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NEL PRISMA DELLA MEDIAZIONE Contributi e massime di giurisprudenza

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NEL PRISMADELLA MEDIAZIONE

Contributi e massimedi giurisprudenza

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Pubblicazione a cura di

Unioncamere Piemonte – ADR Piemonte

Via Cavour, 17 – 10123 Torino

www.pie.camcom.it

www.adrpiemonte.it

Coordinamento scientifico e metodologico

Vittoria Morabito

Manuela Cotugno

Area Servizi Legali Associati Unioncamere Piemonte

Autori

Davide Castagno, dottorando di ricerca in Diritto, Persona e Mercato

presso l’Università degli Studi di Torino

Rosanna Chiesa, commercialista, mediatore e formatore di ADR Piemonte

Francesca Cuomo Ulloa, avvocato, mediatore e formatore di ADR Piemonte

Alberto Del Noce, avvocato, mediatore e formatore di ADR Piemonte

Fabio Rondot, psicologo, mediatore e formatore di ADR Piemonte

Coordinamento editoriale

Annalisa D’Errico

Gisella Guatieri

Ufficio Stampa e Comunicazione Unioncamere Piemonte

Progetto grafico e impaginazione

Litteræ s.r.l

Copyright® Unioncamere Piemonte

Via Cavour 17 – 10123 Torino

Finito di stampare nel mese di agosto 2016

Stampato su carta patinata opaca UPM Finesse Silk certificata EU Ecolabel

da 115 gr/mq per l’interno e 300 gr/mq per la copertina

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Indice

Presentazione pag. 7

1. Dalla domanda al primo incontro di mediazione pag. 9

2. Dalla fine del primo incontro di mediazione all’accordo pag. 27

3. Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo? pag. 43

4. La mediazione in pratica pag. 58

5. Massimario di giurisprudenza pag. 83

Indice pag. 85

Massime pag. 86

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7Presentazione

Presentazione

ADR Piemonte è l’Organismo di Mediazione (iscritto al n. 30 del Registro degli Organismi di mediazione del Ministero della Giustizia) e l’Ente di Formazione (iscritto al n. 391 dell’Elenco degli Enti di formazione per mediatori del Ministero della Giustizia) che le Camere di commercio del Piemonte hanno costituito, in forma associata presso Unioncamere Piemonte, per gestire l’attività di mediazione con servizi su tutto il territorio regionale.

La lunga esperienza nel settore, con i primi corsi per conciliatori a metà degli anni ‘90, e la convinzione della validità della mediazione, ci hanno portato a realizzare questo lavoro che, senza la presunzione di trattare esaustivamente l’argomento, vuole costituire un pratico supporto nella gestione e comprensione delle dinamiche che caratterizzano una materia in continua evoluzione.

La scelta di dare un taglio pratico alla presente pubblicazione nasce dall’obiettivo di fornire uno strumento di approfondimento ai professionisti e agli operatori degli organismi di mediazione che si trovano quotidianamente a confrontarsi con articolate problematiche pratiche e giuridiche che, ci auguriamo, potranno trovare nelle pagine che seguono e nel ricco Massimario un valido contributo.

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9Dalla domanda al primo incontro di mediazione

1. Dalla domanda al primo incontro di mediazione1 (a cura di Francesca Cuomo Ulloa)

1.1 L’accesso alla mediazione: disciplina e prassi giurisprudenziali

A) La mediazione obbligatoria: ambito di applicazioneL’art. 5 comma 1 bis del decreto legislativo 28/2010 (introdotto dalla riforma del 2013 – D.L. 69/13, conv. in l. 98/2013 in sostituzione dell’originario comma 1, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 2012) prevede, al pari della norma precedente, una serie di ipotesi nelle quali la mediazione deve essere esperita prima di agire in giudizio. Come nella versione originaria l’ambito di applicazione della obbligatorietà viene individuato attraverso il criterio della materia: al fine di stabilire se la mediazione è obbligatoria occorre cioè aver riguardo non all’oggetto, ma al titolo della domanda, ossia alla ragione giuridica posta a suo fondamento. Rispetto alla versione originaria non è più compresa nelle materie “obbligatorie” la responsabilità da circolazione di veicoli, oggi soggetta a negoziazione assistita obbligatoria. È questa una nuova procedura, introdotta e disciplinata dal D.L. 132 del 2014, conv. in l. 162 del 2014 cui sono soggette anche tutte le controversie aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro contenute entro i 50.000 euro.In considerazione della possibile sovrapposizione tra le due discipline, il rapporto tra i due istituti della mediazione e della negoziazione assistita è stato opportunamente disciplinato dall’art. 3 comma 1 e 5 del citato D.L., 132, conv. in l. 162, che fa salve le disposizioni dettate dal decreto 28/2010: ciò significa che la disciplina della negoziazione assistita non sostituisce, ma si affianca alla disciplina della mediazione civile e commerciale (così come alle altre previsioni che disciplinano tentativi di conciliazione obbligatori). In applicazione di questo principio la giurisprudenza ha pertanto già avuto modo di precisare che, in forza di quanto dispone il comma 1 dell’art. 3, nel caso di controversie che rientrano nel novero di quelle contemplate dall’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 28/2010, la parte dovrà necessariamente esperire la mediazione obbligatoria e non la negoziazione assistita, ancorché la domanda abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro contenuta entro i 50.000 euro (e così ad esempio nel caso di pretesa risarcitoria per fatti qualificati come diffamazione a mezzo stampa, la domanda giudiziale dovrà essere preceduta solo dalla mediazione obbligatoria: cfr. Trib. Verona 15.5.16).Entrambi gli istituti dovrebbero, invece, trovare applicazione nel caso di domande distinte tra loro cumulate, come potrebbe avvenire ad esempio nel caso di domande aventi ad oggetto rispettivamente l’accertamento di un diritto reale ed una connessa

1 Per le sentenze citate nel presente capitolo si rimanda al Massimario.

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pretesa risarcitoria (cfr. ancora il Trib. Verona 22.12.15 che pure segnala la possibile incostituzionalità di una simile disciplina che costringerebbe la parte ad affrontare una duplice e dispendiosa condizione di procedibilità).È stato inoltre precisato che, nel caso di controversie soggette a mediazione obbligatoria, la condizione di procedibilità non può comunque considerarsi avverata qualora le parti abbiano esperito una negoziazione assistita (evidentemente senza esito), osservandosi al riguardo che “una simile sequenza non appare in astratto inutilmente dilatoria.. poiché consente il passaggio ad una procedura stragiudiziale che presenta un valore aggiunto rispetto... costituito dall’intervento di un terzo imparziale, che può favorire l’esito conciliativo” (v. ancora Trib. Verona 22.12.15). B) La condizione di procedibilitàAnalogamente a quanto avveniva nella versione originaria del decreto 28, anche nella versione successiva alle riforme del 2013 l’obbligatorietà della mediazione si traduce in una condizione di procedibilità della domanda giudiziale: ciò significa che, se la controversia riguarda una delle materia indicate dal comma 1 bis dell’art. 5, il giudice, qualora alla prima udienza rilevi che la mediazione non è stata esperita prima dell’inizio del giudizio, dovrà, anche d’ufficio, assegnare alle parti un termine di 15 giorni per l’avvio della procedura, fissando l’udienza per la prosecuzione del giudizio nel rispetto del termine trimestrale per l’espletamento della mediazione; qualora la condizione non risulti ritualmente soddisfatta nemmeno all’udienza così fissata, il giudice dovrà pronunciare con sentenza l’improcedibilità del giudizio. Il meccanismo disciplinato dall’art. 5, comma 1 bis è dunque piuttosto lineare: la domanda giudiziale deve essere preceduta dalla mediazione e tuttavia la parte che abbia promosso il giudizio senza preventivamente esperire la procedura, avrà la possibilità di “sanare” quel vizio attivando la mediazione nel termine stabilito dal giudice, fermi restando gli effetti della domanda giudiziale inizialmente promossa (così che, una volta esperita senza esito la mediazione il giudizio potrà regolarmente proseguire). Qualora la parte non provveda alla sanatoria il processo è invece destinato a chiudersi con una dichiarazione di improcedibilità che travolge la domanda giudiziale inizialmente proposta, ancorché la parte possa poi riproporre la domanda in un nuovo giudizio (che dovrà però ancora essere preceduto dalla mediazione).Tanto chiarito in ordine al funzionamento del meccanismo processuale disciplinato dall’art. 5, deve però darsi conto anche di una persistente incertezza (cui la riforma del 2013 non ha purtroppo posto rimedio) in ordine alla applicazione di quella disciplina nei procedimenti oggettivamente o soggettivamente complessi. Tuttora incerte risultano, infatti, le soluzione accolte dalla giurisprudenza con riguardo alla obbligatorietà della mediazione (e al conseguente funzionamento della condizione di procedibilità) nel caso di domande riconvenzionali o di domande proposte nei confronti di terzi chiamati o intervenuti nel processo: secondo parte

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11Dalla domanda al primo incontro di mediazione

della giurisprudenza (v. Trib. Palermo 11.7.11 e 27.2.16; Trib. Reggio Calabria 2.4.14; Trib. Verona 24.3.16) la condizione di procedibilità riguarderebbe soltanto la domanda principale e non anche la domanda riconvenzionale spiegata dal convenuto o dal terzo, ancorché rientranti nelle materie per le quali è prevista la mediazione; altra parte della giurisprudenza ritiene invece necessario il tentativo di mediazione per tutte le domande, così che – qualora la domanda riconvenzionale o quella rivolta nei confronti di terzi – non siano state oggetto della mediazione relativa alla domanda principale, il giudice dovrà fare applicazione della disciplina sopra descritta e quindi differire l’udienza al fine di consentire lo svolgimento della mediazione sulla domanda cumulata (Trib. Como, sez. Cantù 2.2.12 e Trib. Roma 15.3.12; Trib. Firenze 14.2.12; Trib. Verona 12.5.16), potendo poi dichiarare improcedibile quella domanda qualora il convenuto od il terzo non attivino la mediazione; infine, secondo un terzo e a mio avviso preferibile orientamento giurisprudenziale occorrerebbe distinguere: la domanda riconvenzionale (al pari di quella eventualmente proposta da o nei confronti dei terzi) sarebbe soggetta a condizione di procedibilità solo nel caso in cui la domanda principale non sia già stata, a sua volta, oggetto di mediazione (perché ad es. estranea all’art. 5, comma 1 bis); nel qual caso sarebbe opportuno che, con la domanda riconvenzionale (o del terzo), venisse portata in mediazione anche la domanda principale, onde favorire una soluzione complessiva del conflitto (v. Trib. Verona 18.12.15).In ogni caso è opportuno che qualora nel corso della mediazione vengano trattate anche domande ulteriori rispetto a quelle oggetto dell’istanza, il mediatore – su richiesta delle parti – ne dia atto nel verbale, specificando che la mediazione ha riguardato un oggetto più ampio di quello originariamente indicato dall’istante.

C) Le materieL’ambito di applicazione della mediazione obbligatoria si fonda, coma già anticipato, sul criterio della materia, ossia del titolo giuridico posto a fondamento della domanda: in alcuni casi l’applicazione di questo criterio risulta agevole, come accade ad esempio quando si tratti di domande che traggono origine da rapporti di locazione, di comodato o di affitto di azienda, o nel caso si tratti di pretese avanzate nell’ambito di rapporti successori o di patti di famiglia (di recente, la giurisprudenza ha peraltro precisato che tale riferimento non vale ad includere le liti relative al fondo patrimoniale); qualche incertezza si pone invece con riferimento alla materia delle divisioni, che, secondo una prima opinione, riguarderebbe le sole controversie in materia di divisione ordinaria e ereditaria, mentre seconda altra e preferibile impostazione includerebbe anche quelle relative alla divisione della comunione tra coniugi.Avuto riguardo ai diritti reali (e dunque alla proprietà e agli diritti di godimento: superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione e servitù), il riferimento contenuto nell’art. 5, comma 1 bis dovrebbe includere tutte le controversie che hanno ad

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oggetto l’accertamento, la costituzione, la modifica o l’estinzione del diritto, e così le azioni di rivendicazione e quelle poste a tutela del proprietario (distanze, confini, immissioni), mentre dovrebbero rimanere estranee le controversie relative al trasferimento dei beni (mobili e immobili) che traggono origine da un rapporto contrattuale, così come quelle relative all’esecuzione e/o risoluzione di un contratto preliminare di compravendita. Il riferimento alla materia del condominio va invece integrato con quanto oggi dispone l’art. 72 delle disp. att. c.c. in forza del quale devono includersi in questa materia tutte le controversie derivanti dalla violazione o dalla errata applicazione delle disposizione del Libro III, Titolo VII, Capo II del codice civile e degli artt. da 61 a 72 delle disp. att. (comprese dunque le liti tra condominio e amministratore, quelle in materia di impugnazione delle delibere nonché quelle sulle spese, oltre che su tutte le altre materie richiamate dalle citate disposizioni): controversie per le quali il condominio può stare in mediazione per mezzo dell’amministratore, previamente autorizzato dall’assemblea.Alcune incertezze riguardano poi l’ambito delle controversie in materia di contratti bancari, finanziari e assicurativi (per la cui soluzione la mediazione si affianca ad altri procedimenti di adr: ed in particolare alla conciliazione CONSOB e alla procedura dell’ABF nelle materie di rispettiva competenza); rientrano, infatti, certamente in queste materie le controversie che traggono origine da rapporti di natura bancaria (quali devono intendersi quelli concernenti le obbligazioni che scaturiscono da un contratto bancario), assicurativa o finanziaria; non dovrebbero invece soggiacere all’obbligo di mediazione le controversie attinenti a rapporti di garanzia (come ad. esempio quelle in materia di fideiussione, ancorché prestate in favore di un istituto bancario), mentre la giurisprudenza ha espresso posizioni discordanti con riferimento alla azione revocatoria proposta dalla banca (secondo alcuni tribunali soggetta a mediazione obbligatoria, secondo altri no, trattandosi di controversia attinente alla garanzia del credito e non al rapporto bancario).Per completare il catalogo delle controversie sottoposte alla mediazione obbligatoria, occorre ancora ricordare quelle in materia di risarcimento per diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità (riferimento che include – secondo le prime pronunce edite – tutte le fattispecie nelle quali la diffamazione sia avvenuta avvalendosi di un mezzo di comunicazione rivolto ad un pubblico di destinatari e non anche quelle avvenute tramite messaggi privati) e quelle in materia di responsabilità medica e sanitaria; a quest’ultimo riguardo, occorre anzi ricordare che il riferimento alla materia sanitaria è stato opportunamente inserito nel 2013 al fine di comprendere, accanto alle liti aventi ad oggetto le pretese risarcitorie formulate nei confronti del medico, anche quelle promosse nei confronti del personale ausiliario dell’ospedale o della struttura sanitaria pubblica o privata, a prescindere dalla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità.

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13Dalla domanda al primo incontro di mediazione

Va tuttavia tenuto presente che nel momento in cui si scrive è in corso di approvazione in Parlamento un disegno di legge di riforma dell’intera disciplina della responsabilità medico–sanitaria che potrebbe portare alla abrogazione della disciplina della mediazione obbligatoria e alla sua sostituzione con un procedimento – parimenti obbligatorio – di consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della lite.

D) La mediazione delegata: applicazione della disciplina in primo grado ed in appelloLa riforma del 2013 ha reso “obbligatoria” anche la mediazione delegata o demandata da giudice; prevede infatti, il nuovo comma 2 dell’art. 5 che il giudice, tanto in primo grado quanto in appello e fino alla precisazione delle conclusioni, possa disporre l’esperimento del procedimento di mediazione (e non più solo invitare le parti a promuoverlo, come nel testo originario del 2010) stabilendo altresì che quando ciò avvenga l’esperimento della mediazione costituisce (al pari di quanto previsto per le ipotesi di cui al comma 1 bis) condizione di procedibilità della domanda. L’esercizio di questo potere è subordinato all’esito positivo di una valutazione di mediabilità rimessa al giudice: dispone infatti il comma 2 dell’art. 5 che il giudice può ordinare la mediazione dopo aver valutato la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, il che significa che spetta al giudice verificare, in relazione alle circostanze del caso concreto, l’opportunità di ricorrere alla mediazione anche quando le parti si sono già determinate a promuovere il giudizio ed anche quando (secondo alcune recenti sentenze) le parti abbiano già inutilmente esperito un tentativo obbligatorio di mediazione. Dalle statistiche ministeriali emerge un uso ancora piuttosto limitato di questo strumento (pari a circa il 10% del totale delle mediazioni) presumibilmente poco apprezzato dai giudici e scarsamente valorizzato nelle sue potenzialità; le stesse statistiche registrano tuttavia un trend di crescita importante, evidenziando specie nell’ultimo periodo un aumento esponenziale dei casi di mediazione delegata più che triplicati nel corso del 2015 (v. statistiche ministeriali 2016). La lettura di alcuni recenti provvedimenti pronunciati ai sensi dell’art. 5, comma 2 rivela d’altro canto, una significativa evoluzione nell’uso di questo strumento ed un impiego particolarmente incisivo della mediazione delegata ,specie da parte di alcuni uffici giudiziari: non solo, infatti, alcuni Tribunali (ed anche alcune Corti di appello: v. ad es. da ultimo quella di Milano che, con ordinanza del 22.3.16, ha inviato in mediazione le parti nel giudizio di appello concernente una controversia in materia di cessione di crediti; v. anche Corte di Appello di Firenze, ord. 2.10.15) hanno iniziato ad esercitare in modo frequente il potere conferito dall’art. 5, comma 2 bis, ma lo hanno fatto ponendo paletti particolarmente stringenti al fine di soddisfare la condizione di procedibilità: è soprattutto con riferimento alle mediazioni demandate ex art. 5, comma 2, infatti, che i Giudici hanno iniziato a pretendere lo svolgimento effettivo della mediazione, specificando nelle ordinanze di invio in mediazione che le parti debbano partecipare personalmente all’incontro

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informativo e, salva l’esistenza di oggettivi motivi di impossibilità, debbano anche proseguire nella mediazione vera propria, senza limitarsi a presenziare all’incontro informativo (v. infra).Alcuni giudici, in effetti, si sono spinti ancora oltre: così ad esempio in alcuni casi il giudice ha esercitato il potere di cui al comma 2, dopo aver formulato una proposta conciliativa ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c., sollecitando le parti a tentare la mediazione alla luce di quella proposta (v. Trib. di Santa Maria Capua Vetere, ord. 22.2.16). Altre volte invece, i giudici, inviando le parti in mediazione, hanno fornito istruzioni specifiche per il mediatore, invitandolo – a seconda dei casi – a dare atto delle posizioni assunte dalle parti nella mediazione o – come ad es. ha fatto Trib. Roma (con ordinanza del 4.4.16) – a disporre consulenze tecniche (v. anche Trib. di Bari, ord. 26.2.16) o ancora a formulare, nel caso di mancato accordo, proposte utili ai fini dell’applicazione dell’art. 13 del d. legisl. 28/2010 (v. Trib. Ascoli Piceno, ord. 22.12. 15; Giudice di Pace di Buccino, ord. 25.1.16; Trib. Siracusa, 22.2.16).Per quanto ispirate alla volontà di promuovere la mediazione, queste ultime prassi destano qualche perplessità: un intervento così incisivo del giudice nella mediazione (spinto fino ad indicare al mediatore il percorso da seguire nella procedura) rischia, infatti, di compromettere l’autonomia e l’alternatività di questo strumento, alterando al contempo il ruolo del mediatore cui vengono delegati compiti ulteriori rispetto a quelli di facilitatore della soluzione conciliativa. Se dunque un ulteriore sviluppo della mediazione delegata è certamente auspicabile, tanto con riferimento ai giudizi di primo grado quanto a quelli pendenti in appello (dove maggiore è il tempo di definizione del processo), è però opportuno che ciò avvenga nel rispetto dell’autonomia e della alternatività dei due strumenti, circoscrivendo al massimo le contaminazioni tra l’uno e l’altro contesto di risoluzione del conflitto.

