e più giusta.

(5-6 1995)

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Loreto, momento culminante della giornata: la processione eucaristica, mentre il numeroso personale di assistenza la apre in un abbraccio di fede, accompagnando il Signore che passa a benedire i malati.

Il calvario di Lourdes ha il suo fascino, non solo perché suggestivo è il luogo che l'accoglie, ma perché meglio esprime i mille volti della sofferenza umana che si sono fatti pellegrini alla Grotta di Massabielle.

LA SOFFERENZA DA PARADOSSO UMANO A PROFEZIA EVANGELICA

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e ci poniamo di fronte alla realtà della sofferenza, lo dobbiamo fare non da estranei a un

discorso che si vuole accademicamente intavolare, né da addetti ai lavori, pronti a fornire la

consulenza richiesta,

, ma da protagonisti di una esperienza che direttamente o indirettamente interpella la nostra stessa

condizione umana. Condizione chiamata ad assumere pienamente la fatica e la sofferenza della vita e

a darne in prima persona, con trasparente testimonianza un senso, il senso cristiano. «Nel contesto di

un mondo sconfinato come quello della sofferenza umana - dice il Papa nell'Esortazione apostolica

Christifideles laici (n. 53) - rivolgiamo ora l'attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue

diverse forme: i malati, infatti, sono l'espressione più frequente e più comune del soffrire umano».

Non si può dunque prescindere da loro, dalla loro condizione, non si può parlare della sofferenza se

prima non si diventa loro amici. Affinati dalle vicende della loro malattia si sono fatti «esperti in

umanità» e di conseguenza aperti allo Spirito che ne ha sublimato i sentimenti.

In loro mi si è sempre manifestata la potenza del Signore, che ha fatto della sofferenza una sorgente

di spiritualità. Non potevo meglio comprendere la «Theologia Crucis» studiata sui libri, che

mediandola nella straordinaria esperienza di grazia vissuta fin dagli inizi del mio sacerdozio a fianco

dei malati.

L'averli accompagnati nei pellegrinaggi e soprattutto l'averli avuti come amici in villeggiatura, nella

stessa casa parrocchiale per

più anni con una sorprendente e corale partecipazione dell'intera comunità, l'accudirli con la stessa

tenerezza che la madre usa per il suo bambino, è prova tangibile dei prodigi che opera l'amore.

L'aver vissuto con il mio predecessore e anziano parroco, condividendo con lui l'umiliazione di un

«male» che richiedeva un servizio tanto complesso, quanto capace di farti sperimentare fino in fondo

tutta la forza della tua umanità e la grazia della sua santità, è stata una scuola continua per entrare

intensamente e pienamente nel mistero della vita, della sua sofferenza e della fede che ne sublima

ogni spasimo e vince ogni paura.

Questo riferimento personale vuole avere la forza di una testimonianza che, prescindendo

assolutamente da qualsiasi prerogativa di merito (era nei miei doveri di uomo e di prete fare questo)

resta un dono di grazia. Sappiamo infatti che a chi più è dato più sarà chiesto e con la gioia di chi sa

che deve restare a operare nell'ottica del «quando avrete fatto tutto quello che dovevate dite, siamo

servi inutili» (Lc. 17,10).

Siamo dunque chiamati a entrare nelle pieghe più recondite della sofferenza umana, per scorgervi

l'immagine nitida del Crocifisso, che ne svela la profondità, ne evidenzia il valore e ne gratifica e

alleggerisce il peso.

Lontani dalla tentazione di un istintivo pietismo, dalla preoccupazione di voler a tutti i costi dare

risposte, vorremo sensibilizzarci per sensibilizzare, promuovendo una efficace cultura della vita, dei

suoi valori, delle sue speranze.

Se volessimo tentare una ricognizione sui problemi emergenti dell'uomo che soffre, dovremmo andare

al di là di quella radiografia a cui è sottoposta la nostra società dalle varie demoscopie con le loro

complesse proiezioni di dati statistici, per evidenziare non solo gli effetti, ma ritrovare le cause, e

intravedere lo spessore culturale e sociale che ne guida il fenomeno.

Facendosi oggi sempre più strada il mito della bellezza e dell'iperproduttività, i portatori di handicap,

i malati e gli anziani si portano dentro non tanto il peso del loro limite, quanto la sof ferenza di quella

vergogna che, come un marchio, ha impresso in loro la società, quasi fossero dei colpevoli solo perché

«diversi».

La Sacra Scrittura, grande libro della sofferenza

La teologia del mistero pasquale e l'autorevole magistero della Chiesa, sono più che esaurienti per

illuminare tutte le pieghe della sofferenza, perché sia pienamente recuperata la dimensione umana del

dolore, il suo valore salvifico e redentivo, la sua possibilità di farsi beatitudine.

L'abuso di un accentuato linguaggio consolatorio che invita alla rassegnazione e alla certezza di un

paradiso assicurato, non fa altro che mortificare la vita di coloro che pur malati vogliono sentirsi utili

e finalizzare anche la loro sofferenza nel senso più giusto e più evangelico, quale quello proposto dal

Signore, perché per amore e con amore siano protagonisti della loro esistenza ed evangelizzatori. La

S

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Chiesa italiana attraverso la predilezione pastorale dei Vescovi, l'impegno caritativo dei sacerdoti e

delle loro comunità, ha da offrire alla sofferenza, spesso relegata nel tunnel dell'emarginazione:

La via dell'umanizzazione

La «Salvifici doloris» dice: «Non è lecito "passare oltre" con indifferenza ma dobbiamo "fermarci"

accanto a Lui» (n. 28). Di qui nasce lo stile che deve caratterizzare gli animatori pastorali «per» e

«con» l'uomo che soffre.

Il malato esige una risposta psicologica affettiva e umana alla sua sofferenza, perché nella malattia è

l'uomo che soffre. La dimensione personale della malattia come esperienza vitale può farne un

maestro di umanità e un testimone di amore.

La via dell'evangelizzazione

Nel percorrere la via dell'evangelizzazione, del dolore umano, si impone una scelta preferenziale,

quella della fede che sola può dare occhi nuovi, capaci di guardare e trovare nel volto dei malati il

volto di Cristo, perché ogni impegno profuso per loro non si fermi alla pura dimensione sociale, che

mortificherebbe la forza risanatrice del Vangelo e della sua grazia.

La nostra azione pastorale dovrà perseguire obiettivi precisi e sinceri, per non dare mai neppure la

parvenza di una facile strumentalizzazione, né tanto meno di quella possibile demagogia che

accompagna l'operato di certe postazioni politiche. Non altri che il Signore e il suo Vangelo siamo

chiamati a predicare. Non altri che l'uomo nella sua dignità, nei suoi diritti, senza mai nessuna

contropartita, siamo chiamati a servire.

La via della diaconia

Si annuncia allora difficile, ma urgente e irrinunciabile questa via perché diventi l'unica voce

autorevole, linguaggio incisivo e suadente, di una Chiesa che non ha da offrire «altro potere che il

servizio», altre prospettive che la spefanza cristiana. Al laicismo così invadente, che ha chiuso tante

coscienze al senso del divino, perseguendo la via di facili soluzioni anche di fronte al dolore e alla

morte, solo l'assunzione in proprio che farà la Chiesa di quanti soffrono, potrà opporre una cultura di

vita, di solidarietà, di accoglienza, togliendo definitivamente il velo del pregiudizio, del sospetto e

dell'indifferenza.

Non avremo altra via di accesso in questa contraddittoria società, che quella del servizio all'uomo che

soffre, e nessun'altra carta di identità che quella del buon Samaritano. Queste prospettive pastorali

sicuramente possono entusiasmare tanti malati che con noi vogliono essere i profeti della speranza e

della letizia cristiana.

(5-6 1989)

Aiutare una persona in difficoltà ad accendere la sua candela davanti alla Grotta è espressione di una luce ancora più grande, quella che

passa attraverso l'amore, frutto indiscusso di una fede operosa ed autentica.

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Quei grani del rosario sono il segno di una vita accompagnata dalla fatica, dal sacrificio e da tanti meriti, che oggi illuminano e

confortano l'ultimo tratto di strada prima di raggiungere l'eterno.

LA SOFFERENZA, FORZA PER LA PREGHIERA E DONO PER LA PACE

on l'animo turbato stiamo vivendo i giorni della guerra del Golfo, lontana si da noi nello spazio,

ma tempestiva e presente in tutto il suo dramma nelle nostre case, già forse abituate a essa,

dopo l'ansia dei primi giorni del conflitto. Eppure non può essere messa a dura prova la nostra

umanità, anche nelle sue pieghe più recondite, perché faccia emergere ancora la compassione del

cuore e il travaglio della coscienza. Il coro universale delle preghiere innalzato dal cuore della Chiesa e

dalla fede di tutti i credenti, perché fossero le ragioni della giustizia e la logica dell'amore ad

allontanare lo spettro della guerra, è stato sommerso dal fragore delle armi. Potremmo dire con

l'amarezza di Paolo VI: «E chi può ascoltare il nostro lamento se non ancora Tu, o Dio della vita e

della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica...» (dalla preghiera per la morte di Aldo Moro).

Anche Giovanni Paolo II nella sua universale paternità ha chiesto a Dio: «Ascolta il grido unanime

dei tuoi figli, supplica accorata di tutta l'umanità».

La preghiera «strumento umile - afferma il Papa - ma se nutrito di fede sincera e intensa, più forte di

ogni arma e di ogni calcolo umano», deve trovare piena accoglienza nel cuore degli uomini, perché si

possa fare spazio alla riconciliazione e alla pace.

Ma come potrà essere intensa e efficace la nostra impetrazione, se anche noi come Cristo non

«offriremo preghiere e suppliche con forti grida e lacrime» (Eb. 5-7) a colui che può liberare dalla

morte

ed esaudirci per la nostra pietà?

Egli «sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull'altare della Croce» (prefazio della festa di

Cristo Re), si è impegnato con tutta la sua persona nella supplica e nel sacrificio, perché la sua

passione diventasse la più solenne e la più efficace preghiera d'intercessione, per fare del mondo un

«regno di giustizia, di amore e di pace».

Sentiamo di riconoscere che è così povera la nostra preghiera, perché forse più legata al desiderio del

cuore, ma non altrettanto alla fatica della vita ed al suo sacrificio, più ai nostri progetti, che al

mistero dell'amore crocifisso.

Una preghiera, la nostra, che invoca la pace, ma noi siamo in conflitto con la verità dell'amore, con

l'impazienza degli altri, con le ragioni della giustizia, con il coraggio del perdono e della

riconciliazione e con la tenerezza della misericordia. Al coro dunque di preghiere innalzato in

quest'ora di tenebre, vogliamo unire la sofferenza avvolta nel silenzio della discrezione o nell'oblio

dell'indifferenza altrui, che prende un volto e un cuore in migliaia di malati, di anziani, di bambini,

per ottenere nella fiducia della preghiera e nella forza della penitenza, la conversione del cuore. Quei

malati che a Lourdes hanno lasciato ai piedi della Grotta la promessa di soffrire con amore e hanno

aperto il cuore verso quelli che avevano più bisogno di conforto e di coraggio «abbandonandosi senza

C

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riserve al volere di Dio, pur combattendo il male - afferma il nostro Arcivescovo Assistente Mons.

