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IL GRUPPO MINERALOGICO ROMANOAssociazione culturale senza fini di lucro

riconosciuta ai sensi del D.P.R. n. 361/2000www.gminromano.it

RIUNISCE cultori ed appassionati di mineralogia epaleontologia

PUBBLICA il Notiziario «IL CERCAPIETRE»

È CURATORE dello storico Museo MineralogicoNaturalistico del Collegio Nazareno

FAVORISCE rapporti con Enti Istituzionali di ricercascientifica e con Associazioni amatorialinazionali ed estere

PROMUOVE studi, ricerche, scambi

ORGANIZZA conferenze, mostre, attività divulgative

SEDE:Museo Mineralogico Naturalistico del Collegio NazarenoLargo del Nazareno, 25 – 00187 Roma – Tel. 06 6790771Apertura sede: il sabato (non festivo) dalle ore 16 alle ore 19

Per informazioni:Tel. 333 7964784 – 333 8201317 – 338 1540941E-mail: [email protected] / [email protected]

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IL CERCAPIETRENOTIZIARIO DEL

GRUPPO MINERALOGICO ROMANO

N. 1-2 / 2012

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Notiziario semestrale del G.M.R.N° 1-2 / 2012Edizione fuori commercioAut. Trib. Roma n° 490/2001 del 6/11/2001

Direttore responsabile:FRANCO CALVARIO

Stampa:DUEMME grafica - Via della Maglianella, 71-75 - 00166 RomaFinito di stampare nel marzo 2013

Foto di copertina“Tormalina” policroma (4 mm) su quarzo, S. Piero in Campo, Is. d’Elba; coll. e foto R. Pucci

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I L C E R C A P I E T R E

Coordinatore del Comitato di Redazione:ROBERTO PUCCI

Comitato di Redazione:VINCENZO NASTIMARCO CORSALETTISALVATORE FIORIGIANCARLO FRATANGELIFEDERICO LUCCIALBERTO MUSSINOEDGARDO SIGNORETTI

Comitato scientifico:FABIO BELLATRECCIAITALO CAMPOSTRINIENRICO CAPRILLIGIANCARLO DELLA VENTURAFRANCESCO DEMARTINODINO GRUBESSIADRIANA MARASANNIBALE MOTTANAPAOLO ROSSIFABIO TAMAGNINI

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Ad majora!Vincenzo Nasti Pag. 6

Le cavità miarolitiche delle pegmatiti di Grotta d’Oggi(San Piero in Campo, Isola d’Elba). Alcuni esempi dellaassociazione feldspato-quarzo-tormalina-berillo-zircone-micaFederico Lucci e Roberto Pucci » 9

Peregrinazioni mineralogiche sulle orme di antichiNaturalisti a quattro passi dall’UrbeMaurizio Burli » 18

Evoluzione geologica del Basamento Metamorfico ToscanoFederico Lucci e Valerio Masella » 47

La stibnite della Valle del Tafone (Manciano – GR)Federico Lucci e Valerio Masella » 56

Norme per i collaboratoria cura del C.d.R. » 64

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S O M M A R I O

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AD MAJORA!Vincenzo NastiPresidente del Gruppo Mineralogico Romano

Le analogie, fatte le doverose propor-zioni, tra la storia del Gruppo Mineralogi-co Romano e quella di uno dei primi pro-tagonisti del Museo del Collegio Nazare-no sono straordinarie, ma, se vogliamo,possono essere lette come la conseguenzalogica dell’impegno di entrambi i soggettinell’ambito della storia della mineralogiaitaliana.

Nel 1804 P. Carlo Giuseppe Gismondi,curatore del Museo Mineralogico del Col-legio Nazareno, dopo aver collaboratoper anni con P. Gianvincenzo Petrini, fon-datore del Museo, e aver contribuito conle sue ricerche mineralogiche alla crescitae all’evoluzione della mineralogia laziale,su incarico di Pio VII, occupa la Cattedradi Storia Naturale e Mineralogia pressol’Archiginnasio La Sapienza di Roma.

Pio VII in quell’occasione mette a di-sposizione di P. Gismondi le risorse finan-ziarie necessarie a creare il Museo di Mi-neralogia del quale lo stesso diviene ilprimo Direttore.

Dopo quasi un secolo, nel 1908 P.Adolfo Brattina, ultimo Direttore del Mu-seo, lascia il Collegio per ritornare al pae-se natio e i campioni del Museo da quelmomento, e per quasi novanta anni, sono

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“Gabinetto Mineralogico del Collegio Nazareno”; dauna vecchia lastra fotografica.

Paul M. Letarouilly, Collegio della Sapienza, in Edifi-ces de Rome Moderne, 1860. Sede, ai tempi di Gismon-di, dell’Archiginnasio La Sapienza, oggi Complesso diS. Ivo alla Sapienza, sede dell’Archivio di Stato.

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“custoditi”, in modo caotico e disordinato,in armadi nei corridoi e negli scantinatidel Palazzo Nazareno.

Il Gruppo Mineralogico Romano, chedal 1985 è ospitato nel Collegio, nel 1997,dopo un lavoro decennale di riordino e dinuova catalogazione, riporta alla luce ilMuseo e i suoi tesori e ne diventa ufficial-mente, nel 2002, Curatore.

Oggi la Fondazione Collegio Nazare-no, dopo aver visto l’inesorabile diminu-zione degli studenti, decide la chiusuradella Scuola, fondata da San GiuseppeCalasanzio nel 1597, e programma una ri-strutturazione dell’intero storico Palazzoper trasformarlo in un albergo di lusso.

In attesa di decidere la nuova destina-zione del Museo, tutti i reperti sarannoimballati e conservati (!) in un luogo cheancora non si conosce 1.

Nel febbraio del 2013, dopo quasi ven-ticinque anni di attività di Curatore delMuseo, il Gruppo Mineralogico Romanoviene gentilmente invitato a liberare i lo-cali del Museo dalle proprie cose.

Il G.M.R. si mette alla ricerca di unluogo dove poter stabilire la propria nuovaSede e trova una meravigliosa disponibilitànelle persone responsabili del luogo che,storicamente, appare un naturale punto diarrivo di un percorso durato quaranta an-ni: il Dipartimento di Scienze della Terradell’Università Sapienza di Roma.

All’interno del Dipartimento esiste ilMuseo di Mineralogia creato nel 1804 da

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Uno scorcio del Museo Mineralogico del Collegio Na-zareno al momento della sua riapertura al pubblico nel1997 ad opera del G.M.R.

Uno dei campioni della Donazione di Giuseppe IIesposto nel Museo Mineralogico del Collegio Nazare-no e particolare della sua etichetta.

1 Nel Museo esistono, tra l’altro, campioni di mi-nerali del Lazio (presumibilmente raccolti da Gismon-di e oggetto degli scambi con gli altri mineralogisti eu-ropei) e la raccolta dei campioni di minerali donati alMuseo nel 1784 da Giuseppe II, Imperatore d’Austriae Re di Ungheria.

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P. Gismondi, Scolopio e Direttore delMuseo Mineralogico del Collegio Nazare-no. All’ingresso di uno dei saloni del Mu-seo un busto di Pio VII accoglie i visitato-ri e gli studenti.

Nei prossimi mesi il Gruppo Mineralo-gico Romano avrà una nuova Sede e daquesta potrà sortire una nuova vita del-l’Associazione che avrà la possibilità,sempre nell’ambito di quanto stabilito dalproprio Statuto, di integrare l’attività so-ciale con una maggiore e più partecipatacollaborazione con il Museo di Mineralo-gia, con le altre Istituzioni sul territoriocome l’Università RomaTre e con tutti gliIstituti scolastici di Roma.

Il G.M.R., comunque, nel desiderio dinon abbandonare il Museo del CollegioNazareno, pur consapevole di non potersiopporre alle decisioni della Fondazione,ha dato, la propria disponibilità a conti-nuare, una volta trovata la nuova sede delMuseo (che si auspica ritorni ad esserequella dei tempi di P. Petrini), l’attività diCuratore del Museo, non più per uso dellaGioventù che educhiamo 2, ma per mante-nere in vita quello che si può ritenere non

solo uno dei primi esempi di evoluzionemoderna in senso museale della Wun-derkammer del XVII secolo, ma, princi-palmente, il luogo di nascita dello studiosistematico della mineralogia laziale 3.

Il Gruppo Mineralogico Romano daqueste pagine intende rivolgere un appel-lo ai Responsabili delle Istituzioni pubbli-che e private perché intervengano peraiutare il Collegio Nazareno a riuscire amantenere in vita il Museo Mineralogicoe con esso i segni della crescita culturalescientifica del nostro Paese.

Queste righe vogliono essere un acco-rato e augurale ad majora alla DirezioneGenerale per la valorizzazione del patri-monio culturale del Ministero per i beniculturali, alla Direzione regionale per ibeni culturali e il paesaggio del Lazio, al-la Sovrintendenza ai Beni culturali di Ro-ma, ai Dipartimenti di Scienze della Terradi tutte le Università, alla Pontificia Com-missione per i Beni Culturali della Chie-sa, al F.A.I. Fondo Ambiente per l’Italia ea tutti gli Enti in grado di proteggere i se-gni della storia culturale italiana.

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2 P. Giovanni Vincenzo PETRINI, Gabinetto Mine-ralogico del Collegio Nazareno, Roma, 1791-1792, To-mo I, p. XXIII.

3 Si veda in questo numero l’articolo di MaurizioBurli nel quale è ben descritta la rilevanza dell’esisten-za del Museo Mineralogico del Collegio Nazareno nelcontesto storico della mineralogia italiana.

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LE CAVITÀ MIAROLITICHEDELLE PEGMATITI DI GROTTA D’OGGI (SAN PIERO IN CAMPO, ISOLA D’ELBA). Alcuni esempi dellaassociazione feldspato-quarzo-tormalina-berillo-zircone-micaFederico Lucci 1, 2 e Roberto Pucci 2

1 Dip. di Scienze, Sezione di Scienze Geologiche, Uni-versità RomaTre

2 Gruppo Mineralogico Romano

Riassunto

Le cavità miarolitiche rappresentanol’evoluzione tardiva (da tardo-magmaticaa pneumatolitica) del processo di solidifi-cazione di corpi pegmatitici a composizio-ne granitoide, soprattutto se geochimica-mente evoluta (saturazione in SiO2, inAl2O3, saturazione in fluidi ed elementiincompatibili come Cs, Sr, Li, Be, Y,REE, Ti, Nb, Ta…). Affinchè una cavitàmiarolitica si generi, è necessario che unaporzione del fuso magmatico diventi su-persaturo in fluidi (in fase vapore) e chequesti non riescano a fuggire via nellerocce incassanti la pegmatite stessa. Lacavità miarolitica quindi rappresenta una“fucina” in cui lo spazio della cavità per-mette spesso, ai minerali, di sviluppare lapropria forma cristallina, e soprattutto diformare specie mineralogiche particolar-mente arricchite in elementi incompatibiliche viaggiano insieme ai fluidi magmatici.

Grotta d’Oggi: un esempio dei filoni peg-matitici elbani

Sebbene tanto sia già stato scritto sulle“Pegmatiti Elbane” e sebbene la maggiorparte di esse siano state cavate ed estratteprima della Prima Guerra Mondiale (vediSinkankas, 1981), è ancora possibile fareinteressanti ritrovamenti che permettonoall’attento osservatore di studiare i pro-cessi che hanno portato alla genesi diqueste rocce.

È interessante però sottolineare, comeriporta il Pezzotta (2000), che negli ultimianni sono stati rinvenute, attraverso unapiù attenta mappatura geologica dell’areaorientale del Monte Capanne, almeno al-tre 45 strutture filoniane pegmatiticheprecedentemente non descritte.

Il perché di così tanti filoni non cono-sciuti in un’area così piccola è presto det-to: quasi tutte le esplorazioni e gli “assag-gi” compiuti nel XVIII secolo e gli scavisuccessivi, sono stati prodotti sui filonimaggiori in spessore e quindi ben visibili.Osservando con attenzione la Carta Geo-logica (Fig. 1) e il particolare del margineorientale del Monte Capanne (Fig. 2) èchiaramente percepibile che le località fi-loniane più famose (La Speranza, MassoForesi, Fonte del Prete, Facciatoia, FossoBovalico, Grotta d’Oggi, Fosso S. France-sco, Catri, Ca’ Mastaglino, Fosso dei For-cioni) costituiscono gli affioramenti mag-giori di un’unica grande fascia pegmatiti-ca che costeggia tutto il massiccio graniti-co del plutone monzogranitico del Mt.Capanne, e che quindi sarebbe stato mol-to probabile rintracciare, ad una più at-tenta esplorazione, molte altre strutturepegmatitiche a diversa scala di grandezza!

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Fig. 1. Carta geologica dell’Isola d’Elba, da un rilevamento di Bernardino Lotti del 1884. Nel riquadro tratteggiatoè indicato il particolare illustrato nella Fig. 2.

Fig. 2. (nella pagina accanto, particolare della Fig. 1) Carta Geologica Schematica del margine orientale del Mt. Ca-panne (modificata da: Pezzotta, 2000). Q = sedimenti quaternari; C = Calcari e arenarie del “Complesso V”; Sc =Hornfels a precursore pelitico del “Complesso IV”; S = Metabasiti del “Complesso IV”. In grigio chiaro è indicatoil monzogranito del M.te Capanne; in grigio scuro sono indicati i filoni e le masse leucogranitiche ed aplitiche. Ledue linee rosse delimitano l’area continua in cui si riconoscono i più famosi affioramenti di pegmatiti elbane.

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Come si può osservare, ancora dalla cartageologica, i filoni pegmatitici elbani sonoconvenzionalmente suddivisi in due tipo-logie principali: i) filoni e dicchi senza mi-nerali litiferi, in carta indicati con un cer-chio verde; ii) filoni e dicchi con mineralilitiferi, in carta indicati con cerchi rosso,blu e viola (la suddivisione in sottocate-gorie è stata proposta basandosi sullageometria e sulla zonatura della distribu-zione delle fasi litifere all’interno dellecavità stesse).

A questa seconda tipologia di dicchiappartengono le più famose località peg-matitiche de “La Speranza”, “Fonte delPrete” e anche “Grotta d’Oggi” (Millose-vich, 1914; Pezzotta, 2000), caratterizzateda una forte variabilità delle dimensionicristalline dei singoli minerali e dalla nonomogenea distribuzione dei minerali ric-chi in elementi incompatibili (tormaline,berilli, lepidoliti…). Questi filoni sono

principalmente incassati nella parte mar-ginale del monzogranito del Monte Ca-panne e solo in alcuni casi sono stati rin-venuti anche all’interno delle rocce meta-morfiche (hornfels) costituenti la aureoladi contatto del plutone. In realtà, se vo-lessimo realmente entrare nel merito del-la classificazione delle cavità pegmatitiche(non esclusivamente elbane), dovremmonon solo considerare la dimensione spa-ziale e la distribuzione in esse dei minera-li interessanti [tormalina, berillo, monazi-te, zircone (Fig. 3), lepidolite (Figg. 10 e12), pollucite, ecc.], bensì dovremmo ini-ziare a considerare la variabilità volume-trica laterale della cavità, la sua intercon-nessione con altre cavità vicine e prossi-mali, e soprattutto la variabilità composi-zionale delle pareti stesse della cavità. Unlavoro che va ben oltre l’interesse di que-sto articolo e che non aggiungerebbe nul-la in più al piacere di trovare una cavitàmiarolitica (o i suoi frammenti) ed osser-varne tutte le sue parti!

Paragenesi di una Cavità Miarolitica

La paragenesi di una cavità miaroliticapuò essere suddivisa in tre successivi as-semblaggi mineralogici (Cerny, 2000).

Fase 1 - minerali di prima cristallizzazionecostituenti le pareti della cavità (550°C perpegmatiti geochimicamente primitive,450°C per Li-Cs-Ta-pegmatiti): solitamen-te le pareti della cavità sono costituite dal-le stesse fasi cristallizzanti nel fuso grani-toide di origine, come K-feldspato, albite,quarzo, tormalina, muscovite (e a volte le-pidolite). I minerali tendono a cresceredalla pegmatite massiva verso lo spazio

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Fig. 3. Zircone, cristallo di 0,35 mm; Grotta d’Oggi,S. Piero in Campo, Is. d’Elba. Coll. F. Lucci, foto R.Pucci.

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vuoto della cavità pegmatitica sviluppandoterminazioni euedrali (Fig. 4). La tessituracristallina varia quindi da isotropa casualea concentrica radiale rispetto alla cavitàstessa. La dimensione cristallina tende acrescere progressivamente verso la stessadirezione (cioè verso la cavità). Intercre-scite grafiche (dette così perché, quandoben sviluppate possono evolvere da ango-lari a cuneiformi, come antiche forme discrittura) di tipo feldspato+quarzo e tor-malina+quarzo sono tipiche nell’area piùesterna della cavità. Se queste intercrescitesi estendono oltre la zona massiva spessotendono a terminare in aggregati di indivi-dui cristallini perfettamente orientati (Fer-sman, 1960; Cerny, 2000) (Fig. 5).

Fase 2 - copertura delle pareti della cavitàdalla cristallizzazione delle fasi tardo-magmatiche – pegmatitiche (450-200°C,

soluzioni idrotermali di alta temperatura):se la pegmatite presenta un carattere geo-chimicamente evoluto, la prima cristalliz-zazione viene ricoperta da minerali arric-chiti in componenti volatili e rari [berillo(Fig. 6), elbaite, topazio, lepidolite, albite,adularia, quarzo, e moltissime altre fasiaccessorie minori]. Questi minerali posso-no svilupparsi sia come semplice copertu-ra della precedente indisturbata faciesquarzo-feldspatica, sia interagire con lefasi tardive di cristallizzazione di questa eparteciparne ai fenomeni di intercrescita.

Fase 3 - formazione di un assemblaggiotardivo a carattere pneumatolitico – idro-termale (soluzioni idrotermali di bassatemperatura 250-150°C) che ricopre le fa-si precedenti (vug-coating) e colma gli in-terspazi (vug-filling): associazione solita-mente caratterizzata da boromuscovite,

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Fig. 4. Quarzo fumè, cristallo di 5 mm. Grotta d’Oggi,S. Piero in Campo, Is. d’Elba. Coll. F. Lucci, foto R.Pucci.

