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I MUSEI VATICANI 19292009 NELL’80° ANNIVERSARIO DELLA FIRMA DEI PAI LATENENSI a cura di Antonio Paolucci e Cristina Pantanella EDIZIONI MUSEI VATICANI

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I MUSEI VATICANI

1929-2009

NELL’80° ANNIVERSARIO

DELLA FIRMA DEI PA�I LATE�NENSI

a cura di

Antonio Paolucci e

Cristina Pantanella

EDIZIONI MUSEI VATICANI

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© 2009 Edizioni Musei VaticaniPrima edizione: novembre 2009

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In copertina:Franco Angeli, Emblema pontificio, 1963, tecnica mista su carta. Musei Vaticani, Collezione Arte Religiosa Moderna

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EditorAugusta Tosone

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Edizioni Musei VaticaniISBN 978-88-8271-010-2 brossuraISBN 978-88-8271-011-9 cartonato

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Il Laboratorio Restauro Marmi e Calchi dei Musei Vaticani è oggi composto da un insieme di professioni-sti del settore, dediti a preservare le antichità in materiale lapideo e gesso conservate nelle Collezioni Pon-ti$cie. Si tratta di un’attività che ha radici e tradizioni tanto antiche quanto lo sono le collezioni stesse enella quale hanno operato diverse $gure come scultori, formatori e restauratori di professione che si sonosucceduti nel tempo, consapevoli del valore degli oggetti e della peculiarità della Sede di esposizione.

Gran parte delle opere che transitano ogni giorno nel nostro Laboratorio reca traccia di questi me-stieri e dell’evoluzione dell’approccio di metodo nel corso dei secoli, approccio che proprio in questi luo-ghi e a diverse riprese ha incontrato punti nodali e nuove direzioni nella metodologia d’intervento e neldibattito $loso$co che ne è derivato. Nel solco di questa tradizione si può rintracciare brevemente lo svi-luppo di ciascuna delle principali attività del Laboratorio che, proprio nel corso del XX secolo e daitempi del Ponti$cato di Pio XI, sono andate a differenziarsi sempre più l’una dall’altra: il restauro dellascultura, la formatura, la movimentazione e l’assistenza tecnica e di studio sugli oggetti.

In vista della ricorrenza dell’80° anniversario dei Patti Lateranensi è stata eseguita da questo Labo-ratorio una ricerca storica archivistica sulle origini della professione del formatore e del restauratore dimateriali lapidei in seno ai Musei Vaticani. Le informazioni scaturite da questo studio sono varie e ri-guardano le personalità, le professionalità e le tecniche che si sono succedute dai tempi di Antonio Ca-nova ai giorni nostri con un’evidente evoluzione, guidata dall’importanza sempre maggiore che si dàall’aspetto conservativo del patrimonio storico-artistico vaticano.

In questo testo abbiamo voluto dare la priorità all’aspetto tecnico della professione del formatore edel restauratore di materiali lapidei nel contesto dei Musei Vaticani.

In primo luogo, è importante soffermarci sull’evoluzione del ruolo del formatore nel corso dei de-cenni. Sono principalmente gli scultori, prima dei Patti Lateranensi, e i formatori poi, a mettere le manidirettamente sulle sculture.

A partire della $ne del Settecento si è trattato esclusivamente di artigiani esterni, la cui abilità tec-nica era spesso avvalorata dal giudizio di un grande scultore di fama che ne garantiva l’af$dabilità1. Tut-tavia essi affrontavano il lavoro di formatura e di calco dall’inizio alla $ne come un lavoro $ne a se stesso.

A partire degli anni Trenta invece, soprattutto con Francesco Mercatali, il formatore, seppure conprestazione ad opera, iniziò a entrare in stretta relazione con la struttura del Museo e soprattutto in di-retto rapporto con le attività di restauro, divenendone parte integrante e partecipando attivamente a verie proprî restauri di sculture della collezione. Nei decenni successivi il formatore interno al Museo di-venne anche restauratore del Laboratorio, rendendo possibile la considerazione a tutto campo dellaformatura come inscindibile da un intervento di restauro o conservativo.