Plotti - consentono un processo di purificazione e di offerta, che dà impulso alla crescita spirituale di

svolgere una testimonianza particolarmente efficace di fede e di fraternità, così da rendere evidente

ed efficace la loro partecipazione alla missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo. È in questo

contesto che possiamo parlare di "sacerdozio" della sofferenza» (dal Sussidio Pastorale «Sacerdoti per

una Chiesa a servizio del mondo»).

A noi sacerdoti e ministri dell'altare, come alla schiera innumerevole di volontari, barellieri, sorelle di

assistenza, medici, religiosi e religiose che si dedicano al servizio della malattia, il compito di

raccogliere come in un sudario:

• l'innocenza di tanti bambini segnati dalla sofferenza, velata di una profonda dolcezza;

• l'amore delle loro madri che continueranno a tenerli sulle loro ginocchia in una costante e

sofferta tenerezza;

• l'esuberanza dei giovani, mortificata e inespressa sotto i panni dell'handicap;

• l'esperienza inutilizzata degli anziani, carichi non solo di anni, ma di meriti e di fatica;

• il dramma della morte, che lentamente si annuncia a quanti, colpiti da inesorabili mali, sono

chiamati a entrare nel suo mistero;

• e infine l'incapacità a percepire fino in fondo che la nostra pre-

senza al loro fianco è un segno vivo della bontà di Dio.

Consegniamo quindi la sofferenza, il dolore, la solitudine di tutti i nostri malati al Signore, perché sia

resa propizia ed efficace la grande e universale preghiera per la pace.

(1-2 1991)

È in questo sguardo di tenerezza che trova consolazione chi emarginato dalla società, sperimenta l'amore più che materno di chi sa farsi

prossimo davanti al dolore umano.

UNA GIORNATA PER CONTEMPLARE IL DOLORE DELL'UOMO

ome non essere grati a Giovanni Paolo II che ha proclamato la «Giornata Mondiale del

Malato» da celebrarsi ogni 11 febbraio nella memoria della Beata Vergine di Lourdes? È vero

sì, che di giornate se ne sono indette molte, sia nell'ambito ecclesiale, che in quello civile, ma

questo non consente che restino congelate nelle date del calendario, senza lasciare che si prolunghino,

nelle riflessioni e in rispettive scelte operative.

Una Giornata dunque che trova tutto il suo spessore umano, perché parte dal cuore di un Papa, che

fin dagli inizi del suo pontificato, ha con straordinaria sensibilità effuso la sua umanità sul dolore

dell'uomo.

C

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Ne siamo testimoni noi e soprattutto le centinaia e centinaia di malati che nelle piazze, negli stadi,

nelle chiese, come in S. Pietro, sono stati a lui presentati, perché al suo passaggio, posasse la sua

mano su di loro, li accarezzasse, si fermasse ad ascoltarli. Ha affidato loro la consolazione del Cristo,

fattosi tenerezza e amore nei suoi gesti, nella sua ineffabile umanità, aperta alla commozione di chi

contempla con gli stessi occhi del buon samaritano il mistero della sofferenza. Il suo magistero

iniziato con l'accorato appello a Cristo «Redentore dell'uomo», ha proclamato che in lui «ogni uomo

diventa la via della Chiesa» e nell'Enciclica Salvifici doloris sottolinea che: «In modo speciale lo

diventa quando nella sua vita terrena entra la sofferenza» (n. 3).

Non è solo il maestro che parla dalla sua infallibile cattedra, ma anche il testimone di una sofferenza

che ha pervaso il suo animo e segnato profondamente il suo corpo.

Per questo trova piena ragione la proclamazione della Giornata, tanto che egli stesso ci ricorda come:

«non é lecito passare oltre con indifferenza, ma dobbiamo fermarci accanto all'uomo che soffre».

Debbono fermarsi e non passare oltre:

• i Vescovi pastori delle nostre Chiese, perché il lembo della loro veste come quello di Cristo,

nella ricchezza della loro umanità e nel carisma di grazia che accompagna i loro gesti possa «risanare,

consolare, e confermare la fede»;

• i sacerdoti, perché nessuna giustificazione, nemmeno quella del culto, li spinga a passare oltre,

senza intravedere in lui la presenza divina, che quasi come nel sacramento, nasconde mirabilmente

quella di Cristo;

• i cristiani, perché imparino a riconoscere Cristo nei poveri e nei sofferenti e attraverso il

Vangelo della misericordia, rispondano al dolore dell'uomo affidandolo all'Uomò dei dolori, termine

ultimo di ogni umano dolore;

• gli operatori sanitari, perché • sappiano sempre intravedere in ogni malato l'uomo che soffre e

ogni struttura sanitaria nella sua complessa e delicata organizzazione terapeutica, sia un autentico

presidio umano per ogni patologia;

• i volontari, nelle molteplici associazioni che li muovono in questa azione umanitaria e

cristiana, perché nella gratuità del dono e della sensibilità umana ed evangelica, sappiano avvolgere

di silenzio la loro presenza, di discrezione il loro servizio, di verità i loro gesti, per cogliere in questo

fermarsi tutto il senso e la ricchezza della vita umana;

• infine i malati, perché sostando anch'essi sul loro dolore, senza ignorarlo, né impietosirlo,

possano farsi protagonisti di una Giornata che chiama tutti a entrare nelle pieghe più recondite

dell'uomo, perché non si ritrovi mai solo nel suo soffrire.

Chi potrà non solo darci la pazienza di fermarci, ma anche la fede per contemplare il dolore dell'uomo,

se non lei la Vergine che nell'immagine viva della «Pietà», segnò ai piedi della croce l'inizio di ogni

sconfinato dolore materno, soffuso di intenso amore e di mirabile tenerezza?

Che questa «Giornata» possa avere la forza di illuminare e sostenere la vera e faticosa giornata

terrena dell'uomo, perché non gli sia tolta la voglia di vivere, ma gli sia data la possibilità di

spenderla totalmente per l'unico ideale, quello dell'amore.

(5-6 1992)

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È in questo delicato atteggiamento che puoi veramente ascoltare ciò che il malato non dice.

UNA GIORNATA PER... CHIAMARE IL MALATO CON IL SUO NOME

uole essere ancora il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Malato perché la sua

celebrazione sia «occasione per crescere nell'atteggiamento di ascolto, di riflessione e di

impegno fattivo di fronte al grande mistero del dolore e della malattia» (Lettera Apostolica

"Salvifici Doloris").

Abbiamo già sottolineato in una precedente riflessione che il Papa anzitutto rivolge il suo appello «ad

ogni uomo di buona volontà», perché sappia cogliere da questo dramma del dolore tutta la ricchezza

umana che vi si nasconde.

Subito dopo, aprendosi a un tono confidenziale e paterno che gli è proprio, con lo sguardo rivolto

all'umanità intera dice: «a voi, malati carissimi di ogni parte del mondo, protagonisti di questa

Giornata, tale ricorrenza rechi l'annuncio della presenza viva e confortatrice del Signore».

A scanso di equivoci, perché questo giorno a loro dedicato non si riduca «ad una mera manifestazione

esteriore» (dal messaggio) e io aggiungo, perché non si corra il rischio ancora una volta di suscitare

pietismo più che autentici motivi di speranza, vogliamo adoperarci nella preparazione e nello

svolgimento di essa a fare in modo che siano veramente loro «i protagonisti».

«Protagonisti», sottolinea il Papa, perché «anche i malati sono mandati come operai nella vigna del

Signore» (n. 53).

Questa è la novità che ha risuonato nell'Esortazione apostolica Christifideles laici e questa deve essere

la nuova pedagogia che ac-

compagna il cammino della Chiesa nella sua azione pastorale «per e con i malati ed i sofferenti» (n.

54).

Ciò richiede un impegno e una presenza diversa per superare quella concezione consolatoria che può

rasentare il pietismo.

Confessiamo pure che il nostro innato istinto umanitario ci ha fatto esercitare una presenza più

assistenziale che promozionale, ci ha dato un linguaggio più invitante alla rassegnazione che a una

positiva accettazione, proponendo più il Cristo Crocefisso che il Cristo risorto.

Spinti da forti motivazioni teologiche e da certe ansie pastorali abbiamo esaltato la sofferenza

pensando di poter spiegare e di consolare, senza entrare in quella dimensione umana che sola può

comprendere più che il dolore, colui che ne è segnato, più che gli interrogativi, il disagio e il coraggio

di chi ne ha saputo farne una ragione di vita.

Se poi l'analisi si estende alla pubblica opinione, allora dobbiamo costatare che la società ha

identificato i malati, i disabili con i loro handicap, stigmatizà.ndo in loro una considerazione e

un'immagine di se stessi estremamente negativa e provocando una evidente tristezza e una sensazione

di colpevolezza e di vergogna.

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Sono stati chiamati più con il nome dell'handicap che con quello di battesimo. La loro immobilità

posta sempre in rilievo non ha favorito quel cammino promozionale richiesto a ogni individuo e

soprattutto non li ha fatti sentire protagonisti della loro vita. L'invito del Papa a essere protagonisti

di questa Giornata Mondiale, è richiamo a prendere coscienza sia dei talenti e delle potenzialità che

hanno, sia della missione che devono svolgere nella Chiesa e nel mondo.

Protagonisti per proiettare su questo benedetto schermo dell'handicap inedite aspirazioni, progetti di

vita, impegni di servizio e di donazione.

Protagonisti per occupare quello spazio ecclesiale che é proprio di ogni cristiano secondo doni e

carismi. Riconosciamo però che né loro, né noi siamo abituati ancora a ritrovarci insieme in un

consiglio parrocchiale, in organismi pastorali, nei gruppi giovanili, nelle assemblee liturgiche per

cantare, animare, o in ambiti educativi come quelli della catechesi, convinti che a essi vada rivolta la

nostra azione caritativa, senza richiesta alcuna di partecipazione all'azione pastorale.

Protagonisti per lanciare un ulteriore messaggio alla società sufficiente di oggi; quello di volersi

inserire in essa a pieno diritto, infrangendo quelle barriere che possono rendergli difficile il cammino

familiare, lavorativo, culturale, condizioni indispensabili per una piena integrazione umana e sociale.

Protagonisti per recuperare nella fede il senso di se stessi e del proprio dolore, perché non si perda

dietro l'amarezza di un'incompiuta esistenza umana, ma si valorizzi nella luce di chi ne ha voluto fare

una fonte di salvezza e un segno di un'umanità nuova.

Protagonisti per indicare i nuovi itinerari della carità, che nel segno di una forte e convinta

comunione ecclesiale «dovranno - come afferma il teologo William Smith - evitare qualsiasi

dicotomia, evidenziando come il ricevere non diminuisce la dignità umana e viceversa. In colui infatti

che dona é richiesta la cura. In colui che riceve

richiesta la fiducia».

Protagonisti perché vinta la tentazione del sospetto, accolto a fronte alta l'aiuto di cui necessitano,

possano farsi profeti di quell'umanità, che chiama tutti a condividere i doni della salute,

dell'intelligenza, della fede e dell'unico ed eterno destino dell'uomo.

