Nella Nebbia #23

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Nella Nebbia Mensile Gratuito di Arte & Cultura Numero 23 Aprile 2010 Simone Cristicchi Giuseppe Cominetti Città Invisibili In questo numero:

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Rivista mensile con uno sguardo trasversale sull’arte

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SimoneCristicchi

GiuseppeCominetti

CittàInvisibili

In questo numero:

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GAGLIANICOStrada Trossi

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NUOVI ARRIVI

Merrel, G-Star, North Sails ALL’ INTERNO

In esclusiva all’interno, solo da BiellaSport

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Simone criSticchidue facce, una Sola anima

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NellaNebbiaEditore:

p.zza Risorgimento, 1213100 Vercellitel. 0161 1850396

Registr. Tribunale di Vercellin.347/2008 del 15/04/2008

N.23 Aprile 2010Rivista Mensile

Direttore ResponsabileAndrea Bellavita

Editor Testi:Eliana Frontini

Hanno collaboratoGuido Andrea, Alessia Bossi, Mauro Brusa, Elisabetta DellaValle, Eliana Frontini, Vero-nica Gallo, Roberta Invernizzi, Elena Leone, Gianluca Mercadante, Simon Panella, Marco Pozzo, Michele Trecate, Davide Vergnano

Concessionaria pubblicitariaStudioKaboom s.n.c. / Ufficio CommercialeCristiano Carpocell. 366 1689727tel. 0161 [email protected]

Stampa:SarnubVia Santhià, 58 13881 Cavaglià (BI)

Con il patrocinio di

Mensile Gratuito di Arte & Cultura

PROVINCIADI VERCELLI

fotografie di Angelo Trani

www.nellanebbia.it

editorialeUna primavera fresca, piovosa che solo a sprazzi ci regala il consueto

turbinio ormonale e ci fa venire voglia di inforcare la motocicletta e

rombanti andare per strade fatte di tornanti e corti allunghi. Il calenda-

rio però parla chiaro, l’estate è alle porte! In questo come nei prossimi

numeri di Nella Nebbia troverete infatti diversi servizi su avvenimenti,

mostre e luoghi da visitare anche fuori dalle nostre zone di distribu-

zione. Un invito alle gite fuori porta, ma anche un segno di come Nella

Nebbia si stia espandendo e facendo conoscere anche grazie al nostro

sito, www.nellanebbia.it, e di un inevitabile passaparola che ci sta por-

tando sempre qualche km più lontano.

Carichi di qualche kg di troppo dovuto alle feste pasquali ci rituffiamo

quindi nel mondo dell’arte, sempre alla ricerca di qualcosa di interes-

sante da raccontarvi, come invito per saperne di più o semplicemente

come sano intrattenimento tra una faccenda e l’altra.

Ci sentiamo anche di ringraziare Simone Cristicchi per la disponibilità

e gentilezza con cui si è reso disponibile per l’intervista nonostante i

diversi impegni.

Non ci resta che auguravi una buona lettura

Studio Kaboom

Sommarioaprile 2010

…tutti Giu’ Per terra!alla raSSeGna di illuStrazione di Padova

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citta’ inviSibiliSPettacolo Storico del teatro Potlach

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GiuSePPe cominettil’uomo, l’artiSta, le oPere

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la triloGia della finanzierauna ricetta Per teSte “fini”

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PSych out Partyun tuffo nella SwinGin’ london

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rubrichePenSieri, idee e StravaGanze

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harry hauSenil roSPo della laGuna nera

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aGendacome, dove e quando

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barbara rubinunder the ice

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SimonecriSticchivia Cavour 58 - Gaglianico (Biella)

musica

testo: Gianluca mercadantefotografie: Angelo Trani, su gentile concessione

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Lo abbiamo visto vincere il Festival di Sanremo nel 2007 con una canzone dolcissima e spietata al tempo stesso, per poi tornarci tre anni dopo, nell’edizione di quest’anno, a saltellare su quello stesso palco, a giocare con le parole, e soprattutto a presentare una canzone il cui testo, nella generale piattezza sanre-

mese, difficilmente passa inosservato, al di là del gusto personale di chi ascolta.Simone Cristicchi è proprio così: due facce, una sola anima. Da una parte quindi la poesia, il gusto melodico più classicamente ita-liano; dall’altra il cantautore dalla faccia tosta, una specie di nerd, la cui lingua è tagliente, talvolta arrabbiata quanto basta se si tratta d’istigare la riflessione. Forse perché mossa sempre, in ogni caso, dall’ironia – che, bisogna dirlo, è sinonimo d’intelligenza. Chi cono-sce persone stupide col dono dell’ironia alzi la mano.Nell’ultimo lavoro del cantautore romano tale doppiezza musicale, sua principale cifra stilistica, viene palesata come mai è accaduto nei dischi precedenti. Vuoi perché, come lui per primo afferma, ogni canzone è una sorta di stanza, arredata secondo esigenze che diffe-riscono a seconda di chi ci vive, in quella stanza, e provvista di una visuale sul mondo altrettanto diversificata per angolazione, luogo e tempo. Pur trovandosi tutte nell’ideale hotel che, piano per piano, canzone per canzone, l’album esplora. È dunque un caso che s’inti-toli “Grand Hotel Cristicchi”? Chiediamolo a lui.

Il tuo nuovo lavoro presenta un’enorme vastità di tematiche. Il titolo, “Grand Hotel Cristicchi”, in che modo le riassumerebbe?L’intero album è stato concepito pensando alla scenografia di un ho-tel. Si inizia in basso, dalle fognature, per poi risalire a storie che av-vengono invece sui piani di calpestio, dove ci muoviamo un po’ tutti. Le canzoni sono state scritte nell’arco degli ultimi tre anni, momento in cui mi trovavo in tournée e componevo i nuovi testi nelle camere d’albergo delle varie località toccate dai concerti.

Le differenze non stanno solo nei testi, ma anche negli stili mu-sicali. La scelta d’inserire determinate influenze sonore nell’am-bito di un singolo brano, dipende dal tema che affronta? In altre

parole: ogni canzone deve possedere un suo preciso sapore, al di là di un genere unitario?È la mia caratteristica, credo. Ogni canzone, per me, è una piccola finestra su un paesaggio sempre diverso. Per tutti i brani di questo ultimo disco, di questo Grand Hotel pieno di finestre, abbiamo volu-to che gli arrangiamenti fossero vicini all’argomento trattato nelle singole canzoni. “Tombino” parla dei bambini che vivono nelle fo-gnature di Bucarest e nell’arrangiamento abbiamo inserito la pre-senza importante del violino balcanico. Testi più diretti, come quello di “Genova brucia”, si è deciso di arrangiarli in maniera molto rock, perché l’insieme avesse una certa capacità d’impatto. O ancora, per quello che considero l’acquerello su un amore nato fra un uomo e una donna nel periodo della terza età, “L’ultimo valzer”, ho affidato l’arrangiamento a Enrico Gabrielli, collaboratore fisso di Vinicio Ca-possela.

La cifra ironica è persistente nel tuo modo di scrivere canzoni. Se il grottesco è un gusto, l’ironia si può invece apprendere. Chi sono i tuoi “maestri” del mestiere?Stefano Benni è sicuramente un grande maestro d’ironia. Un altro dei miei scrittori preferiti è Lorenzo Licalzi, autore genovese bravis-simo a mescolare il cinismo dell’adulto col candore di un bambino. Amo tantissimo anche le pagine di Andrea De Carlo e Niccolò Am-maniti. Devo parecchio a scrittori come loro. Ho preso molto anche da Rino Gaetano, per quanto riguarda la sfera dei cantautori – e so-prattutto in termini di faccia tosta nel nominare personaggi celebri nelle canzoni, lui lo faceva in “Nun te reggae più”, per esempio. E poi Gaber, soprattutto per la struttura dei miei spettacoli, che nel corso degli anni sono diventati un miscuglio sempre più lucido fra teatro e canzone.

È l’ironia l’approccio ideale per proporre argomenti impegnati, passando con estrema nonchalance da un genere all’altro nello stesso disco?Affrontare temi importanti nelle canzoni è comunque un rischio, ci si gioca tutto. Episodi come quelli capitati a me per l’uscita di “Vorrei cantare come Biagio”, oppure di “Ombrelloni”, lasciano intuire che

oGni canzone,

Per me, e’ una

Piccola fineStra

Su un PaeSaGGio

SemPre diverSo

l

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l’italiano in genere non sia una persona molto ironica. Nonostante questi consi-derevoli precedenti, ho voluto insistere con “Meno Male” in quanto la canzone parla della disinformazione in Italia, della distorsione ad hoc di certi eventi giornalistici, e non del personaggio cui fa riferimento il ritornello. La polemica era nata addirittura svariati mesi prima che il pezzo venisse eseguito in pubbli-co, cosa che, una volta accaduta, spero abbia chiarito a tutti quale fosse il rea-le contenuto del brano. Un ritornello è solo una specie di… di carta moschici-da, se vuoi, serve per acchiappare l’at-tenzione e tenerla incollata lì. Io stesso resto vittima di alcuni miei ritornelli, sono veramente un chewingum che ti s’attacca addosso e non si scolla più!...

Dai precedenza al testo od alla musi-ca, nella composizione di un brano? E c’è un tuo pezzo in particolare, si-gnificativo di un tuo… “modus ope-randi”?Di solito parto dalle parole, non dalle note. Sono un musicista autodidatta e tra le due cose dedico molto più tem-po alla lettura, che non allo studio della musica. Inizio dal testo, quindi. Anzi: dal titolo. Già lì, già in una frase, v’è racchiu-sa la forma integrale, forse primordiale, di quanto voglio sviscerare poi nella canzone. Quasi tutti i miei pezzi nascono in questo modo.

In una tua canzone scrivi: “La musica ha un solo linguaggio, quello dell’anima”, eppure l’anima conosce un linguaggio molto vicino, se vuoi, alla musica, che è la poesia. Per il tuo documen-tario “Dall’altra parte del cancello”, realizzato tre anni fa, inter-vistasti Alda Merini. Quale ricordo conservi di questa irripetibi-le, straordinaria figura della poesia italiana?Negli ultimi anni ho visto Alda diverse volte e ci siamo tenuti in stret-to contatto telefonico. La ricordo molto serena, nell’ultimo periodo, molto libera. Era come se stesse sciogliendo gli ormeggi per lasciarsi andare ad una dolcezza infinita di cui è stata depositaria, sebbene non troppo spesso permetteva che questa sua parte più tenera, più vulnerabile, affiorasse all’esterno di sé stessa. Al telefono era solita dettarmi delle poesie. Mi diceva di prendere carta e penna, in ma-

niera istantanea, veloce, e prendeva a dettare versi meravigliosi, al-cuni dei quali dedicati alla nascita di mio figlio, un paio d’anni fa. Li conservo come un segreto.