E) La mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivoDispone l’art. 5 comma 3 che la condizione di procedibilità di cui al comma 1 bis e comma 2 non opera qualora le parti si avvalgano di uno dei procedimenti speciali ivi elencati proponendo la domanda nelle forme del procedimento monitorio, del procedimento per convalida di sfratto, del procedimento possessorio o del rito camerale, ovvero esercitando l’azione civile in sede penale o proponendo ricorso per una consulenza preventiva di cui all’art. 696 bis c.p.c.; dispone poi il successivo comma 4 che l’obbligo di mediazione non preclude la concessione delle misure cautelari né impedisce la trascrizione della domanda.La norma vuole evidentemente privilegiare le esigenze di celerità sottese ai procedimenti speciali sopra richiamati, consentendo alla parte – ove ne ricorrano i presupposti – di ottenere la tutela speciale richiesta in tempi rapidi e senza dover preventivamente esperire il tentativo di mediazione. Nella maggior parte dei casi, la disposizione in esame prevede però anche che la condizione di procedibilità torni

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15Dalla domanda al primo incontro di mediazione

ad operare una volta conclusa la fase urgente o sommaria: così accade ad esempio nel caso dei procedimenti cautelari e possessori, ottenuti i quali la parte che intende esercitare la azione di merito dovrà preliminarmente attivare la mediazione. Analoga considerazione vale per il procedimento per decreto ingiuntivo; in forza di quanto dispone l’art. 5, comma 3 il creditore può, infatti, senza preventivamente esperire la mediazione, chiedere ed ottenere (ove ne ricorrano i presupposti) il decreto ingiuntivo ed allo stesso modo il debitore può proporre l’opposizione senza dover attivare la mediazione, ancorché il credito opposto tragga origine da uno dei rapporti indicati nel comma 1 bis. La condizione di procedibilità torna tuttavia ad operare una volta radicata l’opposizione: dopo aver pronunciato i provvedimenti sull’esecutorietà del decreto ai sensi dell’art. 648 c.p.c., cioè, il giudice – qualora la controversia riguardi una delle materie di cui al comma 1 bis – dovrà infatti concedere alle parti il termine di quindici giorni per depositare la domanda di mediazione, rinviando l’udienza per il tempo utile a consentire lo svolgimento della procedura.La disciplina in esame non chiarisce tuttavia quale delle due parti (se il debitore opponente o il creditore opposto) abbia l’onere di attivare la mediazione; nel silenzio della norma, alcuni tribunali hanno così ritenuto che l’onere di proporre la mediazione gravi sul creditore opposto (in quanto parte che ha proposto la domanda di pagamento: v. ad es. Trib. Varese, 18.05.12; Trib. Ferrara 7.1.15; Trib. Cuneo 1.10.15); secondo altri, invece, detto onere graverebbe sull’opponente (in quanto parte che ha proposto il giudizio di opposizione: v. ad es. tra le altre Trib. Milano, sentenza 9.12.15; Trib. Firenze 31.10.14; Trib. Rimini, 14.07.2014 e 19.11.2014; Trib. di Nola, 24.2.15; Trib. di Bologna, sentenza 20.1.15); quest’ultima soluzione è stata da ultimo accolta dalla Cassazione che nella sentenza del 3.12.15 n. 24629 ha ritenuto che l’onere debba ricadere sul debitore il quale, proponendo l’opposizione ha “scelto la soluzione più dispendiosa ed osteggiata dal legislatore... precludendo la via breve per percorrere la via lunga”. Nonostante l’autorevolezza della pronuncia, l’incertezza non è stata definitivamente superata; alcuni Tribunali (v. in part. Trib. Firenze, 17.1.16 e 15.2.16) non condividendone le motivazioni, hanno infatti preso le distanze dalla posizione accolta dalla Suprema Corte ed hanno ancora una volta sostenuto che l’onere gravi sul creditore quale parte che ha proposto la domanda giudiziale, ancorché poi abbia assunto la veste formale di convenuto nel giudizio di opposizione.La questione è tutt’altro che teorica ed è anzi densa di implicazioni pratiche: aderendo alla soluzione accolta dalla Cassazione deve, infatti, ritenersi che, qualora la mediazione non venga tempestivamente attivata o correttamente esperita, il giudice dell’opposizione debba dichiarare improcedibile l’opposizione stessa, con conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo (v. Trib. Milano 9.12.15; Trib. di Nola, 3.3.16; Trib. Reggio Emilia, 21.1.16; Trib. di Verbania, 22.3.16); le conclusioni sono opposte, qualora si privilegi l’altra soluzione: gli effetti del mancato

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esperimento della mediazione dovranno, infatti, in questo caso farsi ricadere sul creditore, con la conseguenza che il giudice – rilevato il mancato soddisfacimento della condizione di procedibilità – dovrebbe dichiarare improcedibile l’intero giudizio revocando, con sentenza il decreto ingiuntivo opposto (v. Trib. Grosseto, 7.6.16; Trib. Firenze, 17.1.16 e 15.2.16). Considerate le gravi ripercussioni della questione, particolarmente auspicabile appare dunque un intervento chiarificatore da parte del legislatore che, anche attraverso una modifica del testo normativo, stabilisca una volta per tutte la modalità applicativa della condizione di procedibilità nei giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

F) La mediazione tardivaLe norme che sono state ricordate pongono anche ulteriori questioni interpretative che – almeno in alcuni casi – si sovrappongono a quelle fin qui esaminate: intendo riferirmi in particolare alla questione, anch’essa controversa, della natura del termine di quindici giorni che il giudice deve fissare ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis e comma 2 per consentire l’espletamento della mediazione utile a soddisfare la condizione di procedibilità; si tratta di una questione di portata generale che riguarda tutte le ipotesi in cui il giudice richieda l’esperimento della mediazione, ma che assume rilevanza particolare nel caso in cui ciò avvenga nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Come già ricordato, il giudice che abbia rilevato il mancato esperimento della mediazione, in applicazione dell’art. 5 comma 1 bis o che abbia disposto la mediazione delegata ai sensi del comma 2, deve rinviare l’udienza ed assegnare alle parti un termine per dare avvio alla mediazione; secondo alcuni tribunali quel termine sarebbe ordinatorio, con la conseguenza che la parte potrebbe depositare la domanda anche oltre la sua scadenza, fermo restando che la mediazione dovrà essere compiutamente esperita prima dell’udienza successiva (Trib. Pavia, 14.10.15); altri tribunali invece – sulla scorta di una interpretazione particolarmente rigorosa della disposizione in esame – hanno ritenuto che detto termine abbia natura perentoria e che di conseguenza qualora la domanda di mediazione sia stata depositata dopo la sua scadenza, il giudizio dovrà ritenersi improcedibile, anche se la mediazione sia poi stata attivata e si sia comunque conclusa (Trib. Firenze 4.8.15); qualora poi il termine sia stato assegnato nel corso del giudizio di opposizione la conseguenza sarà l’improcedibilità della sola opposizione ovvero quella dell’intero giudizio promosso con il ricorso, a seconda che si aderisca alla tesi della Cassazione o a quella – accolta da altra parte della giurisprudenza di merito – secondo cui l’onere di attivare tempestivamente la mediazione grava sul creditore.Anche su questo aspetto sarebbe dunque opportuno un chiarimento legislativo in attesa del quale pare comunque preferibile aderire alla prima delle soluzioni indicate, anche in considerazione del principio contemplato dall’art. 152 del c.p.c in forza del quale i termini si considerano ordinatori salvo che la legge stessa li

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17Dalla domanda al primo incontro di mediazione

qualifichi espressamente come perentori: qualificazione che evidentemente manca nell’art. 5, comma 1 bis che – come si è visto – si limita ad indicare il termine di 15 giorni, senza fornire ulteriori specificazioni.

G) La mediazione davanti ad organismo incompetenteAl fine di soddisfare la condizione di procedibilità la domanda di mediazione deve essere depositata presso un organismo iscritto nel registro ministeriale; la riforma del 2013 – modificando l’art. 4 del d. legisl. 28/2010 – ha tuttavia introdotto uno specifico criterio di “competenza” stabilendo che la domanda debba essere depositata presso un organismo avente sede nel luogo del giudice che sarebbe competente a decidere la controversia. La parte che intende proporre una mediazione dovrà pertanto preliminarmente individuare il Tribunale competente per l’eventuale causa di merito e quindi depositare la domanda di mediazione presso un organismo che abbia la sua sede (anche secondaria) nel circondario del tribunale stesso: così ad esempio nel caso di divisioni ereditarie o di controversie successorie, la domanda dovrà essere proposta dinanzi al giudice del luogo dove si è aperta la successione (indipendentemente dalla collocazione dei beni caduti in comunione o successione), mentre nel caso di controversie in materia di diritti reali, di locazione, di comodato e di affitto di azienda si dovrà avere riguardo (ai sensi dell’art. 21 c.p.c.) al luogo in cui si trova il bene immobile; nel caso di controversie condominiali vale poi la regola espressamente prevista dall’art. 72 disp. att. c.c. (in coerenza con quanto previsto dall’art. 23 c.p.c.), in forza della quale la domanda andrà proposta ad un organismo avente sede nel circondario del Tribunale in cui si trova il condominio; mentre per le altre controversie in materia contrattuale troveranno applicazioni le regole ordinarie in materia di competenza, potendo la parte scegliere tra più organismi aventi sedi in luoghi diversi, nel caso in cui vi siano più fori concorrenti.Pur nella sua apparente semplicità, anche questa norma lascia irrisolte alcune questioni, la prima delle quali attiene alle conseguenze della sua violazione. A questo riguardo è opportuno compiere una distinzione: nessuna conseguenza dovrebbe, infatti, discendere dalla scelta di un organismo avente sede in un luogo diverso da quello indicato nel comma 4 nel caso di accordo tra le parti in tal senso; così ad esempio qualora le parti depositino congiuntamente la domanda o qualora la parte chiamata dinanzi ad un organismo di mediazione “incompetente” partecipi all’incontro senza sollevare obiezioni, la mediazione dovrebbe ritenersi perfettamente valida ed efficace sia che si concluda senza conciliazione (essendo comunque soddisfatta la condizione di procedibilità), sia che si concluda con l’accordo conciliativo che sarà certamente valido, potendo anche spiegare piena efficacia esecutiva. Le conseguenze parrebbero invece diverse nel caso in cui la parte chiamata non aderisca al procedimento (rifiutando espressamente o non partecipando all’incontro);

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secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, in questo caso, la domanda di mediazione dovrebbe considerarsi inefficace e dunque non idonea a soddisfare l’obbligo del preventivo esperimento della mediazione o a sanare l’improcedibilità, nel caso di mediazione disposta nel corso del giudizio anche ai sensi del comma 2 bis (v. Trib. Milano, 29.10.13; Trib. Napoli, 14.3.16). Ne consegue pertanto che, qualora la mediazione si sia svolta inutilmente dinanzi ad un organismo “incompetente” prima dell’inizio del giudizio, il giudice – rilevato il mancato esperimento della mediazione – dovrà assegnare alle parti termine per iniziare la mediazione (dinanzi ad organismo competente). Qualora invece la mediazione venga attivata dopo l’inizio del processo, a seguito del rilievo del giudice (come accaduto ad es. nella fattispecie decisa dal Trib. Napoli), l’errore nella individuazione dell’organismo, impedendo il soddisfacimento della condizione di procedibilità, potrà comportare la definitiva chiusura del processo. Non mi pare tuttavia che questa interpretazione – che evidentemente impone alla parte che ha interesse alla prosecuzione del giudizio di valutare attentamente la scelta dell’organismo – valga anche a configurare in capo al mediatore (o all’organismo) un onere di rilevare l’eventuale incompetenza: al riguardo mi pare anzi possa tuttora condividersi l’opinione a suo tempo espressa dal CNF (nella circolare del 22 novembre 2013, n. 25 C) secondo cui “Né l’ODM né il mediatore sono tenuti a rilevare l’incompetenza territoriale: sarà onere della parte, eventualmente, farlo, ma certamente sia l’ODM che il mediatore possono richiamare l’attenzione delle parti sul punto, fermo restando la sola responsabilità della parte o del suo avvocato, nella scelta dell’ODM”.Altra questione posta dalla previsione contenuta nell’art. 4 attiene alla applicazione della disposizione nel caso in cui giudice competente per il merito della controversia sia il giudice di pace: potrebbe accadere, infatti, che all’interno del mandamento di quel giudice non vi siano organismi, potendosi ipotizzare che in questo caso – al fine di soddisfare la condizione di procedibilità – la parte possa rivolgersi ad un organismo avente sede nel circondario del Tribunale all’interno del quale è compreso anche il mandamento del giudice di pace competente.

H) La domanda di mediazione: forma ed effettiL’art. 5, nel suo ultimo comma, stabilisce che la domanda di mediazione, comunicata all’altra parte produce gli stessi effetti della domanda giudiziale sulla prescrizione ed impedisce altresì la decadenza per una sola volta, dovendo però la domanda stessa essere tempestivamente proposta, nel caso di mancato accordo, entro il medesimo termine decorrente dal deposito del verbale di chiusura della mediazione. Anche in questo caso la norma – ispirata all’esigenza di favorire la mediazione (evitando che il tempo necessario al suo svolgimento vada a detrimento dei diritti delle parti) – ha dato luogo ad alcune delicate questioni interpretative: la giurisprudenza ha così avuto modo di chiarire, in primo luogo, che la norma ha carattere generale e dunque si

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19Dalla domanda al primo incontro di mediazione

applica sia nel caso di mediazione obbligatoria sia nel caso di mediazione facoltativa, valendo in entrambi i casi la comunicazione della domanda a produrre gli effetti indicati sulla prescrizione e sulla decadenza (Trib. di Perugia, ordinanza 2.3.16).Con particolare riguardo alla decadenza, si è posto poi il problema della corretta interpretazione della disposizione: secondo una parte della giurisprudenza, infatti, la norma varrebbe ad introdurre una sorta di sospensione del termine di decadenza che, una volta fallita la mediazione, riprenderebbe a decorrere (così ad es. nel caso in cui la domanda di mediazione riguardi l’impugnazione di una delibera condominiale, la comunicazione all’amministratore sospenderebbe il termine di 30 giorni, dovendo tuttavia il condomino, nel caso di mancato accordo, agire in giudizio nel termine residuo che potrebbe dunque anche essere molto breve, qualora la domanda di mediazione sia stata depositata nell’imminenza della scadenza: v. Trib. Palermo 18.9.2015); diversa è invece e certamente più apprezzabile la soluzione accolta da altra parte della giurisprudenza e dalla stessa Cassazione (nella sentenza n. 17781 del 2013) che ha ritenuto che a seguito della domanda di mediazione il termine di decadenza venisse interrotto, ricominciando poi a decorrere ex novo nel caso di mancato accordo.In ogni caso ai fini della produzione degli effetti indicati dalla norma non è sufficiente il mero deposito della domanda presso l’organismo ma occorre anche la comunicazione all’altra parte (con mezzo idoneo a provarne la ricezione); quanto poi alla individuazione della data del deposito del verbale di mancata conciliazione (data dalla quale il termine di decadenza riprende a decorrere) si ritiene che debba aversi riguardo alla data in cui il mediatore sottoscrive il verbale di mancata conciliazione, salvo diversa indicazione nel regolamento dell’organismo prescelto.

1.2 Il primo incontro di mediazione

A) Le regole di partecipazione: parti senza avvocati, avvocati senza partiLa disciplina del primo incontro è contenuta nell’art. 8 primo comma del d. legisl. 28/2010. La norma è stata introdotta con la riforma del 2013 che, ripristinando la mediazione obbligatoria, ha profondamente inciso sul suo funzionamento prevedendo che il procedimento si apra con un primo incontro informativo durante il quale il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, invitandole poi ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione; dispone ancora l’art. 5, comma 2 bis che, quando la mediazione è obbligatoria (ai sensi del comma 1 bis o del comma 2), la condizione di procedibilità si considera avverata se le parti non raggiungono un accordo all’esito del primo incontro, prevedendo infine l’art. 17, comma 5 ter che, nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro nessun compenso è dovuto all’organismo di mediazione.Molte sono le questioni sollevate dal complesso delle disposizioni in esame cui la giurisprudenza più recente ha assegnato un ruolo centrale nel funzionamento della mediazione e nella corretta applicazione della condizione di procedibilità.

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La prima di dette questioni riguarda le regole di partecipazione al “primo incontro”: a partire dalla ordinanza del Tribunale di Firenze del 19 marzo 2014, seguita da numerose pronunce di altri uffici giudiziari (v. ad es. Trib. Bologna 5.6.14), si è diffusa in giurisprudenza l’interpretazione secondo cui – per soddisfare la condizione di procedibilità – le parti avrebbero l’onere di partecipare personalmente al primo incontro con il mediatore, non essendo sufficiente la presenza del solo avvocato ancorché munito di procura a transigere e conciliare conferita dalla parte (Trib. Vasto 9.3.15). Secondo questa interpretazione la partecipazione alla mediazione sarebbe, infatti, attività riservata alle parti con le quali il mediatore – nel corso del primo incontro – dovrebbe poter entrare il contatto immediato e diretto; l’avvocato, dal canto suo, pur dovendo essere presente al primo incontro (anche al fine di soddisfare la condizione di procedibilità: v. Trib. Torino 30.3.16, v. anche infra) dovrebbe conservare un ruolo di assistenza nella procedura, non potendosi sostituire alla parte, né rappresentarla agli incontri.Secondo la giurisprudenza citata, d’altronde, non avrebbe senso la disciplina dettata dall’art. 8 nella parte in cui richiede al mediatore di illustrare la natura e le modalità di funzionamento della mediazione se questa attività potesse svolgersi alla sola presenza degli avvocati (che già dovrebbero conoscere la mediazione, quali mediatori di diritto); mentre la funzione del primo incontro, in tanto potrebbe acquistare significato, in quanto il mediatore abbia l’opportunità di interloquire direttamente con le parti per illustrare loro lo scopo del suo intervento e le modalità che intende seguire per promuovere la mediazione.Da questa premessa discendono poi una serie di corollari: nel caso in cui la mediazione si sia svolta prima del giudizio con la partecipazione dei soli avvocati (ancorché muniti di procura), il giudice – alla prima udienza – dovrebbe rilevare il mancato soddisfacimento della condizione di procedibilità e quindi fissare il termine per proporre nuovamente la domanda di mediazione alla quale le parti dovranno partecipare personalmente assistite dai rispettivi avvocati (così ad es. Trib. Vasto 9.3.15; Trib. Pavia 9.3.15; v. anche Trib. Modena, 2.5.16). Coerentemente con quanto osservato fin qui, qualora la mediazione sia stata disposta nel corso del giudizio – a seguito del rilievo del mancato esperimento preventivo ovvero in applicazione dell’art. 5 comma 2 – le conseguenze della mancata partecipazione personale potrebbero essere ancora più gravi, posto che la condizione di procedibilità potrebbe non ritenersi soddisfatta ed il giudice – cui non sarebbe consentito di inviare nuovamente le parti in mediazione – dovrebbe chiudere il giudizio come se il tentativo non fosse stato esperito (come ad es. ha ritenuto il Giudice di Pace di Nocera, sentenza 17.3.16).Come correttamente osservato peraltro, le conseguenze saranno diverse qualora a non partecipare personalmente sia la sola parte chiamata in mediazione, essendo invece la parte istante intervenuta ritualmente all’incontro: in questo caso, infatti, il

