Nessuno torna a casa uguale a prima di partire. - La memoria ......E’ Arciprete della Basilica...
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Memoria e profezia, titolo di questa pubblicazione, pongono in evidenza due aspetti fondamentali dell'Unitalsi:
La memoria, richiama il carisma del pellegrinaggio, quello della sua azione caritativa e la sua visibilità nel cuore della Chiesa
e della società.
La profezia, annuncia i grandi valori della vita, primo fra tutti, quello della dignità della persona, che nei malati trova la sua
grandezza e in chi li serve la stessa carità di Cristo.
Il libro non è rivolto solo a coloro che appartengono all'Unitalsi, ma a chi desidera conoscere e approfondire il senso della carità,
fatto volto nell' esperienza di quanti servono la sofferenza.
Presentazione
Don Decio Cipolloni, nel suo ministero prima di vice assistente e poi di Assistente, ha attraversato un
periodo particolare della storia dell'Unitalsi in cui sono avvenuti cambiamenti profondi, sia del modo
di essere dell'Associazione, sia del modo di rapportarsi con il malato.
Già lo Statuto del 1980 imprimeva una svolta notevole ad una Associazione nata e sviluppatasi per i
pellegrinaggi a Lourdes ed ai Santuari mariani, definendola associazione di culto e di religione. stato
il primo passo per arrivare allo Statuto del 1997, approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana, che
riconosceva all'Unitalsi lo status di Associazione pubblica di fedeli.
Intanto andava maturando e si sviluppava un modo nuovo di rapportarsi con gli ammalati, che
veniva sintetizzato nell'art. 1 dello Statuto, in cui lo scopo dell'Associazione diventa quello di
incrementare la vita spirituale degli aderenti e di promuovere un'azione di evangelizzazione e di
apostolato verso e con le persone ammalate, disabili e in difficoltà, e l'espressione "per e con" vuole
indicare un rapporto di parità e reciprocità, che si esplicita nel diritto del malato e del disabile di
diventare socio effettivo, quindi non più fruitore passivo dei servizi associativi, ma parte attiva del
cammino.
Don Decio, con i suoi articoli su Fraternità, di cui era direttore responsabile, traccia un percorso che
copre proprio gli anni dal 1980 al 1997, lasciando intravvedere, e spesso marcando, il dibattito
interno e sviluppando le tematiche che erano oggetto di discussione appassionata tra i soci.
Ognuno di noi, che ha vissuto intensamente quegli anni, si ritrova negli articoli di don Decio, e tutti
coloro che sono entrati nell'associazione dopo il 1997 potranno capire meglio l'attuale conformazione
associativa ed il perché dell'impegno sul territorio.
Don Decio, in un pellegrinaggio nazionale a Lourdes che aveva come tema "la roccia", nell'omelia
invitò i pellegrini "a non fare come gli abitanti di Matera, che ornano le loro case con i sassi"
prendendo un abbaglio, perché solo qualche tempo dopo avrebbe conosciuto la realtà dei rioni detti
Sassi della città lucana, ma non è certamente un abbaglio dire che i suoi articoli su Fraternità sono
pietre miliari che hanno segnato il cammino dell'Associazione e determinato quelle scelte di
condivisione che hanno fatto sviluppare tutta una serie di progetti e di attività che oggi sono una
caratteristica marcata dell'Unitalsi.
Gli articoli di don Decio sono frutto di un servizio vissuto intensamente e la sua storia si innesta nei
quasi 110 anni di storia dell'Unitalsi, rendendola unica e nello stesso tempo simile a tutti coloro che in
questa Associazione si riconoscono mettendosi a disposizione degli altri per donare e ricevere con
gioia, nella consapevolezza che ciascuno è responsabile dell'Amore che riceve. Salvatore Pagliuca
Presidente Nazionale U.N.LT.A.L.S.I.
61 anni, avvocato,
appartenente alla Sezione Lucana,
sposato con 2 figlie,
guiderà l’Unitalsi fino al 2016
Prefazione
Ho incontrato Don Decio per la prima volta, durante un pellegrinaggio dell'Unitalsi. accaduto ormai
tanti anni fa, quando ero Parroco a Porto Santo Stefano e cercavo esperienze forti da proporre ai
giovani e agli adulti per farli uscire dalla mediocrità.
Ero andato a Lourdes con il primo gruppo di ammalati e volontari e fui testimone di un fatto che mi
colpì e mi edificò.
Durante il pellegrinaggio sentivo continuamente chiamare "Don Decio! Don Decio!".
Guardavo attorno e non riuscivo mai a vedere in faccia la persona pressata da continue chiamate e da
innumerevoli saluti: Don Decio, infatti, correva sèmpre e sembrava un torrente alpino, che lascia
salutari spruzzi d'acqua in tutte le direzioni.
Finalmente lo incontrai faccia a faccia. Aveva il volto sorridente e accogliente: quel volto che è la sua
caratteristica e, per tanti anni, è stato il volto stesso dell'accoglienza dell'Unitalsi.
Don Decio è un pezzo bello di storia dell'amore di Dio in mezzo a noi: lo dico con convinzione e
gratitudine. Una volta, visitando il Sermig a Torino, rimasi favorevolmente sorpreso osservando la
scritta collocata sulla porta della stanza di Ernesto Olivero. Diceva così: "Non bussare! Entra, perché
la porta è già aperta!".
Così è il cuore di Don Decio: e per questo è stato amato ed è ancora ricordato con affetto, con stima e
con nostalgia.
Questa serie di articoli che vengono raccolti e pubblicati sono la storia della sua anima al servizio
dell'Unitalsi; ma sono anche, nello stesso tempo, la storia del volontario unitalsiano degli ultimi
decenni: vengono affrontati problemi molteplici e scottanti e vengono offerte risposte serene, sapienti
e attuali.
Vale la pena non disperdere questa ricchezza.
Certamente, coloro che leggeranno queste pagine ricorderanno il lungo cammino dell'Associazione e
troveranno luce per vivere evangelicamente la meravigliosa esperienza unitalsiana. Angelo Card. Comastri
Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano E’ Arciprete della Basilica Papale Vaticana,
Presidente della Fabbrica di San Pietro e
Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano.
Durante il suo ministero di parroco a Porto S. Stefano (Gr) partecipava al pellegrinaggio dell'Unitalsi Toscana a Lourdes
con un gruppo di ammalati e di giovani,
per far vivere loro questa intensa esperienza di carità.
Il suo affetto e la sua vicinanza all'Unitalsi si sono rivelati pienamente quando,
Delegato Pontificio al Santuario di Loreto, accoglieva i treni malati
offrendo loro una testimonianza di grande spiritualità e di umanità..
I pellegrini che giungevano al Santuario si sentivano come a casa propria, accolti con piena disponibilità, non solo
dall'affetto, ma soprattutto dalla parola calda e suadente
del suo ministero episcopale.
L'Unitalsi gli è grata perché, pur nel suo complesso ministero di accoglienza,
quando giungono i malati a San Pietro, trovano sempre un posto e una benedizione speciale.
Introduzione
ccogliendo la proposta di un barelliere, fatta propria con entusiasmo dalla sezione Unitalsi
Marche, nella quale iniziai questa esperienza di grazia che segnò la mia vita, ho messo mano
al riordino degli editoriali pubblicati sulla rivista "Fraternità", quando ero direttore
responsabile e attendevo al ministero di Vice-Assistente prima e Assistente ecclesiastico nazionale
poi.
Erano riflessioni che offrivo all'Associazione nel suo difficile, ma felice, cammino ecclesiale. Erano gli
anni del nuovo Statuto e del riconoscimento giuridico, che collocava l'Associazione nell'alveo della
legalità davanti allo Stato e dell'ecclesialità davanti alla Chiesa, che la identificava come un'
associazione di culto, non solo per la promozione dei pellegrinaggi; ma anche per la formazione
spirituale dei suoi membri.
Memoria e profezia pongono in evidenza due aspetti fondamentali:
La memoria: richiama il carisma dell' Unitalsi, la sua missione e le sue altissime finalità che postulano
la fede ed una forte umanità nell'evangelizzare la sofferenza attraverso l'azione caritativa. Il mandato
di Cristo "Predicate il Vangelo e curate gli infermi", rende visibile la carità della Chiesa e come dice
Benedetto XVI nell'enciclica Spe Salvi: «Il luogo dell'agire e del soffrire diventa luogo di
approfondimento della speranza». Ideali questi né superati, né supposti, ma fondamentali per chi
vuol rendere efficace l'azione unitalsiana.
La profezia: annuncio dei grandi valori. Essa assume un nome: quello dei malati, segno sacramentale
della presenza di Cristo; quello di chi condivide con loro il patire nel segno del buon samaritano.
L'intento di questa pubblicazione non è dunque fare una memoria storica dei mille volti che hanno
segnato il cammino dell'Unitalsi in questi decenni, ma è quello di recuperare l'identità
dell'Associazione, il senso dell'appartenenza, in un rapporto privilegiato con la Chiesa, che sigilla la
sua azione caritativa; con la società, perché meglio comprenda il senso della dignità della vita, che
non passa mai per la sua efficienza, ma per l'impronta divina che ognuno porta in sé. Di proposito
non ho voluto far memoria di alcun nome di tutti coloro che hanno, con saggezza, lungimiranza e
sacrificio, speso le loro energie per consegnarci questa eccellente opera di carità. Altri porranno mano
a questa memoria storica, perché il nome di costoro resti in benedizione.
Ho desiderato corredare di foto il testo, perché esse, nel loro straordinario linguaggio, esprimono
ancor meglio il carisma dell'Unitalsi. Al fotografo Riccardo Guglielmin docente di fotografia e
fotografo esperto in comunicazione visiva applicata alla fotografia sociale, che per anni ha dato la sua
collaborazione all'Unitalsi e alla rivista "Fraternità", va il merito di aver offerto una lucida
testimonianza di fede e di umanità, cogliendo nei volti e nei gesti prima ancora che con l'obiettivo con
il cuore, la ricchezza che ogni persona esprime, sia nel dolore, sia nel servizio alla sofferenza. Per
questo il vasto repertorio delle foto qui pubblicate in maggioranza, porta il suo nome. Con lui altri
fotografi ci hanno offerto la realtà dei santuari, laddove si concentra con il dolore l'amore, con la
preghiera l'ardente fede dell'umanità.,
A
Con l'animo grato alla Chiesa che mi ha affidato il mandato di servire l'Associazione, e a tutti coloro
che mi hanno accolto, consegno alla forza dello Spirito Santo l'Unitalsi di oggi perché 1'
organizzazione non alteri la profezia, l'efficienza non sacrifichi l'efficacia della grazia.
Un grazie a tutti coloro che pur non facendo parte dell'Unitalsi mi leggeranno.
Sottolineiamo che la maggior parte delle foto di repertorio, non disponendo degli scatti originali, sono
state estratte dalla rivista "Fraternità". Don Decio Cipolloni
Decio Cipolloni, decimo figlio, nato a Cingoli (MC) nel 1940
nella Diocesi di Camerino-San Severino Marche, viene ordinato sacerdote 1'8 aprile 1967.
Svolge il ministero di parroco a Serra San Quirico (AN) e nella Basilica di San Venanzio a Camerino (MC)
Dal 1968 entra nel mondo unitalsiano, diventando
Vice Assistente prima e poi Assistente Ecclesiastico Nazionale (gennaio '85 - ottobre '96).
Rientrato in diocesi diviene responsabile della pastorale giovanile e collaboratore del settimanale diocesano "L'Appennino
Camerte", assumendone,
poi in qualità di giornalista-pubblicista la direzione dal 2003 al 2010.
Dal novembre del 2000 all'agosto del 2008 è
Assistente spirituale presso la facoltà di Medicina dell'Università Cattolica Sacro Cuore Policlinico Gemelli (Roma).
11 15 agosto del 2008, l'Arcivescovo di Loreto, Mons. Giovanni Tonucci, lo ha nominato Vicario Generale della Prelatura.
A sinistra stendardo nazionale Unitalsi - a destra il retro fatto dipingere nel novantesimo con l'immagine della madonna di Loreto per
sottolineare i due santuari scelti dall'Associazione per i suoi pellegrinaggi
L’UNITALSI, STRUTTURA PORTANTE PER IL CAMMINO DELLA CARITÀ
iamo consapevoli che l'azione dell'Unitalsi, pur senza merito, esprime la realtà della Chiesa nel
suo stesso esistere, come fatto di aggregazione intraecclesiale e, nel suo operare, come
componente concreta di quella comunità cristiana nella quale il mistero della comunione,
attraverso soprattutto un segno «quasi sacramentale» come sono i malati, s'incarna e si manifesta.
Sentiamo, infatti, sempre più come Associazione, l'urgenza di affondare l'aratro della carità nei solchi
della Chiesa italiana là dove magistero, pastorale e diaconia si coniugano per un valido annuncio del
Vangelo e per essere vero «sacramento di Cristo». Da anni l'Unitalsi si va interrogando su come
inserirsi sempre più nel cammino della Chiesa italiana, e in proposito fa testo un Convegno Nazionale
riservato proprio a questo tema.
In quell'assise, che ebbe come maestri autorevoli pastori, si riaffermò che l'Associazione: «Vuole
essere fermento e spazio educativo per i servizi ecclesiali che trovano nella Chiesa locale, in tutte le
sue articolazioni territoriali e organizzative, la loro autenticazione ed il loro rilancio».
Attingere dalla Parola e dal Magistero per discernere i segni dei tempi
Questa disponibilità e questa presenza di servizio richiedono anzitutto all'Unitalsi di attingere con
sempre maggiore diligenza e spirito di fede alla Parola di Dio, al Magistero del Papa e dei Vescovi,
quella luce e quella capacità di discernere «i segni dei tempi» sia: per temprare di chiarezza evangelica
e di limpidezza etica tutti gli operatori della misericordia, che chiamati dal Signore, vogliono
S
costituirsi servi della sofferenza; per rispondere agli interrogativi a volte paradossali del dolore e della
malattia, perché sia vinto dalla cultura dell'efficienza e del piacere il tentativo di demonizzazione,
così da evangelizzare ogni umana sofferenza.
Siamo consapevoli altresì di avere il carisma del pellegrinaggio, ispirato dalla Madonna di Lourdes.
L'esperienza del servizio ai malati è da riconoscere come un vero e proprio ministero nella sua
permanente azione di sostegno e di consolazione. L'Unitalsi è così entrata in gioco, con l'azione
pastorale della Chiesa, sul versante della carità in quel preciso cantiere «dove l'uomo sofferente è via
della Chiesa perché egli è anzitutto via di Cristo stesso» (Salvifici Doloris)
Nuova presenza, nuovo impegno
Azione pastorale per e Con i malati che, afferma l'Esortazione Apostolica «I Fedeli Laici», deve essere
rilanciata, così da «Sostenere e promuovere attenzione, vicinanza, presenza, ascolto, dialogo,
condivisione e aiuto concreto verso l'uomo messo a dura prova dalla malattia» (n. 53).
Umilmente, ma con fermezza, perché ce lo insegnano loro, i malati con i quali condividiamo molto del
nostro tempo, vorremmo a noi e a tutti gli operatori pastorali ricordare che sono richiesti una
presenza e un impegno diversi:
• per superare quella concezione consolatoria che può rasentare il pietismo;
• per rendere la presenza più promozionale che assistenziale;
• perché il linguaggio non sia più invitante alla rassegnazione, che ad una positiva accettazione;
• perché non si proponga solo il Cristo Crocifisso, ma anche il Cristo risorto;
perché nella catechesi e nella liturgia come nelle attività pastorali, la sofferenza sia posta al centro
della riflessione, come occa sione privilegiata di una autentica pedagogia sulla vita e sul mistero
cristiano. Mentre i nostri occhi sono puntati sugli anni novanta in attesa di avere dai nostri Vescovi
l'autorevole documento «Evangelizzazione e testimonianza della carità» per iniziare un nuovo e
impegnato cammino, vogliamo rassicurare i nostri Pastori che le numerose associazioni caritative,
così vive nel tessuto della vita ecclesiale italiana, possono essere valida premessa per promuovere una
vera cultura di carità.
La sofferenza apre all'umanità e alla carità
L'Unitalsi nella sua configurazione, sia giuridica che pastorale, ha grande respiro nazionale e al
contempo, così intimamente legata con le sue molteplici formazioni alle singole diocesi e parrocchie,
quasi da identificarsi con loro. Essa può diventare una struttura portante del cammino di carità che
la Chiesa italiana vuole inaugurare in questo ultimo scorcio di secolo.
A questo vogliamo prepararci, rendendoci sempre più disponibili a offrire spazi e tempi di respiro
caritativo in compagnia dei malati e degli ultimi, anzitutto:
• ai Vescovi e ai sacerdoti, perché possano continuamente donare la loro umanità, e perché sia
più facile coniugare la loro realtà di maestri e pastori con quella di servi;
• ai laici impegnati e ai movimenti, perché anch'essi si facciano compagni di viaggio di coloro
che soffrono;
• al popolo cristiano, perché non lasci sopraffatto il cuore dalle semplici emozioni spirituali, ma
lo apra alla delicatezza evangelica del buon samaritano;
• alla sufficiente società, con i suoi scompensi e le sue contrad-
dizioni, perché comprenda che la pace e la giustizia non possono
che passare per la via della misericordia e dell'amore cristiano.
Se poi queste prospettive risultano ardue per la portata dell'Unitalsi, ci si perdoni averle solo pensate,
senza nessun'altra pretesa che quella di dare un volto e un nome a quella carità che vorrà proclamare
il Vangelo della misericordia negli anni novanta.
Lo stupore di questo barelliere, capace di profonda tenerezza, trova nell'innocenza del bambino una grande luce per la sua giovinezza
IL VOLONTARIATO TRA SCELTA E VOCAZIONE
l fenomeno del volontariato - rileva una Nota Pastorale della salute nella Chiesa italiana, che
tanta affermazione ha avuto in questi anni nel nostro Paese, può essere considerato un vero e
proprio "segno dei tempi", indice di una presa di coscienza più profonda e viva della solidarietà
che lega reci-
procamente gli esseri umani» (n. 59).
Il suo campo d'azione si muove in una duplice dimensione: quella sociale e civile dove si evidenzia la
sensibilità dei cittadini a sostenere la gestione dei servizi, dando quel tocco umano alle Istituzioni,
perché non prevarichino sul diritto, né si limitino a esso; quella assistenziale nella vasta e variegata
morfologia dell'handicap, della tossicodipendenza e dell'anzianità, dando una concreta risposta, al
bisogno profondo di eliminare, attraverso l'incentivo della carità e della solidarietà ogni barriera tra
sani e malati.
Queste varie forme di volontariato che si esprimono in una molteplicità di servizi e opere, sono il
risultato di una forte spinta alla solidarietà, all'altruismo, suscitate da un'accentuata sensibilità
umana capace di muovere il cuore e la volontà a gesti di misericordia, di compassione, di aiuto
concreto.
Un volontariato con motivazioni diverse, ognuna legata a principi etici e spirituali propri; un
volontariato con efficacia diversa anche se finalizzato all'aiuto di un altro; un volontariato che pur
nella gratuità della prestazione, nella disponibilità verso gli ammalati e nello spirito di servizio, come
nel rispetto della professionalità, dovrà prevenire la tentazione di rivendicare diritti, di
strumentalizzare o di politicizzare l'operato, di richiedere qualche contropartita e soprattutto di
ridurre l'azione alla manovalanza.
La fede una luce sul volontariato
Come non invocare la fede in questa ardua impresa umanitaria per comprendere la sua originalità e
orientarne la sua azione? La Nota Pastorale sopracitata in merito dice che la «solidarietà umana
diviene più evidente e assume maggiore spessore in una visione di fede» (n. 60). E dalla fede, infatti,
che scaturisce il compito dei cristiani « ritrascrivendo - come dice Giovanni Paolo II nella lettera
"Fedeli laici" - la parabola evangelica del buon samaritano, rivelando e comunicando l'amore di
guarigione e di consolazione di Gesù Cristo» (n. 53).
Se poi inquadriamo questo compito nel contesto preciso del mandato apostolico «guarite gli infermi,
sanate i lebbrosi, gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date» (Mt 10,8) e nel comando
dell'amore che nella lavanda dei piedi assurge a stile inconfondibile di servizio, allora il volontariato
dovrebbe passare dalla sensibilità umana a quella evangelica, per dare questa impronta alla sua
opera, perché non sia più solo frutto di un'iniziativa propria, ma dono di un'ispirazione divina.
A questo proposito ancora la Nota Pastorale suggerisce alla comunità cristiana di: «aiutare a scoprire
ed educare vocazioni di servizio» (n. 62).
I
La premessa istituzionale allo statuto dell'Unitalsi, perché fosse ancora più chiaro il ruolo
dell'Associazione, ricorda che i suoi aderenti «nella fedeltà ai sacramenti del Battesimo, della Cresima
e dell'Eucaristia, riconoscono il fondamento della loro consacrazione all'apostolato e il loro carisma
nel servizio dei fratelli ammalati, per la crescita della comunità cristiana».
In questa ottica allora il volontariato nell'Unitalsi può essere solo un punto di partenza come spinta
iniziale alle opere della misericordia per arrivare a comprendere il carisma ministeriale che lo attende.
Infatti, l'arcivescovo mons. Plotti parlando del volontariato come scelta profonda e permanente, dice
che deve essere sempre più sviluppata una dimensione vocazionale, e confessando come sia riduttiva
la parola «volontariato» per il cristiano, perché non è un prodotto né della volontà, né di chi si vuole
donare, egli afferma: «non basta proporsi, ma bisogna spiritualmente accogliere una chiamata ed un
invito del Signore». L'azione pastorale che svolge l'Unitalsi non può, dunque, prescindere da questa
specifica ispirazione, che, se parte dal volontariato, diventa poi missione di servizio. Volontari per
scelta o per vocazione? Va dunque riscoperta questa vocazione al servizio, come un dono che il
Signore suscita perché nell'avvicinare i malati, a essi si porti il Vangelo delle beatitudini e con essi si
promuova la vita cristiana. Non vogliamo affidarci solo alla nostra buona volontà, così sollecita allo
spontaneismo, alla sensibilità umana, ma così incostante e in cerca di gratificazione, soddisfatti più
per la buona azione compiuta, che per quello che si è ricevuto.
Missione che non può essere suffragata da un istintivo volontarismo, ma da una prorompente spinta
interiore, più dono di Dio che forza della nostra natura umana. Volontari per dare qualche cosa di noi
stessi, o servi per portare Cristo che senza remore, ma per un atto sconfinato di fiducia, ci consegna i
suoi panni di buon Samaritano, perché continuiamo a versare come lui sulle ferite umane l'olio della
consolazione? L'Unitalsi propone ai suoi membri di essere docili allo Spirito e di rendersi disponibili
ad accogliere questo mandato per allestire nel mondo del dolore e dell'emarginazione il cantiere della
carità perché:
• curando e consolando si annuncia i l Vangelo della speranza;
• promuovendo la crescita umana e cristiana si opera la salvezza;
• difendendo la dignità e il valore della persona si restituisce un volto umano alla società.
«I volontari - dice ancora Giovanni Paolo II nella lettera "Fedeli laici" - sono chiamati ad essere
l'immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i malati e i sofferenti» (n. 53).
Vorremmo essere tutti insieme consapevoli di questa missione che investe la nostra vita, come lo era
per quella suora infermiera incontrata con un arnese di servizio in mano, nella corsia di un ospedale,
dal suo vescovo. Restando meravigliato per questo gesto le disse: «Sorella, che cosa le tocca fare!», e
lei di rimando rispose: «Che cosa mi è concesso di fare!». Stupiti anche noi per quello che «ci è
concesso di fare», ci adopereremo perché il nostro servizio sia:
• profezia di un amore che vince ogni paura;
• recupero della sensibilità evangelica;
• fecondità di opere;
• occasione per una rivisitazione silenziosa e orante del mistero della sofferenza che, nella
solidarietà, diventa presidio per ogni umana disperazione.
(3-4-1990)
Il peso degli anni, pur alleggerito dai meriti di una vita segnata dalla fatica, non toglie la voglia di salire ancora verso il Signore, che le
offre il sostegno in chi sa farsi prossimo
Oltre il gesto e la parola, l'espressione più alta dell'amore non può che passare per questo intenso e profondo raccoglimento, sublimato
dalla preghiera
VOLONTARI PER AMORE
a IV Giornata Mondiale del Malato trova sempre più una sua collocazione nel cuore della
Chiesa, così materna e sollecita verso il dolore dell'uomo e così preoccupata della solitudine
che l'avvolge, della paura che l'accompagna.
E su questo dolore, che si posa lo sguardo paterno e profondo del Papa Giovanni Paolo II, nel suo
messaggio per questa giornata, quando ci invita ad ascoltare «Il pianto di folle provate dalla
sofferenza; le vittime straziate dalla crudeltà della guerra; le vittime tuttora in atto, soprattutto i più
deboli, le madri, i bambini, gli anziani. Quanti sono i malati attanagliati dalla paura e dalla
disperazione?». A questo ampio scenario, fa da sfondo una società sempre più disorientata e incapace
ad arginare la violenza, a offrire strutture degne di accogliere i malati, i disagiati mentali e fisici, a
difendere i deboli.
A chi affidarsi?
Il Papa riconosce che «i lodevoli ed anche eroici sforzi di tanti operatori sanitari ed il crescente
apporto di personale volontario non bastano a coprire le concrete necessità». A questa preoccupante
situazione cerca di venire incontro la Chiesa italiana, che per la Giornata Mondiale del Malato
propone un tema di grande attualità: «Volontari: la sfida ad amare». É l'unica risposta che può essere
data alle suppliche del dolore umano. 'Perché una sfida ad amare? Perché le provocazioni nel tempo
presente, le atrocità della cattiveria umana, la massificazione delle coscienze hanno indurito il cuore
dell'uomo; il consumismo e la vita facile hanno fiaccato le volontà; i ritmi accelerati di una vita
confusa e stressante hanno reso incomprensibile il linguaggio, anonimo ogni volto, indifferente ogni
L
umana situazione. In questo contesto, il Papa nel suo messaggio «chiede al Signore di voler suscitare
in numero ancora patronali, molti i catechisti e gli animatori liturgici, molteplici i gruppi ecclesiali,
diversi i club sportivi, musicali o ricreativi. Si tratta dì sensibilizzarci per sensibilizzare.
La Giornata del Malato è stata promossa per questo. «Volontari, la sfida ad amare» susciti nel cuore
dei credenti un'inquietudine, quella di Cristo, che ricorderà fino alla fine dei tempi «Ero malato e mi
avere visitato».
(11-12-1985)
Mentre scrivi sul diario i tuoi pensieri, Dio nel libro della vita scrive le sue opere
Il pellegrinaggio visto nella sua espressione più semplice e più nascosta del viaggio in treno. E' lì dove non giungono gli sguardi dei più,
che si rivela tutta la ricchezza umana di chi serve con amore.