Oltre al tour di promozione di “Grand Hotel Cristicchi” stai pre-parando uno spettacolo teatrale che ti vedrà protagonista nel ruolo di attore. Ci potresti anticipare qualche curiosità su que-st’esperienza? Non è la tua prima volta a teatro…In realtà è la prima volta che affronto un testo da solo sul palco. Nei miei show, è vero, ho sempre alternato momenti musicali a momen-ti di lettura ad alta voce, di narrazione. Qui si tratta invece di recitare dall’inizio alla fine un monologo, “Li Romani in Russia”, diretto dal grande regista Alessandro Benvenuti. Mi sono innamorato subito della storia, la voce narrante è quella di un esule della Campagna di Russia che racconta la propria vicenda in dialetto romanesco. L’au-

Bio:Simone Cristicchi nasce a Roma nel 1977. Con lui cresce il suo cespuglio di capelli, sotto il quale ma-turano parallelamente la passione per il disegno e il fumetto (è stato allievo dell’indimenticato Jacovit-ti), e un amore autentico per la canzone d’autore.Il 2005 è l’anno dell’affermazione: in gennaio la firma del contratto discografico con Sony Bmg; ad aprile l’uscita del fortunatissimo singolo “Vor-rei cantare come Biagio”, poi inserito nel disco di debutto, il pluripremiato “Fabbricante di Canzoni” (2005), cui faranno seguito “Dall’altra parte del cancello” (2007 – col brano vincitore del Festival di Sanremo di quell’anno) e l’attuale “Grand Ho-tel Cristicchi” (2010). Tra un successo discografico e l’altro, Cristicchi approfondisce inoltre la musica popolare, grazie all’incontro con Ambrogio Spara-gna: nasce così il tour “Canti di vino, amore ed anar-chia” che vede la stimolante collaborazione con il Coro dei Minatori di Santa Fiora. Il Tour, del 2009, tocca 40 città e alcuni importanti teatri (Arcimboldi di Milano, Auditorium di Roma, Concertone della Notte della Taranta, Premio Ciampi), e vanta presti-giosi ospiti che salgono sul palco: Andrea Camille-ri, Laura Morante, Alessandro Benvenuti, Ginevra Di Marco, Erri De Luca. E, a proposito di narrativa, il cantautore mette a segno anche un successo editoriale: “Centro di Igiene Mentale” (Mondadori, 2007), è un testo basato su testimonianze dirette, su poesie e lettere scritte dai pazienti di una strut-tura manicomiale ormai smantellata e mai spedite. Il percorso nell’umanità della follia è per altro al centro di un documentario scritto e realizzato da Simone Cristicchi, omonimo (e parallelo) al suo al-bum del 2007.

Live:9 Aprile, Milano, TEATRO DEL VERME10 Aprile, Torino, TEATRO COLOSSEO

Riferimenti web:www.simonecristicchi.itwww.cristicchiblog.net www.myspace.com/cristicchi

ph:Luciana Morbelli

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tore, insieme a mio nonno, fu uno dei pochi soldati a fare ritorno in Italia dalla Campagna di Russia, nel ’42 -’43, e quando chiedevo a mio nonno di raccontarmi qualche episodio della sua esperienza, lui restava in silenzio. Diceva solo che sentiva sempre tanto freddo, là, anche d’estate, e nient’altro. Alla sua morte ho sentito esplodermi dentro l’esigenza di andare a raccontarle io, le storie che mio nonno taceva, e ho scelto di farlo con le parole di un grande poeta romane-sco, Elia Marcelli. Il testo è considerato un capolavoro della letteratu-ra italiana, sebbene sia stato finora poco diffuso.

Ti sei misurato con linguaggi diversi: hai scritto un libro, hai gi-rato un documentario, hai portato alla luce le lettere degli ospiti del manicomio di Voghera mai spedite, col Coro dei Minatori di Santa Fiora hai perfino recuperato, esplorandola, la musica po-polare delle miniere del Monte Amiata. Il mercato e la critica, che non spiccano per fiducia negli artisti polivalenti (soprattut-to se si mantengono col pop), come si comportano con la tua figura?In tre anni di quasi totale assenza dalla televisione, ho seguito e rea-lizzato diversi progetti che non hanno goduto di alcuna risonanza mediatica. Col Coro dei Minatori siamo stati invitati giusto da Sere-na Dandini a “Parla con me”, e basta, nient’altro. Eppure l’attenzione dei giornalisti mi ha stupito non poco. Ci è cresciuta sotto gli occhi una rassegna stampa eccezionale per cose che, ripeto, non hanno avuto visibilità. M’incoraggia constatare che ho lavorato paziente-mente allo scopo di costruirmi un mio pubblico, un pubblico che ora cresce, di concerto in concerto, di città in città, di periodo in perio-do. Vengono a vedermi anche persone più adulte di me e persone che assistono allo spettacolo, ma non comprano i miei dischi. Sono i frutti di un lavoro certosino, ottenuti passando da platee semi-de-serte a platee di due, tremila spettatori paganti. Tutto ciò mi rende innanzitutto orgoglioso e mi permette inoltre di pensare ad un futu-ro fatto di credibilità, di rispetto reciproco. Cose che si concretizzano nel presentare poi spettacoli come il monologo teatrale su cui sto lavorando adesso.

Diverse canzoni del tuo ultimo disco sono di gusto sanremese, se mi passi il termine. Perché hai scelto di esibirti all’Ariston pro-prio con “Meno male”?Non volevo ripetermi. Non con delle tematiche associabili, o para-gonabili, a quelle di “Ti regalerò una rosa”, canzone con cui vinsi il

Festival nell’edizione del 2007. Presentando “Meno male” sapevo di correre il rischio di non essere catalogabile fra quei cantanti che vanno a Sanremo e ripetono gli stessi cliché della volta prima – e mi stava benissimo così. Nei dischi ho messo in chiaro fin dall’inizio che il mio stile contempla due anime, fondamentalmente: quella più poetica, più riflessiva, e quella rock, scanzonata, diretta. Dunque è stato anche in questo caso un modo per mostrare l’altra faccia di me a chi ne aveva conosciuta soltanto una.

Ma esisterà ancora una canzone sanremese, secondo te?Sì, ed è quella che ha vinto. La canzone sanremese è quel mondo lì, si presta attenzione alla melodia, alla vocalità, e non ai testi. Consi-dero infatti un caso anomalo la vittoria di “Ti regalerò una rosa”, una canzone basata soprattutto sul testo. Tant’è che le mie esibizioni era-no state scenograficamente molto minimaliste, sia all’Ariston che in tour; non mi muovevo quasi, stavo sempre fermo, proprio per dare la massima importanza alle parole. La canzone sanremese è l’esatto opposto: è un momento di grande enfasi, dove emerge innanzitutto la voce del cantante, credo.

Se ci stesse leggendo un altro fabbricante di canzoni, magari uno dei tanti talentuosi di belle speranze di cui parla la tua canzone “Meteora”, quali consigli vorresti dargli?Dev’essere curioso. Deve cercare delle storie, storie che nessuno ha raccontato. Se uno inizia a mangiarsi il fegato appresso ai discogra-fici, appresso alle varie dinamiche così tristemente tipiche di questo mondo, che è un tritacarne – e lo vediamo nei talent show, il cui meccanismo è quello di trasformare le persone in prodotti da con-sumo, si finisce con l’arrendersi. Il principale obiettivo che un giova-ne musicista agli esordi dovrebbe porsi è quello di non somigliare a nessun altro e aspettare di esibirsi in pubblico solo quando si è davvero conquistato un’identità propria e attendibile.

Che, detto così, è una parola: cosa farebbe scattare nell’esor-diente la consapevolezza di un’identità?Secondo me le prime avvisaglie le puoi scorgere già quando suoni in un piccolo locale, pieno di persone sconosciute venute a sentirti. È facile riempire un pub con famigliari, amici e conoscenti vari. Qual-cosa comincia a cambiare quando i posti in cui suoni si riempiono di un pubblico che, per quanto ristretto, è venuto lì apposta per ascol-tare cosa fai. Se succede questo, allora è giusto iniziare a crederci.

l’intero album e’

Stato concePito

PenSando alla

ScenoGrafia di un

hotel

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i fa presto a dire “terra”. O anche “Terra”. Meta dei girotondi infantili, fango sugli stivali, so-spirato approdo degli esploratori naviganti e aerospaziali (sazi di oceani e di cieli), zolla d’orto feconda, spazio da conquistare o da difendere, humus vitale, risorsa da sfruttare,

patria da amare, manifestazione del divino, madre o matrigna, solida, potente, benevola e brutale, severa e accogliente… A Pado-va, accanto al Duomo, una mirabolante collezione di coloratissime illustrazioni ci racconta che cos’è “terra”, con un occhio di riguardo per il suo ruolo all’interno dei testi e delle tradizioni religiose (non solo quella cristiana).La dimensione sacra della terra è infatti il fil rouge che collega gli splendidi lavori che compongono la Quinta Rassegna Interna-

zionale di Illustrazione per l’Infanzia e che consente di ordinare la complessità di evocazioni e significati racchiusi in questo elemento. L’allestimento è impeccabile e le sale scandiscono sguardi e letture armoniosamente complementari sul tema. Numerosi sono i riferi-menti all’Antico Testamento, in particolare ai versetti della Genesi che narrano la Creazione, ma anche a leggende e miti maya, giap-ponesi, indiani e zingari.Una Terra, tante terre, insomma: ce lo rammenta subito l’installazio-ne posta all’ingresso, 35 vasetti di vetro contenenti campioni di terra arrivati dalla Georgia, dall’India e da Cuba, dal Kenya e dalla Turchia, dalla Colombia e dalla Romania, dal Laos e da Creta.Ben novantaquattro sono gli illustratori presenti. Tanta Italia, in-sieme ad altra vecchia Europa (Francia, Spagna, Portogallo, Polonia, Repubblica Ceca, Austria, Svizzera), ma anche Giappone, Argentina,

Iran, Corea, Sud Africa e Messico… È curioso conoscere i loro volti (quasi sempre sorridenti) e leggerne le storie, in poche righe, nelle ultime pagine del catalogo (magnifico e molto ricco anche di testi interessanti): si scopre così che una delle artiste nella vita è ingegne-re e un’altra si dedica alla maratona; poi ci sono un ex fumettista, una creatrice di marionette ed un autore di film d’animazione. Molti hanno già ricevuto premi e menzioni in giro per il mondo, consoli-dando tratti e stili ben riconoscibili. E tutti, proprio tutti, sono mossi dal desiderio di emozionare adulti e bambini, interpretando il tema di quest’anno attraverso le tecniche più disparate.Immagini oniriche e surreali, ingenue ed essenziali, regalano cromatismi intensi e luminosi, sia nelle raffigurazioni gioiose e gio-cose, sia in quelle più pensose, che meditano e inducono a meditare sulla responsabilità dell’uomo verso l’ambiente, sulla fragilità degli

…tutti Giu’ Per terra!

S

alla raSSeGna internazionale di illuStrazione

di Padova e’ di Scena madre terra

ArTe

testo: Roberta invernizzi

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equilibri che silenziosamente ci circondano, talvolta esplodendo, esausti, in drammatici cataclismi che si traducono in bruschi risvegli per coscienze assopite in consuetudini spesso malsane.Alcune scelte privilegiano la figura umana e la sua centralità nel creato: è il caso della poetica tela di Nicoletta Bertelle, dichiarazione d’amore che illustra un passo del Cantico dei Cantici, e dell’interpre-tazione dello spagnolo Laguna “Quando la terra rivela ciò che sei”, in cui la superficie del terreno si fa specchio per l’ombra-anima di un guerriero. L’argentino Porfiri illustra uomini e donne impegnati in riti e processioni, mentre il nostro Sanna propone acquerelli minimalisti popolati da cavalieri e colline antropomorfe.Altre illustrazioni, di contro, segnano l’eclissi totale dell’umano, ritraendo una natura lussureggiante quasi dimentica della nostra presenza, che fa sfondo ad un’arca di Noè zeppa di animali rassere-nati dall’arrivo di una candida colomba dopo il diluvio (nell’acrilico

di Dolores Avendaño), oppure denso simbolo ancestrale (nel lino dipinto dall’iraniano Roshanak Ahadi e nell’occhio del suo connazio-nale Fareshte Akbari).Gli animali sono incantevoli: il leone di Antonella Abbatiello ha negli occhi lo stupore della tigre di Henri Rousseau; l’“Eden” disegnato dal grande Luzzati ospita una varietà di esemplari variopinti e solidali, mentre la “Terra casa di tutti” del giapponese Takano raffigura giraf-fatigreconiglioleone e compagnia che fanno capolino da una comu-ne chioma d’albero color cobalto.