Se allora nella preparazione, nella celebrazione e nelle proposte che seguono ogni Giornata Mondiale

del Malato, tra gli interlocutori, i promotori e gli organizzatori di questo appuntamento, ci saranno

anche loro, i malati, avremo sicuramente risposto non solo al desiderio del Papa, ma anche agli scopi

di una Giornata, che deve inaugurare i tempi forti della carità per la Chiesa, della solidarietà per il

mondo, della speranza per chi vive in compagnia dell'handicap e della sofferenza.

(1-2 1993)

Lourdes. Vengono presentati i registri firmati dai partecipanti al pellegrinaggio nazionale nel novantesimo dell'Unitalsi, registri che sono

stati posti in una urna all'ingresso del Salus nel settembre del 1993

UNA GIORNATA PIÙ CHE PER LORO PER LE NOSTRE RESPONSABILITÀ

iamo già pronti a celebrare la II Giornata Mondiale del Malato voluta da Giovanni Paolo II e

affidata anche quest'anno «agli infermi, agli operatori sanitari, ai cristiani e a tutte le persone

di buona volontà», perché sostassero a riflettere sul tema del «dolore salvifico», per

comprendere insieme il senso cristiano della sofferenza.

S

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A dieci anni dalla promulgazione della Lettera apostolica "Salvifici Doloris" credo che non abbia

ancora la luce di questo messaggio permeato la realtà del dolore, il dramma che esso provoca, la

solitudine che lo accompagna, la preziosità che può rivelare, e questo perché manca quella compagnia

umana e spirituale, che dovrebbe sostenere chi ne è segnato.

Ecco allora interpellata la comunità cristiana, alla quale quest'anno la Consulta Nazionale per la

Pastorale della Sanità chiede di porsi accanto a chi soffre. L'intento sicuramente della stessa Consulta

non è quello di lanciare uno slogan, di cadenzare come è prassi, anche questa Giornata di un tema, ma

di dare inizio a una serie di provocazioni, che devono inchiodare alla propria responsabilità pastorale

l'intera comunità cristiana. In termini più accessibili e più concreti, almeno negli ambiti territoriali

che la configurano, è "la parrocchia", con il suo pastore, i suoi organismi, le sue strutture, i suoi

programmi, le sue scelte prioritarie, i suoi più urgenti interventi. Gioverebbe alla nostra sensibilità di

pastori richiamare i documenti conciliari e il magistero della Chiesa in questi ultimi decenni per

comprendere il senso profondo della «scelta preferenziale degli ultimi», della «Evangelizzazione e la

Testimonianza della carità», e l'interrogarci sulle scelte pastorali da fare, perché la sollecitudine della

Chiesa non rimanga scritta nei documenti, non risuoni soltanto nei convegni, né si arresti tra le

maglie dei complicati progetti pastorali, ma s'incarni con forza, mediante scelte e gesti concreti, nella

vita della parrocchia.

Vale la pena anche graficamente evidenziare quanto la Conferenza Episcopale nel documento sulla

Pastorale della Salute, ricorda a proposito delle responsabilità pastorali della comunità cristiana di

fronte al mondo del dolore.

«È compito della comunità cristiana, da quella universale a quella particolare, prendere coscienza dei

problemi della società, della grazia e della responsabilità che riceve dal Signore nei riguardi degli

ammalati e della loro assistenza, offrendo a loro ogni aiuto e conforto dalla parola di Dio, ai

sacramenti e all'interessamento fraterno» (n. 24).

Il soggetto primario della pastorale sanitaria è l'intera comunità cristiana «È compito di ogni

cristiano impegnarsi nella diaconia della carità verso il malato e di contribuire attivamente alla

promozione dei valori cristiani nel mondo della salute» (n. 23.

Grazie a delle schede della Consulta Nazionale possiamo offrire alle nostre comunità contributi

concreti, sia per una riflessione, sia per consolidare le scelte operative già messe in atto, sia per

iniziarle, là dove ancora le comunità sono in attesa di proporle.

Il mosaico dalla sofferenza umana

il primo dato da conoscere, è quell'osservatorio della carità da mettere in atto nell'ambito della

parrocchia, per avere una mappa esatta della situazione, perché non capiti di sentir dire che nella

propria parrocchia non ci sono né persone disabili, né malati, solo perché qualcuno non si è

interessato di saperlo.

Avuto completo il quadro della situazione una parrocchia, il consiglio pastorale e gli organismi

preposti alla carità, potrebbero interrogarsi su che cosa fare, su come essere accanto a chi soffre. Le

cose da programmare sarebbero molte, ma penso si potreb be cominciare a dirne alcune a voce alta,

per dare concretezza all'accoglienza, alla condivisione, al pieno inserimento di questi fratelli e amici

nella nostra comunità. Perché non si dica più che sono i prediletti del Signore, se non lo sono anche

per noi, se non sono nel nostro cuore, se con noi in prima fila non ci sono mai. Non basta ricordarli

nelle preghiere se non diamo mai la possibilità di essere a Messa con noi.

La comunità cristiana, dunque, è accanto a chi soffre, a tutti questi amici che chiameremo per nome,

prima ancora che con il nome dell'handicap che li accompagna, con questi gesti concreti che deve

compiere:

• eliminazione delle barriere architettoniche e di quelle psicologiche;

• pieno inserimento nell'ambito della comunità parrocchiale, perché sia vinta almeno nella vita

ecclesiale quell'emarginazione che nel tessuto sociale resta una tra le più vistose smagliature;

• strutture pedagogiche che consentono un itinerario catechistico per i disabili, perché come

ogni figlio siano educati alla fede e iniziati alla vita sacramentale;

• offrire il dono della consolazione divina che nel sacramento dell'Unzione solleva il dolore e

recupera alla speranza;

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• discernimento per individuare doni e attitudini presenti nei malati, perché possano diventare

soggetti di azione pastorale nel cuore della parrocchia;

• sostegno e difesa dei loro diritti nell'ambito della realtà sociale, perché istituzioni pubbliche e

private assicurino un tenore di vita degno della loro condizione e ne valorizzino in attività di recupero

ogni possibilità, non ultima quella lavorativa.

La Giornata del Malato quest'anno dunque centra secondo le indicazioni della CEI la sua attenzione

sulla comunità cristiana, interrogando parroci, laici impegnati piccoli e grandi, giovani e anziani su

questa loro personale responsabilità. Si accorga qualcuno, anche senza tavole rotonde o proclami, che

nelle nostre parrocchie stare vicino a chi soffre significa spalancare le porte delle chiese, dei gruppi,

dei movimenti e delle associazioni e dare pieno compimento a quella vocazione cristiana, che anche

nei malati è principio e fondamento di speranza e di evangelizzazione.

Faccia pure ogni parrocchia le scelte pastorali che crede più opportune, ma non dimentichi che quelle

sul fronte della sofferenza sono obbligate, pena la sua sensibilità umana e la sua credibilità.

(1-2 1994)

È davanti a quella Grotta, che ognuno trova la sua grazia, sano o malato che sia, come la trovò Bernardetta inondata di luce dalla bianca

Signora.

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È sempre il cuore di una donna che meglio può entrare con la sua delicatezza materna nel mistero del dolore, come la Madonna entrò

in quello del Figlio.

IL PAPA AFFIDA IL DOLORE UMANO A "OGNI UOMO DI BUONA VOLONTÀ"

ono passati pochi giorni dalla pubblicazione del messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata

Mondiale del Malato, e vorremmo che non restasse nascosto tra le pagine di quei giornali che,

più o meno generosamente, gli hanno dato spazio. Ci auguriamo invece, che già sia sul tavolo di

quegli organismi ecclesiali e civili che presiedono a questo servizio della malattia, solleciti a proporre

precise scelte di sostegno e di promozione.

Credo che la giornata da celebrarsi debba essere preparata a lungo come suggerisce il sussidio

pubblicato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari quando afferma: «Di

organizzare nei tre mesi che precedono la celebrazione, un incontro di riflessione e di preghiera

mensile per tutti».

Ecco dunque il messaggio del Santo Padre che, aprendo lo sguardo sul «grande mistero del dolore e

della malattia», chiama in causa «ogni uomo di buona volontà», perché si apra alla comprensione di

questa inevitabile condizione umana. Vorrei del messaggio del papa cogliere per il momento questa

sua peculiare indicazione, che mira tra i destinatati a mettere in prima fila «ogni uomo di buona

volontà», depositario sia del germe del dolore, come di quell'istintivo sentimento che desidera velarlo

di intima riservatezza e di comprenderlo negli altri.

È ancora l'attenzione per l'uomo e la fiducia in lui che il Papa evidenzia appellandosi alla sensibilità

umana dei più, ce lo auguriamo, che siano i più, perché con i suoi occhi di pastore e con il suo cuore di

padre, anch'essi sappiano sentire tutta la compassione che in questi tempi «di angoscia e di miseria»

suscita lo scenario del mondo.

Basterebbero le immagini televisive che portano dentro le nostre case lo spettro della fame, della

miseria, della morte, sperando che anche ad esse non ci siamo già abituati o tanto peggio abbiamo

girato canale, senza sentire vibrare nel cuore il pianto accorato dei bambini che chiedono pane e non

c'è chi lo spezzi loro, chiedono acqua e non c'è chi la versi.

Dove sono gli uomini di buona volontà? Che volto hanno, che udito hanno, se ancora il grido dei

poveri, il lamento dei malati, il pianto accorato dei bambini, rimangono inascoltati?

Ipnotizzati dalla cultura del piacere, prevale ancora tra gli uomini quella vigliaccheria che li porta a

disperare di fronte al proprio dolore e a passare indifferenti davanti a quello degli altri.

Così il dolore si perde tra le pieghe di una società gaudente, che tenta a tutti i costi di nascondere la

realtà, togliendo all'uomo stesso una parte della sua umanità e impoverendone lo spirito.

S

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Non mancano i luoghi che accolgono il dolore, ma mancano quelle condizioni che dovrebbero

presidiare di affetto, oltre che di cure sanitarie, chi porta il peso di un'infermità, il dramma di una

malattia, la precarietà dell'avanzata anzianità.

Questo messaggio è rivolto agli uomini di buona volontà, posti sugli spalti della vita sociale, perché

tolgano al dolore umano il velo della vergogna che lo tiene nascosto e lo restituiscano pienamente alla

considerazione:

• della cultura, perché ne riproponga quei valori che hanno segnato la storia del'uomo di

solidarietà e di pace;

• dell'economia, perché «La gestione del pubblico denaro, serva per assicurare a quanti ne

abbisognano la prevenzione della malattia e l'assistenza nell'infermità»;

• della famiglia, perché sia la prima garante di quell'accoglienza e di quell'amore di cui ha

bisogno ogni uomo che soffre;

• della scuola, perché trovi in esso la migliore lezione da offrire alle

giovani generazioni e la più efficace pedagogia per ogni autentica crescita umana;

• dei mass-media, perché non se ne servano per far notizia, mettendone a nudo il dramma che lo

avvolge, ma circondandolo di riservatezza, sappiano muovere le coscienze alla solidarietà e alla

comprensione.