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giudice non dovrà rilevare la improcedibilità (non essendo consentito al convenuto, con il proprio comportamento, di intralciare lo svolgimento del giudizio), ma potrà sanzionare il convenuto ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 8, anche condannandolo al pagamento di una somma pari al contributo unificato dovuto (così ad es. Trib. Vasto 9.3.15)Ulteriore corollario che discende da questa interpretazione riguarda più direttamente il mediatore; secondo alcuni giudici infatti, il compito di assicurare la partecipazione personale delle parti all’incontro di mediazione spetterebbe, almeno in primo battuta, al mediatore “quale garante del regolare svolgimento del procedimento” (così ancora Trib. Vasto 9.3.15); ciò significa che, qualora al primo incontro siano presenti i soli avvocati, il mediatore non potrebbe legittimamente chiudere il procedimento, ma dovrebbe sollecitare la partecipazione personale delle parti, dandone atto a verbale e disponendo, ove occorra, idoneo rinvio del primo incontro; solo se nemmeno questa sollecitazione sortisca effetti, il mediatore potrebbe chiudere la procedura (dando atto del rifiuto interposto da una o da entrambe le parti ad intervenire personalmente) dovendo e potendo a questo punto il giudice trarre del comportamento delle parti le conseguenze di cui si è detto.Le regole di partecipazione fin qui illustrate non dovrebbero comunque impedire alla parte che non possa partecipare personalmente all’incontro di farsi rappresentare da un soggetto diverso dall’avvocato; sulla base del ragionamento seguito fin qui è tuttavia opportuno che il rappresentante – oltre ad essere munito del potere di transigere e conciliare – sia anche a conoscenza diretta dei fatti controversi, potendo – al pari della parte – esprimersi sulla possibilità di proseguire la mediazione oltre che sul merito del conflitto.Quanto alla forma della procura, dovrebbero valere le regole generali: ciò significa che la procura dovrà essere autenticata qualora l’atto da compiere ed in particolare l’accordo conciliativo debba essere autenticato, mentre negli altri casi sarà sufficiente una semplice procura scritta (accompagnata dal documento di identità del rappresentante e del rappresentato); regole diverse potrebbero tuttavia essere previste nei regolamenti degli organismi di mediazione alcuni dei quali richiedono sempre la procura notarile, in difetto della quale il rappresentante non potrebbe legittimamente partecipare all’incontro in rappresentanza della parte. B) La presenza degli avvocatiConsiderazioni ulteriori merita l’ipotesi, opposta a quella fin qui considerata, in cui all’incontro di mediazione sia presente la parte personalmente, senza l’assistenza dell’avvocato; premesso al riguardo che secondo l’interpretazione accolta anche dal Ministero l’obbligo dell’assistenza riguarda le sole ipotesi di mediazione obbligatoria (anche delegata), e non anche le procedure facoltative, pare corretto ritenere che: – 1) nei casi di mediazione obbligatoria, il mediatore dovrebbe sempre informare la parte della necessità dell’assistenza, disponendo ove occorra idoneo

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rinvio al fine di consentirle di munirsi di un avvocato; 2) qualora la parte non intenda munirsi dell’avvocato, la sua partecipazione alla mediazione dovrebbe considerarsi “inefficace” e dunque – a seconda dei casi – inidonea a soddisfare la condizione di procedibilità o ad impedire la pronuncia delle sanzioni di cui all’art. 8, u.c.; 3) salva diversa previsione dei regolamenti, tuttavia, qualora entrambe le parti siano d’accordo per procedere nella mediazione, il mediatore potrebbe comunque proseguire nella mediazione, dovendo però previamente informare le parti delle conseguenze che potrebbero derivare da questa scelta: oltre a quanto ricordato sub 2), infatti, occorre tenere presente che, nel caso in cui la parte non sia assistita dall’avvocato, l’eventuale accordo conciliativo non potrà beneficiare del regime di esecutività immediata previsto dal comma 1 dell’art. 12, né – secondo alcuni – potrà ottenere l’omologa del Tribunale a ciò ostando la “irregolarità” commessa dalle parti nelle modalità di partecipazione). Occorre ancora ricordare che le norme che impongono l’assistenza tecnica in mediazione richiamano sempre la figura dell’avvocato; nulla è detto nel decreto 28/2010 con riguardo alla possibilità che l’assistenza tecnica sia assicurata da un avvocato stabilito, come invece può accadere nel procedimento di negoziazione assistita nel quale, ai sensi dell’art 2 del D.L. 132/2014, conv. in l. 162/14 le parti possono farsi assistere da “avvocati iscritti all’albo anche ai sensi del d. legisl 96/2001”. Poiché peraltro le limitazioni previste per l’esercizio della professione riguardano essenzialmente le attività giudiziali, non dovrebbero esserci ostacoli ad ammettere l’assistenza in mediazione da parte di un abogado o altro avvocato stabilito, potendo il dubbio riguardare semmai la possibilità per quest’ultimo di sottoscrivere l’eventuale accordo al fine di munirlo dell’efficacia esecutiva. Ci si è domandati infine se l’obbligo di assistenza tecnica in mediazione valga anche nelle ipotesi in cui l’assistenza non è necessaria nel giudizio, e così in particolare qualora la controversia sia di competenza del giudice di pace ed abbia valore inferiore ai 1100 euro (cfr. art. 82 c.p.c.); poiché il decreto 28 non contiene alcuna limitazione, sembra tuttavia corretto ritenere sempre necessaria la presenza dell’avvocato in mediazione, ancorché si tratti di conclusione problematica, se non altro per i maggiori costi che impone alle parti.Il problema si collega, d’altro canto, ad altra e più generale questione che riguarda i costi dell’assistenza tecnica in mediazione: il decreto 28/2010 – pur imponendo l’assistenza tecnica – nulla dispone con riferimento alla possibilità per le parti di usufruire del patrocinio a spese dello Stato, limitandosi a prevedere che qualora la parte possegga i requisiti per accedere a questo beneficio, nessuna indennità è dovuta all’organismo di mediazione (nel solo caso, peraltro, di mediazione obbligatoria). Nel silenzio della norma, si può comunque ricordare la pronuncia del Tribunale di Firenze del 13.1.15 (rimasta, però, allo stato isolata) che ha ammesso al beneficio la parte anche per le spese sostenute per l’assistenza in mediazione

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(liquidando il compenso sulla base dei parametri previsti per l’attività stragiudiziale), in considerazione della forte connessione tra fase mediativa e processo e senza distinzioni a seconda del risultato positivo o negativo della mediazione.

C) La prosecuzione oltre il primo incontro: possibilità o volontà?L’intervento della giurisprudenza si è manifestato anche in un’altra ed altrettanto incisiva direzione: ancora una volta il Tribunale di Firenze seguito, negli ultimi mesi, da numerosi altri Tribunali (e ora anche dalle Corti d.’Appello: v. Corte di Appello di Firenze, ordinanza 2.10.15), ha infatti, accolto una lettura particolarmente stringente all’art. 8 ritenendo che da tale norma emerga – oltre all’obbligo di iniziare il procedimento e, alle condizioni sopra descritte, di partecipare al primo incontro – anche quello, ulteriore, di proseguire la mediazione oltre il primo incontro, pena – anche in questo caso – il mancato soddisfacimento della condizione di procedibilità.L’affermazione ricorre con particolare frequenza nelle ipotesi di mediazione demandata ai sensi dell’art. 5, comma 2: in questi casi, si ritiene, infatti, che il giudice abbia già compiuto, nel contraddittorio delle parti, una valutazione di mediabilità della lite prima di inviare le parti in mediazione: valutazione che le parti non potrebbero disattendere rifiutando senza giustificato motivo di accedere alla vera e propria mediazione (in tal senso v. spec. Trib. Firenze 19 marzo 2014; Tribunale di Milano, ordinanza 27.4.2016). Analoga conclusione tuttavia è stata di recente condivisa anche per i casi di mediazione obbligatoria ex lege, avendo taluni giudici ritenuto che nemmeno l’obbligo posto dall’art. 5, comma 1 bis possa considerarsi soddisfatto qualora le parti abbiano partecipato unicamente all’incontro informativo, manifestando in quella sede la loro indisponibilità a proseguire nella mediazione (Trib. Pavia 9.3.15; Trib. Vasto 9.3.15; Trib. Roma sez. III 19.2.15; Trib. Roma, 14.12.15). Ad avviso di questa giurisprudenza, l’art.8 – così come formulato nel 2013 – non attribuirebbe affatto alle parti la facoltà di scegliere se proseguire o meno la mediazione; ma si limiterebbe a subordinare la prosecuzione della mediazione ad una valutazione oggettiva di possibilità; ne consegue pertanto che sarebbe contrario alla ratio della previsione ritenere che le parti possano soddisfare la condizione di procedibilità (creata dal giudice o dalla legge) partecipando al solo primo incontro e manifestando in quella sede la loro volontà di non proseguire. Al contrario – per soddisfare efficacemente la condizione di procedibilità – le parti sarebbero tenute ad andare oltre il primo incontro e ad “entrare” a tutti gli effetti in mediazione, salva solo l’esistenza di ragioni oggettive di impossibilità o di questioni pregiudiziali (quali potrebbero essere un impedimento fisico della parte o la mancanza di un litisconsorte necessario), che effettivamente precludano la possibilità di proseguire la mediazione, consentendo in tal caso al giudice di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità.Anche da questa lettura dell’art. 8 la giurisprudenza fa poi discendere ulteriori importanti corollari; seguendo questa interpretazione, infatti, il mediatore, all’esito

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del primo incontro, non potrebbe limitarsi a dare atto della volontà delle parti di non proseguire la mediazione, ma – dopo aver chiarito loro le conseguenze dell’eventuale rifiuto – dovrebbe indicare nel verbale quale delle parti non intende effettivamente proseguire, riportando altresì le ragioni (oggettive o soggettive) poste a giustificazione del rifiuto. I riflessi processuali di queste notazioni sarebbero poi diversi a seconda della parte che ha rifiutato di proseguire; nel caso in cui a non voler proseguire sia l’istante (e sempre che non ricorra una giustificazione oggettiva) la conseguenza dovrebbe essere il mancato soddisfacimento della condizione di procedibilità che potrebbe tradursi in una sentenza di improcedibilità tutte le volte in cui le parti siano state inviate in mediazione in pendenza del processo, ai sensi dell’art.5, comma 1 bis o comma 2 o nell’obbligo di attivare nuovamente e proseguire la mediazione negli altri casi.Il rifiuto di proseguire interposto dalla parte chiamata non inciderebbe invece sulla procedibilità della domanda (soddisfatta ogni qualvolta l’attivante abbia manifestato la propria volontà di proseguire), ma potrebbe rilevare ai fini della decisione sulle spese del successivo giudizio anche ai sensi dell’art. 96 c.p.c. oltre che – secondo alcune pronunce – ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 8, ultimo comma (Trib. di Roma, 26.5.16).Per completezza bisogna tuttavia anche ricordare che l’interpretazione di cui si è appena dato conto non risulta unanime in giurisprudenza (ed è comunque criticata dalla dottrina prevalente): al di là dei molti casi in cui i giudici non hanno nemmeno sollevato la questione, ritenendola evidentemente irrilevante, particolarmente significative risultano alcune pronunce che hanno preso le distanze da quella soluzione, affermando che la condizione è invece soddisfatta quando le parti abbiano regolarmente preso parte al primo incontro e, informate sulla mediazione, abbiano manifestato la volontà di proseguire la mediazione (v. Tribunale Taranto, sez. II, ord. 16.4.15); apprezzabile e convincente mi pare del resto anche la posizione assunta dal Tribunale di Verona che, pur dando atto dell’orientamento più rigoroso accolto da altri giudici, se ne è discostato ritenendo, in forza del combinato disposto dell’art. 8, comma 1 e dell’art. 5 comma 2 bis, a) che il primo incontro tra le parti e il mediatore abbia la funzione di verificare la volontà e disponibilità delle parti, informate sulla natura e funzione della mediazione cui il mediatore intende procedere, ad ‘autorizzare’ l’avvio della procedura, consentendo loro altresì di fornire le eventuali giustificazioni per non procedervi; b) che il primo incontro informativo non sia un momento estraneo alla ricerca dell’accordo e che la mediazione possa legittimamente chiudersi al primo incontro, qualora “le parti o una di esse non intendano tout court proseguire con la mediazione, ritenendo preferibile che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria; c) che la partecipazione effettiva della parte al procedimento di mediazione è e resta un fatto sostanzialmente incoercibile e non sanzionabile se non sul piano delle spese legali e nei limiti di cui alla legge, non potendo non riconoscersi alle parti, in

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qualsiasi momento del procedimento, la facoltà di sottrarvisi, sopportandone sì le conseguenze processuali ma non in chiave di improcedibilità della domanda, di dubbia compatibilità con l’art. 24 della Costituzione”.

D) Considerazioni di sintesi sulla verbalizzazione del primo incontroL’evoluzione giurisprudenziale di cui si è dato conto, pur nella sua attuale “instabilità” impone di formulare quale considerazione di sintesi in merito al ruolo del mediatore e ai doveri che sullo stesso incombono al fine di correttamente svolgere la sua funzione, specie nel primo incontro di mediazione.La giurisprudenza fin qui ricordata – pur con le ricordate oscillazioni – parrebbe, infatti, aver creato una serie di nuovi obblighi per il mediatore, incidendo in modo sensibile anche sul principio di riservatezza della mediazione previsto dagli artt. 9 e 10 del decreto 28/2010.Secondo quella giurisprudenza, infatti, il mediatore – lungi dal dover redigere un verbale stringato dell’incontro – dovrebbe dare atto accuratamente delle posizioni assunte dalle parti in quella sede e dei comportamenti tenuti in mediazione, affinché il giudice possa poi compiutamente tenerne conto ai fini della decisione della lite e dell’eventuale applicazione delle sanzioni previste dalla legge.Si sottolinea a questo riguardo che così facendo il mediatore non verrebbe comunque meno al dovere di riservatezza che riguarda le dichiarazioni rese dalle parti in merito ai fatti controversi e non anche i comportamenti tenuti dalle parti stesse in mediazione né tanto meno le circostanze verificatesi nel corso della mediazione.È ben noto tuttavia ai mediatori come nella pratica questa distinzione non sia sempre agevolmente tracciabile, specie quando le parti – per giustificare le proprie posizioni o i propri comportamenti – riferiscono circostanze di fatto oggetto di controversia. In questa prospettiva pare dunque opportuno suggerire al mediatore di procedure alla verbalizzazione del primo incontro con rigore e precisione e comunque nel rispetto dei principi imposti dal regolamento dell’organismo presso cui è chiamato ad operare: sarà dunque certamente consentito al mediatore, nel caso in cui le parti non siano presenti personalmente, dare atto nel verbale di tale circostanza così come della eventuale sollecitazione opportunamente rivolta agli avvocati affinché facciano intervenire i rispettivi clienti; allo stesso modo sarà possibile ed opportuno dare atto dell’eventuale rifiuto di partecipare personalmente all’incontro e delle ragioni che impediscono tale partecipazione. Quanto alla prosecuzione oltre al primo incontro, sarà certamente consentito al mediatore indicare nel verbale le eventuali diverse posizioni assunte al riguardo dalle parti e così in particolare indicare quale delle parti abbia manifestato la propria intenzione di proseguire senza riserve e quale di esse abbia invece opposto un rifiuto; mi pare tuttavia che qualora nessuna delle parti ritenga possibile o anche solo utile proseguire oltre il primo incontro, il mediatore debba dare atto di tale

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congiunta manifestazione di volontà, segnalando che le parti non hanno raggiunto un accordo sulla prosecuzione della procedura; allo stesso modo potrà concludersi il verbale qualora le parti non abbiano manifestato in modo univoco e senza riserve la volontà di proseguire (non essendo in tal caso possibile indicare quale delle due parti abbia fatto “fallire” l’incontro). Eventuali giustificazioni fornite dalle parti in merito alle ragioni della non prosecuzione invece, in tanto potranno essere verbalizzate in quanto non riguardino le circostanze di fatto oggetto di controversia che sono coperte dalla riservatezza, sempre che ovviamente non vi sia il consenso delle altre parti.

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27Dalla fine del primo incontro di mediazione all’accordo

2. Dalla fine del primo incontro di mediazione1

all’accordo (a cura di Alberto Del Noce)

2.1 Durata della mediazione

Terminato il primo incontro e verificato che esiste la possibilità di proseguire con la mediazione, le parti si possono trovare di fronte ad un quesito temporale: l’art. 6 del D. Lgs. 28/2010 prevede, infatti, che il procedimento di mediazione deve avere una durata non superiore a tre mesi. Tale termine decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa.Ma tra il deposito della domanda e la fissazione del primo incontro può anche trascorrere più di un mese. In materia condominiale, ad es., si arriva ad iniziare a discutere ben avanti nel tempo, vista la necessità per l’amministratore di convocare un’assemblea ad hoc per ottenere l’autorizzazione necessaria anche solo a presenziare al primo appuntamento. Non solo, ma spesso le questioni da trattare sono complesse e quasi sempre la procedura si articola in più di un incontro.Ed allora, se la mediazione ha una durata maggiore dei tre mesi di cui all’art. 6 cosa accade? L’accordo avrà tutte le caratteristiche (titolo esecutivo, etc.) e benefici (esenzione fiscale, ecc.) che la legge prevede? Il termine previsto per legge è perentorio ovvero solo ordinatorio?La norma non lo dice e, proprio per questo, proprio perché quando il legislatore ha voluto introdurre termini perentori lo ha sempre espressamente previsto, si può tranquillamente affermare che il termine trimestrale non ha natura vincolante. La perentorietà è poi qualificazione che si riferisce ai termini processuali e la mediazione non ha – come noto – tale natura. Un valido supporto viene offerto innanzitutto dalla Relazione Illustrativa al D. Lgs. 28/2010 ove possiamo leggere: “La Commissione giustizia del Senato ha chiesto, sul punto, di precisare la natura perentoria del termine e le conseguenze della sua violazione”. Entrambi i suggerimenti non sono stati accolti sia perché la perentorietà è qualificazione che si addice ai termini processuali, quale non è quello in esame, cui dunque non si applica la sospensione feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969 n. 742; sia perché le conseguenze dello spirare del termine sono già indicate nella ripresa dell’iter processuale”. E in favore della natura non perentoria del termine indicato dall’art. 6 si è anche espresso il Tribunale Roma (Sezione VIII civile, 22 ottobre 2014), che ha ritenuto che il limite temporale di tre mesi deve ritenersi strettamente connesso alla condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria: per il giudice romano la durata massima

1 Per le sentenze citate nel presente capitolo si rimanda al Massimario.

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del procedimento è stabilita dal legislatore solo allo scopo di evitare che le parti siano assoggettate sine die al divieto di rivolgersi all’Autorità Giudiziaria se non dopo aver fatto ricorso alla procedura di mediazione. “Ne consegue che tale limite temporale non può che operare esclusivamente per l’azionabilità delle domande in sede giudiziale e non, viceversa, costituire un limite temporale per la formazione dell’accordo”. Si deve quindi ritenere valido il procedimento di mediazione concluso oltre il termine di tre mesi nonché valido ed efficace l’accordo eventualmente raggiunto tra le parti oltre i novanta giorni.Non avendo la mediazione natura processuale, il termine dei tre mesi non è soggetto a sospensione feriale, anche nei casi in cui il giudice disponga il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1–bis dell’articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell’art. 5.

2.2 Comportamento delle parti ai fini del futuro giudizio

L’art. 8, comma 4 bis, prevede che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”. Ed all’art. 11, comma 4, leggiamo: “Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione”.Ebbene, la giurisprudenza ha posto in evidenza che queste due norme non si riferiscono solo al cd. primo incontro (che non è altro che un segmento della intera procedura), ma anche ad ogni ulteriore fase del procedimento2.Nel giudizio il Giudice deve infatti poter verificare se la mediazione si è svolta secondo lealtà e probità, onde poter eventualmente infliggere le sanzioni previste sia dal D. Lgs. 28/2010 sia dall’art. 96, comma 3, c.p.c. (che prevede la condanna al pagamento di una somma di denaro a carico di quella parte che dovesse risultare aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave)3. Tra l’altro, il Tribunale di Firenze ha fatto più volte rilevare che quando l’art. 5 prevede che in determinate materie le parti devono esperire la mediazione, tale termine non equivale ad avviare detta procedura bensì a compiere tutto quanto necessario perché la stessa raggiunga il suo esito fisiologico4.

2 Tribunale di Vasto, 23 aprile 2016.3 Tribunale di Roma, Ordinanza 19 – 21 gennaio 2015.4 Tribunale Firenze, Sezione Terza, 24/3/2016 n. 1178.

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29Dalla fine del primo incontro di mediazione all’accordo

Ormai diffusamente i giudici pretendono che venga prodotto in giudizio il verbale di mediazione, proprio per poter valutare le ragioni del fallimento di detta procedura ed applicare le relative conseguenze5.E le conseguenze non sono solo quelle di natura sanzionatoria prima viste, poiché l’art. 8, comma 4 bis, prevede che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può [anche] desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”.Se prima del D. Lgs. 28/2010 la Cassazione aveva rassicurato che la decisione del giudice non poteva esser fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova (potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie)6 , con l’espressa previsione dell’art. 8, l’art. 116 c.p.c. citato ben può esser posto a fondamento della decisione. Certamente con alcuni limiti. Innanzitutto la sentenza deve sempre rispettare il principio di coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto. La mancata comparizione in sede di mediazione non può poi costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica (che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto). Non solo, ma lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice deve valutare nell’ambito delle prove libere (vale a dire laddove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale) e vale in un ambito in cui non opera la prova diretta (vale a dire quella dove si ha a disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento). Infine, come per le presunzioni semplici, l’art. 116 c.p.c. ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.)7.

