Nessuno ti può costringere

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Nessuno ti può costringere QuiEdit 2009 Prefazione di Marianne Schneider Questo è quel mondo Francesca Andreini

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Intervista a Francesca Andreini autrice di Nessuno ti può costringere, QuiEdit, 2009

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Nessuno ti può costringere

QuiEdit 2009

Prefazione di Marianne Schneider

Questo è quel m

ondo Francesca Andreini

Cartella stampa La collana

Questo è quel mondo è una collana di libri diretta da Enrico De Vivo. Fa esplicito riferimento, nel nome, alla poesia A Silvia e, nell’epigrafe qui sopra, al Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica di Giacomo Leopardi. L’inten-zione è quella di riscoprire l’universo della conoscenza fondata sulla fantasia, con una critica indiretta, ma chiara, all’attualità e alla storia, dalle quali è bandi-to e rimosso qualsiasi pensiero non controllato. Oggi finzioni e fantasia sono solo in apparenza venerate, in realtà vengono manipolate a fini mercantili, e utilizzate per impedire di vedere le cose come stanno. Le finzioni false in cui quotidianamente siamo immersi e che ci ammorbano la vita, a cominciare da tutta la cosiddetta società dello spettacolo, vanno smascherate – a maggior ragione nell’epoca delle verità globalmente propagate – cantando e fingendo un nuovo mondo, scarcerando l’immaginazione per dare il giusto peso alle apparenze. I libri di Questo è quel mondo saranno storie, studi, raccolte di versi che sappiano ancora portarci in territori non programmati a tavolino, saltando a pie’ pari le angosce del tempo reale, non per obliarle, bensì per ren-derle più comprensibili alla luce delle intuizioni del pensiero fantastico.

Le prossime uscite Enrico De Vivo, Divagazioni stanziali, prefazione di Gianni Celati, primavera 2009 Walter Nardon, Il ritardo, autunno 2009

“A volere che l’immaginazione faccia presentemente in noi quegli effetti che facea negli antichi, e fece un tempo in noi stessi, bisogna sottrarla dall’oppressione dell’intelletto,

bisogna sferrarla e scarcerarla, bisogna rompere quei recinti”. Giacomo Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica

Cartella stampa All’avventura, lontano dalla tristezza

di Gustavo Paradiso

Intervista con Francesca Andreini, autrice di “Nessuno ti può costringere”, edito da QuiEdit nella collana Questo è quel mondo

GP: Marianne Schneider, all’inizio della sua prefazione, dice che il suo ro-manzo si legge con i cinque sensi. Questa frase mi ha molto colpito; cosa significa esattamente? FA: Trovo affascinante esplorare tutte le dimensioni offerte dalla realtà e restituirle attraverso il linguaggio. Non volevo scrivere una storia bidimen-sionale in cui un personaggio agisce e parla solamente. Mi sembrava limitati-vo; e allora non ho descritto solamente Gino che cammina per strada, per esempio, ma ho cercato di ricreare le sensazioni che gli dà quel camminare. E fa molta differenza se, mentre cammina, Gino ha la pancia piena o vuota, se l’aria che respira è profumata o puzzolente, se il vento gli porta o meno il suono degli uccelli… GP: Gino, il protagonista del romanzo, è presente in tutte le scene. Tutto ruota e, direi, prende vita, intorno a lui; tutto accade seguendo l’ordine cro-nologico delle sue esperienze. Da cosa dipende la scelta di un intreccio così lineare? FA: Come diceva Enrico de Vivo, il mio è “un romanzo molto poco ro-manzesco”. È nato come un racconto di avventure, che la rivista “Zibaldoni e altre meraviglie” (www.zibaldoni.it) pubblicava a puntate, via via che io le scrivevo. Non avevo in mente una trama precisa, non volevo esprimere un messaggio peculiare e men che meno sapevo come sarebbe finito. Scrivevo per la gioia di inventare e di esplorare il mondo attraverso le esperienze di Gino. Questa leggerezza, questa mancanza di intrecci asfissianti credo si sia mantenuta anche nella versione attuale, nonostante ci siano stati dei piccoli cambiamenti nati dalla necessità di rendere la narrazione meno “episodica”. GP: Lei afferma che nel suo romanzo non c’è un messaggio, eppure il titolo sembrerebbe delinearne uno. FA: “Nessuno ti può costringere” non è un insegnamento chiuso, l’espres-sione di un dogma da parte di chi ha capito come funziona il mondo. È solo un atteggiamento mentale; la voglia (che per Gino è quasi un’esigenza fisica) di non farsi chiudere in schemi di alcun genere. È la capacità, a mio avviso