Il Laboratorio di Restauro Marmi e Calchi: cenni storici

GUY DEVREUX - ANDREA FELICE*

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È ormai cosa nota a tutti l’importanza del calco di opere antiche quale mezzo più ef$cace e apprez-zabile per la diffusione dell’arte classica presso Accademie, Gipsoteche e Musei di tutta Europa e nonsolo a partire dal XVIII secolo in poi. I Musei Vaticani, quali consegnatari di una grande quantità di operescultoree tra le più mirabili al mondo, hanno sempre attribuito la giusta importanza e prestato partico-lare attenzione alla produzione di calchi in gesso delle opere relative alle proprie collezioni. Grazie a que-sto atteggiamento propositivo, condiviso dai più grandi musei e collezioni d’arte scultorea europei, èstato possibile promuovere l’arte e la cultura classica dando l’opportunità a tanti studiosi e appassionatidi approfondirne la conoscenza.

Fin dagli inizi è stata data grande attenzione alla maestria degli operatori e alla tecnica esecutiva.L’uso della forma in creta2 praticato in modo quasi esclusivo sulle opere dei Musei Vaticani dai primi annidell’Ottocento $no alla seconda metà del Novecento è da considerarsi soprattutto una scelta volta a sal-vaguardare gli originali dall’uso di sostanze grasse, quali cere e oli, necessari come distaccanti nella pra-tica della forma buona in gesso (usata ovunque altrove e quasi mai in questo contesto $no a tutto ilNovecento). Oltre centocinquanta anni di attenzione e cura delle super$ci lapidee ci permettono diconstatare la quasi totale assenza di forti patine scure e giallastre o eccessivi aloni grassi sui marmi anti-chi, a differenza di molte altre collezioni coeve che mostrano in modo evidente le tracce e a volte le de-turpazioni dovute all’uso incauto e sconsiderato di tali sostanze. Con l’abbandono della forma in creta,in Vaticano dal 1985 si utilizza la gomma siliconica quale materiale più adatto per la realizzazione delleforme [$g. 1]. La scelta di questo nuovo materiale lascia pressoché invariata la tecnica esecutiva, of-frendo un’altissima fedeltà rispetto all’originale e un lavoro tecnicamente più agevole, oltre alla possi-bilità di ottenere un negativo riutilizzabile senza dover eseguire una ulteriore forma per copie successive.

La stessa attenzione per le super$ci marmoree è prestata in tempi odierni; infatti, la realizzazione diogni forma è inserita in un “contesto di restauro” dove è possibile veri$care di volta in volta le condizionidell’opera, valutarne la fattibilità e quindi decidere l’impiego del tipo di protettivo e del distaccante dautilizzare.

Un analogo percorso evolutivo riguardo all’impiego del materiale è da constatare riguardo ai calchiveri e proprî. Soprattutto per quanto concerne i materiali da scegliere in alternativa al gesso che rimanesempre un materiale unico e a volte insostituibile. Spesso oggi come in passato si presenta l’esigenza diavere una copia scultorea in un materiale con caratteristiche di resistenza meccanica superiori al gessoe appena si presenta l’opportunità vengono fatti tentativi con nuovi materiali. Dal 1932 al 1938 duranteil papato di Pio XI il formatore Francesco Mercatali, che così a lungo e abbondantemente operò pressoi Musei Vaticani, lavorò alla realizzazione delle copie in cemento dei rilievi della Colonna Traiana3, otte-nuti per mezzo di forme in creta dai gessi allora conservati al Museo Lateranense4. I calchi in cementodi Mercatali furono collocati in un suggestivo allestimento lungo il viale della Zitella.

La scelta dei calchi in cemento al posto di quelli in gesso per collocazioni in ambiente esterno, espri-mono proprio l’intento di realizzare un’opera considerata estremamente resistente e inattaccabile daltempo5, anche al $ne di limitare l’esecuzione di ulteriori forme sugli originali.

La realizzazione di calchi e basamenti in cemento fu abbondante durante l’opera di Mercatali cherealizzò anche i calchi delle statue esposte a titolo decorativo sul tetto della Sala Rotonda, che a lorovolta vennero musealizzate.