Due suggestivi trittici, differenti per impianto e stile, ma ugualmente efficaci, meritano particolare attenzione: la “Madre Terra” di Arianna Papini ritrae con potente linearità una nutrice che accudisce le spe-cie animali, fumando placidamente dalla sua bocca di vulcano, e ospita anche un uomo piccolo piccolo che, “contro corrente”, tenta di vivere della sua tecnica; Sandrine Lhomme annuncia (o confer-ma…) che “La terra si è ammalata” e, giocando di rosso, nero e gri-gio, la ritrae mentre tossisce furtivamente e sostiene, magnanima, la cosiddetta civiltà.Già, perché la Terra fa un mestiere splendido e gramo, palcosce-nico della vita, origine e fine della vita stessa, luogo del germo-gliare come del marcire. E noi, birichini per non dire ben di peggio, sentiamo solo a tratti il legame creaturale profondo che ci radica quaggiù, non tanto da garantire il rispetto e la cura che si devono ad un genitore acciaccato e generoso. Sensibilizzazione e sensibilità rinnovata sono dunque gli imperativi che s’impongono nel rapporto uomo-terra.Proprio nella prospettiva di una riflessione educativa a tutto campo, la scelta d’inserire la mostra in un programma di più ampio respi-ro, costruito da occasioni pedagogiche diversificate, risulta senz’al-tro vincente e convincente: così, la compagnia di teatro visivo T.P.O. di Prato ha presentato “Il giardino dipinto”, un giardino immaginario per sognatori di tutte le età, creato in collaborazione con il pittore curdo Rebwar Saeed, in cui due danzatrici invitavano il pubblico ad entrare in aree dedicate ad un colore (giallo, blu, verde e rosso) e ad un elemento diverso (rispettivamente, terra, acqua, foglie, amore); si sono inoltre susseguiti laboratori e letture animate (coinvolti an-che i piccoli ricoverati nel Centro di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Padova), per alimentare in tutti una nuova percezione dell’arte e della natura, coinvolgente, attiva e profondamente vitale. Come la terra. La nostra vecchia e cara Terra.

I colori del Sacro. Quinta Rassegna internazionale d’illustrazione «TERRA!».A cura di Andrea Nante e Massimo Maggio; promossa dal Messaggero di Sant’Antonio e dalla Diocesi di Padova.Padova, Museo Diocesano (Palazzo Vescovile, Piazza Duomo 12).Fino a domenica 11 aprile 2010.Orario: tutti i giorni escluso il lunedì, dalle 9 alle 18 (orario continuato).Informazioni e prenotazioni: tel. 049.652855 – 049.8761924.Catalogo Edizioni Messaggero Padova, Euro 25, pagg. 250.http://www.icoloridelsacro.org/[email protected] la chiusura a Padova la mostra potrà essere ospitata anche in altre sedi, sulla base di accordi tra la Diocesi di Padova e l’ente che ne farà richiesta; rif.: Segreteria del Museo Diocesano.

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piazza palazzo vecchio,1413100 Vercellitel.fax [email protected]

Criterio ed armonia, parole chiave per riempire superfici e pareti di casa donando a chi la vive benessere.

Uno spazio da abitare va interpretato attraverso l’eleborazione di un’idea, il progetto quindi nasce e si evolve al fine di soddisfare in

pieno chi lo deve utilizzare.

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el febbraio scorso è andato in scena alle Offi-cine CAOS di Torino Città Invisibili, spettaco-lo storico del Teatro Potlach di Fara Sabina, all’interno del programma della Libera Acca-demia d’Arte Dra(m)matica, per la stagione di eventi Arte Transitiva 2010 diretta da Stalker Teatro.

L’idea originaria delle Città nasce nel 1991, con l’in-tento di coinvolgere artisticamente in un progetto articolato e or-ganico le associazioni e le realtà musicali, teatrali e artistiche del territorio, per legare le performance e i singoli spettacoli ai luoghi di rappresentazione. Cortili, giardini, cantine, angoli nascosti del borgo antico di Fara Sabina diventano lo spazio scenico dello spettacolo multi-evento, in cui gli angoli e gli scorci più nascosti diventano sce-nografia. Ogni gruppo rappresenta un’idea, una visione, la propria

città interiore, invisibile ai più, che nell’insieme formano un arcipe-lago di isole viste dall’alto. Ogni racconto è una città nascosta che riemerge. Lo spettatore attraversando le varie città/finzione diventa archeologo della memoria e contribuisce a far riscoprire le mille sto-rie nascoste di cui siamo popolati. A Torino le città invisibili diventano un laboratorio in cui le esperienze individuali dei partecipanti convergono nella per-formance finale. L’esperienza personale è alla base del lavoro, i quadri che gli spet-tatori attraversano sono le città interiori di ogni attore, realizzati partendo dai propri vissuti. Lo spazio scenico delle Officine Caos è stato ridisegnato e utilizzato nella sua totalità, ricreando luoghi e ambienti imprevedibili, strutturati su vari piani e livelli: i magazzini, i corridoi, le sale prova, i camerini, i palchi, le scale, con l’intento di costruire un percorso in cui il pubblico può vedere il luogo del teatro

nella sua totalità, da più punti di vista.Ogni quadro è un mondo nascosto, interiore, dell’esperienza indivi-duale, che da invisibile diventa visibile grazie alla rappresentazione, resa allo spettatore-viandante attraverso allestimenti scenici diversi e unici, fatti di gesti che cercano di portare alla luce ogni singolo vis-suto. Quando raccontiamo noi stessi vogliamo far emergere la nostra città invisibile, una piccola biografia cosmogonica che ogni spettatore, con il suo passaggio, unisce alle città degli altri. L’azione, in ogni singolo quadro, vuol far rivivere la memoria dei luoghi. C’è un monologo in un giardino di foglie, in cui un’attrice interpreta una poesia d’amore verso l’invisibile di quel posto, oggi periferia urbana, ma fino a pochi decenni fa campagna sconfinata.In un altro quadro un attore sistema sul pavimento di una stanza al-cune scarpe, ricordando coloro a cui appartenevano, una rappresen-tazione rituale dei drammi umani di persone invisibili, ogni paio di

citta’inviSibili

n

TeATro

testo e foto:Davide Vergnano

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scarpe è un nome di qualcuno che è scomparso, una sorta di Spoon River, presenza-assenza che rappresenta l’invisibilità di tutte queste persone.In un’altra scena una ballerina italo-irlandese danza sulle scale di ac-cesso alla sala principale, tagliate in due da un telo bianco che scen-de per tutta la sua lunghezza legato ai corrimano. La scala tagliata a metà ricrea l’ambiente originario dell’attrice, una discesa innevata di una collina irlandese e simboleggia anche la separazione della sua identità.Tutte le situazioni sceniche nascono dal lavoro con i partecipan-ti, come sperimentazione e apprendimento, utilizzando le me-todologie del teatro di ricerca, in cui il training dell’attore, l’eserci-zio fisico per la conoscenza e il giusto utilizzo del corpo nello spazio scenico sono finalizzati al coinvolgimento dello spettatore, al di là di uno sterile protagonismo fine a se stesso, per rappresentare il reale e le sue contraddizioni. Come nelle Città invisibili di Calvino, in cui Marco Polo racconta a Ku-blai Khan le città che sono specchio della sua esperienza interiore ed il sovrano a un certo punto gli chiede perché non racconta di Vene-

zia, Marco Polo risponde che in ogni città c’è la sua città, ogni raccon-to/viaggio/spettacolo delle Città Invisibili è il riflesso dell’esperienza interiore originaria.

Il Teatro Potlach è attivo dai primi anni ’70 a Fara Sabina, un piccolo borgo, in provincia di Rieti. Fondato e diretto da Pino Di Buduo, la compagnia si occupa di teatro di ricerca, teatro ragazzi, formazione e organizzazione di eventi e fa parte del cosiddetto “Terzo Teatro”, nato negli anni Sessanta come alternativa al teatro tradizionale e al teatro della Neoavanguardia. Il riferimento principale è l’Odin Tea-tret di Eugenio Barba. In questa prospettiva il teatro deve assumere una profonda etica sociale e come scriveva Barba nel 1976: «Il Terzo Teatro vive ai margini, spesso fuori o alla periferia dei centri e delle capitali della cultura, un teatro di persone che si definiscono attori, registi, uomini di teatro, quasi sempre senza aver frequentato le scuole tradizionali di formazione o il tradizionale apprendistato teatrale, e che quindi non vengono neppure riconosciuti come pro-fessionisti. Ma non sono dilettanti. L’intero giorno è per loro marcato dall’esperienza teatrale, a volte attraverso ciò che chiamo il training,

o attraverso spettacoli che debbono lottare per trovare il loro pub-blico. Isole senza contatto l’una con l’altra, in tutta Europa, in Ameri-ca del Sud, in America del Nord, in Australia, in Giappone, di giovani che si riuniscono e formano dei gruppi teatrali che si ostinano a re-sistere. Diversi uomini, in diverse parti del mondo, sperimentano il teatro come un ponte - sempre minacciato - fra l’affermazione dei propri bisogni personali e l’esigenza di contagiare con essi la realtà che li circonda. Non si può sognare soltanto al futuro, attendendo un mutamento totale che sembra allontanarsi ad ogni passo che facciamo, e che intanto lascia tutti gli alibi, i compromessi, l’impo-tenza dell’attesa. Questo paradosso è il Terzo Teatro: immergersi, come gruppo, nel cerchio della finzione per trovare il coraggio di non fingere».

Libera Accademia d’Arte Dra(m)maticahttp://www.stalkerteatro.net/accademia09/accademia.pdf

Teatro Potlachhttp://www.teatropotlach.org/web/it/home/home.php

VIA FOA 61ORARI

LUNED ì : CH IUSOMARTED ì E VENERD ì : 10 .00 - 12 .00MERCOLED ì , G IOVED ì , SABATO E DOMEN ICA: 17 .00 - 19 .00

VIA FOA 61, 13100 VERCELLI

S p A z I OE S p O S I T I V O

Nella Nebbia 11

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l’uomo, l’artiSta, le oPere

ArTe

testo: elisabetta DellaValle

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“Piccolo di statura, rada barbetta al mento ed incolta capigliatura, aggressivo e scanzonato, subito si era accompagnato allo spavaldo

gruppo genovese degli avveniristi in aperta ribellione contro le vecchie mentalità”.