ELEZIONI NELL’UNITALSI: UNA SCELTA DI SERVIZIO
llo scadere del quinquennio, l'Unitalsi chiamata a rinnovare, mediante l'istituto delle elezioni,
gli organi direttivi in seno alle sue singole formazioni. Lo statuto affida all'assemblea dei soci
effettivi ospitalieri il compito di eleggere i propri responsabili he eserciterànno il mandato per
cinque anni. Un avvenimento questo quanto mai delicato e complesso, che non può prescindere da
quella visuale di fede e da un profondo senso di responsabilità, che sole possono orientare a scelte
oculate e obiettive per quanto possibile. Vorremmo illuminare questo evento riproponendo
l'esperienza della prima comunità cristiana, quando gli Apostoli, volendo provvedere al servizio delle
mense e all'assistenza delle vedove e degli orfani, convocarono l'assemblea dei cristiani dicendo:
«Cercare tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di saggezza, ai quali
A
affideremo questo incarico» (At 6,3). Pur non trattandosi nel nostro caso di una scelta come quella
indicata dagli Apostoli per affidare a quegli uomini il ministero diaconale, che nel sacramento
dell'ordine trova una sua specifica grazia, desideriamo però anche noi dare delle indicazioni e investire
i soci elettori di questa particolare responsabilità. Gli Assistenti Spirituali in un loro convegno vollero
lanciare un appello a proposito delle scadenze statutarie delle cariche sociali, raccomandando in una
specifica mozione «È necessaria una chiara coscientizzazione dei ruoli e degli obblighi dei soci, perché
vengano scelti con coraggio "responsabili" capaci, dinamici e testimoni di autentica fede cristiana,
tanto da incarnare il buon samaritano». Scegliere, dunque, uomini e donne sagge perché abbiano la
capacità di guidare, coordinare e promuovere la vita associativa dell'Unitalsi e possano rappresentare
l'opera, facendosi essi stessi modello di carità e di donazione per tutti gli aderenti. Il ruolo dunque di
Presidente e di Consigliere da eleggere e i ruoli di Vice Presidente, Tesoriere e Segretario da nominare
perché compongano i nuovi Consigli, non sono né un monopolio, né un'istituzione legata a qualcuno,
ma un mandato temporaneo e rinnovabile, secondo il carisma, che investe la coscienza di chi lo riceve
nell'ordine morale, spirituale e giuridico, diventando punto di riferimento e segno di unità per tutti gli
associati. Il benestare che l'Unitalsi richiede all'autorità ecclesiastica competente per i nuovi
Presidenti eletti, mentre ricorda agli elettori la responsabilità di individuare uomini e donne di
integerrima condotta cristiana e di piena comunione con la Chiesa, vorrebbe essere quasi un sigillo di
grazia e di benevolenza che viene dato a questo mandato, non più solo espressione di una volontà
democratica, ma di un servizio ecclesiale da sentire ed espletare come tale. Non possiamo nascondere
che l'istituto delle elezioni in un'opera così ecclesiale e così spirituale come l'Unitalsi non può che
richiedere sia una forte maturità democratica, sia una chiara presa di coscienza, perché gli elettori
siano capaci di valutare e scegliere al di là di ogni tentazione di personalismo fazione o pregiudizio, le
persone idonee, esclusivamente per il bene dell'Unitalsi. Evidenti difficoltà per situazioni concrete o
per limiti umani non devono turbare lo svolgimento di questo atto così importante. Gli strumenti che
lo statuto e il regolamento offrono, illuminati dallo Spirito che sempre deve vivificare la legge,
orientano con chiarezza gli attuali responsabili, perché nel rispetto delle norme, nella saggezza e
nell'obiettività, attendano con scrupolo a questo adempimento. Coscienti della responsabilità che
l'Unitalsi affida ai suoi soci elettori, tutti invochiamo il Signore con precisi e ripetuti momenti di
preghiera, perché il suo Spirito li illumini nelle scelte e dia saggezza, coraggio e umiltà a quanti
saranno chiamati a dirigere l'opera in questo nuovo quinquennio. Diversamente ci si ritroverebbe a
rinnovare gli organi direttivi di
qualche società sportiva o circolo culturale. Sentiamo di affidare questo momento che vive l'Unitalsi
alle preghiere, alle sofferenze e alla grande simpatia dei nostri malati, pietre nascoste e vero
fondamento di grazia e di luce della nostra opera. Gli elettori e gli eletti riconfermati o rinnovati,
continueranno con lo spirito di sempre a servire la sofferenza e a testimoniare così il proprio amore a
Cristo, alla Chiesa, all'Associazione.
(9-10-1995)
Giovanni paolo II si intrattiene con il personale dell'Unitalsi mentre ricorda loro l'amore che rivelano a nome della Chiesa nel servizio
alla sofferenza
IL RICONOSCIMENTO ECCLESIALE: PRIVILEGIO O MISSIONE?
iamo troppo abituati a guardare i gruppi, le associazioni, i movimenti e altre realtà ecclesiali in
un'ottica approssimativa lasciandoci prendere da facili simpatie o da pregiudizi, che ci chiudono
alla conoscenza, quando non addirittura al rispetto e all'accoglienza. Eppure ognuno ha il suo
carisma, la sua profezia, la sua missione, anche se velate dai condizionamenti umani e dalle vicende
che ne possono mortificare l'identità. Ripensare alla natura, al carisma e alle finalità di
un'associazione o movimento, significa ridare motivazione e forza alle scelte, all'azione, come altresì
verificare impegno, intenzioni e comportamenti, perché siano sempre trasparenza di altissimi ideali.
Ecco allora la riflessione sulla natura dell'Unitalsi, sulla sua costituzione, diremmo quasi fisiologica.
L'opera iniziata timidamente dalla debolezza di un malato si è talmente consolidata e diffusa da
essere oggi una realtà a dimensione nazionale. La vastità dell'operatività e la consistenza della sua
azione pastorale le hanno richiesto di assumere una veste giuridica sia davanti alla Chiesa come
davanti allo Stato. La nostra attenzione ora è posta sulla sua natura ecclesiale. Il 14 dicembre 1980 la
Presidenza della CEI, per mandato del Consiglio Permanente ha «riconosciuto l'Unitalsi come opera
ecclesiale avente finalità di culto, con la debita approvazione dello Statuto e la nomina dell'Assistente
Nazionale».
La forza di un riconoscimento.
Vorremmo insieme comprendere qual è stata la portata di questo
riconoscimento ecclesiale per rispondere in pieno alle attese della Chiesa e alle esigenze della
comunione e della missione.
Un'illuminazione in merito ci viene da una nota pastorale sui «criteri di ecclesialità» emanata nel
1981 dalla Commissione Episcopale per l'Apostolato dei Laici. In essa leggiamo che vi sono alcune
associazioni che «non si limitano a vivere e operare nel quadro della legittimità e della libertà, tutte
garantite dalla Chiesa, ma desiderano e chiedono all'autorità ecclesiastica una particolare ed esplicita
approvazione, che di solito si esprime con il termine "riconoscimento" e possono dirsi "associazioni
riconosciute". Per questo assumono uno speciale rilievo nell'organismo ecclesiale, perché il loro
rapporto con l'autorità pastorale si articola in modo più preciso ed impegnativo» (n. 18). L'Unitalsi
non poteva non chiedere questo particolare e esplicito riconoscimento alla CEI, essendo il suo servizio
ai malati, un mandato scaturito dal ministero apostolico che hanno ricevuto i Vescovi «di curare gli
infermi». La CEI ha tenuto sicuramente conto, nel concederle il riconoscimento, del suo impegno
primario espresso nella premessa istituzionale quando dice che «si fa collaboratrice nelle mani dei
Vescovi per assistere e curare gli infermi... modello di vita cristiana e di carita-tevole assistenza nelle
parrocchie e nelle diocesi, entro i limiti organizzativi approvati dai Vescovi». E da questa dichiarata
disponibilità alla Chiesa che l'Unitalsi ha dato finalmente alla sua azione caritativa quell'identità
ecclesiale, indispensabile per un efficace servizio alla sofferenza.
Il suo valore ecclesiale
Il riconoscimento è un atto ricco di valore ecclesiale che anche se non comporta una «identificazione»
tra l'Unitalsi e la Chiesa, tuttavia pur coinvolgendo tutta se stessa nelle proprie scelte, non si può
sottovalutare che in qualche modo essa esprime la realtà della Chiesa nel suo stesso esistere, sia come
«aggregazione» di uomini e donne cristiani, sia come espressione di una comunione che nel segno
«quasi sacramentale dei malati» s'incarna e si manifesta.
S
Al termine di ogni processione Eucaristica a Loreto, l'Arcivescovo Pasquale Macchi riservava un saluto personale ad ogni malato, in un
gesto paterno di grande umanità
Il suo valore spirituale
Il riconoscimento assicura a tutti gli aderenti:
• il valore spirituale dell'opera, il pellegrinaggio ne è l'espressione massima;
• la sua capacità d'incidenza, basti pensare all'aumento sorprendente di adesioni specialmente
tra il mondo giovanile;
• l'utilità per la credibilità che offre a ogni Chiesa che ne accoglie il servizio. Esso contiene
un'implicita «raccomandazione» fatta ai fedeli, perché se vogliono possono trovare nell'Associazione
una strada sicura per motivare la fede. È un valido aiuto per chi vuole impegnarsi in modo
permanente e organizzato al servizio della sofferenza.
È téstimonianza della promozione del laicato da parte della Chiesa che gli affida la responsabilità di
animare il mondo della malattia e di inserirsi pienamente nella sua attività pastorale. Infine il
riconoscimento ecclesiale nella sua rilevanza nazionale comporta un apprezzamento positivo di non
lieve entità per le Chiese locali, là dove l'Unitalsi già opera, e d'incoraggiamento là dove potrebbe
essere accolta per operare.
La responsabilità dell'Unitalsi
Il peso morale di questo riconoscimento che si estende a tutta la Chiesa italiana, chiede all'Unitalsi di
far convergere con il carisma del pellegrinaggio e il ministero del servizio, nelle scelte della Chiesa e
delle diocesi interessate, il proprio contributo di idee e di forze alla pastorale della sofferenza,
adoperandosi perché non solo siano conosciuti gli obiettivi, ma possano essere pienamente realizzati.
Non vogliamo considerare il riconoscimento ecclesiale un connotato giuridico che vuole metterci al
sicuro, o farci conquistare buone posizioni negli spazi ecclesiastici, quanto piuttosto sottolineare il
valore teologico e pastorale dell'Associazione. Riteniamo però che non bastano questi contenuti, che
per sua natura ha in sé l'Unitalsi, perché sia un'associazione ecclesiale, ma è necessario che il suo
cammino si inserisca pienamente nelle pieghe della vita ecclesiale delle diocesi e delle parrocchie, e
questo resta un ideale da perseguire. Un riconoscimento che interpella non solo l'Associazione nella
sua struttura e nelle sue scelte operative, ma i singoli soci, chiamati a intessere la loro vita di questa
«mentalità ecclesiale» perché vincano le tentazioni di un accentuato laicismo latente anche nei
cristiani più impegnati. L'ecclesialità non può che spingere a vivere la comunione e all'Unitalsi è dato
di sperimentare il prodigio in un modo così toccante e concreto specialmente nei momenti forti del
pellegrinaggio e nella comune esperienza del servizio. L'esigenza della comunione a cui l'Unitalsi vuol
tendere, non può che passare attraverso la disciplina ecclesiale, perché la sua ecclesialità non resti
virtuale, ma pastoralmente operativa. Oggi però sembra prevalere più la libera iniziativa negli
operatori che una comune norma pastorale di comportamento, per esprimere con più forza non solo la
comunione, ma per raggiungere con più efficacia la grazia della salvezza. L'adesione affettuosa al
magistero della Chiesa, il recupero della vita parrocchiale, una forte e costante catechesi,
promuoveranno un vero cammino di Chiesa. Affidandoci all'opera insostituibile dei sacerdoti, datici
dall'autorità ecclesiastica come Assistenti Spirituali saremo certi di non deludere la Chiesa, che ci ha
dato fiducia, e con la quale vogliamo. percorrere la stessa via, quella dell'«uomo» redento da Cristo.
Mi auguro che il dono dell'ecclesialità abbia la forza di suscitare un'accentuata esigenza di
interiorizzare e qualificare il servizio; una coscientizzazione della vita associativa, così pregnante di
attività e di iniziative, quanto così bisognosa costantemente di una forte tensione spirituale e
culturale.
Se poi ci è consentito per un momento di sognare, chi sa che un giorno l'Unitalsi non possa essere,
come l'Azione Cattolica, un'associazione «scelta in modo particolare dall'Autorità ecclesiastica» per
essere più «strettamente unita al suo ufficio apostolico», perché la Chiesa sia aiutata a essere più
visibilmente «icona del buon Samaritano» e come la Vergine Maria grembo materno di misericordia?
(5-6-1989)
Sono loro, gli assistenti ecclesiastici dell'Unitalsi a sigillare di grande l'azione caritativa dell'Associazione, perché svolga il suo mandato
di servizio alla sofferenza non a nome proprio, ma a nome e per conto della Chiesa.
L'ASSISTENTE ECCLESIASTICO: UN MINISTERO IN CONFLITTO?
l «riconoscimento» ecclesiale dell'Unitalsi ci spinge a porre in evidenza uno dei fondamentali
requisiti che lo determinano, quello della presenza del sacerdote in seno all'Associazione stessa.
La Nota Pastorale sui «Criteri di ecclesialità» infatti,
chiede che da parte dell'Associazione ci sia «l'impegno
a riconoscere la presenza e l'azione dei sacerdoti, nominati dal Vescovo, sentiti i responsabili della
stessa associazione "mandati" all'associazione come espressione visibile di piena comunione ecclesiale
e di positivo raccordo pastorale, oltre che come aiuto offerto dalla Chiesa per una più profonda e
completa formazione apostolica degli associati» (n. 20, B. c.).
Questo requisito trova pieno consenso nello statuto dell'Unitalsi che chiede all'autorità ecclesiastica
competente di nominare nelle diverse formazioni nazionale, sezionale e sottosezionale, su proposta dei
rispettivi Consigli, gli Assistenti Ecclesiastici, definiti dalla stessa premessa istituzionale «maestri di
spirito e segno della più completa fedeltà ai pastori ed al Papa».
Queste prospettive sono state messe a fuoco in un recente convegno nazionale per gli Assistenti
Ecclesiastici dell'Unitalsi. 1160 sacerdoti provenienti da tutte le regioni d'Italia hanno visibilmente
sottolineato la comune appartenenza a una Associazione nella quale cercano dì sostenere il cammino
di fede dei volontari e dei malati, fruendo da loro una carica umana e spirituale non facile a percepirsi
in altri servizi pastorali.
Mons. Plotti, mediando le indicazioni sancite dal Concilio per i sacerdoti animatori delle associazioni
laicali, ha riaffermato che l'Assistente Spirituale dell'Unitalsi «deve essere e fare il prete,
essere pastore, animatore, deve preparare il pellegrinaggio, deve spingere al coraggio».
Mansioni differenti: unico ministero
Il ruolo preciso ed essenziale, comprensivo delle più ovvie ragioni apostoliche, trova grandi ostacoli
nell'essere svolto, come richiede la stessa azione caritativa dell'Unitalsi, perché, se non mancano in
genere la disponibilità del cuore e le attitudini umane degli Assistenti, manca però il tempo, oberati
da altri impegni pastorali, considerati primari nel ministero sacerdotale, quali la parrocchia,
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l'insegnamento, gli uffici di Curia. Conciliare, dunque, le diverse esigenze pastorali è tanto più difficile
quando questo ministero non lo si fa rientrare a pieno titolo nel complesso delle realtà ecclesiali. Sono
molti oggi i sacerdoti impegnati nelle associazioni, nei movimenti e negli organismi pastorali delle
proprie diocesi. Se tornassimo a inquadrare il nostro ministero nell'ottica della Presbyterorum
Ordinis, allora potrebbero prendere più autorevolezza e considerazione i molteplici servizi che si
svolgono. «I presbiteri anche se si occupano di mansioni differenti, sempre esercitano un unico
ministero sacerdotale in favore degli uomini. Tutti i presbiteri hanno la missione'di contribuire a una
medesima opera, sia che esercitino il ministero parrocchiale o sopraparrocchiale, sia che si dedicano
alla ricerca dottrinale sia che svolgono altre opere d'apostolato o ordinate all'apostolato» (n. 8).
Prescindendo, dunque, dalle fatiche pastorali che assediano i giorni e le settimane e creano
indubbiamente conflitti nel dover dividere la propria disponibilità, la consapevolezza di esercitare lo
stesso ministero sacerdotale e di adempiere all'unico mandato del Vescovo, nelle diverse mansioni
affidate, non dovrà far sentire l'Assistente diviso in se stesso, né tanto meno colpevolizzato dall'una o
dall'altra realtà pastorale. Si adoperi invece ad educare sia la parrocchia, sia l'Associazione al senso
della Chiesa, perché né l'una, né l'altra si approprino o rivendichino la sua presenza, ma considerando
lo stesso cammino di fede, sappiano contempe rare le esigenze e accogliere in intensità il suo servizio
sacerdotale. Quanto sarebbe negativo se la comunità o lo stesso presbiterio considerassero alternativo
o addirittura alienante il servizio dato da un sacerdote o da un parroco a un'associazione?
Perché, dunque, l'opera dell'Assistente nella vita associativa, non sia un'azione privatizzante, né
riduttiva del suo ministero, ecco l'esigenza di non interrompere la tensione pastorale, ma anzi di
amplificarla nel contesto dell'intera Chiesa locale.
Rapporto privilegiato con il Vescovo
Consapevoli di essere mandati dal Vescovo all'Associazione, dobbiamo sentirci «molto vicini
collaboratori del Vescovo». Una collaborazione che non può ridursi a qualche episodico invito,
quanto piuttosto sia accogliendo le sue indicazioni pastorali, sia rendendolo partecipe delle attività e
del cammino spirituale dell'Associazione. Una collaborazione che consentirà al Vescovo di
sottolineare ancora con più evidenza la sua scelta preferenziale per i malati, avendo egli ricevuto,
come del resto ogni Vescovo, nell'ordinazione episcopale, il grembiule del servizio.
Rapporto con il presbiterio diocesano
Credo che non sia stato sottolineato abbastanza il rapporto che dovrebbe intercorrere tra l'Assistente
e il suo presbiterio diocesano, nella prospettiva di questo preciso mandato che non è un hobby
personale, né una delega in bianco «ma un servizio di non minore importanza di quello legato alla
parrocchia o agli uffici di Curia» anche i sacerdoti — dice il Concilio — che sono addetti a opere
superparrocchiali o superdiocesane, siccome esercitano preziose opere di apostolato, sono meritevoli
particolari attenzioni (Christus Dominus, n. 29). L'animazione spirituale in una associazione non può
che essere accolta dal Presbiterio diocesano come un servizio pastorale alla Chiesa locale e, quindi,
indirettamente un servizio alle singole parrocchie, alle quali si mettono a disposizione la ricchezza
spirituale e il carisma dell'Associazione.
Un mandato di grazia e di autorevolezza
L'aver accettato o l'accettare in futuro il mandato del Vescovo di fare l'Assistente dell'Unitalsi sia
ascritto anche questo a una grazia che giunge al nostro sacerdozio perché:
• si arricchisca di umanità;
• recuperi nel cammino con i laici animatori delle realtà terrene il suo originario carisma
apostolico «Nos vero ministerio verbi et orationi instantes erimus» (Noi invece ci dedicheremo alla
preghiera e al ministero della parola - At. 6,4);
• conosca il patire e il soffrire;
• si adorni della pazienza evangelica.
Senza nascondere la fatica che l'animazione pastorale porta con sé, l'Assistente entra
nell'Associazione con serenità, sapendo di trovare accoglienza e affetto da parte dei suoi diretti
collaboratori che ne hanno espresso già apprezzamento, proponendo al Vescovo la sua nomina. Nello
stesso tempo sa di avere la sua autorevolezza pastorale, che pur giocata nei meccanismi della
struttura, non dipenda da essa, né tanto meno ne fruisce forza, ma ricevutala dal Vescovo, che lo ha
costituito in questo ministero, la esercita, condividendone l'ansia e la fatica con i laici.
La carenza di sacerdoti, specialmente giovani e la ridotta disponibilità di quanti sono preposti ad
animare pastoralmente l'Associazione, possono scoraggiare i nostri buoni laici, che invocano con
insistenza questa guida spirituale, questa insostituibile missione sacerdotale.
La dinamica dell'azione caritativa che nell'Unitalsi assume il volto tipico della misericordia, dai
connotati più affascinanti, quali la serenità, la delicatezza, l'umanità, il coraggio, espresse dal malato
nel paradossale e al tempo stesso evangelico mistero della sua sofferenza, spingono l'Assistente a
imprimere un «sigillo» quasi «sacramentale» a quest'opera perché sia segno vivo di Cristo e della sua
Chiesa, madre di misericordia.
(1-2-1990)
Mons. Alessandro Plotti, arcivescovo di Pisa e Presidente nazionale dell'Unitalsi, consacra l'altare posto nella cappella del Salus,
ristrutturato e ampliato per una migliore e degna accoglienza dei malati
Il Cardinale Camillo Ruini Vicario Generale di Sua Santità e Presidente della C.E.I., che sempre ha seguito con attenzione il cammino
dell'Unitalsi, saluta i malati l'11 febbraio 1996 nella Basilica di San Pietro.
LA PARROCCHIA, SPAZIO ECCLESIALE DA CONQUISTARE O DA SERVIRE?
entre l'estate sta arrivando tra folate di caldo e acquazzoni, più viva e intensa si fa la
stagione dei pellegrinaggi che ha già in attivo 40 treni per Lourdes, 12 per Loreto e uno per
Fatima. In questo intreccio di partenze e di rientri, di ritardi e di attese, ecco segnato
l'itinerario di riflessioni che scandiscono il ritmo spirituale dei pellegrinaggi. Il tema pastorale «Con
Cristo pietre vive» vademecum di questi viaggi dello spirito, è proteso a far recuperare ai cristiani in
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forza del battesimo ricevuto, la responsabilità di promuovere la loro fede, di testimoniare il Vangelo e
di santificare il mondo e la sua storia.
Se vogliamo entrare nel vivo delle sollecitazioni offerte da un tema così affascinante, credo
provvidenziale per la nostra azione pastorale fermare l'attenzione su «la Chiesa edificio di Dio per gli
uomini». Verità che motiva e orienta ogni scelta di fede, sia personale che comunitaria.
È nella Chiesa, infatti, che si custodisce e si celebra Cristo, è dalla Chiesa che è arrivato a noi il
Vangelo, la sua grazia e nella Chiesa che si attualizza la sua presenza. Questa inaccessibile ricchezza
di grazia che la Chiesa custodisce «trova la espressione più immediata e visibile nella parrocchia; essa
è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case
dei suoi figli e delle sue figlie» (Fedeli Laici n. 26)
E proprio perché le nostre case, le nostre famiglie, come le nostre
sedi operative, sono tutte avvolte da questa presenza, vogliamo ora guardare con gli occhi della fede
la parrocchia, per ritrovare quel volto che esprime il mistero di Cristo presente e operante in essa.
Movimenti e associazioni per la chiesa locale
L'impegno dei cristiani nel partecipare alla vita della Chiesa mettendo in opera compiti e carismi
trova la sua primaria necessaria espressione nella Chiesa locale «Cercate di fare unità nei pensieri, nei
sentimenti, nelle iniziative intorno ai vostri parroci e con essi intorno al Vescovo che é il visibile
principio e fondamento di unità nella Chiesa particolare» (Giovanni Paolo II - 31 marzo 1984).
Superando le motivazioni umane che spesso pregiudicano la nostra stima e fiducia nelle parrocchie,
liberi da interpretazioni più legali che pastorali, vincendo la tentazione del campanile o quella di
un'evasione sistematica dalla vita parrocchiale, recuperiamo il desiderio di concretizzare la nostra
fede nella dimensione parrocchiale, luogo preciso di impegno, di testimonianza, di verifica e di
esercizio della propria missione. Il pericolo di un'autosufficienza spirituale e di estraniazione dalla
vita pastorale locale, cui i movimenti e le associazioni sono esposti, può superarsi se si vive la piena
comunione con i propri pastori.
La stagione spirituale che sta vivendo la Chiesa italiana attraverso i molteplici movimenti e
associazioni che permeano in modo efficace tutti i settori della sua vita, si annuncia come una nuova
primavera di evangelizzazione.
Se però guardiamo nel suo complesso la vita delle nostre parrocchie, abbiamo la sensazione che non
arrivi loro in pienezza questa ossigenazione spirituale, per ridare impulso e forza alla loro missione
pastorale. Se poi ci si avvicina alla parrocchia per promuovere un inserimento ci si ritrova spesso a
cercare spazi da occupare, più che servizi da offrire e qualche volta chiedendo anche di essere
«sponsorizzati». Le mete educative di associazioni e movimenti non possono che sollecitare in ogni
singolo aderente, un forte senso di Chiesa e un forte senso della sua parrocchia, luogo concre to della
sua testimonianza e confronto quotidiano della sua fede. L'Unitalsi, pur non avendo nella tradizione
una collocazione territoriale nella parrocchia, viene però a contatto con essa mentre svolge la sua
azione caritativa. Mons. Plotti, nostro Assistente, più volte ha richiamato la nostra responsabilità di
animatori della carità, interrogandoci su come educhiamo i nostri ammalati a essere in comunione
con i fratelli sani nelle comunità parrocchiali.
L'analisi e le prospettive del nostro impegno sollecitano alcune ovvie considerazioni perché l'Unitalsi
vuole aiutare i suoi ammalati e volontari a conoscere meglio e ad amare la vita di parrocchia, come
termine fondamentale di sussistenza spirituale. La vita parrocchiale ha le sue esigenze e i suoi ritmi, i
suoi appuntamenti, le sue mete pastorali che non saranno una scelta di campanile, di confini o di
proprietà sulle persone o sui loro carismi, quanto una comune esperienza della vita liturgica,
pastorale e caritativa a cui tutti dovrebbero fare riferimento.
Nella riflessione che Mons. Plotti fa sulla «Chiesa edificio di Dio per gli uomini», sottolinea che in
questo edificio devono trovare posto privilegiato i sofferenti e i poveri. Ecco l'opera dell'Unitalsi volta
a promuovere questo inserimento concreto e permanente dei malati nell'ambito della comunità
parrocchiale, perché sia vinta almeno nella vita ecclesiale quell'emarginazione che nel tessuto sociale
resta una tra le più vistose smagliature.