Siamo testimoni che gli uomini di buona volontà ce ne sono moltissimi e proprio in questi giorni si

sono dati appuntamento in Vaticano, convocati dal Pontificio Consiglio della Pastorale per gli

operatori sanitari, per affrontare il problema «dei disabili nella società».

«Questa conferenza internazionale - ha affermato il Cardinale Angelini - vuole fare il punto sulla

condizione dei disabili nella società di oggi e ribadire l'impegno della Chiesa, sia diretto sia di sostegno

a quanti operano nel servizio dei disabili, perché dalla loro esistenza sia cancellata ogni forma di

emarginazione e, insieme ci si adoperi in tutti i campi e a tutti i livelli interessati, per una migliore

assistenza sanitaria, per il loro reinserimento sociale, per la valorizzazione umana e spirituale delle

loro capacità e potenzialità».

Nell'aula Paolo VI più di ottomila persone hanno sostato in riflessione sul dolore umano nascosto

dietro la complessa morfologia dell'handicap. Tantissimi, dunque, gli uomini di buona volontà:

scienziati, ricercatori, sociologi, psicologi, medici, giuristi, teologi, moralisti, uomini di governo e con

essi molti disabili, non solo protagonisti del dolore, ma impegnati in prima persona a promuovere

insieme sul piano della cooperazione internazionale, un'azione più concreta e immediata.

Ecco la consolante realtà di una nuova cultura che si affaccia all'orizzonte di questo tramonto di

secolo, la cultura «dell'umano» che proprio dalla malattia trova l'occasione, come dice ancora il Papa:

«Per far nascere opere di amore, per trasformare tutta la civiltà umana in civiltà dell'amore».

A tutti gli uomini, perché tutti diventino «di buona volontà» gi unga il messaggio del Papa, giunga la

materna sollecitudine de Chiesa, giunga l'eco misteriosa del dolore perché in esso ognuno ritrovi la sua

umanità, ne sappia adorare il mistero prima ancora che curarne le piaghe, infonderne quell'amore che

Lui, l'Uomo dolori, il Crocifisso, vuol affidare a ogni uomo che soffre.

(11-12 1992)

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Pellegrina anche lei, unisce la sua voce al coro di preghiere che inonda l' Esplanade, mentre un sussulto di fede sostiene la sua fragile

vita.

È nel girotondo di questi bambini e giovani che ritroviamo la gioia della vita, solo perché unico è il passo, quello dell'Amore.

INSIEME CON I DISABILI PER UNA FORMAZIONE MORALE SENZA SCONTI

n Convegno di vasto interesse e di inedite proposte viene offerto sulla «formazione morale dei

disabili» da parte dell'Ufficio Catechistico Nazionale in quell'ambito specifico della catechesi

nell'area dell'handicap. Tre giorni ricchi di emozioni (Chianciano, 22 — 24 Marzo 1996), di

sollecitazione, di prospettive, animati dall'amore grande per il dono fragile dei nostri disabili che

vogliono essere la compagnia delle famiglie, dei catechisti, degli educatori, della comunità cristiana,

nella fede e nell'obbedienza gioiosa alla verità del Vangelo.

La presenza significativa e qualificata di alcuni non udenti, di alcuni non vedenti e di qualche amica

in carrozzella, ha coinvolto pienamente l'Assemblea aiutata da loro stessi a entrare più da vi-chic)

nella realtà della disabilità e a percepire dietro lo schermo del loro handicap quell'inesauribile

ricchezza umana che segna il passo alla riflessione, alla considerazione del essere e non del fare.

Gli occhi luminosi e così eloquenti dei non udenti, dei loro gesti, la sorprendente e instancabile azione

delle loro interpreti hanno catalizzato la nostra attenzione, aiutandoci a cogliere nella parola espressa

U

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dai gesti e dai simboli tutto lo spessore dei suoi contenuti. La lettura scandita e sicura dei non

vedenti, ha testimoniato la grande possibilità di percorrere gli itinerari della formazione morale,

partendo dal loro vissuto, come dal limite per raggiungere la pienezza della maturità.

Alle interessanti relazioni sulla persona disabile e la verità morale sono seguiti i gruppi di studio

costituitisi in cinque commissioni differenziate per aree di disabilità, per meglio individuare nella

complessa morfologia dell'handicap possibilità, limiti, esigenze e reazioni.

Area motoria

Una disabilità fisica che permette di vivere in pienezza di coscienza l'esperienza cristiana, con la

possibilità di assumere nell'interno della comunità ruoli precisi di servizio, di animazione, di

catechesi.

Area dei sensoriali non udenti

Il sordo è stato definito «un uomo degli occhi», il suo canale comunicativo infatti non è l'udito che è

«impedito», bensì la vista, Che cosa percepisce oggi egli della realtà sociale del comportamento

comunemente accettato della verità etica dei media? Si tratta, come ha suggerito il gruppo di studio

nell'offrire un cammino di formazione, di evitare un pericolosissimo errore, quello di dire «Tu devi

essere come gli altri», piuttosto che dire «Tu devi essere te stesso», questa è la condizione esistenziale

per il non udente, perché non si preoccupi soltanto di parlare bene, ma soprattutto «di vivere bene».

Per un pieno inserimento nella comunità cristiana, il gruppo auspica l'adozione e la uniformazione dei

«segni religiosi per la comunità italiana dei sordi». Come accoglierli nei nostri pellegrinaggi?

L'area sensoriale dei non vedenti

La disabilità visiva riduce la possibilità della comunicazione e incide sulla comprensione di sé, ma il

non vedente recupera in vari modi il canale comunicativo con la realtà.

Il suo cammino di formazione morale fatto all'interno della comunità, gli consenta di valutare i

diversi stati di vita, matrimonio, vita consacrata, pur consapevole delle difficoltà che possono

frapporsi, considerando anche la situazione socio-culturale del tempo presente.

Il suo ruolo nella comunità si evidenzi in gesti concreti di accoglienza e di discernimento por carismi e

attitudini proprie di ogni persona.

Area della disabilità intellettiva

Si è affermato che il disabile intellettivo, anche in gravi condizioni, è capace di intuizioni, di

coscienza, è in grado di capire il suo valore di persona, la sua dignità e la sua sacralità. Perché ciò

diventi certezza in lui, ha bisogno di sentire, di sperimentare questa verità nella sua vita affettiva e

relazionale.

La comunità cristiana attivando energie, competenze e collaborazioni, servizi e mezzi per la

formazione umana e affettiva di queste persone, deve scoprire nei loro limiti il dono di grazia che si

nasconde, e la rivelazione se pur misteriosa della tenerezza divina, che si manifesta nel silenzio e nella

contemplazione del volto di questi suoi «piccoli».

Area della disabilità psico-mentale

Il gruppo si è sforzato di entrare nel vivo di questa disabilità che si evidenzia in tutto il suo dramma,

specialmente quando i suoi segnali si identificano con i disturbi di comportamento.

Vengono allora suggerite delle linee guida perché la comunità non si disorienti:

• dinànzi alle loro famiglie, non si può non mettersi in ginocchio;

• l'accoglienza della comunità sia fatta di spazi, di comprensione, di pazienza perché tutti ci si

educhi a comprendere che il loro disturbo di comportamento è il segno del loro essere e del loro

manifestarsi;

• si offra a essi una catechesi fatta di immagini, di musica, di canti, di simboli e disegni, di mimi,

e di liturgie particolari;

• creare una cultura della persona.

Queste sono alcune analisi proposte e sensibilità espresse da coloro che in prima persona vivono

questo rapporto privilegiato con i disabili. Alla loro fatica come al loro impegno umano e cristiano la

Chiesa italiana manifesta la sua gratitudine e la sua sollecitudine pastorale e ne dà testimonianza

Mons. Betori Direttore dell'Ufficio Catechistico Nazionale, che raccogliendo ogni attesa conclude i

lavori del Convegno, sottolineando i traguardi raggiunti nei quattro anni di lavoro svolto dal Gruppo

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di coordinamento, e la risposta avuta da molti Uffici Catechistici diocesani attivatisi in questo

servizio di catechesi ai disabili.

Un segno di speranza sono i giovani, che numerosi hanno partecipato al Convegno, coinvolti in prima

persona in questo itinerario di formazione morale.

L'orientamento di fondo, afferma Mons. Betori, che ha guidato questo Convegno è stato quello di

affidarsi alla verità di Dio, alla verità dell'amore, perché sia presentata in tutta la sua pienezza, senza

chiedere sconti anche per coloro che si trovano in situazioni di handicap. Verità morale, che consente

di scoprire la piena dignità della persona e la sua unica e irripetibile identità.

Solo il peccato è il vero e drammatico limite che oscura la dignità della persona, nessun altro limite la

può intaccare.

In questa prospettiva, egli suggerisce alcuni criteri per muoversi sui passi della formazione morale:

rispetto della dignità della persona nella sua diversità, il saper cogliere e legare insieme questo

apprezzamento della diversità con la comunità, mettendo insieme coralmente doni e limiti per

l'edificazione comune.

Da questo Convegno possono dedursi alcune istanze pastorali che Mons. Betori riassume così: una

Chiesa più ministeriale per promuovere l'educazione alla fede e alla morale in una circolarità di

esperienze, un'accoglienza e promozione delle capacità di tutti i disabili, anche attraverso i gesti più

semplici, un cammino da fare con le famiglie, trovare linguaggi di fede e di morale più simbolici e più

testimoniali. Infine, attendere alla formazione dei catechisti, dei seminaristi e dei genitori.

Il Convegno ha posto un'altra pietra in questo edificio dell'annuncio evangelico che si prende cura

degli ultimi e le prospettive all'orizzonte si allargano, perché l'itinerario iniziato con l'educazione alla

fede dei disabili e continuato con la loro formazione morale, non può, come dice ancora Mons. Betori,

che condurre alla celebrazione e alla partecipazione piena dei sacramenti. Nel caso dei nostri figli

disabili, i sacramenti diventano espressione di quell'inserimento concreto e vitale nella comunità

cristiana, e di quella più evidente appartenenza a Cristo che li ha scelti a essere per noi sacramento

della sua presenza.

Quali prospettive di servizio si aprono anche per l'Unitalsi!

(3-4 1996)

Nei suoi viaggi apostolici i malati erano sempre in prima fila: "sono la mia forza", fino a quando, segnato profondamente dalla malattia,

diventerà testimone della sofferenza vissuta con amore e per amore alla Chiesa.

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VARCANDO LE SOGLIE DELL'OSPEDALE

arcando le soglie dell'ospedale immancabilmente mi sento stringere il cuore, perché in nessun

altro ambito sociale è così espresso e visualizzato il dolore umano e così identificato nel nome

e nel volto di chi ne ha fortemente segnata la vita.

Non vorrei lasciar spazio soltanto all'emotività, quasi da voler in me e in quanti avranno occasione di

leggermi, suscitare un'istintiva commiserazione, ma aprire lo sguardo e il cuore «rivolgendo

l'attenzione - come dice il Papa - a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse forme: i malati

infatti sono l'espressione più frequente del soffrire umano» (Lettera Apostolica Fedeli Laici n. 531).