2.3 Presenza di terzi nel procedimento di mediazione

Capita che la parte chiamata in mediazione pretenda di esser manlevata da un terzo ovvero che invochi la necessità che anche un terzo partecipi al procedimento (magari perché ritiene esistere un litisconsorzio).

5 Tribunale di Firenze 10/3/2014: “…invita le parti a comunicare, tramite i loro avvocati, l’esito della mediazione, con nota da depositare in cancelleria almeno dieci giorni prima della prossima udienza. La nota dovrà contenere informazioni: a) in relazione a quanto stabilito dall’art. 8, comma 4 bis (D.L.vo citato), in merito all’eventuale mancata (fattiva) partecipazione delle parti (sostanziali) senza giustificato motivo; b) in relazione a quanto stabilito dall’art. 5, comma 2 (D.L.vo citato) in merito alle eventuali ragioni di natura pregiudiziale o preliminare che hanno impedito l’avvio del procedimento di mediazione; c) in relazione a quanto stabilito dall’art. 13 (D.L.vo citato), anche ai fini del regolamento delle spese processuali, in merito al rifiuto delle parti – con specifica menzione della parte (delle parti) che ha (hanno) opposto il rifiuto – dell’eventuale proposta di conciliazione formulata dal mediatore, con indicazione del suo contenuto”.6 Cass. 17/01/2002, n. 443.7 Tribunale di Roma, Sezione 13, 10/7/2014; Tribunale di Roma, Sezione 13, 17/12/2015.

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Ebbene, se non viene estesa la mediazione a detto terzo cosa succede? Se la chiamata del terzo viene proposta per la prima volta nel giudizio successivo ad una mediazione, cosa succede? E se il rapporto obbligatorio tra le parti originarie ricade in una materia obbligatoria mentre il rapporto tra una parte ed il terzo non ha la medesima natura occorre estendere la mediazione?Parte della dottrina e della giurisprudenza di merito ha sostenuto che l’esperimento del tentativo di mediazione costituisce condizione di procedibilità non genericamente del processo, bensì della domanda giudiziale, onde ogni domanda deve esser preceduta dallo svolgimento effettivo della fase di mediazione e l’assolvimento di detto onere rende procedibile non l’intero giudizio bensì la singola domanda.Recentemente il Tribunale di Palermo si è espresso però in segno contrario8: la mediazione obbligatoria non si estenderebbe infatti alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa. Per il giudice siciliano le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità costituiscono una deroga al principio costituzionale del diritto di ogni cittadino ad agire in giudizio (art. 24 Cost.) e non possono esser quindi interpretate in senso estensivo. Non solo, ma, oltre all’allungamento dei tempi processuali (difficilmente compatibile con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo e con l’esigenza di evitare ogni possibile forma di abuso strumentale del medesimo), il Tribunale di Palermo ha contestato che il ritornare in mediazione graverebbe oltremodo la posizione dell’attore, obbligato a farsi nuovamente carico del costo dell’Organismo di mediazione pur avendo già invano sostenuto quelli della mediazione sulla domanda principale.Il potere di sollevare l’eccezione di improcedibilità della domanda è poi attribuito dalla legge al convenuto destinatario della vocatio in ius da parte dell’attore e non a qualunque altro destinatario di una domanda giudiziale.Le motivazioni del Tribunale di Palermo appaiono condivisibili onde si può affermare che la mediazione non può estendersi alle domande spiegate nei confronti di terzi, né questi possono sollevare l’eccezione di improcedibilità per non essere stati coinvolti nella mediazione.E per le riconvenzionali proposte dal chiamato verso il chiamante? Recentemente il Tribunale di Verona (ordinanza 12/5/2016) ha sostenuto che quando vi è una riconvenzionale inedita (e cioè eccepita non nella mediazione ma nella prima difesa in giudizio) si ritorna in mediazione. Ma il tema è controverso e non mancano decisioni di segno contrario.

2.4 Riservatezza e segreto professionale

Come noto, il procedimento di mediazione è improntato alla riservatezza (artt. 9 e 10 del D. Lgs. 28/2010). Il che sta a significare che al fine di consentire l’effettiva

8 Tribunale di Palermo, ordinanza 27/2/2016.

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possibilità delle parti di poter parlare liberamente senza la remora che eventuali dichiarazioni a sé sfavorevoli possano essere utilizzate nel successivo giudizio, non si devono verbalizzare (da parte del mediatore) né possono essere propalate da chiunque (compresi gli avvocati delle parti) tali dichiarazioni che neppure possono essere oggetto di testimonianza.Occorre però perimetrare correttamente tale principio per non giungere a conclusioni inaccettabili e scorrette. Infatti, come ha fatto rilevare la giurisprudenza9:1. la riservatezza si riferisce solo a chi “presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione”;2. la riservatezza si riferisce solo “alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento” (quindi non anche ai documenti eventualmente prodotti);3. la riservatezza delle dichiarazioni delle parti si riferisce al solo contenuto sostanziale dell’incontro di mediazione, vale a dire al merito della lite: ogni qualvolta, invece, tali dichiarazioni riguardano circostanze che attengono alle modalità della partecipazione delle parti alla mediazione e allo svolgimento della stessa, va predicata l’assoluta liceità della verbalizzazione e dell’utilizzo da parte di chicchessia (anche per i fini sopra visti)10;4. le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione (quindi non esiste il limite per eventuali giudizi aventi oggetto totalmente diverso);5. le parti possono sempre rinunciare alla riservatezza circa le dichiarazioni da loro rese o circa le informazioni da loro offerte.In tale quadro, il Tribunale di Roma (sentenza del 14 dicembre 2015) ha per esempio ritenuto che non aveva violato il precetto della riservatezza un avvocato che aveva trascritto gli eventi storici del precedente procedimento di mediazione. Ciò anche se in tale trascrizione si potevano leggere anche fatti che potevano essere considerati dichiarazioni, visto che attenevano alla possibilità di valutazione della ritualità

9 Per ultimo, Tribunale di Roma, Sezione 13, 25/1/2016.10 Tribunale di Roma, 14 dicembre 2015: “I principi relativi alla riservatezza delle dichiarazioni delle parti devono essere riferiti al contenuto sostanziale dell’incontro di mediazione. Pertanto, non viola il precetto della riservatezza, l’avvocato che si limiti ad una didascalica trascrizione, a verbale di udienza, degli eventi storici che il giudice può anche altrimenti leggere consultando i verbali redatti dal mediatore nel corso degli incontri svoltisi; eventi che concernono la presenza o assenza delle parti. Ciò anche se in tale trascrizione si leggono anche fatti che possono essere considerati dichiarazioni, qualora tali dichiarazioni riguardino circostanze che attengono alla possibilità di valutazione della ritualità della partecipazione (o della mancata partecipazione) delle parti al procedimento di mediazione. Ed invero, vale, a consentirne la conoscenza da parte del giudice, la norma di cui all’art. 8 comma 4–bis, la presenza o assenza delle parti del d.lgs. 28/2010 nonché, in via generale, dell’art. 96, comma 3, c.p.c. Conclusivamente, il mediatore deve e chiunque ne abbia interesse può, trascrivere ogni elemento fattuale utile a consentire al giudice di valutare la ritualità della partecipazione o la mancata partecipazione delle parti al procedimento di mediazione”.

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della partecipazione (o della mancata partecipazione) delle parti al procedimento di mediazione. “Il mediatore – scrive il giudice romano – deve, e chiunque ne abbia interesse può, trascrivere ogni elemento fattuale utile a consentire al giudice di valutare la ritualità della partecipazione o la mancata partecipazione delle parti al procedimento di mediazione”.

2.5 L’esperto: nomina e funzioni – forma ed utilizzo della perizia

Correttamente inteso il principio di riservatezza, ben può esser affrontato il tema della nomina dell’esperto, figura questa prevista dall’art. 8, 4° comma, del D. Lgs. 28/2010 e la cui funzione è stata spesso equivocata.Di frequente si pensa infatti che anche l’opera dell’esperto sia coperta dal vincolo della riservatezza e perciò non utilizzabile nel susseguente giudizio di merito. Chi ragiona in tal modo ritiene infatti che le valutazioni di detto esperto possano rientrare nel novero delle “informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione”. Per tali motivi spesso non si ricorre a tale opportunità, ritenuta solo una spesa inutile, e per tali motivi per alcune controversie di natura squisitamente tecnica non ci si presenta neppure al cd. primo incontro, confidando nelle perizie acquisite nel successivo giudizio.Ebbene, deve innanzitutto esser precisato che, se al momento della nomina dell’esperto le parti prestano il loro consenso all’utilizzo della futura perizia nell’eventuale giudizio, il problema della riservatezza non sussiste.Ma anche senza consenso congiunto delle parti si può ragionevolmente sostenere che l’elaborato dell’esperto nominato dal mediatore non rientra in quella riservatezza di cui agli artt. 9 e 10 citati. Negli ultimi tempi anche la giurisprudenza ha confermato tale assunto ed ha ritenuto legittima ed ammissibile la produzione dell’elaborato redatto dall’esperto nominato dal mediatore nella causa alla quale si riferisce la mediazione11.Vi sono due tipi di consulenza tecnica: quella c.d. percipiente, che ha natura di fonte di acquisizione della prova in quanto con essa il consulente acquisisce elementi e dati che precedentemente non facevano parte del materiale probatorio della causa e la consulenza c.d. deducente che è quella avente ad oggetto la valutazione di fatti, elementi e cose già presenti ed acquisti al patrimonio istruttorio della causa. Ebbene, entrambe le tipologie di consulenza tecnica effettuate dall’esperto possono esser utilizzate nel giudizio. Sono inutilizzabili infatti esclusivamente le dichiarazioni delle parti, di cui le informazioni sono solo uno dei possibili contenuti, non esistendo impedimenti giuridici all’utilizzo della relazione peritale al di fuori della mediazione ed in particolare nella causa che può seguire o proseguire.Secondo la giurisprudenza la riservatezza è infatti tutelata da un divieto che riguarda esclusivamente le dichiarazioni e le informazioni che una parte abbia fornito

11 Tribunale di Roma, ordinanza 17/3/2014; Tribunale di Roma, ordinanza 16/7/2015; Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 22/12/2015; Tribunale di Roma, ordinanza 4/4/2016.

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(a chicchessia dei soggetti presenti nel procedimento di mediazione e quindi, per ipotesi, anche al consulente) ma non gli accertamenti dell’esperto.In altre parole, l’opera del consulente tecnico ben può conservare la sua utilità nel successivo giudizio, purché siano rispettate due regole fondamentali: il rispetto del contraddittorio e l’esclusione del riferimento a dichiarazioni delle parti in mediazione. Con ciò non si vuole negare la differenza tra una perizia di un esperto nominato in mediazione ed una perizia di un esperto nominato nel processo: soltanto quest’ultima rientra infatti tra gli strumenti apprestati dal codice per l’acquisizione, formazione e valutazione della prova (perché disposta, controllata e diretta dal giudice, e perché il tecnico nominato – dopo aver giurato – è ausiliario del giudice). Ma, nel caso di insuccesso della mediazione, la relazione dell’esperto nominato in tale procedimento può esser di valido utilizzo nel corso del successivo giudizio per offrire al giudice argomenti ed elementi utili di formazione della decisione ovvero anche per costituire il fondamento conoscitivo ed il supporto motivazionale (più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c.Chi scrive ritiene che vi sia un altro aspetto importante che dovrebbe indurre ad avvalersi – quando ovviamente opportuno o necessario – della nomina di un esperto nel corso della mediazione: come per l’arbitrato, l’opportunità offerta dall’art. 8 D. Lgs. 28/2010 permette alle parti di scegliere il professionista più adatto per la controversia, sia per competenza sia per opportunità territoriali. Circostanza questa non sottovalutabile e che non avviene per la nomina del CTU nel giudizio ove, pur nel rispetto delle competenze, valgono soprattutto i criteri di rotazione tra professionisti, tra l’altro non tutti professionisti ma solo quelli che sono stati inseriti nell’Albo del Tribunale.

2.6 Mediazione a distanza

L’Art. 3, comma 4, prevede che “la mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo”. Per modalità telematiche s’intendono le comunicazioni telefoniche, via fax, posta, email e, soprattutto, quelle in videoconferenza (ad es. Skype). Quindi la normativa affida all’autonomia degli organismi di mediazione la possibilità di offrire diverse forme di “mediazione telematica” ovvero di ODR (On–line Dispute Resolution), senza però specificare in dettaglio le caratteristiche.Per il legislatore la mediazione deve infatti avere la massima priorità e deve tentarsi comunque, anche se del caso con modalità che permettano alle parti, distanti tra loro, di venire in contatto in qualche modo.In tale ottica, il Tribunale di Pavia ha pertanto ritenuto “non giustificata l’assenza della parte residente all’estero che pur avendo un indubbio disagio a partecipare personalmente, ha preferito far presenziare i propri legali sebbene muniti di

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procura speciale notarile, anziché chiedere all’organismo di mediazione un incontro attraverso le modalità telematiche consentite dalla legge”12.Non si può però non mettere in evidenza come tali modalità non permettono o rendono quantomeno difficile l’utilizzazione di tutte quelle tecniche facilitative tipiche della mediazione. Non solo, ma rendono molto difficile per il mediatore il controllo del rispetto della riservatezza e rendono quasi impossibile la certificazione dell’autografia delle firme.Ecco perché molti organismi non prevedono nel loro regolamento la possibilità di utilizzazione delle modalità a distanza ed ecco perché buona parte della dottrina ritiene giustamente che è opportuno limitare tale modalità ai casi strettamente necessari.

2.7 Proposta del mediatore

L’art. 11 del D. Lgs. 28/2010 prevede che il mediatore può o deve (se tutte le parti lo richiedono) formulare una proposta di conciliazione, dopo aver informato delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13. La norma disciplina la modalità di tale proposta e prescrive che essa non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.L’art. 11 non appartiene certo alla tradizione della mediazione facilitativa, e cioè a quella tipologia “pura” di tradizione anglosassone, quella immaginata anche dal legislatore europeo. Come possono le parti “aprirsi” al mediatore se esse possono temere che questi, alla fine, potrà formulare una proposta sulla base delle informazioni da loro ricevute? Una proposta tra l’altro che potrà giungere anche sul tavolo del giudice, in caso di fallimento della mediazione.Ecco perché molti Organismi negano al proprio mediatore la possibilità di formulare una proposta ed ecco perché i mediatori più preparati premettono all’inizio che essi non si avvarranno dell’art. 11.Detto questo, si assiste tuttavia in questi ultimi tempi a provvedimenti giudiziari con i quali non solo viene disposto l’esperimento della mediazione (anche in materie non obbligatorie) ma viene anche espressamente invitato il mediatore a formulare una proposta13. In alcuni altri casi viene già addirittura definito dal giudice il perimetro della proposta del mediatore.Tale pratica certamente creerà non pochi problemi, soprattutto per quei mediatori appartenenti ad Organismi che vietano per regolamento la proposta.

2.8 Requisiti dell’accordo

Al termine del procedimento, la mediazione può avere esito negativo ovvero trovare un accordo tra le parti. Tale accordo potrà avere una duplice natura: sarà un negozio

12 Tribunale di Pavia, 21/12/2015.13 Per tutte, Corte d’Appello di Torino, Sezione IV, ordinanza 28/1/2016.

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di autonomia privata (se le parti rinegozieranno il loro rapporto) ovvero sarà una transazione (se le parti, facendosi “reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere”).Sappiamo che elementi essenziali di un contratto sono: il consenso delle parti, la causa, l’oggetto e la forma.Sui vizi del consenso non ci si sofferma, ritenendo improbabile che un accordo possa esser frutto di errore, violenza o dolo del mediatore.Un accenno merita invece la causa (e cioè la funzione economico individuale del contratto, la ragione concreta dell’atto, elemento fondamentale che ha giustificato il regolamento di interessi tra le parti nonché idoneo a giustificare lo spostamento di beni e valori). Si ricorda che la mancanza della causa determina la nullità del contratto, la possibile rescissione e risoluzione dello stesso.Ebbene, è prassi generale che l’accordo venga nella pratica redatto dal mediatore, pur con l’assistenza degli avvocati presenti. Ed è capitato che nel testo del verbale non sia stata indicata la causa di detto accordo. Magari ritenendola presunta alla luce delle domande formulate dalle parti e dalla documentazione prodotta. Tuttavia, l’art. 12 prevede che titolo esecutivo è solo l’accordo, e non anche i verbali precedenti ovvero i documenti che corredono la pratica. Senza l’indicazione della causa diventa impossibile verificare se l’accordo è contrario alle norme imperative o all’ordine pubblico.Ebbene, non pochi sono stati gli accordi incappati nel vizio di nullità ovvero non omologati dal Tribunale14 poiché nei verbali (o negli accordi allegati ai verbali) le obbligazioni convenute non erano giustificate dalla relativa causa. Venivano genericamente previste dazioni di denaro, senza specificare le ragioni di tali dazioni.Si ricorda poi che l’oggetto del contratto deve esser possibile, lecito, determinato o determinabile.Quanto alla forma, l’art. 11, comma 3, prescrive che “se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”. In altri termini, per avere efficacia esecutiva l’accordo1. deve avere la forma scritta; 2. deve esser ovviamente sottoscritto dalle parti;3. deve esser sottoscritto anche dagli avvocati per la certificazione della rispondenza dei patti alle norme imperative ed all’ordine pubblico15;4. deve esser sottoscritta dal mediatore (solo per la certificazione dell’autografia delle firme).

14 Tribunale di Firenze, 2/7/2015.15 Nel caso in cui gli avvocati non vogliano sottoscrivere l’accordo (magari – come è capitato – perché non certi della sua rispondenza ad una norma imperativa), questo dovrà esser omologato dal Presidente del Tribunale.

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Se con l’accordo si trasferisce poi la proprietà di beni immobili o si costituisce, trasferisce o modifica un diritto di usufrutto su beni immobili, un diritto di superficie, o si costituiscono o modificano servitù prediali, un diritto di uso sopra beni immobili, un diritto di abitazione o si conviene un contratto di locazione ultranovennale, etc. è anche necessario che le sottoscrizioni vengano autenticate da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (come ad es. un notaio).Una volta composto regolarmente l’accordo, questo avrà il valore di titolo esecutivo e potrà esser utilizzato per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Si ricorda che, non essendo un titolo giudiziario, l’accordo può esser rilasciato in più originali e che per l’azione esecutiva non deve esser notificato alla controparte ma dovrà esser trascritto integralmente nell’atto di precetto, così come per le cambiali o gli assegni o gli atti pubblici (art. 474 c.p.c.).Non è poi necessaria l’apposizione della formula esecutiva, in quanto l’art. 475 c.p.c. prevede che detta formula venga apposta solo sui titoli esecutivi utilizzati in copia e non a quelli utilizzati in originale (come le scritture private, cambiali, assegni).L’accordo ha poi efficacia esecutiva se ha il contenuto previsto dall’art. 474 c.p.c.: in esso devono quindi essere previsti obblighi di una o di ambo le parti.

2.9 Usucapione

Sempre con riferimento alla forma dell’accordo, un particolare cenno deve esser fatto per l’istituto dell’usucapione.Con l’introduzione del D. Lgs. 28/2010 si è assistito ad un numero impressionante di domande fondate su rivendicazioni di diritti di usucapione. Soprattutto per beni immobiliari di modesto valore. Il Tribunale di Reggio Calabria ha ritenuto addirittura di dover pubblicare on line un vademecum, visto l’elevatissimo numero di procedimenti aventi quale oggetto la pretesa di usucapione di un bene immobile.Sino al 2013 abbiamo assistito ad un’accesa discussione dottrinaria e giurisprudenziale in ordine all’obbligatorietà o meno della mediazione in materia di usucapione e sulla trascrivibilità o meno dei relativi accordi. Tale discussione qui viene però trascurata poiché, dopo la sentenza n. 272 del 6/12/2012 della Corte Costituzionale, il D.L. 21/6/2013 (cd. Decreto del Fare) così come convertito con Legge 9/8/2013 n. 98 ha risolto in gran parte il conflitto interpretativo, introducendo all’interno dell’art. 2643 cod. civ. il numero 12 bis: tale comma prevede infatti espressamente la possibilità di trascrivere gli “accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.Come si può vedere, è stata risolta la questione della trascrivibilità degli accordi ma non anche quella circa la natura obbligatoria o meno della mediazione avente quale oggetto l’usucapione di un bene16.