Fig. 5. Terminazione euedrale di K-feldspato graficocon intercrescite di cristalli di quarzo (modificato da:Cerny, 2000).

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cookeite, “apatite”, fosfati secondari, zeo-liti, minerali argillosi, goethite e in alcunicasi anche carbonati. Queste ultime fasi,spesso, possono crescere a spese dei mi-nerali magmatici formatisi durante le Fasi1 e 2, soprattutto nella parte inferiore del-la cavità (in Cerny, 2000).

Il modello di cristallizzazione di una ca-vità miarolitica, qui sopra descritto, per-mette alcuni spunti di riflessione. Se il pro-cesso di solidificazione della pegmatite av-viene simultaneamente ad un progressivoarricchimento di fluidi (H2O + F, B, Li, P)ed elementi incompatibili, allora si puòsperare che i processi di cristallizzazionepossano produrre progressivamente la for-mazione di specie minerali interessanti.

Se il raffreddamento del magma avvie-ne in condizioni lente ed opportune e lacristallizzazione stessa della parete quar-

zo-felsica riesce a diventare ulteriore bar-riera alla fuga dei fluidi, allora è possibileche si inneschi il processo di chemical-quenching, ovvero una massiva cristalliz-zazione-precipitazione di minerali ricchiin elementi quali B, Be, F, Li.

Sebbene le Fasi 1 e 2 vengano distintenel modello proposto da Cerny, nellarealtà rappresentano due momenti di ununico processo continuo e che quindi pos-sono anche sovrapporsi, generando unacerta continuità tra le fasi quarzo-feldspa-tiche e le cristallizzazioni di tormalina,berillo e di altre fasi accessorie.

Tale continuità è facilmente osservabi-le nei processi di intercrescita che a voltecaratterizzano minerali della prima fasecome quarzo e feldspato e minerali dellaseconda fase come tormalina e berillo:

i) cristalli di tormalina, berillo e quar-zo (ialino e fumè) che attraversano o in-

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Fig. 6. Berillo, cristallino di 2 mm. Grotta d’Oggi, S. Pie-ro in Campo, Is. d’Elba. Coll. F. Lucci, foto R. Pucci.

Fig. 7. Berillo (2 mm) in intercrescita con K-feldspato.Grotta d’Oggi, S. Piero in Campo, Is. d’Elba. Coll. F.Lucci, foto R. Pucci.

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tercrescono con feldspati e quarzi mag-giori (Figg. 7 e 8);

ii) variazione composizionale dei mi-nerali, come per esempio avviene per letormaline: schorl nella massa pegmatiticainiziale che possono evolvere a elbaitimulticolori attraverso il progressivo arric-chimento di costituenti incompatibili assi-milati dai fluidi (Figg. 9 e 10).

Infine, osservando una cavità pegmati-tica si sarà sicuramente notato quanto siadifficile rinvenire un cristallo perfetta-mente terminato. La risposta è tutta neiprocessi della Fase 3:

i) la sovrappressione dei fluidi può su-perare i valori di confinamento della ca-vità, ciò spesso produce una fuoriuscita diquesti, tutt’altro che indolore, e la conse-guente rottura e frattura degli esemplaripiù fragili che sporgono dalle pareti dellacavità (Figg. 11 e 12); ii) i processi tardivi di soluzione-disso-

luzione (leaching) legati ai fluidi finali chepermangono nella cavità, generano uncontinuo e progressivo cambiamento del-le condizioni chimiche che possono pro-durre corrosione e alterazione di mineraliprecedentemente formatisi.

L’ambiente fortemente acido è solita-mente indicato dalla formazione progres-siva di albite+muscovite su K-feldsdpatopertitico e poi precipitazione di zeoliti(Fig. 13) e minerali argillosi.

Considerazioni finali

Una passeggiata di poco meno di dueore a Grotta d’Oggi ha fornito parte delmateriale e lo spunto per scrivere questobreve articolo. Siamo certi che lavorandocon pazienza nella grossa pietraia sotto lo

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Fig. 8. Berillo (1 mm) in intercrescita con quarzo.Grotta d’Oggi, S. Piero in Campo, Is. d’Elba. Coll. F.Lucci, foto R. Pucci.

Fig. 9. Tormalina policroma (4 mm) su quarzo. S. Pie-ro in Campo, Is. d’Elba. Coll. e foto R. Pucci.

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Fig. 10. Tormaline policrome (4 e 2 mm) e lepidolite in aggregati submillimetrici. S. Piero in Campo, Is. d’Elba. Coll.e foto R. Pucci.

Fig. 11. Tormalina policroma (8 mm) su quarzo e K-feldspato; sia la tormalina che il K-feldspato mostrano segni piùo meno profondi di corrosione. S. Piero in Campo, Is. d’Elba. Coll. e foto R. Pucci.

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sperone monzogranitico sia possibile tro-vare ancora qualche esemplare degno dinota e attenzione. E forse anche lo stessoTorrente Bovalico nel suo letto nascondequalche tesoro da riscoprire. Tuttavia loscopo di questo articolo, non era quello di“raccontare di inenarrabili tesori da millee una notte”, ma discutere insieme su co-me un magma in determinate condizionigeologiche sia in grado di produrre quellespecie cristalline che ci spingono a cari-carci lo zaino di martello, buste, acqua ecibo e partire alla ricerca di un nuovopezzo per la nostra vetrina.

Ringraziamenti

A Giorgia che ha trovato nella pietraiadi Grotta d’Oggi l’esemplare con il picco-lo quarzo fumè.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

CERNY P., (2000) - Constitution, petrology, affilia-tions and categories of miarolitic pegmatites -Memorie della Società Italiana di Scienze Natu-rali e del Museo Civico di Storia Naturale di Mi-lano, Vol. XXX (1), 5-12.

FERSMAN A.E., (1960) - Graphic Structure of grani-tic pegmatites - In: Selected Works VI. Academyof Sciences of the USSR, Moscow, 645-659 (inRusso).

MILLOSEVICH F. (1914) - I 5000 Elbani del Museo diFirenze. Contributo alla conoscenza della mine-ralogia dell’Isola d’Elba - Studio Editoriale In-subria, Reprint Milano 1978, 96.

PEZZOTTA F. (2000) – Internal structures, paragene-ses and classification of the miarolitic Li-bea-ring complex pegmatites of Elba Island (Italy) -Memorie della Società Italiana di Scienze Natu-rali e del Museo Civico di Storia Naturale di Mi-lano, Vol. XXX (1), 29-43.

SINKANKAS J., (1981) - Emerald and Other Beryls -Chilton Book Co. Nelson Canada, Radnor Pa-Scarborough, Ontario, 255.

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Fig. 12. Lepidolite in pacchetti di laminette di 2 mm ein aggregati submillimetrici cristallizzatisi intorno e al-l’interno del cristallo fratturato e corroso di tormalina.S. Piero in Campo, Is. d’Elba. Coll. e foto R. Pucci.

Fig. 13. Berillo (2 mm) e cristallini di “cabasite” (0,2-0,6 mm). S. Piero in Campo, Is. d’Elba. Coll. e foto R.Pucci.

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PEREGRINAZIONIMINERALOGICHE SULLEORME DI ANTICHINATURALISTI A QUATTROPASSI DALL’URBEMaurizio BurliGruppo Mineralogico Romano

Dedicato agli odierni seguaci di San Josède Calasanz 1

“Imperrocchè la fama di questa colle-zione mineralogica, facendo che gli stra-nieri amatori e cultori delle scienze si re-cassero a dovere in passando per Roma divisitarla, ne nasceva quel cambio di cogni-zioni e di oggetti, per cui i prodotti delsuolo romano erano ricercati e contrac-cambiati con quelli delle regioni straniere”.

(Dalla necrologia di padre Carlo Giuseppe Gismondi2

in Giornale araldico delle Scienze, Lettere ed Arti, TomoXXVII pp. 293-301, Luglio, Agosto, Settembre 1825).

Premessa

Dopo aver letto Il Cercapietre delloscorso anno, il socio Giancarlo Fratangelimi fece notare che la rivista, oltre che

presentare articoli di natura esclusiva-mente mineralogica, dedicava alcune pa-gine al ricordo di amici soci scomparsi.L’osservazione, che forse aveva uno sco-po scaramantico, determinò delle rifles-sioni inducendomi al proposito di lasciareuna qualche traccia dei tanti amici “adsaxa” che con me hanno dedicato moltotempo a questo hobby, contribuendo auna maggiore conoscenza dei minerali edei luoghi di rinvenimento, in particolare,quelli del Vulcano Laziale.

Quando iniziai a buttar giù qualche ri-ga, volli dare un qualche blasone a questariesumazione mnemonica e ulteriore si-

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1 José de Calasanz, da lui italianizzato in Calasan-zio Giuseppe della Madre di Dio (Peralta del Sal, 1557- Roma, 1648), fu il fondatore dei Chierici RegolariPoveri della Madre di Dio delle Scuole Pie (detti “Sco-lopi” o “Piaristi”) ed è stato proclamato santo da papaClemente XIII nel 1767.

2 Gismondi Carlo Giuseppe (1762-1824), Padre sco-lopio docente al Collegio Nazareno in Roma, stretto col-laboratore di G. V. Petrini nella costituzione del MuseoMineralogico del Collegio Nazareno, Direttore del Mu-seo di Mineralogia dell’Università La Sapienza di Romaprima, poi di quello di Napoli e poi ancora di Roma.

Francisco Goya “L’ultima comunione di San GiuseppeCalasanzio” Les Escuelas Pias de San Antón, Madridanno 1819.

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gnificato alle biografie “ad futuram reimemoriam”, andando ancor più nel pas-sato a cercare i “padri nobili” della mine-ralogia laziale e i suoi inizi. Non senzameraviglia l’indagine mi ha portato a risa-lire controcorrente l’onda del tempo diquasi tre secoli e a scoprire che i primi in-teressati a questa scienza naturale ebberouna passione per la ricerca e la collezionedi “fossili” simile a quella dei nostri socidel Gruppo Mineralogico Romano.

L’approfondito lavoro di ricerca bi-bliografica effettuato, mi ha portato adacquisire un’ampia documentazione chemi sembrava interessante proporre al let-tore, ma che, anche se ridotta all’essen-ziale, per la sua mole avrebbe reso ecces-sivamente frammentaria la lettura se inse-rita nel testo stesso. La soluzione adottataprevede richiami a una serie di note eampie Appendici documentarie che forni-scono notizie ed approfondimenti, chepossono essere di volta in volta lette omeno, senza che sia pregiudicata la conti-nuità della trattazione.

La nascita di sodalizi in ambito regio-nale, anche se solo formati da élites, il for-marsi di grandi collezioni, poi disperse e inparte ritrovate, lo scambio d’informazionia livello europeo, hanno rappresentato labase della mineralogia italiana moderna.

Infatti, proprio tra le mura del Colle-gio Nazareno l’abate Petrini 3 illustrava,con la pubblicazione del “Gabinetto Mi-neralogico”, l’uso delle prime analisi chi-miche per determinare, oltre all’esame

autoptico, la natura delle specie minerali,spesso provenienti dai dintorni di Roma 4.

Ancor oggi, nonostante l’urbanizzazio-ne provocata dall’espandersi dell’areametropolitana, i “Castelli Romani” o“Colli Albani”, meglio ancora il “VulcanoLaziale” per i collezionisti e raccoglitoridi minerali, riservano angoli di intatta na-tura che aggiungono suggestioni profondea una passeggiata con scopo naturalistico.La stessa sensazione la ritroviamo ammi-rando certe stampe d’epoca e nelle de-scrizioni degli stessi luoghi date dai piùcolti viaggiatori del “Gran Tour” 5.

Già prima dell’ondata illuministica,che avrebbe svelato gli orizzonti dellascienza moderna, il gesuita AthanasiusKircher6, nel suo “Latium Vetus et No-vum” (1671) descrisse la particolarità diquesti luoghi anche da un punto di vista

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3 Petrini Gian Vincenzo (1725-1814), fondatoredel Museo Mineralogico del Collegio Nazareno, autorede Il Gabinetto del Collegio Nazareno descritto secon-do li caratteri esterni, 1791-1792.

4 Vedi Appendice 4, 7 e 8.5 J. W. Goethe, Viaggio in Italia, Oscar Mondatori,

Milano 1993. Vedi Appendice 2.6 Kircher Athanasius (Geisa, 1602 - Roma, 1680) è

stato un gesuita, filosofo e storico tedesco.

Foto aerea degli anni ’60, scattata da quota 3000 m,dove si vedono gli abitati di Albano (sin. in basso) eAriccia (poco sopra a destra) mentre il quadrilateroscuro è il Parco Chigi.

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naturalistico, seguito da Pier Maria Cer-melli con le sue “Carte corografiche delLazio…” (1782). Seguirono infine i nu-merosi viaggiatori del Gran Tour a caval-lo tra settecento e ottocento. JohannWolfgang Goethe7, che visitò questi luo-ghi e collezioni (già esistenti in quel pe-riodo), ricorda nel suo “Viaggio in Italia”la duplice visita al Cardinal Stefano Bor-gia di Velletri (22 febbraio e 10 luglio1787) per ammirare le sue collezioni diantichità, di naturalia e fossili, citandoespressamente il Casino Borgia posto, ex-tra moenia veliternae, all’uscita di PortaNapoletana sul lato destro della via Appiaandando verso Napoli 8. La stessa collezio-ne esposta nel casino Borgia fu sicura-mente e ripetutamente visitata dal Petrini.L’abate, rettore per parecchi anni del Col-legio Nazareno e tra i primi interpreti ita-liani di una moderna mineralogia scienti-fica, cita ripetutamente nella sua operasingoli esemplari di minerali e rocce os-servati tra i reperti di quella collezione9.Cosa possibile, poiché ogni anno convitto-ri e docenti del Collegio Nazareno soleva-no trascorrere ad Albano, presso un edifi-cio di proprietà degli Scolopi, la villeggia-tura, che a quei tempi iniziava alla fine disettembre e finiva coi primi di novembre.

La distanza tra Albano e Velletri si po-teva percorrere anche a piedi, di buonpasso, in meno di tre ore. Gli stretti rap-porti tra il Borgia e il Petrini sono testi-moniati ancor oggi dalla esistenza pressoil Collegio Nazareno del busto di quest’ul-

timo dedicatogli, ancor vivente, da varistudiosi suoi amici, compreso il Cardinale,che fu eseguito, quasi sicuramente, dalloscultore romano Domenico Cardelli 10.

Altro legame che univa questi due pre-lati, oltre all’amore e alla curiosità per lescienze naturali, era la comunione per un’i-deologia politica moderna e progressista,non tanto come retaggio derivato dalla Ri-voluzione francese, quanto come evoluzio-ne delle idee nate con l’Illuminismo. Infat-ti poco dopo la restaurazione, seguita allaprima Repubblica Romana11, i due cadde-ro in disgrazia per aver occupato posti diprestigio nel nuovo assetto amministrativorepubblicano. Il Cardinale fu spedito a Ve-nezia, mentre il Petrini fu allontanato dallasua amatissima cattedra al Collegio Naza-reno e mandato in pensione nella sua natìaLucca, ove terminò i suoi giorni.

Uno dei meriti principali del Petrini fula costituzione di una prima raccolta12 di

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7 Vedi Appendice 2.8 Attualmente il Casino Borgia è in viale Oberdan

all’altezza del civico n. 49 a Velletri. Vedi Appendici 2,3 e 6.

9 Vedi Appendice 3 e 7.

10 Vedi Appendice 1.11 Petrini fu Tribuno per il Dipartimento del Teve-

re e membro dell’Istituto Nazionale nella sezione diStoria Naturale (Marina Caffiero, La repubblica nellacittà del papa, Ed. Donzelli, 2005).

12 Vedi Appendice 4.

Albano, Casa di villeggiatura del Nobile Collegio Naza-reno. Cartolina d’epoca.

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mostre di minerali, successivamente arric-chita dalla cospicua donazione, nel 1785,da parte di Giuseppe II, Imperatored’Austria e Re di Ungheria, di campioniprovenienti dai territori asburgici 13.

Successore alla cura del Museo delCollegio Nazareno fu padre Giuseppe Gi-smondi, che in una delle visite a Nemi,ospite del Duca omonimo, durante le suericerche mineralogiche intorno al sotto-stante lago 14, rinvenne gli azzurri campio-ni di un minerale che chiamò lazialite eche, in seguito, fu definito come nuovaspecie con il nome di haüyna 15.

Nel periodo fin qui esposto, la raccoltadi mostre di fossili (campioni di minerali,rocce o fossili) avveniva quasi sempre du-rante escursioni organizzate ad hoc, op-pure durante attività peripatetiche dove,quasi sicuramente, si discuteva di filosofianaturale.

La raccolta di campioni avveniva lun-go le strade ed i sentieri non lastricati dif-fusissimi fino a pochi decenni fa per que-ste nostre colline16.

I banchi di peperino potevano avereuna potenza da quaranta metri fino a po-chi decimetri, spesso alternati a banchi,più o meno spessi di pozzolana grigia (la-pillo incoerente) anche questi potenzial-mente ricchi di inclusi di interesse scienti-fico-collezionistico.

In tempi non recenti ad Albano, l’au-tore unitamente ad altri sei appassionatiha cercato di ricalcare le orme di questi

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13 Giuseppe II, dopo una sua visita al Collegio Na-zareno nel 1769, avendo visitato il nucleo originariodella collezione mineralogica allestita dal Petrini, deci-se di donare al Gabinetto Mineralogico un’ampia rac-

colta di campioni provenienti dai giacimenti mineraridei territori asburgici. Ancor oggi su alcuni esemplarisi può osservare l’originaria etichetta a testimonianzadi quella donazione.

14 Speculum Dianae per gli antichi Latini e teatrodegli eventi così ben descritti dal Fresier nella primaparte del suo famosissimo “Ramo d’Oro”.

15 Nasti V., L’olotipo della Haüyna, Il CercapietreN° 1-2-2009, Roma. Vedi Appendici 4 e 5.

16 Ultimamente l’autore ha tentato di ripercorrerealcune di quelle stradine, ancor libere dal cemento edall’asfalto, per effettuare una raccolta di campioni mail successo è stato minimo.