A essi, alla loro pregnante condizione di debolezza, al loro silenzio eloquente e carico di mistero,

vorremmo affidarci tutti noi, tanto sufficienti nelle nostre sicurezze, quanto precari nella nostra

salute' e depositari del germe del dolore, per tentare di comprendere questa inevitabile condizione

umana, perché nessuno osi penalizzarla, né ridurla a un puro destino avverso.

Penso allora all'immensa realtà sanitaria, alle sue complesse strutture, alle leggi che ne regolano le

attività, alle progettazioni di ieri e di oggi, alle rivendicazioni sindacali, alle inquietanti carenze

professionali, a quelle recettive come a quelle organizzative, alla scontata sfiducia popolare, il più

delle volte giustificata, altre volte gratuita, e mi sforzo di intravedere tra queste maglie burocratiche

e strutturali quali spazi umani vengono riservati al malato e al suo dolore.

Vorrei allora entrare magari in punta di piedi in questi templi del dolore umano, che sono gli ospedali

e più che andare dritto dritto in quel reparto, in quella singola cameretta a visitare qualche malato

che mi attende vorrei incontrare gli operatori sanitari, per intrattenermi con loro, anche se non

nascondo che mi mettono più soggezione loro che i pazienti, avvertendone tutta l'autorevolezza e il

fascino della professione.

Tutti ci portiamo dentro l'immagine di quel camice bianco, il più delle volte associato a qualche

sofferenza, accompagnata comunque sempre da trepidazione e paura.

Ora che la vita ci ha temprato con le sue prove, possiamo con animo sereno e distaccato entrare in

dialogo con questi uomini e donne, giovani e meno giovani, che per scelta cosciente, coraggiosa e

provocatoria, dedicano la loro professione a guarire le malattie.

Mi si consenta di fare una divagazione: rivedo davanti ai miei occhi una scena quasi emblematica,

quando nei momenti più solenni di fede che accompagna le folle in processione lungo l' esplanade di

Lourdes, è toccante vedere un gruppo di medici seguire il Santissimo Sacramento, mentre passa a

benedire i malati.

Si potrebbe dire che l'Augusta Persona, pur velata nella sua divinità e nella sua umanità, vuole vicino

a sé i medici, come un primario, che si gira verso di loro dicendo: «Cari colleghi, aiutatemi a curare

ogni sorta di malattia».

Potremmo dire che se fosse viva e pregnante di consapevolezza l'altissima opera di questi uomini e

donne, meglio identificati dal camice bianco, altra delicatezza potrebbe avere la loro mano, più forza

la loro umanità, meno sconcertante la loro professione. A questi operatori sanitari sono rivolti gli

occhi di tutti:

• dei pazienti perché impotenti di fronte alla malattia, non vedono altra salvezza che in essi;

• delle pubbliche istituzioni, perché consapevoli del ruolo sanitario desiderano far fronte alle

esigenze economiche e legali, senza purtroppo essere sensibili fino in fondo a queste priorità su altri

servizi da predispone per la comunità;

• della scienza medica, perché dai laboratori di ricerca giungano

nuove e confortanti indicazioni per individuare più precise diagnosi e per offrire terapie definitive e

risolutive;

• dei credenti che intendono far proprie con la celebrazione di una giornata consacrata non solo

ai malati, ma anche agli operatori sanitari queste incoraggianti parole pronunciate da Giovanni

Paolo II: «Per voi operatori sanitari chiamati alla più alta, meri-tevole ed esemplare testimonianza di

giustizia e di amore, questa giornata sia di rinnovato incitamento a proseguire nel vasto e delicato

servizio con generose aperture ai valori profondi della persona, al rispetto dell'umana dignità e alla

difesa della vita dallo sbocciare fino al suo naturale tramonto».

V

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Credo che in questo altissimo profilo che il Papa fa, sia contenuto tutto lo spessore umano che segna

la loro professione, la esalta e la gratifica, perché non sia mai definita e nemmeno pensata, «un lavoro

come un altro», pena non solo la banalizzazione del suo intrinseco e altissimo valore, ma anche la

delusione di chi intraprendendola, ne sarà fortemente provocato. Nessun altro se non il dolore

dell'uomo, la sua malattia, il suo desiderio di guarire a tutti i costi, impongono una qualificata

competenza, sempre e comunque accompagnata da quell'etica professionale, che nella classica

deontologia, trovava forse più in passato che nel presente, rigoroso rispetto, consapevole

comprensione e obblighi suffragati da una coscienza di verità e da vincoli umani e legali.

Lé molte problematiche che accompagnano la professione medica, le forti riserve sui valori della vita,

della salute, della stessa terapia, come la confusa coscienza etica, influenzata da punte avanzate di un

"libertarismo deontologico" e di un "liberalismo scientifico", possono offrire metodologie di

accoglienza, di conduzione, e di ambientazione diverse nelle stesse strutture sanitarie. Ma da alcuni

aspetti esistenziali della malattia, non si potrà mai prescindere per non mortificare fino

all'esasperazione e al rifiuto psicologico la collaborazione del paziente, prima fondamentale posologia

di ogni intervento terapeutico.

Ho appreso dai miei contatti con gli operatori sanitari che nella malattia è l'uomo che soffre e le cure

mediche come l'assistenza debbono fare attenzione a tutte le dimensioni della persona: fisica,

psicologica, sociale, spirituale e trascendente.

Ecco allora al di là del dolore e di qualsiasi patologia, c'è sempre l'uomo da non dimenticare mai, né

nella diagnosi, né nella terapia, pur ben identificata nella tanto contestata cartella clinica. Essa è

contrassegnata da un numero più che da un nome, foglio indispensabile di via per gli operatori

sanitari, testo quasi sacro per il paziente e per i familiari, mentre si tenta dall'una e dall'altra parte di

mitigare o interpretarne i contenuti. Così entriamo in quel tessuto umano ben più insondabile di

quello delle cellule, che ne costituiscono il meraviglioso corpo e se molto silenzio attorno è richiesto

per auscultare i battiti di un cuore, quanta più sensibilità per auscultare i suoi sospiri.

Questi uomini e donne sono impauriti dalla malattia, prostrati dal dolore, mortificati dalla

commiserazione dei più, avvolti da una forte sensazione di limite quasi provandone vergogna, come

se fosse una colpa o una diminuzione della dignità, lo star male. Essi hanno estremo bisogno di essere

protetti dal velo del pudore, che possiamo indicare con:

• il segreto professionale di tutti gli operatori sanitari, ai quali il paziente affida oltre che

l'intimità della sua coscienza, quella del corpo;

• la «pietas» che è il rispetto, la delicatezza, la finezza che devono accompagnare i gesti di chi si

china su un corpo debilitato e piagato, perché l'inevitabile umiliazione del paziente sia sempre

avvolta di tenerezza;

• la «pietas» che dovrebbe suscitare in chi la incarna quell' espressione felicissima di una suora,

che incontrata lungo la sua corsia con un «arnese» in mano, a chi le disse «che cosa ti tocca fare» lei

meravigliata rispose: "che cosa mi è concesso di fare";

• una «pietas» che deve tenere lontani quei mezzi di comunicazione sociale, che in nome di un

falso diritto di cronaca tentano di entrare a tutti i costi appropriandosi senza scrupoli di certi

drammi, per sbatterli in prima pagina, o sugli schermi televisivi, togliendo al dolore la sua intimità.

Che questi potenti mezzi servano piuttosto a promuovere una coscienza sanitaria, che se deve gridare

allo scandalo per i disservizi e le colpe dei singoli operatori, che porti a conoscenza con la stessa enfasi

i traguardi raggiunti da strutture sanitarie qualificate, professionalmente attrezzate, ben organizzate

e a misura dell'uomo che soffre. Se un medico, alla cui mamma inferma portavo ogni giorno la

comunione, mi diceva che per lei questo conforto era più che una flebo, ecco un'altra presenza nel

contesto fortemente umano dell'ospedale dove, le cure sanitarie si integrano con l'assistenza religiosa,

per sollevare il peso del dolore e aprire alla speranza. Anche questa attenzione da riservare ai pazienti

va iscritta a quelle norme terapeutiche da rispettare, perché nulla manchi di ciò che può avvolgere di

senso, di calore umano, di consolazione divina, la sofferenza che nasce dal più profondo dell'essere

umano.

Se con occhi umani, vanno accolti, curati e protetti, i malati, non sì può ignorare che con gli stessi

occhi vanno guardati, considerati e compresi gli operatori sanitari, nelle cui mani è affidata la salute e

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la malattia, la vita e la morte dell'uomo. Sia loro riconosciuta questa gravissima responsabilità, che si

sono assunti nell'esercizio della loro professione, ma sia considerato il limite umano che li accompagna

in questa misteriosa realtà dell'esistenza proiettata verso le frontiere dello spirito.

Se questo sarà il clima che si respirerà nelle nostre strutture sanitarie, non ci farà paura entrare in

esse, ma anche il tempo della malattia diventerà il tempo della grazia, perché avremo imparato a

essere più umani e più solidali.

E dovremmo ringraziare i medici se avranno conosciuto con la malattia i nostri nomi e i nostri volti.

(1-2 1995)

È nel camminare insieme che ognuno dona all'altro qualche cosa, come questi due scout e questi due amici disabili, che condividono la

straordinaria esperienza della carità.

DAI CONSENSI ALL'IMPEGNO

asti sono i consensi espressi a voce e per iscritto sul testo di catechesi «Verso quel Santuario

che è la Famiglia» pubblicato dall'Unitalsi per il 1994. Varrebbe la pena trascrivere quelli

fatti pervenire da molti vescovi che, plaudendo all'iniziativa, evidenziano l'importanza di

questo sussidio, che tenta di coniugare «famiglia e carità», perché siano dilatati gli spazi dell'

accoglienza, del dialogo, del sostegno, favorendo la solidarietà, come il servizio.

La proclamazione dell' Anno Internazionale della Famiglia, fatta da Giovanni Paolo II e la solenne

apertura che di esso ne fa il Cardinale Trujillo Lopez a Nazareth il 26 dicembre, sono per noi motivo

di incoraggiamento ad entrare nel vivo del nostro impegno di catechesi, a farne momenti intensi di

riflessione, a sensibilizzare attorno a noi altri, a rendere la nostra azione caritativa un valido sostengo

per tante famiglie in difficoltà.

Da alcuni incontri che già le Sezioni e le Sottosezioni hanno fatto, è stato espresso entusiasmo e

soddisfazione per il sussidio, perché di facile comprensione, attraente nella sua veste tipografica e

questo rende merito all'autore e alla Segreteria Generale dell'Unitalsi, che ne ha curato la

pubblicazione. Sia questa l'occasione per creare una coscienza nuova nell' attendere in modo

sistematico e permanente agli incontri di catechesi, che ogni singola formazione nella sua vita

associativa programma. Sia questo il momento per assumere piena responsabilità di quel ruolo

esistenziale che è l'essere sposo, sposa, madre, padre e figlio, perché gli sia ridato il primato e si rivesta

di quell' autorevolezza che nasce da una vera ed autentica vocazione.

Le piste catechistiche offerte dal testo per una comune riflessione non intendono di proposito

analizzare le problematiche sociali della famiglia, né le sue patologie e tanto meno tutte le casistiche

che ne accompagnano il cammino, ma si propone di mettere in risalto i valori di fondo che la

originano, il sacramento che la costituisce, la spiritualità che la pervade, il magistero della Chiesa che

V

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ne dovrebbe orientare scelte e progetti e i vincoli etici che possono contenere un'equilibrata e

trasparente condotta di vita.