preziosissima, di passare indenne attraverso le esperienze della vita senza farsi “marchiare”. Gino lo sente chiaramente, a un certo punto del romanzo, dopo essere caduto in un giro di malavita e aver rischiato la pelle. In un momento in cui non riesce a liberarsi dalla sensazione di essersi “sporcato” per sempre, guardando l’alba, capisce che niente può obbligarlo “a vivere triste il resto della vita”. E da lì rinasce. GP: Come definirebbe il suo rapporto con la lingua? FA: Amo le parole. Mi piace usarle, verificarle, spingerle e associarle al limite del loro significato per vedere quali nuovi sensi riescono a raggiungere. Per il mio romanzo volevo creare un linguaggio particolare, e credo di esserci riuscita. GP: In che modo? FA: Con una specie di controcanto. C’è una melodia sottesa al testo che evoca qualcosa di lento e ancestrale; una specie di pulsare dolce e potente che si accorda alla forte presenza, nella storia, della natura e dei fenomeni naturali. Andamento melodico al quale fanno da contrappunto toni più rapidi, più taglienti che derivano da una mia rivisitazione del toscano; un dialetto che possiede alcuni giri di frase, un certo uso ellittico e quasi sincopato della sin-tassi che mi pareva degno di essere esplorato. GP: Parliamo della storia. Da dove ha preso una trama temporalmente così lontana dalla sua esperienza? FA: Dai racconti ascoltati nell’infanzia. Le storie di nonni, zii e genitori. Che parlavano anche di eventi molto remoti, di conoscenti e parenti lontani per epoche e nazioni. Ho ascoltato per anni, affascinata. GP: La sua allora è una sorta di biografia familiare? FA: Assolutamente no. Dai racconti dell’infanzia ho tratto atmosfere, situa-zioni, personalità, ma le ho poi rielaborate in eventi del tutto inventati. GP: Un’operazione complessa… FA: Non più di tanto. Nell’introduzione alle puntate pubblicate su “Zibaldoni” avevo scritto: “Provate a raccontare una fiaba a una persona che non ha la predisposizione. Gli sembrerà un’accozzaglia di assurdità. Provate a

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raccontare episodi seri a un bambino. Diventeranno fiabe”. Intendendo per “fiabe” le immagini dilatate, mitizzate, estremizzate, di episodi di vita più o meno eccezionali. Ecco, io non ho fatto che utilizzare queste immagini im-mettendole in una nuova trama. GP: Lei parla però anche di eventi storici ben precisi. FA: Sì. Ci sono, all’inizio come sfondo all’azione e poi sempre più preponde-ranti, l’avvento del fascismo, il colonialismo, la guerra e infine la liberazione di Firenze. Tutto ispirato, come sempre, da racconti orali; anche se poi mi sono fatta le mie brave ricerche storiche: parlando di fatti molto noti non volevo che l’attenzione del lettore stridesse contro imprecisioni grossolane. Ho preso qualche piccola libertà lì dove mi sembrava di non urtare la sensibi-lità di nessuno. GP: Ha accennato prima ai “racconti orali”. Si sente molto l’influenza del “parlato” nel suo romanzo. FA: Sono contenta che lei dica questo. È stato il mio sforzo maggiore: restitui-re la freschezza e la capacità evocativa della tradizione orale. Nonché quel pi-glio un po’ brusco e cinico tipico del carattere toscano. Del resto, è da lì che viene tutto: dagli episodi che mi hanno raccontato persone abituate a racconta-re. Ho avuto l’immensa fortuna di conoscere le ultime generazioni spontanea-mente capaci di narrare oralmente le loro storie, sia vissute, sia inventate. Ho sentito fortemente l’esigenza di sfruttare questa preziosissima occasione.

Gustavo Paradiso

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Un ragazzino che a dodici anni, nell’epoca fra le due guerre, scappa dalla famiglia e dai doveri e comincia a girovagare fra incontri straordi-nari e grotteschi, fra pericoli e iniziazioni attraverso una Toscana miste-riosa, aspra, magica. Sfuggendo al peggio, Gino saltella fra paesi ed esperienze. Si ribella con testardaggine toscana alla natura cattiva del mondo. Con passione e ironia continua ad amare ogni aspetto della vita. Impara fra i boschi a schivare i colpi delle frasche. E per tutta la vita si piega, capriola e scivola fra le dita del destino. Crescendo si fa uomo, ma riesce sempre ad evitare tutto quello che lo vorrebbe costrin-gere in una forma definitiva. Fino alla prova estrema della guerra. “Capiamo subito da che cosa sta scappando Gino”, scrive Marianne Schneider, “ma che cosa insegue? Ha qualcosa dentro di sé che lo rende parente del fiabesco Pinocchio […] e quello che Giorgio Manganelli dice di quel burattino, vale anche per Gino: che ‘segue il suo oracolo interiore’, che lo può anche far sbagliare, ma lo guida miracolosamente attraverso il mondo, facendolo andare dietro ai suoi sogni e alle sua curiosità e alla voglia di arrivare non sa nemmeno lui dove, ma intanto s'incammina”. Francesca Andreini (Firenze, 1966) pubblica nel 2002 un brano su Fi-renze (Die Florentinischen Hugel) nella raccolta Florenz, Eine literarische Ein-ladung, edita da Wagenbach. Fra il 2004 e il 2007 pubblica a puntate il romanzo storico, di formazione, Gino, sulla rivista Zibaldoni e altre meravi-glie (www.zibaldoni.it). Nel 2007 la sua commedia sul mondo del preca-riato Impara l’arte è finalista (3° posto) alla XIII edizione del Premio Enri-co Maria Salerno per la drammaturgia Europea. Ha lavorato alla redazio-ne di programmi televisivi per Mediaset e Telemontecarlo. Ha vissuto in Siria e in Senegal fino al 2005, attualmente vive a Roma.

In copertina:Illustrazione di Mili Romano

L’odore del glicine gli si mescolò dentro, insieme ai suoni e al calore del sole.

Ruotò il mondo in una risata e gli fece venire su dal naso quella sensazione di

primavera, che cominci tutto solo allora, in quel momento. E gli schizzarono

via gli affanni, le lentezze e i silenzi degli ultimi giorni. Si sentì grande e

leggero, libero e agitato. Come il fumo che esce da un comignolo

“ “ € 19,80