Allo stesso modo successivamente, i formatori Ulderico Grispigni e Luciano Ermo realizzarono i cal-chi in cemento dei rilievi buddisti di Borobudur (Giava, Indonesia) esposti nel cortile esterno del MuseoMissionario Etnologico.

Purtroppo nel tempo, in alcuni casi come quello dei calchi del tetto della Sala Rotonda o il calco del Ma-scherone presso il Fontanone del Globo, si rese necessario un ulteriore intervento che implicava la necessitàdi sostituire i vecchi calchi in cemento, danneggiati dal distacco di frammenti causato dall’ossidazionedelle armature interne. Nel 1999 questi calchi in cemento furono sostituiti da nuovi calchi apposita-mente realizzati in resina poliestere caricata con inerte e provvista di armature in acciaio antiossidante.

La ricerca sui materiali per i calchi è oggi molto attiva, tante sono le esigenze e molte le possibilitàcirca i diversi materiali disponibili. Il Laboratorio Restauro Marmi e Calchi utilizza diverse tipologie digesso Alpha e gesso ceramico oltre al tradizionale gesso alabastrino. Le armature sono eseguite in me-G

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tallo trattato con antiossidante o in acciaio e non più in legno mentre, per i calchi da collocarsi in esterno,sono utilizzati all’occorrenza delle resine acriliche come le integrazioni sul gruppo scultoreo Apollo eMusa (Inv. MV5153) restaurato nel 2003 o la serie di calchi del Presepe di Arnolfo di Cambio di SantaMaria Maggiore6.

Oggigiorno il Laboratorio Marmi e Calchi dei Musei, viste le esigenze tecniche di separare solo $si-camente le due attività, si propone di realizzare un Laboratorio Calchi in grado di operare autonoma-mente e con più ef$cacia, mantenendo al tempo stesso la stretta, diretta e indispensabile collaborazionetra i due interventi. Molto spesso i concetti tecnici di formatura trovano applicazione in alcune fasi dilavoro relative a un intervento di restauro, coinvolgendo i professionisti del Laboratorio in un lavoro co-rale verso risultati qualitativamente importanti.

Per quanto riguarda il restauro vero e proprio, negli anni Venti del Novecento, il principale prota-gonista fu lo scultore e Direttore Artistico delle Sculture Guido Galli (coadiuvato dalla Ditta FrancescoMercatali $no almeno al 1936).

Galli recava nella propria discendenza un legame diretto con Antonio Canova: il nonno Pietro Galliinfatti, scultore e stuccatore, era collaboratore dello scultore Bertel Thorvaldsen, a sua volta allievo delgrande artista veneziano.

Lo stesso Canova, attraverso il Regolamento del 1816, tradottosi nell’Editto del cardinal Pacca del1820, regolamentò la pratica del restauro, sottoponendo la decisione del singolo intervento a una com-missione di esperti. Ancora oggi è prassi nel nostro Laboratorio, prima di intraprendere un restauro ap-profondito, fare una riunione tra colleghi restauratori, Gabinetto Ricerche Scienti$che, Ispettori diReparto, eventuali specialisti esterni e Direttore.

Nel 1932 fu inaugurato l’edi$cio tutt’oggi dedicato alla Pinacoteca, nel cui sottosuolo nacquero $nda allora, i Laboratori di Restauro Pittura.

La sede $sica del Laboratorio di Restauro Marmi ha invece una storia più errabonda, perché in que-gli anni si identi$ca nello Studio del Direttore Galli, posto presso il cortile delle Corazze, non lontanodai Giardini, dove, di caso in caso, vengono trasportate le sculture che necessitano un restauro, qualoranon si decida di intervenire direttamente in loco.