Tentati di affrontare con l'immediatezza che ci è propria in questi tempi di esagerate e ripetitive

analisi sociologiche la realtà della famiglia, trascinati dall'unica preoccupazione di procedere a

diagnosi per altro non sempre obiettive e radicali, il testo ci propone di seguire la via del «Valore

Famiglia» in tutti i suoi aspetti, perché si comprenda quello che è il suo mistero, la sua insostituibile

ed inalienabile missione, per tentare di liberarla da quelle forze nascoste, che ne stanno disgregando il

suo stesso fondamento umano.

Giova per cogliere tutta la positività di questa metodologia annunciare appena i titoli che formano il

testo, per sentirsi rincuorati e per credere ancora con più forza a questo dono inestimabile della

famiglia, che non solo ha accolto e protetto la nostra vita, ma le ha permesso uno sviluppo sereno ed

equilibrato, fino alla pienezza della sua maturità.

«Un progetto che attraversa tutta la storia» è l'inizio di questo sguardo in filigrana dell'Amore di Dio

che fin dagli albori dell'umanità possiede il cuore dell'uomo e della donna, perché nell'unione casta e

feconda della loro vita, diventino l'immagine più viva ed esaltante della sua tenerezza divina.

«Come Maria. la donna in famiglia», un volto di donna, di sposa, di madre come Maria, perché sia

riempito di soave dolcezza il cuore dello sposo, dei figli

«sposi per amore, vergini per amore», perché nessun altro senso, nessun'altra giustificazione potrebbe

avere il donarsi,

«La famiglia in preghiera», perché la sacralità della vita come la santità dell'amore restino avvolti

dalla misteriosa presenza del divino.

«la famiglia in costante cammino di conversione», perché nella consapevolezza delle proprie

inadempienze e nella sincera ricerca del bene e di umane virtù, ci si edificasse reciprocamente.

«dalla mensa domestica a quella eucaristica» perché nel segno del pane ogni famiglia sappia

condividere le fede, la fatica ed i destini eterni.

«quando la malattia e l'infermità segnano la famiglia», non sia la desolazione a stringere i cuori, ma la

solidarietà di tanti fratelli ad aprire la strada della consolazione e della speranza.

«dalla famiglia l'educazione all'amore e al dono di sé», perché generati dalla gratuità di un amore

sconfinato, fossimo anche noi capaci di farci dono.

«la famiglia cuore della comunità cristiana», perché aprendo la porta della casa come del cuore, ci si

senta di appartenere a quella grande famiglia che ha Dio per Padre e la Chiesa per madre.

«la famiglia per una vita saggia, esemplare, autentica», perché non siano la stoltezza e le ipocrisie del

mondo a segnare di effimero la fragile e complessa crescita delle giovani generazioni.

Se i consensi ci allettano, più ancora ci alletterà sapere che un'appropriata catechesi può diventare

una scuola di vita familiare.

(11-12-1993)

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È nell'intimità della Santa Casa che possiamo affidare questi nostri amici e la loro sofferenza, perché la Vergine la trasformi in

consolazione. (Padre Corrado in preghiera con loro)

IL MISTERO DI QUELLA CASA

ll'approssimarsi del VII centenario del Santuario di Loreto Giovanni Paolo II ha indirizzato

una lettera all'Arcivescovo Mons. Macchi soffermandosi in familiare conversazione sulla

Santa Casa, che definisce «non solo una "reliquia", ma anche una preziosa "icona" concreta».

Per chi ha avuto la grazia di varcare spesso le soglie di questa «casa» percepisce quanto siano ispirate

le parole del Papa, che pellegrino tra i pellegrini, testimone anch'egli del fascino spirituale che da essa

promana, riconosce come «dalla fede e dalla devozione di generazioni di pellegrini, che con le loro

mani e con le loro ginocchia ne hanno modellato perfino le pietre», le stesse pareti sono state segnate

da un'impronta divina.

«Reliquia» dunque perché custodisce la grazia, la fede e le suppliche di quanti nei secoli sono passati

ritrovando «lo stupore, l'adorazione, il silenzio davanti al mistero di Dio» che si impregna di umanità.

«Reliquia» perché lì ha sostato il dolore umano, nascosto nella tenerezza innocente dei bambini,

espresso nella insofferenza dei giovani, o sopportato nella stanchezza e nella fragilità degli, anziani.

«Reliquia» perché lì ha trovato compiutezza la generosità di uomini e donne impegnate nel servire la

carità, nel consolare il dolore umano, nel raccogliere gli aneliti di prolungati sospiri umani spossati

dall'insistenza del male.

«Reliquia» infine, perché in essa la povertà trova la sua piena identificazione nella nudità delle pareti,

emblema della semplicità della vita, della spoliazione da ogni superflua e varia ricchezza umana,

perché si evidenzi la grandezza dello spirito.

Ma la Santa Casa soggiunge il Papa è anche una «preziosa» icona «segno attraverso il quale si opera

nella fede, una specie di contatto spirituale con il mistero».

«Icona» dunque che attualizza quell'arcano silenzio che solo può aprire l'animo del pellegrino,

soffocato dal frastuono di una vita assordante, alla contemplazione del divino, perché torni a vibrare

di tenerezza il suo cuore e di umanità la sua vita.

Quel canto che si fa parola di speranza e di consolazione sugli incomprensibili silenzi umani, carichi di

paure, di chiusure, di rifiuti e di incomunicabilità.

Quel canto che si fa ascolto della Parola e chiede di tacere dinanzi al mistero della vita, del dolore e

del morire, lasciando all'eloquenza della croce ogni possibile risposta.

Quel canto che si fa orante perché ogni supplica si trasformi in consolante certezza che, sempre Dio

ascolta i .suoi figli, rivelandosi nella tenerezza materna di Maria, la madre, la donna di casa, grembo

di grazia e di misericordia.

A

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La Santa Casa «icona» della «famiglia» che in essa trova il suo identikit L'amore sublime ed ineffabile

di Giuseppe e Maria, perché diventi negli sposi esperienza di vita, di donazione, di, rinnovato slancio,

disincarnato definitivamente dalla provvisorietà dei sentimenti e dall'istintiva fragilità, non

sufficiente a giustificare tradimenti ed infedeltà.

La Santa Casa «icona» di quell'amore filiale che in Gesù è stato venerazione, ascolto, fiducia ed

ubbidienza all'autorevole ed edificante presenza di Maria e Giuseppe, perché nessuna sufficienza,

inneggiante a presunti diritti, distolga dal vero amore i figli che si aprono alla vita, acuendo quei

conflitti generazionali, che turbano la convivenza familiare. A Loreto dunque «per attendere la

grazia» prima ancora che le «grazie» come afferma il Papa, a Loreto per entrare nella Casa

dell'amore, del silenzio, della povertà, della misericordia. Da Loreto per rientrare in un'altra «casa»

anch'essa «reliquia» perché custodisce la grazia del matrimonio, della sofferenza, della preghiera,

anch'essa «icona» perché l'amore sponsale diventa segno ed immagine dell'amore di Dio. Ciò tutti

impegna a far si, che il Santuario di Loreto come disse Papa Giovanni «possa essere come una finestra

aperta sul mondo, a richiamo di voci arcane annunzianti la santificazione delle anime, delle famiglie,

dei popoli» (Discorso a Loreto 11 ottobre 1962).

Il passaggio silenzioso ed orante di tanti nostri malati tra quelle sante mura, diventi uno speciale

sigillo di grazia a conferma di questi impegnativi auspici.

Un pellegrinaggio speciale è il treno dei bambini malati di Roma, voluto da Mons. Luigi Paoletti di venerata memoria. I bambini

riempiono la piazza di festa, la gente di commozione, chi li accompagna di affetto e di tenerezza.

VARCANDO LA SOGLIA DELLE LORO CASE

onsideriamo provvidenziale e particolarmente significativa la scelta che la Conferenza

Episcopale Italiana ha fatto di porre al centro dei lavori della sua annuale assemblea, una

prolungata e approfondita riflessione sulla Famiglia, chiedendo alle Commissioni regionali,

costituite da sacerdoti e laici che operano nel settore, di proiettare sul grande schermo della vita

ecclesiale italiana situazioni, esigenze, problematiche e carenze che segnano la complessa convivenza

familiare.

La sensibilità pastorale dei nostri Vescovi nei confronti della famiglia, evidenziata da più parti anche

da documenti magisteriali, credo che non sia frutto di una pura e semplice conoscenza sociologica e

giuridica dei fenomeni che lo attraversano, ma di una personale esperienza umana che li ha

sicuramente toccati, quando nellè loro visite pastorali, liberi da ogni ufficialità, varcando le soglie

C

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delle case, si sono incontrati con le famiglie segnate dalla malattia, stremate dalla complessa

morfologia dell'handicap.

Se hanno già risuonato nell'aula dei lavori, e risuoneranno con accentuata drammaticità, in una

lucida analisi, i mali che logorano il cammino familiare e i fallimenti, che ne hanno frantumato la

stabilità, altrettanto lucide saranno le scelte pastorali non solo da individuare, ma soprattutto da

realizzare, considerato che è più facile fare analisi, che compiere quei gesti profetici, di cui ha bisogno

ogni autentica e incisiva azione pastorale.

Un bilancio tuttavia viene fatto sull'operatività della pastorale familiare in Italia oggi, come ci

s'interroga sulla reale consistenza della trasmissione della fede in questo alveo così naturale e ottimale

che è il focolare domestico.

Sono venute fuori sottolineature con diverse e complesse indicazioni, tutte affidate a quel

discernimento dello Spirito, che non viene solo da una chiarezza teologica, ma da quella sollecitudine

per il «bonus animarum», che muove profondamente l'animo di chi sente e vive lo spirito del Buon

Pastore.

Tocca, dunque, ai Vescovi nella loro autorevolezza, non solo di maestri, ma di pastori e servi,

individuare i diversi aspetti e le esigenze della vita familiare, evidenziarne la priorità, illuminarne le

conflittualità, che contengono e accoglierne la fatica che comporta, comprenderne l'eroismo che a

volte richiede e avvolgerli di una grande misericordia.

Siamo però convinti che, nel loro impegno pastorale, non passerà sotto silenzio la dura realtà del

dolore, che accompagna la vita di famiglia, ed è per questo dolore come per il dramma che si consuma

in tante case, che Giovanni Paolo II nell'Esortazione apostolica "Familiaris consortio" fa appello alla

sollecitudine pastorale della Chiesa «perché l'apostolato della famiglia s'irradi con opere di carità

spirituali e materiali verso quelle famiglie, specialmente quelle più bisognose di aiuto e di sostegno,

verso i malati, gli anziani e gli handicappati» (n. 71).

Non ci sarà allora difficile sostenere fra gli aspetti prioritari questo del dolore e della malattia, che

balzano forti e provocatori davanti alla sensibilità umana ed evangelica dei Vescovi.