V. ROCCHIERO, G. Cominetti, in “Liguria”,novembre- dicembre 1958, n. 11-12, p. 14.

Uomo, l’Artista, le sue Opere. ‘Giuseppe Cominetti – Tra Divisionismo e Futurismo. Dipinti. Disegni e arredi’, inaugu-rata il 20 marzo al Museo Borgogna di Vercelli, è una mostra di rara preziosità ed eleganza, costruita sul desiderio del suo curatore, Mas-simo Melotti, di farci conoscere il lato uma-

no, reale, biografico, di un artista che, nonostante le radici piemontesi, nasce a Salasco, vicino a Vercelli, il 28 ottobre del 1882 (ovviamente scorpione), sarà conosciuto ed apprezzato soprattutto nel resto d’Italia e d’Europa per tutta la vita, fino alla prematura mor-te, nel 1930, a Roma. Occasione dell’evento, e del nostro incontro con lui ed i suoi lavori, la celebrazione dell’ingresso nelle collezioni permanenti del Museo di due tra le sue opere più imponenti ed illustri: grazie alla lungimi-rante generosità degli eredi dell’artista viene donata Le Forgeron ed I conquistatori del sole viene concessa con deposito a lungo ter-mine. Opere monumentali, da lasciar senza fiato, che da sole avreb-bero saputo reggere un intero evento ma che, in verità, da sole non avrebbero potuto descrivere con la dovuta precisione l’arco creativo di tutta una vita. Ecco nascere, grazie alla collaborazione tra Melotti, Cinzia Lacchia ed Alessia Schiavi, conservatrici del Borgogna, e sotto l’attenta supervisione del suo presidente, l’avv. Francesco Ferraris, un percorso espositivo di tipo cronologico, caratterizzato dai tre grandi ambiti storico-narrativi che hanno caratterizzato la vita e la creatività di Giuseppe Cominetti, artista operante tra il Divisionismo ed il Fu-turismo: gli anni parigini, la Grande Guerra, il Socialismo umanitario ed il tema del Lavoro. Una mostra da non perdere: gli affezionati del Borgogna, che ben ne conoscono le collezioni permanenti, possono concentrarsi sulla vita e le opere di Cominetti magari sfruttando l’orario eccezionale,

appositamente pensato, del venerdì sera con apertura serale fino alle 20.30 ed ingresso con visita guidata alle 19.00, i visitatori nuo-vi, invece, potranno cogliere l’occasione di una visita a Vercelli ed al Museo Borgogna

Dalla Vita l’Arte: leggiamo dalla biografia curata da Beatrice Zanelli, che rivela tra l’altro inedite notizie sia sulle famiglie d’origine sia pa-terna che materna, ma vi rimandiamo all’attenta lettura dello splen-dido volume, edito per i tipi di Allemandi, per gli ulteriori, dovuti, approfondimenti. Giuseppe Piero Luca Cominetti nasce a Salasco (Vercelli) il 28 otto-bre 1882 da Maria Giovanna Carignano e Antonio Pietro Cominetti, che rivestirà il ruolo di Segretario Comunale del paese sino al 1899. Tra il 1893 e il 1898 il giovane pittore frequenta, con il fratello Gian Maria, di due anni più giovane, il Ginnasio presso il Liceo Classico Massimo d’Azeglio di Torino e l’anno successivo risulta presente al Liceo Classico Lagrange di Vercelli, ma un sopraggiunto trasferimen-to della famiglia lo porta in Liguria dove, a Genova, inizia l’avventura

artistica che mai finirà: lui e l’amato fratello Gian Maria scrittore e drammaturgo, prendono uno studio in via Leonardo Montaldo e ne fanno un luogo di incontro di artisti e letterati. Giuseppe dipinge, e bene. Il suo stile è già al contempo evocatore di avanguardie, il tratto deciso, l’assenza di contorni marcati, ma drammaticamente antico, una certa attenzione alla luce, volutamente caravaggesca, le malinconie di certe cromaticità autunnali, tipiche del gusto primo Ottocento: così si racconta nell’Autoritratto del 1904, l’opera che ci accoglie ad inizio percorso. E’ ancora giovane, ha 22 anni, ma lo sguardo è come assente, per-so, guarda oltre chi lo guarda.

“La vita è un momento che va: fermarlo è l’impegno”.Dopo il debutto alla Promotrice genovese la sottoscrizione, nel 1905, dell’atto di costituzione del “Gruppo Artistico dei Nove”, l’Esposizio-ne Nazionale di Belle Arti a Milano nel 1906 cui fa seguito l’invito che cambia la vita: nel 1909 viene invitato al Salon d’Automne as-sieme ad altri artisti genovesi. Porta l’eccezionale I conquistatori del sole, che ottiene il dovuto successo per la sua carica di energia e di emozionante vitalità, e l’aria parigina lo convince a trasferirsi. Noi lo incontriamo qui, a Parigi, nel turbinio delle danze, dello sport, del teatro.

Vivere in amoreVivere in fuocoGuardare se stessi

Oro, rosso lacca, nero: queste le cromaticità intense, a metà strada tra il gusto orientale, evocati soprattutto il Giappone ma anche certa vecchia Russia degli Zar e l’estetica futurista, utilizzate negli arredi originali usati da Giuseppe Cominetti nel suo atelier parigino, ovvia-mente Montmartre, ovviamente inizio Novecento, che attirano l’at-tenzione del visitatore per l’inusuale forza evocativa, rara nel design odierno. Scolpiti a bassorilievo sui lati della piccola scrivania, oro su nero, questi tre ‘motti’ un po’ ardenti, indicativi dell’ambiente culturale del tempo, gaudente e bohèmienne ma già precursore, nelle sue esage-razioni e sfrenatezze, della tragedia della Guerra incipiente. Le opere

GiuSePPe cominetti

l’

Cavalieriall’assalto

I conquistatoridel sole

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Nella Nebbia 13

scelte ad ‘arredare’ la stanza dell’artista sono, quindi, lo specchio di un’epoca e delle sue contraddizioni. Così il cura-tore, Massimo Melotti: “Tango, dipinto nel 1914, è l’opera che maggiormente rappresenta questo momento. La fase di transizione, segnata da colori tenui e non sempre risolte combinazioni delle pennellate divise, viene completamen-te superata per lasciare posto ad una composizione dove i tratti e i colori esal-tano il momento del ballo, sottolinean-done le movenze”. Nello stesso spazio espositivo lo sguardo viene attirato da Lussuria, opera del 1910, talmente esplicativa della gestualità dell’artista, tutta una pennellata istintiva a seguire, a suscitare, le movenze dei corpi e dei luoghi, da esser diventata l’immagine ufficiale della mostra. Opera interes-sante ed ambigua al contempo, nella quale la ‘lussuria’ viene rappresentata, o evocata per contrasto, dall’appassio-nato nudo di giovane donna che porge in alto, in un gesto quasi di invocazione agli Dei, una povera, sparuta, ‘vittima sacrificale’: un indifeso cagnolino. Ma qui ritroviamo anche opere di tipo ludi-co, come L’orso e il trovatore (Il canta-storie, Il menestrello e l’orco), del 1916, forse chieste da un amico per arredare la stanza dei bambini, già fortemente evocative della sua grande passione per il teatro, passione che condivise per tutta la vita con l’amato fratello Gian Maria, (bellissimo il ritratto che ne ammiriamo in mostra, alle spalle dello scrittoio, di giovane ribelle, inquieto ed inquietante) lavorando alle scenografie ed ai costumi di molte sue opere e per tutta la vita, come per ‘La Corona Melagrante’. Nel 1914 una sua opera appare sul numero speciale dedicato alla danza contemporanea della rivista “Montjoie!” accanto ai disegni di Rodin, Léon Bakst, Henry Matisse, Dunoyer de Segonzac, Raoul Dufy, Rivéra e segna uno dei momenti più alti del suo percorso artistico. Nel medesimo anno inaugura una personale itinerante alla Galerie

d’Art Contemporaine, curata dal roman-ziere Horace van Offel, ma pochi mesi e la musica cambia. Per noi, pochi passi. Basta cambiare di stanza, superare un muro leggero, e la Grande Guerra ci investe con le sue cupe verità. Comi-netti è al fronte, si arruola volontario in cavalleria e viene inviato prima nella re-gione delle Argonne, e successivamen-te in Italia, sul fronte del Grappa, dove gli viene affidato ufficialmente il com-pito di disegnatore di guerra: dal ‘cor-pus’ dei disegni di guerra, carboncino su carta paglierina, arrivano a Vercelli queste opere intense, monocrome ma sussultanti anche nelle dimensioni più minime, immagini concrete della soffe-renza, della prigionia e della morte, mai così lontane dalle sferzate interventiste di certo Futurismo. Inutilmente, infatti, F. T. Marinetti crea per loro una lettura critica tutta filo-militarista quando, nel 1929, li espone Ridotto del Teatro Qui-rino a Roma. Nel dopoguerra collabora con Lamber-to Picasso della Compagnia dello Spet-tacolo d’Arte sino alla creazione, nel 1924 a Roma del “Gruppo della Chime-ra- manipolo d’azione d’arte”, che ha per

scopo l’ “esumare opere d’arte da darsi all’aperto per l’educazione estetica del Popolo Italiano”. Quindi partecipa, nel 1925, al Festival di Teatro dell’Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali di Parigi con la creazione delle scene e dei costumi per la pantomima scritta dal fratello, Tour de cartes. Negli anni a seguire apre numero-se esposizioni in Italia e all’estero, continuando l’assiduo mestiere di scenografo per spettacoli d’arte di Lamberto Picasso, Uberto Palma-rini, Nino Berrini, Emma Gramatica, e per il teatro delle marionette Podrecca. Sempre a Roma l’artista muore a soli 47 anni, dopo aver patito una paralisi parziale per incidente stradale, il 21 aprile 1930. E, per ritornare alla mostra, se i disegni di guerra, tutti allestiti su di un’unica parete, algidamente bianca, ci fanno conoscere un Comi-

netti intimo ed esistenziale, i tre grandi capolavori che dialogano con loro ai tre lati della stessa stanza ci lasciano senza fiato. Tanto è il colore, tanta la possenza, tanta l’energia che sanno trasmettere Al centro, fiammante nei suoi toni del gialloaranciorosso, l’enorme I conquistatore del sole, disarmante nella dinamica dei tre corpi ma-schili (o forse solo uno fotografato nelle tre movenze principali), che si muovono a vangare la terra, ai lati i due titani, le spalle al mondo, il torso contorto nello sforzo del lavoro, de Le Forgeron ed il suo alter ego, già parte della collezione permanente del Museo, L’électricitè: sono loro, nuove divinità dell’Olimpo dei lavoratori del Socialismo umanitario, a concludere un percorso espositivo curato, misurato ed attento, creato per avvicinarci a Giuseppe Cominetti uomo, artista, alle sue opere.

Una mostra da non perdere: gli affezionati del Borgogna, che ben ne conoscono le collezioni permanenti, possono concentrarsi sulla vita e le opere di Cominetti magari sfruttando l’orario eccezionale, appositamente pensato, del venerdì sera, con apertura serale fino alle 20.30 ed ingresso con visita guidata alle 19.00; i visitatori nuovi, invece, potranno cogliere questa specifica occasione per una visita ‘completa’ del Museo Borgogna e per ammirare peculiarità e bellez-ze delle sue opere d’arte.