Galli dichiarò nella sua Relazione del 1924 che è da aborrire la pratica invalsa nel restauro della scul-tura in marmo dal Rinascimento $no a metà Ottocento, di integrare gli originali con pezzi di marmo ag-giunti all’antico con perni e con spranghe di ferro perché, una volta rifatte in marmo le parti mancanti,per riunirle all’antico diventa necessario tagliare le commessure, mutilando e deturpando così le parti ge-nuine7. Egli si preoccupa di rendere funzionali alla visita del pubblico le opere sofferenti: numerosissimigli smontaggi e i rimontaggi, la sostituzione della vecchia mestura di cera e resina colofonia, utilizzatasino alla $ne del secolo precedente, con gesso o piombo o anche con cemento per le opere in esterno;come anche gli elementi in ferro vengono sostituiti dove possibile con il rame, l’ottone o il bronzo.

Inoltre egli munì le opere di basi, peducci, zoccoletti e sostegni dove questi mancavano, con l’in-tento di rendere la collezione fruibile, ma soprattutto durevole nel tempo. Gli interventi erano estesi,spesso a tappeto, come per esempio nel 1925 fu documentato l’uso di acido per togliere la patina ai sar- IL

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1. Il formatore Andrea Felice durante l’esecuzione del calco del Laocoonte.

2. Il trasporto delle opere nel nuovo Museo Paolino.

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cofagi dell’odierno Museo Pio-Cristiano. I lavori all’interno dei Musei vennero dettati da motivi di con-servazione e di riordino per nuove acquisizioni o donazioni.

Un approccio sempre più $lologico quindi, e scienti$co, sembra già essere ben radicato agli inizidegli anni Trenta, testimoniato dall’istituzione del Gabinetto Ricerche Scienti$che nel 1933. Il profes-sor Bartolomeo Nogara (direttore dal 1920 $no al 1953) sottolinea in quegli anni l’importanza di legare,anche tramite l’attività del neonato Gabinetto Ricerche Scienti$che, i restauratori all’Istituzione Museoin modo non estemporaneo, tale da «formare una tradizione mediante la quale potessero perfezionarsigli uomini, gli strumenti e i procedimenti del lavoro, eliminare le eventuali de$cienze e sottoporre allaprova dell’esperienza l’uso di ritrovati ingegnosi sì, ma che soltanto un’osservazione attenta e prolungatanel tempo possono collaudare»8. Ad oggi non abbiamo notizia di dipendenti allora coinvolti con conti-nuità nelle attività principali legate alla fase di trasporto e di installazione degli oggetti. Alla Ditta Fran-cesco Mercatali è af$data la quasi esclusiva di tali operazioni9.

Negli anni Quaranta e Cinquanta furono introdotti nella pratica manuale gli strumenti elettrici, inparticolare i trapani, che rendevano materialmente più facile, nel corso di smontaggi e successivi ri-montaggi la realizzazione di nuove forature come alloggiamento per i perni.

Successivamente al Galli la sede degli interventi di restauro varia da luogo a luogo seguendo il veroe proprio cantiere di restauro, per essere ospitata negli anni Settanta negli umidi ambienti sotto la Bi-blioteca negli spazi dell’odierno Magazzino Ex Ponteggi e poi nella cosiddetta Carbonara, $no alla co-struzione dell’attuale modernissimo Laboratorio nel 1984.

Sotto Giovanni XXIII (dal 1958) e Paolo VI (dal 1963) le attività di restauro continuarono, con-trappuntate da interventi più approfonditi o straordinari sulle singole opere.

Tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta il crescente Ousso di pubblico e la conseguente necessitàdi rendere più fruibili e sicure le opere, portarono a un allargamento degli spazi museali (tra i quali l’aper-tura del nuovo Museo Ex Lateranense nel 1968-197010, [$g. 2]), a un’intensi$cazione delle attività di spo-stamenti e montaggi [$gg. 3-4] che vide operativi restauratori che si erano formati $n da giovanissimi conLuigi Mercatali, $glio di Francesco, quali Ulderico Grispigni – primo responsabile dell’attuale Laborato-rio Marmi – e Luciano Ermo, coadiuvati da Ennio de Santis e nel 1986 da Massimo Bernacchi [$g. 5].G

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3. Trasferimento del Torso del Belvedere dall’Atrio Quadrato,già Atrio del Torso, alla Sala delle Muse nel 1973.