Aspetti che partono dai complessi risvolti genetici, alla psicologia della famiglia, ai suoi rapporti

pedagogici, agli aiuti spirituali che la Chiesa e le associazioni caritative possono dare.

Dolore e malattia che portano la famiglia a sperimentare da arte un forte senso della marginalità,

forse qualche volta provieniente anche dalle nostre inadempienze pastorali, dall'altra, se aiutata

acoprire tutta la ricchezza umana, la grazia e le attitudini nascoste sotto i panni dell'handicap. È

ancora il Magistero della caso della CEI nella nota “Pastorale della Salute” a indicare tra gli altri

obiettivi da perseguire nella sua azione promozionale quello di «aiutare la famiglia e i familiari a

vivere senza traumi e con spirito di fede la prova della malattia dei propri cari. Infatti, i familiari

hanno bisogno di sostegno per vivere, senza smarrirsi, il peso infausto della malattia di un loro

congiunto» (nn. 20-37). Come è vero che hanno bisogno di sostegno queste famiglie, più numerose di

quelle che possiamo immaginare, chiuse non solo nel loro dolore, ma in questi alveari delle nostre

città, dove l'anonimato è l'unica identità e l'indifferenza facile giustificazione di un esasperato

egoismo?

Le statistiche sull'entità del fenomeno non possono lasciarci tranquilli, come non possiamo tacere la

drammaticità fattasi volto, storia e edificante testimonianza nelle persone di papà e mamme, che

hanno fatto del loro figlio un perenne e sofferto atto di amore. È solo incontrando loro, conoscendo il

loro segreto coraggio, come la loro inesauribile pazienza, che si disarma la mia presunzione pastorale,

la mia immutabile prassi consolatoria e viene provocata 1' episodica quanto istintiva presenza umana

al loro fianco, senza renderci segno della consolazione divina, perché sia sollevato loro il peso e

rigenerato il nostro spirito. Sono dunque i volti di questi genitori, che dal loro eloquente silenzio

gridano aiuto, perché la Chiesa non solo elimini le barriere architettoniche, ma accolga nelle proprie

comunità per un cammino di fede, d'iniziazione cristiana e d'impegno ecclesiale i loro figli disabili.

Una Chiesa tutta ministeriale e in costante diaconia, potrà trovare nel cuore di queste famiglie lo

spazio più concreto della sua carità, segno della sua scelta preferenziale per gli ultimi.

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L'auspicato «osservatorio della carità», non resti un terminale di dati presente in ogni Curia, ma

spinga a conoscere, accogliere, valorizzare e integrare le famiglie con handicap in quel contesto

ecclesiale che nell'amore identifica il vero volto del Vangelo.

Giunga il loro appello, perché questo «dono fragile» che custodiscono nel loro grembo, provochi la

misericordia della Chiesa, la carità dei cristiani, la solidarietà di tutte le famiglie.

Assicuriamo ai nostri Vescovi che con il grido di aiuto sale anche dal cuore di queste famiglie

un'ardente preghiera alla Madre della Chiesa, perché sia l'icona della sua «pietà» a segnare il cammino

della nuova pastorale familiare.

(5-6 1993)

Dal palazzo apostolico, dove sono alloggiati i malati, due sorelle d'assistenza, pur restando in servizio nelle camere, cercano di

partecipare a quanto si svolge sotto il porticato o in piazza.

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Quale tenerezza avvolge quelle mani materne, perché la figlia si senta avvolta dallo stesso amore che l'ha portata in grembo, infinito

come quello della Madre di Dio.

SIA IL VELO DEL PUDORE A PROTEGGERE L'INTIMITÀ FAMILIARE

e all'ONU va dato il merito di aver promosso l'Anno Internazionale della Famiglia, a Giovanni

Paolo II va la gratitudine di aver riaffermato con ispirata autorevolezza gli inalterabili valori

che la generano e il vincolo indissolubile dell'amore, che la costituisce in unità.

Dietro l'incalzare di risoluzioni, di statistiche, di progetti, che rimbalzano sul tavolo dell'ONU o di

altri organismi internazionali, si nota un'unica preoccupazione, quella di guardare alla famiglia nelle

sue problematiche biologiche, demografiche ed economiche, perdendo di vista la dimensione naturale

e umana, che ogni potere costituito, come ogni società democraticamente organizzata, dovrebbero

tener presente.

D'altra parte alle diverse demoscopie può essere più facile quantificare certi fenomeni, che rilevare

situazioni di disagio morale o ancor di più, intravedere in esse le cause e coglierne i drammi interiori,

che possono logorare anche le famiglie più coscienti della loro responsabilità.

Fin troppo ormai conosciamo le tabelle che elaborano gli istituti di statistica, non ultimo il Centro

Studi Famiglia, rilevando un quadro preoccupante di situazioni che lo stesso Direttorio Pastorale

Familiare della CEI ha esplicitato, addebitandole «alle indubbie cause economiche e sociali, come ai

rapidi mutamente culturali», così determinanti nel rendere precaria la convivenza familiare.

L'allentamento dei vincoli etici e la mancanza del senso di responsabilità, hanno incrinato

l'indissolubilità e la fedeltà coniugale.

Il diritto assoluto alla propria libertà, ha chiuso al dialogo educativo creando conflitti a volte

insanabili tra genitori e figli. La dissolutezza dei costumi, il permissivismo morale, il femminismo

esasperato, hanno affievolito il senso della riservatezza, del pudore, della delicatezza affettiva, della

grazia femminile, violando l'intimità della vita coniugale e familiare. Principio quest'ultimo

sottoscritto dalla Carta dei Diritti della Famiglia, che la Chiesa intende difendere con una forte e

incisiva azione pastorale.

Sua figlia violentata? Possibile che almeno qualche giudice, rivestito di paternità oltre che di toga,

non sentisse un così forte disagio, tanto da intervenire, perché non venisse turbato in quel momento

lo sguardo fiducioso e amorevole tra genitori e figli, seduti attorno alla stessa mensa?

Sulla «intimità della vita coniugale e familiare» si stenda dunque il velo del pudore:

perché sia onorato e rispettato l'amore degli sposi, protetto e difeso quello dei figli;

perché la convivenza familiare non sia turbata da provocazioni indebite;

S

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perché chi si adopera nella sua azione sociale e pastorale ad aiutare le famiglie in disagio, lo faccia con

delicatezza e con il massimo della riservatezza;

Come dunque difendere e proteggere «l'intimità della vita coniugale e familiare» dall'assalto della

spudoratezza televisiva e dalla pornografia pubblica e privata, che senza scrupoli offrono nella

suggestione delle immagini, il massimo della meschinità e della bassezza, suscitando disagio nella

delicatezza di alcuni sposi e nella semplicità e innocenza dei figli, lasciando purtroppo

nell'indifferenza e nell'assuefazione altri?

Come lasciare che i mezzi di comunicazione sociale in nome del diritto di cronaca, tentino a tutti i

costi di entrare tra le pareti di una casa, appropriandosi senza scrupolo di certi drammi familiari, per

sbatterli in prima pagina o sugli schermi televisivi, calpestando i sentimenti più nobili, togliendo al

dolore umano quella «pietà» a cui ognuno ha diritto, umiliando ancor più di vergogna chi è offeso

nella sua dignità di figlio o di genitore, o prostrando ancora di più nella colpa, chi già si sente travolto

dal misfatto perpetrato. Questa forma di «sciacallaggio» giornalistico vuole essere giustificata, come

una denuncia necessaria da fare per salvare tante vittime dalle violenze familiari, che si consumano

nel segreto delle pareti domestiche. Possiamo rispondere che altri strumenti, che non siano quelli

dello «scandalo pubblico», ci sono per sollevare da questi pesi tante famiglie indifese, non ultimo

quello dell'autorità giudiziaria, a patto che non esponga al ludibrio di tutti, ciò che dovrebbe restare

tra le aule di un tribunale.

Come lasciar passare sotto silenzio la vergogna, che tutti avremmo dovuto provare davanti agli

schermi televisivi, quando inconsultamente è stato trasmesso l'umiliante confronto tra un padre e e

sua figlia violentata? Possibile che almeno qualche giudice, rivestito di paternità oltre che di toga,

non sentisse un così forte disagio, tanto da intervenire, perché non venisse turbato in quel momento

lo sguardo fiducioso e amorevole tra genitori e figli, seduti attorno alla stessa mensa?

Sulla “intimità della vita coniugale e familiare” si stenda dunque il velo del pudore:

perché sia onorato e rispettato l’amore degli sposi, protetto e difeso quello dei figli;

perché la convivenza familiare non sia turbata da provocazioni indebite;

perché chi si adopera nella sua azione sociale e pastorale ad aiutare le famiglie in disagio, lo faccia con

delicatezza e con il massimo della riservatezza;

perché ogni necessaria denuncia, salvi sempre la dignità della persona.

Come non ci si permette di entrare in una casa senza bussare, non si entri mai nell'intimità della vita

familiare, senza essere corredati di misericordia, di tanto rispetto, di un grande amore.

Queste mie riflessioni hanno trovato accoglienza anche tra le pagine dell'Osservatore Romano.

(7-8 1994)

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Emblematica questa foto di sposi che hanno voluto avere in prima fila come invitati di onore questi amici, testimoni qualificati di un

matrimonio senza i connotati dell'effimero.

L'AMORE OLTRE L'EFFIMERO

entisei luglio - Una giornata quasi canicolare, verso mezzogiorno, passando davanti al Duomo

di una grande città, vedo salire su di una carrozza trainata da due imponenti cavalli una

coppia di sposi usciti allora dalla celebrazione del matrimonio. Considero provvidenziale ed

anche sintomatica questa

scena che si apre davanti ai miei occhi, mentre sto dirigendomi a Canicattini Bagni dove, nel tardo

pomeriggio sono atteso per benedire le nozze di Antonio e Margaret, un barelliere ed una sorella di

assistenza dell'Unitalsi di Siracusa.

La cornice della festa è più che originale e ben lontana dalla sontuosità espressa nelle forme più

eccentriche e a volte piene di quell'effimero che impoverisce il sacramento e mortifica chi ne deve

presiedere il rito.

Non so quali invitati componevano quel matrimonio «di classe», so invece chi erano quelli di

Canicattini: gli amici in carrozzella temporaneamente in vacanza nella villa del Seminario, compagni

di viaggio di questi due giovani. L'amore nato in mezzo a loro, è cresciuto e maturato grazie a loro, ed

ora essi stessi sono testimoni di questo evento sacramentale e primi invitati a questa festa di nozze

per condividere insieme questo dono di amore, dopo aver condiviso un servizio di carità. Se l'amore

coniugale è un dono di Dio per la Chiesa e per la società, è giusto che sia accolto e sostenuto dalla

comunità, che ne deve fare un motivo di grazia ed una fonte di speranza.