JOANNI PETRINIO SCHOL. PIARUMLITOPHILACII AVCTORI ET

MINERALOGIAE IN VRBE RESTITUTORIMINERALOGI AMICI POSVERUNT

A. MDCCLXXXXIVCVRANTE VIRO E. STEPHANO BORGIA

CARDINALI

Busto del Petrini e dedica. Collegio Nazareno in Roma.

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antichi naturalisti. L’autore ricorda connostalgia l’allegra e giovane brigata (sia-mo alla metà degli anni sessanta), compo-sta da Giancarlo Fratangeli, tuttora sociodel G.M.R. e che trascinò il resto delgruppo ad appassionarsi alle meravigliemineralogiche della zona, Marcello Zam-petti (divenuto poi noto entomologo),Claudio Vella, Roberto Indiati, GiorgioSilvestri e Bruno Sebastiani.

Un grande aiuto ci venne poi dal caris-simo e mai abbastanza rimpianto Ing.Ambrogio Del Caldo cui dovemmo la co-noscenza di molte altre specie mineralogi-che, nascoste nei proietti inclusi nel pepe-rino, oltre a quelle che si potevano trova-re nelle lave leucititiche del Vulcano La-ziale: Capo di Bove, Osa, Acqua Cetosa,Laghetto, ecc. Altro merito di “zio Am-brogio”, così voleva essere chiamato ilbuon Del Caldo, fu di averci fatto cono-scere Ezio Curti 17 a cui, tutti noi che stu-diamo, raccogliamo e collezioniamo mi-nerali laziali, siamo debitori.

Le escursioni, quasi sempre a piedi (achi mancava la patente, a chi un mezzoproprio di trasporto) non raggiungevanopiù di qualche chilometro dal centro abi-tato di Albano. Le mete preferite eranola cava di Ariccia da poco chiusa; il Roc-colo, i Cappuccini e i Tufetti nel comunedi Albano e i cantieri edilizi aperti traAriccia e Albano. Gran messe di esem-plari fu raccolta durante i lavori per l’a-pertura della variante della provincialeAlbano – Rocca di Papa all’altezza diMonte Gentile.

Successivamente, su indicazioni delcompianto Prof. Mario Fornaseri 18, la ri-cerca si spostò a Colle Cimino sotto Mari-no. È doveroso sottolineare la ecceziona-le disponibilità del Fornaseri a consentiree ad agevolare la partecipazione dei ricer-catori “non istituzionali” (e cioè dei colle-zionisti privati) ai progetti universitari distudio e di ricerca. Ancora oggi, per for-tuna, esistono, nei Dipartimenti universi-tari di scienze della terra, personaggi diquesto tipo che rendono ancora più grati-ficante la fatica e l’impegno di chi dedicatempo alla ricerca mineralogica.

Altri luoghi interessanti hanno contri-buito ad arricchire varie collezioni. Tra ipiù importanti ricordiamo la zona dellosbancamento adiacente al distributore dibenzina all’altezza del km 24 della via Ap-pia all’ingresso di Albano, dove nel 1973si rinvennero specie minerali rare, comeharkerite e monticellite; in questo periodocominciarono assidue frequentazioni conAlvaro D’Amico e Luciano Liotti 19.

In seguito si estesero le ricerche ancheai campi dietro il cimitero di Marino, chehanno dato bellissimi campioni di vesu-vianite, per non parlare poi del piccolo li-vello a proietti sulla parete settentrionaleinterna del cratere di Albano dove, permerito di Dario Di Domenico, nel 1989

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17 Ezio Curti è stato coautore dell’unico libro di-vulgativo sui minerali del Lazio: Stoppani F.S., CurtiE., (1982), I minerali del Lazio, Ed. Olimpia S.p.A., Fi,pp. 291.

18 Mario Fornaseri (San Massimo all’Adige, Vero-na, 1913 - Roma 2009), mineralista e geochimico, pro-fessore universitario dal 1951, ha insegnato geochimicanell’Università Sapienza di Roma. Autore con U. Ven-triglia e A. Scherillo di La Regione Vulcanica dei ColliAlbani (Ed. Bardi, Roma 1963) ancora oggi considera-ta esempio di opera esaustiva e fondamentale per in-traprendere uno studio sul Vulcano Laziale.

19 Liotti L. (1994), I minerali del complesso vulca-nico dei Colli Albani (1ª parte), Riv. Miner. Ital., 1, 9-32.Liotti L. (1995), I minerali del complesso vulcanico deiColli Albani (2ª parte), Riv. Miner. Ital., 1, 55-70.

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vennero alla luce, per la prima volta nellezone del Vulcano Laziale, numerosi cam-pioni mineralogici ricchi in Uranio, Torioe REE 20. Per ultimo il più recente cantie-re della TA.CA.RO. (Tangenziale Castel-li Romani), che ha fatto apprezzare ai

collezionisti laziali l’abbondanza della rac-colta come non avveniva da tempo 21.

Di recente con altri amici del G.M.R.,per gentile concessione del ConservatoreArch. Francesco Petrucci, abbiamo avutoil permesso di visitare l’interno della Te-nuta Chigi e il “Barco” (riserva di caccia),annesso al palazzo del principe, da pocoacquisito dal Comune di Ariccia. Esso oc-cupa una stretta valle che partendo daMonte Gentile sfocia sotto il monumenta-le Ponte e quindi nella “Valle Aricina”,cratere di esplosione freatomagmatica egià sede di un antico lago, oggi detta Val-lericcia. Un alto muro recinge tutta laproprietà, interessata da molte piccole ca-ve antiche, che si possono ritrovare ancheal di fuori di essa: a valle sulla parete difronte all’abitato Ariccino, mentre a mon-te, si trova quella più grande e famosa,denominata, nelle etichette dei campioni

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20 Burli M., Di Domenico D., (1988), Ritrovamen-to di minerali di Torio, Uranio e Re nelle Sanidiniti delVulcano Laziale, Documenta Albana, II Serie n. 10,Museo Civico di Albano, pp. 7-8.

21 Caponera I., Fiori S., Pucci R., Signoretti E.,(2007), I minerali dei Colli Albani, un aggiornamentosugli ultimi dieci anni di ricerche, Riv. Miner. Ital., 2,74-91.

Parete con inclusi messa in evidenza dopo l’ultimo am-pliamento della strada che rasenta Colle Cimino a Ma-rino.

Discarica con blocchi di peperino provenienti dalloscavo della III galleria della TA.CA.RO. in località Va-scarelle di Albano.

Lavori di escavazione dell’ultimo tratto della tangen-ziale dei castelli romani.

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esposti in tutti i musei d’Europa, comeCava di Ariccia o Cava di Parco Chigi.

Di altre due cavette vogliamo accen-nare le particolarità: la prima, denomina-ta della “Cupetta”, dopo essere statasfruttata per l’estrazione del tufo, fu re-cintata, provvista di portale e usata perl’allevamento di conigli destinati al ripo-polamento del Barco; le pareti e il suolodi peperino impedivano a quei roditori discavare gallerie e fuggire.

L’altra cava è in località “Roccolo”

nella proprietà privata della Prof.ssaEleonora Paris, nota mineralista albanen-se, ora ordinaria della cattedra di minera-logia all’Università di Camerino e unadelle migliori allieve del Prof. AnnibaleMottana.

Da considerare anche le grandi cave diMarino sfruttate in epoca recente e quel-le di Pantano sempre nello stesso comu-ne, che però hanno dato pochi campioni

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Uno dei nostri soci, Igino Caponera, alla ricerca dicampioni all’interno del Parco Chigi.

Parete dell’antica cava di Parco Chigi. Vecchia cava di peperino in località Vallericcia, usatafin dai tempi degli ultimi Savelli (principi di Aricciaprima dei Chigi, fino alla II metà del ’600) per l’alleva-mento dei conigli, ormai invasa dalla vegetazione.

Antica cava di peperino in località Roccolo di Albano,ora invasa dalla vegetazione, come tutte le altre di anticadata è di dimensioni modeste, qualche centinaio di mq.

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interessanti a parte qualche esemplare dilegno inglobato nel tufo che tramite data-zioni al Carbonio hanno consentito di de-terminare l’età della colata piroclastica acirca 32.000 anni fa (± 500 anni).

È doveroso poi dedicare qualche paro-la a quella che è la roccia ospite di questipiccoli e rari tesori mineralogici: il peperi-no. Unitamente alle altre rocce più o me-no coerenti, formatesi grazie all’attivitàdel Vulcano Laziale 22 (leucitite, traverti-no e pozzolana), questo tufo è stato il ma-teriale usato per costruire gran parte del-

la Roma Repubblicana. Ma anche succes-sivamente, fino al primo dopoguerra, iconci di questa roccia erano i costituentiprincipali di case, muri, chiese, edificipubblici e di lastricati interni. Quindi per-correndo le strade dei paesi dei CastelliRomani, l’occhio del mineralogista nonpuò esimersi dal puntare lo sguardo sugliinnumerevoli blocchi e blocchetti di pepe-rino che sono il modulo fondamentale dimoltissime opere edilizie23.

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22 Vedi Appendice 9.

23 Per quanto riguarda l’uso e il degrado del “Pe-perino”, vedi Burli M., (2007), Il Lapis Albanus: usoantico e conservazione, Documenta Albana, N° 29, Al-bano L.

Pianta delle antiche cave di Ariccia. Sono indicate tutte le cave di peperino e di pozzolana che si trovavano sui ter-reni del principe Chigi posti a valle del ponte monumentale nella seconda metà dell’Ottocento. (Dalla biblioteca del-la fondazione di Palazzo Chigi di Ariccia, per gentile concessione del curatore Arch. F. Petrucci.

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Ancora oggi possiamo osservare in lo-calità “I Tufetti”, “Pietrara” e “Cappucci-ni” nel comune di Albano i luoghi diestrazione che furono sfruttati durantel’epoca severiana (da fine II sec. a oltre lametà del III sec. d.C.) per la costruzionedei castra della Legio II Parthica, delletermae (dovute a Caracalla) e della este-sissima necropoli, i cui sarcofagi eranofatti tutti in pietra Albana di cui si posso-no rivedere le fosse di estrazione.

Recentemente, con lo scopo di procu-rare le immagini con cui corredare questoarticolo, camminando lungo le vie del cen-tro storico di Ariccia e osservando i nume-

rosi inclusi inglobati nel “lapis Albanus”,(come veniva chiamato dai latini, che tan-to uso ne fecero nell’antichità), l’Autorenotava un fatto singolare nelle emergenzevenute alla luce dopo recenti scavi dellaSoprintendenza laziale, nei resti di un tem-pio di età repubblicana, di cui non si cono-sce la dedica. La base del podio, interratoda tempo immemore e conservato perfet-tamente, era composto da conci di peperi-no in opus quadrata, sulle cui facce a vistaemergevano dei proietti vulcanici. I concierano lavorati per tutta la superficie a vistain broccellato tranne che intorno ai margi-ni che sono spianati per una larghezza di

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Cava di Parco Chigi. Foto degli anni trenta in cui, oltre ai cavatori e il capo cava, si intravede la parete di scavo diquella che fu una delle più prolifiche località, relative alla raccolta di specie mineralogiche, di tutto il Vulcano La-ziale. I reperti qui rinvenuti fanno bella mostra di sè nelle vetrine dei più importanti musei di storia naturale delmondo. I nomi dei cavatori sono, da sinisttra: (?), Caietto Indiati, Pietro Toti, Ing. Luigi Cosimi, Ettore Lanzi, UgoIndiati, Ettore Indiati, (?), Rodolfo Luigi Menicocci. Foto di Romeo Alisi nella cava detta “la pietrara” sopra ParcoChigi. Da “Le famiglie storiche ariccine”, a cura di Francesco Petrucci, Ariccia 1993.

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un paio di centimetri e ben combacianticon quelli del blocco confinante.

Questo tipo di finitura presupponevaun tipo di opera a vista senza far uso dimarmi di rivestimento o di spessi intona-ci, che avrebbero dovuto richiedere sulpeperino un diverso tipo di preparazione.Al massimo le pietre potevano essere og-getto di scialbatura allo scopo di dipinger-le con vari colori. Ha colpito l’attenzionedel “mineralogista” il fatto che alcuniconci conservano quei proietti sporgenti,

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Il Portale che fino a qualche anno fa costituiva l’in-gresso della conigliera fu smontato e rimontato all’en-trata dei giardini pubblici di Ariccia prima del pontemonumentale che si trovano appena a destra di questovenendo da Roma. Sotto, la targa sul portale.

Muri in blocchi di peperino ricchi di inclusi.

Particolare di un muro nel centro storico di Aricciacon inclusi messi in rilievo dall’azione degli agenti me-teorici.

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che sono stati “graziati” perché l’anticoscalpellino ha evitato con cura di romper-li, anzi, girando intorno con lo strumentosembra abbia voluto metterli in evidenza.Considerato quanto gli antichi tenesseroin conto le cose che la natura dispensavaloro, possiamo presumere che questi “cal-coli del peperino” furono risparmiati perqualche oscura e magica ragione!

Conclusioni

Le conclusioni del presente articolo vo-gliono essere una riflessione sul futuro del-

la ricerca mineralogica laziale e nazionale.I protagonisti della mineralogia nei secoliscorsi, dei quali l’Autore ha voluto evi-denziare l’impegno e i rilevanti risultatiscientifici, devono rappresentare un esem-pio stimolante per i giovani che manife-stano interesse per le scienze naturali.

Vogliamo auspicare con forza e deter-minazione che il Gruppo MineralogicoRomano, affiancato alle istituzioni uni-versitarie, possa rappresentare la conti-nuità con il passato nella ricerca scientifi-ca e, in particolare, nella mineralogia delterritorio laziale.

Ringraziamenti

L’Autore è grato per il fattivo aiuto e isuggerimenti dati per la stesura di questoarticolo all’amico Vincenzo Nasti e all’a-mico Roberto Pucci per l’apporto consul-tivo riguardante l’aspetto grafico e icono-grafico. Un grazie speciale “ad memo-riam” all’Ing. Ambrogio Del Caldo, senzala generosità, passione e cultura del qualemai avrebbe acquisito quella passione perle scienze naturali e per la conoscenza ingenerale che ora fanno parte del suo mo-desto bagaglio personale.

Di quanto ha ereditato da quest’ulti-mo collezionista di altri tempi ha trovatomoltissime corrispondenze negli amici delG.M.R., sodalizio del quale si pregia difar parte.

Le fotografie, se non diversamente in-dicato, sono dell’Autore.

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Particolare del Podio del tempio repubblicano, recen-temente scoperto, sito a destra dell’ingresso dell’edifi-cio del nuovo Comune di Ariccia. Si notano perfetta-mente i noduli risparmiati formati da proietti inclusinel tufo vulcanico.

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APPENDICI DOCUMENTARIE

APPENDICE N° 1Domenico Cardelli di Lorenzo ”inta-

gliatore di marmi” e Annunziata Borgheseromana. Fratello maggiore dello scultorePietro. Allievo del pittore G. Cades. Stu-diò archeologia sotto la guida di EnnioQuirino Visconti e del Card. Stefano Bor-gia del quale frequentò assiduamente ilmuseo, nel quale si applicò al restauro eall’integrazione di molti marmi antichi.L’attribuzione alla scuola del Canova delbusto del Petrini, posto al Collegio Naza-reno, è giustificata dal fatto che il Cardelli,già a quei tempi, godeva di considerazione:“Canova è attualmente senza emulo in Ro-ma. All’infuori di lui non vi conosco nessu-no che seriamente si applichi a creare qual-cosa di buono nell’arte plastica, tranne l’in-glese Flaxmann e il giovane romano Car-delli” (Georgio Zoega24, Minerva, 1793).

APPENDICE N° 2Da Viaggio in Italia di Wolfgang Goethe:

“Velletri 22 febbraio 1787Assai amena è la posizione di Velletri,

su una collina vulcanica che solo versonord si congiunge con altre, mentre versotre punti cardinali la vista è sconfinata.

Quivi ammirammo la collezione delcavalier Borgia, che, favorito dalla paren-tela col cardinale e dai rapporti con prop-aganda Fide, ha potuto radunare mirabilioggetti antichi e altre cose preziose: idoli

egiziani scolpiti in pietra durissima, figuri-ne di metallo d’epoche più o meno remote,e bassorilievi in terracotta che, essendo sta-ti scavati nelle vicinanze, han fatto attribui-re agli antichi Volsci uno stile proprio.

Il museo è ricco di molte altre raritàd’ogni genere. ... È davvero da irresponsa-bili che un simile tesoro, a due passi daRoma, non venga visitato più di frequente;lo si può scusare pensando alla scomoditàdi qualsiasi escursione in questi luoghi ealla magica attrazione esercitata da Roma.Mentre, scesi di carrozza, andavamo allalocanda, alcune donne sedute davanti alleporte di casa ci gridarono se non avevamovoglia di comprare anche noi qualche an-tichità, e poiché rispondemmo che nonchiedevamo di meglio, ci portarono vecchipaioli, molle da focolare e altre misere ca-rabattole; e ridevano di gran gusto peraverci giocato quel tiro. Noi reagimmo in-dignati, ma il conduttore aggiustò tutto as-sicurandoci che si trattava di un vecchioscherzo, al quale tutti i forestieri dovevanopagar tributo” 25.

“Napoli 10 luglio 1787Il nostro viaggio da Roma a Capua fu

molto propizio e piacevole. Ad Albano ciraggiunse Hackert 26; pranzammo a Velletridal cardinale Borgia e visitammo il suomuseo, cosa che mi rallegrò particolar-mente, perché potei osservare alcuni ogget-ti su cui avevo sorvolato la prima volta”.

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24 Georgio (Jörgen) Zoega (Daler, 1755-Roma1809), danese, è stato archeologo e numismatico. ARoma dal 1783 stabilì stretti e duraturi rapporti con ilCardinale Borgia. Dal 1790 membro Accademia delleArti di Copenaghen.

25 Si è di proposito prolungato il brano fino ad an-nettervi questo aneddoto che sembra parallelo a quan-to fanno i venditori di minerali sul Vesuvio o ai CampiFlegrei (NdA).

26 Jacob Phillip Hackert (1737-1807), paesaggistatedesco. Autore di Lago di Nemi, olio su tela,153�197,5 cm, 1784, Museo delle Belle Arti di Buda-pest.