I malati nel cuore di ogni domenica
L'offerta del pellegrinaggio ai malati di una parrocchia, siano essi nelle rispettive famiglie, siano negli
istituti o case di cura, vuole essere un'occasione privilegiata per far recuperare loro pienamente il
senso di parrocchia e per aiutarli, se ci fosse bisogno, di ritrovare il loro posto nella comunità. Se é
vero, come afferma il Concilio, che il senso della comunità parrocchiale fiorisce soprattutto nella
celebrazione comunitaria della Messa domenicale, allora si comprende meglio l'amabile istanza di un
handicappato che diceva: «Quanto sarebbe bello se un fratello o una sorella si prendesse l'impegno di
portare un invalido alla Messa domenicale, perché
anche noi vorremmo avere la gioia di ritrovarci insieme agli altri per lodare e ringraziare il Signore!».
E che dire di tutti quei malati che la domenica vengono privati della comunione, solo perché a loro è
stato riservato il venerdì o un altro giorno?
Non potrebbero i ministri straordinari dell'Eucarestia partire dalla Messa domenicale per portare il
Signore a quanti sono restati a casa, accompagnando naturalmente questo gesto con un servizio di
carità reso prima e dopo quello dell'Eucarestia?
I Sacramenti doni della comunità
Come non privilegiare la parrocchia nell'amministrazione dei Sacramenti, nell'iniziazione cristiana,
evitando per quanto possibile Prime Comunione e Cresime dei ragazzi disabili nel pellegrinaggio,
perché non diventi anche questo un altro segno di emarginazione, pur comprendendo le situazioni di
disagio delle loro famiglie. Se esse li stanno inserendo nel contesto scolastico, perché non aiutarle a
inserire i figli in quello catechistico per un cammino comune con i loro coetanei, così da educarsi
insieme alla solidarietà, all'accoglienza e all'amore fraterno? Potranno essere molte le difficoltà sia
nelle strutture organizzative, come in quelle pedagogiche, ma non per questo si dovrà rinunciare a
quelle mete sacramentali custodite dalla fede della comunità cristiana, che vuole con amore offrirle ai
suoi figli per presidiare di affetto la loro crescita e la fragilità della loro condizione. A chi chiedere se
non alla parrocchia il sacramento dell'Unzione dei malati, perché nella fede della comunità si innalzi
la preghiera per coloro che saranno santificati e sollevati nella loro malattia dalla potenza dello
Spirito e dall'olio della consolazione e del servizio di una comunità che ne condivide dolore e
speranza?
Per una parrocchia più accogliente e fraterna
Un'azione pastorale dunque quella dell'Unitalsi che, pur senza pretese, vuole infondere nei suoi
volontari e nei suoi malati amore e venerazione per la parrocchia, perché sia aiutata a essere sempre
più amabile casa di famiglia, fraterna e accogliente, cuore dei nos tri paesi, oasi di pace delle nostre
città condensate di problemi e di anonimato, casa di Dio e degli uomini! Valga l'impegno dei gruppi
ecclesiali e delle associazioni a far recuperare in ciascuno dei loro membri il senso di un'appartenenza
gioiosa, costruttiva ed edificante alla propria parrocchia, che resta sempre il segno visibile della
Chiesa di Cristo.
(7-8-1989)
Non solo il dialogo e il reciproco ascolto, ma soprattutto la preghiera può affinare i sentimenti e rendere prezioso il rapporto tra chi è
segnato dalla sofferenza e chi è chiamato a condividerla.
LA DISCIPLRA ECCLESIALE CHIAVE CHE APRE ALLA CARITÀ
'atteso documento della Conferenza Episcopale Italiana su «Comunione, comunità e disciplina
ecclesiale» è arrivato quasi come a sigillare il discorso che i nostri Vescovi avevano iniziato nel
1981 parlando di «Comunione e Comunità», itinerario di riflessione e di impegno pastorale per
gli anni Ottanta. I documenti che si sono succeduti quali «Eucarestia, comunione e comunità»,
«Comunione e comunità missionaria» hanno scandito un ritmo forse troppo accelerato rispetto al
cammino difficile delle nostre comunità, ma nello stesso tempo hanno aperto gli orizzonti a quelle
mete pastorali a cui non eravamo né educati né preparati, dopo la pentecoste del Concilio Vaticano
II. E giusto riconoscere a conforto e incoraggiamento, l'autorevolezza magisteriale e pastorale dei
nostri Vescovi italiani che si è imposta all'ammirazione e alla stima delle Conferenze Episcopali di
altre nazioni. La chiarezza nel saper leggere i «segni» di questi nostri tempi così contraddittori e allo
stesso tempo così carichi di fermenti e di aspirazioni e l'intuizione pastorale nel saper individuare gli
itinerari da percorrere per una rievangelizzazione della società si compendiano ora in questo appello
che i Vescovi fanno, richiamando tutti i cristiani a ritrovare la loro unità di intenti e di azione in
quella comunione che passa attraverso la disciplina ecclesiale.
Senza lasciarci prendere dalla tentazione di accantonare dopo una sommaria lettura questo
documento, come potrebbe essere successo per quelli usciti in precedenza, credo necessario porre al
centro dei nostri riferimenti ecclesiali questa tela, sulla quale debbono essere intessute tutte le nostre
azioni pastorali.
L'Unitalsi, dal canto suo, come afferma il nostro Assistente Mons. Plotti nell'ultimo Convegno di
Loreto «Vuole essere strumento d'impegno pastorale ed ecclesiale dentro i problemi più scottanti e
più drammatici della società odierna».
Il cammino di carità in questo ambito così delicato della malattia e dell'handicap deve dunque
continuare a inserirsi nel filone di quella disciplina ecclesiale che si esprime nell'accoglienza delle
norme giuridiche e pastorali e nel senso più ampio in quelle morali che la Chiesa per mandato divino
propone ai suoi figli.
Questo atteggiamento obbedienziale alla Chiesa come punto di partenza e come orientamento è ben
messo in evidenza nella premessa istituzionale dello statuto dell'Unitalsi, là dove si afferma che
l'Associazione «Si fa collaboratrice nelle mani dei Vescovi per assistere e curare gli infermi, nello
spirito del Vangelo, in primo luogo con la formazione spirituale, morale ed ecclesiale dei suoi soci».
Come allora si può prescindere dalla comunione con la Chiesa e da un autentico feeling con il suo
magistero perché sia assicurata una formazione sostanziale e globale dei nostri soci?
L'autentica per le coscienze
Il documento al n. 43 ricorda che «La coscienza morale del cristiano vive, e si educa attraverso
l'ascolto della voce dello Spirito, che parla nel suo intimo e nello stesso tempo attraverso l'ascolto
della voce del medesimo Spirito, che parla nella Chiesa e si esprime nel magistero degli apostoli e dei
loro successori».
Quando poi la premessa al nostro statuto parla dei rapporti associativi, sottolinea che la «Comunione
fra gli scritti viene favorita dalla presenza degli Assistenti Ecclesiastici, nominati dai Vescovi, quali
maestri di spirito in segno della più completa fedeltà ai Pastori e soprattutto al Papa». Non
intenderemo mai prescindere dalla fedeltà ai pastori, consapevoli che la nostra missione di carità non
può che fondarsi sul mandato apostolico di curare gli infermi, affidato da Cristo ai Vescovi. Sappiamo
che i malati non sono nostri né tanto meno può essere nostra la proposta cristiana che vogliamo con
loro accogliere e realizzare.
La promozione e la difesa della loro vita per una autenticazione del loro carisma e della loro umanità
richiede a quanti lavorano in questo cantiere una chiarezza teologica perché ci si ispiri a quell'etica
cristiana che al di sopra di manipolazioni o di esaltazioni resta la via maestra per ogni autentico e
globale sviluppo dell'uomo. Nelle conclusioni del Convegno sulla Promozione della Vita Mons. Plotti,
rivolgendosi ai Vescovi così si esprimeva: «Si augura che i Pastori della Chiesa che è in Italia, tanto
attenta ai problemi della vita umana, le affidino con fiducia questo delicato compito, in armonia con
gli orientamenti e le scelte pastorali dell'intera Chiesa per fare delle Parrocchie centri vivi e
L
propositivi di un'efficace comunione nell'amore e nel servizio a tutti coloro che cercano ed esigono
qualità di vita più ispirate alla forza travolgente del Vangelo di Gesù Cristo».
Strumento di servizio pastorale
La disciplina ecclesiale è anche uno strumento per un cammino fraterno e pastoralmente valido tra
sacerdoti e laici.
Infatti «Il rapporto clero-laici afferma il documento soffre ancora, da una parte per le tracce di una
mentalità "clericale" dura a morire, dall'altra per il disimpegno o, all'opposto, lo spirito di
rivendicazione che finisce col misconoscere l'autentico mistero della comunione ecclesiale» (n. 62).
Considero provvidenziale l'aver sperimentato nella vita associativa dell'Unitalsi questo rapporto tra
laici e clero richiesto da una parte, perché laicale è il timbro dell'associazione, privilegiato dall'altra
perché vera palestra di collaborazione, di partecipazione e di corresponsabilità per la stessa missione
di carità.
Nella chiarezza dei ruoli, degli ambiti e delle competenze, laici e sacerdoti possono in questa
congiunzione di obiettivi esprimere ciascuno i loro carismi pur nella fatica di comporre le molteplici
esigenze richieste dalle finalità pastorali e al contempo stesso dalle possibilità tecnico-organizzative.
Chiamati a condurre questa ardua
impresa che pesa in egual misura sulle spàlle dei laici e dei sacerdoti, non nascondendo la comune
fatica di vincere quella tanto umana tentazione di invadere i campi, scambiare i ruoli o di non saper
attendere i tempi di maturazione dei singoli, l'Associazione desidera far risuonare nel tessuto della sua
complessa e diffusa vita associativa le esigenze della disciplina ecclesiale: perché tutti i soci si rendano
capaci di testimoniare nell'Associazione uno spirito comunionale forte e convinto; perché si rafforzi la
propria adesione affettuosa e cosciente al magistero della Chiesa, mediante un recupero di quella vita
parrocchiale, punto indispensabile di partenza e di costante confronto per qualsiasi esperienza
cristiana, portata avanti nei singoli movimenti o gruppi ecclesiali; perché le nostre opere abbiano un
unico timbro, quello ecclesiale.
Nella consapevolezza che la forte esperienza di servizio alla sofferenza può essere una vera palestra di
educazione per tanti uomini e donne, ci impegneremo a entrare sempre di più nell'edificio dell'amore,
adoperando quella indispensabile chiave della disciplina ecclesiale, capace di farci sperimentare la
pienezza della comunione e della verità.
(1-2 1989)
Non è tanto quello che doni, ma è quello che ricevi, da chi pur inchiodato in una carrozzella sa rivelarti la forza dell'amore che si
sprigiona dal suo cuore
E' nella formazione attraverso questi sussidi di catechesi che l'Unitalsi sostiene i suoi soci, perché là dove c'è la carità non manchi la
Parola di Dio, là dove c'è molta parola, non manchi la carità.
L’UNITALSI UNA «CORSIA PREFERENZIALE» PER LA CATECHESI
ccorre incoraggiare le associazioni, i movimenti e i gruppi di fedeli, siano essi destinati alla
pratica della pietà, all'apostolato diretto, alla carità e all'assistenza, alla presenza cristiana
nelle realtà temporali. Tutti quanti raggiungeranno meglio la Chiesa se, nella loro
organizzazione interna e nel loro metodo di azione, sapranno dare un posto importante a una seria
formazione religiosa dei loro membri.
«Ogni associazione di fedeli, in seno alla Chiesa ha il dovere di essere per definizione educatrice della
fede» (Esortazione Apostolica "La Catechesi nel nostro tempo", n. 70). Sono puntualizzazioni che nel
magistero di Giovanni Paolo II in quel documento chiave sulla «Catechesi tradendae» dopo undici
anni dalla sua promulgazione, tornano a definire l'esigenza di sollecitare una seria e sostanziale
formazione religiosa in tutti coloro che vogliono adoperarsi per una profonda azione apostolica e
caritativa. L'appello ai movimenti e alle associazioni, perché siano nella Chiesa «educatrici della fede»
sembra ancora oggi coglierci di sorpresa, preoccupati più forse di attendere alle impellenze della
carità, che alla compenetrazione della Parola, che la svela e dell'Eucarestia che la alimenta.
Quanto poi all'essere educatori nella fede con la nostra azione caritativa, riconosciamo che, parlano le
nostre opere, ma converrebbe che qualche volta parlassimo di più noi, perché di cose ne abbiamo da
dire a chi cerca non solo amore, ma anche risposte al proprio dolore.
Catechesi per vivere in Cristo e nella Chiesa
È in questa direzione che il nostro Arcivescovo Assistente Mons. Plotti ha voluto premere
l'acceleratore proponendo nel Convegno degli Assistenti il tema «Quale catechesi per l'Unitalsi».
«Una permanente catechizzazione ed una più sistematica riflessione — dice Mons. Plotti — sulle
tematiche della fede e della Carità, sono i presupposti per una "vocazionalità " da vivere nell'impegno
quotidiano di servizio ai fratelli sofferenti». Se lo statuto della nostra Unione pone come specifico
impegno quello di aiutare soci e malati nella loro formazione spirituale, la Catechesi resta lo
strumento più idoneo e cui affidarsi, perché malati e sani insieme, promuovendo il cammino di fede,
diventino essi stessi annunciatori della Parola e testimoni della carità. Perché risulti pregna di
significato questa parola «Catechesi» senza ridurla o al senso di indottrinamento, per rifarci a una
pura conoscenza mnemonica del compendio delle verità religiose, o a una scuola di addetti ai lavori, è
necessario ribadire che essa è cammino di fede e di conversione per la vita cristiana, non finalizzata al
sapere, ma a vivere in Cristo e nella Chiesa.
Allora i destinatari non sono solo alcuni privilegiati più o meno sensibili a questo discorso, ma tutti i
cristiani, se non vogliono spegnere la loro fede e squalificare la loro credibilità.
Il guaio è che non pochi a volte, anche di quelli impegnati in prima persona nelle opere ecclesiali, si
sentono sufficienti nella fede e nella conoscenza religiosa, tenendo per valido ed esauriente quasi fosse
stato un diploma di laurea, il catechismo di prima comunione o della cresima.
O
Come dunque non desiderare e programmare per la propria vita questo appuntamento con la
Catechesi che la Chiesa propone, con un insegnamento cristiano organico e sistematico. È necessario
partire dall'iniziazione cristiana o per altre tappe sacramentali, come nelle molteplici occasioni della
vita personale, familiare e sociale, per convincersi che non si può oggi vivere da veri cristiani, senza
una consapevolezza del mistero di Cristo, delle esigenze del suo Vangelo, del senso del vivere e
dell'operare.
Catechesi, sintesi tra Parola e Carità
L'Unitalsi fra tutte le associazioni è e può essere sempre più una corsia preferenziale per la Catechesi,
sia per i destinatari che le sono riservati, sia per i tempi e luoghi privilegiati di fede e di preghiera,
come per la testimonianza della carità, che la esplicita e la rende efficace. Afferma, infatti, Mons.
Nervo che la via della carità è già evangelizzazione, ma senza l'annuncio diretto dell'amore di Dio è
incompleta, come l'annuncio senza la carità è inefficace. Non dovrebbe rincresce né a noi dell'Unitalsi,
né alle nostre comunità cristiane, come ai movimenti, riconoscere che spesso là dove c'è la Carità,
manca la Parola, là dove c'è molta Parola, manca la Carità. La Catechesi postula questa sintesi,
perché sia dato un fondamento alla carità, ispirazione e motivazione a chi la opera.
Destinatari protagonisti
All'Unitalsi offrire dunque questa corsia preferenziale, perché nessuna occasione come nessun
programma della sua vita associativa prescindano da una catechesi rivolta:
ai malati, mediante l'amicizia cordiale, il sostegno psicologico e la condivisione per dare senso e
trascendenza alla sofferenza;
al personale di assistenza (barellieri, sorelle, medici) perché riscoprano la dimensione vocazionale del
loro servizio e con itinerari differenziati, nel rispetto anche dei tempi di ciascuno, siano aiutati quanti
sono ai bordi della fede, per accoglierla, quanti vi sono dentro per consolidarla, così da suscitare in
tutti forti tensioni spirituali; ai sacerdoti perché prima di essere catechisti si pongano in una
condizione di formazione permanente, partecipando alle iniziative diocesane, sia nell'Unitalsi,
facendo proprie le linee pastorali e ideologiche dell'Associazione, per un'animazione spirituale incisiva
e credibile.
Il convegno riservato agli Assistenti ha voluto focalizzare il ruolo proprio del sacerdote come
animatore della catechesi, valorizzando i tempi e gli spazi sacri del pellegrinaggio e della carità, per
promuovere un impegno catechistico serio, sistematico e pecu-
liare, calato nella realtà unitalsiana. Le pie esortazioni, i fervorini, le sollecitazioni devozionali, non
bastano più, né per consolare il malato, né a gratificare chi lo assiste. Occorrono messaggi forti e
provocatori, essenziali e chiari, capaci di piegare la durezza del cuore, la ribellione degli spirito, e di
vincere i compromessi della vita. I sussidi liturgici-pastorali che accompagnano la vita associativa
dell'Unitalsi segnano il cammino di questo itinerario catechistico, che attraverso la pedagogia della
carità, vuole condurci nel cuore stesso della Chiesa per educarci alla fede e alla missione, nel cuore del
mondo per testimoniare la verità sull'uomo, e l'amore di Cristo per lui.
(11-12 1990)
Sono gli Atti del convegno nazionale che si celebra ogni anno. L'ideatore fu Mons. Luigi Poletti, di v.m. mentre a dare grande impulso
sarà Mons. Alessandro Plotti che, in qualità di Assistente nazionale prima e presidente poi, promuoverà con successo…
In questo gesto di intensa preghiera le ginocchia si piegano davanti al mistero di Dio, che si abbassa a mettere le mani nel catino per
lavare i piedi agli apostoli.
LA CARITÀ TRA AZIONE E CONTEMPLAZIONE
olendo insieme con voi lettori affidare le nostre riflessioni al grande tema della Carità, che
segna non solo il cammino di quanti esercitano direttamente le opere della misericordia, ma
della stessa Chiesa italiana che ne ha celebrato con solenne e memorabile intensità il
Convegno a Palermo, richiamiamo alla mente quanto il papa Giovanni Paolo II affermò in quella
assise: «Sì, cari fratelli e sorelle, diciamolo ad alta voce con vera convinzione del cuore, non c'è
rinnovamento, anche sociale che non parta dalla contemplazione. L'incontro con Dio nella preghiera
immette nelle pieghe della storia una forza misteriosa che tocca i cuori, li induce alla conversione e al
rinnovamento. Ogni credente cerchi di fare maggiore spazio alla preghiera nella propria vita». Chi
erano per lui quei cari fratelli e sorelle a cui si rivolgeva? Non solo i delegati presenti al Convegno di
Palermo, ma tutti i cristiani impegnati a rinnovare con la loro testimonianza e con le opere della
carità il volto della società. Un richiamo che vogliamo dunque far nostro, chiamati anche noi sul
versante della scelta preferenziale dei poveri a rendere la società più giusta, più solidale, più fraterna.
Questo appello alla preghiera e alla contemplazione trova piena accoglienza anche nell'Unitalsi e ne
sottolinea l'urgenza la parola autorevole di Mons. Plotti (Presidente nazionale Unitalsi) in una densa
e profonda riflessione che ha offerto nell'omelia per la dedicazione dell'altare della cappella del Salus
Infirmorum a Lourdes. «La nostra Associazione si potrà anche dilatare, potrà aumentare le sue
V
iniziative, ma se non c'è questo riferimento alla benedizione del Signore, se non si ha questa
convinzione che noi siamo la discendenza di questa carità, se non sappiamo vedere Cristo in ogni
malato, se non avremo dentro il nostro cuore la presenza di Cristo e del suo Vangelo, non riusciremo a
trasformare la nostra Associazione in uno strumento di evangelizzazione». E prosegue: «Ecco un altro
aspetto importante: la nostra formazione spirituale. Mi impegno perché dentro l'Unitalsi ci sia questo
respiro soprannaturale e spirituale». Non nasce, forse, questa presa di coscienza da un recupero della
preghiera e della contemplazione? Questo interrogativo postoci da Mons. Plotti resterà sempre
attuale e provocatorio per noi chiamati in prima fila a vivere: un forte e genuino senso di Chiesa; ad
avere una cosciente consapevolezza che la nostra attività nelle molteplici espressioni che vanno dal
pellegrinaggio, punta più alta della preghiera e della contemplazione, ai soggiorni estivi, ai momenti
culturali ricreativi e conviviali, appartiene all'azione pastorale che la Chiesa ha affidato all'Unitalsi,
perché nell'esercizio della carità evangelizzi il mondo della malattia; a custodire integro il carisma
dell'Unitalsi e a farne memoria specialmente alle giovani generazioni perché sia visibile e credibile il
ministero della carità; a rendere profetica ogni azione, ogni scelta, ogni iniziativa, perché si
annuncino i grandi valori della vita, della solidarietà, della fraternità, dell'accoglienza e del servizio.
Se ben noti ci sono questi principi, perché siano una luce e idee forza per ogni azione ecclesiale e
sociale, è necessario in questo tempo di profondi mutamenti per valutare problemi, per identificare le
priorità e i mezzi di soluzione, possedere il discernimento evangelico, frutto sempre della preghiera e
della contemplazione, che prima di spingere all'azione invita a rivedere: nell'origine dell'Unitalsi come
di ogni opera di carità il progetto di un provvidenziale sostegno divino offerto al dono fragile
dell'uomo sofferente; nel dono del pellegrinaggio il recupero della fede, un cammino di conversione, un
tempo forte di preghiera e di fraternità, una genuina devozione alla Madre di Dio, alla Vergine della
Pietà; nella sua struttura monolitica e piramidale, così efficiente e così capillare uno strumento per
organizzare la carità, senza perdere la sua vitalità evangelica; Nel cammino di fede e di formazione la
possibilità di leggere anche la situazione socio-culturale ed ecclesiale della nostra Associazione, non
solo nella sua complessa compagine umana, ma anche nel suo contesto spirituale dove più evidente si
manifesta la preziosità del dolore e la grazia di chi l'accoglie. Per questo, non va dimenticato che la
cultura moderna da una parte circonda il dolore «dell'enfasi del silenzio», perché né di malattia, né di
morte, né dell'handicap si deve parlare; dall'altra con stridente contrasto la circonda «dell'enfasi dello
spettacolo» quando la sofferenza è provocata dalla violenza, dalla drammaticità, dalla ricerca del
sensazionale, in una banale e disumana strumentalizzazione. Per non essere inficiati da questa
cultura, è necessario ascoltare quanto i malati, i disabili, gli anziani vorrebbero dire a voce alta alla
nostra società e a tutti noi «Non vergognatevi di noi, non censurate il dolore, non esaltatelo
nemmeno, non nascondetelo, non fateci sentire inutili, abbiamo anche noi qualche cosa da dire e da
dare». Non ritengo superfluo ascoltare la loro voce, perché volendo adeguare le iniziative e le attività
associative a queste richieste forti e pressanti, non vogliamo rincorrere i modelli di sviluppo della
società, privilegiando l'organizzazione all'animazione, l'efficienza all'efficacia, la struttura al carisma.
Giova qui ricordare una significativa riflessione che il prof. Garelli relatore al Convegno di Palermo
fece in questi termini: «Lasciatemi sognare una Chiesa che di qui al Duemila abbia il coraggio di
prendersi un "anno sabbatico", di operare uno stacco profondo, un momento di sospensione per
riprendere con nuovo slancio e maggiore "levità" la sua missione nel Paese, per far sì che la religione
non comprima la fede, l'organizzazione non attenui la profezia». Questo sogno vorremmo far nostro,
perché ha bisogno anche la nostra azione caritativa di uno stacco, di una sospensione. Oh se, per un
anno potessimo ritrovarci insieme sani e malati, lontani da ogni attività, solo per contemplare il
dolore, per restare in ginocchio davanti al Signore, per toccare con la nostra vita le sue piaghe
per comprendere il mistero del suo amore, la grandezza della nostra missione, la grazia che contiene in
sé la carità! Oh se ci fosse concesso veramente di immergersi in questo silenzio orante, perché sia
restituita alla forza dello Spirito la nostra azione, al mandato del suo amore la nostra carità.
(1-2 1996)
Queste mani che hanno abbracciato i figli, guidandoli nel cammino della vita, ora stringono il bastone, unico appoggio nella sua
vecchiaia, mentre seduta in carrozzella, pregando, offre al suo Signore la fatica della sua vita e il peso dei suoi anni.
Quando accompagni un amico in difficoltà sappi, che mentre spingi la carrozzella, chi ti porta è lui.
LA CARITÀ, IL NUOVO VOLTO DELLA SOLIDARIETÀ
e molti e tra questi anche noi, abbiamo definito il nostro oggi «il tempo della disonestà
concordata», vorremmo però anche dire che questo è il tempo della solidarietà ritrovata,
anelito così umano e così diffuso, capace di muovere in una profonda tensione le forze migliori
della nostra gente e soprattutto dei nostri giovani.
Vale la pena attardarci su questo termine «solidarietà», perché nella vasta sfumatura più che dai suoi
significati, dalle sue espressioni identificate da chi per ragioni diverse di fede, di ideologie ne ha fatto
esperienza, si possa cogliere quel senso più alto, più sublime che può uscire dal cuore dell'uomo.
Ci viene incontro in questo il Catechismo della Chiesa Cattolica, che parlando di solidarietà umana la
definisce «amicizia» o «carità sociale», sottolineando così la delicatezza dei suoi gesti e la tensione
spirituale della sua azione. Forse ci coglie di sorpresa che la Chiesa collochi la solidarietà tra le virtù
«eminentemente cristiane, perché essa attua la condivisione dei beni spirituali ancor più che di quelli
materiali» (Formula del Catechismo n. 1948). Ma perché il suo spirito possa aprirsi agli orizzonti
S
divini, Giovanni Paolo 11 nell' Esortazione Apostolica «I Fedeli Laici» fa appello alla carità «perché
sostenga ed animi un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano» (n. 41).
Parafrasando un'immagine di san Tommaso che amava chiamare la filosofia ancella della teologia, io
oso chiamare la solidarietà ancella della carità. Se non ci è difficile conoscere e sperimentare i gesti
della solidarietà che si manifestano nella concretezza e nella personalizzazione di chi li compie e di chi
ne beneficia, molto più difficile
è comprendere il senso, lo spessore e il tenore della carità nella sua accezione più che umana, divina.
Nelle sue elevazioni mistiche l'apostolo Giovanni stigmatizza in quella ispirata affermazione «Deus
caritas est» (I Gv 4,8) la sostanza, l'immagine, il senso, la forza e la sublimità di questa «parola»,
perché non si confonda né con i sentimenti umani, né con le espressioni pietistiche, riservate ai
sensibili di cuore o ai benintenzionati in cerca di gratificazioni.
Allora possiamo dire che la carità è l'amore di Dio diffuso nei nostri cuori, è lo stesso amore di Cristo
consegnato a noi nel cenacolo, perché potessimo amare come ama Lui e servire come ha servito Lui.