Giuseppe Cominetti tra Divisionismo e Futurismo. Dipinti, disegni e arredia cura di Massimo MelottiOrari:La mostra, in programma dal 20 marzo al 30 maggio 2010, osser-verà orari di apertura speciali:da martedì a giovedì dalle 15,00 alle 17,30(al mattino aperto su prenotazione per scuole e gruppi)venerdì dalle 15,00 alle 20,30sabato e domenica dalle 10,00 alle 12,30 e dalle 14,00 alle 18,00 lunedì chiusoCosti:Intero: 8,00 €Ridotto gruppi (minimo 20 persone), universitari (senza coupon), ultra 70enni e convenzionati: 6,00 €Ridotto bambini, insegnanti e studenti (fino a 18 anni): 3,00 €Abbonamento Musei: accesso libero con tessera valida

Lussuria

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la triloGia della

finanzieraliberamente iSPirata a

“la triloGia deGli antenati”

di italo calvino

“Il passato non ritorna” ovvero “La finanziera (ormai) inesistente” Il consunto e morbido parquet scricchiola acuto sotto i piedi e la stanza d’ingresso di questa mode-sta e seria trattoria, oggi solo un ricordo, è buia e malinconica come da copione. La sala da pranzo accoglie, materna e pulita, dal camino, ampie fiamme abbaglianti. Linde le tovaglie di Fiandra, tintinnanti i bicchieri dalle forme sinuose, solide e lucenti le posate ad-dormentate.Candidi i piatti, d’un bianco accogliente che attende ed avvalora le cromatiche vivacità dei cibi, i rossi dei sughi, i verdi dei bagnetti, le maestose sinuosità dei formaggi. Impossibile immaginare la cucina piemontese adagiata sulle moderne ceramiche ora di moda, magari rosso lacca o nero tristezza.Il cielo inclemente, neve a bassa quota, il giorno festivo ed il tempo da perdere ci portano fin qui, nel cuore della Bassa, a ricercare, con la pancia e con gli occhi, uno dei piatti di più sublime inventiva della cucina piemontese, che annega i suoi natali nella Torino dell’Ottocento, forse prima.Nella locanda dei ricordi, la mai dimenticata Rosa Bianca di Livorno Ferraris, la prepara con arte istintiva lo zio Italo, il “barba” ex partigiano, uomo di forti passioni e gran cuore, cuoco per vocazione e maestria, invadendo ogni tanto, con l’aiuto di Bruno, il nipote divenuto chef in Liguria, la cucina di Pippo e di Rosa, i veri padroni di casa. La sua finanziera, come le migliori, si annuncia da sola, riempiendo la sala del suo profumo unico, quasi pesante ed inconfondibile. Perché l’ecceziona-lità della finanziera sta, soprattutto, nella varietà dei suoi ingredienti di base, oggi sempre più difficili da trovare e da cucinare di un tempo, ed in quella miscellanea di gusti e profumi che nasce dagli acco-stamenti quasi arditi tra l’acido ed il dolce. Una ricetta difficile da calibrare, tanto difficile da inventare quanto da immaginare. Una ricetta per teste “fini”, che in piemontese sta un po’ per intelligenti, un po’ per acuti, un po’ per attenti: sia quelle che la preparano, sia quelle che la gustano.Rognoni, cervella, creste e bargigli di gallo, fegatini di pollo, animelle e filone di vitello, rossi d’uovo sodati si lasciano allegramente rosolare dal burro, annegati nel marsala e nell’aceto, in compagnia di cetrioli, porcini sott’olio e piselli: che venga adagiata, o meno, sui vol au vent e passata al forno o, semplicemente, servita nel piatto e degustata con calma, la finanziera diventa un’esperienza totale dei nostri sensi ed olfatto, vista, gusto, si ritrovano appagati e soddisfatti al contempo. Il vino rosso corposo è il suo giusto compagno, meglio se d’annata, pregiato ed abbondante.Ricetta tipica del suo genere, nata da un’idea di cucina, e di società, che non ama gli sprechi e che, come altre ricette della tradizione più antica, gioca con gioia anche in cucina, azzardando accosta-menti di gusti e colori all’apparenza inconsueti. Oggi, in un tempo di semicotti subitopronti, ci par strano dedicare tempo e fatica alla ricerca di tanti ingredienti ed alla loro giusta calibratura, quindi non ci pensiamo nemmeno come piatto di casa, ma ogni qualvolta mi capita di ritrovarla nei menù delle cucine del Piemonte non me la faccio scappare: accade allora di vivere, grazie ad un semplice piatto, un momento davvero speciale.

Di quelli che, a distanza di anni, non si dimenticano.

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cucina

testo: elisabetta Dellavalle

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Nella Nebbia 15

“Due storie in una” ovvero “La finanziera dimezzata”

La storia, le storie.

Mai buttar via nulla: massima genericamente valida, ma soprattutto in cucina, nella cucina “popola-

re”, dove si trasforma nelle migliori prelibatezze. Vale per agnolotti e polpette, vale per sformati e terri-

ne, vale persino per l’aceto, mistura favolosa di vini rossi abbandonati e lasciati a macerare abbracciati

alla “madre”, vale oltremodo per la finanziera, piatto della più antica tradizione piemontese che

affonda le sue radici, molto antiche e molto incerte, nell’abilità di utilizzo di tutte le parti degli animali

da cucina. Le piccole parti di galli e di polli, di manzi e vitelli si trasformano, aiutati dall’acidulo del

marsala e dalla morbidezza del burro, in una specie di sogno culinario. Un piatto unico, che annega la

sua storia nella tradizione culinaria piemontese.

Piatto popolare, ma come molti altri amato dai reali di Casa Savoia e da loro reso famoso in tutta

Europa, come per altri manicaretti. Si dice, infatti, che numerosi esponenti della famiglia Savoia, come

il Duca Carlo Emanuele I, fossero curiosi di conoscere le abitudini alimentari dei torinesi e nel tempo

acconsentirono all’inserimento nei menù di corte di ricette tipiche piemontesi, a scapito di quelle sa-

voiarde. Ovviamente non va dimenticato che i cuochi dei Savoia erano generalmente di origine pove-

ra e che proprio questo favorì una fusione tra la cucina del popolo e quella aristocratica. A partire dal

Settecento la cucina piemontese si fa importante se, come cita Silvano Serventi nell’invito alla lettura

de “Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi” (Torino 1766), “ai tempi di Augusto i cuochi pregiati

erano siciliani, questi chimici domestici sì pregiati debbono essere franzesi o almeno piemontesi”. Ne

è testimonianza viva uno dei templi del buon mangiare sabaudo, il Ristorante Del Cambio di Torino

che, inaugurato come caffè proprio nel 1757, accoglie da più di due secoli i propri ospiti con la stes-

sa eleganza e raffinatezza, miste a creatività e professionalità. Tra i cavalli di battaglia, proprio la finan-

ziera, il piatto preferito da Cavour che se lo gustava comodamente seduto nelle salette dagli stucchi

e dagli specchi dorati prima delle sedute in Parlamento, a Palazzo Carignano, lì di fronte. Lo amava

talmente tanto che in alcuni locali della Langa viene ancora chiamata “finanziera alla Cavour”, rifinita a

fine cottura con aggiunta di Barbaresco o di Barolo. Nella cucina francese dell’800 la finanziera è utiliz-

zata come contorno o guarnizione, mentre nel Piemonte dell’800 è un piatto diffuso, raffinato, inserito

nei pranzi eleganti e di grandi occasioni, come le nozze, le celebrazioni ufficiali e i pranzi di gala.

Quale, quindi, l’origine del suo nome, finanziera? Almeno due le possibilità, dicevamo all’inizio.

Uno. Probabilmente deve il suo nome alla tradizione che narra di un tributo che i contadini pagavano

di nascosto, sugli animali venduti e macellati, ai finanzieri di guardia alle porte di Torino ed ai quali

venivano versati i dazi doganali.

Si legge anche di un’altra possibile origine di questa ricetta, pare infatti che fosse molto gradita ai fun-

zionari dello stato sabaudo, che ricevevano dai contadini animali appena macellati in regalo.

Due. Un’altra ipotesi fa risalire il nome ai funzionari d’alto rango dello stato sabaudo che vestivano, per

l’appunto, la finanziera, una lunga giacca di panno nero, a doppio petto, e che gradivano molto questa

piatto: le loro mogli lo preparavano con le parti del pollo che avevano ricevuto in dono dalle famiglie

contadine della campagna, che si volevano così ingraziare i loro potenti mariti.

Due storie ma, in fondo, una storia sola: i poveri donano ai ricchi, per “ingraziarseli”, persino le

parti più umili, le interiora, degli animali che chiedono di poter macellare.

Ancora senza veri diritti, perché ancora sudditi e non cittadini, oltre a pagare il dazio in denaro, si tro-

vano spesso a scaldar le membra dei loro superiori con manicaretti che l’Europa ci invidia.

“Una ricetta che sa d’avventura” ovvero“La finanziera rampante”

“ Di cosa stavamo parlando? Della finanziera. Un piatto (o una salsa) di grande fantasia. Basta elencarne gli ingredienti…si, la cucina è proprio il luogo degli accoppiamenti più imprevedibili”

Aldo Buzzi – L’Uovo alla Kok- 478 Piccola Biblioteca Adelphi- pg.71-72

Ingredienti principali ( per 6 persone):

100 gr per specie di rognoni, bargigli e creste di gallo,

100 gr di fegatini di pollo,

150 gr per specie di fesa, filoni e animelle di vitello,

100 gr di filetto di manzo,

100 gr di burro,

100 gr di funghi porcini sottaceto,

un cucchiaio di aceto,

mezzo bicchiere di marsala secco,

un bicchiere di Barbaresco o Barolo se si vuol la versione “alla Cavour”

una punta di zucchero,

qualche pisello e cetriolo,

farina per impanatura q.b.

sale e pepe q.b.

Preparazione: in una casseruola di acqua salata disporre i rognoni, i bar-gigli, le creste di pollo e le animelle di vitello: mettete sul fuoco e fate bollire per un quarto d’ora.

Scolate le frattaglie, spellatele, sciacquatele e rimettete le creste e i bar-gigli in acqua salata per qualche ora. Poi tagliate a fettine la fesa, il filetto e le animelle; tagliate a pezzi regolari i filoni ed infarinate tutti gli ingre-dienti. In una casseruola fate sciogliere il burro, rosolate la fesa e il filetto, unite le creste e i bargigli e da ultimo i filoni, i fegatini e le animelle.

Fate rosolare per qualche minuto, quindi bagnate con aceto ed aggiun-gete i piselli, i funghi e i cetrioli.

Salare e diminuire il fuoco mescolando ogni tanto. A metà cottura ba-gnare con il marsala, eventualmente, filo a filo, con il vino rosso, ed unire una puntina di zucchero. Servire caldo, magari sui vol au vent.

2 3

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PSychoutParty

16fesTA!

testo: mauro Brusa

Chiunque a Torino segua, ami e sudi il rock’n’roll è difficile che non si sia imbattuto almeno una volta in Giam-po Coppa, per berci una birra, parla-re di film e motociclette o anche solo riconoscerne l’importante e colorata figura quando questa si aggira sorri-dente proprio in quel locale dove ti trovi per ballare, bere, rimediare una ragazza o qualunque cosa abbia a che fare con i consigli del rock’n’roll, perchè è di rock’n’roll che è intrisa la storia che vi vado a raccontare.Descrivere la persona di Giampo in poche parole è veramente impresa assai ardua, perchè il nostro non sta praticamente fermo da metà degli anni 80, quando, dopo qualche anno passato a friggersi il cervello con i di-schi del fratello, ha deciso di farsi co-noscere in giro e per farlo ha scelto la strada più lunga ed in salita, cioè quella del rock’n’roll e di tutte le va-rianti che questo immaginario com-porta. Giampo unisce quindi la sua passione per il disegno con lo sfogo

della musica e si reinventa da subito artista, disegnatore di fumetti, crea-tore di oggettistica e vestiti vintage, ideatore di locandine per concerti ed eventi e soprattutto dj, che non sia mai che sia permesso far rimanere ferme le chiappe della gente al saba-to sera. I due riferimenti principali del nostro sono tutto l’ideario che si av-viluppa intorno al mondo dei motori e poi i 60’s e nei suoi lavori si vede, perchè sono sempre pervasi da colo-ri e motivi di forte impronta psicheli-ca e sognatrice, da scritte a caratteri curvati cento volte che trovano il loro posto tra le cosce di una bella ragaz-za o irrompono fuori da scintillanti tubi di scappamento di improbabili dragster customizzati fino allo stre-mo. Se volete un saggio del Giampo disegnatore e vi piacciono magari anche le motociclette, provate a comprare una volta Freeway Maga-zine e a leggervi le storie dei Moto-freakers e comincerete sicuramente ad entrare nella mentalità del perso-naggio, sempre pronta allo sberleffo gentile e alla visione della vita sotto una prospettiva più acida e colorata della nostra.Ebbene, con l’inizio degli anni 90 il nostro decide di raccogliere tutte le sue diavolerie poliedriche in un gros-so calderone e studia l’embrione di quello che diventerà con gli anni un appuntamento fisso delle notti tori-nesi, ovvero lo Psych-Out Party. Allo-ra si chiamava ancora Liquid Party e la location era quella dell’El Paso, ma già presentava i caratteri distintivi di ciò che sarebbe diventato col tempo, ovvero un tuffo nella swingin’ Lon-don o nella San Francisco dei 60’s, con tutti gli annessi e connessi, uno spazio virtuale ritagliato da quello che doveva essere vivere in locali come lo Speakeasy, una folle retro-