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APPENDICE N° 3Dovendo, dunque, ricomporre gli even-

ti del Museo Suburbano, è subito apparsacoinvolgente, per l’individuazione del mu-seo extraurbano, la testimonianza di unodei visitatori del museo, Etienne Borson,il quale lo descrive in Lettre a monsieur lemedicin Allioni, sur le cabinet d’antiquè etd’histoire naturelle de S.E. Le CardinalBorgia a Velletri, Roma 1796.

Nella prima parte di questa lettera si facenno per lo più a “marmi” della litologiacome: Porfido verde, graniti vari, basalti,scisti micacei, brecce, varie pietre silicee,cristalli di quarzo, ametista, topazio, calce-donio, “silex corneus”, corniole, eliotropo,lapislazzuli, ossidiane, diaspri, feldspati,cloriti, talco, nefrite, serpentini, pietre olla-ri, marne, gessi, ematite, amianto e pirite.

Nell’ultima invece sono citati: legnopietrificato dei Carpazi, tre vasi di fluori-te del Derbyshire, cristallo di rocca delMadagascar, moltissimi prodotti vulcanici,agate e diaspri siciliani, un grandissimo

topazio ellittico di quattro pollici e mezzooltre a una “pietra flessibile”27 del Brasile.

Stefano Borson, Accademico dellescienze di Torino, naturalista sabaudo alservizio dei Savoia nel 1795 è a Roma,entra in amicizia con il Cardinale StefanoBorgia che gli affida l’incarico di adunareil suo museo di Velletri, lavoro che fu il-lustrato nella già citata lettera.

Nel suo scritto, prima di illustrare lacollezione di storia naturale del cardinale,afferma: “la collezione di storia naturale sitrova in una piccola casa di campagna si-tuata a cento passi dalla città, dove si puògodere della più bella vista di una pianuraimmensa che arriva fino al mare dove l’oc-chio si perde; non c’è luogo più adatto perle opere della natura che la natura stessa”.

Il cardinal Borgia, capo della congre-gazione di Propaganda Fide, aveva istitui-to in Velletri, sua città natale, un MuseoArcheologico ed Etnografico di notevoleimportanza per l’epoca e probabilmenteuno dei primi al mondo. Tra i reperti fi-guravano numerosi minerali provenientianche dal vulcano Laziale.

Il casino extra moenia già citato avevaall’ingresso una lapide con la seguenteiscrizione:

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27 Quasi certamente si tratta di itacolumite, arena-ria costituita per più del 90% da granuli di quarzo; setagliata in strisce mostra grande flessibilità. Rinvenutain abbondanza a Itacolumi, Minas Gerais, Brasile.

Hackert J.P., Lago di Nemi, olio su tela (Foto V. Nasti).

STEPHANUS BORGIA S.R.E.PRES. CARD.

EX MULTUS ORBIS PARTIBUSCOLLEGIT

ANNO MDCCXCVAUGUSTUM CIVES SUUM

IMITATUSQUI REBUS VETUSTATE AC

RARITATENOTABILIBUS

SUA PRAETORIA ORNAVIT

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APPENDICE N° 4Leopoldo Pilla (Venafro 1805 - Curta-

tone 1848), geologo, professore di mine-ralogia a Napoli e a Pisa, nella sua operaCenno Storico sui progressi della Oritto-gnosia e della Geognosia in Italia (Vol. II,Napoli 1832) scrisse:

pp. 55-56“Petrini pubblicò la descrizione del ga-

binetto mineralogico del collegio Nazare-no in Roma, la sola ricca e numerosa col-lezione che questa città possedea in queltempo, e sopra tutto la sola perfettamenteclassificata: in quest’opera l’autore ac-cennò il primo l’esistenza della melilitenella lava di Capo di Bove, di cui poiFleuriau de Bellevue esaminò i caratteri ediede una compiuta descrizione: compilòancora un corso di storia naturale, nelquale trattò la parte mineralogica con mol-ta dottrina e profitto della scienza”.

pp. 58-59“Secolo XIX. Nel principiar di questo

secolo l’abate Gismondi occupandosi a vi-sitare le importanti adiacenze di Roma,adocchiò vicino al lago di Nemi un mine-rale non conosciuto, a cui dalla località oveavealo rinvenuto diede il nome di lazialite,e che poscia il signor Neergard 28 tramutòin quello di haüyna per onorare il nomedell’illustre cristallografo di Francia 29: IlGismondi diede un’esatta descrizione di

questo minerale in una memoria che lessenel 1803 nell’Accademia dei Lincei a Ro-ma, e che mai non ha veduto la luce 30. Po-steriormente questo mineralogista destinatoad occupare la cattedra di mineralogia del-la nostra Università, ebbe campo di poterstudiare i prodotti del Vesuvio, e ritornatodopo non lungo tempo alle sue antiche oc-cupazioni in Roma, scopri nella lava diCapo di Bove un’altra nuova specie chechiamò abrazite, e che poscia in suo onoreLeonhard 31 nominò gismondina; la descri-zione di questa sostanza fu dall’autore as-sociata ad importanti notizie circa alcunialtri fossili nelle vicinanze di Roma…”.

APPENDICE N° 5 Da: Cenno storico sui Progressi della Orit-tognosia e della Geognosia in Italia in IlProgresso delle Scienze, delle Lettere eBelle Arti di Pilla Leopoldo, Vol. II, Na-poli, 1832).

“È stato con molta ragione avvertito,sul proposito di diversi nomi che ha rice-vuti questa sostanza, essere un arbitrionon commendevole quello che si prendo-no taluni mineralogisti di alterare e can-giare i nomi assegnati alle specie mineralinuove dai loro scopritori, singolarmentequando nessuna possente ragione il ri-chiegga: in tal caso è la nuova specie diGismondi. Certamente nessun mineralogi-sta avea maggior dritto dell’Haüy a vedereil suo nome perpetuato nella scienza con

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28 Bruun-Neergard Tönnes Christian (1776-1824),viaggiatore e scrittore danese, visse a Parigi intorno al1800 e divenne famoso per la sua ricca collezione di mi-nerali. Studiò mineralogia all’Università di Copenaghen.

29 Haüy René Just (1743-1822), mineralogistafrancese, fondatore della moderna mineralogia e cri-stallografia. La sua collezione di minerali, costituita da12000 esemplari, fu venduta nel 1823 al duca diBuckingham e poi nel 1848 acquisita dal Museo di Sto-ria Naturale di Parigi.

30 La memoria ha per titolo Osservazioni Geogno-stiche sopra i contorni del lago di Nemi, 1803, pubblica-ta, dopo quasi due secoli, per iniziativa del G.M.R. neIl Cercapietre, Notiziario del G.M.R., 1998, n. 1/2.

31 Leonhard K.C. (1779-1862), mineralogista e do-cente all’Università di Heidelberg, fondatore del Ta-schenbuch für die gesammte Mineralogie. La sua gran-de collezione di minerali è all’Università di Göttingen.

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la dedica di una specie minerale novella;ma quando volea ciò farsi conveniva sce-gliere una sostanza con forme cristallinedecise e variate allusive alla gloria princi-pale dell’Haüy, anziché una sostanza, lecui forme cristalline si contano come raritàorittologiche”.

APPENDICE N° 6La collezione del cardinal Borgia 32 fu

venduta dal nipote nel 1815 e a Napoli siconservano gran parte dei reperti.

Elogio della memoria dell’Em. eRev.mo Sig. Cardinale Stefano Borgiascritto in una Lettera del sig. abate Fran-cesco Cancellieri Roma, 1815:

“Alla morte donò tutti i suoi beni aPropaganda Fide, tranne il Museo lasciatoalla famiglia”.

APPENDICE N° 7Da: Gabinetto Mineralogico del CollegioNazareno di Gianvincenzo PETRINI C.R.delle SCUOLE PIE, presso i Lazzarini(Roma MDCCXCI-II).

(Dedica dell’opera, NdA) “All’Illu-strissimo e Reverendissimo Monsignor DonFrancesco Fabian e Fuero, Arcivescovo diValenza del Consiglio di S.M.C. CavalierePrelato della Gran Croce dell’Insigne R.Ordine di Carlo III”.

Tomo I pp. XXIV, 20-28:

“Tra i primi credo mio preciso dovereil nominare l’Emo. Signor Cardinale Ste-

fano Borgia, il quale al vivo amore e sin-cero, che nutre egli stesso per le più sodeed utili cognizioni, accoppia una parzialdegnazione verso tutti coloro che si sforza-no in qualche modo di propagare lo stu-dio e di facilitarne l’acquisto, ed una pre-mura magnanima di dar nuovi stimoli ailoro lodevoli tentativi”.

Tomo I pp. XXV, 10-16:

“Merita poi una special memoria la mu-nificenza di Giuseppe II. Imperadore perla ricchissima collezione di Minerali deisuoi Stati, che a istanza nostra si è degnatodi trasmettere al Collegio Nazareno col

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32 Per chi vuole approfondire gli studi sul Cardina-le si consiglia: Giuseppe Baraldi, Notizia biografica sulCardinale Stefano Borgia di Velletri, Modena 1830, De-dicato al Cardinal Bartolomeo Pacca Vescovo di Ostiae Velletri.

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mezzo del celebre Barone di Born, il qualea maggior lustro e compimento del magni-fico dono, ne ha fatta la descrizione”.

Tomo I p. 20 cap. XIV c.v. 2 1-3:“Similmente se si tratterà de’ risultati

dell’analisi chimica, fatta per esempio so-pra lo scorlo del Monte Albano…”. (Lo“scorlo” o “sciorlo” è un termine vagoche si riferiva a cristalli neri ricchi di fac-ce per lo più allungati, tipo tormalina, au-gite, orneblenda e talvolta melanite. Nelnostro caso si fa riferimento all’augite oalla melanite, NdA).

Tomo I pp. 138-139 cap. LXXXVIII:“Il Travertino, Marmor Tiburtinum, ef-

fervescente cogli acidi, è di colore biancogiallino, e non riceve pulimento. Si trovasempre a strati orizzontali in vicinanze delLago della Solfatara di Tivoli, formatoviforse dalle deposizioni di acque di tal vo-ragine, e da quelle della vena, che sorgenel luogo detto Pantani distante due migliacirca dalla Solfatara, le quali dovevano co-prir anticamente quel piano, e che tengonoin soluzione molta terra calcaria, la qualedepongono a qualche distanza dalle lorosorgenti. Poiché non par verisimile, che sianato dalle acque del Teverone, che inon-dassero anticamente il detto piano; poichétali acque depongono una sostanza affattodiversa nel tessuto, volgarmente nota sottoil nome di alabastro di Tivoli; quando nonvoglia fingersi che le deposizioni del Teve-rone siano in oggi diverse da quelle che sifacevano anticamente. Di tal pietra cottaperò all’aria aperta si fa anche la calce; masi adopera più comunemente nelle fabbri-che sì per la venustà del suo colore, cheper la sua saldezza, capace di resistere lun-

gamente all’ingiurie de’ secoli, come lomostra v.g. l’Anfiteatro Flavio. M. de laCondamine, che chiamò il travertino vul-canico, lo confuse sicuramente col peperi-no d’Albano, e di Marino. Gli Svedesi an-cora mal prendono quasi sinonimi peperi-no, e tiburtino. Allorché il travertino s’e-strae, non sembra molto duro; esposto al-l’aria pare che s’indurisca, e acquista lacompattezza della pietra forte”.

Tomo I pp. 154-155 cap. LXXXIX c.v. 5:

“Gli spati fosforici semitrasparenti del-le miniere del Derbyshire sì per la vaghez-za e vivezza de’ colori, come per il perfet-to pulimento che ricevono, formano l’or-nato più bello de’ Gabinetti Nobili. Inquello dell’Emo. Borgia in Velletri, inmezzo alle tante rarità Cinesi e delle IndieOrientali e Occidentali, campeggiano peril risplendente color d’ametista tre vasi dispato fluore (fluorite massiva, NdA) deldivisato luogo di elegantissima forma. Isottilissimi screpoli essendo ben collegati esaldi non diminuiscono nulla la bellezzadi tale spato, e giungesi per mezzo del fo-co a far divenire bianco e cangiante il co-lore ametistino che aveva, per cui riescepoi graditissimo all’occhio”.

Tomo I pp. 200-201 cap. CX c.v. 2, 15-21:

“La pietra forte de’ Toscani non vuolconfondersi con quella di Marittima eCampagna, né con quella di cui vengonoquì lastricate le strade, detta volgarmenteselce romano, la quale è una lava vulcani-ca compatta e dura, che si estrae a capo diBove, ed altri luoghi del Monte Laziale”.(Petrini ben distingue la differenza traun’arenaria e una lava, NdA).

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Tomo I pp. 229-230 cap. CXVIII c.v. 13,17-32:

“Un raro saggio di pietra cornea spato-sa cristallizzata in lunghi filamenti nitidi ebrillanti, che da diversi centri si spandonoverso le rispettive circonferenze, si conservanel Museo dell’Emo. Borgia in Velletri. Ildotto Porporato non ha voluto accoppiareun Museo Mineralogico ad un ricchissimoFilologico: si è contentato semplicementedi conservar qualche fossile (tra i molti,che ci ha generosamente donati) a solo fi-ne di soddisfare al genio degli eruditiViaggiatori, che uniscono lo studio delleAntichità alla scienza della Natura (Qui sidimostra l’esistenza di due sedi diverseuna a palazzo e una alloggiata nel casinoextra moenia, NdA). Un tal saggio costi-tuisce la matrice ad una galena, o piombomineralizzato dal solfo, della miniera diFahlun nella Svezia”. (Il termine fossileindica oltre a quello da noi oggi intesoanche il minerale o la roccia, NdA).

Tomo I p. 235 Cap. CXX c.v. 4 10-21:

“2. Talora lo scorlo è dodecaedro, co-me il granato. 3. Se gli spigoli del dode-caedro siano tagliati, si ha il cristallo di 36faccette (combinazione di dodecaedro eicositetraedro, NdA), forma frequente neicristalli neri del Monte Laziale. Dall’u-guaglianza o disuguaglianza dei pianiprovengono poi le forme regolari, o irre-golari dei poliedri. 4. Lo scorlo sovente èdecaedro, venendo il prisma esaedro ter-minato da diedri. Di tal forma, godono ta-lora gli scorli neri di Frascati, e del Mon-gibello rammentati dal Comm. Dolo-mieu”. (La melanite viene classificata co-me varietà di augite, quindi il termine

«sciorlo» denomina sia l’augite che lastessa melanite, NdA).

Tomo I p. 236 Cap. CXX, c.v. 4 34-46:“Finalmente abbiamo quelle varietà, che

i Francesi chiamano macles, o siano cri-stalli uniti a rovescio, ovvero due metà ro-vesciate dello stesso cristallo, tanto delMongibello, che di Frascati. (Geminati ti-po Carlsbad, NdA).

Il valente Dott. Thomson ci ha comuni-cata qualche scoperta fatta sopra alcunesostanze cristallizzate, che si rinvengononelle lave vulcaniche di Capo di Bove, edel Monte Albano, comunemente credutescorli. Noi ci riserbiamo di parlarne nellaseconda Appendice, allorché l’Autore leavrà rese pubbliche”.

Tomo I p. 244 Cap. CXXII c.v. 3, 9-11:(I granati, NdA) “I rossi e i gialli del

Vesuvio, e i neri di Frascati contengonoferro; ma i così detti bianchi ne sono affat-to privi”.

Tomo I pp. 244-245 Cap. CXXIII c.v. 1 1-13:“Bergman, Ferber ed altri Mineralogi

hanno chiamato granati bianchi alcunepietre tonde, o poliedre, or dure, or fragili,or opache e semitrasparenti or trasparenti,che si rinvengono talora libere e sciolte, al-tre volte tenacemente impiantate in un sas-so che serve loro di base (leucite, NdA).Somiglianti corpi essendosi osservati perlo più al Vesuvio, all’Ecla, al Monte Alba-no, a Caprarola, a Civita Castellana, e Ac-qua Pendente, luoghi tutti vulcanici, cre-dettero perciò M. Sage e Faujas de SaintFond, che fossero granati rossi, alterati da-gli acidi, e dalle sostanze aeriformi che ab-bondano nei vulcani”.

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Tomo I p. 246 Cap. CXXIII c.v. 1, 16-20:

“Abbiamo nella nostra raccolta somi-glianti cristalli di 24 facce trovati in Alba-no, che ad una grandezza non ordinariaaccoppiano una superficie nitida e brillan-te, e il cui tessuto è a lamine”. (Strati di ac-crescimento della leucite, NdA).

Tomo I p. 270 Cap. CXXXII c.v. 5, 7-18:

“Sebbene l’ottaedro sia l’inverso del cu-bo, pure la zeolite ottaedra non era ancornota. Il primo a osservarla in mezzo alletante e sì diverse cristallizzazioni, esistentinelle cavità delle lave di Capo di Bove, èstato il Dot. Thomson. Che sia zeolite noncade dubbio; giacché ne ha tutti i caratterichimici. Rimettendone la prova al valenteAutore, mi contenterò di accennare che so-migliante cristallo assai raro nel selce Ro-mano è bianco, nitido, e somiglia il quar-zo cristallizzato.” (Che sia il primo riferi-mento alla gismondina?, NdA).

Tomo I p. 275 Cap. CXXXII c.v. 12, 22-29:

“La pianura, ove esistono le nostre lavedi Capo di Bove che includono la zeolite,è dominata dalle non molto distanti collinedi Monte Mario e del Gianicolo, le qualiper mezzo delle conchiglie, marne, argille,ghiaje e pietre rotolate, che contengono, cimostrano ad evidenza essere stati simililuoghi interamente ricoperti una volta dal-le acque del mare”.

Tomo I pp. 286-287 Cap. CXXXVI c.v. 9,6-13:

“Il più rinomato (quarzo, NdA) è quel-lo del Madagascar, di cui avvene nel rino-mato Museo dell’Emo. Borgia in Velletriun pezzo ben singolare tanto per la forma

e mole, quanto per l’aquea sua trasparenzapriva di spine. È una colonna quasi trigonaalquanto panciuta ed equilatera, dell’altez-za di un palmo, del perimetro di sei”.