Forse abbiamo amato troppo con il nostro amore umano, interessato, limitato, presuntuoso e gli altri
non lo hanno capito, anzi possono averlo travisato o perfino colpevolizzato. Potremmo chiederci «ma
come si fa ad amare come ha amato Cristo»? necessario che l'amore sia:
• gratuito, senza contropartita di alcun genere;
• sovrabbondante, che va oltre ogni misura, senza calcoli;
• di preferenza per i peccatori, specialmente quelli che io ho già giudicato e condannato;
• che si estenda a tutti, compresi i nemici, io aggiungo e a tutti quelli che mi stanno sullo
stomaco;
• concreto, perché non si possa inventare la persona da amare, ma si raggiunga ogni uomo nella
singolarità della persona, come nell'interezza della sua problematica esistenza;
• visibile, né per fregiarsi di meriti, né per posare davanti alle telecamere, ma per «illuminare
anche la strada degli altri». A questo punto ci si deve interrogare, come dice Mons. Nervo «Se il
nostro atteggiamento costante ed il metodo conseguente è agire come protagonista efficiente che
organizza la carità nella Chiesa o è ricevere con umiltà e riconoscenza, momento per momento il dono
della carità e farlo fruttare con amore?»
Credo che questo interrogativo mi colloca più tra gli organizzatori della carità, che tra gli uomini
della carità, desiderosi come Madre Teresa di Calcutta di attingere ogni giorno dall'Eucaristia questo
ineffabile dono, perché pervada di delicatezza, di affetto, di tenerezza quelle braccia di misericordia,
che si aprono in una organizzata forma di solidarietà a raccogliere quanti sono ai bordi della dignità e
dell'esistenza umana. Le molteplici opere della solidarietà, in un crescendo di coscientizzazione sociale
trovano il loro specifico contesto «nella ripartizione dei beni, nella remunerazione del lavoro, nella
solidarietà tra poveri e ricchi, tra imprenditori e dipendenti, tra paesi e nazioni, tra sani e malati».
Esse non devono esaurire i loro interventi in una sorta di «agenzia umanitaria», che potrebbe persino
imprigionare fra le sue maglie organizzative lo spirito dell'uomo. Eppure sappiamo che all'uomo non
basta un gesto di solidarietà, ha bisogno di carità, ma il vero e fondamentale atto di carità nei suoi
confronti è l'annuncio del Vangelo, che solo può rivelargli i suoi destini temporali ed eterni.
Confessiamo pure come esperti operatori di carità, che di opere ne abbiamo compiute molte,
moltissime, ma di Vangelo ne abbiamo annunciato poco.
Che la solidarietà possa avere un altro volto, quello della carità, ma che la carità non abbia altra
concretezza, che quella della solidarietà, perché ogni uomo scopra che Dio lo ama.
(7-8 1993)
Immagine questa che può essere una vera icona della maternità, che ha avvolto di tenerezza la nostra vita.
"LA CARTA VERDE" DELLA SOLIDARIETÀ
una attenta lettura della società con i suoi sintomi di effervescenza, di squilibrio, di
potenzialità e di sorprendenti testimonianze di solidarietà, come di nascosti, ma ugualmente
significativi eroismi, non si può lasciar passare sotto silenzio una presenza così appariscente
come quella dei giovani, carica di speranza e al contempo di delusioni, di stanchezze e di impegni, di
immobilismo, come di prorompente dinamismo.
L'ambito che più manifesta il disagio sociale è la condizione giovanile, vissuta nella sua strutturale
fragilità, tanto più marcata, quanto più è rivestita di carenza affettiva, di conflitti familiari, di
handicap fisici o morali.
Se poi pensiamo ai mali della società, molteplici e complessi, sono essi che insidiano lo stesso tessuto
psicologico e spirituale dei giovani, portatori come sono di ideali, di potenzialità, di scoraggiamenti e
di effimero.
Eppure la giovinezza custodisce in sé una inesauribile ricchezza di carismi e di idealità,
un'illuminazione e una risposta di speranza, capace di vincere il disagio strutturale in cui è immersa, a
condizione che provvidenziali forze educative consentano di farla esprimere in precise scelte di vita.
La tendenza a esaltare la libera decisione del giovane come valore assoluto e autonomo della sua
espressione, non fa che congelare le sue aspirazioni, ridurre la sua dimensione umana e spirituale,
condizioni fondamentali per salvare la dignità della sua vita e per promuoverla nei suoi aspetti fisici e
intellettivi, perché giunga alla pienezza della maturità umana. Gli appannaggi offerti ai giovani
dalla cultura dell'immagine, dalla filosofia del potere e del piacere, non consentono di evidenziare il
primato dell'essere sull'avere, il valore della persona sul mito dell'estetica e dell'efficienza, l'esigenza
della solidarietà e del dialogo sull'individualismo e la solitudine.
La mia lunga e personale esperienza vissuta nella nostra Unitalsi, che da decenni e decenni serve la
sofferenza per promuovere la vita degli anziani, dei portatori di handicap e dei malati, testimonia non
solo un'alta percentuale della presenza giovanile, ma una sua qualificata partecipazione,
accompagnata da una forte capacità di donazione, di coraggio e di una speranza non comune. Ai
giovani sani e malati, nella comune esperienza della giovinezza, come nella difficile avventura della
loro vita, insidiata da mille contraddizioni, va offerta la possibilità di sperimentare la gioia del
servizio e di farsi messaggeri di speranza per tanti coetanei provati dal peso dell'handicap o
scoraggiati dalla delusione della vita. Con gli occhi di genitori e di educatori sarà necessario aprirsi
sempre più all'accoglienza di tutti quei giovani che attendono nelle molteplici associazioni di
volontariato di esprimere quel carisma irripetibile di giovinezza di cui tutti hanno bisogno.
Le stesse associazioni possono diventare di fatto luoghi privilegiati per aggregare più giovani
possibili, perché in un cammino sostenuto dai grandi valori umani e cristiani, gratificati dall'amicizia
e dalla condivisione, siano presidiati di affetto e sollecitati al bene. Il sociologo Silvano Burgalassi
scrive «Ad una gioventù che appare come un arcipelago in movimento rapido la cui caratteristica
A
essenziale é data dalla non certezza dei propri fini e dei propri traguardi esistenziali», ecco stagliarsi
davanti le grandi vette del volontariato, palestra che educa alla gratuità e consente di crescere in
umanità, ridimensionando la propria esistenza in una costante visuale di servizio e di gratificante
altruismo, risposta concreta a chi chiede solidarietà e condivisione. La consapevolezza, infatti, di una
esistenza interdipendente gli uni dagli altri, non solo nella vita privata, ma anche in quella sociale,
economica e culturale e soprat tutto nella inevitabile condizione di bisogno in cui versano tanti
uomini e donne, crescendo oggi la folla dei poveri, dei disadattati, dei malati, degli emarginati, fa
scaturire urgente l'esigenza della «solidarietà umana».
Una parola questa, ormai quasi consumata nel linguaggio politico, ma ancora lontana da un discorso
culturale, che la incarni nella pedagogia scolastica, in una rinnovata formazione civica e in una
equilibrata educazione familiare.
Una parola però che sta trovando piena accoglienza nel tessuto sociale, grazie a migliaia di uomini e
donne, di giovani e ragazze che sono come in un santuario la sua vera «icona». Di fronte a uno stato
sociale prostrato da fenomeni fattisi cultura di morte, di accentuati squilibri e di fuorviante contro
testimonianza, vorremmo affidare ai giovani la vera «carta verde» della solidarietà che sola può
salvare da una società ad alto rischio come la nostra.
Ai giovani che si impegneranno per la solidarietà, sarà consentito di togliere le barriere della sfiducia,
dell'indifferenza e del vittimismo, lanciando al mondo la sfida dell'essere «giovani oggi», per diventare
«uomini saggi» domani.
Ai centri di informazione, a quelli della cultura e della politica, alle forze sociali ed ecclesiali, la
sollecitudine di raccogliere questa sfida e proporre con forte e avvincente testimonianza la solidarietà,
unico linguaggio d'intesa nei conflitti generazionali, garanzia per custodire nel tempo che passa la
giovinezza dello spirito, e unica risposta alla persistenza della sofferenza e alla prepotenza umana.
(7-8 1992)
Non passare oltre, ma fermati davanti a chi è segnato dall'infermità, perché la tua vita è consumata da altri limiti, quelli che non sono
né umani, né solidali.
LE VIRTÙ UMANE IL VERO "LOOK" DELL’UOMO
a condizione umana, pur nella caducità delle cose, nella provvisorietà delle situazioni e nella
fugacità del tempo, trova la sua consistenza nella perennità dello spirito che la sublima e nella
sapienza del cuore che rende amabile ogni fatica.
Questa forte spinta spirituale che nei cristiani si esprime in una chiara testimonianza di fede, deve
assumere una sua specifica configurazione, come dice il Concilio nel decreto sull'Apostolato dei laici
«dallo stato di matrimonio e di famiglia, di celibato e di vedovanza, dalla condizione d'infermità,
dall'attività professionale e sociale».
Da qui l'invito del Concilio a non tralasciare di coltivare assiduamente le qualità e le doti a essi
conferite corrispondenti a tali condizioni e di servirsi dei propri doni ricevuti dallo Spirito Santo.
L
«Quanti poi seguendo la loro vocazione si sono iscritti a qualcuna delle associazioni o istituti
approvati dalla Chiesa, si sforzino parimenti di assimilare fedelmente la peculiare caratteristica di
vita spirituale propria dei medesimi» (n. 4).
In questa prospettiva pedagogica rientra positivamente l'Unitalsi, che, anche se non pretende di
avere «la sua specifica spiritualità, sa che il carisma del servizio alla sofferenza esercitato con fede,
porta con sé una grazia e contribuisce gradualmente a maturare la vita spirituale ed umana dei soci».
Lo stesso Mons. Plotti afferma in una riflessione che il servizio unitalsiano deve maturare le doti
personali. «infatti colui che vuole aiutare il malato a integrarsi e ad accettarsi deve essere fornito di
doti e di capacità personali ricche e mature». Quale possibilità
viene offerta a quanti con spontanea e generosa disponibilità scelgono la via del volontariato e nel
nostro caso del servizio pastorale alla sofferenza e quale responsabilità si assumono, chiamati non a
dare qualcosa, ma a donare se stessi, e quello che di più prezioso hanno, la loro ricchezza umana, la
limpidezza della fede, la forza dell'amore tenero e profondo come quello di Dio.
Possibilità e responsabilità che possono perdere la loro efficacia, o perché manca la consapevolezza e
il senso dell'opera che si compie, o perché prevale la spinta emotiva che tutto esaurisce nella
gratificazione del momento.
Il rapporto allora non è tra l'aiuto che io do al malato, ma tra la mia persona e la sua, per uno
scambio di doni.
Qui dunque entrano in gioco le persone con il loro corredo di virtù e di limiti, di doni e di possibilità.
Ecco ancora il Concilio che, nell'invitare i laici all'apostolato, si appella "alla loro competenza
professionale, al senso di famiglia e al senso civico, e a quelle virtù che riguardano i rapporti sociali: la
probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo", senza le quali non ci può
essere neanche vera vita cristiana.
Abituati senza difficoltà a sottoporsi a test psicologici pur di poter evidenziare una idoneità di
servizio, pronti a rispondere con sicurezza ai requisiti richiesti o per assunzioni di ruoli, o per scatti di
carriera, non dovremmo far fatica, nel segreto della nostra coscienza, a misurare la nostra maturità,
la nostra idoneità, e a cercare i requisiti richiesti per essere pienamente uomini e svolgere degnamente
questo ministero di carità. Proviamo a pronunciare a voce alta queste virtù indicate dal Concilio,
perché non risultino una nostalgia dei tempi passati, una utopia per quelli presenti, ma possano
consolidarsi in chi si impegna a viverle, emergere in chi le ha dimenticate, accoglierle in chi ne ha
perso la dimensione e il gusto.
Competenza professionale.
È, infatti, nell'esercizio della propria professione che l'uomo e la donna esprimono le proprie capacità
intellettive dando un'impronta umana alle complesse attività lavorative, perché siano un servizio alla
comunità e mai una strumentalizzazione dei bisogni dell'uomo.
Competenza professionale, frutto di una coscienza morale, che rispettando le esigenze della scienza e
della tecnica non si lascia travolgere dai ritmi economici, né dalle richieste di chi conta o di chi può
pagare di più.
Il senso di famiglia
Quel senso che sembra aver perso la sua forza e aver reso fragile il vincolo matrimoniale, confusa la
convivenza familiare, arido il focolare domestico, quasi impossibile la fedeltà coniugale.
Quanti sposi bocciati da questa dura prova familiare, quanti genitori falliti nella loro capacità
educativa, eppure piuttosto che sbattere l'uscio e andarsene sono al proprio posto per recuperare
l'amore, ricucire i rapporti, infondere un nuovo supplemento d' anima.
Il senso civico
Se è vero che non si può essere buoni cristiani se non si è bravi cittadini, se è necessario come ricorda
Mons. Plotti che "la società ha bisogno di persone vere e umanamente mature", deve essere in prima
persona percepito il senso dello Stato, il bisogno di rispettare le leggi, di rifiutare con determinatezza
una quasi concordata disonestà civica, così diffusa e spesso anche giustificata, perché la famosa
«trasparenza» non sia un palliativo dei politici, ma una condizione esistenziale di ogni cittadino.
La probità
Una virtù che accompagna l'uomo ed evidenzia la sua integrità morale in un equilibrio umano e
affettivo, che sa superare la tentazione del successo, del compromesso e del piacere, capace di
custodire la purezza del cuore e la nobiltà dei sentimenti. Probità che fa rifuggire da una sensualità
sempre più emergente, volta a disonorare la dignità femminile e a rendere banali i sentimenti
dell'uomo.
Lo spirito di giustizia
Una giustizia che non è rivendicazione di diritti, ma impegno di professare i propri doveri nel rispetto
di ogni uomo, soprattutto degli indifesi, perché siano salvaguardati i loro diritti e promossa la loro
vita in nome di una giustizia, che si fa misericordia e amore secondo il dettame evangelico.
La sincerità
Giù la maschera dell'ipocrisia, del perbenismo, della convenienza per dare spazio alla verità dei
sentimenti, delle parole e della retta intenzione, che deve guidare ogni azione umana, anche la più
sublime come quella della carità, perché sia un autentico atto di amore.
La cortesia
Non è una benevola concessione, né un manierismo o tanto meno uno stereotipato galateo da vivere,
ma una attenzione carica di rispetto, di delicatezza e di riservatezza, di liberalità verso gli altri,
perché sia resa amabile la loro vita. Cortesia che vince la prepotenza, previene i conflitti, spinge al
perdono.
La fortezza d'animo
Le prove della vita, la persistenza del dolore, la durezza di un lavoro ingrato, la morigeratezza dei
costumi temprano lo spirito, rendono forti gli animi, ma l'abbondanza delle cose, il facile successo, un
consumismo sfrenato, una vita di salotto e di effimero fiaccano la volontà, invecchiano il cuore e
rendono impossibile affrontare la fatica della vita.
Saremo forti d'animo se ci lamenteremo di meno della vita e ci accontenteremo di più, mutuando la
fortezza da chi ci è maestro di coraggio e di speranza, senza esaltare la sofferenza degli altri e
piangere, sfiduciati, la nostra.
Sta a noi ora misurarci con queste virtù umane perché nel servizio unitalsiano ritrovino la loro
genuinità e siano divisa da indossare per una vera e autentica maturazione.
Che siano loro, queste virtù a formare, il nostro «look».
Se poi il desiderio dell'uomo sarà quello di imitare il Signore Gesù, allora non sarà più immagine di se
stesso, ma diventerà «icona» di Cristo e come lui autentico buon samaritano.
(7-8 1990)
È in quel bicchier d'acqua dato per amor suo che si rivela il Signore nel volto luminoso di chi sa donare con gioia.
E' nell'incontro tra il dolore innocente di un bambino e la vita sufficiente di un giovane, che si può ritrovare il senso di una esistenza
vissuta per amore, più che per rassegnazione.
L'AZIONE CARITATIVA, VERA PALESTRA PER OGNI VIRTÙ UMANA
e riflessioni offerte sulle virtù umane, ispirandoci al Concilio, se trovano risonanza di consensi
in quella parte dell'opinione pubblica ancora sensibile ai valori dell'uomo e alla sua dirittura
morale, dall'altra pongono l'interrogativo di come fare proprie queste virtù, perché siano il
\ vero corredo dell'uomo, posto a giocare la sua vita in una corsa affannosa verso l'avere più che
l'essere, verso il piacere più che il dovere. Le virtù umane, dunque, non nascono da una pura e
semplice inclinazione naturale, né da una spiccata sensibilità istintiva, ma da un lungo e complesso
cammino educativo, fatto fin dalla più tenera età in quell'alveo così delicato della famiglia, della
scuola e della Chiesa. La formazione dell'individuo non può prescindere da queste fondamentali
componenti, che dovrebbero restare sempre luoghi privilegiati di pedagogia per una vera maturità
umana, per una formazione culturale e per un cammino di fede.
Se il Concilio, come abbiamo scritto in precedenza, sottolinea tra le virtù umane da coltivare, la
competenza professionale, la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza
d'animo, il senso di famiglia e il senso civico, ci chiediamo come possano nascere e maturarsi in un
contesto sociale disimpegnato, contraddittorio e soprattutto in un uomo così fragile psicologicamente
e così vulnerabile nel suo spirito? Eppure siamo convinti che queste virtù possono trovare facile
accesso in particolari esperienze di vita, in forti tensioni spirituali, in contesti dichiaratamente
proposi-
tivi, quali l'azione apostolica e quella caritativa. Ce lo ricordano i Vescovi in un documento del
Consiglio Permanente della CEI su «La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese» quando dicono che
«con gli ultimi e con gli emarginati potremo tutti recuperare un genere diverso di vita, demoliremo
innanzitutto gli idoli che ci siamo costruiti, denaro, potere, consumo. Riscopriremo poi i valori del
bene comune, della solidarietà, della corresponsabilità e avremo la forza di affrontare sacrifici con un
nuovo gusto di vivere. Questa esigenza di rinnovamento è ampiamente intuita tra la gente e rivela
comunque che è ormai tempo di misurarsi non sul vuoto di tanti discorsi, ma su progetti concreti che
abbiano senso». (numeri 6-7)
L'Unitalsi sa, senza suo merito, ma solo per dono, che il mandato di servizio alla sofferenza, esercitato
con fede, porta con sé una grazia e contribuisce gradualmente a, maturare la vita spirituale dei soci,
inserendoli in una vera palestra educativa per ogni virtù umana. Come cogliere in questa esperienza
quelle spinte profetiche che permettono una maggiore identificazione con il mondo dello «Spirito» e
dell'«Uomo»?
possibile dunque che nel cammino solidale con i malati nasca:
un nuovo parametro di valutazione della vita. L'interrogativo infatti sul senso della propria esistenza
e il desiderio profondo di scoprire la propria identità, sicuramente mai pienamente emersa nelle
amorfe espressioni quotidiane, trovano nella dinamica della solidarietà un volto e un cuore
L
finalmente capaci di uscire dall'anonimato. Urge essere segno visibile di un amore che eleva le persone
alla dimensione dello spirito, evidenziando la forza del loro amore e togliendo il velo delle apparenze
per cogliere l'umanità, la dignità e la grandezza in esse nascoste;
• una nuova coscienza morale, capace di far recuperare nei rapporti umani quella verità, che
sola può autenticare gli affetti e i sentimenti,
• il dialogo e l'accoglienza, dando sempre più spazio alla trasparenza, come vera e integrale
misura dell'uomo, che vuole essere riferimento etico per l'esuberante libertarismo di molte coscienze;
• una provocazione costante, per ricucire il tessuto sociale lacerato dai conflitti e dalla civiltà
del benessere, che ha emarginato anziani, disabili e poveri, i più idonei a farci comprendere il senso
della giustizia sociale, come appassionata difesa dei diritti dei deboli e degli indifesi, condizione
indispensabile per una convivenza serena e pacifica;
• il senso della gratuità, che nel dono totale di sé agli altri, specialmente in stato di bisogno,
spinge alla solidarietà e alla condivisione. «La Chiesa ed ogni cristiano devono improntare alla
gratuità e alla sovrabbondanza tutte le forme di servizio all'uomo, anche quelle meno facili
dell'impegno professionale, sociale e politico» (cit. Evangelizzazione e testimonianza della Carità n.
22).
Sarà allora l'esperienza della gratuità a ridare valore e competenza alla professione, discernimento per
un equo e giusto guadagno, soddisfazione alla fatica di ogni giorno.
Se lo vuoi dunque, nell'esercizio della carità ti è dato di misurare la tua umanità e raggiungere la
pienezza della maturità, per essere oggi «un testimone più che un maestro».
(2-3-1991)
Quale treno se non quello dei malati, può regalare un'indescrivibile gioia ed un'emozione, capaci di trasformare la fatica in sollievo e la
sofferenza in preghiera?
SUI BINARI DELLA FEDE
l 14 Aprile 1988 partono da Verona 4 treni dei malati per Lourdes. Aprono la stagione dei
pellegrinaggi segnando il passo ad altri innumerevoli treni che si avvicenderanno, assicurando
costante la presenza ai piedi della Grotta fino al 14 ottobre, quando la Lombardia ed il Lazio
chiuderanno questo evento di grazia, questa ' marcia della fede e della speranza cristiana. Saranno
rappresentate tutte le regioni d'Italia, l'Isola di Malta e la Repubblica di San Marino. Faranno
quadrato attorno alla Grotta in un abbraccio ideale di fraternità e di comunione ecclesiale, vescovi e
sacerdoti, genitori e figli, giovani ed adulti, sani e malati, professionisti ed operai, pensionati ed
I
anziani, per testimoniare la realtà di un popolo che è incamminato con Maria verso il Signore. Anche
noi, come i treni, correremo sui binari della fede per:
• ritrovare la serenità dello spirito;
• consolidare nella verità e nella carità la provvisorietà della vita;
• testimoniare il coraggio nella fatica, la gioia di servire, la speranza di attendere i nuovi tempi
della pace e dell'amore.
L'Unitalsi sente di portare con sé a Lourdes tutta la realtà della Chiesa locale e della comunità civile,
consapevole di compiere un servizio a nome di quella Chiesa, che per mandato evangelico, è chiamata
a «curare gli infermi».
Sui binari della fede verso Lourdes, grazie alla forza e alla benevolenza del. Signore, faremo correre
una porzione eletta della Chiesa italiana, perché continui ad avere un senso la sua presenza ed
efficacia la sua missione apostolica.
(3-4-1988)
La processione Eucaristica a Lourdes, momento saliente di ogni giorno, presieduta dal Cardinale Ugo Poletti, Presidente nazionale
dell'Unitalsi, testimone qualificato dell'opera di carità che l'Associazione ha svolto nella sua storia più che secolare.
PELLEGR1NI IN CERCA DI IMPEGNO PIÙ CHE DI EMOZIONI
l pellegrinaggio, che per l'Unitalsi si fa impegno di servizio nel promuoverlo e nell'animarlo, ci
pone in cammino per introdurci nel mistero di Dio e del suo . amore, effuso con il Battesimo nei
nostri cuori. Vai in cerca di una tua identità e ti preoccupi di darti un'immagine, ma non sai che
la tua identità è quella
• . cristiana e la tua immagine quella di Cristo?
Da quel giorno (ne sappiamo almeno la data?) siamo stati segnati in un modo incancellabile ed
indissolubile all'impegno della fede ed abbiamo ricevuto il potere di essere figli di Dio.
Il messaggio di Lourdes e i segni che lo esprimono ti riconducono al mistero del tuo Battesimo; non
cercare dunque altro in essi, ma solo ciò che ha operato in te il Signore.
Nella conversione del cuore restituisci l'innocenza battesimale alla tua vita
Se ci guardiamo "dentro" ci scopriamo inclinati al male ed immersi in tante miserie. 11 bene ci attrae,
il male ci convince. È per questa nostra condizione di peccatori che nel giorno del Battesimo la chiesa
pregò per noi che tra le seduzioni del mondo avremmo dovuto lottare contro lo spirito del male
perché la potenza della morte e resurrezione del Signore, ci liberasse dal potere delle tenebre, ci
rendesse forti e ci proteggesse nel cammino della vita.
L'itinerario dunque segnato per tutti noi è quello battesimale. Posti dinnanzi alla santità di Dio, alla
immacolatezza di Maria, alla dignità del Battesimo che ci è stata donata, ripercorriamo la strada di
quell'innocenza mediante il sacramento della penitenza (Santa Confessione) che «instaura e
rinvigorisce» il dono fonda-
mentale della conversione ricevuto nel Battesimo e diventa terapia indispensabile per una intensa
crescita nella vita spirituale.
I
Nella Chiesa per incontrare Cristo e per incontrarsi tra gli uomini
Con le promesse battesimali abbiamo professato la nostra fede nella Chiesa cattolica. È nella Chiesa
infatti che si custodisce e si celebra Cristo.
Come fu una famiglia ad accoglierci nella nascita, così è stata un'altra famiglia, nel Battesimo, ad
accoglierci, la parrocchia, che ora vogliamo guardare nella fede, ritrovandone quel volto che esprime
il mistero di Cristo presente ed operante in essa.
Come non ti sei scelto una famiglia, ma hai accolto quella che ti è stata donata, così non puoi scegliere
la tua parrocchia, né tantomeno i tuoi preti, ma accogli quelli che ti sono messi a fianco e con loro,
rendila più amabile e splendente perché ritorni ad essere il cuore dei nostri paesi, l'oasi di pace delle
nostre città condensate di problemi e di anonimato, la casa di Dio e degli uomini.
Tu pietra viva per costruire con Cristo la sua Chiesa
Se dobbiamo guardare, come dice Isaia, alla pietra da cui siamo stati tagliati, ecco apparire davanti
ai nostri occhi quella pietra che i costruttori hanno scartato, ma che è divenuta la pietra angolare,
«sasso d'inciampo e pietra di scandalo».
Tagliati da questa pietra che è Cristo, con l'unzione crismale fatta dal sacerdote sul nostro capo
subito dopo il Battesimo, venne posto nella nostra vita il sigillo di una esistenziale e vitale
appartenenza a Lui che ci ha costituiti sacerdoti, re e profeti.
Non aver paura di essere una pietra scartata, perché la forza della tua testimonianza e l'efficacia della
tua missione cristiana non possono che passare per la via della persecuzione.
Contando non su quello che hai, ma su quello che sei, indossa anche tu come il Cristo «il grembiule»
del servizio.
Maria immagine e madre della Chiesa pietra di particolare bellezza
In questa meravigliosa costruzione della Chiesa, Dio ha posto Maria pietra di particolare bellezza,
come modello per ogni cristiano che voglia essere pietra viva.
È per questo che innalziamo gli occhi a Maria, tempio del Signore, che rifulge nel cuore del suo
Santuario come modello delle virtù.
Vergine illibata per l'integrità della fede, modello sublime di umiltà e di carità, incrollabile nella
speranza, forte nel dolore.