marcia con gli occhi bendati in un tempo in cui era lecito che i ragazzi indossassero striminzite giacche bianche con cravatte a pois e le ra-gazze invece gonne pelose e vestiti con grossi cerchi giallo limone.Oggi lo Psych-Out Party si svolge un sabato sera al mese nella cornice del Cafè Liber di Corso Vercelli e Giampo negli anni è stato bravo a circondar-si di grandi personaggi eclettici che con il loro lavoro arricchiscono ulte-

riormente una base già di per sè ca-leidoscopica nella sua realizzazione. Infatti, se la musica la fa comunque da padrone indiscusso, spaziando dal rock’n’roll al surf, passando per il garage, il pop ed il rhythm and blues, lo Psych-Out è anche moda e oggesttistica, dove potrete trovare creazioni assolutamente artigianali ed uniche, sia in campo vestiario che di arredamento, il tutto circondato da proiezioni di luci colorate, video dell’epoca, Beat Girls in costume che, nel caso non l’aveste capito bene, in-vogliano ulteriormente a ballare fino a perdere i sensi. Non sarà quindi un caso che comincerete a scordarvi di tutto, a tralasciare oltre i fuligginosi pensieri di un’esistenza moderna per ripercorrere invece, sulle note det-tate dai colori, il dolce stordimento di un periodo in cui le uniche colpe erano quelle di non avere una ragaz-za da far ballare e di non uscire tutte le sere.

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barbara rubin

esordio discografico, Under The Ice, per questa giovane cantante di Frascarolo, in Lomellina, si presenta assai bene, fin da subito, a cominciare dal cognome, che non è inventato e nemmeno anglo-americano,

ma si pronuncia addirittura alla veneta, Rubìn, con l’accento sulla ‘i.’ E, poi, prima ancora di sentire l’album, il primo appunto so-listico, spicca la cura del packaging e della copertina: è un CD tutto bianco, dallo sfondo alle vesti della ragazza dalla riccia chioma ca-stana. Anche all’interno del booklet c’è molta eleganza: ancora foto di lei in chiave romantica, accanto ai dati essenziali ed alle piccole immagini in bianco e nero, catturate negli studi di registrazione, dei tanti musicisti che vi hanno suonato.Ed elegante è forse l’aggettivo che meglio qualifica un lavoro di qualità, che, musicalmente, fonde generi diversi per arrivare ad un pop-rock femminile dagli echi lontani, quando Barbara Rubin non era ancora nata. È il passato prossimo del prog rock, condito anche di soul e psichedelia, gra-zie ad una voce potente, grintosa, che diventa l’esternazione delle doti interpretative filtrate al vaglio della scrittura di tutte le undici can-zoni: Under the ice, The land, Angel heartbeat, A place that nobody knows, Stupid day, Liar, Befo-re the light, Ero e sono, Music and love, No more tears, Orange roses.In effetti il lato progressive degli anni Settanta serpeggia in molti di questi titoli, facendo sim-bolicamente rivivere una stagione fertilissima per i sound italiano, quando imperversavano gruppi come PFM, Banco, Orme, Area, Perigeo, Osanna, Jumbo, RRR, Circus 2000 e a Vercelli il Castello di Atlante, quarant’anni dopo ancora sulla breccia. Barbara Rubin ha saputo assi-milare benissimo quelle sorti ‘progressiste’ che a loro volta trattavano il rock quasi come musica classica, accogliendo influen-ze di ogni tipo, dall’Oriente al Barocco.Vocalist, cantautrice e multi strumentista, Barbara Rubin si forma musicalmente ai Conservatori Vivaldi (Alessandria) e Nicolini (Pia-cenza), dove si diploma in violino con il M° Fabio Biondi (Europa Galante). In parallelo agli studi classici comincia a coltivare la pas-sione per il rock’n’roll, iniziando ben presto a scrivere musica in cui mescola le sonorità tradizionali a quelle più moderne. Under The Ice è dunque il frutto da solista che attinge all’esperienza della lunga attività live di cantante e violinista, con diverse collaborazioni disco-grafiche tra le quali vanno almeno segnalate Swimmer in the Sand (Musea records) con il gruppo Arcansiel, Low Fare Flight To The Earth di Paolo Baltaro (Musea records) e Do Not Disturb della Mhmm Blues Band (Banksville).

Chiediamo subito a Barbara da cosa nasce questo Under the ice.Da molte e diverse esperienze musicali, a partire dalla formazione

in Conservatorio per arrivare al metal-progressive: una mescolanza di pensieri musicali che dà origine a un progetto tutto mio, da solista, realizzato però con la collaborazione di amici-musicisti di raro valore, a cominciare dal gruppo base con Andrea Giolo, Andrea Garavelli, Claudia Ravetto, Simone Morandotti, ma senza nulla togliere ai molti ospiti intervenuti: Marianna Caltavuturo, Alberto Ronda-no, Paolo Baltaro, Antonella Morrone, Sara Moran-dotti. Il Cd, poi, è prodotto da me e Simone Morandotti e distribuito da BTF di Milano.

Barbara, qualche notizia su di lei?Anche se non sono molto brava a raccontarmi, se non con la musica, ci provo. Una signora di un’emittente americana, in uno dei primi contatti con le radio, mi disse: “Mi mandi un disco con una breve

biografia, nient’altro, la musica... parlerà da sé”; mi fece sorridere questa cosa, e mi diede co-raggio.

Coraggio e preparazione artistico-musica-le…Nonostante l’amore per il rock risalga alla mia infanzia, la mia formazione classica è stata fon-damentale, sia per quanto riguarda il punto di vista umano, che musicale e compositivo... Oltre tecnica e teoria, ho imparato il rispetto e la tolleranza per tutta la musica, i musicisti e gli ascoltatori. E questo l’ho appreso soprattut-to dai miei insegnanti, ai quali, non a caso, ho dedicato il disco: Fabio Biondi, Felice Garavelli, Valentino Metti e Claudia Ravetto; quest’ultima ha persino eseguito le tracce di violoncello sul disco... Claudia Ravetto del resto è insegnante di quartetto d’archi al Conservatorio di Torino, pedagoga fondamentale e grande amica.

Ma, per lei, cosa rende speciale questo lavoro?Direi la presenza di uno staff di musicisti eccellenti, ma che sono allo stesso tempo i miei più cari amici. Sono reduce da esperienze mu-sicali di vario genere ed alcuni tentativi di realizzare altri progetti come questo, ma quello che mancava era l’équipe. Se non si riesce a creare un ambiente coeso le capacità di ognuno vengono dimezza-te. Lavorando a questo disco, noi abbiamo beneficiato di una siner-gia fatta di musicalità e affetto che ha fatto sì che tutti i musicisti, a loro volta, prendessero a cuore la mia musica come fosse la loro.

Chi ha scritto le canzoni?Le musiche e le parole sono entrambe di mia composizione. La pro-duzione e gli arrangiamenti sono divisi tra me e Simone Morandotti, giovane tastierista virtuoso, un polistrumentista vercellese, che ha seguito ogni passaggio dell’album, ha curato la registrazione nel suo

studio, ha suonato e curato l’art work.

Ma il bello comincia una volta finito l’album, giusto?Da quando la parte audio del disco è terminata, cioè dal novembre scorso, ho iniziato una as-sidua ricerca su Internet che mi ha portata ad avere contatti con diverse stazioni radio; di con-seguenza sono arrivati i passaggi radiofonici, al-

cune recensioni e moltissime amicizie sparse qua e là per il Pianeta.

E da è partita per questo viaggio via etere?Dagli Stati Uniti, forse perché, prendendola da lontano, quest’avven-tura promozionale mi spaventava di meno e perché in fondo le cose laggiù sembrano sempre più possibili. E ho trovato tante persone veramente amichevoli, curiose, che considerano ancora l’arte una cosa seria e, con stupore… insomma un entusiasmo e un’apertura incredibile per tutto quello che viene dall’Italia... ma basta parlare degli USA, in fondo io non ci sono stata, c’è stata la mia musica, me-glio così… un compact disc può volare tranquillamente senza bi-glietto da un capo all’altro dell’Atlantico! E dopo gli Stati Uniti?C’è stato il Canada, ma poi ho cominciato restringere il cerchio, ar-rivando più vicino. Insomma, dopo il primo contatto, un certo nu-mero di radio tra USA e Canada, ma anche tra America Latina, Gran Bretagna e Olanda, hanno passato una o più canzoni tratte dal mio album e alcune di queste emittenti mi hanno inserito nella loro pro-grammazione... Ovviamente non sono radio commerciali…

Il disco, tra l’altro, sta già ottenendo riconoscimenti prestigio-si…Sì, oltre a questo discorso sulle radio estere Under The Ice è stato fi-nalista ai Prog Awards nella categoria Progattitudes, cioè gli album di difficile catalogazione in un genere preciso: si tratta di un premio istituito da un webzine per nominare i migliori progetti musicali in ambito progressive del 2009, con una giuria di esperti composta da altre riviste web dislocate in diversi paesi del mondo.

l’under the ice

17musica

testo: Guido andrea

Page 18: Nella Nebbia #23

Scrittori Nella Nebbia a cura di Gianluca Mercadante

Impossibile compiere vent’anni senza avere vi-sto Parigi. Questa frase di suo padre ripetuta per mesi, accompagnata dai ricordi di un analogo viag-gio nei primi anni Ottanta, ha convinto Fabio a par-tire per la capitale francese, zaino in spalla. L’Euroci-ty lo scarica alla Gare de Lyon in pieno autunno, con tutti gli alberi dei parchi e dei boulevards incoronati di ocra e carminio. Tigli, aceri, querce. Dopo quattro giorni di vacanza si ritrova sotto i frassini del Lun-gosenna, dall’altra parte rispetto ai giardini delle Tuileries, dove l’ombra del Museo d’Orsay coltiva il muschio nelle fenditure del marciapiede: una visita al tempio degli Impressionisti è d’obbligo, secondo papà.

Ma all’ingresso l’attenzione di Fabio è dirottata verso il manifesto di una mostra temporanea dal titolo accattivante: L’Orient n’est pas rouge. L’Union Soviétique en noir-et-blanc. Sotto, una foto d’epo-ca che gli ha sempre provocato forti emozioni: il bianco e nero di una ragazza con un tailleur chiaro seduta forse nella sala d’aspetto di una stazione, illuminata dalla scarsa luce attraverso una grata di ferro che disegna una filigrana di mi-nuscoli quadrati. Da bambino, Fabio ha scoperto questa immagine in uno dei libri di papà, una rac-colta dei grandi fotografi degli anni Trenta; non si è mai stancato di osservarla con il passare del tempo, è quasi il suo segreto: quando ha voglia di fantasti-care si chiude nella biblioteca di casa e apre il volu-me. La ragazza della foto guarda verso destra, fuori campo, e porta a tracolla un oggetto che si capisce solo dalla didascalia: Aleksandr Rodčenko, Ragazza con una Leica.