Tomo I p. 292 Cap. CXXXVI c.v. 18, 18-20:

(La sabbia, NdA) “La Romana è neravulcanica, ed è composta di piccolissimiscorli, e di grani di ferro retrattorio”.

Tomo I p. 294 Cap. CXXXVII c.v. 3, 4-5:

(agate, NdA) “Tali sono le bellissimedella Moca, e di Camboja donateci dall’E-mo. Borgia”.

Tomo I pp. 320-321 Cap. CLI c.v. 2, 26-37:

“Devo però avvertire, che in una quan-tità grande di felspati che vennero quìesplorati alla Lampana da M. Bellevue 33 edal Comm. Dolomieu 34, non si poté maifondere col foco più vivo un frammento dicristallo d’un Idolo egizio, che è nel Museodell’Emo. Borgia in Velletri al n. 334, ed èun felspato di lamine grandi e rilucenti.

La ridondanza dell’argilla o del quarzopuò averlo reso pertinace alla fusione, e for-se anche la dose minore della magnesia”.

Tomo I pp. 347-348 Cap. CLXI c.v. 1, 16-23:

“Bitumi solidi. ASFALTO O BITUME

GIUDAICO. … Di tal bitume si servirono gliEgiziani per imbalsamare i cadaveri; e fe-cero uso specialmente del secondo perquelli de’ Re e Principi, come mostrano le

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33 Fleuriau De Bellevue Louis Benjamin (1761-1852), naturalista francese, ha descritto alcuni mineralidel Lazio, tra cui, per primo, la melilite.

34 Dèodat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolo-mieu (Dolomieu, 1750 - Châteauneuf, 1801), geologofrancese.

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loro Mummie. Ce ne porge l’esempio unaMummia grande interamente fasciata, cheabbiamo per la generosa liberalità dell’E-mo. Borgia”. (Di essa oggi però non si co-nosce l’esatta ubicazione, NdA).

Tomo II pp. XI-XII c.v. 17, 1-9:

“Ho scritto alla pag. 235 (Tomo I,NdA) che gli scorli neri del monte Lazialesovente sono decaedri; avendone esamina-te ora parecchie centinaja ho veduto chebene spesso si rinvengono dodecaedri, epoche volte decaedri; giacché il prismaesagono, essendo quasi sempre leggermen-te tagliato negli spigoli, forma un ottagonocui aggiunto ai diedri delle due estremitàviene a formarsi il cristallo dodecaedro”.(Petrini in questo caso confonde melanitee augite, NdA).

Tomo II pp. XIV-XV, c.v. 22, 1-19:

“Il frammento di cristallo del Madaga-scar esistente nel Museo Borgia in Velletri,da me leggermente additato alla pag. 287(Tomo I, NdA), se ben si consideri nel suostato di frammento di colonna esaedra haun diametro visibile di pollici 131/2 di Pari-gi, e il suo peso ascende a libbre 89. Unadelle sei facce che si è conservata intera, hala larghezza normale alla colonna di polli-ci 7 1/2 nè questa sembra che fosse la mag-giore; imperocchè l’altra faccia contiguaha la stessa larghezza quantunque non siaintera. La sua frattura è concoide, e tra-sparente. Nell’interno ha una congerie dicavità che contengono una dose non pic-cola d’acqua con bollicelle d’aria galleg-gianti. Un tal saggio dimostra quanto fos-sero lontani dal vero quei Naturalisti iquali credettero che nella summentovata

Isola vi fossero montagne intere d’informecristallo”.

Tomo II p. XVIII c.v. 29, 1-5:

“Un Litologo, che ha visitato attenta-mente in Velletri il Museo dell’Emo. Bor-gia, assicura che il frammento d’Idolo Egi-zio da me riportato alla pag. 320 (Tomo I,NdA) altro non è che cristallo di monte”.(Quarzo, NdA).

Tomo II p. XXIII, ultima riga:

“Catalogo De’ Benemeriti del Gabinet-to Mineralogico del Collegio NazarenoBorgia (Emo. Sig. Card. Stefano”.

Tomo II pp. 83-84, Cap. CLXXXIV, notaXXXV:

“L’arena nera retrattoria di Albano,Frascati e di tutto il Monte Laziale, comequella del Lago dell’Anguillara sono tuttevulcaniche (magnetite e ilmenite, NdA).Sono composte di circa 3/4 di grani di fer-ro e 1/4 di scorli ambedue neri. Il ferro sisepara dagli scorli facilmente per mezzodella calamita. Simile alle anzidette è quel-la che si raccoglie alla Torre del Greco, ealla Nunziata in vicinanza di Napoli chedà circa 70. di ferro, da cui in quella Realfabbrica si ottiene un ottimo acciajo”.

Tomo II pp. 126-127, Cap. CLXXVI c.v.3, nota L

“Quanto a me sono divenuto anche piùguardingo dopo aver veduti presso l’Emi-nentissimo Borgia due saggi provenientidalla Svezia. Nel primo il piombo è unitoad una galena tessulare; nell’altro il piom-bo semplice e il solforato sono frammessinelle fenditure delle lamine di un sasso

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composto di quarzo e mica che gli Svedesichiamano stellstein. Se da somiglianti sag-gi venisse tolta qualche parte in cui si scor-gono i caratteri della fusione della fornacedi Sahl, d’onde sono stati inviati all’Emo.Porporato, potrebbero credersi miniere dipiombo solforato unite al metallo nativo.Il primo di tali saggi è ora in possesso delSig. Thomson 35, il secondo è nella nostraRaccolta unitamente ad una serie moltoistruttiva di altri saggi della stessa fornace,in cui si nota il metallo restituito nuova-mente allo stato di galena, o di miniera dipiombo piritosa per mezzo ora dei sassiinfocati, ora del ferro, ora del foco lunga-mente prolungato”.

Tomo II p. 251 Cap. CXCV c.v. 6, 1-9:“Il granito prasino dovea esser molto

scarso fra gli Egiziani; poiché gl’intenden-ti di tali memorie attestano, che non vi è disomigliante pietra che un solo scarabeolungo once 4, largo 3 scolpito con gerogli-fici eleganti e minuti esistente nel MuseoBorgia, in cui gli scelti monumenti giuntioggimai per le dotte cure dell’Emo. Por-porato ai 410 formano una compita scuoladi Mineralogia Egiziana”.

Tomo II p. 268 Cap. CXCIX c.v. 1, 17-19:“Se cessa totalmente, e per un tempo no-

tabile ogni indizio di foco, dicesi spento:come è il nostro vulcano di Monte Cavo”.

Tomo II p. 269 Cap. CXCIX c.v. 2, 15-21:

“Tutti questi caratteri, a riserva solo deibasalti, si osservano nel vulcano di Monte

Cavo; non meritando il nome di basaltipoche pietre triangolari e quadrangolarisparse qua e la, da noi trovate all’orloorientale del cratere di Nemi, ove la lavacompatta, che si alza a più di centinaja dipiedi poggia sopra materie scorificate”.

Tomo II p. 277 Cap. CCII c.v. II:

“Lave a base di pietra cornea con fel-spati. Si trovano in quantità nelle Isole diPonza, e di Procida, e al Mongibello.Quelle di Capo di Bove, d’Albano, di Ne-mi, in una parola di tutto il Monte Laziale,oggidì detto Monte Cavo non hanno fel-spati, se pure non fossero tali quei filamen-ti candidi e capillari, che si vedono talvoltanelle cavità della lava di Capo di Bove,volgarmente detta selce Romano; sonosembrati però a noi di natura quarzosa;poiché sebbene sottilissimi non danno se-gno di fusione alla Lampana; mentre le so-stanze cristalline filiformi si sogliono cam-biare al primo colpo di foco, se non sianodi quarzo (Ca-apatite, NdA). Lasciati nel-l’acido marino non vi si sciolgono punto.La rarità e delicatezza loro non ne ha fino-ra permessa l’analisi per la via umida”.

Tomo II p. 278 Cap. CCII c.v. 1 III:

(Lave, NdA) “Con cristalli di scorlo.Si trovano all’Etna, al Vesuvio, Monte Ca-vo e sue adjacenze”.

Tomo II p. 278 Cap. CCII c.v. 1 V:

(Lave, NdA) “Con grani di ferro. Sìfatti grani non sono il ferro, parte costituti-va della pietra cornea, ma grani di ferroocraceo, che formano quelle macchiettescure, rossicce, giallogne e talvolta di figuraquadrangolare, che si osservano nelle lave

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35 Thomson William (1760-1806), fisico scozzese,esperto mineralogista del Vesuvio e della Sicilia. Lasua collezione è al Royal Scottish Museum di Edim-burgo e al Natural History Museum di Londra.

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dell’Etna, del Vesuvio, e di Capo di Bove,ovvero grani di ferro grigio, che appena sivedono, se la lava non venga lustrata”.

Tomo II pp. 278-279 Cap. CCII c.v. 1 VI:

(Lave, NdA) “Con petroselce argillo-so. Una tal lava si trova in copia al Vesu-vio, e nei Vulcani estinti del Monte Cavo,di Caprarola, e manca affatto nel Mongi-bello. I cristalli del petroselce argilloso delVesuvio e di Albano talvolta rosseggiano”.

Tomo II p. 281 Cap. CCIII c.v. 2, 6-13:

“La lava di Capo di Bove contienequalche volta degli atomi di somiglianticristalli che non si distinguono senza lalente. I caratteri dei crisotili vulcanici cri-stallizzati (pirosseno verde, NdA) sonogl’istessi dei primordiali; gli informi peròsembrano una materia silicea col coloredel crisotilo detta dai Sassoni olivino”.

Tomo II p. 292 Cap. CCIX, 12-16:

“I summentovati fenomeni si osservanosimilmente nelle sostanze calcarie, argilla-cee e silicee rimaste incluse entro le laveterrose che formano il cratere del lago Al-bano”.

Tomo II pp. 294-295 Cap. CCX c.v. 4, 11-18:

“Scorie dei crateri. Sono più invetrate,scorificate e leggiere di quelle delle lave.Galleggerebbero nell’acqua, se questa nons’insinuasse ne’ loro pori. Sono nere, gros-se all’incirca come avellane, e quando ilvulcano le ha rigettate di fresco, sembranoinzuppate d’olio; untuosità che presto sidissipa, nascendo dal petrolio; prendonodopo un aspetto terreo. Al Vesuvio questescorie diconsi Rapillo nero per distinguer-

lo dal bianco. Può servire in mancanza dipozzolana per il cemento da fabbricare, edà una terra vegetabile fertilissima. Sor-prende il ritrovare somigliante rapillo benconservato a Monte Cavo al piede delmonticello conico, su cui è fabbricata Roc-ca di Papa; poiché rotta la prima scorzacomparisce fresco, rossigno, spugnoso, einvetrato; benché il vulcano sia estinto datanti secoli”.

Tomo II p. 296 Cap CCX c.v. 6, 11-14:

(Pozzolane NdA) “Tali sono quelledella Campagna Romana che quasi tutta èvulcanica. Il loro colore è rossastro, rossoscuro o bigio: quelle del Monte Albano so-no nere”.

Tomo II p. 299 Cap. CCXI c.v. 5, 9-19:

“Gli scorli neri del Monte Albano sonoopachi, duri, compatti, di frattura vitrea,nitidi, per lo più cristallizzati in prismi ot-taedri terminati da diedri. Non si sogliontrovare che isolati, e una sol volta gli ab-biamo rinvenuti col sig. Thomson aderentia una base di petroselce argilloso impasta-to con mica di color nero e di laminegrandi. Il masso che li contiene si conservanella nostra raccolta”.

Tomo II p. 300 Cap. CCXI c.v. 7, 1-11:

“Il petroselce argilloso si trova benespesso tra le sostanze infrante dei nostriestinti vulcani: suol’ esser bianco o rossi-gno, opaco, semitrasparente e talora diafa-no qual cristallo, or’è informe, or rotondoe or perfettamente cristallizzato in poliedridi 24 faccette trapezoidali. Ne abbiamo de-gli ultimi, raccolti nel Monte Albano, dicandida nitidezza, che hanno il diametro

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di 9 linee di Parigi, e sono in essi impian-tati dei cristalli di scorlo nero”. (“Petrosel-ce = Minerale, pietra dura, la cui fratturanon lucida, è squamosa, alcun poco cereae concoide”; da: Diz. Lingua italiana Pa-squale Borrelli Vol II Napoli 1846; NdA).

Tomo II p. 301 Cap. CCXI c.v. 9, 6-12:

“Le acque piovane, e dei laghi separa-no dalle lave infrante i grani del ferro, e gliscorli microscopici, che formano poi learene nere del monte Laziale, e della cam-pagna Romana, e le finissime del lago del-l’Anguillara, adoprate per le scritture”.

Tomo II p. 307 Cap. CCXIII c.v. 1, 6-17:

“Il solo monte Vesuvio fra gli ardenti, eil Laziale fra gli estinti, si distinguono perla quantità de’ marmi, spati calcarj, pietrecornee, petroselci, scorli in massa , e grani-ti sortiti intatti dal cratere. Somiglianti pie-tre e sassi ora si trovano isolati, ora ade-renti alle materie vulcanizzate. Noi abbia-mo rinvenuti e raccolti nel monte Albano isaggi di tutte e singole le mentovate specie;e il Cav. Giorni ci ha dato il catalogo esat-to di quelle del Vesuvio”.

Tomo II p. 308 Cap. CCXIII c.v. 2, 17-22:

“Nelle lave terrose del Monte Albano sitrovano talora de’ gruppi di mica, e discorlo; e lo spato fluore turchino vi è talo-ra mescolato con mica e scorli”. (Questopasso mi sembra di rilevante importanzapoiché fa sorgere il sospetto che il Petriniavesse individuato, prima di Gismondi,ma non esaminato a fondo, il mineraleche poi fu chiamato haüyna. La deduzio-ne deriva da due elementi: il primo che laparagenesi descritta non è solo probabile

ma più volte riscontrata in diversi cam-pioni, il secondo che sembra impossibileche nella grande massa raccolta dal Petri-ni non sia mai comparso questo mineralecosì abbondante nel prodotti del VulcanoLaziale, NdA).

Tomo II p. 309 Cap. CCXIII c.v. 4:

“Similmente per attestato dei due men-tovati Autori (Hamilton 36 e Gioeni, NdA)non si sono trovati finora al Vesuvio néserpentini, né pietre ollari, né altre terremagnesiache, eccettuato l’asbesto. Non bi-sogna dunque fidarsi dei Venditori di pie-tre del Vesuvio, poiché lavorano e vendo-no come prodotti di tal vulcano pietre fat-te venire in Napoli dalla Toscana, e Ger-mania. Le scatole nericce con semitraspa-renza verdina e macchiette nere, ovverocon granati rossi, vendute come lave delVesuvio, sono pseudo-nefritiche, gabbridell’Impruneta e di Prato, e serpentini diZoelibtz o steatiti di Boemia con granati”.

Tomo II pp. 309-311 Cap CCXIV c.v. 1:

“Il cratere del lago di Albano, è forma-to quasi interamente di lave terrose. Il co-lore è cenerino o grigio; la consistenzadiversa, ma minore sempre che nelle lave abase di pietra cornea, e giungono benespesso a stritolarsi tra le dita. Hanno lafrattura irregolare, la grana ruvida e terro-sa, da cui hanno preso il nome; non fannoeffervescenza cogli acidi, né danno scintil-le all’acciarino; e rifiatandovi sopra man-dano odore argilloso. Sono piene di mica,di scorli e di grani di ferro; vi si trovanosparsi dentro qua e là arnioni di varie

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36 Hamilton William Douglas (1730-1803), archeo-logo, diplomatico, antiquario e vulcanologo britannico.

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grandezze di mica nero, di scorlo, deiframmenti di pietra calcaria, di lava dura ecompatta, del petroselce argilloso or cri-stallizzato or informe; materie tutte dimaggior gravità specifica della base, e so-vente di volume notabile; in quelle dell’A-riccia vi abbiamo rinvenuto talvolta del la-pis lazuli, specie non descritta nella Tavoladel Com. Dolomieu. Tali sostanze lascianospesso vedere gli strati distinti, e le surrife-rite pietre sono talora incastrate parte nelletto superiore e parte in quello di sotto,senz’ordine veruno. La mancanza di con-sistenza e la grana terrosa mostrano unasostanza non resa fluida dal foco; e la di-sposizione disordinata delle materie pesan-ti fa conoscere, che la base non e statanemmeno stemperata dall’acqua; poiché sefosse sortita dal cratere a guisa d’un tor-rente fangoso, come scendono talvolta dal-le Alpi i torrenti d’acqua, con tritumi diardesia, detti Nants Sauvages descritti daM. de Saussure, le sostanze pesanti sareb-bero per legge della grav. spec. calate alfondo. Dessa dunque altro non è che unamateria formata dal tritume delle pietrecornee, calcarie, silicee rigettate dal vulca-no, dentro cui sono poscia caduti i sassi ele pietre espulse di mano in mano dall’i-stesso cratere; le acque piovane cadendosuccessivamente sopra somigliante massa einfiltrandosi nella di lei sostanza, le hannodato i varj gradi di consistenza corrispon-denti alla diversa indole delle terre”.

Tomo II pp. 311-312 Cap. CCXIV c.v. 2:

“I Peperini riconoscono un origine si-mile a quella delle lave terrose; la diversitànasce solo dalla varia indole delle sostanzevulcaniche in essi racchiuse. Sono compo-sti di frammenti di scorlo, felspato, mica,

pomici, di pietre calcarie, di lave compattee porose conglutinati da un cemento cene-rino o turchiniccio; per consueto non vi siveggono gli arnioni delle lave terrose; sonodi esse più compatti, e prendono al focoun colore rossiccio; non fanno effervescen-za cogli acidi, non danno scintille all’ac-ciarino e sogliono essere retrattorj; somi-gliano certe pietre cornee bigie e tenere; sitagliano e si lavorano facilmente e posso-no aversene saldezze grandi. Resistono al-l’interno delle fabbriche, e talvolta ancoraall’esterno, come scorgesi v. gr. nei Sepol-cri antichi esistenti nella via Appia. Allevolte non hanno strati, come succede neglienormi massi di tal pietra esistenti nellecolline di Marino”.