Poveri nella speranza, oppressi dal tedio della vita, paurosi di fronte alla malattia e alla morte se lo
vogliamo, possiamo trovare in lei rifugio e conforto, perché Ella nel corso della storia è stata sempre
«la speranza dei fedeli», il conforto dei disperati.
In cammino con Cristo per costruire insieme l'edificio dell'amore
L'intensa esperienza del pellegrinaggio ci ha ricondotto alle radici del nostro Battesimo,
consentendoci di rivivere la sua grazia, rivalutare i suoi doni e di rinnovare gli impegni assunti.
a Cristo, pietra angolare e fondamento della nostra speranza, Signore e Re dell'universo che affidiamo
l'ardua impresa di costruire l'edificio dell'amore sulle rovine delle famiglie senza gioia, delle città
senza pace, della società senza giustizia, frantumate da quella torre di Babele fatta
d'incomunicabilità, di arrivismi e di costanti prevaricazioni.
Non dovremmo perderci tra i nostri problemi, ma guardare alla missione che ci attende. Sui binari
della speranza e della fiducia continueremo insieme il nostro servizio perché:
• i nostri malati siano sempre più «esperti in umanità » e testimoni di coraggio;
• i nostri volontari servi inutili del Vangelo.
(3-4-1989)
A Lourdes si può riconoscere che veramente Dio ha scelto i poveri, perché noi ricchi imparassimo ad andare a braccetto con loro.
IL PELLEGRINAGGIO, CAMMINO DI POVERI IN CERCA DI BEATITUDINE
Io voglio restare povera” disse istintivamente Bernardetta a un giornalista che le faceva
balenare il miraggio del guadagno, mentre a qualcuno che cercava di far scivolare delle monete
nelle sue tasche rispondeva: «Mi bruciano».
Lei, la figlia di un mugnaio sfrattato, pastorella, infermiera e malata, forte e irremovibile nella sua
fedeltà al messaggio, possiamo dire che è stata una nitida immagine di quella povertà evangelica sulla
quale ha fissato lo sguardo la Vergine.
Sarà dunque come ha annunciato Mons. Plotti, il tema della povertà a guidare i nostri pellegrinaggi,
a provocare i nostri animi, perché l'incontro con la grotta di Massabielle non susciti solo emozioni, ma
ci avvicini al Vangelo dei poveri per iscrivere tra essi anche il nostro nome.
Alzeremo dunque lo sguardo nei nostri pellegrinaggi verso quel monte delle Beatitudini al quale
possono accedere i piccoli, i semplici, i miti, coloro che soffrono.
Quanti dunque si propongono di andare a Lourdes, siano essi nella veste di malati o di sani, saranno
invitati a incontrarsi nella povertà di chi ha scelto quel luogo e di chi ne ha fatto essere il «suo
paradiso». Però perché il discorso sulla povertà e l'impatto con essa, segnata dalla presenza del divino
impressa su quella roccia, tanto angolosa e ruvida, quanto familiare e accogliente, non crei solo
stupore, ma consenta di comprendere il mistero, accoglierne il messaggio e viverne la grazia, ci viene
proposto di percorrere un itinerario pedagogico per farci tutti discepoli del dettato evangelico
che l'annuncia come una beatitudine.
Per questo Mons. Plotti ha offerto otto piste catechistiche, valido strumento pastorale per inquadrare
i nostri pellegrinaggi nell'ottica evangelica e in quella ecclesiale.
Annunciamo da queste colonne i singoli temi nella loro dizione, perché si evidenzino in uno sguardo
d'insieme le tappe da percorrere per educarci anche noi come dice papa Giovanni XXIII «ad una
povertà contenuta e benedetta, che ha poche esigenze, che protegge il fiorire delle virtù più nobili e
più alte, e prepara alle elevate ascensioni della vita».
La povertà come beatitudine evangelica
Quale povertà; quella delle cose perché non soffochino lo spirito, quella del cuore perché sia capace di
amare Dio, quella delle opere perché non servano per possedere, ma per donare.
I laici impegnati a liberare il mondo dalla povertà
Perché ogni uomo sia restituito alla sua dignità, alla sua libertà e ai suoi diritti, è necessario che sia
vinta la fame, allontanata la miseria, fatta giustizia agli oppressi, curate le malattie e condannata
ogni forma di emarginazione.
La malattia una particolare condizione di povertà
“
I malati sono la vera «icona» della povertà evangelica, perché con le limitazioni e la sofferenza che
portano iscritte nel loro corpo e nelle loro facoltà «pongono in maggiore rilievo il mistero dell'essere
umano con tutta la sua dignità e grandezza».
Il malato, l'anziano e l'handicappato causa di conflitti sociali da sanare
Se è vero che il valore della vita non passa mai per la via della salute e dell'efficienza, ma per la
dignità impressa in ogni uomo, nessun malato soffra perché emarginato e nessun sano perché
intollerante.
L'Unitalsi servizio comunitario ed ecclesiale alla povertà dei malati
Servire la sofferenza è fermarsi accanto a ogni malato. Non passare «oltre», perché si senta amato da
Cristo, accolto dalla Chiesa, presidiato di affetto fraterno.
Barellieri e sorelle, chiamati a vivere personalmente la povertà evangelica
Non ti basti dare mani, tempo e possibilità, sappi donare più che te stesso il tuo amore per il Signore,
e con esso tutto quello che hai ricevuto, perché non diventi tuo ciò che è di Dio.
La malattia tra povertà e speranza
Nella malattia ci si sente spogliati della salute, di sicurezza, di considerazione, di possibilità e di
affetto, ma come Lui, rivestiti solo di amore, forza inesauribile di intime gioie e di segrete speranze.
La Madonna, modello esemplare di povertà
Come su di lei si posò lo sguardo di Dio, si posino anche i nostri occhi per contemplare la povertà della
sua casa, la semplicità della sua vita, l'umiltà del suo cuore, la ricchezza del suo amore, la grazia della
sua santità. Se deponessimo le vesti della nostra opulenza, allora potremmo indossare quelle della sua
povertà, annuncio profetico di evangelica beatitudine.
Che ogni pellegrino possa sperimentare la gioia della povertà evangelica, per diventare «icona» di
quelle beatitudini che sono state il fascino dei santi, la fatica dei cristiani, la tristezza dei gaudenti.
(3-4 1992)
La fiaccolata segna nel pellegrinaggio a Loreto uno dei momenti più forti, grazie all'indimenticabile don Luigi Paoletti, che volle farla
diventare celebrazione delle tenebre e della luce, perché meglio risplendesse il cammino di carità della Chiesa…
IL VANGELO, LAMPADA CHE SEMPRE DEVE ARDERE IN OGNI SANTUARIO
el suo magistero, Giovanni Paolo II ha parlato spesso dei santuari dedicati alla Beata
Vergine, qualificandoli come luoghi: «Di particolare pellegrinaggio del popolo di Dio, il quale
cerca l'incontro con la Madre di Dio, per trovare nel raggio della materna presenza di "colei
che ha creduto" il consolidamento della propria fede» (Redemptoris Mater n. 28).
Sembra, questa affermazione, definire efficacemente la vocazione del santuario e il carisma del
pellegrinaggio, identificandone ruoli precisi da non dimenticare né tantomeno da mortificare. È in
questa prospettiva che devono convergere gli sforzi dei responsabili sia dei santuari come dei
N
pellegrinaggi e a questa finalità devono tendere quanti si mettono in viaggio per raggiungere quei
luoghi dichiarati da Paolo VI «le cliniche dello spirito». Potrebbe questa essere una pia esortazione e
rimanere tale se non ci chiedessimo insieme come proporre oggi, attraverso il santuario e il
pellegrinaggio, il messaggio evangelico, di fronte non solo a una nuova cultura, ma anche a nuovi
pellegrini. Una accentuata caratteristica della cultura contemporanea è la netta separazione che si è
fatta tra il tempo del lavoro, strutturato da efficienza e razionalità, e il tempo libero riservato al
disimpegno più totale, alla ricerca del piacere e alla privatizzazione di noi stessi, con il rischio di
incorrere in forme di lassismo spirituale e morale.
È al tempo libero che oggi si affidano gli hobby da coltivare, le attività da intensificare, i grandi
movimenti di massa, gli itinerari
turistici, «alcuni allettanti e singolari», altri tipicamente culturali e religiosi. Un fenomeno però
sorprendente e in rapido sviluppo, nonostante l'impressione contraria che si potrebbe avere in un
mondo sempre più secolarizzato, è il pellegrinaggio, espressione di devozione popolare, con vere e
proprie caratteristiche culturali.
a questi uomini e donne che scelgono di qualificare il loro tempo libero, consacrandolo all'esperienza
del pellegrinaggio, che va offerta la possibilità di riappropriarsi di quella spiritualità sommersa
dall'invadente materialismo; di sperimentare nello spazio sacro del santuario la presenza di Dio; e di
giungere a capovolgere i criteri di giudizio, i valori, la mentalità, i principi e i modelli di vita di oggi,
mediante una radicale rievangelizzazione della propria esistenza.
I moventi che spingono oggi tanta gente verso i santuari sono tanti, da quelli ancora genuini di una
«religiosità popolare» espressione, in alcuni di una fede profonda e di una equilibrata devozione, e in
altri di una sterile manifestazione di gesti cultuali e devozionistici, senza impegnarsi in una autentica
adesione di fede, a quelli di esclusivi interessi cultuali o turistici.
E questa «religiosità popolare che va evangelizzata, senza un pregiudiziale rifiuto, ma accogliendola e
purificandola dalle sue scorie e valorizzandone gli aspetti positivi, per ricondurla verso una genuina e
limpida espressione di fede in Dio «in spirito e verità».
Tocca al santuario, col fascino della sua austerità, del suo silenzio, delle sue liturgie, dei suoi segni e
soprattutto della "icona" che ne costituisce il cuore, avvolta di eloquente misticismo, tenere sempre
accesa la lampada del Vangelo, perché di essa si illuminino quanti vi giungono, deponendo l'abito del
turista per vestire quello del pellegrino, l'abito del fariseo per indossare quello del pubblicano.
Maria nella luce del Vangelo
La lampada accesa del Vangelo perché «l'immagine di Maria» laddove numerosi santuari ne
custodiscono come in uno scrigno, la sua «icona», corrisponda ai dati evangelici che la rivelano
«pelleg rina nella fede» e al magistero della Chiesa, che invita i fedeli a innalzare la mente della «sacra
immagine» all'immagine evangelica di Maria di Nazareth, umile e povera, donna del grembiule,
prima ancora che donna coronata di stelle.
Il Vangelo della misericordia
la lampada accesa del Vangelo, perché il santuario sia luogo privilegiato di quella misericordia
riservata in abbondanza ai peccatori e identificata nel volto paterno e amabile dei confessori. Pur
inchiodati per ore e ore al loro ministero di grazia, non si lasciano prendere dalla stanchezza, ma nella
verità e nella pazienza, si impegnano ad ascoltare e incoraggiare chi piange il proprio peccato e a
suscitare con soave forza, un serio emendamento di vita in chi non ne sente il bisogno. Però né ai
pellegrini frettolosi, né ai confessori affaticati o troppo abituati, potrà risaltare il prodigio di amore
che il Signore opera nel segreto delle coscienze, né tanto meno percepire la grazia di quella
misericordia effusa, così in abbondanza dal Signore.
Il Vangelo della carità
La lampada accesa del Vangelo, perché il santuario manifesti la carità nei gesti più veri e genuini,
dell'accoglienza e dell'ospitalità verso i pellegrini e soprattutto verso gli anziani, gli infermi, i
portatori di handicap, ai quali vanno riservate «le attenzioni più delicate, i posti migliori, gli orari più
adatti e le celebrazioni che tengono conto della loro peculiare condizione» (dal documento pontificio
sull'Anno Mariano n. 76).
Una carità tanto provocatoria, perché chiede al santuario spazio, strutture e impone di eliminare le
barriere, quelle architettoniche e quelle psicologiche, riservando i primi posti naturalmente non ai
facoltosi, né ai notabili, ma a loro, a quelli che hanno la forza di dare volto, cuore e senso al Vangelo
di Gesù Cristo.
«I pellegrini - dice Mons. Plotti - saranno aiutati a scoprire il valore della sofferenza nei malati,
presenti in gran numero nei santuari e a capire che la vera forza di conversione del mondo sta proprio
in questa "profezia" che il malato sa vivere e testimoniare».
Il Vangelo della povertà
La lampada accesa del Vangelo perché il santuario esprima la ricchezza della povertà, nella sobrietà
delle strutture e dei mezzi, nel decoro degli spazi sacri, così che il senso del divino non sia sommerso
né dall'eccesso di sfarzi, né da spot pubblicitari, né dall'abbondanza di oggetti religiosi fattisi anch'essi
più beni di consumo o talismani, che segni di un efficace richiamo alla fede.
Ai pellegrini che giungono al santuario sia concesso di scorgere tra mille candele che ardono, la
lampada del Vangelo, impegnandosi ad accendere a essa la propria fiaccola, perché possano entrare in
pienezza nel mistero di Dio.
(7-8 1991)
La luce della Grotta di Lourdes raggiunge il cuore di chi sa sostare davanti al mistero che avvolge l'animo umano.
Il Papa Giovanni Paolo II nonostante la sua visibile sofferenza, nella giornata del malato, saluta nella Basilica di San Pietro i bambini.
PERCHÉ IL "VANGELO DELLA VITA” FACCIA ANCORA NOTIZIA
i sono già spente purtroppo le luci della ribalta anche su questa Enciclica «Il Vangelo della
vita». Perché queste pagine di impareggiabile portata storica, consegnate da Giovanni Paolo II
in questo ultimo scorcio di secolo non restino tra le conoscenze giornalistiche, è necessario che
dalle agenzie di stampa passino nei luoghi privilegiati della cultura, nei laboratori di genetica, nei
centri di ricerca scientifica, nel mondo sanitario e in quello più sconfinato della sofferenza, nei
tribunali e nei luoghi di pena, e naturalmente nel cuore di ogni comunità cristiana, perché vescovi,
sacerdoti e laici si facciano suoi testimoni e profeti.
Vorremmo in particolare noi sacerdoti, animati dalla «carità pastorale», essere compenetrati dallo
spirito profetico del Papa che ha consacrato la sua infaticabile vita di uomo, così fortemente segnata
dalla sofferenza e il suo indefettibile ministero apostolico a difendere la vita e a esaltarne la grandezza
umana.
Abbiamo preferito che passasse il momento corale di tantissime voci, risuonate all'indomani della
pubblicazione dell'Enciclica, per lasciare che fossero ora le opere, il coraggio e i gesti eroici di tanti
uomini, donne e giovani a testimoniare la gratitudine al santo Padre e a rassicurarlo che
continueranno a scrivere, anche con il sangue, questo inviolabile «Vangelo della vita».
Dall'osservatorio della sofferenza, dove più evidente si percepisce la necessità di accogliere, difendere
e promuovere la vita dell'uomo, per l'esperienza che da anni accompagna il nostro ministeo, si evince
che coloro che hanno più profondo il senso della vita, la amano e la celebrano, sono proprio i malati, i
disabili.
Se poi la luce della fede ne segna il cammino, hanno anche la forza interiore capace di infondere negli
altri una tale serenità da restare confusi.
Sono essi in prima persona a scrivere con il dono fragile del loro handicap il «Vangelo della vita»,
perché ogni figlio ricamato nel grembo di sua madre possa vedere la pienezza della luce e ogni
morente possa fissare quella del suo tramonto.
Sono essi a testimoniarci che il dramma vissuto dall'uomo contemporaneo, la sventura che può
azzerare la sua esistenza, non è la sofferenza fisica, la disabilità, la malattia, ma come afferma il
Papa: «l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, tipica del contesto sociale e culturale dominato dal
secolarismo. L'eclissi che porta inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale proliferano
l'individualismo, l'utilitarismo e l'edonismo. Così i valori dell'essere sono sostituiti da quelli dell'avere»
(n. 23).
È di questo dramma, che segna in modo quasi irreversibile specialmente le giovani generazioni, che
dobbiamo tutti prendere coscienza e farcene pienamente carico. E in questa prospettiva che va
affrontato il Vangelo della vita.
Ma in che misura è viva nei cristiani di oggi, questa coscienza del male che travolge le coscienze, della
corruzione che segna per la vita una innocenza, della dissolutezza che, se viola l'integrità del corpo,
distrugge la sublimità dei sentimenti, se coltiva i vizi rende incapaci a percepire la bellezza delle
virtù, a gustare il senso del sacro, a elevarsi a nobili e santi pensieri?
Quanto colpiscono di più la nostra sensibilità le immagini di un bambino ucciso dalla prepotenza
umana, che quello violentato dalla depravazione, senza lasciarci scuotere dalla durezza della parola di
Cristo, perché comprendessimo fino in fondo la gravita e il dramma del male che distrugge le
coscienze. «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli si menta al
collo una macina girata da asino e venga gettato nel mare» (Mc. 9,42).
Ha sempre risuonato con forza nella mia sensibilità pastorale la constatazione di quella madre, che
compresa del bene inestimabile della bontà del figlio, preferirebbe piangerlo al cimitero, più che
dietro le sbarre di un carcere. «È dunque nell'intimo della coscienza morale che l'eclissi del senso di
Dio e dell'uomo, con tutte le sue molteplici e funeste conseguenze sulla vita, si consuma».
Il Papa, oltre che parlare della «coscienza di ciascuna persona», afferma: «la coscienza morale della
società giunge a creare e a consolidare vere e proprie strutture di peccato contro la vita» (n. 24).
Questa amara constatazione cala come un macigno sulla mostra storia, sulla sua «cultura», che in
altri tempi potevano chiamare «umanistica» e che oggi per i fenomeni che attraversano la convivenza
civile dobbiamo chiamare «di morte».
S
Non è dunque il conflitto tra il bene e il male a muovere i passi della nostra storia personale e quella
dell'umanità, ma «la confusione - come afferma ancora il Papa - tra il bene e il male a condurre sulla
strada della sua degenerazione più inquietante e della più tenebrosa cecità morale» (n. 24), il
cammino dell'uomo, avvolto nella sua più insipiente sufficienza.
E in questo deserto di una società inaridita dalla filosofia del piacere e del consumo, logorata dalla
prepotenza dei suoi mali, dalla frenesia delle sue conquiste, che deve rinascere il senso della vita, la
coscienza del bene e del male, il primato dello spirito e la vera grandezza umana.
È questa innata speranza, che nell'affermazione evangelica «Io ho vinto il mondo», suscita i profeti
della vita, i testimoni della coerenza cristiana, gli uomini dell'onestà professionale, i promotori della
giustizia, i difensori dei deboli, gli uomini della comunicazione sociale tanto affezionati alla verità,
quanto al rispetto di ogni persona e di ogni suo dramma, i genitori di provata virtù, gli educatori
saggi e credibili, i servi della carità, i giovani trasparenti di limpidezza e di generosità.
Ad essi in modo specifico è affidato il compito di:
• ripresentare l'immagine autentica della vita umana, negli ideali
che la illuminano, nelle responsabilità che la impegnano, nella vocazione all'amore che la realizza e la
fa giungere alla sua pienezza;
• di abbattere le strutture di peccato che nella torre di Babele trovano ancora i loro contrafforti,
per ricostruire, prima ancora che la città terrestre, le coscienze al senso di Dio e dell'uomo, perché non
capiti più che qualcuno si tolga la vita nell'abitacolo della sua auto, qualche altro se la consumi tra gli
allucinogeni di esaltanti esperienze, altri se la corazzino di potere, altri se l'avvolgano di angoscia,
altri infine se la macchino di sangue.
Se sarà ancora il Vangelo della vita a fare «notizia», non avremo più il «mostro» in prima pagina, ma
il volto di una società più umana e più giusta.
(5-6 1995)
Loreto, momento culminante della giornata: la processione eucaristica, mentre il numeroso personale di assistenza la apre in un abbraccio di fede, accompagnando il Signore che passa a benedire i malati.
Il calvario di Lourdes ha il suo fascino, non solo perché suggestivo è il luogo che l'accoglie, ma perché meglio esprime i mille volti della sofferenza umana che si sono fatti pellegrini alla Grotta di Massabielle.
LA SOFFERENZA DA PARADOSSO UMANO A PROFEZIA EVANGELICA
e ci poniamo di fronte alla realtà della sofferenza, lo dobbiamo fare non da estranei a un
discorso che si vuole accademicamente intavolare, né da addetti ai lavori, pronti a fornire la
consulenza richiesta,
, ma da protagonisti di una esperienza che direttamente o indirettamente interpella la nostra stessa
condizione umana. Condizione chiamata ad assumere pienamente la fatica e la sofferenza della vita e
a darne in prima persona, con trasparente testimonianza un senso, il senso cristiano. «Nel contesto di
un mondo sconfinato come quello della sofferenza umana - dice il Papa nell'Esortazione apostolica
Christifideles laici (n. 53) - rivolgiamo ora l'attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue
diverse forme: i malati, infatti, sono l'espressione più frequente e più comune del soffrire umano».
Non si può dunque prescindere da loro, dalla loro condizione, non si può parlare della sofferenza se
prima non si diventa loro amici. Affinati dalle vicende della loro malattia si sono fatti «esperti in
umanità» e di conseguenza aperti allo Spirito che ne ha sublimato i sentimenti.
In loro mi si è sempre manifestata la potenza del Signore, che ha fatto della sofferenza una sorgente
di spiritualità. Non potevo meglio comprendere la «Theologia Crucis» studiata sui libri, che
mediandola nella straordinaria esperienza di grazia vissuta fin dagli inizi del mio sacerdozio a fianco
dei malati.
L'averli accompagnati nei pellegrinaggi e soprattutto l'averli avuti come amici in villeggiatura, nella
stessa casa parrocchiale per
più anni con una sorprendente e corale partecipazione dell'intera comunità, l'accudirli con la stessa
tenerezza che la madre usa per il suo bambino, è prova tangibile dei prodigi che opera l'amore.
L'aver vissuto con il mio predecessore e anziano parroco, condividendo con lui l'umiliazione di un
«male» che richiedeva un servizio tanto complesso, quanto capace di farti sperimentare fino in fondo
tutta la forza della tua umanità e la grazia della sua santità, è stata una scuola continua per entrare
intensamente e pienamente nel mistero della vita, della sua sofferenza e della fede che ne sublima
ogni spasimo e vince ogni paura.
Questo riferimento personale vuole avere la forza di una testimonianza che, prescindendo
assolutamente da qualsiasi prerogativa di merito (era nei miei doveri di uomo e di prete fare questo)
resta un dono di grazia. Sappiamo infatti che a chi più è dato più sarà chiesto e con la gioia di chi sa
che deve restare a operare nell'ottica del «quando avrete fatto tutto quello che dovevate dite, siamo
servi inutili» (Lc. 17,10).
Siamo dunque chiamati a entrare nelle pieghe più recondite della sofferenza umana, per scorgervi
l'immagine nitida del Crocifisso, che ne svela la profondità, ne evidenzia il valore e ne gratifica e
alleggerisce il peso.
Lontani dalla tentazione di un istintivo pietismo, dalla preoccupazione di voler a tutti i costi dare
risposte, vorremo sensibilizzarci per sensibilizzare, promuovendo una efficace cultura della vita, dei
suoi valori, delle sue speranze.
Se volessimo tentare una ricognizione sui problemi emergenti dell'uomo che soffre, dovremmo andare
al di là di quella radiografia a cui è sottoposta la nostra società dalle varie demoscopie con le loro
complesse proiezioni di dati statistici, per evidenziare non solo gli effetti, ma ritrovare le cause, e
intravedere lo spessore culturale e sociale che ne guida il fenomeno.
Facendosi oggi sempre più strada il mito della bellezza e dell'iperproduttività, i portatori di handicap,
i malati e gli anziani si portano dentro non tanto il peso del loro limite, quanto la sof ferenza di quella
vergogna che, come un marchio, ha impresso in loro la società, quasi fossero dei colpevoli solo perché
«diversi».
La Sacra Scrittura, grande libro della sofferenza
La teologia del mistero pasquale e l'autorevole magistero della Chiesa, sono più che esaurienti per
illuminare tutte le pieghe della sofferenza, perché sia pienamente recuperata la dimensione umana del
dolore, il suo valore salvifico e redentivo, la sua possibilità di farsi beatitudine.
L'abuso di un accentuato linguaggio consolatorio che invita alla rassegnazione e alla certezza di un
paradiso assicurato, non fa altro che mortificare la vita di coloro che pur malati vogliono sentirsi utili
e finalizzare anche la loro sofferenza nel senso più giusto e più evangelico, quale quello proposto dal
Signore, perché per amore e con amore siano protagonisti della loro esistenza ed evangelizzatori. La
S
Chiesa italiana attraverso la predilezione pastorale dei Vescovi, l'impegno caritativo dei sacerdoti e
delle loro comunità, ha da offrire alla sofferenza, spesso relegata nel tunnel dell'emarginazione:
La via dell'umanizzazione
La «Salvifici doloris» dice: «Non è lecito "passare oltre" con indifferenza ma dobbiamo "fermarci"
accanto a Lui» (n. 28). Di qui nasce lo stile che deve caratterizzare gli animatori pastorali «per» e
«con» l'uomo che soffre.
Il malato esige una risposta psicologica affettiva e umana alla sua sofferenza, perché nella malattia è
l'uomo che soffre. La dimensione personale della malattia come esperienza vitale può farne un
maestro di umanità e un testimone di amore.
La via dell'evangelizzazione
Nel percorrere la via dell'evangelizzazione, del dolore umano, si impone una scelta preferenziale,
quella della fede che sola può dare occhi nuovi, capaci di guardare e trovare nel volto dei malati il
volto di Cristo, perché ogni impegno profuso per loro non si fermi alla pura dimensione sociale, che
mortificherebbe la forza risanatrice del Vangelo e della sua grazia.
La nostra azione pastorale dovrà perseguire obiettivi precisi e sinceri, per non dare mai neppure la
parvenza di una facile strumentalizzazione, né tanto meno di quella possibile demagogia che
accompagna l'operato di certe postazioni politiche. Non altri che il Signore e il suo Vangelo siamo
chiamati a predicare. Non altri che l'uomo nella sua dignità, nei suoi diritti, senza mai nessuna
contropartita, siamo chiamati a servire.
La via della diaconia
Si annuncia allora difficile, ma urgente e irrinunciabile questa via perché diventi l'unica voce
autorevole, linguaggio incisivo e suadente, di una Chiesa che non ha da offrire «altro potere che il
servizio», altre prospettive che la spefanza cristiana. Al laicismo così invadente, che ha chiuso tante
coscienze al senso del divino, perseguendo la via di facili soluzioni anche di fronte al dolore e alla
morte, solo l'assunzione in proprio che farà la Chiesa di quanti soffrono, potrà opporre una cultura di
vita, di solidarietà, di accoglienza, togliendo definitivamente il velo del pregiudizio, del sospetto e
dell'indifferenza.