Fabio acquista il biglietto per la mostra fotogra-fica, entra di slancio e rimane congelato. Il cuore comincia a battergli forte. Davanti a lui è seduta la ragazza con la Leica in carne e ossa, la luce neb-

biosa del quai all’esterno è filtrata attraverso un’alta griglia nella sala d’aspetto della ferrovia. Prima di diventare museo, l’Orsay era una stazione, quindi perché non dovrebbe esserci una sala passeggeri? La ragazza ricambia il suo sguardo, come meravi-gliata di vederlo in piedi davanti a sé; solleva la Lei-ca, punta l’obiettivo su Fabio e scatta. Subito dopo entra un altro spettatore, solleva una camera digi-tale e riprende la scena. In un attimo l’incantesimo si dissolve: Fabio nota che il tailleur è leggermente diverso da quello della foto, il colletto è abbotto-nato fino alla gola e le maniche ai polsi, ma l’orlo della gonna è più corto. La ragazza non è un’alluci-nazione, ma una fotomodella in un’installazione dal vivo della Leica, sponsor della mostra. Fabio transita davanti alla ragazza, che gli sorride; potrebbe avere la sua stessa età; ha occhi chiari e capelli neri con riflessi quasi metallici.

Fabio rimane sotto l’incantesimo della foto materializzata per qualche minuto, poi si lascia catturare dalle stampe esposte. Ha già avuto modo di notare che il bianco e nero ha su di lui una sugge-stione più forte del colore: gli permette di concen-trarsi sulla composizione anziché sul soggetto, sulla forma invece che sul significato. C’è molto Rodčenko: piramidi di atleti sulla Piazza Rossa, giovani pionieri con il fazzoletto del Komsomol, una suggestiva In-tervallo al circo; poi le istantanee poco contrastate di Arkadij Šaikhet, il suo stupefacente Giovane al lavoro in fabbrica, macro di ingranaggi meccanici di Boris Ignatovič, i soggetti etnici di Max Alpert e di Georgij Zelma. E ancora, Anatolij Skurikhin, Arka-dij Šiškin, Georgÿ Petrusov, Semion Fridland, Iakov Khalip, Ivan Šagin. Dieci anni nella vita del paese più grande del mondo: i grandi magazzini Gum, forma-zioni di trattori sulle terre collettivizzate, stakhano-visti con l’entusiasmo nelle braccia, l’elettricità che

arriva nei kolchoz, la posa di traversine ferroviarie, manifestazioni di donne musulmane per l’8 marzo, marinai di guardia su navi da guerra, scuole di villag-gio, matrimoni all’anagra-fe, Šostakhovič che dirige un’orchestra. L’intera epo-pea del Socialismo in un solo Paese, tutto tranne ciò che davvero permet-terebbe di comprendere: nessuna traccia di code fuori dai negozi, gulag, o carceri dove per anni si continuò a fucilare senza sosta. In primavera Fabio ha sostenuto un esame sull’Unione Sovietica de-gli anni Trenta, persuaso da suo padre che insegna Storia contemporanea alla facoltà di Lettere mo-derne.

Quando arriva al ter-mine della mostra foto-grafica è pomeriggio inol-trato, non c’è più tempo di vedere l’intero Museo d’Orsay. Piuttosto, all’ulti-mo livello dell’edificio c’è un caffè ristorante, ha vo-glia di una crème brulée. Fabio passa tra i tavoli per

curiosare nei piatti, e quando alza gli occhi si ritro-va sotto un monumentale orologio a parete visto al contrario, come in uno specchio: era quello del-la vecchia stazione ferroviaria, costruito per essere guardato dall’esterno. Le sfere dei minuti primi e dei secondi sono alte diversi metri, silhouettes nere contro un telaio di ferro e vetro; tutta la luce natura-le nella sala ristorante passa attraverso lo strumento di vetro smerigliato, che la polarizza in una radiazio-ne bianca e grigia come nelle foto di Šaikhet.

Trattiene il fiato, la ragazza di Rodčenko è seduta sotto l’orologio, davanti a una porzione di tarte tatin e una tazza di caffè. È voltata dall’altra parte, verso le immense lancette che segnano le 16:40; Fabio si avvicina come ipnotizzato dalla scena irreale, lei solleva la Leica che ancora porta al collo e inqua-dra un cameriere che si muove veloce tra i tavo-li. Nella foto risulterà una silhouette appena mossa davanti all’enorme quadrante dell’orologio.

— Davvero c’è una pellicola dentro quella Leica? — domanda Fabio in piedi di fronte al suo tavolo, in un inglese approssimativo. Non ha studiato france-se perché secondo papà è una lingua secondaria.

La ragazza risponde in un italiano perfetto: — Non è una vera Leica, è una copia russa a telemetro degli anni Trenta. — E gli mostra la fotocamera, dal-l’aspetto molto vissuto: metallo dorato al posto del-le cromature, una stella rossa sul tappo dell’obietti-vo. In effetti non c’è il marchio Leica, bensì una scrit-ta che Fabio riesce a decifrare solo perché al liceo ha studiato l’alfabeto greco: Сталиней, Stalineij.

— La maggior parte delle foto che hai visto nella mostra sono opera di una Fed come questa,— spie-ga la ragazza. La chiamavano “la Fed di Stalin”. —

— Ma per caso tu sei stalinista? — domanda d’impulso Fabio, e si rende conto che è la cosa più stupida che poteva dire.

— Mi risulta che neppure i nipoti di Stalin siano più stalinisti!— risponde lei infastidita.

La crème brulée è terminata, anche lui ordina una tarte tatin. Nei minuti successivi viene a sapere che la ragazza è italiana come lui, a Parigi da qual-che settimana presso la sorella che studia alla Sor-bona con il programma Erasmus. Si chiama Nada e ha accettato questo lavoro di fotomodella perché un professore universitario sostiene che è identica alla ragazza di Rodčenko — Solo più magra, — ci tiene a precisare.

Le lancette segnano già le 17:30 quando Nada lo interrompe: — Ma ti rendi conto che parli più di tuo padre che di te stesso?

Lui si sente punto sul vivo, è contento che la luce sia così scarsa perché non lo vedrà arrossire. Il caffè chiude, il museo pure; Fabio trascrive sulla rubrica del cellulare il numero di Nada, e qualche ora più tardi, sdraiato sul letto dell’ostello, osserva il soffitto pensando a lei. Chiamare o no? Magari un semplice sms, meno impegnativo? Gli brucia quel-l’osservazione su suo padre.

Rimane sveglio tutta notte, ma non chiama, e neppure il giorno successivo. Non telefona nep-pure ai genitori fino al ritorno a casa, quattro giorni dopo. Papà è infuriato, Fabio osserva sempre in si-lenzio il soffitto, dove proietta mentalmente le im-magini del suo viaggio a Parigi. Si mette in contatto con Nada, è ancora in Francia, ma gli spedisce via e-mail la foto che gli ha scattato all’ingresso della mo-stra, quando era vestita da modella di Rodčenko.

Il giorno successivo Fabio presenta domanda per cambiare facoltà. Adesso studia Scienze fisiche e naturali, come aveva sempre desiderato.

Ritratto di ragazza con Leica di Franco Ricciardiello

Note biografiche:

Franco Ricciardiello è nato a Vercelli nel 1961. Ha cominciato a pubblicare fan-tascienza a vent’anni. Nel 1998 ha vinto il Premio Urania per il miglior romanzo di fantascienza con “Ai margini del caos” (Mondadori), che è anche stato tradot-to in Francia. Ha pubblicato quattro ro-manzi e 50 racconti in Italia, Francia e Grecia. Negli ultimi tempi si è dato alla narrativa poliziesca. Attualmente colla-bora con Carmillaonline.

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Page 19: Nella Nebbia #23

Sapete quali sono i due principali ar-gomenti per cui si scrive ad un giorna-le? Il primo è l’amore, ovvio: “amo il mio migliore amico”, “tradisco mia moglie col lattaio”, “non faccio sesso di martedì, è grave?”, eccetera eccetera.Il secondo è: “Come mi vesto al matri-monio della mia migliore amica?”Se permettete mi occupo del secondo, il danno peggiore che posso fare è farvi venir male in qualche foto di gruppo, non ritrovarvi desolate e sole davanti ad uno spriz! Ed a proposito di brutte foto, vi farò partecipi delle mie scelte peggiori così da non farvi ripetere i miei errori.Negli ultimi 15 anni ho partecipato a

13 matrimoni più il mio e mi sono ve-stita nel modo giusto direi nella metà dei casi: fortunatamente il mio rientra nella metà positiva.Ecco i miei errori più clamorosi: gonna lunga ed aderente e color salmone. An-che se ripeto sempre alle mie amiche che il nero non è adatto ad un matrimonio ed i pantaloni sono meno eleganti, forse dovrei stemperare dicktat così rigidi: se vi sentite a vostro agio con i colori scuri non traditeli per rincorrere un ideale ma-trimonio britannico e se la parola slancia-ta non vi descrive alla perfezione evitate di abbinare tali colorini a capi fascianti. Stessa motivazione per dire no a gonne

a ruota grigio perla, sì, ho messo anche quella, su polpacci importanti. No a tac-chi a stiletto e suole ultrasottili se il ricevi-mento si svolge in un romantico castello: avete presente quelle pietre stondate che rivestono i vialetti? Le ricorderete per set-timane! E le scalinate infinite? Ve le rac-comando con un tacco 12 ed un tubino senza spacco! Si dovrebbe evitare anche il bianco: la tradizione lo vuole riservato alla sposa, ma il vero motivo per non metterlo è che se siete una professionista della raccolta del bouquet come me (7 su 13), potreste finire in un’aiuola dopo un volo d’angelo (2 su 13) e ritrovarvi sedute a tavola con una deliziosa giacca bianca e verde pra-to. Se vi piacciono i cappelli metteteli: sono d’effetto, di moda ed adatti ad una lieta ricorrenza, l’importante è che sia-te a vostro agio nell’indossarli. E questo vale per tutto, dalle scarpe al foulard: se volete trascorrere una bella giornata in-formatevi circa il “tono” generale delle nozze ed adeguatevi senza perdere di vista il vostro gusto personale. Sfruttate l’occasione per regalarvi un bell’acces-sorio e godetevela. Io, per il prossimo e 14° matrimonio, ho le idee abbastanza chiare: abito, seta forse a fiori stilizzati, sandali con suola rossa a contrasto, ma-niche a palloncino che quest’anno sono irrinunciabili ed occhiali importanti. E na-turalmente marito in blu scuro con mac-china fotografica personale e successivo ottimo uso di Photoshop per rimediare ai miei sicuri difetti!

Il gran giorno nella mia taglia, grazieTerapia e borsette di Veronica Gallo

Come ogni anno, puntuale, riapre i bat-tenti il goliardico luna park del Fuori Sa-lone milanese. E’ l’occasione per fare zig zag tra oggetti di design (e/o designer-oggetti…) come in un labirinto di specchi e perdersi in concetti più o meno astratti d’innovazione, tecno-logie e tendenze, come nella casa degli or-rori. Il design, per una settimana (dal 14 al 19 aprile 2010) si trasforma in evento, per-formance, installazione su tessuto urbano, che uscendo dai suoi spazi ufficiali diventa accessibile a tutti. La città si trasforma in un tagadà, che scuote le anime e le sfida a rimanere in piedi e non crollare davanti alla moltitudine di proposte concentrate in pochi giorni.Gli eventi si susseguono vorticosi per la felicità di designer, creativi e night victim che non aspettano altro. Nel Fuori Salone c’è spazio per tutti, come nel Paese dei Ba-locchi. Zona Tortona, come nelle precedenti edizioni, sarà il cuore pulsante della ma-nifestazione, epicentro del divertimento e meta di pellegrinaggio confuso. Gli atelier aperti fino a tardi accoglieranno esperti del settore e curiosi, offrendo design come

appetizer ed una buona dose di free drink. C’è da giurare che l’assalto al buffet alcolico nella maggior parte dei casi sarà barbarico

e le vie affollatissime dell’area marcata dal bollino rosso si muteranno in piste auto-scontro per barcollatori.Anche Brera, uno dei quartieri storici di Milano, da un paio di secoli al centro del-la vita culturale della città, entra ufficial-mente quest’anno nel circuito del Fuori Salone con il Brera Design District.Il quartiere Isola, come sempre, aprirà i battenti ad iniziative legate alla manifesta-zione con il caratteristico approccio un po’ anticonformista che lo contraddistingue.Il Fuori Salone non arriva mai da solo, ma a braccetto con l’Elita, il festival della musica elettronica, arrivato alla quinta edizione ed ancora più determinato ad animare. Cen-tro di gravità del festival è il Teatro Franco Parenti, headquarter che ospiterà dibattiti, workshop, mostre e live per poi espander-si su tutto il territorio ed entrare nei clubs milanesi.Tirando le somme, questi giorni saranno l’occasione per fare un po’ di festa e godersi la benvenuta e tanto attesa primavera giro-vagando per Milano e facendo su e giù tra presentazioni e parties come sulle curve di una roller coaster.