4. Il trasferimento del basamentodella Colonna di Antonino Piodal Cortile della Pigna al Cortile delle Corazze nel 1979 ad opera della Ditta Minguzzi.

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Nel 1984 $nalmente, viene costruita la moderna struttura del nuovo Laboratorio di Restauro Marmie Calchi, col fondamentale contributo dei “Friends of American Art in Religion”. L’ampio spazio èquanto di più moderno si potesse pensare ai tempi, nell’ambito di un’architettura storica: luminosis-simo e fornito di impianti e strumentazioni all’avanguardia [$g. 6].

A metà degli anni Ottanta l’organico viene aumentato progressivamente con l’ingresso di restauratoriprovenienti da esperienze formative diverse e complementari, $no all’attuale numero di sei elementi.

Il confronto tra diversi interventi simili nel medesimo ambiente, ad opera degli stessi restauratori,porta sempre più, da un lato a concentrarsi sulle differenze tra caso e caso, dall’altro a un af$namentodell’analisi e delle soluzioni per simili problematiche tecniche e $lologiche ancora aperte.

Si va, inoltre, verso una prassi ripetuta e più ordinata dell’intervento, che non arriva alla standar-dizzazione delle soluzioni, impossibile vista l’unicità del singolo caso, ma sicuramente a un’uniformitàdei metodi, delle fasi d’intervento e dei supporti per la documentazione. La scheda di restauro cartacea,elaborata negli anni Ottanta, fornisce un indispensabile strumento per la memoria dei restauri.

In questi luoghi, anche in seguito alla campagna di pulitura delle statue del Cortile Ottagono neiprimi anni Ottanta, si fanno numerosissimi interventi approfonditi sulle statue, che spesso comportanoil loro smontaggio completo o parziale e il loro successivo rimontaggio. A preoccupare sono i collegamentitra i vari elementi, dove si trovano ancora perni in ferro, magari parzialmente inglobati nel piombo, nellamestura o, ancor peggio, nel cemento. Alcune delle sculture sono le stesse sulle quali Galli era già inter-venuto, tra le quali l’Apollo del Belvedere (Inv. MV1015), restaurato in occasione della mostra sul restauroin Vaticano, tenutasi al Braccio di Carlo Magno nel 1982 [$g. 7]. In particolare, all’Apollo del Belvedere simetterà nuovamente mano nel 1999, per rimontare i restauri del Montorsoli che erano stati rimossi nel1924. Quest’ultimo intervento riOette una mutata attitudine dei curatori e degli esperti nell’ambito diMusei rispetto ai restauri storici, secondo la quale si preferisce, se possibile, riproporli come documentodella storia visiva dell’oggetto, del gusto e di un’interpretazione artistica di qualità. Talvolta, al contrario,le integrazioni minori, specie se deturpanti, di fattura recente e meno artistica, vengono asportate. È unavisione più ponderata e autocritica, quella del restauro odierno, che non presume di ricostruire l’imma-gine originaria direttamente sull’oggetto, qualora quest’immagine sia irrecuperabile. Con l’attenzione IL

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5. Il restauratore Maestro Ulderico Grispigni al lavoro.

7. Preparativi per il trasporto dell’Apollo del Belvederealla mostra del 1982.

6. L’odierno Laboratoriodi Restauro Marmi e Calchi.

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rivolta a tale principio si cerca di utilizzare, quando si interviene, un materiale o un sistema facilmente ri-muovibile o in ogni caso reversibile. In questi ultimissimi anni, si vedono le diverse attività differenziarsie af$narsi: il restauro e la ricerca, i calchi, la movimentazione, le mostre, la documentazione e lo studio.

Nel caso della ricerca applicata al restauro, il Laboratorio Marmi lavora sempre di più in stretto con-tatto con il Gabinetto Ricerche Scienti$che, col quale si ragiona sull’ef$cacia dei prodotti utilizzati e sene cercano di sempre più idonei. Questo vale per gli interventi di pulitura, dove si provano prodotti esistemi che ci consentano di ottenere un risultato ottimale che rispetti le strati$cazioni che si sono suc-cedute nel tempo sulla super$cie, esaltando l’insieme dell’opera trattata. Tra questi sistemi va evidenziatoil recente apporto della pulitura laser [$g. 8].