Non avremo altra via di accesso in questa contraddittoria società, che quella del servizio all'uomo che
soffre, e nessun'altra carta di identità che quella del buon Samaritano. Queste prospettive pastorali
sicuramente possono entusiasmare tanti malati che con noi vogliono essere i profeti della speranza e
della letizia cristiana.
(5-6 1989)
Aiutare una persona in difficoltà ad accendere la sua candela davanti alla Grotta è espressione di una luce ancora più grande, quella che
passa attraverso l'amore, frutto indiscusso di una fede operosa ed autentica.
Quei grani del rosario sono il segno di una vita accompagnata dalla fatica, dal sacrificio e da tanti meriti, che oggi illuminano e
confortano l'ultimo tratto di strada prima di raggiungere l'eterno.
LA SOFFERENZA, FORZA PER LA PREGHIERA E DONO PER LA PACE
on l'animo turbato stiamo vivendo i giorni della guerra del Golfo, lontana si da noi nello spazio,
ma tempestiva e presente in tutto il suo dramma nelle nostre case, già forse abituate a essa,
dopo l'ansia dei primi giorni del conflitto. Eppure non può essere messa a dura prova la nostra
umanità, anche nelle sue pieghe più recondite, perché faccia emergere ancora la compassione del
cuore e il travaglio della coscienza. Il coro universale delle preghiere innalzato dal cuore della Chiesa e
dalla fede di tutti i credenti, perché fossero le ragioni della giustizia e la logica dell'amore ad
allontanare lo spettro della guerra, è stato sommerso dal fragore delle armi. Potremmo dire con
l'amarezza di Paolo VI: «E chi può ascoltare il nostro lamento se non ancora Tu, o Dio della vita e
della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica...» (dalla preghiera per la morte di Aldo Moro).
Anche Giovanni Paolo II nella sua universale paternità ha chiesto a Dio: «Ascolta il grido unanime
dei tuoi figli, supplica accorata di tutta l'umanità».
La preghiera «strumento umile - afferma il Papa - ma se nutrito di fede sincera e intensa, più forte di
ogni arma e di ogni calcolo umano», deve trovare piena accoglienza nel cuore degli uomini, perché si
possa fare spazio alla riconciliazione e alla pace.
Ma come potrà essere intensa e efficace la nostra impetrazione, se anche noi come Cristo non
«offriremo preghiere e suppliche con forti grida e lacrime» (Eb. 5-7) a colui che può liberare dalla
morte
ed esaudirci per la nostra pietà?
Egli «sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull'altare della Croce» (prefazio della festa di
Cristo Re), si è impegnato con tutta la sua persona nella supplica e nel sacrificio, perché la sua
passione diventasse la più solenne e la più efficace preghiera d'intercessione, per fare del mondo un
«regno di giustizia, di amore e di pace».
Sentiamo di riconoscere che è così povera la nostra preghiera, perché forse più legata al desiderio del
cuore, ma non altrettanto alla fatica della vita ed al suo sacrificio, più ai nostri progetti, che al
mistero dell'amore crocifisso.
Una preghiera, la nostra, che invoca la pace, ma noi siamo in conflitto con la verità dell'amore, con
l'impazienza degli altri, con le ragioni della giustizia, con il coraggio del perdono e della
riconciliazione e con la tenerezza della misericordia. Al coro dunque di preghiere innalzato in
quest'ora di tenebre, vogliamo unire la sofferenza avvolta nel silenzio della discrezione o nell'oblio
dell'indifferenza altrui, che prende un volto e un cuore in migliaia di malati, di anziani, di bambini,
per ottenere nella fiducia della preghiera e nella forza della penitenza, la conversione del cuore. Quei
malati che a Lourdes hanno lasciato ai piedi della Grotta la promessa di soffrire con amore e hanno
aperto il cuore verso quelli che avevano più bisogno di conforto e di coraggio «abbandonandosi senza
C
riserve al volere di Dio, pur combattendo il male - afferma il nostro Arcivescovo Assistente Mons.
Plotti - consentono un processo di purificazione e di offerta, che dà impulso alla crescita spirituale di
svolgere una testimonianza particolarmente efficace di fede e di fraternità, così da rendere evidente
ed efficace la loro partecipazione alla missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo. È in questo
contesto che possiamo parlare di "sacerdozio" della sofferenza» (dal Sussidio Pastorale «Sacerdoti per
una Chiesa a servizio del mondo»).
A noi sacerdoti e ministri dell'altare, come alla schiera innumerevole di volontari, barellieri, sorelle di
assistenza, medici, religiosi e religiose che si dedicano al servizio della malattia, il compito di
raccogliere come in un sudario:
• l'innocenza di tanti bambini segnati dalla sofferenza, velata di una profonda dolcezza;
• l'amore delle loro madri che continueranno a tenerli sulle loro ginocchia in una costante e
sofferta tenerezza;
• l'esuberanza dei giovani, mortificata e inespressa sotto i panni dell'handicap;
• l'esperienza inutilizzata degli anziani, carichi non solo di anni, ma di meriti e di fatica;
• il dramma della morte, che lentamente si annuncia a quanti, colpiti da inesorabili mali, sono
chiamati a entrare nel suo mistero;
• e infine l'incapacità a percepire fino in fondo che la nostra pre-
senza al loro fianco è un segno vivo della bontà di Dio.
Consegniamo quindi la sofferenza, il dolore, la solitudine di tutti i nostri malati al Signore, perché sia
resa propizia ed efficace la grande e universale preghiera per la pace.
(1-2 1991)
È in questo sguardo di tenerezza che trova consolazione chi emarginato dalla società, sperimenta l'amore più che materno di chi sa farsi
prossimo davanti al dolore umano.
UNA GIORNATA PER CONTEMPLARE IL DOLORE DELL'UOMO
ome non essere grati a Giovanni Paolo II che ha proclamato la «Giornata Mondiale del
Malato» da celebrarsi ogni 11 febbraio nella memoria della Beata Vergine di Lourdes? È vero
sì, che di giornate se ne sono indette molte, sia nell'ambito ecclesiale, che in quello civile, ma
questo non consente che restino congelate nelle date del calendario, senza lasciare che si prolunghino,
nelle riflessioni e in rispettive scelte operative.
Una Giornata dunque che trova tutto il suo spessore umano, perché parte dal cuore di un Papa, che
fin dagli inizi del suo pontificato, ha con straordinaria sensibilità effuso la sua umanità sul dolore
dell'uomo.
C
Ne siamo testimoni noi e soprattutto le centinaia e centinaia di malati che nelle piazze, negli stadi,
nelle chiese, come in S. Pietro, sono stati a lui presentati, perché al suo passaggio, posasse la sua
mano su di loro, li accarezzasse, si fermasse ad ascoltarli. Ha affidato loro la consolazione del Cristo,
fattosi tenerezza e amore nei suoi gesti, nella sua ineffabile umanità, aperta alla commozione di chi
contempla con gli stessi occhi del buon samaritano il mistero della sofferenza. Il suo magistero
iniziato con l'accorato appello a Cristo «Redentore dell'uomo», ha proclamato che in lui «ogni uomo
diventa la via della Chiesa» e nell'Enciclica Salvifici doloris sottolinea che: «In modo speciale lo
diventa quando nella sua vita terrena entra la sofferenza» (n. 3).
Non è solo il maestro che parla dalla sua infallibile cattedra, ma anche il testimone di una sofferenza
che ha pervaso il suo animo e segnato profondamente il suo corpo.
Per questo trova piena ragione la proclamazione della Giornata, tanto che egli stesso ci ricorda come:
«non é lecito passare oltre con indifferenza, ma dobbiamo fermarci accanto all'uomo che soffre».
Debbono fermarsi e non passare oltre:
• i Vescovi pastori delle nostre Chiese, perché il lembo della loro veste come quello di Cristo,
nella ricchezza della loro umanità e nel carisma di grazia che accompagna i loro gesti possa «risanare,
consolare, e confermare la fede»;
• i sacerdoti, perché nessuna giustificazione, nemmeno quella del culto, li spinga a passare oltre,
senza intravedere in lui la presenza divina, che quasi come nel sacramento, nasconde mirabilmente
quella di Cristo;
• i cristiani, perché imparino a riconoscere Cristo nei poveri e nei sofferenti e attraverso il
Vangelo della misericordia, rispondano al dolore dell'uomo affidandolo all'Uomò dei dolori, termine
ultimo di ogni umano dolore;
• gli operatori sanitari, perché • sappiano sempre intravedere in ogni malato l'uomo che soffre e
ogni struttura sanitaria nella sua complessa e delicata organizzazione terapeutica, sia un autentico
presidio umano per ogni patologia;
• i volontari, nelle molteplici associazioni che li muovono in questa azione umanitaria e
cristiana, perché nella gratuità del dono e della sensibilità umana ed evangelica, sappiano avvolgere
di silenzio la loro presenza, di discrezione il loro servizio, di verità i loro gesti, per cogliere in questo
fermarsi tutto il senso e la ricchezza della vita umana;
• infine i malati, perché sostando anch'essi sul loro dolore, senza ignorarlo, né impietosirlo,
possano farsi protagonisti di una Giornata che chiama tutti a entrare nelle pieghe più recondite
dell'uomo, perché non si ritrovi mai solo nel suo soffrire.
Chi potrà non solo darci la pazienza di fermarci, ma anche la fede per contemplare il dolore dell'uomo,
se non lei la Vergine che nell'immagine viva della «Pietà», segnò ai piedi della croce l'inizio di ogni
sconfinato dolore materno, soffuso di intenso amore e di mirabile tenerezza?
Che questa «Giornata» possa avere la forza di illuminare e sostenere la vera e faticosa giornata
terrena dell'uomo, perché non gli sia tolta la voglia di vivere, ma gli sia data la possibilità di
spenderla totalmente per l'unico ideale, quello dell'amore.
(5-6 1992)
È in questo delicato atteggiamento che puoi veramente ascoltare ciò che il malato non dice.
UNA GIORNATA PER... CHIAMARE IL MALATO CON IL SUO NOME
uole essere ancora il messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Malato perché la sua
celebrazione sia «occasione per crescere nell'atteggiamento di ascolto, di riflessione e di
impegno fattivo di fronte al grande mistero del dolore e della malattia» (Lettera Apostolica
"Salvifici Doloris").
Abbiamo già sottolineato in una precedente riflessione che il Papa anzitutto rivolge il suo appello «ad
ogni uomo di buona volontà», perché sappia cogliere da questo dramma del dolore tutta la ricchezza
umana che vi si nasconde.
Subito dopo, aprendosi a un tono confidenziale e paterno che gli è proprio, con lo sguardo rivolto
all'umanità intera dice: «a voi, malati carissimi di ogni parte del mondo, protagonisti di questa
Giornata, tale ricorrenza rechi l'annuncio della presenza viva e confortatrice del Signore».
A scanso di equivoci, perché questo giorno a loro dedicato non si riduca «ad una mera manifestazione
esteriore» (dal messaggio) e io aggiungo, perché non si corra il rischio ancora una volta di suscitare
pietismo più che autentici motivi di speranza, vogliamo adoperarci nella preparazione e nello
svolgimento di essa a fare in modo che siano veramente loro «i protagonisti».
«Protagonisti», sottolinea il Papa, perché «anche i malati sono mandati come operai nella vigna del
Signore» (n. 53).
Questa è la novità che ha risuonato nell'Esortazione apostolica Christifideles laici e questa deve essere
la nuova pedagogia che ac-
compagna il cammino della Chiesa nella sua azione pastorale «per e con i malati ed i sofferenti» (n.
54).
Ciò richiede un impegno e una presenza diversa per superare quella concezione consolatoria che può
rasentare il pietismo.
Confessiamo pure che il nostro innato istinto umanitario ci ha fatto esercitare una presenza più
assistenziale che promozionale, ci ha dato un linguaggio più invitante alla rassegnazione che a una
positiva accettazione, proponendo più il Cristo Crocefisso che il Cristo risorto.
Spinti da forti motivazioni teologiche e da certe ansie pastorali abbiamo esaltato la sofferenza
pensando di poter spiegare e di consolare, senza entrare in quella dimensione umana che sola può
comprendere più che il dolore, colui che ne è segnato, più che gli interrogativi, il disagio e il coraggio
di chi ne ha saputo farne una ragione di vita.
Se poi l'analisi si estende alla pubblica opinione, allora dobbiamo costatare che la società ha
identificato i malati, i disabili con i loro handicap, stigmatizà.ndo in loro una considerazione e
un'immagine di se stessi estremamente negativa e provocando una evidente tristezza e una sensazione
di colpevolezza e di vergogna.
V
Sono stati chiamati più con il nome dell'handicap che con quello di battesimo. La loro immobilità
posta sempre in rilievo non ha favorito quel cammino promozionale richiesto a ogni individuo e
soprattutto non li ha fatti sentire protagonisti della loro vita. L'invito del Papa a essere protagonisti
di questa Giornata Mondiale, è richiamo a prendere coscienza sia dei talenti e delle potenzialità che
hanno, sia della missione che devono svolgere nella Chiesa e nel mondo.
Protagonisti per proiettare su questo benedetto schermo dell'handicap inedite aspirazioni, progetti di
vita, impegni di servizio e di donazione.
Protagonisti per occupare quello spazio ecclesiale che é proprio di ogni cristiano secondo doni e
carismi. Riconosciamo però che né loro, né noi siamo abituati ancora a ritrovarci insieme in un
consiglio parrocchiale, in organismi pastorali, nei gruppi giovanili, nelle assemblee liturgiche per
cantare, animare, o in ambiti educativi come quelli della catechesi, convinti che a essi vada rivolta la
nostra azione caritativa, senza richiesta alcuna di partecipazione all'azione pastorale.
Protagonisti per lanciare un ulteriore messaggio alla società sufficiente di oggi; quello di volersi
inserire in essa a pieno diritto, infrangendo quelle barriere che possono rendergli difficile il cammino
familiare, lavorativo, culturale, condizioni indispensabili per una piena integrazione umana e sociale.
Protagonisti per recuperare nella fede il senso di se stessi e del proprio dolore, perché non si perda
dietro l'amarezza di un'incompiuta esistenza umana, ma si valorizzi nella luce di chi ne ha voluto fare
una fonte di salvezza e un segno di un'umanità nuova.
Protagonisti per indicare i nuovi itinerari della carità, che nel segno di una forte e convinta
comunione ecclesiale «dovranno - come afferma il teologo William Smith - evitare qualsiasi
dicotomia, evidenziando come il ricevere non diminuisce la dignità umana e viceversa. In colui infatti
che dona é richiesta la cura. In colui che riceve
richiesta la fiducia».
Protagonisti perché vinta la tentazione del sospetto, accolto a fronte alta l'aiuto di cui necessitano,
possano farsi profeti di quell'umanità, che chiama tutti a condividere i doni della salute,
dell'intelligenza, della fede e dell'unico ed eterno destino dell'uomo.
Se allora nella preparazione, nella celebrazione e nelle proposte che seguono ogni Giornata Mondiale
del Malato, tra gli interlocutori, i promotori e gli organizzatori di questo appuntamento, ci saranno
anche loro, i malati, avremo sicuramente risposto non solo al desiderio del Papa, ma anche agli scopi
di una Giornata, che deve inaugurare i tempi forti della carità per la Chiesa, della solidarietà per il
mondo, della speranza per chi vive in compagnia dell'handicap e della sofferenza.
(1-2 1993)
Lourdes. Vengono presentati i registri firmati dai partecipanti al pellegrinaggio nazionale nel novantesimo dell'Unitalsi, registri che sono
stati posti in una urna all'ingresso del Salus nel settembre del 1993
UNA GIORNATA PIÙ CHE PER LORO PER LE NOSTRE RESPONSABILITÀ
iamo già pronti a celebrare la II Giornata Mondiale del Malato voluta da Giovanni Paolo II e
affidata anche quest'anno «agli infermi, agli operatori sanitari, ai cristiani e a tutte le persone
di buona volontà», perché sostassero a riflettere sul tema del «dolore salvifico», per
comprendere insieme il senso cristiano della sofferenza.
S
A dieci anni dalla promulgazione della Lettera apostolica "Salvifici Doloris" credo che non abbia
ancora la luce di questo messaggio permeato la realtà del dolore, il dramma che esso provoca, la
solitudine che lo accompagna, la preziosità che può rivelare, e questo perché manca quella compagnia
umana e spirituale, che dovrebbe sostenere chi ne è segnato.
Ecco allora interpellata la comunità cristiana, alla quale quest'anno la Consulta Nazionale per la
Pastorale della Sanità chiede di porsi accanto a chi soffre. L'intento sicuramente della stessa Consulta
non è quello di lanciare uno slogan, di cadenzare come è prassi, anche questa Giornata di un tema, ma
di dare inizio a una serie di provocazioni, che devono inchiodare alla propria responsabilità pastorale
l'intera comunità cristiana. In termini più accessibili e più concreti, almeno negli ambiti territoriali
che la configurano, è "la parrocchia", con il suo pastore, i suoi organismi, le sue strutture, i suoi
programmi, le sue scelte prioritarie, i suoi più urgenti interventi. Gioverebbe alla nostra sensibilità di
pastori richiamare i documenti conciliari e il magistero della Chiesa in questi ultimi decenni per
comprendere il senso profondo della «scelta preferenziale degli ultimi», della «Evangelizzazione e la
Testimonianza della carità», e l'interrogarci sulle scelte pastorali da fare, perché la sollecitudine della
Chiesa non rimanga scritta nei documenti, non risuoni soltanto nei convegni, né si arresti tra le
maglie dei complicati progetti pastorali, ma s'incarni con forza, mediante scelte e gesti concreti, nella
vita della parrocchia.
Vale la pena anche graficamente evidenziare quanto la Conferenza Episcopale nel documento sulla
Pastorale della Salute, ricorda a proposito delle responsabilità pastorali della comunità cristiana di
fronte al mondo del dolore.
«È compito della comunità cristiana, da quella universale a quella particolare, prendere coscienza dei
problemi della società, della grazia e della responsabilità che riceve dal Signore nei riguardi degli
ammalati e della loro assistenza, offrendo a loro ogni aiuto e conforto dalla parola di Dio, ai
sacramenti e all'interessamento fraterno» (n. 24).
Il soggetto primario della pastorale sanitaria è l'intera comunità cristiana «È compito di ogni
cristiano impegnarsi nella diaconia della carità verso il malato e di contribuire attivamente alla
promozione dei valori cristiani nel mondo della salute» (n. 23.
Grazie a delle schede della Consulta Nazionale possiamo offrire alle nostre comunità contributi
concreti, sia per una riflessione, sia per consolidare le scelte operative già messe in atto, sia per
iniziarle, là dove ancora le comunità sono in attesa di proporle.
Il mosaico dalla sofferenza umana
il primo dato da conoscere, è quell'osservatorio della carità da mettere in atto nell'ambito della
parrocchia, per avere una mappa esatta della situazione, perché non capiti di sentir dire che nella
propria parrocchia non ci sono né persone disabili, né malati, solo perché qualcuno non si è
interessato di saperlo.
Avuto completo il quadro della situazione una parrocchia, il consiglio pastorale e gli organismi
preposti alla carità, potrebbero interrogarsi su che cosa fare, su come essere accanto a chi soffre. Le
cose da programmare sarebbero molte, ma penso si potreb be cominciare a dirne alcune a voce alta,
per dare concretezza all'accoglienza, alla condivisione, al pieno inserimento di questi fratelli e amici
nella nostra comunità. Perché non si dica più che sono i prediletti del Signore, se non lo sono anche
per noi, se non sono nel nostro cuore, se con noi in prima fila non ci sono mai. Non basta ricordarli
nelle preghiere se non diamo mai la possibilità di essere a Messa con noi.
La comunità cristiana, dunque, è accanto a chi soffre, a tutti questi amici che chiameremo per nome,
prima ancora che con il nome dell'handicap che li accompagna, con questi gesti concreti che deve
compiere:
• eliminazione delle barriere architettoniche e di quelle psicologiche;
• pieno inserimento nell'ambito della comunità parrocchiale, perché sia vinta almeno nella vita
ecclesiale quell'emarginazione che nel tessuto sociale resta una tra le più vistose smagliature;
• strutture pedagogiche che consentono un itinerario catechistico per i disabili, perché come
ogni figlio siano educati alla fede e iniziati alla vita sacramentale;
• offrire il dono della consolazione divina che nel sacramento dell'Unzione solleva il dolore e
recupera alla speranza;
• discernimento per individuare doni e attitudini presenti nei malati, perché possano diventare
soggetti di azione pastorale nel cuore della parrocchia;
• sostegno e difesa dei loro diritti nell'ambito della realtà sociale, perché istituzioni pubbliche e
private assicurino un tenore di vita degno della loro condizione e ne valorizzino in attività di recupero
ogni possibilità, non ultima quella lavorativa.
La Giornata del Malato quest'anno dunque centra secondo le indicazioni della CEI la sua attenzione
sulla comunità cristiana, interrogando parroci, laici impegnati piccoli e grandi, giovani e anziani su
questa loro personale responsabilità. Si accorga qualcuno, anche senza tavole rotonde o proclami, che
nelle nostre parrocchie stare vicino a chi soffre significa spalancare le porte delle chiese, dei gruppi,
dei movimenti e delle associazioni e dare pieno compimento a quella vocazione cristiana, che anche
nei malati è principio e fondamento di speranza e di evangelizzazione.
Faccia pure ogni parrocchia le scelte pastorali che crede più opportune, ma non dimentichi che quelle
sul fronte della sofferenza sono obbligate, pena la sua sensibilità umana e la sua credibilità.
(1-2 1994)
È davanti a quella Grotta, che ognuno trova la sua grazia, sano o malato che sia, come la trovò Bernardetta inondata di luce dalla bianca
Signora.
È sempre il cuore di una donna che meglio può entrare con la sua delicatezza materna nel mistero del dolore, come la Madonna entrò
in quello del Figlio.
IL PAPA AFFIDA IL DOLORE UMANO A "OGNI UOMO DI BUONA VOLONTÀ"
ono passati pochi giorni dalla pubblicazione del messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata
Mondiale del Malato, e vorremmo che non restasse nascosto tra le pagine di quei giornali che,
più o meno generosamente, gli hanno dato spazio. Ci auguriamo invece, che già sia sul tavolo di
quegli organismi ecclesiali e civili che presiedono a questo servizio della malattia, solleciti a proporre
precise scelte di sostegno e di promozione.
Credo che la giornata da celebrarsi debba essere preparata a lungo come suggerisce il sussidio
pubblicato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari quando afferma: «Di
organizzare nei tre mesi che precedono la celebrazione, un incontro di riflessione e di preghiera
mensile per tutti».
Ecco dunque il messaggio del Santo Padre che, aprendo lo sguardo sul «grande mistero del dolore e
della malattia», chiama in causa «ogni uomo di buona volontà», perché si apra alla comprensione di
questa inevitabile condizione umana. Vorrei del messaggio del papa cogliere per il momento questa
sua peculiare indicazione, che mira tra i destinatati a mettere in prima fila «ogni uomo di buona
volontà», depositario sia del germe del dolore, come di quell'istintivo sentimento che desidera velarlo
di intima riservatezza e di comprenderlo negli altri.
È ancora l'attenzione per l'uomo e la fiducia in lui che il Papa evidenzia appellandosi alla sensibilità
umana dei più, ce lo auguriamo, che siano i più, perché con i suoi occhi di pastore e con il suo cuore di
padre, anch'essi sappiano sentire tutta la compassione che in questi tempi «di angoscia e di miseria»
suscita lo scenario del mondo.
Basterebbero le immagini televisive che portano dentro le nostre case lo spettro della fame, della
miseria, della morte, sperando che anche ad esse non ci siamo già abituati o tanto peggio abbiamo
girato canale, senza sentire vibrare nel cuore il pianto accorato dei bambini che chiedono pane e non
c'è chi lo spezzi loro, chiedono acqua e non c'è chi la versi.
Dove sono gli uomini di buona volontà? Che volto hanno, che udito hanno, se ancora il grido dei
poveri, il lamento dei malati, il pianto accorato dei bambini, rimangono inascoltati?
Ipnotizzati dalla cultura del piacere, prevale ancora tra gli uomini quella vigliaccheria che li porta a
disperare di fronte al proprio dolore e a passare indifferenti davanti a quello degli altri.
Così il dolore si perde tra le pieghe di una società gaudente, che tenta a tutti i costi di nascondere la
realtà, togliendo all'uomo stesso una parte della sua umanità e impoverendone lo spirito.
S
Non mancano i luoghi che accolgono il dolore, ma mancano quelle condizioni che dovrebbero
presidiare di affetto, oltre che di cure sanitarie, chi porta il peso di un'infermità, il dramma di una
malattia, la precarietà dell'avanzata anzianità.
Questo messaggio è rivolto agli uomini di buona volontà, posti sugli spalti della vita sociale, perché
tolgano al dolore umano il velo della vergogna che lo tiene nascosto e lo restituiscano pienamente alla
considerazione:
• della cultura, perché ne riproponga quei valori che hanno segnato la storia del'uomo di
solidarietà e di pace;
• dell'economia, perché «La gestione del pubblico denaro, serva per assicurare a quanti ne
abbisognano la prevenzione della malattia e l'assistenza nell'infermità»;
• della famiglia, perché sia la prima garante di quell'accoglienza e di quell'amore di cui ha
bisogno ogni uomo che soffre;
• della scuola, perché trovi in esso la migliore lezione da offrire alle
giovani generazioni e la più efficace pedagogia per ogni autentica crescita umana;
• dei mass-media, perché non se ne servano per far notizia, mettendone a nudo il dramma che lo
avvolge, ma circondandolo di riservatezza, sappiano muovere le coscienze alla solidarietà e alla
comprensione.
Siamo testimoni che gli uomini di buona volontà ce ne sono moltissimi e proprio in questi giorni si
sono dati appuntamento in Vaticano, convocati dal Pontificio Consiglio della Pastorale per gli
operatori sanitari, per affrontare il problema «dei disabili nella società».
«Questa conferenza internazionale - ha affermato il Cardinale Angelini - vuole fare il punto sulla
condizione dei disabili nella società di oggi e ribadire l'impegno della Chiesa, sia diretto sia di sostegno
a quanti operano nel servizio dei disabili, perché dalla loro esistenza sia cancellata ogni forma di
emarginazione e, insieme ci si adoperi in tutti i campi e a tutti i livelli interessati, per una migliore
assistenza sanitaria, per il loro reinserimento sociale, per la valorizzazione umana e spirituale delle
loro capacità e potenzialità».
Nell'aula Paolo VI più di ottomila persone hanno sostato in riflessione sul dolore umano nascosto
dietro la complessa morfologia dell'handicap. Tantissimi, dunque, gli uomini di buona volontà:
scienziati, ricercatori, sociologi, psicologi, medici, giuristi, teologi, moralisti, uomini di governo e con
essi molti disabili, non solo protagonisti del dolore, ma impegnati in prima persona a promuovere
insieme sul piano della cooperazione internazionale, un'azione più concreta e immediata.