APPENDICE N° 8 Da: Storia Dell’Università di Roma dettacomunemente La Sapienza dell’Avv. Filip-po Maria Renazzi, Vol IV, Roma 1806 37.

Capitolo X Par. X pp. 297-298:

“Museo o Gabinetto Mineralogico nelCollegio Nazareno

L’universalità delle cognizioni scientifi-che, ed erudite, che tanti Giornali, Efeme-ridi, e periodiche opere letterarie, quantesinora state sono accennate, spargevanoampiamente per Roma, e diramavansiquasi in ogni classe di persone dalla metàdel secolo XVIII sino al suo decadimento;non poteva non generarvi vasto fermento,non produrre pronti ed energici effetti amaggior espansione, e gloria della Lettera-

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37 Renazzi Filippo Maria, (Roma 1742 - Roma1808). Giurista, Professore emerito dell’Archiginnasiodella Sapienza in Roma.

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tura Romana. Lo studio della Mineralogianon era in essa nuovo, ne’ nuova l’impresadi formarvi un Museo Mineralogico. Que-sto è stato sempre il destino di Roma mo-derna, che nel suo seno per lo più germo-gliati siano i primi semi delle scienze sìgravi, che amene dopo il faustissimo lororisorgimento nei secoli XIV, XV; (il termi-ne “Rinascimento” non era ancora statoconiato, infatti nasce col testo di JacobBurckardt La civiltà del Rinascimento inItalia del 1860, NdA) sebbene poi le circo-stanze, gli eventi, il giro delle cose non ab-bian sempre permesso, o che vi crescesseroa maturità, ovvero che lieti vi producessero,e non manchevoli frutti. Vantava già il Vati-cano alla metà del Secolo XVI un insigneMuseo Mineralogico, di cui abbiamo Noiopportunità di far menzione nel Volume II

di questa nostra Opera. Una scelta, e grancollezione aveva collocato nel suo Palazzoil celebre Naturalista Federico Principe Ce-si; (fondatore dell’accademia dei LinceiNdA) ne’ mancano mai eruditi Personaggi,che attendessero a riunire per privato lorostudio, e diletto i varj ogetti, che alla Mine-ralogia appartengono, tra i quali superior-mente si distinse il celebre Gesuita P.Kircker, primario Raccoglitore del Museodel Collegio Romano, in cui ne collocò unacospicua serie.

Ma verso il declinare del trascorso Se-colo un Gabinetto, unicamente destinato acontenere le produzioni Mineralogiche,s’intraprese a formare nel Nobile CollegioNazareno, già fondato dall’insigne Cardi-nale Michelangiolo Tonti, e alla cura affi-dato dei Religiosi delle Scuole Pie, ad usospecialmente, e ad istruzione della Gio-ventù, nella pietà e nelle lettere in esso edu-cata. Da tenui principj presto crebbe il Ga-binetto Mineralogico del Collegio Nazare-no ad ampiezza, e grandiosità di oggettiivi raccolti, per cura specialmente, e per in-dustria del P. Gianvincenzo Petrini. Eglinon contento di averne assai procuratol’aumento col mezzo di doni ricevuti damolti nostri ed esteri Letterati, e Personag-gi, e specialmente dall’Imperator GiuseppeII, che generosamente arricchillo di tutte lesingolarissime produzioni mineralogichede’ suoi vastissimi stati; in buon ordine lomise, distinse gli oggetti mineralogici, di-stribuendoli in diverse classi a norma de’loro principj costitutivi. Finalmente il P.Petrini ne stese la descrizione secondo icaratteri esterni, premettendovi una dotta elunga Prefazione, nella quale dà raggua-glio de’ più accreditati sistemi di Mineralo-gia, e degli Scrittori, che sino a quel tempo

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trattata l’avevano, e illustrata. Io per corte-sìa del Ch. P. Bartolomeo Gandolfi Scolo-pio, attual Professore nell’ArchiginnasioRomano di Fisica sperimentale, ho potutoaverne sott’occhi una copia, servitami diguida nello stendere questo articolo. Io hopersonalmente osservato il Muséo o Gabi-netto suddetto, e debbo quì un special dilui pregio accennare, che cioè veggonsi inesso pezzi di produzioni Mineralogiche dirara grandezza, quali difficilmente in altrisimili Gabinetti potrebbero ritrovarsi”.

APPENDICE N° 9Da: Descrizione mineralogica dei VulcaniLaziali di Paolo Mantovani (Roma 1868).

pp. 10-11:“Discendendo da Albano per andare al-

la stazione della ferrovia, ad un miglio in-circa dal paese, la strada è per quel trattoscavata in un deposito vulcanico incoerentea stratificazione ondulata, consistente in unmiscuglio di ceneri e minerali. Per entro aquesto strato, del medio spessore di quattrometri, rinvenni alcuni ciottoli biancastri efarinosi che chimicamente esaminati, chiarom’indicarono esser quella una roccia altera-ta dal fuoco. Era infatti un’argilla bianca-stra, che per metamorfismo aveva preso icaratteri esterni di una dolomite decompo-sta. Spezzati diversi ciottoli, per osservarnela frattura concoide, vidi che erano in que-sti racchiusi dei fossili, che sebbene maleconservati non fu difficile per me il determi-narli, e riconobbi in essi la cleodora lan-ceolata Peron. La presenza di questo fossi-le gettò una luce istantanea sull’esame, cheio stava praticando, dacchè quel pteropodom’indicò esser quella la solita marna argil-losa subappennina che forma la base delnostro pliocene. Il rinvenirsi adunque iframmenti di tale roccia per entro a questeceneri, ci prova che quella roccia era giàstata depositata prima che le eruzioni diquei vulcani avessero potuto distaccarne ibrani e lanciarli al difuori del seno dellaterra. In conseguenza se le eruzioni furonoposteriori al deposito di quelle rocce, è evi-dente ed innegabile che esse eruzioni sonoavvenute in epoca quaternaria”. (Moltoprobabilmente il Mantovani fu il primo astabilire scientificamente l’età geologicadel vulcano laziale, NdA).

p. 12:(In questa pagina si fa menzione del sig. P.Giorni titolare, a quei tempi, della più fa-mosa locanda di Albano, NdA).

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“E qui mi sia lecito ricordare l’amicoSig. Pietro Giorni di Albano, che diligentecultore di scienze naturali, mi compartì lesue utilissime osservazioni, fornendomi distupendi esemplari, che per lo spazio dimolti anni non ha mancato di ricercare ac-curatamente, lo che ha grandemente coadiu-vato all’esattezza di questo tenue lavoro”.

pp. 14-15:(Entrato nel merito del testo descrive i ri-trovamenti di calcite, NdA).

“Questa corrente di lava precipitandosidai monti del Lazio raggiunge le pianureromane, e vi si dirama formando una cola-ta a Capo di Bove sulla via Appia presso ilSepolcro di Cecilia Metella a due kilometrida Roma ove esiste la cava di detta pietra.I cristalli di calce carbonata di rado pre-sentansi nelle forme romboedra e dodecae-dra, ma più comunemente si mostrano leforme metastatica e aghiforme. I cristallivariano in grandezza da pochi millimetrifino a più di un centimetro. Essi sono lim-pidi, incolori talvolta giallastri e formanodelle cristallizzazioni raggianti da un pun-to. Anche nel peperino, roccia particolaredel Lazio (risultante da un ammasso di ce-neri e minerali aggregati insieme), si vedo-no tali cristallini sotto la forma di grazio-sissime cristallizzazioni sferoidali o dru-siformi che talvolta rivestono delle interefenditure che attraversano i peperini e cheindubbiamente furono prodotte dei terre-moti che irragiavano da quel centro vulca-nico. Di tali fenditure ne osservai delle im-portantissime nell’anno 1863 nelle grandicave di peperino presso Marino”.

Per sintetizzare, di seguito citeremosoltanto le specie minerali e le loro giaci-

ture, descritte nel testo del Mantovani erelative al solo Vulcano Laziale.

p. 16:

“Dolomite. … La dolomite abbondanei peperini del Lazio specialmente inquelli di Albano e non di rado rinviensi ingrossi blocchi per entro le ceneri incoeren-ti del cratere Aricino”.

pp. 17-18:

“Arragonite. … L’arragonite del Laziotrovasi ordinariamente entro la lava di Ca-po di Bove unitamente alla gismondina edalla nefelina. … una sol volta mi fu datoosservare (l’arragonite, NdA) nella lavache scende dai campi di Annibale un gra-zioso cristallino esaedro limpido”.

p. 18:

“Apatite. … due sole volte mi fu datorinvenirne nei blocchi giacenti lungo la stra-da che da Ariccia conduce a Galloro…”.

p. 20:

“Selenite. … Un solo saggio io ne pos-seggo rinvenuto nel peperino di Albano edi Marino…”.

p. 21:

“Wollastonite. La roccia che lo contie-ne è la più volte citata lava basaltina di Ca-po di Bove …”.

p. 22:

“Peridoto od Olivino: … i cristalli rin-vengonsi nelle ceneri incoerenti sull’orlodel cratere Aricino, lungo la strada che daAlbano conduce alla stazione della ferro-via. … Mi è occorso di vederne graziose

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cristallizzazioni nel peperino delle cave diAriccia preso il nuovo Ponte”.

pp. 24-25:“Pirossene od Augite. … alcune sabbie

sono interamente composte da minutissimicristalli di pirossene (come al lago Alba-no), ed hannovi delle lave che da esso eb-bero nome di lave pirosseniche (MonteArtemisio presso Velletri). Questo silicatocristallizza nelle forme del prisma obliquo.Ordinariamente i cristalli sono piccoli, manon di rado raggiungono i tre centimetri dilunghezza, e nella mia collezione se neconserva uno di 14 centimetri di lunghezzasopra 6 di larghezza. Questo gigantescocristallo fu rinvenuto dal sig. Pietro Giorninel peperino di Albano.” … ”I miglioricristalli di pirossene si ottengono dai tufiargillosi giallastri di Frascati, e dalla lavabasaltina di Capo di Bove unitamente allanefelina e mellilite. Se ne trovano pur’ancodi bellissimi nel peperino delle Cave diMarino ed Albano …”.

p. 26:“Breislakite.38 … si presenta unicamen-

te nelle lave basaltine del Lazio, partico-larmente in quelle che riferisconsi al se-condo periodo di attività. I più bei saggi siottengono dalle lave dei Campi di Anniba-le, e da quella di Capo di Bove”.

pp. 27-28:“Leucite od Amfigeno. I più bei cri-

stalli rinvengonsi incastrati nel peperino di

Albano e di Marino” … “si trova anchenella lava basaltina di Capo di Bove, e nelleucitofiro di Albano.” … “Il Lazio offrela Leucite anche in ciottoletti rotolati, e incristalli sciolti nei tufi di Frascati”.

pp. 29-31:“Nefelina e Davina. Bellissime geodi

se ne rinvengono nelle lave basaltine delcratere di Albano e i più bei saggi ritro-vansi a Capo di Bove. … Si trova per lopiù unita al pirossene alla mellilite e allaBreislakite”.

“Anche questa (davina, NdA) trovasinel Lazio unitamente al pleonasto ed allamica. … Se ne trovano bei saggi nelle ce-neri incoerenti di Galloro presso Ariccia.”

pp. 31-32:“Hauyna o Lazialite. Occorre talvolta

cristallizzata in geodi nei blocchi micaceisparsi per entro alle ceneri di Galloro. Que-ste geodi sono interamente rivestite da mi-nuti cristallini di Hauyna che osservati almicroscopio mostrano assai bene le formeottaedra e più di rado dodecaedra romboi-dale cogli spigoli arrotondati. Anche nelpeperino di Albano e di Marino se ne rin-vengono dei bei cristalli uniti alla mica eall’amfigene vetroso. Più sovente che cri-stallizzata si rinviene la Lazialite allo statoamorfo. I migliori saggi ottengonsi dallacava di peperino presso Albano dove il sig.Giorni ne rinvenne un magnifico esempla-re del quale gentilmente mi fece dono”.

pp. 33-34:“Granato rosso: Assai di rado rinviensi

questo prezioso granato nel Lazio. Una so-la volta ne rinvenni presso Galloro nel piùvolte citato deposito di ceneri incoerenti”.

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38 Breislakite, riportata per la prima volta da G.Brocchi, geologo (Bassano del Grappa, 1772 - Khar-tum, 1826), dal 1902 è sinonimo di ilvaite. Il mineralerinvenuto nel Vulcano Laziale è stato identificato in se-guito come appartenente alla serie ludwigite-vonsenite.

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p. 34:

“Granato giallo: Anche questa varietànon si riscontra assai sovente nel Lazio,ma è meno rara della precedente. I miglio-ri cristalli provengono da Galloro. Essi so-no sparsi per entro ad ammassi di amfige-ne vetroso e mica verde. Anche nel peperi-no di Albano si rinvengono dei blocchimicacei contenenti tal minerale”.

p. 35:

“Granato verde. Il sig. Pietro Giornimi recò alcuni blocchi risultanti dall’ag-glomeramento di tanti globuli del diame-tro di 3 millimetri. Questi blocchi furonorinvenuti nel peperino di Albano”.

p. 36:

“Granato nero (Melanite): Non v’haforse collezione mineralogica del nostrosuolo, per quanto piccola, in cui al generegranato non si ammirino alcuni grossi do-decaedri, di colore nero intenso, con mar-cata modificazione agli spigoli, aventi peretichetta granati neri di Frascati. Lo stessonome indica la quantità che offre il Laziodi tali cristalli che oltre all’abbondare neipeperini di Albano e Marino, e nei tufi ar-gillosi di Frascati, formano in altre localitàuna vera ghiaja, come può vedersi alla Co-lonna, località ove dopo forti piogge i ru-scelli trasportano in tal quantità questi cri-stalli, che in poco d’ora se ne raccolgonodelle centinaja”.

pp. 37-38:

“Idocraso: I migliori cristalli si otten-gono dai blocchi racchiusi nel peperino diAlbano”.

p. 41:“Mica. … il peperino ne racchiude dei

blocchi ove si presenta cristallizzata, la-mellare e granulare, unitamente all’hauy-na, al pirossene, all’amfigene e al ferro ti-tanifero (ilmenite, NdA). Bellissimi cri-stalli si rinvengono nelle ceneri incoerentidi Galloro, ed in quelle dell’orlo del crate-re aricino. La mica forma parte essenzialedi alcune sabbie del Lazio specialmentesull’Artemisio. La varietà nera si rinvienein cristalli isolati o uniti a pirossene e amelanite nei tufi di Frascati”.

pp. 41-42:“Mellilite ed Humboldtilite. Trovasi

la mellilite nella lava basaltina della cor-rente del Monte Cavi (leggasi Monte Ca-vo, NdA), e precisamente i migliori saggisi ottengono da Capo di Bove.” … ”Alchiarissimo signor Professor Scacchi dob-biamo la determinazione dell’Humboldti-lite del Lazio. Questo minerale è stato rin-venuto dal sig. Pietro Giorni, il quale mene favorì un bellissimo saggio, e mi comu-nicò di averne più di una volta rinvenutonel peperino di Albano e di Marino, nelqual roccia si trova unito all’amfigene ve-troso ed al gesso”.

p. 44:“Pleonasto. Questa varietà di spinello

a base di ferro e magnesia trovasi nel La-zio in piccoli cristalli per entro alla dolo-mite nelle ceneri di Galloro. I più bei sag-gi provengono dal peperino specialmentedi Marino ove va unito al granato verde”.

p. 45:

“Gismondina, Zeagonite od Abrazite.Il Prof. Gismondi fu il primo a riconosce-

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re questo minerale nelle lave del Vesuvio elo distinse col nome di Zeagonite. IndiBreislak e Brocchi avendolo rinvenutonelle nostre lave e riconosciuto per quellostesso descritto dal Gismondi lo chiamaro-no Gismondina. Beudant e Phillips lo co-nobbero col nome di Abrazite.

Il Lazio possiede bellissimi saggi diquesto minerale (gismondina, NdA). I mi-gliori esemplari si ottengono da Capo diBove sulla via Appia, e dalla lava basalti-na di Acquacetosa fuori la porta S. Paolopresso Roma”.

p. 46:

“Fillipsite. … La Fillipsite si trova perlo più unita alla Gismondina nella lava diCapo di Bove”.

p. 47:

“Natrolite. … rinviensi unicamente nel-la lava di Capo di Bove sotto la forma diglobuli ovvero di concrezioni globularirivestenti le geodi e talvolta e talvolta ac-compagnate da gismondina e fillipsite”.

p. 49:

“Ferro Fosfato. (Vivianite). ... il qualeabbonda nei peperini di Albano e Marinoove è accompagnato talvolta da pirite e

dall’ossido di ferro. Si trova sempre allostato amorfo sotto forma di grossi ciottoliterrosi, di un bel colore azzurro, tendentea quello del lapislazzuli, col quale talvoltaha molta somiglianza nei saggi che con-tengono pirite”. (È certamente lapislazzu-li e non vivianite, NdA).

pp. 50-51:

“Ferro Ossidulato titanifero (Iserina):Werner diede il nome di Iserina (moltopropabilmente trattasi di ilmenite, NdA.)a questo minerale di ferro ... Il Lazio ab-bonda di questo minerale. I più bei cristal-li rinvengonsi nel tufo di Frascati e nel pe-perino di Albano e di Marino sotto formadi ottaedri e dodecaedri romboidali, di uncolore nero di ferro … Le sabbie dei ru-scelli ne sono cariche. Basti citare il sopra-suolo della Valle Aricina, i ruscelli delMonte Artemisio, le spiagge dei laghi Al-bano e Nemorense, i fossi di Frascati, diGenzano, di Marino ecc., ove basta scor-rere sopra a quelle sabbie con una potentecalamita, per raccogliere in poco d’oraqualche libbra di ferro ossidulato titanife-ro granulare … In appendice ai metalli fad’uopo citare il carbonato verde di rameche trovasi in piccole incrostazioni cristal-line nella lava di Capo di Bove unitamentealla nefelina ed al pirossene”.