Un altro problema sul quale si stanno concentrando le nostre rispettive attenzioni è quello degliadesivi, le cui caratteristiche di resistenza consentano il più possibile di evitare l’inserimento di perni eche contemporaneamente abbiano caratteristiche di reversibilità effettiva. Si sta inoltre cercando di dif-ferenziare il tipo di materiale utilizzato per la realizzazione dei perni o di altri sistemi di supporto, permigliorarne l’ef$cacia, la reversibilità e contemporaneamente l’impatto estetico. Viene anche eseguitoun continuo aggiornamento su nuovi consolidanti e protettivi, partecipando a convegni e accogliendospecialisti esterni nel nostro Laboratorio.

Alcuni esempi di restauro sono anche l’occasione di un approfondimento nel campo della ricerca ar-cheologica e storica: per esempio i restauri dell’Augusto di Prima Porta (Inv. MV2290) e del paleocristiano Sar-cofago con scene campestri (Inv. MV31485) recanti tracce di colore e dorature. In questo caso, la ricerca sullepolicromie si approfondisce11 e si apre a Musei e specialisti stranieri, che trattano opere con problematichesimili. Si arriva a sperimentare le metodologie più aggiornate nel restauro e a dare risposte più approfon-dite nell’indagine $no a proporre, come nel nostro caso, la ricostruzione dell’intera policromia dell’Augu-sto di Prima Porta, resa tramite calco in gesso e trattamento pittorico con pigmenti e legante originali [$g. 9].

Il restauro dei marmi e dei calchi in questi anni non si limita solo ai lavori svolti all’interno del La-boratorio, ma si estende anche a cantieri allestiti nelle Gallerie. Questo perché spesso le opere da trat-tare non sono trasportabili o perché la loro movimentazione comporta troppi rischi: un esempio èl’attuale restauro della Biga (Inv. MV2368), o il restauro del Sarcofago dei due fratelli (Inv. MV 31543).

Il compito del Laboratorio è anche quello di sovrintendere ai lavori di restauro eseguiti da profes-sionisti esterni, sia nei Musei sia sull’intero territorio dello Stato Ponti$cio. Un onere da non sottovalu-tare poiché in alcuni casi si tratta di lavori importanti e impegnativi, come il restauro recentementeconcluso del Ciborio di Arnolfo Di Cambio nella Basilica di San Paolo, o quello appena iniziato dellesculture e del colonnato del Bernini in piazza San Pietro, ma che, essendo effettuato in collaborazionecon professionisti esterni, offre un’ulteriore opportunità di scambio e arricchimento per i restauratoridel Laboratorio di Restauro Marmi e Calchi dei Musei Vaticani [$g. 10; TAV. LXIII].

In$ne, perché il lavoro sia opportunamente documentato, al passo con i tempi e in collegamento conl’elaborazione di protocolli internazionali, la scheda di restauro cartacea viene informatizzata con un mo-dello, ad uso del Laboratorio, tratto dal vecchio modello cartaceo. Tale formato offre l’opportunità didocumentare e archiviare meglio l’opera d’arte e l’intervento di restauro corredandolo di foto digitali,gra$ci, allegati, link, etc., e al tempo stesso ne permette il miglioramento nel corso degli anni, a secondadi nuove tecnologie disponibili e di nuove esperienze interne ed esterne.

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8. La restauratrice Patrizia Rossiopera con l’ausilio del laser.

9. Il prof. Paolo Liverani e il dott. Raimond Wunsche durante la ricostruzione della policromia originaria dell’Augusto di Prima Porta.

10. Cantiere pilota del restauro del colonnato di piazza San Pietro.

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* Si ringrazia il Maestro Luciano Ermo per la generosità delle informazioni fornite, la dott.ssa Maria Antonietta De An-gelis per l’assistenza e i consigli nelle ricerche d’archivio e la dott.ssa Cristina Pantanella per il supporto nella realizza-zione di questo articolo.