16 Materia ritenuta peraltro obbligatoria da tutta la giurisprudenza, salvo recentemente dal Tribunale di Reggio Calabria.

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37Dalla fine del primo incontro di mediazione all’accordo

Non solo, ma con la riforma del 2013 il legislatore ha utilizzato una formulazione letterale infelice: molti hanno infatti fatto rilevare che il negozio di accertamento non esiste nel codice civile ma è un’elaborazione dottrinaria, riconosciuta dalla giurisprudenza. La Cassazione ha però sempre ribadito che non ha effetto traslativo. Non solo, ma la dottrina e il Consiglio Nazionale del Notariato17 hanno posto in evidenza che l’usucapione costituisce un acquisto a titolo originario ed è un effetto legale (cioè non può nascere da una volontà negoziale). Come fa un accordo ad accertare un diritto?Non solo, ma il diritto dell’usucapito si estingue non per un trasferimento del diritto e l’accordo potrebbe avere quale oggetto solo il riconoscimento dei fatti che costituiscono i presupposti per l’acquisto per usucapione.La dottrina ha quindi messo in evidenza che alla luce della normativa che si è succeduta nel tempo vi possono essere ben quattro tipologie di acquisto per usucapione, tutti con effetti differenti:

a) acquisto ottenuto con sentenza:• la sentenza è opponibile erga omnes;• radica un diritto nuovo in capo all’usucapiente (acquisto a titolo originario);• non si applica il principio della continuità delle trascrizioni (art. 2650);• è trascritto a favore dell’usucapiente e basta;• la trascrizione ha valore di pubblicità notizia;

b) acquisto convenuto con un accordo di mediazione:• l’accordo è però opponibile solo all’usucapito;• deve rispettare le regole sulla continuità delle trascrizioni;• non è opponibile ai terzi che vantano titoli anteriormente trascritti od iscritti che

in qualche modo possano esser pregiudicati dall’accordo;• è trascritto a favore dell’usucapiente e contro l’usucapito;• quindi non ha effetto retroattivo e non ha effetti liberatori;• la trascrizione ha effetti prenotativi se l’usucapito non è legittimato in base ad un

titolo trascritto (pensiamo ad un immobile intestato ad un defunto);

c) acquisto a fronte di transazione:• lo prevede l’art. 2643 n. 13 cod. civ.;

d) acquisto a fronte di ogni tipo di accordo:• lo prevede l’art. 2645 cod. civ.

In alcuni casi possono poi insorgere problemi insormontabili con riferimento alla legittimazione passiva se per rivendicare l’usucapione si utilizza la mediazione e non il giudizio.

17 Studio n. 718–2013/C, approvato dal CNN il 31 gennaio 2014.

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Pensiamo ad immobili intestati a moltissimi soggetti (la notifica per pubblici proclami è prevista solo per il giudizio); pensiamo ad immobili intestati a soggetti non rintracciabili (la notifica a persona sconosciuta è prevista solo per il processo), o a soggetti deceduti e con eredi irrintracciabili o non individuabili o a soggetti deceduti senza eredi. In tutti questi casi il percorso giudiziario appare quello più idoneo.Alla luce di tutto quanto sopra, nel caso di procedura avente quale oggetto un acquisto per usucapione appare quindi opportuno invitare il mediatore1. a svolgere un’attenta analisi sulla verifica della regolarità del contraddittorio e delle posizioni interessate;2. a pretendere che tutte le parti siano presenti fisicamente o legittimamente rappresentate;3. a rendere edotte le parti delle caratteristiche connesse ad un avvenuto acquisto per usucapione non giudizialmente dichiarato;4. a richiedere alle parti una perfetta ricostruzione soggettiva ed oggettiva del bene oggetto di mediazione.

2.10 Antiriciclaggio

L’antiriciclaggio non risparmia la mediazione. Per effetto dell’art. 22 del D. Lgs. 28/2010 l’elenco delle attività il cui esercizio è subordinato al possesso di licenze, da autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri, ovvero alla preventiva dichiarazione di inizio di attività di cui all’articolo 10, comma 2, lettera e), del D. Lgs. 231/2007 è stato integrato con l’aggiunta del numero 5–bis riferito appunto alla mediazione.L’attività di mediazione non è però soggetta agli obblighi di identificazione delle parti, di registrazione delle stesse e di conservazione dei dati ma comporta esclusivamente il dovere di segnalazione all’UIF18 di eventuali operazioni sospette. Sono operazioni sospette quelle in relazione alle quali il mediatore sa, sospetta o ha motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Al mediatore non è richiesto di svolgere autonome attività investigative, bensì, in presenza di indici di anomalia, di ottenere ulteriori informazioni in merito allo scopo e alla natura del contesto e, ove necessario, di effettuare la segnalazione della stessa alle autorità competenti. Secondo la maggioranza degli autori la segnalazione deve esser fatta alle autorità e non anche al proprio Organismo, poiché in tal caso egli incorrerebbe nella violazione del dovere di riservatezza.

18 L’Unità di informazione finanziaria (UIF) rappresenta la Financial Intelligence Unit italiana, ovvero la struttura nazionale incaricata di prevenire e contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. La UIF è stata istituita presso la Banca d’Italia il 1/1/2008, ai sensi del D.Lgs. 231/2007 il quale, emanato in attuazione della Terza Direttiva antiriciclaggio, ha soppresso l’Ufficio Italiano dei Cambi (UIC), presso cui la Financial Intelligence Unit era precedentemente collocata. La UIF esercita le proprie funzioni in autonomia e indipendenza, avvalendosi di risorse umane e tecniche, di mezzi finanziari e di beni strumentali della Banca d’Italia. L’organizzazione e il funzionamento della UIF sono disciplinate con regolamento della Banca d’Italia.

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39Dalla fine del primo incontro di mediazione all’accordo

Quanto agli indicatori di anomalia, l’art. 41 del D. Lgs. 231/2007 prevede l’emanazione e la periodica revisione, su proposta dell’UIF e sentito il Comitato di Sicurezza Finanziaria, di specifici indicatori per ciascuna delle categorie di destinatari delle prescrizioni. Occorre mettere però in evidenza come né nel decreto del Ministero della Giustizia del 16/4/2010 né nel decreto del Ministro dell’Interno del 17/2/2011 (successivamente modificato con decreto del 27 aprile 2012), con i quali sono stati individuati gli indicatori di anomalia utili al fine di agevolare l’individuazione delle operazioni sospette, è stata fatta menzione dell’attività di mediazione.Qualcuno ha ricordato che – come sopra visto – il D. Lgs. 28/2010 ha obbligato il mediatore a mantenere la riservatezza assoluta nei confronti dei terzi, sia sulle dichiarazioni rese dalle parti, sia sulle informazioni acquisite nel corso del procedimento, ed ha previsto che il mediatore non può essere tenuto a deporre sulle dichiarazioni delle parti, conosciute nel procedimento di mediazione né davanti all’autorità giudiziaria, né davanti ad altra autorità, fruendo delle garanzie di libertà del difensore previste dall’art. 103 c.p.p. nonché della disciplina sul segreto professionale, ex articolo 200 c.p.p. Tuttavia, proprio per l’inserimento dell’art. 22 del medesimo D. Lgs. 28/2010 la dottrina ha ritenuto che la segnalazione di un’operazione sospetta non viola il dovere di riservatezza previsto normativamente.Discussa è poi l’applicazione anche per i mediatori della cd. clausola di esclusione. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 12, comma 2, e 23, comma 4, del D. Lgs. 231/2007 avvocati, commercialisti, notai, e altri professionisti, non sono infatti obbligati alla segnalazione in relazione alle informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute od ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.Ebbene, autorevoli autori hanno fatto notare che il mediatore può anche esser avvocato, commercialista o notaio ma le figure professionali hanno natura differente. Il mediatore ha funzioni di terzietà ed imparzialità e, quindi, la clausola di esclusione non si può ad esso applicare.Molti dubbi sono stati infine sollevati in ordine all’ambito soggettivo di applicazione dell’obbligo di segnalazione e cioè se esso vincoli il solo mediatore ovvero anche l’Organismo di conciliazione. Estendere l’obbligo della segnalazione anche all’organismo significherebbe attribuire ai responsabili di un potere/dovere di supervisione e controllo sull’attività svolta dai mediatori nell’ambito delle singole procedure per le quali questi ultimi sono designati, mentre invece dal tenore complessivo dal dato normativo sembrerebbe desumersi che al responsabile dell’organismo di mediazione successivamente alla designazione del mediatore

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non siano attribuite ulteriori incombenze se non quella, generica, di sovrintendere alla tenuta ed all’eventuale rilascio di copie dei verbali dell’attività di conciliazione, che secondo l’art. 11 comma 5° devono essere depositati presso la segreteria dell’Organismo.Altri autori fanno notare poi come l’attività del mediatore si caratterizzi per la personalità (l’art. 4 del D.M. n. 180/2010 prevede che “il mediatore designato esegue personalmente la sua prestazione”). È poi fuor di dubbio che è il mediatore a trovarsi nella condizione di avere una conoscenza più approfondita delle informazioni rilevanti in merito alla vicenda controversa oggetto della conciliazione.Tuttavia, sino a quando il legislatore o il Ministero non specificheranno esattamente i compiti del mediatore in tema di antiriciclaggio, tenuto conto della delicatezza dell’argomento nulla può esser escluso. Tuttavia, grazie alle caratteristiche di attenta riservatezza del procedimento di mediazione e della sua caratteristica di oralità, non pare sussistano rischi tali da dover allarmare il mediatore.Certamente questi dovrà prestare attenzione alla materia allorquando si appresta a redigere l’eventuale accordo.

2.11 Gratuito patrocinio

L’art. 17, comma 5 bis, D. Lgs. 28/2010, prevede che quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 2, all’Organismo non sia dovuta nessuna indennità dalla parte che si trovi nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato ai sensi dell’art. 76 del T.U. sulle spese di giustizia (D.p.r. n. 115/2002).Nulla dice il D. Lgs. 28/2010 per i compensi dell’avvocato che assiste la parte ammessa al suddetto patrocinio. Gli artt. 74, 75 e 76 del D.p.r. 115/2002 (che trattano del gratuito patrocinio in sede penale e di patrocinio a spese dello Stato in sede civile) si riferiscono al processo e – come visto – la mediazione non ha natura processuale.Essendo la questione delicata (vi è infatti il pericoloso riflesso del rischio del cd. danno erariale in caso di errata liquidazione della parcella del legale), normalmente il compenso dell’avvocato non viene posto a carico dello Stato e si ritiene che il professionista non possa richiedere alcunché al proprio cliente (pena la sanzione disciplinare).Solo il Tribunale di Firenze ha per il momento affrontato il problema, colmando una lacuna in via interpretativa e giungendo alla conclusione che, come per il procedimento giudiziale, anche per la mediazione la parcella dell’avvocato potrebbe esser posta a carico pubblico19. Dopo aver richiamato il diritto costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost., il Tribunale di Firenze ha richiamato infatti alcune decisioni della Corte di Cassazione

19 Tribunale di Firenze 12/1/2015.

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41Dalla fine del primo incontro di mediazione all’accordo

che, pur ribadendo che il patrocinio a spese dello Stato riguarda esclusivamente la difesa in giudizio e non può coprire l’attività stragiudiziale, ha affermato che devono considerarsi giudiziali anche “tutte quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali”20. Pertanto, il principio della Suprema Corte si potrebbe applicare a tutti quei casi in cui il procedimento giudiziario (rispetto al quale la mediazione costituisce condizione di procedibilità) inizi o prosegua.Il problema è però più complesso quando invece la mediazione ha avuto esito positivo ed è stato raggiunto un accordo (senza quindi una prosecuzione processuale). Per giungere ad affermare la possibilità di ammettere a carico dello Stato i compensi dell’avvocato anche in questo caso, il Tribunale di Firenze ha ricostruito il sistema alla luce della normativa in tema di mediazione, della Costituzione e, soprattutto, delle fonti europee. Dopo un’articolata e complessa interpretazione sistematica, teleologica e costituzionalmente orientata delle norme anche comunitarie, il Tribunale è infatti giunto a ritenere che “l’art. 75 cit., secondo cui l’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della mediazione obbligatoria pre–processuale anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal processo. Si tratta infatti di una procedura strettamente connessa al processo, dal momento che condiziona la possibilità avviarlo (o proseguirlo, per la mediazione demandata dal giudice); d’altronde nel caso di successo della mediazione, si realizza il risultato migliore non solo per le parti, ma anche per lo stato che non deve sostenere anche le spese del giudizio”.Il Tribunale di Firenze è però per il momento l’unica voce che si è espressa sul tema onde, attesa la delicatezza del problema e visto l’indirizzo che va nel senso di non affidare solo alle procedure giudiziarie la tutela dei diritti (pensiamo alla negoziazione assistita ed all’arbitrato), appare più che mai necessario un intervento legislativo che sciolga definitivamente l’interrogativo in esame. Ciò che si può tranquillamente affermare è che, quando una mediazione ha avuto esito positivo e la parte ammessa al beneficio delle spese a carico dello Stato ha convenuto un vantaggio di ordine economico in proprio favore, il mediatore deve subito segnalare tale circostanza all’Organismo per una valutazione in ordine all’eventuale revoca (ex tunc) del predetto beneficio.

2.12 Compensi dell’avvocato che assiste la parte in mediazione

Un ultimo accenno ai compensi professionali del professionista che assiste una parte in un procedimento di mediazione e cioè in un procedimento stragiudiziale.Ebbene, in materia stragiudiziale il DM 55/2014 prevede compensi solo per l’attività di “assistenza”.

20 Cass. Civ. 23/11/2011 n. 24723 e Cass. Civ. 19 aprile 2013 n. 9529.

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Nulla dice per l’attività di “consulenza”. I due termini indicano prestazioni differenti poiché la “consulenza” comporta l’espressione di pareri orali o scritti senza contatto con la controparte mentre nell’attività di “assistenza” tale contatto è elemento essenziale. L’avvocato “assiste” il cliente se lo “affianca” nel trattare una vertenza o un affare con la controparte.Poiché nel procedimento di mediazione il contatto con una controparte è naturale, all’avvocato spetta quindi il compenso per l’attività stragiudiziale di “assistenza generica”. Oltre ai compensi per le lettere, trasferte e sessioni in studio e fuori studio. Il compenso per assistenza alla “udienza” avanti il mediatore può essere mutuato da quello previsto per le “conferenze di trattazione” (fuori studio, collegialmente con altri professionisti) con la controparte.Se la mediazione ha esito positivo (e cioè si redige un accordo) si potrà applicare invece la tabella della “assistenza nella stipulazione di contratti”.Se la mediazione avrà esito negativo, la fase stragiudiziale si cumulerà con quella successiva giudiziale.Si può pretendere alla controparte il compenso per l’assistenza del proprio legale quando alla mediazione non segue il processo? Pensiamo ad es. ad un’impugnazione di una delibera assembleare che viene revocata dalla stessa assemblea prima dell’incontro di mediazione e che quindi rende inutile tale procedimento.Qui soccorre l’art. 6 del D. Lgs. 231/2002, attuazione della Direttiva 2000/35/CE del 29 giugno 2000. La norma comunitaria ha infatti ammesso il recupero, a titolo di “risarcimento aggiuntivo”, dei costi legali stragiudiziali sostenuti. Tali costi devono però rispettare i principi della trasparenza e della proporzionalità con riferimento al debito oggetto di controversia.

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43Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

3. Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

(a cura di Rosanna Chiesa)

3.1 Considerazioni introduttive

“La giustizia non può funzionare se i cittadini non comprendono il perché delle regole”

(G. Colombo, “Sulle Regole”1)

Queste parole e le molte espressioni di contrarietà verso il “primo incontro” di mediazione hanno stimolato la ricerca sul “senso del primo incontro in mediazione”.Il “primo incontro” ha fatto il suo ingresso nella procedura di mediazione con il D.L. n. 69/2013 – Decreto del fare – che ha introdotto alcune modifiche al d.lgs. 28/2010.Il legislatore ha infatti ritenuto opportuno inserire una sorta di prefazione alla mediazione, all’apparente scopo di programmarne le fasi successive; inizialmente ci si riferiva ad esso come “incontro di programmazione”.Dagli stralci di normativa che seguono, seppure sintetizzati, emerge quello che, dal punto di visto normativo, si intende per “primo incontro”:• l’art. 5, comma 2 bis del decreto legislativo dispone che “quando l’esperimento

del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”;

• l’art. 8 del medesimo testo normativo prevede che “all’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa un primo incontro fra le parti non oltre 30 giorni dal deposito della domanda (…) Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.

Sul sito del Ministero della Giustizia il primo incontro viene ancora oggi definito “incontro preliminare di programmazione”.La normativa ha suscitato negli operatori del settore moltissimi dubbi e concrete difficoltà operative.

1 Gherardo Colombo, “Sulle Regole”, 2008, Feltrinelli.

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Il “primo incontro” poteva costituire o meno un unicum con il prosieguo della mediazione? Di cosa parlare nel “primo incontro”? Quanto dura e come si conclude?Queste e tante altre questioni erano al centro del dibattito tra addetti al settore, che svolgendo gli incontri successivamente all’introduzione del “primo incontro” iniziavano a scontrarsi con alcune criticità.

Cosa pensano, oggi del primo incontro (a qualche anno dalla sua introduzione) i principali protagonisti della procedura di mediazione?Non potendo condurre una vera intervista ho provato a riassumere, in estrema sintesi, le espressioni più significative e ricorrenti, raccolte nell’esperienza di formatore, mediatore e semplice navigante della “rete”.

I mediatori lo trovano “dannoso”; “una presa in giro: cercano di capire come fare ad accordarsi, poi, ufficialmente rinunciano e chiudono l’accordo fuori”. Spesso la difficoltà sta anche nel “non capire esattamente cosa bisogna fare!”, e ancora “sembra sia stato messo lì apposta per affossare la mediazione”, per concludere “non serve a niente!”.Fin da subito le posizioni dei mediatori si sono suddivise tra coloro che ritenevano che il primo incontro costituisse una sessione informativa sulla mediazione e le sue modalità di svolgimento e coloro che, diversamente, sostenevano la necessità di entrare nel merito della vicenda al fine di valutare la possibile efficacia della procedura applicata allo specifico caso concreto. È innegabile che entrambi gli approcci all’atto pratico abbiano fatto emergere criticità.Il sostegno caparbio di un primo incontro esclusivamente incentrato sui contenuti di quello che poteva essere un “discorso introduttivo” non consente alle parti di capire concretamente su cosa potrà basarsi la mediazione. Lasciare che le parti entrino nel merito significa spesso che riprendano a litigare.Risultato: al termine del primo incontro nella maggior parte dei casi i mediatori appaiono “insoddisfatti; frustrati; a volte persino arrabbiati”.

Gli avvocati, le cui espressioni differiscono molto a seconda del vissuto personale, spesso sostengono che “per deflazionare l’attuale sovraccarico delle aule di giustizia abbiamo aggiunto una “fase” al giudizio, introducendo un nuovo strumento preliminare, pure costoso, invece di restituirgli l’efficacia che dovrebbe avere in un paese avanzato”.In altri casi si vede il “primo incontro” come “un momento utile per capire cosa pensa il Collega di controparte e magari instaurare le basi per una conclusione transattiva od anche per vedere che cosa hanno in mano”.

Le parti, inconsapevoli vere protagoniste della procedura di mediazione, troppo spesso abdicano al loro sacrosanto diritto di parola, non presentandosi neppure al primo incontro o concludendo “dica Lei avvocato”.

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45Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

Il Ministero della Giustizia con la propria direttiva del 19.11.2013 affermava “…l’istituto della mediazione (…) attesa la sua strettissima correlazione con l’attività giurisdizionale, deve rappresentare un effettivo momento di composizione delle possibili future controversie giudiziarie”. Come dire: le premesse erano buone ma il risultato non è risultato all’altezza.