Ecco la consolante realtà di una nuova cultura che si affaccia all'orizzonte di questo tramonto di
secolo, la cultura «dell'umano» che proprio dalla malattia trova l'occasione, come dice ancora il Papa:
«Per far nascere opere di amore, per trasformare tutta la civiltà umana in civiltà dell'amore».
A tutti gli uomini, perché tutti diventino «di buona volontà» gi unga il messaggio del Papa, giunga la
materna sollecitudine de Chiesa, giunga l'eco misteriosa del dolore perché in esso ognuno ritrovi la sua
umanità, ne sappia adorare il mistero prima ancora che curarne le piaghe, infonderne quell'amore che
Lui, l'Uomo dolori, il Crocifisso, vuol affidare a ogni uomo che soffre.
(11-12 1992)
Pellegrina anche lei, unisce la sua voce al coro di preghiere che inonda l' Esplanade, mentre un sussulto di fede sostiene la sua fragile
vita.
È nel girotondo di questi bambini e giovani che ritroviamo la gioia della vita, solo perché unico è il passo, quello dell'Amore.
INSIEME CON I DISABILI PER UNA FORMAZIONE MORALE SENZA SCONTI
n Convegno di vasto interesse e di inedite proposte viene offerto sulla «formazione morale dei
disabili» da parte dell'Ufficio Catechistico Nazionale in quell'ambito specifico della catechesi
nell'area dell'handicap. Tre giorni ricchi di emozioni (Chianciano, 22 — 24 Marzo 1996), di
sollecitazione, di prospettive, animati dall'amore grande per il dono fragile dei nostri disabili che
vogliono essere la compagnia delle famiglie, dei catechisti, degli educatori, della comunità cristiana,
nella fede e nell'obbedienza gioiosa alla verità del Vangelo.
La presenza significativa e qualificata di alcuni non udenti, di alcuni non vedenti e di qualche amica
in carrozzella, ha coinvolto pienamente l'Assemblea aiutata da loro stessi a entrare più da vi-chic)
nella realtà della disabilità e a percepire dietro lo schermo del loro handicap quell'inesauribile
ricchezza umana che segna il passo alla riflessione, alla considerazione del essere e non del fare.
Gli occhi luminosi e così eloquenti dei non udenti, dei loro gesti, la sorprendente e instancabile azione
delle loro interpreti hanno catalizzato la nostra attenzione, aiutandoci a cogliere nella parola espressa
U
dai gesti e dai simboli tutto lo spessore dei suoi contenuti. La lettura scandita e sicura dei non
vedenti, ha testimoniato la grande possibilità di percorrere gli itinerari della formazione morale,
partendo dal loro vissuto, come dal limite per raggiungere la pienezza della maturità.
Alle interessanti relazioni sulla persona disabile e la verità morale sono seguiti i gruppi di studio
costituitisi in cinque commissioni differenziate per aree di disabilità, per meglio individuare nella
complessa morfologia dell'handicap possibilità, limiti, esigenze e reazioni.
Area motoria
Una disabilità fisica che permette di vivere in pienezza di coscienza l'esperienza cristiana, con la
possibilità di assumere nell'interno della comunità ruoli precisi di servizio, di animazione, di
catechesi.
Area dei sensoriali non udenti
Il sordo è stato definito «un uomo degli occhi», il suo canale comunicativo infatti non è l'udito che è
«impedito», bensì la vista, Che cosa percepisce oggi egli della realtà sociale del comportamento
comunemente accettato della verità etica dei media? Si tratta, come ha suggerito il gruppo di studio
nell'offrire un cammino di formazione, di evitare un pericolosissimo errore, quello di dire «Tu devi
essere come gli altri», piuttosto che dire «Tu devi essere te stesso», questa è la condizione esistenziale
per il non udente, perché non si preoccupi soltanto di parlare bene, ma soprattutto «di vivere bene».
Per un pieno inserimento nella comunità cristiana, il gruppo auspica l'adozione e la uniformazione dei
«segni religiosi per la comunità italiana dei sordi». Come accoglierli nei nostri pellegrinaggi?
L'area sensoriale dei non vedenti
La disabilità visiva riduce la possibilità della comunicazione e incide sulla comprensione di sé, ma il
non vedente recupera in vari modi il canale comunicativo con la realtà.
Il suo cammino di formazione morale fatto all'interno della comunità, gli consenta di valutare i
diversi stati di vita, matrimonio, vita consacrata, pur consapevole delle difficoltà che possono
frapporsi, considerando anche la situazione socio-culturale del tempo presente.
Il suo ruolo nella comunità si evidenzi in gesti concreti di accoglienza e di discernimento por carismi e
attitudini proprie di ogni persona.
Area della disabilità intellettiva
Si è affermato che il disabile intellettivo, anche in gravi condizioni, è capace di intuizioni, di
coscienza, è in grado di capire il suo valore di persona, la sua dignità e la sua sacralità. Perché ciò
diventi certezza in lui, ha bisogno di sentire, di sperimentare questa verità nella sua vita affettiva e
relazionale.
La comunità cristiana attivando energie, competenze e collaborazioni, servizi e mezzi per la
formazione umana e affettiva di queste persone, deve scoprire nei loro limiti il dono di grazia che si
nasconde, e la rivelazione se pur misteriosa della tenerezza divina, che si manifesta nel silenzio e nella
contemplazione del volto di questi suoi «piccoli».
Area della disabilità psico-mentale
Il gruppo si è sforzato di entrare nel vivo di questa disabilità che si evidenzia in tutto il suo dramma,
specialmente quando i suoi segnali si identificano con i disturbi di comportamento.
Vengono allora suggerite delle linee guida perché la comunità non si disorienti:
• dinànzi alle loro famiglie, non si può non mettersi in ginocchio;
• l'accoglienza della comunità sia fatta di spazi, di comprensione, di pazienza perché tutti ci si
educhi a comprendere che il loro disturbo di comportamento è il segno del loro essere e del loro
manifestarsi;
• si offra a essi una catechesi fatta di immagini, di musica, di canti, di simboli e disegni, di mimi,
e di liturgie particolari;
• creare una cultura della persona.
Queste sono alcune analisi proposte e sensibilità espresse da coloro che in prima persona vivono
questo rapporto privilegiato con i disabili. Alla loro fatica come al loro impegno umano e cristiano la
Chiesa italiana manifesta la sua gratitudine e la sua sollecitudine pastorale e ne dà testimonianza
Mons. Betori Direttore dell'Ufficio Catechistico Nazionale, che raccogliendo ogni attesa conclude i
lavori del Convegno, sottolineando i traguardi raggiunti nei quattro anni di lavoro svolto dal Gruppo
di coordinamento, e la risposta avuta da molti Uffici Catechistici diocesani attivatisi in questo
servizio di catechesi ai disabili.
Un segno di speranza sono i giovani, che numerosi hanno partecipato al Convegno, coinvolti in prima
persona in questo itinerario di formazione morale.
L'orientamento di fondo, afferma Mons. Betori, che ha guidato questo Convegno è stato quello di
affidarsi alla verità di Dio, alla verità dell'amore, perché sia presentata in tutta la sua pienezza, senza
chiedere sconti anche per coloro che si trovano in situazioni di handicap. Verità morale, che consente
di scoprire la piena dignità della persona e la sua unica e irripetibile identità.
Solo il peccato è il vero e drammatico limite che oscura la dignità della persona, nessun altro limite la
può intaccare.
In questa prospettiva, egli suggerisce alcuni criteri per muoversi sui passi della formazione morale:
rispetto della dignità della persona nella sua diversità, il saper cogliere e legare insieme questo
apprezzamento della diversità con la comunità, mettendo insieme coralmente doni e limiti per
l'edificazione comune.
Da questo Convegno possono dedursi alcune istanze pastorali che Mons. Betori riassume così: una
Chiesa più ministeriale per promuovere l'educazione alla fede e alla morale in una circolarità di
esperienze, un'accoglienza e promozione delle capacità di tutti i disabili, anche attraverso i gesti più
semplici, un cammino da fare con le famiglie, trovare linguaggi di fede e di morale più simbolici e più
testimoniali. Infine, attendere alla formazione dei catechisti, dei seminaristi e dei genitori.
Il Convegno ha posto un'altra pietra in questo edificio dell'annuncio evangelico che si prende cura
degli ultimi e le prospettive all'orizzonte si allargano, perché l'itinerario iniziato con l'educazione alla
fede dei disabili e continuato con la loro formazione morale, non può, come dice ancora Mons. Betori,
che condurre alla celebrazione e alla partecipazione piena dei sacramenti. Nel caso dei nostri figli
disabili, i sacramenti diventano espressione di quell'inserimento concreto e vitale nella comunità
cristiana, e di quella più evidente appartenenza a Cristo che li ha scelti a essere per noi sacramento
della sua presenza.
Quali prospettive di servizio si aprono anche per l'Unitalsi!
(3-4 1996)
Nei suoi viaggi apostolici i malati erano sempre in prima fila: "sono la mia forza", fino a quando, segnato profondamente dalla malattia,
diventerà testimone della sofferenza vissuta con amore e per amore alla Chiesa.
VARCANDO LE SOGLIE DELL'OSPEDALE
arcando le soglie dell'ospedale immancabilmente mi sento stringere il cuore, perché in nessun
altro ambito sociale è così espresso e visualizzato il dolore umano e così identificato nel nome
e nel volto di chi ne ha fortemente segnata la vita.
Non vorrei lasciar spazio soltanto all'emotività, quasi da voler in me e in quanti avranno occasione di
leggermi, suscitare un'istintiva commiserazione, ma aprire lo sguardo e il cuore «rivolgendo
l'attenzione - come dice il Papa - a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse forme: i malati
infatti sono l'espressione più frequente del soffrire umano» (Lettera Apostolica Fedeli Laici n. 531).
A essi, alla loro pregnante condizione di debolezza, al loro silenzio eloquente e carico di mistero,
vorremmo affidarci tutti noi, tanto sufficienti nelle nostre sicurezze, quanto precari nella nostra
salute' e depositari del germe del dolore, per tentare di comprendere questa inevitabile condizione
umana, perché nessuno osi penalizzarla, né ridurla a un puro destino avverso.
Penso allora all'immensa realtà sanitaria, alle sue complesse strutture, alle leggi che ne regolano le
attività, alle progettazioni di ieri e di oggi, alle rivendicazioni sindacali, alle inquietanti carenze
professionali, a quelle recettive come a quelle organizzative, alla scontata sfiducia popolare, il più
delle volte giustificata, altre volte gratuita, e mi sforzo di intravedere tra queste maglie burocratiche
e strutturali quali spazi umani vengono riservati al malato e al suo dolore.
Vorrei allora entrare magari in punta di piedi in questi templi del dolore umano, che sono gli ospedali
e più che andare dritto dritto in quel reparto, in quella singola cameretta a visitare qualche malato
che mi attende vorrei incontrare gli operatori sanitari, per intrattenermi con loro, anche se non
nascondo che mi mettono più soggezione loro che i pazienti, avvertendone tutta l'autorevolezza e il
fascino della professione.
Tutti ci portiamo dentro l'immagine di quel camice bianco, il più delle volte associato a qualche
sofferenza, accompagnata comunque sempre da trepidazione e paura.
Ora che la vita ci ha temprato con le sue prove, possiamo con animo sereno e distaccato entrare in
dialogo con questi uomini e donne, giovani e meno giovani, che per scelta cosciente, coraggiosa e
provocatoria, dedicano la loro professione a guarire le malattie.
Mi si consenta di fare una divagazione: rivedo davanti ai miei occhi una scena quasi emblematica,
quando nei momenti più solenni di fede che accompagna le folle in processione lungo l' esplanade di
Lourdes, è toccante vedere un gruppo di medici seguire il Santissimo Sacramento, mentre passa a
benedire i malati.
Si potrebbe dire che l'Augusta Persona, pur velata nella sua divinità e nella sua umanità, vuole vicino
a sé i medici, come un primario, che si gira verso di loro dicendo: «Cari colleghi, aiutatemi a curare
ogni sorta di malattia».
Potremmo dire che se fosse viva e pregnante di consapevolezza l'altissima opera di questi uomini e
donne, meglio identificati dal camice bianco, altra delicatezza potrebbe avere la loro mano, più forza
la loro umanità, meno sconcertante la loro professione. A questi operatori sanitari sono rivolti gli
occhi di tutti:
• dei pazienti perché impotenti di fronte alla malattia, non vedono altra salvezza che in essi;
• delle pubbliche istituzioni, perché consapevoli del ruolo sanitario desiderano far fronte alle
esigenze economiche e legali, senza purtroppo essere sensibili fino in fondo a queste priorità su altri
servizi da predispone per la comunità;
• della scienza medica, perché dai laboratori di ricerca giungano
nuove e confortanti indicazioni per individuare più precise diagnosi e per offrire terapie definitive e
risolutive;
• dei credenti che intendono far proprie con la celebrazione di una giornata consacrata non solo
ai malati, ma anche agli operatori sanitari queste incoraggianti parole pronunciate da Giovanni
Paolo II: «Per voi operatori sanitari chiamati alla più alta, meri-tevole ed esemplare testimonianza di
giustizia e di amore, questa giornata sia di rinnovato incitamento a proseguire nel vasto e delicato
servizio con generose aperture ai valori profondi della persona, al rispetto dell'umana dignità e alla
difesa della vita dallo sbocciare fino al suo naturale tramonto».
V
Credo che in questo altissimo profilo che il Papa fa, sia contenuto tutto lo spessore umano che segna
la loro professione, la esalta e la gratifica, perché non sia mai definita e nemmeno pensata, «un lavoro
come un altro», pena non solo la banalizzazione del suo intrinseco e altissimo valore, ma anche la
delusione di chi intraprendendola, ne sarà fortemente provocato. Nessun altro se non il dolore
dell'uomo, la sua malattia, il suo desiderio di guarire a tutti i costi, impongono una qualificata
competenza, sempre e comunque accompagnata da quell'etica professionale, che nella classica
deontologia, trovava forse più in passato che nel presente, rigoroso rispetto, consapevole
comprensione e obblighi suffragati da una coscienza di verità e da vincoli umani e legali.
Lé molte problematiche che accompagnano la professione medica, le forti riserve sui valori della vita,
della salute, della stessa terapia, come la confusa coscienza etica, influenzata da punte avanzate di un
"libertarismo deontologico" e di un "liberalismo scientifico", possono offrire metodologie di
accoglienza, di conduzione, e di ambientazione diverse nelle stesse strutture sanitarie. Ma da alcuni
aspetti esistenziali della malattia, non si potrà mai prescindere per non mortificare fino
all'esasperazione e al rifiuto psicologico la collaborazione del paziente, prima fondamentale posologia
di ogni intervento terapeutico.
Ho appreso dai miei contatti con gli operatori sanitari che nella malattia è l'uomo che soffre e le cure
mediche come l'assistenza debbono fare attenzione a tutte le dimensioni della persona: fisica,
psicologica, sociale, spirituale e trascendente.
Ecco allora al di là del dolore e di qualsiasi patologia, c'è sempre l'uomo da non dimenticare mai, né
nella diagnosi, né nella terapia, pur ben identificata nella tanto contestata cartella clinica. Essa è
contrassegnata da un numero più che da un nome, foglio indispensabile di via per gli operatori
sanitari, testo quasi sacro per il paziente e per i familiari, mentre si tenta dall'una e dall'altra parte di
mitigare o interpretarne i contenuti. Così entriamo in quel tessuto umano ben più insondabile di
quello delle cellule, che ne costituiscono il meraviglioso corpo e se molto silenzio attorno è richiesto
per auscultare i battiti di un cuore, quanta più sensibilità per auscultare i suoi sospiri.
Questi uomini e donne sono impauriti dalla malattia, prostrati dal dolore, mortificati dalla
commiserazione dei più, avvolti da una forte sensazione di limite quasi provandone vergogna, come
se fosse una colpa o una diminuzione della dignità, lo star male. Essi hanno estremo bisogno di essere
protetti dal velo del pudore, che possiamo indicare con:
• il segreto professionale di tutti gli operatori sanitari, ai quali il paziente affida oltre che
l'intimità della sua coscienza, quella del corpo;
• la «pietas» che è il rispetto, la delicatezza, la finezza che devono accompagnare i gesti di chi si
china su un corpo debilitato e piagato, perché l'inevitabile umiliazione del paziente sia sempre
avvolta di tenerezza;
• la «pietas» che dovrebbe suscitare in chi la incarna quell' espressione felicissima di una suora,
che incontrata lungo la sua corsia con un «arnese» in mano, a chi le disse «che cosa ti tocca fare» lei
meravigliata rispose: "che cosa mi è concesso di fare";
• una «pietas» che deve tenere lontani quei mezzi di comunicazione sociale, che in nome di un
falso diritto di cronaca tentano di entrare a tutti i costi appropriandosi senza scrupoli di certi
drammi, per sbatterli in prima pagina, o sugli schermi televisivi, togliendo al dolore la sua intimità.
Che questi potenti mezzi servano piuttosto a promuovere una coscienza sanitaria, che se deve gridare
allo scandalo per i disservizi e le colpe dei singoli operatori, che porti a conoscenza con la stessa enfasi
i traguardi raggiunti da strutture sanitarie qualificate, professionalmente attrezzate, ben organizzate
e a misura dell'uomo che soffre. Se un medico, alla cui mamma inferma portavo ogni giorno la
comunione, mi diceva che per lei questo conforto era più che una flebo, ecco un'altra presenza nel
contesto fortemente umano dell'ospedale dove, le cure sanitarie si integrano con l'assistenza religiosa,
per sollevare il peso del dolore e aprire alla speranza. Anche questa attenzione da riservare ai pazienti
va iscritta a quelle norme terapeutiche da rispettare, perché nulla manchi di ciò che può avvolgere di
senso, di calore umano, di consolazione divina, la sofferenza che nasce dal più profondo dell'essere
umano.
Se con occhi umani, vanno accolti, curati e protetti, i malati, non sì può ignorare che con gli stessi
occhi vanno guardati, considerati e compresi gli operatori sanitari, nelle cui mani è affidata la salute e
la malattia, la vita e la morte dell'uomo. Sia loro riconosciuta questa gravissima responsabilità, che si
sono assunti nell'esercizio della loro professione, ma sia considerato il limite umano che li accompagna
in questa misteriosa realtà dell'esistenza proiettata verso le frontiere dello spirito.
Se questo sarà il clima che si respirerà nelle nostre strutture sanitarie, non ci farà paura entrare in
esse, ma anche il tempo della malattia diventerà il tempo della grazia, perché avremo imparato a
essere più umani e più solidali.
E dovremmo ringraziare i medici se avranno conosciuto con la malattia i nostri nomi e i nostri volti.
(1-2 1995)
È nel camminare insieme che ognuno dona all'altro qualche cosa, come questi due scout e questi due amici disabili, che condividono la
straordinaria esperienza della carità.
DAI CONSENSI ALL'IMPEGNO
asti sono i consensi espressi a voce e per iscritto sul testo di catechesi «Verso quel Santuario
che è la Famiglia» pubblicato dall'Unitalsi per il 1994. Varrebbe la pena trascrivere quelli
fatti pervenire da molti vescovi che, plaudendo all'iniziativa, evidenziano l'importanza di
questo sussidio, che tenta di coniugare «famiglia e carità», perché siano dilatati gli spazi dell'
accoglienza, del dialogo, del sostegno, favorendo la solidarietà, come il servizio.
La proclamazione dell' Anno Internazionale della Famiglia, fatta da Giovanni Paolo II e la solenne
apertura che di esso ne fa il Cardinale Trujillo Lopez a Nazareth il 26 dicembre, sono per noi motivo
di incoraggiamento ad entrare nel vivo del nostro impegno di catechesi, a farne momenti intensi di
riflessione, a sensibilizzare attorno a noi altri, a rendere la nostra azione caritativa un valido sostengo
per tante famiglie in difficoltà.
Da alcuni incontri che già le Sezioni e le Sottosezioni hanno fatto, è stato espresso entusiasmo e
soddisfazione per il sussidio, perché di facile comprensione, attraente nella sua veste tipografica e
questo rende merito all'autore e alla Segreteria Generale dell'Unitalsi, che ne ha curato la
pubblicazione. Sia questa l'occasione per creare una coscienza nuova nell' attendere in modo
sistematico e permanente agli incontri di catechesi, che ogni singola formazione nella sua vita
associativa programma. Sia questo il momento per assumere piena responsabilità di quel ruolo
esistenziale che è l'essere sposo, sposa, madre, padre e figlio, perché gli sia ridato il primato e si rivesta
di quell' autorevolezza che nasce da una vera ed autentica vocazione.
Le piste catechistiche offerte dal testo per una comune riflessione non intendono di proposito
analizzare le problematiche sociali della famiglia, né le sue patologie e tanto meno tutte le casistiche
che ne accompagnano il cammino, ma si propone di mettere in risalto i valori di fondo che la
originano, il sacramento che la costituisce, la spiritualità che la pervade, il magistero della Chiesa che
V
ne dovrebbe orientare scelte e progetti e i vincoli etici che possono contenere un'equilibrata e
trasparente condotta di vita.
Tentati di affrontare con l'immediatezza che ci è propria in questi tempi di esagerate e ripetitive
analisi sociologiche la realtà della famiglia, trascinati dall'unica preoccupazione di procedere a
diagnosi per altro non sempre obiettive e radicali, il testo ci propone di seguire la via del «Valore
Famiglia» in tutti i suoi aspetti, perché si comprenda quello che è il suo mistero, la sua insostituibile
ed inalienabile missione, per tentare di liberarla da quelle forze nascoste, che ne stanno disgregando il
suo stesso fondamento umano.
Giova per cogliere tutta la positività di questa metodologia annunciare appena i titoli che formano il
testo, per sentirsi rincuorati e per credere ancora con più forza a questo dono inestimabile della
famiglia, che non solo ha accolto e protetto la nostra vita, ma le ha permesso uno sviluppo sereno ed
equilibrato, fino alla pienezza della sua maturità.
«Un progetto che attraversa tutta la storia» è l'inizio di questo sguardo in filigrana dell'Amore di Dio
che fin dagli albori dell'umanità possiede il cuore dell'uomo e della donna, perché nell'unione casta e
feconda della loro vita, diventino l'immagine più viva ed esaltante della sua tenerezza divina.
«Come Maria. la donna in famiglia», un volto di donna, di sposa, di madre come Maria, perché sia
riempito di soave dolcezza il cuore dello sposo, dei figli
«sposi per amore, vergini per amore», perché nessun altro senso, nessun'altra giustificazione potrebbe
avere il donarsi,
«La famiglia in preghiera», perché la sacralità della vita come la santità dell'amore restino avvolti
dalla misteriosa presenza del divino.
«la famiglia in costante cammino di conversione», perché nella consapevolezza delle proprie
inadempienze e nella sincera ricerca del bene e di umane virtù, ci si edificasse reciprocamente.
«dalla mensa domestica a quella eucaristica» perché nel segno del pane ogni famiglia sappia
condividere le fede, la fatica ed i destini eterni.
«quando la malattia e l'infermità segnano la famiglia», non sia la desolazione a stringere i cuori, ma la
solidarietà di tanti fratelli ad aprire la strada della consolazione e della speranza.
«dalla famiglia l'educazione all'amore e al dono di sé», perché generati dalla gratuità di un amore
sconfinato, fossimo anche noi capaci di farci dono.
«la famiglia cuore della comunità cristiana», perché aprendo la porta della casa come del cuore, ci si
senta di appartenere a quella grande famiglia che ha Dio per Padre e la Chiesa per madre.
«la famiglia per una vita saggia, esemplare, autentica», perché non siano la stoltezza e le ipocrisie del
mondo a segnare di effimero la fragile e complessa crescita delle giovani generazioni.
Se i consensi ci allettano, più ancora ci alletterà sapere che un'appropriata catechesi può diventare
una scuola di vita familiare.
(11-12-1993)
È nell'intimità della Santa Casa che possiamo affidare questi nostri amici e la loro sofferenza, perché la Vergine la trasformi in
consolazione. (Padre Corrado in preghiera con loro)
IL MISTERO DI QUELLA CASA
ll'approssimarsi del VII centenario del Santuario di Loreto Giovanni Paolo II ha indirizzato
una lettera all'Arcivescovo Mons. Macchi soffermandosi in familiare conversazione sulla
Santa Casa, che definisce «non solo una "reliquia", ma anche una preziosa "icona" concreta».
Per chi ha avuto la grazia di varcare spesso le soglie di questa «casa» percepisce quanto siano ispirate
le parole del Papa, che pellegrino tra i pellegrini, testimone anch'egli del fascino spirituale che da essa
promana, riconosce come «dalla fede e dalla devozione di generazioni di pellegrini, che con le loro
mani e con le loro ginocchia ne hanno modellato perfino le pietre», le stesse pareti sono state segnate
da un'impronta divina.
«Reliquia» dunque perché custodisce la grazia, la fede e le suppliche di quanti nei secoli sono passati
ritrovando «lo stupore, l'adorazione, il silenzio davanti al mistero di Dio» che si impregna di umanità.
«Reliquia» perché lì ha sostato il dolore umano, nascosto nella tenerezza innocente dei bambini,
espresso nella insofferenza dei giovani, o sopportato nella stanchezza e nella fragilità degli, anziani.
«Reliquia» perché lì ha trovato compiutezza la generosità di uomini e donne impegnate nel servire la
carità, nel consolare il dolore umano, nel raccogliere gli aneliti di prolungati sospiri umani spossati
dall'insistenza del male.
«Reliquia» infine, perché in essa la povertà trova la sua piena identificazione nella nudità delle pareti,
emblema della semplicità della vita, della spoliazione da ogni superflua e varia ricchezza umana,
perché si evidenzi la grandezza dello spirito.
Ma la Santa Casa soggiunge il Papa è anche una «preziosa» icona «segno attraverso il quale si opera
nella fede, una specie di contatto spirituale con il mistero».
«Icona» dunque che attualizza quell'arcano silenzio che solo può aprire l'animo del pellegrino,
soffocato dal frastuono di una vita assordante, alla contemplazione del divino, perché torni a vibrare
di tenerezza il suo cuore e di umanità la sua vita.
Quel canto che si fa parola di speranza e di consolazione sugli incomprensibili silenzi umani, carichi di
paure, di chiusure, di rifiuti e di incomunicabilità.
Quel canto che si fa ascolto della Parola e chiede di tacere dinanzi al mistero della vita, del dolore e
del morire, lasciando all'eloquenza della croce ogni possibile risposta.
Quel canto che si fa orante perché ogni supplica si trasformi in consolante certezza che, sempre Dio
ascolta i .suoi figli, rivelandosi nella tenerezza materna di Maria, la madre, la donna di casa, grembo
di grazia e di misericordia.