Il Cercapietre 1-2/2012, 18-46 Burli M.: Peregrinazioni mineralogiche sulle orme di antichi Naturalisti…

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EVOLUZIONE GEOLOGICADEL BASAMENTOMETAMORFICO TOSCANOFederico Lucci 1, 2 e Valerio Masella 2

1 Dip. di Scienze, Sezione di Scienze Geologiche, Uni-versità RomaTre

2 Gruppo Mineralogico Romano

Riassunto

L’area della Toscana meridionale chegeologi, collezionisti e non solo chiamanofamiliarmente le Colline Metallifere, è ilrisultato di una lunga serie di eventi geo-logici che si sono succeduti negli ultimi500 Ma. Attraverso l’osservazione dellerocce costituenti il Basamento Toscano èpossibile riconoscere tutte le fasi geologi-che maggiori avvenute a partire dal Pa-leozoico. Le rocce metamorfiche (filladi,scisti) rappresentano la collisione ercini-ca, mentre evaporiti e dolomie descrivo-no la fase di rottura del grande continen-te Pangea e la genesi dell’oceano tetideo.In questo oceano si depositeranno, nelMesozoico e nel Cenozoico basale, le roc-ce sedimentarie che costituiranno i futuririlievi delle Alpi e degli Appennini. Que-sti rilievi rappresentano infine gli eventicompressivi che hanno interessato il Me-diterraneo alla fine del Cenozoico e che,per quanto riguarda la struttura appenni-nica, sono tuttora in atto. I grandi proces-si orogenetici tuttavia comportano impor-tanti fasi di riequilibrio della crosta coin-volta, in cui spesso (per non dire sempre)dominano i fenomeni magmatici: plutoni-smo medio-crostale e superficiale, vulca-

nismo, metamorfismo di contatto ed epi-termalismo.

Il Basamento Metamorfico Toscano in sin-tesi

Le Colline Metallifere Toscane costi-tuiscono un distretto epitermale co-gene-tico al magmatismo neogenico delle Pro-vincia Magnatica Toscana; magmatismosviluppatosi e messosi in posto durantel’ultima fase tettonica estensionale che hainteressato la catena appenninica (dal tar-do Miocene ad oggi).

Con “fase distensiva” solitamente ci siriferisce a quei processi tettonici, che at-

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Fig. 1. Esempio di un grande sistema di rifting. Con lalinea tratteggiata sono rappresentati i due bracci delrifting continentale della Great Rift Valley. Con il pun-tinato il rifting oceanizzato del Mar Rosso. Con la li-nea rossa continua invece è identificata una porzionedella Dorsale Oceanica Indiana. I tre segmenti di rift siincontrano nel Golfo di Aden. Le frecce rosse indicanoil senso di apertura delle placche coinvolte dai proces-si di rifting.

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traverso grandi faglie normali, tendono adistendere, assottigliare e separare dueporzioni di crosta terrestre. Esempio tipi-co di questi processi è la Grande Rift Val-ley africana (Figg. 1 e 2).

I processi di distensione e rifting sonospesso responsabili di grandi provincemetallifere. Perché?

Al fine di rispondere a questa doman-da, è necessario ripercorrere velocemen-te la storia della provincia geologica to-scana.

Il Basamento Toscano: La Fase Paleozoi-ca (542-251 Ma)

Nel Cambriano (542-488 Ma), ciò cheoggi definiamo “Basamento CristallinoToscano” inizia il suo processo di forma-zione e genesi.

Alla fine di questo periodo geologicosi mettono in moto i grandi processi cheporteranno alla formazione del supercontinente Pangea (Fig. 3). Durante l’Or-doviciano (488-444 Ma) ed il Siluriano

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Fig. 2. Great Rift Valley (porzione meridionale); ricostruzione virtuale di Christoph Horman,(http://earth.imagico.de/).

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(444-416 Ma), i continenti Laurentia eBaltica collidono nell’Orogenesi Caledo-nica (Alpi Scandinave e Highlands Scoz-zesi) a formare Laurussia.

Ma la deriva continentale non si fermae lungo tutto il lasso di tempo che va dalDevoniano (416-359 Ma) al Carbonifero(359-299 Ma), Laurussia prosegue il suocammino verso il grande continente meri-dionale di Gondwana.

Questa seconda collisione è fonda-mentale per il Basamento Toscano: traLaurussia e Gondwana si estendevano ungrande oceano (il Rheico) ed un suo ra-mo minore (Oceano Armoricano) chepossono essere immaginati come l’Ocea-no Indiano e la sua protuberanza oceani-ca del Mar Rosso (Fig. 1).

Questa collisione si sviluppa in modoconsistente e infatti tutt’oggi è possibile ri-

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Fig. 3. L’orogenesi Ercinica: nei cerchi blu è rappresentata la posizione dei margini continentali che origineranno ilfuturo Basamento Toscano. In giallo è identificata la placca Armoricana: il nucleo geologico della struttura ercinicache oggi è rappresentato dal Massiccio Armoricano, dal Massiccio Sardo-Corso e dal Basamento Metamorfico To-scano. (Modificato da: Nance et al., 2012).

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conoscere tracce di questo processo nellerocce cristalline (cioè metamorfiche e mag-matiche) di molti massicci montuosi euro-pei: nelle Alpujarridi delle Betiche Spagno-le, nel Massiccio Armoricano e nel Massic-cio Centrale in Francia, nella Selva e nelMassiccio Boemo (detto Sylva Hercinyadai Romani), nei Monti Metalliferi nell’a-rea della Rep. Ceca e della Slovacchia.

Ma tracce dell’Orogenesi Ercinica siritrovano anche in domini geologici medi-terranei come nel Rif Marocchino o nelledue grandi isole della Corsica e della Sar-degna e perfino in alcuni speroni montuo-si della penisola italiana: in Toscana e inCalabria.

Fondamentalmente le rocce erciniche sipossono dividere in tre tipologie principali:

1. Rocce metamorfiche a precursorebasico-basaltico (dette rocce metabasi-che): rocce della crosta oceanica del pic-colo Oceano Armoricano (per quanto ri-guarda la penisola italica) che, vista la lo-ro densità, sono scese in subduzione du-rante la collisione Laurussia-Gondwana eche sono state metamorfosate fino anchealla fase eclogitica (P > 12 kbar e T >500°C). Tali rocce sono state poi in alcunicasi esumate (come a Posada in Sardegna)dai processi distensivi post-collisionali;

2. Rocce metamorfiche a precursorecrostale acido (dette rocce metapelitiche):rocce della crosta continentale (sia diLaurussia, sia di Gondwana) che sono siarocce cristalline (graniti e scisti) sia rocceesogene (argille e sabbie) derivate dallosmantellamento erosivo della crosta con-tinentale stessa. Tali rocce vengono coin-volte nella progressiva collisione orogeni-ca: più si trovano vicine alla zona di sutu-ra collisionale più il grado metamorfico

(valori massimi di Pressione e Temperatu-ra) raggiunto è alto; si passa così da rocceindeformate nelle zone più lontane, a fil-ladi e scisti nelle zone più esterne dellacatena montuosa, a gneiss nelle zone piùinterne della catena orogenica ed infine amigmatiti nel nucleo orogenico (le mig-matiti sono rocce che reagiscono all’altis-simo grado metamorfico con la fusione ericristallizzazione solo dei costituentiquarzo-feldspatici);

3. Rocce magmatiche granitoidi: roccedi origine magmatica che sono una co-stante nei grandi processi orogenici. Nellefasi pre-collisionali quando è attiva lasubduzione oceanica (e le due placchecontinentali non si sono ancora scontrate)è tipica la formazione di archi vulcaniciche tendono a sopravvivere fino al mo-mento della collisione continentale. Du-rante le fasi continentali, invece, il mag-matismo è caratterizzato dai sedimenti edalle rocce quarzose che rifondono a cau-sa delle importanti temperature raggiuntedalla crosta nelle spinte collisionali. Nellafase post-collisionale invece si sviluppanoi processi magmatici maggiori: la catenamontuosa tende a collassare sotto il suostesso peso generando distensione crosta-le; anche il mantello caldo sottostante ten-de a risalire non più vincolato verso ilbasso dalle spinte compressive della colli-sione continentale. Distensione più flussotermico si esplicano in un magmatismo at-tivo e imponente in grado di produrre gi-ganteschi volumi di magma e quindi mas-sicci granitici di notevoli dimensioni (bastipensare al “Batolite Sardo”, il massicciogranitico sardo che corre dalle propagginimeridionali del Gennargentu e arriva finoall’arcipelago della Maddalena).

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Il Basamento Toscano: La fase Mesozoica(251-65,5 Ma)

La fase Ercinica termina nel Carboni-fero. Il Pangea neoformato però, nella fu-tura area mediterranea, non rimane stabi-le. Una intensa attività magmatica di tipoalcalino (magmatismo permiano sardo,magmatismo porfirico altoatesino) indical’inizio del processo di continental break-up (rottura continentale): il superconti-nente costituisce, per la sua estensione,un “coperchio” al flusso di calore che sa-le dal sottostante mantello. Il calore chesi accumula genera subsidenza termica eassottigliamento crostale oltre che fusionedi porzioni del mantello superiore. I fusimagmatici inoltre, per densità, tendono arisalire attraverso la crosta producendoulteriore assottigliamento e delaminazio-ne della crosta stessa (un esempio di que-sto processo è proprio la Grande RiftValley Africana).

In superficie il processo di rifting si mo-stra nella formazione di grandi faglieestensionali e la generazione di fosse e de-

pressioni tettoniche (graben) che a lorovolta possono divenire vie preferenziali perla risalita di nuovo magma mantellico.Queste depressioni, in superficie, sono ca-ratterizzate inoltre da un fortissimo fattoredi erosione delle rocce costituenti i fianchidel graben: nell’area mediterranea questoprocesso di erosione è identificato dai con-glomerati del “Verrucano Toscano” e dalle“Arenarie della Val Gardena” (Alpi Dolo-mitiche), rocce sedimentarie costituite pro-prio da clasti eterogenei provenienti dallerocce cristalline erciniche (Fig. 4).

Se la fossa tettonica subisce ulterioresubsidenza termica (cioè sprofondamen-to) può essere invasa dal mare e genera-re, nella sua prima fase di immersione, la-gune discontinue ipersaline per bassissi-mo ricambio di acqua e formazione di im-portanti depositi evaporitici (gessi, anidri-ti, salgemma e dolomie): nell’attuale areamediterranea tali depositi si riconoscononelle evaporiti della Formazione delle“Anidriti di Burano” (Appennino) e neicalcari neri della Formazione “a Belle-rophon” (Alpi Dolomitiche).

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Fig. 4. Rappresentazione schematica del processo di formazione dell’Oceano Tetideo. Il Processo di rifting si esplicacon grandi faglie distensive (in rosso) che dislocano e ribassano il Basamento Metamorfico Ercinico e allo stesso tem-po creano spazio per la deposizione di conglomerati continentali (“Verrucano”), per depositi evaporitici (“Anidriti diBurano”) e la formazione di grandi scogliere coralline (“Dolomia Principale”). (Modificato da: Borsellini et al., 1989).

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Una successiva e progressiva ingressio-ne marina porta alla formazione di unmare lagunare stabile e quindi alla forma-zione di ambiente idoneo allo sviluppo dipiù proto-atolli corallini (cioè piattaformecarbonatiche o barriere coralline). Il pas-saggio da ambiente evaporitico a barrieracorallina è segnato spesso da una transi-zione tra i due ambienti petrogenetici:dalle anidriti e dai calcari neri si passaprogressivamente a dolomie cristalline(spesso varicolori), a calcari del tipo “Cal-care Cavernoso” (caratterizzato da microe macro cavità ancora ricche di mineralisolfatici come il gesso) a calcari scuri(“Bellerophon superiore”) e calcari fetidi(“Calcari a Rhaetavicula” appenninici)ricchi di materia organica e di componen-te solfatica.

Se il processo di subsidenza termicaprosegue, allora si attivano i processi dioceanizzazione: ovvero gli atolli coralliniman mano vengono sommersi e alla sedi-mentazione biogenetica si sostituisce quellaterrigena dei fondali abissali (calcari mar-nosi, marne e argille). Nell’area mediterra-nea quello che si osserva è la formazione digrandi barriere coralline come la piattafor-ma Dolomitica e la piattaforma Laziale-Abruzzese che progressivamente vedonoformarsi ai propri margini importanti baci-ni di tipo abissale (come l’Umbro-Marchi-giano o il Lagonegro).

Alla fine del Cretaceo (145.5-65.5Ma), oramai Pangea non esiste più datempo e nell’area mediterranea si è aper-ta la NeoTetide: un golfo oceanico lun-ghissimo che parte da Panthalassa (orachiamato Oceano Pacifico) e separa icontinenti meridionali Gondwaniani daquelli settentrionali (Fig. 5).

In questo momento geologico il Basa-mento Toscano è tutt’uno con il MassiccioSardo e insieme costituiscono il marginemeridionale dell’area europea oggi chia-mata Provenza.

Il Basamento Toscano: la Fase CenozoicaAlpina (65,5-30 Ma)

Neanche all’Oceano Tetide è dato dirimanere in tranquillità…

Alla fine del Giurassico oltre a Tetidecon un “motore” termico molto più po-tente, si iniziano ad aprire altri due ocea-ni: Atlantico e Indiano.

L’Atlantico separa progressivamente ilNord America da Eurasia e divide a metà ilnucleo principale di Gondwana letteralmen-te staccando il Sud America dall’Africa.

L’Oceano Indiano invece comincia lasua storia da quello che oggi è il Golfo diAden (Fig. 1): da questo punto si diparto-no tre fosse tettoniche (come tre grandifratture). La prima non diverrà mai unoceano ed è la Grande Rift Valley, la se-

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Fig. 5. Rappresentazione schematica del rifting tetideoe della rottura di Pangea (Kozur e Bachmann, 2010).

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conda separerà la penisola Arabica dal-l’Africa formando il Mar Rosso e la terza(la maggiore) separerà l’India dall’Africae la spingerà pian piano verso l’Asiaschiacciando così Tetide.

In sintesi Atlantico e Indiano si espan-dono più velocemente di Tetide, che aquesto punto non può far altro che venirecompletamente schiacciato tra Eurasia,Africa e India. Tale collisione è nota co-me Orogenesi Alpino-Himalayana ed èresponsabile di quella lunghissima catenamontuosa che parte dalle nostre Alpi, at-traversa la Turchia, l’Afghanistan, entranel Pakistan, si unisce al Karakorum pri-ma e all’Himalaya poi fino a terminare ilsuo cammino nelle catene montuose dellapenisola Indonesiana (Fig. 6).

Il Basamento Toscano ed il MassiccioSardo, ancora uniti, vengono marginal-mente coinvolti dai processi alpini; è peròin questo momento che, attraverso tetto-nica attiva compressiva, si mettono in po-sto in discordanza le Unità Liguridi. Lasuccessione ofiolitica ligure (frammenti digabbri-basalti del fondo oceanico, fanghiargillosi a radiolari, fanghi argillosi scuri e

calcareniti) viene “spremuta” tra i dueblocchi in collisione (Europa e Africa) edessendo molto più duttile delle circostantirocce cristalline si muove verso possibilivie di fuga tettoniche: una di queste è ilmargine meridionale della Provenza, do-ve si trova per l’appunto il futuro Basa-mento Toscano (Fig. 7).

Il Basamento Toscano: La Fase Cenozoi-ca post-Alpina (30 Ma ad oggi)

Come per l’Orogenesi Ercinica, la fasepost-orogenica Alpina è caratterizzata dacollasso gravitativo della catena montuosa,che si esplica con un generale processo didistensione dei blocchi continentali collisi.

A differenza però della fase Ercinica,questa volta è sopravvissuta una porzionedella crosta oceanica dell’oceano tetideo(oggi Mar Ionio e Mar Egeo). Una crostapesante fatta di rocce basaltiche, imprigio-nata tra due subduzioni almeno (quellaAlpina Occidentale, e quella del Massicciodi Rodope ad oriente), che come unico de-stino ha quello di continuare a sprofonda-re progressivamente nel mantello.

Durante questo progressivo processodi subduzione, la pesante e fredda crostaoceanica si tira dietro i margini di crosta

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Fig. 6. Rappresentazione schematica della Linea di Su-tura Alpino-Himalayana. La linea rossa vuole rappre-sentare la lunga fila di catene montuose che si sonoformate nell’Eocene per la collisione di Africa e Indiacontro Eurasia.

Fig. 7. Rappresentazione schematica non in scala dellasubduzione tetidea. In verde sono rappresentate leUnità Liguridi, materiale del fondo oceanico che, du-rante la compressione alpina, si distacca dalla crostatetidea ed inizia a migrare per scivolamento tettonicosopra i domini continentali europei e africani.

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Fig. 8. In alto: Schema riassuntivo dei bacini post-alpini sviluppatisi nel Mediterraneo Occidentale. In arancione ba-cini su crosta continentale; in blu bacini che hanno sviluppato crosta oceanica. (Modificato da: Lucci, 2010). In basso: Rappresentazione schematica del processo di arretramento del piano di subduzione (rollback) che produ-ce la progressiva rotazione antioraria del Blocco Sardo-Corso nel Miocene e della penisola italiana poi. Successiva-mente lo stesso processo genera l’apertura del bacino oceanico tirrenico. (Modificata da: Gvirtzman e Nur, 2001).

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continentale che bordano la subduzionestessa.

E man mano che i margini di zollacontinentale sono trascinati dalla crostaoceanica, il Mediterraneo Occidentale as-sume nuova configurazione (Fig. 8): pri-ma si apre il bacino di Alboran che sepa-ra le Betiche spagnole dal Rif marocchi-no, poi si apre il bacino alghero-proven-zale (o liguro-provenzale) che letteral-mente stacca il Massiccio Sardo-Corsodalla Provenza e lo fa ruotare fino allaodierna posizione. Il processo proseguedislocando il Massiccio Sardo-Corso,aprendo la fossa Sarda ed il Campidano egenerando grandi vulcani della Marmillae del Monte Arci.

Nel Miocene infine una nuova fase diarretramento della subduzione della cro-sta tetidea, si apre un nuovo bacino ocea-nico: il Tirreno. Questo processo compor-ta una ulteriore rotazione in senso antio-rario della crosta ercinica e delle sue co-perture carbonatiche. È proprio in questafase che il Basamento Toscano raggiungela sua posizione attuale. Le rocce meta-morfiche erciniche, su cui nel Mesozoicosi erano depositati sedimenti evaporitici ecarbonatici, si distacca dal Massiccio Sar-do e ruota verso est fino a raggiungere laattuale posizione geografica.