Cosa dicono le statistiche sulla mediazione?Le rilevazioni relative al periodo 1° gennaio – 31 marzo 2016 pubblicate sul sito del Ministero della Giustizia – Dipartimento della Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi – Direzione Generale di Statistica, consultabili al link https://webstat.giustizia.it (sezione Studi Analisi e Ricerche– Mediazione) confermano l’efficacia della procedura di mediazione pur evidenziando che il primo incontro rappresenta di fatto una criticità. Laddove le parti partecipino al primo incontro e decidano di proseguire oltre, l’accordo verrà raggiunto nel 43,20% dei casi, come evidenziato nella slide che segue, estrapolata dallo studio statistico indicato (viene precisato che dal 2014 i dati vengono costruiti tenendo conto esclusivamente delle procedure in cui le parti proseguono oltre il primo incontro).

Esito delle mediazioniPrimo trimestre 2016

Presenza delle parti Esito della mediazione(quando le parti accettano di sedersi al tavolo

della mediazione dopo il primo incontro)

AderenteNon comparso

Accordonon raggiunto

Aderentecomparso

Accordoraggiunto

Proponente rinunciante prima dell’esito 1,4%

56,8% 43,2%

03/2011 – 12/2012 2013 2014 2015

Aderente comparso

*Dal 2014 sono state escluse le mediazioni in cui gli aderenti hanno partecipato solo al primo incontro conoscitivo.

27,0% 32,4% 40,5% 44,9%

di cui Accordo raggiunto 43,9% 42,4% 47,0%* 43,5%*

46,0%52,6%

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L’esperienza concreta condotta in ambito camerale nella nostra regione, conferma come il “primo incontro” costituisca un ostacolo importante al proseguimento della mediazione.Il grafico sottostante analizza l’esito delle domande di mediazione presentate nel 1° trimestre 2016 rispetto al primo incontro. I dati sono elaborati dall’organismo ADR Piemonte.

Per completezza informativa, va detto che, nell’ambito dell’esperienza camerale (come sopra individuata), quando si riesce a proseguire oltre il primo incontro, l’accordo è stato raggiunto in oltre il 70 % dei casi nell’anno 2015 mentre in questo 1° trimestre 2016 si è superata la percentuale dell’80%, ben al di sopra della media nazionale.

Primi incontri sul totale domandeFonte ADR Piemonte – 1° trimestre 2016

Esiti degli incontri che proseguono oltre l’incontro preliminareFonte ADR Piemonte – 1° trimestre 2016

1° incontro senza proseguimento

1° incontro con proseguimento

alla domanda non è seguito l’incontro

13%

33%54%

Mancato accordotra le parti

Accordotra le parti

18%

82%

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47Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

3.2 Il primo incontro: stimolo per mettersi in gioco

Il “primo incontro” costituisce quindi un ostacolo allo svolgimento della mediazione che richiede un serio ripensamento che porti a cambiarne l’esito, ad oggi spesso negativo, circa la possibilità di trattare in mediazione la problematica oggetto della domanda.Recentemente, durante uno dei roleplay che vengono condotti nei corsi di aggiornamento per mediatori, un partecipante ebbe a dire al Collega, che svolgeva il ruolo di mediatore e si stava cimentando nell’arduo compito di far risolvere le parti a proseguire oltre il primo incontro: “basta, smettila di mettermi davanti le tue ipotesi di accordo, io non voglio parlare di proposte!”Quel mediatore aveva sperimentato ed esternato in maniera estremamente efficace il disagio che provava a seguito di quelle “prove di accordo”, assecondate da quest’ultimo.

Ma cosa si deve fare nel primo incontro?Entrare nel merito durante il “primo incontro” è facile. Su cosa potrebbe basarsi la scelta delle parti se non sull’analisi delle effettive volontà di negoziazione?Tuttavia, normalmente la strada più facile non rappresenta quasi mai quella più corretta. Nello specifico oltre tutto il legislatore fornisce una indicazione che pare più orientata verso contenuti più generali richiamando “la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione”.Entrare nel merito durante il primo incontro risulta, almeno ad una prima analisi, tanto inevitabile quanto dannoso.Inevitabile perché esporre e analizzare le posizioni, giustificando al mediatore i loro comportamenti per dimostrare di aver subito un torto, è la cosa che le parti sanno fare meglio. Inoltre il loro obiettivo è capire quanto l’altro sia finalmente disposto a dar loro ragione. Da questo faranno dipendere la loro partecipazione alla mediazione vera e propria.Spesso i mediatori condividono e assecondano questo comportamento assistendo ad un “tira e molla” dall’esito negativo scontato, che nulla ha a che fare con la mediazione.Se la mediazione fosse questo non sarebbe stato necessario un intervento normativo per regolamentare la formazione di Organismi e Mediatori.Dannoso perché equivale a saltare alle conclusioni! La fase negoziale sulle ipotesi di accordo, infatti, è l’ultima tra quelle in cui viene idealmente ripartita la mediazione.Entrare nel merito fin dal “primo incontro” è dunque equiparabile alla lettura di un libro giallo partendo dall’ultimo capitolo.

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La procedura di mediazione necessita della presenza del mediatore, che quale terzo imparziale, aiuterà le parti a passare da un approccio per posizioni, che le vede inevitabilmente contrapposte, ad uno che ponga al primo posto gli interessi. Questo processo necessita di tempo ed impegno da parte tutti i soggetti presenti e non può certamente essere ridotto a un “primo incontro”.

PRESENTAZIONEISTANZA

PRIMO INCONTRO

30 GIORNI

3 MESIINTRODUZIONE

ACCORDO /NON ACCORDO

ESPLORAZIONE /NEGOZIAZIONE

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49Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

La mediazione diviene efficace laddove le parti raggiungeranno in autonomia la consapevolezza che la posizione che stanno sostenendo potrebbe condurle a non conseguire i loro reali interessi, che sono la vera ragione per cui si stanno battendo.

Acconsentire a che le parti entrino nel merito fin dal primo incontro significa non permettere loro di sperimentare cosa sia realmente la mediazione.

POSIZIONI 10%

RAGIONITORTI

FATTIPOSIZIONI

NORME

INTERESSI 90%

INCOMPRENSIONI

PERCEZIONI

EMOZIONI

INTERESSIIMPLICAZIONI

SENTIMENTI

PAURE

BISOGNIVALORI

SOLUZIONESODDISFACENTE

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Quando durante il “primo incontro” le parti iniziano a negoziare tra loro, senza che si siano potute svolgere le fasi precedenti della procedura, (rappresentazione dei fatti, individuazione delle posizioni, evidenziazione degli interessi, ricerca di alternative, ecc.) accadrà inevitabilmente che parleranno di proposte e controproposte economiche, arrivando nella maggior parte dei casi alla conclusione che la questione non sia trattabile in mediazione.Anche ove il negoziato divenisse più articolato, il mediatore dovrà inevitabilmente intervenire per richiamarle alla necessità di manifestare esplicitamente la loro volontà di proseguire in mediazione, prima di poter entrare nel merito; da questa manifestazione discende, infatti, l’assunzione dell’impegno al pagamento delle spese.L’esito di questa strategia condurrà in ogni caso le parti alla conferma che con l’altro “non si può ragionare e allora che sia un Giudice a dirgli che ha torto!” oltre a rafforzarle nella convinzione che “la mediazione è stata solo un’inutile perdita di tempo!”.

Da quanto detto il “primo incontro” si presenta come una sfida, ma può essere anche considerato uno stimolo per mettere in gioco le nostre abilità di mediatori nell’approcciare una problematica complessa.

La possibilità di proseguire passa per...

AUTOREVOLEZZA DEL MEDIATORE

FIDUCIA NELLA PROCEDURA

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51Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

3.3 Progettare il primo incontro per far sì che non sia l’ultimo

“We can’t solve the problems by using t he same kind of thinking we used when

we created them” (Albert Einstein)

Dopo una serie di “primi incontri” dai quali sono uscita piuttosto insoddisfatta, ma determinata a trovare una soluzione, ho deciso che era necessario cambiare approccio.Ho quindi provato a ri–appropriarmi, anche durante il primo incontro, in maniera piena del ruolo di mediatore, applicando metodi e tecniche della mediazione per risolvere l’enigma “primo incontro”.Occorre quindi dare una interpretazione a questa fase della mediazione in termini di contenuti e modalità.

Lo strumento per eccellenza del mediatore sono le domande; ecco allora di seguito alcuni quesiti utili a ragionare sul “primo incontro”.

• Qual è il mio obiettivo per questo primo incontro?• Cosa si aspettano le persone che ho davanti da questo primo incontro?• Come si può organizzare il primo incontro senza entrare nel merito?• Le persone che ho davanti oggi sono realmente disposte a correre il rischio di

smettere di litigare?• Cosa le spaventa di più?

La risposta a queste domande può contribuire ad aiutare i mediatori a progettare lo svolgimento del primo incontro secondo le modalità più vicine al loro modo di fare mediazione. Quanto ai contenuti, il primo incontro è il luogo più adatto per fornire alle parti indicazioni su:• funzionamento e modalità di svolgimento della procedura;• caratteristiche peculiari;ma anche per risolvere alcune tematiche, che nel proseguimento in mediazione di quella specifica domanda, potrebbero costituire criticità:• valore da attribuire alla domanda (spesso definito dalla parte che l’ha depositata

indeterminato o indeterminabile);• soggetti che partecipano alla procedura ed individuazione dei centri di interesse

(ciascun centro di interesse sarà tenuto al pagamento delle spese di mediazione);

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• adeguatezza delle deleghe attribuite ai partecipanti (ad esempio amministratori di condominio) per lo svolgimento delle fasi successive;

• analisi di particolari aspetti formali scaturenti da quanto indicato nella domanda.

Al primo incontro, dunque, il mediatore apparirà e verrà riconosciuto quale tecnico della procedura cui le Parti potranno affidare la problematica che le coinvolge sicure di poter trovare la guida autorevole di cui necessitano per provare a risolverla.

Quanto alle modalità, la riflessione può essere condotta riprendendo gli obiettivi che ci si aspetta di raggiungere all’esito del primo incontro.

Riprendendo il testo dell’art. 8 del d.lgs 28/2010, all’esito del primo incontro le parti e i loro avvocati dovranno “esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione”.Le parti e i loro avvocati dovranno aver raggiunto un accordo o un mancato accordo sul tema “proseguiamo con la procedura di mediazione?”.Se il “primo incontro” è un momento che si concluderà con un “accordo o mancato accordo”, allora può diventare una procedura di mediazione nella quale il problema da risolvere sarà “usare o no la mediazione per risolvere questa controversia”.Se il “primo incontro” è una mediazione, allora potranno essergli applicate le modalità e tecniche che ben conosciamo. Potremo quindi immaginarlo suddiviso in fasi e svolgere sia sessioni separate che congiunte.

INTRODUZIONE

ACCORDO /NON ACCORDO

ESPLORAZIONE /NEGOZIAZIONE PRIMO INCONTRO

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53Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

Questa riflessione mi ha consentito di soddisfare l’aspettativa di coloro che avvicinandosi alla mediazione avevano la curiosità di capire cosa fosse in realtà e come si svolgesse oltre a rispettare il dettato normativo; come pure di poter fare durante il primo incontro solo e “semplicemente” il mediatore (non il P.R. di un organismo di mediazione, né l’imbonitore o l’esattore di compensi di mediazione).Il “primo incontro” ora gestito come mediazione in sé (nell’applicare tecniche e modalità della mediazione alla ricerca di quale possa essere la migliore procedura da utilizzare per risolvere la controversia oggetto della domanda di mediazione) potrà quindi vedere le parti ed il mediatore dialogare tanto in sessioni congiunte quanto in sessioni private/separate.Proprio l’intuizione di applicare al “primo incontro” le sessioni separate, risolve la diatriba tra forma e merito quanto a contenuti da trattare in questa fase. Procedendo fin da subito con le sessioni separate ritengo si possa superare l’empasse della trattazione del merito. Le parti, infatti, procedendo in sessione privata, vengono poste nella condizione di potersi “sfogare” e portate a ragionare sulle opportunità di sfruttare i vantaggi della procedura senza che si inizi una fase negoziale sulle questioni di merito. Rispettando così appieno le richieste normative.Verranno poi, in sessione congiunta, chiamate ad esprimersi esclusivamente circa la volontà o meno di impegnarsi nel percorso di mediazione correndo il rischio di trovare una soluzione avendo dato risposta alle domande: • “Se mi siedo al tavolo con l’altra parte e questo mediatore, ci sono possibilità di

risolvere il problema?”• “È nel mio interesse risolvere il problema qui e ora?”

Questa modalità consente di:• spiegare alle parti e ai loro accompagnatori come si svolgerà la procedura;• comprendere quali siano per loro gli ostacoli all’utilizzo della medesima;• rispondere a domande di chiarimento e approfondimento sulla procedura adottando

un linguaggio il più possibile chiaro e comprensibile per l’interlocutore, mettendolo a proprio agio;

• instaurare un clima di fiducia;• raccogliere le confidenze degli interlocutori in un contesto estremamente riservato;• chiarire l’obiettivo del primo incontro e delle eventuali fasi successive;• esplicitare i pro ed i contro che dovrebbero essere valutati per prendere la decisione

di proseguire o meno;• individuare i problemi formali che sono stati riscontrati per la tipologia di

controversia;• definire l’oggetto ed il percorso della procedura di mediazione.

Durante le sessioni separate potranno essere trattati sia gli aspetti meramente formali (riguardanti il valore della controversia, chi presenzia alla procedura e con

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quali poteri, come si svolgerà la procedura), sia l’oggetto della mediazione vera e propria, come pure il percorso che ci si troverà ad affrontare, con gli ostacoli che, in base alla rappresentazione che le parti hanno fatto della vicenda, si potranno presumibilmente presentare.

La sperimentazione pratica mi sta inducendo a pensare che probabilmente, a parte una brevissima sessione congiunta iniziale da svolgersi al solo scopo di introdurre le sessioni private, queste ultime andrebbero avviate al più presto per apprezzarne appieno l’efficacia.I mediatori americani incontrano le parti separatamente prima di iniziare la procedura di mediazione per instaurare il clima corretto con cui affrontarla (in alcuni casi anche in contesti molto diversi dalle stanze in cui si svolgerà la procedura). Nel nostro contesto normativo questo metterebbe sicuramente in discussione la terzietà ed imparzialità del mediatore, tuttavia può essere salvato il suggerimento di sentire separatamente le parti, fin da subito, per metterle maggiormente a loro agio.Certo ogni procedura è diversa dalle altre, quindi la lettura delle carte e la sensibilità nel comprendere chi si ha davanti potranno aiutare nell’adottare le modalità migliori.

Le situazioni che si presentano al primo incontro, laddove tutte le parti vi aderiscano, sono raggruppabili in tre categorie:

PROBLEMIFORMALI

COME

CON CHI

DEFINIREOGGETTO

E PERCORSO

COME

CON CHI

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55Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

• tutte le parti rappresentanti i diversi centri di interesse manifestano fin da subito la volontà di non voler proseguire, essendo intervenute in mediazione solo per assolvere agli obblighi previsti da una clausola contrattuale o conseguenti alla condizione di procedibilità

• tutte le parti rappresentanti i diversi centri di interesse manifestano fin da subito la volontà di proseguire in mediazione

• ciascuna parte manifesta una posizione diversa rispetto alla possibilità di proseguire o meno in mediazione.

Anche ove le parti manifestino fin da subito la concorde volontà di non proseguire in mediazione, ritengo valga comunque la pena spendere qualche istante per comprendere quali siano i fondamenti di tale presa di posizione. A spingermi non è certo la curiosità, quanto piuttosto la convinzione che dover esprimere un concetto implica una riflessione, dalla quale potrebbe eventualmente conseguire un cambiamento di rotta. Potrebbero in ogni caso aprirsi degli spiragli.

Di recente mi è capitato un “primo incontro” relativo a una domanda di mediazione avente ad oggetto uno sfratto per morosità. L’istante aveva già presentato domanda giudiziale ed era prossima l’udienza di convalida.Le parti e i loro avvocati nelle dichiarazioni di apertura della procedura di mediazione avevano concordemente dichiarato di non voler procedere in mediazione.Un semplice “ho letto le carte, siete sicuri di non voler procedere” è stato sufficiente affinché tutti i presenti esprimessero i loro dubbi circa la possibilità di applicare soluzioni differenti a quella giudiziale. La mediazione è iniziata e si è conclusa con un accordo.

Indipendentemente dall’esito del primo incontro si tratta, in ogni caso, di una occasione per diffondere la conoscenza della mediazione.Certamente le situazioni in cui un approfondimento può essere maggiormente efficace sono quelle in cui le parti non manifestano lo stesso atteggiamento rispetto alla prosecuzione in mediazione.In queste circostanze, le sessioni separate divengono un ambiente privilegiato, nel quale approfondire, serenamente e con le più ampie garanzie di riservatezza, quali siano le ragioni che rendono la Parte scarsamente fiduciosa nella procedura, provando a superarle anche con l’aiuto degli avvocati che la accompagnano.Il mediatore potrà approfondire con la parte e l’avvocato i pro e i contro della procedura, ragionando in termini di interessi verso una soluzione rapida, nella quale ogni aspetto sarà frutto di una scelta anziché di una imposizione; inoltre si potranno analizzare gli ostacoli che si frappongono all’adesione.Quando al “primo incontro” le parti non sono presenti ogni sforzo diviene meno efficace e forse anche vano, occorrerebbe infatti che il legale potesse dismettere completamente

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i panni dell’avvocato, per vestire esclusivamente quelli di parte, ragionando in termini di interessi come quest’ultima; ma, certamente, non è compito semplice. Le tecniche per arrivare alla soluzione del quesito oggetto del primo incontro possono essere le medesime che conosciamo e adottiamo durante lo svolgimento della mediazione.Ci troveremo quindi a valutare con le parti costi e benefici delle procedure diverse dalla mediazione utili per affrontare e risolvere il conflitto che le vede coinvolte.Si ragionerà così di migliore e peggiore alternativa (in termini di costi ed esito atteso) alla procedura di mediazione.

Gli stimoli alla ricerca della soluzione saranno quindi da individuare nei tempi estremamente rapidi della procedura di mediazione oltre che nei costi certi e predeterminati della stessa; la riservatezza gioca poi molto spesso un ruolo fondamentale.

Quando il problema è scegliere la mediazione

INDIVIDUARE

• INTERESSI• M.A.A.N• P.A.A.N

PROSEGUIREIN MEDIAZIONE?

STRATEGIEDI SOLUZIONE:

1. SELEZIONAREGLI INTERESSI

2. GENERARE SOLUZIONI

ALTERNATIVE

3. SVILUPPARE IL PIANO DI AZIONE

GLI STIMOLI ALLA SOLUZIONE

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57Il primo incontro in mediazione... sarà anche l’ultimo?

Il primo incontro vissuto come una mediazione e così strutturato consente, quindi, alle parti di familiarizzare con le tecniche di mediazione, verificando la concretezza di quanto il mediatore avrà spiegato loro; così rafforzando il clima di fiducia.Il mediatore potrà anche ricevere le confidenze delle parti che gli saranno utili per elaborare le strategie da applicare allo svolgimento della mediazione vera e propria.

3.4 Ma quanto deve durare il primo incontro?

Durante i corsi di formazione per mediatori, questa domanda mi viene rivolta spesso.Allo stato attuale, il “primo incontro” si svolge infatti su base pressoché volontaristica da parte dei mediatori che, per quanto convinti e determinati, temono di non poter garantire a lungo elevati standard qualitativi se non ne verrà riconosciuta la professionalità anche attraverso compensi adeguati come già avviene all’estero.Il mediatore oggi è in ogni caso il primo ambasciatore di una modalità alternativa e non conflittuale per risolvere le controversie.La durata del primo incontro è normalmente concordata con l’organismo, in considerazione della disponibilità delle sale, nonché con le parti, verificandone gli eventuali impegni.Personalmente ritengo che il primo incontro possa durare all’incirca un’oretta. Penso che questo sia un tempo congruo per approfondire con ciascuna parte le tematiche e raccogliere le loro espressioni di volontà circa la prosecuzione o meno in mediazione.

Come dice una Collega mediatrice e cara amica “la mediazione è come una perla preziosa, è giusto che venga colta da chi la può apprezzare, non va sprecata!”. Ritengo che queste parole nascondano una grande verità: la mediazione è una grandissima opportunità per risolvere i conflitti facendo un vero salto di qualità; tuttavia richiede sforzo ed impegno e una volontà seria nel seguirne il percorso.