A
La Santa Casa «icona» della «famiglia» che in essa trova il suo identikit L'amore sublime ed ineffabile
di Giuseppe e Maria, perché diventi negli sposi esperienza di vita, di donazione, di, rinnovato slancio,
disincarnato definitivamente dalla provvisorietà dei sentimenti e dall'istintiva fragilità, non
sufficiente a giustificare tradimenti ed infedeltà.
La Santa Casa «icona» di quell'amore filiale che in Gesù è stato venerazione, ascolto, fiducia ed
ubbidienza all'autorevole ed edificante presenza di Maria e Giuseppe, perché nessuna sufficienza,
inneggiante a presunti diritti, distolga dal vero amore i figli che si aprono alla vita, acuendo quei
conflitti generazionali, che turbano la convivenza familiare. A Loreto dunque «per attendere la
grazia» prima ancora che le «grazie» come afferma il Papa, a Loreto per entrare nella Casa
dell'amore, del silenzio, della povertà, della misericordia. Da Loreto per rientrare in un'altra «casa»
anch'essa «reliquia» perché custodisce la grazia del matrimonio, della sofferenza, della preghiera,
anch'essa «icona» perché l'amore sponsale diventa segno ed immagine dell'amore di Dio. Ciò tutti
impegna a far si, che il Santuario di Loreto come disse Papa Giovanni «possa essere come una finestra
aperta sul mondo, a richiamo di voci arcane annunzianti la santificazione delle anime, delle famiglie,
dei popoli» (Discorso a Loreto 11 ottobre 1962).
Il passaggio silenzioso ed orante di tanti nostri malati tra quelle sante mura, diventi uno speciale
sigillo di grazia a conferma di questi impegnativi auspici.
Un pellegrinaggio speciale è il treno dei bambini malati di Roma, voluto da Mons. Luigi Paoletti di venerata memoria. I bambini
riempiono la piazza di festa, la gente di commozione, chi li accompagna di affetto e di tenerezza.
VARCANDO LA SOGLIA DELLE LORO CASE
onsideriamo provvidenziale e particolarmente significativa la scelta che la Conferenza
Episcopale Italiana ha fatto di porre al centro dei lavori della sua annuale assemblea, una
prolungata e approfondita riflessione sulla Famiglia, chiedendo alle Commissioni regionali,
costituite da sacerdoti e laici che operano nel settore, di proiettare sul grande schermo della vita
ecclesiale italiana situazioni, esigenze, problematiche e carenze che segnano la complessa convivenza
familiare.
La sensibilità pastorale dei nostri Vescovi nei confronti della famiglia, evidenziata da più parti anche
da documenti magisteriali, credo che non sia frutto di una pura e semplice conoscenza sociologica e
giuridica dei fenomeni che lo attraversano, ma di una personale esperienza umana che li ha
sicuramente toccati, quando nellè loro visite pastorali, liberi da ogni ufficialità, varcando le soglie
C
delle case, si sono incontrati con le famiglie segnate dalla malattia, stremate dalla complessa
morfologia dell'handicap.
Se hanno già risuonato nell'aula dei lavori, e risuoneranno con accentuata drammaticità, in una
lucida analisi, i mali che logorano il cammino familiare e i fallimenti, che ne hanno frantumato la
stabilità, altrettanto lucide saranno le scelte pastorali non solo da individuare, ma soprattutto da
realizzare, considerato che è più facile fare analisi, che compiere quei gesti profetici, di cui ha bisogno
ogni autentica e incisiva azione pastorale.
Un bilancio tuttavia viene fatto sull'operatività della pastorale familiare in Italia oggi, come ci
s'interroga sulla reale consistenza della trasmissione della fede in questo alveo così naturale e ottimale
che è il focolare domestico.
Sono venute fuori sottolineature con diverse e complesse indicazioni, tutte affidate a quel
discernimento dello Spirito, che non viene solo da una chiarezza teologica, ma da quella sollecitudine
per il «bonus animarum», che muove profondamente l'animo di chi sente e vive lo spirito del Buon
Pastore.
Tocca, dunque, ai Vescovi nella loro autorevolezza, non solo di maestri, ma di pastori e servi,
individuare i diversi aspetti e le esigenze della vita familiare, evidenziarne la priorità, illuminarne le
conflittualità, che contengono e accoglierne la fatica che comporta, comprenderne l'eroismo che a
volte richiede e avvolgerli di una grande misericordia.
Siamo però convinti che, nel loro impegno pastorale, non passerà sotto silenzio la dura realtà del
dolore, che accompagna la vita di famiglia, ed è per questo dolore come per il dramma che si consuma
in tante case, che Giovanni Paolo II nell'Esortazione apostolica "Familiaris consortio" fa appello alla
sollecitudine pastorale della Chiesa «perché l'apostolato della famiglia s'irradi con opere di carità
spirituali e materiali verso quelle famiglie, specialmente quelle più bisognose di aiuto e di sostegno,
verso i malati, gli anziani e gli handicappati» (n. 71).
Non ci sarà allora difficile sostenere fra gli aspetti prioritari questo del dolore e della malattia, che
balzano forti e provocatori davanti alla sensibilità umana ed evangelica dei Vescovi.
Aspetti che partono dai complessi risvolti genetici, alla psicologia della famiglia, ai suoi rapporti
pedagogici, agli aiuti spirituali che la Chiesa e le associazioni caritative possono dare.
Dolore e malattia che portano la famiglia a sperimentare da arte un forte senso della marginalità,
forse qualche volta provieniente anche dalle nostre inadempienze pastorali, dall'altra, se aiutata
acoprire tutta la ricchezza umana, la grazia e le attitudini nascoste sotto i panni dell'handicap. È
ancora il Magistero della caso della CEI nella nota “Pastorale della Salute” a indicare tra gli altri
obiettivi da perseguire nella sua azione promozionale quello di «aiutare la famiglia e i familiari a
vivere senza traumi e con spirito di fede la prova della malattia dei propri cari. Infatti, i familiari
hanno bisogno di sostegno per vivere, senza smarrirsi, il peso infausto della malattia di un loro
congiunto» (nn. 20-37). Come è vero che hanno bisogno di sostegno queste famiglie, più numerose di
quelle che possiamo immaginare, chiuse non solo nel loro dolore, ma in questi alveari delle nostre
città, dove l'anonimato è l'unica identità e l'indifferenza facile giustificazione di un esasperato
egoismo?
Le statistiche sull'entità del fenomeno non possono lasciarci tranquilli, come non possiamo tacere la
drammaticità fattasi volto, storia e edificante testimonianza nelle persone di papà e mamme, che
hanno fatto del loro figlio un perenne e sofferto atto di amore. È solo incontrando loro, conoscendo il
loro segreto coraggio, come la loro inesauribile pazienza, che si disarma la mia presunzione pastorale,
la mia immutabile prassi consolatoria e viene provocata 1' episodica quanto istintiva presenza umana
al loro fianco, senza renderci segno della consolazione divina, perché sia sollevato loro il peso e
rigenerato il nostro spirito. Sono dunque i volti di questi genitori, che dal loro eloquente silenzio
gridano aiuto, perché la Chiesa non solo elimini le barriere architettoniche, ma accolga nelle proprie
comunità per un cammino di fede, d'iniziazione cristiana e d'impegno ecclesiale i loro figli disabili.
Una Chiesa tutta ministeriale e in costante diaconia, potrà trovare nel cuore di queste famiglie lo
spazio più concreto della sua carità, segno della sua scelta preferenziale per gli ultimi.
L'auspicato «osservatorio della carità», non resti un terminale di dati presente in ogni Curia, ma
spinga a conoscere, accogliere, valorizzare e integrare le famiglie con handicap in quel contesto
ecclesiale che nell'amore identifica il vero volto del Vangelo.
Giunga il loro appello, perché questo «dono fragile» che custodiscono nel loro grembo, provochi la
misericordia della Chiesa, la carità dei cristiani, la solidarietà di tutte le famiglie.
Assicuriamo ai nostri Vescovi che con il grido di aiuto sale anche dal cuore di queste famiglie
un'ardente preghiera alla Madre della Chiesa, perché sia l'icona della sua «pietà» a segnare il cammino
della nuova pastorale familiare.
(5-6 1993)
Dal palazzo apostolico, dove sono alloggiati i malati, due sorelle d'assistenza, pur restando in servizio nelle camere, cercano di
partecipare a quanto si svolge sotto il porticato o in piazza.
Quale tenerezza avvolge quelle mani materne, perché la figlia si senta avvolta dallo stesso amore che l'ha portata in grembo, infinito
come quello della Madre di Dio.
SIA IL VELO DEL PUDORE A PROTEGGERE L'INTIMITÀ FAMILIARE
e all'ONU va dato il merito di aver promosso l'Anno Internazionale della Famiglia, a Giovanni
Paolo II va la gratitudine di aver riaffermato con ispirata autorevolezza gli inalterabili valori
che la generano e il vincolo indissolubile dell'amore, che la costituisce in unità.
Dietro l'incalzare di risoluzioni, di statistiche, di progetti, che rimbalzano sul tavolo dell'ONU o di
altri organismi internazionali, si nota un'unica preoccupazione, quella di guardare alla famiglia nelle
sue problematiche biologiche, demografiche ed economiche, perdendo di vista la dimensione naturale
e umana, che ogni potere costituito, come ogni società democraticamente organizzata, dovrebbero
tener presente.
D'altra parte alle diverse demoscopie può essere più facile quantificare certi fenomeni, che rilevare
situazioni di disagio morale o ancor di più, intravedere in esse le cause e coglierne i drammi interiori,
che possono logorare anche le famiglie più coscienti della loro responsabilità.
Fin troppo ormai conosciamo le tabelle che elaborano gli istituti di statistica, non ultimo il Centro
Studi Famiglia, rilevando un quadro preoccupante di situazioni che lo stesso Direttorio Pastorale
Familiare della CEI ha esplicitato, addebitandole «alle indubbie cause economiche e sociali, come ai
rapidi mutamente culturali», così determinanti nel rendere precaria la convivenza familiare.
L'allentamento dei vincoli etici e la mancanza del senso di responsabilità, hanno incrinato
l'indissolubilità e la fedeltà coniugale.
Il diritto assoluto alla propria libertà, ha chiuso al dialogo educativo creando conflitti a volte
insanabili tra genitori e figli. La dissolutezza dei costumi, il permissivismo morale, il femminismo
esasperato, hanno affievolito il senso della riservatezza, del pudore, della delicatezza affettiva, della
grazia femminile, violando l'intimità della vita coniugale e familiare. Principio quest'ultimo
sottoscritto dalla Carta dei Diritti della Famiglia, che la Chiesa intende difendere con una forte e
incisiva azione pastorale.
Sua figlia violentata? Possibile che almeno qualche giudice, rivestito di paternità oltre che di toga,
non sentisse un così forte disagio, tanto da intervenire, perché non venisse turbato in quel momento
lo sguardo fiducioso e amorevole tra genitori e figli, seduti attorno alla stessa mensa?
Sulla «intimità della vita coniugale e familiare» si stenda dunque il velo del pudore:
perché sia onorato e rispettato l'amore degli sposi, protetto e difeso quello dei figli;
perché la convivenza familiare non sia turbata da provocazioni indebite;
S
perché chi si adopera nella sua azione sociale e pastorale ad aiutare le famiglie in disagio, lo faccia con
delicatezza e con il massimo della riservatezza;
Come dunque difendere e proteggere «l'intimità della vita coniugale e familiare» dall'assalto della
spudoratezza televisiva e dalla pornografia pubblica e privata, che senza scrupoli offrono nella
suggestione delle immagini, il massimo della meschinità e della bassezza, suscitando disagio nella
delicatezza di alcuni sposi e nella semplicità e innocenza dei figli, lasciando purtroppo
nell'indifferenza e nell'assuefazione altri?
Come lasciare che i mezzi di comunicazione sociale in nome del diritto di cronaca, tentino a tutti i
costi di entrare tra le pareti di una casa, appropriandosi senza scrupolo di certi drammi familiari, per
sbatterli in prima pagina o sugli schermi televisivi, calpestando i sentimenti più nobili, togliendo al
dolore umano quella «pietà» a cui ognuno ha diritto, umiliando ancor più di vergogna chi è offeso
nella sua dignità di figlio o di genitore, o prostrando ancora di più nella colpa, chi già si sente travolto
dal misfatto perpetrato. Questa forma di «sciacallaggio» giornalistico vuole essere giustificata, come
una denuncia necessaria da fare per salvare tante vittime dalle violenze familiari, che si consumano
nel segreto delle pareti domestiche. Possiamo rispondere che altri strumenti, che non siano quelli
dello «scandalo pubblico», ci sono per sollevare da questi pesi tante famiglie indifese, non ultimo
quello dell'autorità giudiziaria, a patto che non esponga al ludibrio di tutti, ciò che dovrebbe restare
tra le aule di un tribunale.
Come lasciar passare sotto silenzio la vergogna, che tutti avremmo dovuto provare davanti agli
schermi televisivi, quando inconsultamente è stato trasmesso l'umiliante confronto tra un padre e e
sua figlia violentata? Possibile che almeno qualche giudice, rivestito di paternità oltre che di toga,
non sentisse un così forte disagio, tanto da intervenire, perché non venisse turbato in quel momento
lo sguardo fiducioso e amorevole tra genitori e figli, seduti attorno alla stessa mensa?
Sulla “intimità della vita coniugale e familiare” si stenda dunque il velo del pudore:
perché sia onorato e rispettato l’amore degli sposi, protetto e difeso quello dei figli;
perché la convivenza familiare non sia turbata da provocazioni indebite;
perché chi si adopera nella sua azione sociale e pastorale ad aiutare le famiglie in disagio, lo faccia con
delicatezza e con il massimo della riservatezza;
perché ogni necessaria denuncia, salvi sempre la dignità della persona.
Come non ci si permette di entrare in una casa senza bussare, non si entri mai nell'intimità della vita
familiare, senza essere corredati di misericordia, di tanto rispetto, di un grande amore.
Queste mie riflessioni hanno trovato accoglienza anche tra le pagine dell'Osservatore Romano.
(7-8 1994)
Emblematica questa foto di sposi che hanno voluto avere in prima fila come invitati di onore questi amici, testimoni qualificati di un
matrimonio senza i connotati dell'effimero.
L'AMORE OLTRE L'EFFIMERO
entisei luglio - Una giornata quasi canicolare, verso mezzogiorno, passando davanti al Duomo
di una grande città, vedo salire su di una carrozza trainata da due imponenti cavalli una
coppia di sposi usciti allora dalla celebrazione del matrimonio. Considero provvidenziale ed
anche sintomatica questa
scena che si apre davanti ai miei occhi, mentre sto dirigendomi a Canicattini Bagni dove, nel tardo
pomeriggio sono atteso per benedire le nozze di Antonio e Margaret, un barelliere ed una sorella di
assistenza dell'Unitalsi di Siracusa.
La cornice della festa è più che originale e ben lontana dalla sontuosità espressa nelle forme più
eccentriche e a volte piene di quell'effimero che impoverisce il sacramento e mortifica chi ne deve
presiedere il rito.
Non so quali invitati componevano quel matrimonio «di classe», so invece chi erano quelli di
Canicattini: gli amici in carrozzella temporaneamente in vacanza nella villa del Seminario, compagni
di viaggio di questi due giovani. L'amore nato in mezzo a loro, è cresciuto e maturato grazie a loro, ed
ora essi stessi sono testimoni di questo evento sacramentale e primi invitati a questa festa di nozze
per condividere insieme questo dono di amore, dopo aver condiviso un servizio di carità. Se l'amore
coniugale è un dono di Dio per la Chiesa e per la società, è giusto che sia accolto e sostenuto dalla
comunità, che ne deve fare un motivo di grazia ed una fonte di speranza.
Questi giovani sposi hanno voluto consacrare il loro amore a Dio davanti ad un'assemblea non di
curiosi o di euforici, come può qualche volta capitare, ma di gente pienamente compresa ed attenta
ad accogliere il Signore, che nel sacramento del matrimonio rivela ancora agli uomini il suo ineffabile
amore, fatto visibile e concreto nel volto e nel cuore di questi sposi, trasparenza di una tenerezza
quasi divina. La gioia e le sante emozioni vissute insieme nella liturgia, celebrata in un clima di
religioso e sacro silenzio, si sono prolungate per tutti nella cena conviviale, mentre gli sposi avrebbero
all' indomani iniziato il loro viaggio di nozze nel cuore di questa vacanza estiva, indossando insieme il
grembiule del servizio, più nobile e regale del loro abito nuziale, per continuare a far dono del loro
amore. Non penso di turbare la riservatezza e la semplicità di Antonio e Margaret, se i loro nomi
finiscono sulle colonne di un giornale, ma credo, al di là di un semplice istinto di pubblicità, far
risuonare una testimonianza così provocante ed una scelta così evangelica, perché anche ad altri sia
V
possibile passare oltre l'effimero, per costruire un amore unico, indissolubile, inesauribile. L 'Unitalsi
raccogliendo con gioia nel grembo della sua vita associativa questa straordinaria testimonianza,
riafferma il valore del servizio, la sua pedagogia e la sua efficacia.
Servire per educarsi all' amore
Nel Convegno Nazionale tenuto a Loreto nel novembre '86 sul tema: «La donna protagonista
dell'apostolato unitalsiano», Mons. Plotti volle chiedere ad un gruppo di studio di riflettere su «il
servizio unitalsiano come educazione e preparazione alla famiglia». Ampia risonanza ebbe questa
ricerca e preziose furono le testimonianze di alcune coppie di fidanzati, tanto che crediamo opportuno
riproporle ai lettori, quale modesto contributo alla pastorale familiare di oggi. Le molteplici e lodevoli
iniziative che hanno dato vita ai Centri di preparazione al matrimonio ed ai Consultori familiari, sono
l'itinerario pedagogico che offre la Chiesa alle giovani generazioni che si affacciano alla vita, perché
vincendo la logica del libero amore e del disimpegno umano, si aprano con fiducia agli ideali
dell'amore cristiano, che nel matrimonio trova il massimo della sua sublimazione e del suo
compimento.
Perché questa azione pastorale abbia la sua efficacia in questo cammino così complesso della
preparazione al matrimonio, credo
che non possa essere esauriente fare soltanto scoprire alle coppie gli ambiti umani, psicologici, sociali
e religiosi del loro rapporto, ma sia necessario come dice la Farniliaris Consortio, citando il messaggio
del sinodo alle famiglie: «formare gli uomini all'amore e di praticare l'amore in ogni rapporto con gli
altri, cosicché la famiglia non si chiuda in se stessa, bensì rimanga aperta alla comunità, essendo
mossa dal senso della giustizia e della sollecitudine verso gli altri, nonché del dovere della propria
responsabilità verso la società intera» (n. 64).
La condivisione con «gli ultimi» apre ai grandi valori della vita, prepara i giovani a considerare il loro
futuro non come un'avventura, ma una scelta da fare, in prospettiva di un progetto divino. Il servizio
educa dunque a riscoprire il valore della vocazione alla famiglia, infatti affinando i sentimenti:
Nasce una delicatezza ed un rispetto nei rapporti con l'altro;
• Si sperimenta la gioia della gratuità del dono;
• Si percepisce l'essenza dell'amore che accoglie la persona amata;
• Si comprende il valore della fedeltà.
Questi atteggiamenti possono favorire il rapporto di coppia, chiamata a donarsi più che a possedersi,
in un cammino paziente di ricerca e di conquista di un amore, che nel matrimonio diventa segno
dell'amore stesso di Dio.
Servire per promuovere la cultura dell'accoglienza
Essersi trovati nello stesso cammino di coppia a chinarsi sulla sofferenza di un giovane a cui tutto è
proibito, o sull'amarezza di un anziano privato degli affetti più cari, spinge a promuovere nella
propria famiglia la cultura dell'accoglienza, la quale consente una riscoperta del sacramento e del
ministero coniugale, che nella donazione reciproca si rende disponibile ad accogliere la vita sempre e
nonostante tutto, a promuoverne lo sviluppo mediante un dialogo educativo, indispensabile per la
crescita umana e cristiana dei figli.
La donazione, il sacrificio, la preghiera, l'apertura agli ultimi, il servizio ad essi faranno della casa una
palestra di valori, un'offerta di nuovi ed autentici modelli di vita.
Servire per educarsi anche a soffrire e sperare
Quale ammirazione suscita vedere giovanissime coppie di sposi, impegnati a gestire in prima persona
la Casa Emmaus dell'Unitalsi di Firenze, che accoglie da giugno a settembre amici disabili per un
periodo di vacanza!
Come poi non rimanere pensosi dinnanzi ad una di queste coppie che ha condiviso con questi amici,
prima la gioia e la trepidazione dell'attesa del proprio figlio, poi la sofferenza di averlo tra le braccia
già segnato dalla malattia?
Questi sono i prodigi dell'amore sponsale, queste sono vicende umane cariche di mistero, come altresì
di tanta speranza, testimonianza anch'essa della solidarietà umana e cristiana.
(9-10-1989)
È nella famiglia che deve risplendere l'amore, perché un figlio possa ritrovare in essa quello di Dio.
È in questa accorata supplica della madre e nello sguardo innocente di questo figlio, velato di sofferenza, che possiamo commuovere il
cuore di Dio, perché accolga la nostra preghiera.
VOLTO DI DONNA, CUORE DI MADRE, TENEREZZA DI AMORE
a Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il mistero delle donne e per ogni donna,
perciò che costituisce l'eterna misura della sua dignità femminile per "le grandi opere di Dio",
che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei per mezzo di lei» (Mulieris
dignitatem n. 31).
Parole forti e sorprendenti che Giovanni Paolo II riprende nella lettera scritta a tutte le donne del
mondo in concomitanza della IV Conferenza Mondiale sulla Donna che si terrà a Pechino nel
settembre prossimo. Un'altra felice e preziosa occasione che il Papa sottolinea per riaffermare la sua
L
ammirazione e la sua piena considerazione per la donna nella sua altissima missione di sposa, di
madre, di delicatezza e di fascino.
Resta un mistero la sua vita, fragile nel fisico quanto forte e autorevole nello spirito, sublime nei
sentimenti quanto passionale e istintiva negli affetti, avvenente nel volto e nei tratti, quanto
provocatoria e seducente nella carne, ricca di grazia e di intuizioni, quanto capace di durezza e di
insensibilità, affascinata e intenerita dal figlio che porta in grembo, quanto irretita dal peso che lo
stesso può provocarle. Ineffabile presenza di amore e di tenerezza per ogni uomo a condizione che non
perda mai la sua dignità femminile, perché non prevalga ancora la prepotenza maschilista, né diventi
uno strumento nelle sue mani come nella cultura del piacere e dell'immagine, dove è più facile che
appaia la vistosità delle sue forme, più che la dolcezza del volto e la tenerezza del cuore.
Sentiamo tutti di dire il nostro grazie alla donna, perché nel suo grembo fummo ricamati, nel suo
amore materno siamo cresciuti, nella sua saggezza abbiamo raggiunto la pienezza della maturità, nel
suo anelito chiuderemo i nostri giorni.
Al di là di questa effusione di sentimenti, che possiamo manifestare, è necessario nella cultura odierna
per un verso femminista a oltranza, per l'altro ancora diffidente nell'offrire considerazione e spazi,
riscoprire il ruolo fondamentale della donna, la sua specifica missione, riaffermare la sua pari dignità
con l'uomo, rivalutare la sua maternità, considerare la sua emancipazione nella vita della società.
Nell'ambito della carità risplende più vero e più autentico il suo ruolo. Il suo servizio ai malati
attraverso le qualità tipiche della donna quali, la femminilità, l' oblatività, la gratuità, la tenerezza
materna, ha la forza di manifestare lo stesso amore di Dio per ogni dolore umano.
L'Unitalsi attraverso la sua azione caritativa ha offerto:
• una esperienza sorprendente di donazione a tante madri che al di là dei vincoli di sangue,
spesso così condizionati, hanno scoperto l'amore gratuito in tutta la sua forza e la sua potenzialità;
• la possibilità di riprendere coraggio e motivazione di vita a quelle donne in uno stato ancora
prematuro di vedovanza, indifese e avvilite;
• ha consentito alle donne nubili di esercitare la loro vocazione di dedizione — sperimentando
quella maternità spirituale che rende amabile la vita, realizza e completa;
• ha reso fecondo l'amore verginale di tante suore, chiamate ad avere il cuore di Maria e le mani
di Marta;
• ha reso gioiosa e significativa la vita di molte giovani, che al mito della bellezza così forte e
dominate in ogni loro aspirazione, ripropongono in quegli idilli così teneri di affetto, quando sono
vicine ai vecchietti, la bellezza interiore di ogni persona, che non può essere spenta dalle grinze di un
volto rugoso, né travisata da una estetica giovanile tanto affascinante
Si sono aperte le porte dell'Unitalsi ad accogliere anche quelle ragazze che hanno desiderato dare un
senso più pieno alla vita, indossando «l'abito della carità», piuttosto di quello che indossano ogni
giorno, anche se firmato da grandi nomi.
Indossata la divisa unitalsiana non la getteranno più, perché la sua firma non passerà di moda.
Se le donne in questo genere di servizio indossano una divisa bianca, non è per differenziarsi dalle
altre, quanto per esprimere il contesto in cui si inseriscono, che è quello della dimensione tutta
spirituale e per testimoniare che non sono i propri abiti con le singole chances, i propri titoli e prestigi
personali che possono spingere a servire, ma l'unico habitus, quello della fede, che inevitabilmente
dovrà sempre più motivare questa altissima scelta.
Alle donne unitalsiane, rivestite dunque di quella delicatezza femminile, a volte soffocata da esagerati
complessi, a volte velata da un accentuato femminismo provocato dalla pregiudiziale della
superiorità maschilista, affidiamo questa lettera perché in essa possano trovare conferma per la loro
dignità, chiarezza per la loro vocazione, spinta alla loro missione. A tutte quelle donne che
maggiormente portano il peso dell'umiliazione, alle mamme di quei bambini disabili, segnati dal
marchio di una vergogna che la società ha loro impresso, a quelle che portano l'handicap della
malattia, a quelle che sentono il disonore per la loro dignità offuscata, a quelle che vivono l'esperienza
di un amore rifiutato o travisato, a tutte «le donne perfette» e alle donne «deboli» vada, come dice
Giovanni Paolo II il grazie della Chiesa, perché: «con la tua femminilità arricchisci la comprensione
del mondo e contribuisci alla piena attività dei rapporti umani». Il grazie forte e sentito dell'Unitalsi,
che nel servizio alla sofferenza da esse prestato, ha trovato altrettante «Maria» «in piedi sotto la
croce» accanto a ogni malato.
Il magistero del Papa sulla donna chiede:
• agli operatori pastorali una riconsiderazione più positiva e ottimista della donna circa la sua
diaconia nella Chiesa;
• alle donne un sereno e autentico confronto sulle loro personali responsabilità, perché
riscoprano il dono di Dio che è in loro.
Diventi la donna, in questo contesto sociale, segno di speranza e di una umanità nuova, che tutti
attendiamo e che il “Maria” la donna del “Sì”, troverà sempre il suo compimento.
(7-8-1995)