Come avvenuto durante l’apertura delbacino alghero-provenzale, anche per il ba-cino tirrenico si assiste alla formazione diimportanti processi magmatici legati alla ri-salita di magmi che accompagnano l’arre-tramento della subduzione oceanica: ilmagmatismo Toscano ed il magmatismodella Provincia Romana. La Provincia

Magmatica Romana mostra un carattereprincipalmente vulcanico e si estende dal-l’area del distretto Vulsino (Latera, Monte-fiascone, Bolsena) fino alle propaggini me-ridionali del Distretto Campano (Vesuvio).

La Provincia Magmatica Toscana è ca-ratterizzata invece, soprattutto, da plutoniche si mettono in posto a condizioni dicrosta superficiale in un’area che va dal-l’Abetone fino alle Colline Metalliferegrossetane.

Tali intrusioni plutoniche nel Basamen-to Toscano hanno generato processi distin-ti quali: la formazione di marmi e skarn permetamorfismo di contatto sulle coperturecarbonatiche (come riconoscibile nel Mas-siccio delle Apuane) e la genesi di aree mi-neralizzate per epitermalismo dovuto allarisalita di cortei fluidi caldi (giacimenti El-bani e Colline Metallifere Toscane).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

BORSELLINI A., MUTTI E., RICCI LUCCHI F., (1989) -Rocce e successioni sedimentarie - UTET, pp 395.

GVIRTZMAN Z., NUR A., (2001) - Residual topogra-phy, lithospheric thickness, and sunken slabs inthe central Mediterranean - Earth and Plane-tary Science Letters, Vol. 187, 117-130.

KOZUR H.W., BACHMANN G.H., (2010) - The Midd-le Carnian Wet Intermezzo of the Stuttgart For-mation (Schilfsandstein), Germanic Basin - Pa-laeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoeco-logy, Vol. 290, 107-119.

LUCCI F., (2010) - Il Magmatismo Peralluminosonelle Unità Sebtidi Inferiori (Rif, Marocco):Contributi all’evoluzione tettonica regionale delMediterraneo Occidentale - Tesi di Dottoratonon pubblicata.

NANCE R. D., GUTIÉRREZ-ALONSO G., KEPPIE J.D., LINNEMANN U., MURPHY J. B., QUESADA

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LA STIBNITE DELLAVALLE DEL TAFONE(MANCIANO - GR)Federico Lucci 1, 2 e Valerio Masella 2

1 Dip. di Scienze, Sezione di Scienze Geologiche, Uni-versità RomaTre

2 Gruppo Mineralogico Romano

Riassunto

Le Colline Metallifere della Toscanameridionale rappresentano una piacevolemeta per una escursione naturalistica eper la ricerca di minerali (principalmentesolfuri e carbonati) da poter aggiungerealla propria collezione. Uno dei siti piùinteressanti si trova proprio al confine traLazio e Toscana, vicino alla cittadina diManciano. Qualche chilometro a sud del-la città, si ubica la valle del Fosso Tafone,una valle caratterizzata dall’affioramentodi antiche rocce del Basamento Metamor-fico Toscano e di sedimenti recenti, chenel Plio-Pleistocene sono state interessatedai fenomeni idrotermali legati ai grandiprocessi magmatici che hanno generato laProvincia Magmatica Toscana.

Premessa

La stibnite, a volte chiamata con il no-me non più in uso di antimonite, è un sol-furo di antimonio con formula Sb2S3.

Il nome di stibnite deriva dal latino sti-bium, antico nome usato sia per il mineraleantimonite sia per l’elemento chimico anti-monio (il cui simbolo è per l’appunto Sb).

La stibnite cristallizza nel sistema or-torombico sviluppando solitamente in cri-stalli allungati, striati longitudinalmente,

o in masse fibrose e aciculari. I cristalli distibnite hanno lunghezza media centime-trica, in alcuni casi però sono state identi-ficate vene con esemplari lunghi anche fi-no a 50 cm.

La stibnite presenta sempre una colo-razione grigio piombo o acciaio, con ri-flessi bluastri e lucentezza metallica; gliaggregati microcristallini aciculari e fibro-si tendono invece a colori più scuri purmantenendo forte lucentezza metallica.

La stibnite è un minerale tipico dei de-positi idrotermali e spesso si trova in as-sociazione con pirite, marcasite, arsenopi-rite, realgar, orpimento, cinabro, galena,stibiconite, calcite, ankerite e barite.

Le Colline Metallifere in Toscana Meri-dionale

Le Colline Metallifere Toscane rap-presentano il più esteso sistema collinaree montuoso dell’Antiappennino toscano esi estendono in un area che si distribuisceall’interno delle province di Livorno, Pi-sa, Siena e Grosseto. Le Colline Metalli-fere costituiscono uno dei più importantidistretti idrotermali-epitermali italiani edeuropei: rocce carbonatiche che ospitanosistemi di mineralizzazioni di questo tipooccorrono ai margini dei maggiori campiepitermali come Larderello, Monte Amia-ta e del Distretto Vulcanico di Latera.

Le “mineralizzazioni” sono tipicamen-te localizzate al contatto tra le rocce car-bonatiche (quasi sempre calcari della For-mazione del “Calcare Cavernoso”) e lesovrastanti Unità flyschoidi (Unità “Ligu-ridi” e “Sub-Liguridi” Auct.) o, raramen-te, le arenarie argillose della Formazionedel “Macigno”.

Il Cercapietre 1-2/2012, 56-63 Lucci F. e Masella V.: La stibnite della Valle del Tafone (Manciano - GR)

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Sin dai tempi degli Etruschi (IX secoloa.C.) queste aree erano conosciute per lapossibilità di reperire ed estrarre mineraliquali “calamina” (emimorfite), pirite,ematite, calcopirite, allume, sfalerite, ga-lena, orpimento e stibnite (Cipriani e Ta-nelli, 1983).

Inquadramento Geologico dell’Area delTafone

Le Colline Metallifere, come detto pre-cedentemente, rappresentano il più impor-tante distretto epitermale italiano che sisviluppa contemporaneamente ai processimagmatici del tardo Miocene, caratteriz-zante la Provincia Magmatica Toscana.L’estensione del margine tirrenico si svi-luppa generando valli tettoniche con geo-metria a graben secondo la direzione ap-

penninica NW-SE. Queste valli vengonoriempite progressivamente da sedimentimarini e continentali del Pliocene. Questosistema di valli e sedimenti è infine tagliatoda faglie trascorrenti con direzione antiap-penninica NE-SW (Brogi, 2011) (Fig. 1).

Un esempio di queste valli tettonicheplio-pleistoceniche è il graben del FossoTafone, il quale rappresenta una delle areemineralizzate principali delle Colline Me-tallifere meridionali. I principali sistemi divene mineralizzate (Faggio, Scritto, PoggioFoco, Tafone, Montauto), affiorano sem-pre dove i sistemi estensionali (cioè fagliedirette) a direzione appenninica (NW-SE)sono intersecate dalle faglie trascorrenticon andamento antiappenninico (NE-SW).In pratica dove i due sistemi di faglie si in-crociano creano delle vie preferenziali perla risalita di fluidi epitermali.

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Fig. 1. Evoluzione recente dell’Appennino Toscano. In Rosso: complessi magmatici Neogenici. In Blu: affioramentidel Basamento Metamorfico Toscano. In Giallo: Graben maggiori di età plio-pleistocenica. Doppia linea nera: faglietrascorrenti pleistoceniche. Nel riquadro verde l’area delle mineralizzazioni di Manciano. (Modificata da: Brogi, 2011e Lucci et al., 2011).

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Fig. 2. Pirite e stibnite costituiscono le mineralizzazioni principali della Miniera del Tafone. Nelle foto sono rappre-sentati alcuni esemplari su matrice di: a) pirite; b) pirite con abito cubico ben sviluppato; c) pirite, marcasite e arse-nopirite in ganga solfatica; d) micro-vena di stibnite in “Calcare Cavernoso”; e) nido di esemplari centimetrici distibnite; f) associazione di stibnite e sue alterazioni su matrice di barite. Coll. F. Lucci.

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L’origine della stibnite e degli altri mine-rali del Mancianese

Le mineralizzazioni principali (Figg. 2,3 e 4) dell’area sono caratterizzate da:

i) solfuri come la stibnite (Sb2S3), la pi-rite (FeS2) e l’arsenopirite (FeAsS, asso-ciata a volte a rari cristalli di realgar –As4S4 – e cinabro – HgS), e la marcasite(FeS2);

ii) solfati come la barite (BaSO4);iii) carbonati della serie calcite-dolo-

mite-ankerite [CaCO3 – MgCa(CO3)2 –Ca(Fe2+,Mg, Mn)(CO3)2];

iv) quarzo (SiO2) in microvene con cri-stalli da millimetrici a centimetrici.

L’associazione mineralogica descrittarappresenta un sistema idrotermale-epi-termale (100-300°C) in condizioni superfi-ciali (Fig. 5): fluidi caldi risalgono attra-verso la crosta, e si arricchiscono in zolfoe carbonato interagendo rispettivamentecon le evaporiti e i calcari triassici. Lapresenza di una “struttura tappo”(cap-rock) fredda e abbastanza impermeabile(come le rocce argillose), impedisce aifluidi idrotermali di migrare via e li co-stringe, per equilibrio termico-idraulico, aliberarsi delle componenti minerali di-sciolte in eccesso, generando così venemineralizzate.

Nell’area Mancianese, il basamentoercinico rappresenta la base rigida su cuisi imposta il processo epitermale. Il basa-mento metamorfico, in condizioni superfi-ciali, tende infatti a deformarsi in manie-ra fragile, cioè generando faglie e campidi fratture: una serie di spazi più o menointerconnessi che possono costituire local-mente una vera rete idraulica.

I cortei fluidi idrotermali, provenientida un sottostante stock di magma e ricchi

di elementi metallici e transizionali, risal-gono attraverso questa rete idraulica eraggiungono i sovrastanti depositi triassicilagunari, ovvero la serie evaporitica delleanidriti, delle dolomie e dei calcari caver-nosi basali.

In queste rocce i fluidi hanno la possi-bilità di reagire con importanti quantitàdi zolfo e carbonato, componenti fonda-mentali dei solfati e delle dolomie.

Sopra il Calcare Cavernoso però è ubi-cato un cap-rock con due caratteristichefondamentali: essere freddo e impermea-bile. Questo “tappo” è rappresentato dal-le Unità Liguridi, che, messe in posto tet-tonicamente durante la collisione alpina,non permettono ulteriore migrazione aifluidi idrotermali.

Qui, al contatto tettonico tra CalcareCavernoso e Unità Liguridi, i fluidi inizia-no il loro processo di accumulo e raffred-damento. Perdendo progressivamentetemperatura, i fluidi iniziano a rilasciare icostituenti in soluzione in eccesso attivan-do inoltre reazioni secondarie con le roc-ce incassanti.

Lo zolfo attivato dai processi di risali-ta idrotermale reagisce sia con l’antimo-nio sia con il ferro delle argille Liguridi,generando così neoformazione di stibnitee pirite.

L’arsenico trasportato dai fluidi idro-termali o entra in sin-cristallizzazione nel-la pirite in formazione, generando localisostituzioni in arsenopirite, o precipitasingolarmente in realgar (al Tafone piut-tosto raro).

Il calore dei fluidi idrotermali ed ilcarbonato in eccesso si riorganizzano pro-ducendo fenomeni di metamorfismo ter-mico localizzato, generando vene di skarncristallini multicolori.

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Fig. 3. Altre evidenze del processo di idrotermalismo sono individuabili proprio nelle rocce carbonatiche ospitanti lemineralizzazioni di antimonite. Nella figura “a” è possibile riconoscere il carattere fortemente fratturato e trasfor-mato dei calcari cavernosi toscani. Nelle foto “b” e “d” si osservano cavità da millimetriche a centimetriche in cui icarbonati hanno subito processi di ricristallizzazione generando minerali della serie calcite-dolomite e mostrando ar-ricchimenti in Mn, Sb, Fe e Pb. Nella figura “c” infine è presentata una vena di quarzo da ialino a lattiginoso rico-nosciuta all’interno di un blocco metrico di “Calcare Cavernoso”. Coll. F. Lucci.

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Da notizie bibliografiche risulta cheoltre i minerali già citati, in passato sonostate rinvenute altre specie come la chap-manite – Sb3+Fe3+

2(SiO4)2(OH) –, primoritrovamento italiano, e la millerite - NiS -,forse unico ritrovamento (Meli, 1999).

Sottolineiamo che in questo lavoro ab-biamo descritto situazioni e minerali pro-venienti da giaciture primarie (o meglio,quel che ne rimane), tuttavia i ritrova-menti più frequenti da parte di ricercatorie collezionisti sono avvenuti, in passato,nelle zone di discarica degli impianti dilavorazione che sono stati attivi, pur secon alterne fortune, nella seconda metàdel secolo scorso. Vale la pena di ricorda-

re che lo stabilimento ha lavorato anchemateriali provenienti da località limitrofe(Poggio Fuoco, Pereta, Montauto), maanche quelli di giacimenti sardi (Meli,1999) o addirittura provenienti dalla Cina(forse già prelavorati). Nelle discarichedello stabilimento inoltre, il materialeprevalente era in realtà costituito da sco-rie della fonderia, le quali contenevanomineralizzazioni interessanti seppure digenesi non naturale.

La situazione attuale delle discariche èdi completa impraticabilità per ricoperturao riconversione in discarica di rifiuti urbani.

Attualmente qualche possibilità con-creta di ritrovamento (naturalmente del

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Fig. 4. Immagini al microscopio elettronico in elettronisecondari. In alto a sinistra: cristalli di stibnite e piritedispersi nella matrice solfatica. In alto a destra: morfo-logia cubica della pirite. A fianco: esemplari millime-trici di stibnite ricoperti da carbonati (cristalli romboe-drici) e da patine di barite (esemplari più globosi, conmorfologia a concrezione).

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livello di quelli mostrati) può essere datadalla ricerca effettuata su ciò che rimanedel piccolo fronte posto in prossimità del-lo stabilimento, lungo il Fosso Tafone esulla sponda meridionale del Lago Tafonedove nei periodi di secca possono affiora-re erratici mineralizzati.

Una ulteriore occasione di ritrovamen-to può essere costituita anche dall’uso chein tutta la zona è stato fatto in passato deiblocchi di calcare cavernoso, provenienti

dalle miniere del Tafone e dalla vicinaPoggio Fuoco, per diversi scopi (riempi-menti, argini di fossi ecc.)

Conclusione

La Valle del Tafone rappresenta un’ot-tima scusa per fare una passeggiata fuoriporta, per andare a raccogliere qualcheminerale “simpatico” da esporre nellapropria vetrina.

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Fig. 5. Rappresentazione schematica dei principali modelli di formazione di depositi mineralizzati. Il magma (coni +++ in figura) svolge la duplice funzione sia di motore termico sia di trasportatore (carrier) degli elementi minera-lizzanti. Tali elementi si muovono verso la superficie con i cortei fluidi idrotermali che si muovono lungo faglie efratture (stockwork). Si può osservare come i depositi di Antimonio (Sb) siano localizzati in un intervallo di profon-dità di circa 1-3 km nella fascia termica detta Epizona (100-200°C). Spesso sono associati a rocce di tipo skarn (cal-cari e carbonati che hanno subito metamorfismo di contatto, cioè metamorfismo per un forte rialzo termico senamodificare le condizioni di pressione crostale). I giacimenti in area vulcanogenica sono spesso associati a sorgenticalde (Hot Spring) e a depositi massivi di solfuri (VHMS: Volcanic-hosted massive sulfide deposit). (Modificato da:Groves et al., 1998).

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Certo la stibnite mancianese che sipuò raccogliere ora non ha minimamentepossibilità di vittoria contro i giganteschiesemplari di Ichinokawa in Giappone e lapirite è a dir poco “imbarazzante” (con-cedeteci il termine) se paragonata alle ve-ne del Bacino e di Valle Giove all’Elba.

Eppure questa zona a poco più di 100km da Roma ci permette di osservare eripercorrere indietro con la mente, fino a500 milioni di anni fa, la storia geologicadella nostra terra.

Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento va al Dott.Sergio Lo Mastro dell’Università di Ro-maTre per il costante aiuto e supportonella produzione di immagini al S.E.M..

Un ringraziamento speciale va a Chia-ra Santini e soprattutto a Emanuele Ro-manini, il quale, dotato di una fortunafuori dal normale, è riuscito a ritrovareuna vena decimetrica di quarzo perfetta-mente formata e preservata.

Un ringraziamento va inoltre ai pre-ziosi consigli di Roberto Pucci.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

BROGI A., (2011) - Variation in fracture patterns indamage zones related to strike-slip faults inter-fering with pre-existing fractures in sandstone(Calcione area, southern Tuscany, Italy) - Jour-nal of Structural Geology, Vol. 33, 644-661.

CIPRIANI C., TANELLI G., (1983) - Risorse minerarieed industria estrattiva in Toscana. Notizie stori-che ed economiche - Atti Mem. Acc. Tosc. Sci.Lett. La Colombaria, Vol. 48, 241-283.

GROVES D.I., GOLDFARB R.J., GEBRE-MARIAM M.,HAGEMANN S.G., ROBERT F., (1998) - Orogenicgold deposits: A proposed classification in thecontext of their crustal distribution and rela-tionship to other gold deposit types - Ore Geo-logy Reviews, Vol. 13, 7-27.

LUCCI F., PETRINI E., ARMIENTO G., NARDI E., PA-CIFICO R., MOTTANA A., (2011) - Local Tectoniccontrol on hydrological patterns: a key to understand the As-Sb contamination in the abando-ned Tafone Mine Area - Comunicazione Oraleal Geoitalia 2011, Torino 2011.

MELI R., (1999) - I minerali delle discariche e dellescorie del fosso Tafone (Manciano, Grosseto) -Rivista Mineralogica Italiana, 3/1999, 187-191.

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I nomi dei minerali (in italiano) e le formulechimiche devono tener conto delle normative in-ternazionali: Mandarino J.A., Malcolm E. Back,(2008), Fleischer’s Glossary of Mineral Species,The Mineralogical Record Inc. Tucson, pp 345.

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