Il mediatore durante il “primo incontro” farà del suo meglio per chiarire alle parti tutti gli aspetti dubbi o controversi sulle modalità di svolgimento e sulle opportunità della procedura ma se le parti non vorranno aderirvi si limiterà a prenderne atto, certo di aver fatto del proprio meglio.

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4. La mediazione in pratica(a cura di Fabio Rondot)

Ormai molti anni fa venne pubblicato un libro di Eric Berne1 intitolato “A che gioco giochiamo” che proponeva l’interessante idea di descrivere le vicissitudini tra umani come se fossero dei giochi. Ancora oggi l’intuizione di Berne risulta essere una chiave di lettura tanto affascinante quanto potente; per rendersene conto basta guardar giocare due bambini: “Giochiamo che tu sei X e che io sono Y e giochiamo che valgono queste regole (e non altre)”. Queste pagine sono state scritte con l’intento di contribuire a svelare alcuni impliciti del Gioco della Mediazione; con un particolare riguardo a ciò che accade sin dal primo incontro.Prenderemo quindi in considerazione quaranta affermazioni utilizzando un punto di vista pragmatico e riconducibile a due dimensioni ognuna declinata in quattro tematiche; vediamole:Prima parte: A che gioco giochiamo?• La mediazione come “gioco tra le parti”: qui l’obiettivo sarà di condividere l’idea

che la mediazione non è altro che un gioco di ruolo in cui ogni giocatore “fa il suo gioco”. Qual è la cosa più importante per una parte? E per un avvocato? E per un mediatore?

• Dalle regole del gioco alle regole in gioco: qui l’obiettivo sarà quello di affermare che la mediazione non è un protocollo da presidiare quanto piuttosto un atteggiamento da agire.

• Oltre le trappole di un’implicita pedagogia: qui l’obiettivo è quello di rendere evidente la differenza che fa la differenza tra far cambiare le parti e ricercare un accordo possibile.

• Dalla “parola alle parti”... alle “parole per una nuova storia”: qui l’obiettivo è di introdurre l’idea che la mediazione è “solo” un gioco di parole.

Seconda parte: Gestione di parti e avvocati• Circolarità, Equidistanza e Irriverenza: qui l’obiettivo sarà di liberare il mediatore

da alcuni doppi–legami che lo rendono impotente.• Ad ognuno il suo scenario, il suo incantesimo: ogni attore recita la propria parte,

quel che spesso non viene guardato e lo scenario al quale si riferisce: trova lo scenario e i comportamenti diventano comprensibili.

• Dalle sessioni separate alle parafrasi con dedica: qui l’obiettivo è di evidenziare la differenza tra tecnica e strategia.

• Gli archetipi della mediazione: qui l’obiettivo è di rendere esplicita la dinamica tra soggetto – ruolo – funzione – finalità.

Tratteggiata la mappa del nostro itinerario, proprio come direbbe un bambino, siamo pronti a “giocare che noi siamo dei mediatori che giocano a giocare alla mediazione”...

1 Berne E., A che gioco giochiamo, Bompiani, Milano 1981.

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59La mediazione in pratica

Prima parte: A che gioco giochiamo?

Il paradigma descrittivo che propongo di utilizzare definisce la mediazione come un gioco di ruolo in cui ogni giocatore non fa altro che “giocare il suo gioco”. Credo sia importante iniziare il nostro viaggio esplicitando questo paradigma perché ci obbliga a ridimensionare l’idea “sono gli individui in quanto tali a determinare l’esito di una mediazione”. Purtroppo, o per fortuna le cose vanno diversamente perché, come avremo modo di vedere, molte sono le variabili che entrano in gioco e, di conseguenza, molte sono le opportunità a disposizione delle parti. A proposito, qual è la cosa più importante per una parte? E per un avvocato? E per un mediatore?

La mediazione come “gioco tra le parti”Le tre domande appena poste evocano la necessità di iniziare il nostro viaggio dedicando attenzione a sei caratteristiche condizioni che concorrono a delineare il profilo di ogni individuo che partecipa ad una mediazione; vediamole.

Affermazione 1Ogni persona coinvolta in mediazione va guardata alla luce di tre dimensioni: identità, ruoli, funzioni.Potrebbe sembrare un’affermazione ovvia ma quando delle persone si incontrano (e questo accade in una mediazione) raramente sono in grado di separare le tre dimensioni citate. Capita così che Tizio venga trattato solo come un avvocato, o che a un Parte non venga riconosciuta una competenza (è un cuoco, una programmatrice informatica, un insegnante), o che la funzione del Mediatore venga confusa con quella di un giudice.La pratica della mediazione suggerisce che tanto più il mediatore è in grado di giocare con le tre dimensioni, tanti più margini di gioco avrà. Poter contare sul fatto che ogni persona coinvolta in una mediazione può giocare ruoli diversi, agire differenti funzioni e soprattutto sentirsi più sicuro sapendo che la propria identità non viene messa in discussione, può diventare un plus a favore del mediatore.Per intenderci, se assimiliamo le informazioni a dei pacchetti che le persone si scambiano, la possibilità che questi siano percepiti compresi e condivisi dipende anche da quale punto di vista viene utilizzato; detto in altri termini: cosa percepisce e comprende una parte? E un avvocato? E un mediatore? Per questo in alcuni casi risulta fondamentale offrire l’opportunità di “cambiare posizione percettiva”; cambiando ruolo piuttosto che interpretando una nuova funzione (senza dover per questo snaturare la propria identità).

In sintesiAiuta gli altri a giocare ruoli differenti e ad agire funzioni diverse; diventeranno più disponibili.

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Affermazione 2Ogni persona è fatta di bisogni, posizioni, interessi e desideri.Questa affermazione potrebbe continuare così: “…ma ogni volta che le persone sono arrabbiate o si sentono in pericolo, tendono ad esplicitare solo bisogni e posizioni”; forse per questo in mediazione, soprattutto nella fase iniziale, parti e avvocati tendono a rivendicare la soddisfazione di un bisogno. E solitamente lo fanno prendendo delle posizioni rigide confortate da quelle che loro considerano verità oggettive. A volte le narrazioni fatte dalle parti sono così articolate e seducenti da far dimenticare al mediatore che esistono altre due dimensioni da esplorare: gli interessi e i desideri. Anche in questo caso però il mediatore può aiutare le parti chiedendo loro di passare dal paradigma del “dato che ho ragione (posizione) esigo che mi venga riconosciuto X (bisogno)” al paradigma del “ciò che davvero mi interessa è Y (interesse) ma sarei davvero soddisfatto se prendessimo in considerazione anche K (desiderio)”.

In sintesi Le parti possono fare scelte migliori se riescono a mettere in gioco i loro interessi e desideri.

Affermazione 3Mediatori, Parti e Avvocati sono denominazioni che ci allontanano dalle caratteristiche individuali.Per avere idea di chi abbiamo di fronte abbiamo bisogno di andare oltre le generalizzazioni socialmente consolidate; a questo proposito, facendo sintesi del pensiero di G. Bateson2, potremmo dire che “troppo spesso siamo preda dei nostri principi dormitivi”, affermazione che parafrasata a nostro uso e consumo diventa “ troppo spesso ci accontentiamo di credere che un avvocato ha come intento quello di difendere una parte”; mentre la nostra curiosità si dovrebbe spingere sino al punto di scoprire di quali peculiarità sia fatto il mondo di ogni nostro singolo interlocutore.A tal fine potrebbe essere molto utile rammentare che ogni individuo incontra nel proprio sviluppo tre grandi domande: Dove sono capitato? (pensiamo a quanto tempo trascorriamo nel tentativo di dare stabilità e permanenza al mondo che ci circonda); Chi sono? (perché potendo contare su un mondo stabile in cui vivere l’oggetto delle nostre attenzioni diventa la nostra identità); Che senso ha ciò che mi accade? (perché avere un’identità ci mette nella condizione–necessità di dare un senso alle nostre storie).Le tre domande citate implicano tre possibili chiavi di lettura dello stato di empasse tra le parti; detto altrimenti, le persone coinvolte in una mediazione potrebbero correlare il “problema” a tre differenti dimensioni: qualcuno potrebbe affermare che

2 Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976.

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61La mediazione in pratica

il problema è figlio di un’errata comprensione di come è (dovrebbe funzionare–essere) il mondo; altri potrebbe invece esser convinti che il problema è l’effetto di uno scontro tra identità; altri ancora potrebbero indicare come possibile via di uscita la ricerca di un nuovo modo di intendere le cose.

Quanto detto può esser rappresentato dalla seguente matrice:

Riempire questa matrice consente di rendere esplicite alcune caratteristiche soggettive dal cui confronto potrebbero emergere possibili (e in alcuni casi inaspettate) sintonie e/o simmetrie.

In sintesiSe l’abito non fa il monaco, allora perché mai le definizioni di ruolo dovrebbero garantire una buona rappresentazione dell’universo di significati delle persone?

Affermazione 4Ogni persona è fatta di fisiologia, emozioni, affetti, convinzioni, strategie.Cominciamo con una domanda: Le emozioni vanno fatte esprimere o no? Lo chiedo perché in alcuni casi mi è capitato di vedere all’opera mediatori che esplicitavano regole che di fatto relegavano le emozioni in eleganti “pentole a pressione senza valvola”; condizione che rende assai probabile un effetto paradosso del tipo “più le neghi più si riproporranno in modo imprevedibile”.Volendo portare a sintesi, noi umani siamo fatti di cinque ingredienti base:1. Fisiologia, ovvero le nostre reazioni sono in parte determinate dalle condizioni in cui si trova il nostro corpo (parafrasando, mi piace ricordare che “la nostra attenzione, disponibilità al confronto, capacità di trovare risposte... è inversamente proporzionale alla quantità di liquido presente nella nostra vescica”).2. Emozioni, ovvero sintetizziamo le nostre esperienze in reazioni istantanee; reazioni che possono esser poi evocate da situazioni che in qualche modo assimiliamo qualche cosa di già vissuto–sperimentato; per comodità potremmo dire che le nostre emozioni sono indicative del significato che abbiamo attribuito a

Chi sono ioe in cosa mi identifico

Che senso ha per me ciò che è accaduto

(sta accadendo)

Evento portatoIn mediazione

Mediatore

Parte A

Parte B

Avvocato della Parte A

Avvocato della Parte B

Com’è fattoil mio mondo

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certi episodi della nostra vita. Dunque quando esprimiamo un’emozione è come se dicessimo “questa cosa che sto vivendo mi fa lo stesso effetto di una cosa che mi è successa in passato”.3. Affetti, ovvero quando–se ci sentiamo accettati per quel che siamo e riconosciuti senza precondizioni ci lasciamo coinvolgere in dinamiche improntate all’empatia.4. Convinzioni, ovvero nel tempo ci facciamo (e/o ereditiamo) idee e credenze sul mondo e di conseguenza ci comportiamo; al netto del fatto che le nostre convinzioni siano più o meno verificate sperimentalmente.5. Strategie, ovvero siamo abitudinari o per meglio dire affezionati alle nostre ritualità; per questo ogni novità che metta alla prova le nostre abitudini richiede tempo per essere assimilata. Per intenderci, se sono abituato a litigare e a difendermi, potrei vivere con sospetto la richiesta di “aprirmi al confronto”.

Anche in questo caso una semplice matrice ci aiuterà a concretizzare la complessità di cui è fatto il gioco della mediazione.

Riempire questa matrice consente di identificare similitudini e differenze che potrebbero rendere comprensibili i comportamenti e gli atteggiamenti delle persone coinvolte in mediazione.

In sintesiIl primo passo per giungere ad una mediazione è trovare qualche cosa di accettabile (di simile a me) negli altri.

Affermazione 5Ci muoviamo nella vita prendendo a riferimento quattro punti cardinali: le Identità motorie, quelle semantiche, le sfide che possiamo accettare, i nuovi comportamenti che siamo in grado di sperimentare.

Evento portatoIn mediazione

Fisiologia AffettiEmozioni Convinzioni Strategie

Mediatore

Parte A

Parte B

Avvocato della Parte A

Avvocato della Parte B

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63La mediazione in pratica

Quando persone estranee si incontrano, il qui ed ora in cui si trovano può far dimenticare che ognuno di loro è il prodotto di una precisa biografia di cui, con un po’ di attenzione, si potrebbero trovare tracce nelle parole usate piuttosto che nei comportamenti agiti. Un mediatore consapevole di tale condizione potrebbe raccogliere molte informazioni in modo indiretto focalizzando la propria attenzione sulle identità motore e semantiche dei propri interlocutori. Questo perché se è varo che “siamo un mix di comportamenti e narrazioni” allora accetteremo con maggior facilità quelle sfide che percepiamo come compatibili con i nostri modi di agire e raccontare; e saremo disposti a mettere in atto nuovi comportamenti nella misura in cui li percepiremo come “naturali” evoluzioni delle nostre abitudini. Proporre novità in continuità con il passato potrebbe quindi essere un buon modo di condurre una mediazione; introducendo quelle minime variazioni sufficienti ad influenzare la deriva narrativa della storia che sta coinvolgendo negativamente le parti. Tutto ciò confortati dalla potenza del deutero apprendimento ovvero dal fatto che ogni individuo esposto ad uno stile di comportamento coerente, impara ad adeguarsi. Detto altrimenti, incontrando un mediatore concretamente capace di ascoltare le parti, seppur inconsciamente saranno indotte ad ascoltarlo; condizione che gli consegnerà la possibilità di diventare un interlocutore per le parti.

In sintesiNella misura in cui tu sarai disponibile ad ascoltarli, loro impareranno ad ascoltare te; e nella misura in cui ti ascolteranno, potrai introdurre nuovi modi di rappresentare la loro storia.

Affermazione 6Ogni mediazione è l’episodio presente di una storia che ha un passato e un futuro.Possiamo considerare ogni mediazione al tempo stesso come l’episodio in una storia (così la intendono le parti) piuttosto che un episodio di una storia (così la intendono i mediatori); ovvero, per le parti la mediazione è solo uno dei tanti episodi di cui è fatta la loro storia mentre per i mediatori sperimentano la ripetizione infinita di uno stesso episodio. Una differenza che se non considerata e compresa nelle sue implicazioni può generare incomprensioni e condizioni di incommensurabilità. Ma la variabile “tempo” propone anche un’altra chiave di lettura condensabile in una domanda: “in che tempo vivono le parti? O meglio, qual è la dimensione temporale che considerano significativa? Come credo ognuno avrà sperimentato, ci sono persone che vivono la propria esistenza ancorate al passato, capaci di rammentare dettagli e particolari che le mettono nella condizione di ri–vivere episodi passati assaporandone vividamente le emozioni. Altre che orientano lo sguardo al futuro, pronte a dimenticare o comunque relativizzare ogni esperienza. Altre ancora che vivono in una sorta di eterno presente, incapaci di recuperare il passato o di immaginare un orizzonte che vada oltre il qui ed ora. Esistono poi persone disponibili a viaggiare attraverso il tempo grazie alla loro capacità di assumere l’atteggiamento di osservatori svincolati dalle ancore emotive.

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Anche in questo caso una semplice matrice ci aiuterà a comprendere perché in alcuni casi il mediatore potrebbe trovarsi in difficoltà.

Da dove gli attori in gioco descrivono–rappresentano: la loro storia, il problema, la soluzione?

In sintesiSe vuoi che la mediazione possa aver luogo potresti trovarti nella condizione di dover fare tre cose: viaggiare nel tempo andando a recupera le informazioni; rendere consapevoli le parti delle loro collocazioni temporali; aiutare le parti a viaggiare nel tempo.

Dalle regole del gioco alle regole in giocoChiunque abbia giocato sa che esistono due modi di approcciare le regole: in un caso le vengono considerate immanenti e quindi indisponibili ai giocatori che dovranno limitarsi a rispettarle o al massimo a confrontarsi sulla legittimità delle interpretazioni utilizzate; nell’altro le regole stesse fanno parte del gioco e possono quindi esser rinegoziate in ragione di finalità condivise. Possiamo considerare la mediazione come un gioco che impone pochissime regole immanenti lasciando ai giocatori ampi margini per proporre regole reputate funzionali per un qualche scopo. Da questo punto di vista il mediatore assume la funzione di garante del rispetto delle regole, sia quelle immanenti (poiché costitutive del gioco stesso) sia quelle generate giocando. Egli stesso, in quanto giocatore, potrà farsi promotore di nuove regole. Ecco perché, utilizzando la classificazione di J. Carse3, possiamo definire la mediazione come un “gioco infinito”.

Affermazione 7La mediazione andrebbe considerata come un protocollo formale di protocolli informali.La mediazione può essere rappresentata come un protocollo bidimensionale:

Evento portato in

mediazione

Immerso nel Passato

Immerso nel Presente

Immerso nel Futuro

Rivolto al Passato

Rivolto al Futuro

Viaggiatore del Tempo

Mediatore

Parte A

Parte B

Avvocato della Parte A

Avvocato della Parte B

3 Carse J. , Giochi finiti e infiniti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1987.

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65La mediazione in pratica

la prima dimensione è formale, scandita da una sequenza di attività di cui sono definiti in modo inequivocabile criteri e parametri di transizione da uno step all’altro (assimilabile quindi ad una rete di Petri); la seconda dimensione è informale, scandita dalle dinamiche narrative generate dall’interazione tra gli attori coinvolti. Un esempio di protocollo informale gestibile da un mediatore è in tentativo di separare le persone dal problema, per poi separare le intenzioni dalle modalità agite, per poi separare gli obiettivi dai risultati. Un altro esempio di protocollo informale è la gestione della dinamica tra sessioni congiunte e separate.

In sintesiIl vero valore aggiunto della mediazione si scopre nel momento in cui il mediatore diventa capace di portare le parti a giocare con protocolli informali rispettando i vincoli di legittimità definiti dal protocollo formale.

Affermazione 8La mediazione come protocollo “debole” (il processo come protocollo “forte”).Alla maggior parte delle persone che conosco non è ben chiara la differenza che fa la differenza tra un processo e una mediazione. In estrema sintesi potrebbe dire che quando viene istruito un processo le parti si confrontano con una procedura che le obbligherà a progressivi adeguamenti giungendo a spostare l’attenzione dal merito della questio alla validità della procedura stessa. Detto in altri termini, il gioco che viene giocato non prevede la negoziabilità delle regole (che risultano immanenti per i giocatori) condizione che inesorabilmente pone in primo piano la procedibilità e spinge nello sfondo l’attesa delle parti di ricondurre la narrazione degli eventi ad una interpretazione “vera”; condizione che agli occhi delle parti genera un inversione tra mezzo e fine (ciò che per le parti doveva essere un mezzo “attraverso il processo otterrò ragione perché la verità verrà affermata” si trasforma in un fine “il processo che con il suo stesso procedere afferma la propria legittimità”). Al contrario, le parti in mediazione si confrontano con una procedura che si pone come unico obiettivo quello di garantire un confronto tanto equo quanto orientato alla ricerca di una soluzione condivisa; condizione che chiede alle parti di assumersi la responsabilità di un confronto che vada oltre la mera ricerca delle ragioni e dei torti. In questo senso la mediazione è connotabile come “debole”; debole perché non si pone l’obiettivo di esprimere un giudizio, debole perché consente alle parti di mediare tanto a livello di contenuti che a livello di regole, debole perché chiede agli avvocati di lasciare il paradigma della “difesa–accusa” per accogliere quello della “equità–validità”.

In sintesiIl processo garantisce la certezza di una procedura forte capace di evocare l’archetipo di un giudizio “giusto perché figlio di regole consolidate e immanenti”; la mediazione offre l’opportunità di un accordo concretamente funzionale.Da una parte la forza della ragione, dall’altra quella della funzionalità.

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Affermazione 9Un mediatore non può limitarsi a presidiare un protocollo; deve assumersi il rischio di incarnare degli atteggiamenti.Come accennato qualche affermazione fa, la potenzialità della mediazione sta nella sua dimensione informale; detto in altri termini è debole nella misura in cui viene presidiata la dimensione formale del suo protocollo, diventa forte nella misura in cui il mediatore si assume la responsabilità di agire comportamenti tanto informali quanto legittimati dal coinvolgimento delle parti e degli avvocati. Al mediatore spetta quindi il compito di proporsi come interlocutore concreto e diretto, capace di condurre le parti oltre i limiti delle loro abitudini e convinzioni, reintroducendo nelle loro narrazioni la dimensione dei “possibili”4.