Questi giovani sposi hanno voluto consacrare il loro amore a Dio davanti ad un'assemblea non di

curiosi o di euforici, come può qualche volta capitare, ma di gente pienamente compresa ed attenta

ad accogliere il Signore, che nel sacramento del matrimonio rivela ancora agli uomini il suo ineffabile

amore, fatto visibile e concreto nel volto e nel cuore di questi sposi, trasparenza di una tenerezza

quasi divina. La gioia e le sante emozioni vissute insieme nella liturgia, celebrata in un clima di

religioso e sacro silenzio, si sono prolungate per tutti nella cena conviviale, mentre gli sposi avrebbero

all' indomani iniziato il loro viaggio di nozze nel cuore di questa vacanza estiva, indossando insieme il

grembiule del servizio, più nobile e regale del loro abito nuziale, per continuare a far dono del loro

amore. Non penso di turbare la riservatezza e la semplicità di Antonio e Margaret, se i loro nomi

finiscono sulle colonne di un giornale, ma credo, al di là di un semplice istinto di pubblicità, far

risuonare una testimonianza così provocante ed una scelta così evangelica, perché anche ad altri sia

V

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possibile passare oltre l'effimero, per costruire un amore unico, indissolubile, inesauribile. L 'Unitalsi

raccogliendo con gioia nel grembo della sua vita associativa questa straordinaria testimonianza,

riafferma il valore del servizio, la sua pedagogia e la sua efficacia.

Servire per educarsi all' amore

Nel Convegno Nazionale tenuto a Loreto nel novembre '86 sul tema: «La donna protagonista

dell'apostolato unitalsiano», Mons. Plotti volle chiedere ad un gruppo di studio di riflettere su «il

servizio unitalsiano come educazione e preparazione alla famiglia». Ampia risonanza ebbe questa

ricerca e preziose furono le testimonianze di alcune coppie di fidanzati, tanto che crediamo opportuno

riproporle ai lettori, quale modesto contributo alla pastorale familiare di oggi. Le molteplici e lodevoli

iniziative che hanno dato vita ai Centri di preparazione al matrimonio ed ai Consultori familiari, sono

l'itinerario pedagogico che offre la Chiesa alle giovani generazioni che si affacciano alla vita, perché

vincendo la logica del libero amore e del disimpegno umano, si aprano con fiducia agli ideali

dell'amore cristiano, che nel matrimonio trova il massimo della sua sublimazione e del suo

compimento.

Perché questa azione pastorale abbia la sua efficacia in questo cammino così complesso della

preparazione al matrimonio, credo

che non possa essere esauriente fare soltanto scoprire alle coppie gli ambiti umani, psicologici, sociali

e religiosi del loro rapporto, ma sia necessario come dice la Farniliaris Consortio, citando il messaggio

del sinodo alle famiglie: «formare gli uomini all'amore e di praticare l'amore in ogni rapporto con gli

altri, cosicché la famiglia non si chiuda in se stessa, bensì rimanga aperta alla comunità, essendo

mossa dal senso della giustizia e della sollecitudine verso gli altri, nonché del dovere della propria

responsabilità verso la società intera» (n. 64).

La condivisione con «gli ultimi» apre ai grandi valori della vita, prepara i giovani a considerare il loro

futuro non come un'avventura, ma una scelta da fare, in prospettiva di un progetto divino. Il servizio

educa dunque a riscoprire il valore della vocazione alla famiglia, infatti affinando i sentimenti:

Nasce una delicatezza ed un rispetto nei rapporti con l'altro;

• Si sperimenta la gioia della gratuità del dono;

• Si percepisce l'essenza dell'amore che accoglie la persona amata;

• Si comprende il valore della fedeltà.

Questi atteggiamenti possono favorire il rapporto di coppia, chiamata a donarsi più che a possedersi,

in un cammino paziente di ricerca e di conquista di un amore, che nel matrimonio diventa segno

dell'amore stesso di Dio.

Servire per promuovere la cultura dell'accoglienza

Essersi trovati nello stesso cammino di coppia a chinarsi sulla sofferenza di un giovane a cui tutto è

proibito, o sull'amarezza di un anziano privato degli affetti più cari, spinge a promuovere nella

propria famiglia la cultura dell'accoglienza, la quale consente una riscoperta del sacramento e del

ministero coniugale, che nella donazione reciproca si rende disponibile ad accogliere la vita sempre e

nonostante tutto, a promuoverne lo sviluppo mediante un dialogo educativo, indispensabile per la

crescita umana e cristiana dei figli.

La donazione, il sacrificio, la preghiera, l'apertura agli ultimi, il servizio ad essi faranno della casa una

palestra di valori, un'offerta di nuovi ed autentici modelli di vita.

Servire per educarsi anche a soffrire e sperare

Quale ammirazione suscita vedere giovanissime coppie di sposi, impegnati a gestire in prima persona

la Casa Emmaus dell'Unitalsi di Firenze, che accoglie da giugno a settembre amici disabili per un

periodo di vacanza!

Come poi non rimanere pensosi dinnanzi ad una di queste coppie che ha condiviso con questi amici,

prima la gioia e la trepidazione dell'attesa del proprio figlio, poi la sofferenza di averlo tra le braccia

già segnato dalla malattia?

Questi sono i prodigi dell'amore sponsale, queste sono vicende umane cariche di mistero, come altresì

di tanta speranza, testimonianza anch'essa della solidarietà umana e cristiana.

(9-10-1989)

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È nella famiglia che deve risplendere l'amore, perché un figlio possa ritrovare in essa quello di Dio.

È in questa accorata supplica della madre e nello sguardo innocente di questo figlio, velato di sofferenza, che possiamo commuovere il

cuore di Dio, perché accolga la nostra preghiera.

VOLTO DI DONNA, CUORE DI MADRE, TENEREZZA DI AMORE

a Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il mistero delle donne e per ogni donna,

perciò che costituisce l'eterna misura della sua dignità femminile per "le grandi opere di Dio",

che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei per mezzo di lei» (Mulieris

dignitatem n. 31).

Parole forti e sorprendenti che Giovanni Paolo II riprende nella lettera scritta a tutte le donne del

mondo in concomitanza della IV Conferenza Mondiale sulla Donna che si terrà a Pechino nel

settembre prossimo. Un'altra felice e preziosa occasione che il Papa sottolinea per riaffermare la sua

L

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ammirazione e la sua piena considerazione per la donna nella sua altissima missione di sposa, di

madre, di delicatezza e di fascino.

Resta un mistero la sua vita, fragile nel fisico quanto forte e autorevole nello spirito, sublime nei

sentimenti quanto passionale e istintiva negli affetti, avvenente nel volto e nei tratti, quanto

provocatoria e seducente nella carne, ricca di grazia e di intuizioni, quanto capace di durezza e di

insensibilità, affascinata e intenerita dal figlio che porta in grembo, quanto irretita dal peso che lo

stesso può provocarle. Ineffabile presenza di amore e di tenerezza per ogni uomo a condizione che non

perda mai la sua dignità femminile, perché non prevalga ancora la prepotenza maschilista, né diventi

uno strumento nelle sue mani come nella cultura del piacere e dell'immagine, dove è più facile che

appaia la vistosità delle sue forme, più che la dolcezza del volto e la tenerezza del cuore.

Sentiamo tutti di dire il nostro grazie alla donna, perché nel suo grembo fummo ricamati, nel suo

amore materno siamo cresciuti, nella sua saggezza abbiamo raggiunto la pienezza della maturità, nel

suo anelito chiuderemo i nostri giorni.

Al di là di questa effusione di sentimenti, che possiamo manifestare, è necessario nella cultura odierna

per un verso femminista a oltranza, per l'altro ancora diffidente nell'offrire considerazione e spazi,

riscoprire il ruolo fondamentale della donna, la sua specifica missione, riaffermare la sua pari dignità

con l'uomo, rivalutare la sua maternità, considerare la sua emancipazione nella vita della società.

Nell'ambito della carità risplende più vero e più autentico il suo ruolo. Il suo servizio ai malati

attraverso le qualità tipiche della donna quali, la femminilità, l' oblatività, la gratuità, la tenerezza

materna, ha la forza di manifestare lo stesso amore di Dio per ogni dolore umano.

L'Unitalsi attraverso la sua azione caritativa ha offerto:

• una esperienza sorprendente di donazione a tante madri che al di là dei vincoli di sangue,

spesso così condizionati, hanno scoperto l'amore gratuito in tutta la sua forza e la sua potenzialità;

• la possibilità di riprendere coraggio e motivazione di vita a quelle donne in uno stato ancora

prematuro di vedovanza, indifese e avvilite;

• ha consentito alle donne nubili di esercitare la loro vocazione di dedizione — sperimentando

quella maternità spirituale che rende amabile la vita, realizza e completa;

• ha reso fecondo l'amore verginale di tante suore, chiamate ad avere il cuore di Maria e le mani

di Marta;

• ha reso gioiosa e significativa la vita di molte giovani, che al mito della bellezza così forte e

dominate in ogni loro aspirazione, ripropongono in quegli idilli così teneri di affetto, quando sono

vicine ai vecchietti, la bellezza interiore di ogni persona, che non può essere spenta dalle grinze di un

volto rugoso, né travisata da una estetica giovanile tanto affascinante

Si sono aperte le porte dell'Unitalsi ad accogliere anche quelle ragazze che hanno desiderato dare un

senso più pieno alla vita, indossando «l'abito della carità», piuttosto di quello che indossano ogni

giorno, anche se firmato da grandi nomi.

Indossata la divisa unitalsiana non la getteranno più, perché la sua firma non passerà di moda.

Se le donne in questo genere di servizio indossano una divisa bianca, non è per differenziarsi dalle

altre, quanto per esprimere il contesto in cui si inseriscono, che è quello della dimensione tutta

spirituale e per testimoniare che non sono i propri abiti con le singole chances, i propri titoli e prestigi

personali che possono spingere a servire, ma l'unico habitus, quello della fede, che inevitabilmente

dovrà sempre più motivare questa altissima scelta.

Alle donne unitalsiane, rivestite dunque di quella delicatezza femminile, a volte soffocata da esagerati

complessi, a volte velata da un accentuato femminismo provocato dalla pregiudiziale della

superiorità maschilista, affidiamo questa lettera perché in essa possano trovare conferma per la loro

dignità, chiarezza per la loro vocazione, spinta alla loro missione. A tutte quelle donne che

maggiormente portano il peso dell'umiliazione, alle mamme di quei bambini disabili, segnati dal

marchio di una vergogna che la società ha loro impresso, a quelle che portano l'handicap della

malattia, a quelle che sentono il disonore per la loro dignità offuscata, a quelle che vivono l'esperienza

di un amore rifiutato o travisato, a tutte «le donne perfette» e alle donne «deboli» vada, come dice

Giovanni Paolo II il grazie della Chiesa, perché: «con la tua femminilità arricchisci la comprensione

del mondo e contribuisci alla piena attività dei rapporti umani». Il grazie forte e sentito dell'Unitalsi,

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che nel servizio alla sofferenza da esse prestato, ha trovato altrettante «Maria» «in piedi sotto la

croce» accanto a ogni malato.

Il magistero del Papa sulla donna chiede:

• agli operatori pastorali una riconsiderazione più positiva e ottimista della donna circa la sua

diaconia nella Chiesa;

• alle donne un sereno e autentico confronto sulle loro personali responsabilità, perché

riscoprano il dono di Dio che è in loro.

Diventi la donna, in questo contesto sociale, segno di speranza e di una umanità nuova, che tutti

attendiamo e che il “Maria” la donna del “Sì”, troverà sempre il suo compimento.

(7-8-1995)