1 Come nei casi del formatore Filippo Giacomini presentato da Antonio Canova nel 1821 o del formatore Giovanni Lu-cignani «[…] ritenuto abile a formare il Laocoonte», presentato da Emilio Wolff nel 1874. (ASMV, b. 32, fasc. 1 1873-1897).

2 Forma a tasselli di creta e madreforma in gesso praticata quasi esclusivamente in ambiente romano a partire dalla $nedel Settecento.

3 Oltre alla riproduzione di una parte del basamento della colonna (in RendPARA, XV, 1936-1939).4 Calchi già eseguiti sotto il ponti$cato di Pio IX nel 1862 dai provetti formatori Alessandro e Leopoldo Malpieri, con

aiuti, su commissione di Napoleone III, imperatore di Francia. La prima copia venne consegnata al Museo Ponti$cio edesposta al Museo Lateranense $no al 1952 quando fu concessa in deposito permanente al Comune di Roma per il Museodella Civiltà Romana. Una seconda serie di calchi fu inviata a Parigi.

5 «[…] la fragilità della materia più la azione lenta e progressiva dell’umidità ponevano come unico rimedio quello di ri-produrre i calchi [in gesso] in una materia più duratura e solida resistente alle intemperie […]». I calchi in gesso erano staticollocati nei sotterranei del Museo Lateranense nel 1925 per dar posto agli spazi espositivi del nuovo Museo Missionario Et-nologico.

6 Eseguiti dal formatore e restauratore Andrea Felice nel 2005.7 Segue: «Quindi i pezzi nuovi sono $ssati con perni, o spranghe di ferro, che con l’andare del tempo producono la

ruggine, tremenda nemica del marmo che crina e fa scoppiare in malo modo tanto le parti antiche quanto le nuove. Ilmezzo più sicuro per evitare tali inconvenienti, sarebbe quello di non eseguire, per nessuna ragione, restauri sopra scul-ture antiche, lasciando il frammento, la statua, il monumento, ecc. nello stato in cui si è rinvenuto. Ma tale provvedimento,che può essere accettato in un magazzino archeologico e in raccolte private di antichità, dove sono riuniti oggetti visibiliper lo più ad artisti e studiosi di professione, non potrebbe adattarsi ai musei ed alle gallerie che, come quelle del Vaticano,furono erette per il gran pubblico degli amatori d’arte, af$nché il monumento antico si collegasse armonicamente col-l’edi$cio moderno e l’uno e l’altro dessero l’impressione di una cosa viva e nata da un unico pensiero. Di conseguenza,imponendosi per i Musei Vaticani le necessità del restauro, sarebbe stato necessario che questo si fosse fatto sempre in gesso,perché rifacendo in gesso le parti mancanti di un monumento, nessun danno si reca all’antico, e nello stesso tempo si ri-dona all’antico, almeno all’apparenza, la sua integrità, e così ogni visitatore può capire come in origine l’opera scultoreafu ideata ed eseguita; mentre lo studioso, l’archeologo e l’artista data la diversità del marmo dal gesso, potrà a prima vistadistinguere le parti antiche da quelle di restauro» (in RendPARA, II, 1922-1924, pp. 283-284).

8 Cfr. B. NOGARA, Monumenti Musei e Gallerie Ponti!cie nel triennio accademico 1942-43, 1943-44, 1944-45. I. Relazione, inRendPARA, XXI, 1945-1946, pp. 269-281.

9 Insieme a Francesco lavora il $glio Luigi. Altri saltuari collaboratori di Galli saranno lo scultore Carmine Tripodi e ilmarmorario Luigi Turchi, mentre precedenti movimentatori che lavorano per i Musei e dei quali abbiamo notizie sono Ni-cola Viola (1863) e Vincenzo Taburet (1925).

10 Lavori eseguiti la direzione del prof. Georg Daltrop per quanto riguarda la parte archeologica.11 Sotto la direzione scienti$ca del prof. Paolo Liverani, già direttore del Reparto Antichità Classiche.

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