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Nella Nebbia 19

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CinemaCandeloCinema Verdi, Via Marco Pozzo 2 Revolutionary RoadOre 21.00Per Info: Cinema Verdi Tel. 015 2536417 [email protected]

8 giovedìMusicaVercelli“Area 24 live” Concerto di Fabrizio Consoli Ore 23.00 Area 24 via Caduti sul Lavoro

9 venerdìIncontriVercelliLa Sindone salvata a VercelliSala del Trono dell’Arcivescovado Ore 17.00Per info: Museo del Tesoro del Duomo Tel. 0161.51650

MusicaVercelliOfficine SonoreINCARCER-ARTI PRESENTA:“Kindertotenlieder” Ore 22.00Per info: www.officinesonore.org

10 sabatoMusicaVercelliViotti Festival Teatro CivicoEsibizione al violino di Maxim Rysanov Ore 21.00Per info: Camerata DucaleTel. 011.755791

VercelliOfficine SonoreEVA MON AMOUR IN CONCERTO“La doccia non è gratis”Ore 22.00Per info: www.officinesonore.org

TeatroBiellaTeatro Sociale Villani Stagione Lirica 2009/10 “Trovatore” di Giuseppe VerdiPer info: Soc. Coop. Buonsegno Tel. 015 2524259 o 015 2562793www.teatrosocialevillani.com [email protected]

11 domenicaFieraVercelliFiera di Primavera V.le Garibaldi e P.za Paletta dalle 8.00 alle 20.00Per info: Ascom Tel. 0161.250045

IncontriVercelliVisite Guidate in SinagogaPresso la Sinagoga in via Foa visite alle 10.30, 11.30, 15.00, 16.00, 17.00, 18.00. L’ingresso è consentito solo con visita guidata. Durante le visite si svolgerà un approfondimento dedicato al giorno di Yom ha Shoà, commemorativo delle vittime della persecuzione razziale. Per info: Comunità Ebraica tel. 339.2579283

VercelliTè del Cardinale

Presso la Sala Capitolare dell’Abbazia di Sant’Andrea verranno offerti tè inglese e dolcetti vercellesi e la Prof.ssa Baucero racconterà la missione del Cardinale Guala Bicheri alla corte del Re d’Inghilterra.dalle 14.30 alle 17.00Per info:Ass. Chesterton Tel. 345.3382906.

Vercelli43° Trofeo internaz. di Spada maschile a squadre M. e F. Bertinetti Nel primo pomeriggio incontri qualificatori al Palazzetto dello Sport di c.so De Rege; ultimo turno e finali alle 20.30 presso il Teatro Civico, dove si assegnerà il Trofeo e la “Spada d’oro Aldo Venè”.Per info: Ass. Scherma Pro Vercelli Tel. 0161.597282

Biella7° Raduno Città di Biella Raduno Internazionale Fiat 500 Piazza Martiri della Libertà Dalle 8.30Per info: Club Amici della 500 BiellaTel. 015 33844 o 377 1729112

TeatroBiellaTeatro Sociale VillaniIl Teatro Nazionale di Opera e Balletto della Moldavia presenta “La bella addormentata”Ore 17.00 Per info: Soc. Coop. BuonsegnoTel. 015 2524259 o 015 2562793www.teatrosocialevillani.com [email protected]

CossatoTeatro ComunaleStagione teatrale 2009/10 Domenica a teatro “Contaminata quartetto” Mina vestita di jazz…Ore 15.30Per info: Teatro Comunale Tel. 015 93899 www.teatrogiacosa.it [email protected]

13 martedìIncontriBiellaLeggere, leggere, leggere una notte di letture Incontri con gli autori, la scrittura e le storie. Stasera Riccardo Chiaberge presenta “Lo scisma. Cattolici senza papa” di Longanesi.Palazzo Ferrero, c.so del Piazzo 25 Ore 21.00Per info: Biblioteca Civica Tel. 015 2524499 [email protected]

15 giovedìIncontriBiellaLeggere, leggere, leggere una notte di letture Incontri con gli autori, la scrittura e le storie. Stasera Marco Carminati presenta “Il David in carrozza” di Longanesi.Palazzo Ferrero, c.so del Piazzo 25Ore 21.00 Per info: Biblioteca Civica Tel. 015 2524499 [email protected]

TeatroCossatoTeatro Comunale Stagione teatrale 2009/10 “La bisbetica domata” di William ShakespeareOre 21.00Per info: Teatro Comunale - Tel. 015 93899www.teatrogiacosa.it [email protected]

VercelliTeatro CivicoStagione Lirica “Don Giovanni” di Mozart.Ore 20:30Per Info: Comune Tel. 0161.596347

Musica

Vercelli“Area 24 live” Concerto di Mammamicarburo Ore 23.00Area 24 via Caduti sul Lavoro

ArteVercelliBye Bye Peggy Presso il Salone Dugentesco “Arte a Milano negli anni cinquanta . Contrasti e complicità nell’ultima stagione dell’avanguardia” a cura di Martina Corgnati.Ore 18.30Per info: www.guggenheimvercelli.it

16 venerdìMusicaVercelliI venerdì della Borsa Merci Quartetto Flutes Juice, a seguire aperitivoBorsa Merci Ore 21.00 Per info: Camera di Commercio Tel. 0161.5981

VercelliOfficine SonoreIL CIELO DI BAGDAD (VINCITORI DEL GMP MEI 2009) IN CONCERTOOre 22.00Per info: www.officinesonore.org IncontriBiellaAperitivo informativo “Oltre i confini”Stasera “Lavoro, stage e studio all’estero” Melting Pot, piazza San Paolodalle 18,30 alle 22 Per info: Informagiovani Tel. 015 3507380/381/385 www.comune.biella.it [email protected]

VercelliEliana Frontini presenta Dario CamilottoLibreria Mondadori in p.zza CavourOre 18.15

17 sabatoMusicaVercelliOfficine SonoreOFFICINA FINISTERE IN CONCERTO Ore 22.00Per info: www.officinesonore.org

MercatiniVercelliArt & Decoupage in piazza Cavour Per Info: Confesercenti Tel. 0161.501595

VercelliFora Tüt - Fora Tüt Junior In P.za Cavour mercatino dei bambini di baratto e vendita.Per Info: ASCOM Tel. 0161.250045

IncontriBielleSabati in biblioteca “Angolo lettura nella pedagogia montessoriana” Biblioteca Ragazzi, Palazzina PiacenzaOre 11.00Per info: Biblioteca Ragazzi - Tel. 015 351300 www.eventi.comune.biella.it [email protected]

18 domenicaIncontriVercelliTè del Cardinale Presso la Sala Capitolare dell’Abbazia di Sant’Andrea la Prof.ssa Baucero racconterà la missione del Cardinale Guala Bicheri alla corte

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Nella Nebbia 21

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del Re d’Inghilterra.dalle 14.30 alle 17.00Per Info: Ass. Chesterton Tel. 345.3382906

Vercelli Visite Guidate in Sinagoga Presso la Sinagoga in Via Foa visite alle 10.30, 11.30, 15.00, 16.00, 17.00, 18.00. L’ingresso è consentito solo con visita guidata Per info: Comunità Ebraica tel. 339.2579283

VercelliBorgo d’Ingleis Party Per info: ASCOM Tel. 0163.250045

MusicaVercelliGood Afternoon Peggy Teatro Civico Concerto “Astratte mutazioni - alchimia di suoni e colori”Ore 21.00Per Info: www.guggenheimvercelli.it

Mercatini VercelliFora Tüt - Fora Tüt Junior In P.za Cavour mercatino dei bambini di baratto e vendita.Per Info: ASCOM Tel. 0161.250045

20 martedìTeatroCossatoTeatro ComunaleStagione teatrale 2009/10“Base per altezza diviso due” Katia e ValeriaOre 21.00Per info: Teatro ComunaleTel. 015 93899 www.teatrogiacosa.it [email protected]

22 giovediMusicaVercelli“Area 24 live” Concerto di Legion Warcry + Eyes of time

Ore 23.00 Area 24 via Caduti sul Lavoro

VercelliOfficine SonoreCATERINA PALAZZI 4TETOre 22.00Per info: www.officinesonore.org

23 venerdìIncontri VercelliInaugurazione della mostra “Contemporaneo 3D”, a cura di Maria Vittoria Berti. Auditorium di Santa Chiara in c.so Libertà 300Ore 18.00

24 sabatoMusicaVercelliOfficine SonoreETB+HUB Ore 22.00Per info: www.officinesonore.org

IncontriVercelliCampagna Amica - il tipico delle terre d’acquaper chi vuole mangiare sano e tenere d’occhio le etichette, conosce bene parole come “filiera trasparente, tracciabilità, disciplinari di produzione”piazza Cavour Dalle 8.00 alle 19.00Per info:Tel. 0161.261600

BiellaLetture in gioco “Giulio Coniglio e la scatola magica”Biblioteca Ragazzi, Palazzina PiacenzaOre 11.00Per info: Biblioteca Ragazzi Tel. 015 351300 www.eventi.comune.biella.it [email protected]

25 domenica

IncontriVercelliVisite Guidate in Sinagoga Presso la Sinagoga in Via Foa visite alle 10.30, 11.30, 15.00, 16.00, 17.00, 18.00. L’ingresso è consentito solo con visita guidata. Alle 17.00 concerto del gruppo musicale Shalom.Per info: 339.2579283

VercelliSala Capitolare dell’Abbazia di Snat’Andrea la Prof.ssa Baucero racconterà la missione del Cardinale Guala Bicchieri alla corte del Re d’Inghilterra. dalle 14.30 alle 17.00Info: Ass. Chesterton Tel. 345.3382906

29 giovediMusicaVercelli“Area 24 live” Concerto di Moonrock Ore 23.00 Area 24 via Caduti sul Lavoro

30 venerdì

IncontriVercelliMarathon Village - 7° Maratona del Riso Per info: Comitato organizzatorewww.maratonadelriso.itSede tel. 011.859197, 347.2787024

TeatroBillaTeatro Sociale Villani Stagione Teatrale 2009/10 “Die panne ovvero La notte più bella della mia vita” di Friedrich Dürrenmatt Ore 21.00Per Info:Soc. Coop. BuonsegnoTel. 015 2524259 o 015 2562793www.teatrosocialevillani.com [email protected]

MusicaVercelliOfficine SonoreNUJU (VINCITORI DEL GMP MEI 2009) IN CONCERTOOre 22.00Per info: www.officinesonore.org

INFORMAGIOVANI CITTA’ DI VERCELLI

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riciclareè sempre la

scelta giusta

ah!la natura

si ribella...

niente bacicon la lingua

al primoappuntamento

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ASSOCIAZIONE SANT’ANSELMO

Nella Nebbia_275x340.indd 1 26-02-2010 12:06:22