In sintesiLa mediazione diviene tanto più efficace quanto più si trova il coraggio di assimilarla ad una nuova forma, finalizzata di commedia dell’arte5.

Affermazione 10La mediazione esprime al meglio la propria identità nella misura in cui l’attenzione si sposta dalle regole immanenti alla condivisione delle finalità.Le parti (e gli avvocati) potranno scoprire le potenzialità della mediazione nella misura in cui saranno accompagnati a condividerne le finalità. Questo è il passaggio cruciale che consente di rinunciare alla comodità delle regole forti pur di cogliere l’opportunità di giungere ad una soluzione equa. Ma proprio in questo consiste anche la sfida: le parti sapranno rinunciare alla necessità di “ottenere ragione” pur di raggiungere un accordo soddisfacente? Per questo al mediatore spetta il compito di accompagnare le parti lungo un percorso che renda la ricerca di una soluzione possibile un obiettivo: percepibile, ma anche comprensibile, e per questo condivisibile, e per questo attuabile poiché verificabile.

In sintesiCiò di cui le parti non sono quasi mai consapevoli è che spesso la ragione risulta essere una ben magra consolazione.

4 Bottirolo G., La ragione flessibile, Boringhieri, Torino 2013.5 La commedia dell’arte è nata in Italia nel XVI secolo; non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma prendevano a riferimento dei canovacci, detti anche scenari. In ambito teatrale e letterario con il termine canovaccio o scenario si indicano gli elementi di base della trama di un’opera che ne determina in maniera generica lo svolgimento senza entrare eccessivamente nel dettaglio delle singole scene. In modo particolare nella commedia dell’arte il canovaccio forniva la traccia sulla quale si sviluppava l’improvvisazione teatrale degli attori. I comici dell’arte erano soliti possedere un vasto bagaglio di canovacci, adatti alle loro potenzialità, da sfruttare al momento della rappresentazione scenica.

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67La mediazione in pratica

Oltre le trappole di un’implicita pedagogiaNei punti precedenti abbiamo parlato di regole e finalità, ora è venuto il momento di mettere il mediatore nella condizione di evitare quattro trappole che potrebbero renderlo inefficace.

Affermazione 11Il discorso introduttivo perde la sua efficacia nel momento stesso in cui ne viene colta soltanto la sua valenza retorica.Nella didattica dedicata alla mediazione il discorso introduttivo occupa certamente una posizione importante in quanto viene descritto come una sorta di chiave di volta capace di determinare le sorti di una mediazione. La pratica quotidiana suggerisce però la necessità di connotarlo che uno degli elementi in gioco la cui concreta utilità dipende dalla capacità del mediatore di comprenderne a fondo la funzione.La domanda quindi diventa: a cosa serve il–un discorso introduttivo? L’ovvia (solo apparentemente) risposta è: “a introdurre”, ovvero a far si che le parti “entrino nel–in gioco”. Detto in altri termini al discorso introduttivo spetta il compito di fornire non tanto–solo le regole del gioco quanto piuttosto il senso stesso del giocare alla mediazione; ma più ancora spetta il compito di fornire il primo terreno di confronto tra mediatore parti e avvocati e quindi d’esser, in un certo senso, la narrazione che introduce il mediatore alle parti in modo tale che il primo possa introdurre le seconde nel mondo della mediazione. Di qui la necessità che il mediatore abbia ben chiaro che nel momento in cui propone il proprio discorso introduttivo, ancor più e prima della mediazione, sta presentando sé stesso. Dunque potremmo anche dire che la vera funzione del discorso introduttivo è quella di delineare il perimetro narrativo dell’incontro tra chi giocherà la mediazione. Per questo una mera esplicitazione delle regole della mediazione non può bastare; bisogna andare oltre, definendo un contesto che renda possibile l’incontro tra le parti, precondizione necessaria all’elaborazione di una nuova narrazione capace di contenere in sé le potenzialità di nuove soluzioni.

In sintesiIl mediatore dovrebbe aver ben chiaro che non è lui ad introdurre le parti alla mediazione con il discorso introduttivo quanto piuttosto è quest’ultimo ad introdurre il mediatore alle parti.

Affermazione 12Perché voler far cambiare le parti quando basta trovare un accordo.Alcune storie posso indurre il mediatore nella tentazione di credere che per trovare un accordo siano le parti stesse a dover cambiare. Quanto affermato nei punti precedenti suggerisce invece di evitare questo approccio orientato alla pedagogia del cambiamento. Le parti giungono in mediazione avendo ben chiaro che esiste un problema che le coinvolge; non solo, quasi sempre le parti sono convinte che “se solo l’altro cambiasse, se solo ammettesse di aver torto, il problema sarebbe risolto.

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Stante la posizione descritta al mediatore non resta che tenersi ben lontano dall’idea trovare una via di uscita chiedendo alle parti una disponibilità al cambiamento, questo perché la richiesta genererebbe la condizione per cui chiunque decidesse di dare la propria disponibilità al cambiamento, seppur implicitamente, ammetterebbe di essere in torto. Dunque, mettere al centro la possibilità di trovare una soluzione spostando l’attenzione dalle parti al problema consente al mediatore sia evitare di cadere nella trappola che di ridefinire le parti come risorse positive funzionali (entrambe) alla ricerca della soluzione.

In sintesiLa miglior soluzione è accontentarsi di aver raggiunto una buona soluzione indipendentemente dal fatto che le parti abbiano sposato la causa della mediazione.

Affermazione 13Il mediatore che afferma di non partecipare alla definizione della soluzione diventa parte di un paradosso.Nel tempo mi è capitato di sentire alcuni mediatori affermare che “sono le parti a dover trovare la soluzione”; ora la mia domanda è: “Ma se le parti sono in una condizione di stallo e il mediatore ha intuito una possibile via di uscita cosa si fa?” Certamente sostituirsi alle parti imponendo una soluzione sarebbe eticamente scorretto; ma non dare alle parti l’opportunità di confrontarsi con un’idea da sviluppare è forse più corretto–etico? Mi chiedo anche se possa esistere un mediatore che, essendo entrato nella narrazione di una mediazione non sia anche diventato un generatore di soluzioni possibili; voglio dire, come si può (come si fa a) non pensare ad una soluzione quando tutto il lavoro in mediazione è orientato alla ricerca–generazione di una soluzione. Non sarebbe allora più semplice liberar il mediatore dal vincolo di non condividere i suoi pensieri in merito ad una possibile soluzione vincolandolo se mai a ragionare in termini di etica della soluzione?

In sintesiUn mediatore che ha ascoltato e accolto le parti non può non avere una fantasia–desiderio–attesa di soluzione; per questo tutte le sue energie vanno dedicate a condividere senza imporre; evitando di negare un’evidenza che altrimenti lo costringerebbe a mentire (perché una ipotesi di soluzione l’ha pensata) e quindi lo renderebbe comunicativamente inefficace poiché incongruo.

Affermazione 14Contribuire non significa decidere.Questa affermazione va considerata come la logica estensione della precedente poiché sposta l’attenzione sul momento decisionale. Come ben sappiamo la mediazione non tradisce la propria identità sino a che le decisioni restano in capo alle parti; nessun altro può prendere decisioni. Mediatori e avvocati possono certamente contribuire alla evocazione di scenari di fattibilità ma alla fine saranno comunque le parti a dover decidere.

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69La mediazione in pratica

In sintesiNel gioco della mediazione tutti i giocatori sono di fatto coinvolti nel processo di generazione di soluzioni possibili mentre la funzione decisionale rimane una esclusiva delle parti.

Dalla “parola alle parti” alle “parole per una nuova storia”Più si frequenta la mediazione più ci si rende conto che al mediatore spetta il compito di ri–scrivere ri–narrare una storia contribuendo ad operare una trasformazione funzionale a tramutare una condizione di stallo in una nuova opportunità evolutiva. Le prossime sette affermazioni sono dedicate ad esplicitare alcuni aspetti delle dinamiche narrative che costituiscono gli elementi portanti di ogni mediazione.

Affermazione 15Le parti raccontano storie apparentemente monosemiche.Quando le parti arrivano in mediazione solitamente consegnano al mediatore due storie al tempo stesso antitetiche e monosemiche ovvero definite in modo univoco e quindi prive della possibilità di comprendere anche minimi dettagli dell’altra storia. In una tal condizione diventa essenziale che il mediatore si faccia carico di raccogliere informazioni che lo mettano nella condizione di dare inizio ad una nuova narrazione capace di contenere, seppur separatamente, gli ingredienti (le singolarità) delle storie portate dalle parti. In questa prima fase è fondamentale che le parti si facciano garanti della buona narrazione delle proprie storie in modo tale che il mediatore possa raccogliere dati che, successivamente, le parti stesse riconoscano come propri.

In sintesiTanto più il mediatore sarà in grado di far discendere la propria narrazione da quelle delle parti tanto più queste percepiranno il racconto del mediatore come in sintonia con la loro posizione. Detto in altro modo se la narrazione del mediatore non è in grado di generare empatia difficilmente le parti saranno poi disposte a farla propria.

Affermazione 16Le parti sono prigioniere di incantesimi semantici.Proprio come i personaggi di alcune favole, le parti possono esser rappresentate come prigioniere di un incantesimo il cui potere si rinnova ad ogni narrazione. Parafrasando un concetto caro a P. Watzlawick6 “ogni volta che una parte racconta la propria versione dei fatti contribuisce a rigenerare una profezia che si auto avvera”; per questo il mediatore dovrà essere abile ad utilizzare interruzioni di schemi e scivolamenti di contesto. Un modo per concretizzare questi riorganizzatori di significato è far ricorso alle parafrasi.

In sintesiLe parti possono fare scelte migliori se riescono a mettere in gioco i loro interessi e desideri.

6 Watzlawick P., Beavin J. e Jackson D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971.

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Affermazione 17Le storie che le parti portano in mediazione vanno de–zippate.Prendendo spunto dall’affermazione precedente, una delle funzioni del mediatore è di de–zippare le narrazioni che le parti mettono a disposizione. Attraverso un paziente lavoro di esplicitazione, disambiguazione, ri–denominazione, classificazione e riallineamento tra testi e rappresentazioni sensoriali (quando una parte usa le parole “mai” o “tutti” vuole davvero intendere “in nessun momento, neanche per una volta” e “chiunque, anche gli sconosciuti”), il mediatore può giungere ad una prima relativizzazione degli assoluti presenti nelle storie; primo passo verso la differenziazione tra fatti–dati e vissuti–rappresentazioni. Naturalmente il mediatore dovrà esser pronto ad accogliere ogni tipo di reazione perché le parti, esposte ad una esplicitazione consapevole di alcune “ombre” presenti nelle loro narrazioni, potrebbero esprimere dissenso, negare, arrabbiarsi, piangere; piuttosto che provare un senso di liberazione, ridere, ringraziare...

In sintesiTanto più il mediatore diventerà curioso di conoscere ogni rivolo della storia, tanto più le parti saranno necessitate a portare a consapevolezza gli elementi costitutivi della propria narrazione e le eventuali incongruenze–incoerenze.

Affermazione 18Il mediatore è come un prisma.Per concretizzare la funzione di differenziazione, il mediatore deve metaforicamente assimilarsi ad un prisma capace di separare i differenti livelli logici presenti in ogni storia in modo tale da poter riconsegnare alle parti una rappresentazione multidimensionale nella quale siano ben riconoscibili le interazioni tra: chi, ha fatto cosa, con chi, quando, dove, come e perché.

In sintesiAl mediatore spetta il compito di ri–scrivere una storia che tenga conto del passato (ovvero delle narrazioni delle parti) ma che proponga derive semantiche alternative (ovvero nuovi orizzonti per nuovi scenari).

Affermazione 19Il mediatore è come un catalizzatore.Il mediatore esprime al meglio la sua professionalità quando riesce ad svolgere la funzione di catalizzatore ovvero quando–se riesce a far si che le parti sentano come propria la nuova storia (e la soluzione) al netto del contributo attivo di altri. Metaforicamente possiamo pensare che l’obiettivo del mediatore sia quello di offrire alle parti un nuovo punto di osservazione dal quale guardare le loro storie con una prospettiva che consenta loro di vederle come parti di un unico divenire.

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71La mediazione in pratica

In sintesiSvolgendo la funzione del prisma il mediatore da nuova voce alla storia, svolgendo la funzione del catalizzatore aiuta le parti a utilizzare nuove prospettive.

Affermazione 20Tutti gli attori in gioco, giocano con equivalenze complesse, cause effetto, generalizzazioni e cancellazioni.Abbiamo accennato prima che spesso le parti utilizzano generalizzazioni (concretizzabili in parole come tutto, sempre, niente, mai, nessuno) ottenendo l’effetto di cancellare una parte della narrazione. A questi escamotage arcaici se ne possono aggiungere altri più raffinati riconducibili a due strutture semantiche ben precise:Cause effetto: quando una persona dice “se tu non avessi tardato nella consegna dei materiali io non sarei incorso in quella costosissima infrazione” di fatto sta affermando che l’effetto di cui si sta lamentando (il pagamento di una multa) è causato da un ritardo nelle consegne. Equivalenza complessa: proseguendo nell’esempio si potrebbe affermare che “rispetto dei tempi di consegna = assenza di infrazioni”. In questo caso si parla di equivalenza “complessa” proprio perché la similitudine non può esser data come scontata e quindi condivisibile da chiunque. Le equivalenze complesse e le cause effetto sono strutture semantiche particolarmente importanti in mediazione perché con esse le parti esprimono le loro convinzioni; per questo ogni mediatore dovrebbe allenarsi a riconoscerle, renderle esplicite e destrutturarle in modo da garantire alle parti nuovi modi di interpretare le loro affermazioni.

In sintesiTanto più il mediatore è allenato a “giocare” con le parole e con le strutture semantiche, tanto più le parti possono sperare di rompere gli incantesimi che le tengono prigioniere nei loro significati.

Affermazione 21L’obiettivo di ogni mediazione è di andare alla ricerca dell’anima polisemica delle narrazioni esplicitate dalla parti.Da quanto detto emerge la necessità che il mediatore sia vissuto dalle parti come un evocatore di polisemie sostenibili ovvero in cui le parti possano riconoscersi. Per raggiungere un tale risultato il mediatore dovrà essere in grado di stabilire, di volta in volta, se orientare il lavoro di ristrutturazione semantica a livello di cornici di significato (di contesto) oppure se limitarsi ad operare a livello di ridefinizione dei contenuti giocati.

In sintesiIl mediatore dovrebbe esser consapevole che in alcuni casi basta cambiare contesto ad una frase perché questa assuma un nuovo significato; in altri bisogna avere il coraggio di usare–introdurre parole nuove.

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Seconda parte: Gestione di parti e avvocati

In questa seconda parte ci occuperemo maggiormente di “come” gestire parti e avvocati; anche in questo caso prenderemo in considerazione quattro gruppi di affermazioni; vediamole.

Circolarità, equidistanza e irriverenzaPer prima cosa dobbiamo superare alcune rigidità e paure che ad oggi impediscono alla mediazione di sprigionare molte delle sue potenzialità; per farlo dovremo assumere una posizione chiara (non ambivalente) rispetto a cinque affermazioni.

Affermazione 22Dobbiamo compiere un “viaggio di sola andata” spostando l’attenzione dalla mediazione al mediatore.Utilizzare il paradigma del “gioco” rende subito evidente che nessun gioco si può concretizzare in assenza dei giocatori, di più un gioco è tale quando consente ai giocatori di emergere. Riportando quanto appena affermato alla mediazione il vero salto di qualità potrà avvenire nel momento in cui dal tentativo di replicare dei protocolli di intervento all’affermazione delle competenze del mediatore. A riprova di quanto sto dicendo ad oggi non è ancora stato delineato in modo compiuto il profilo professionale del Mediatore; detto altrimenti se qualcuno si chiedesse: “esiste una descrizione che evidenzi le peculiarità della professionalità del mediatore” la laconica risposta cui giungerebbe è: “no!”.

In sintesiAbbiamo la necessità, è giunto il momento di formalizzare le caratteristiche (competenze e aree di attività) del profilo professionale del mediatore.

Affermazione 23C’è il protocollo, c’è la finalità, forse c’è la funzione... sicuramente manca il ruolo.Nessuna mediazione potrà mai condurre le parti a sancire un accordo senza l’intervento attivo di un mediatore; parti e avvocati hanno bisogno di poter contare su un interlocutore dotato di umanità che garantisca loro la voglia di portarli oltre i loro limiti facendogli scoprire nuovi (e a volte inaspettati) orizzonti. Un mediatore che abbia il coraggio di incarnare lo spirito della mediazione offrendone la propria interpretazione alle parti.

In sintesiPerché parti e avvocati possano credere nelle proposte fatte dal mediatore, ci vuole un mediatore che sia disposto ad ascoltarli e comprenderli.

Affermazione 24Dobbiamo uscire dal paradosso del “siamo tutti mediatori”.

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73La mediazione in pratica

Col passare del tempo sono aumentate le occasioni in cui ho sentito dire “se solo gli avvocati avessero attitudine alla mediazione si vedrebbero mediazioni migliori”; mi permetto di dissentire. Come abbiamo detto la mediazione è assimilabile ad un gioco di ruolo e allora, in quanto tale necessità di rispetto per i ruoli in gioco. Dunque che gli avvocati facciano gli avvocati, che le parti facciano le parti e che il mediatore si assuma l’onere e l’onore di giocare il proprio ruolo. Quanto affermato diventa ancor più determinante se ci mettiamo nei panni delle parti; loro hanno la necessità (il diritto) di sentire che i loro avvocati interpretano al meglio il ruolo di avvocati, senza margini di ambiguità. Al mediatore il compito di giocare dinamiche mediative.

In sintesiUn mediatore diventa tale nel momento in cui si assume la responsabilità di coinvolgere le persone coinvolte nella mediazione in un lavoro di rilettura funzionale degli eventi.

Affermazione 25Come si può mediare se non si è disposti alla manipolazione e all’irriverenza.Parafrasando Gian Franco Cecchin7, uno psicoterapeuta di notevole esperienza, potremmo dire che nessuna storia cambia sino a che non incontra un interlocutore tanto curioso quanto irriverente. Ecco, un mediatore diventa tale nel momento in cui è disposto a infrangere due tabù dichiarando che:• non potrà che manipolare sia le informazioni di cui verrà a conoscenza che le

dinamiche relazionali in cui sarà coinvolto;• cercherà di mantenere un atteggiamento di formale irriverenza nei confronti di

quanto le parti affermeranno, considerando questo “stato mentale” come precondizione indispensabile per garantire alle parti un concreto aiuto nella ricerca di una possibile soluzione.

Al tempo stesso, il mediatore dovrà garantire a tutti i giocatori coinvolti:• un contesto che favorisca il confronto e la ricerca di soluzioni accettabili;• delle dinamiche relazionali capaci di generare il rispetto delle identità coinvolte;• delle domande capaci di generare nuovi significati.

In sintesiSe un mediatore offre alle parti esattamente ciò che loro si aspettano trovare un accordo diventerà davvero difficile.

Affermazione 26Come mediatori abbiamo la necessità di sviluppare un’etica della manipolazione.Le affermazioni precedenti rendono esplicita la necessità di sviluppare un’etica della

7 Cecchin G., G. Lane G. e W.A. Ray, Irriverenza, Franco Angeli, Milano 1993.

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manipolazione e dell’irriverenza che metta il mediatore nella condizione di agirle in modo consapevole, funzionale e rispettoso delle persone coinvolte.Si potrebbe arrivare ad affermare che la mediazione avrà un futuro nella misura in cui i mediatori si assumeranno l’onere di sfidare le consuetudini della retorica negoziale arrivando ad elaborare nuovi modi (protocolli?) di intervento funzionali a garantire che le soluzioni trovate siano:• espresse in modo esplicito e dettagliato per le parti e sostenibili–valide per gli avvocati;• realizzabili in modo autonomo per le parti, o comunque riconducibili a prassi

presidiabili dalle parti o da loro rappresentanti;• verificabili utilizzando parametri obiettivi e oggettivi;• soddisfacenti per le parti;• percepite come efficaci ed efficienti anche a distanza di tempo;• percepite come generatrici di retroazioni positive nelle future dinamiche relazionali

delle parti.

In sintesiSino a che i mediatori si limiteranno a ripercorrere strade già battute difficilmente le parti avranno a disposizione alternative realmente innovative.

Ad ognuno il suo scenario, il suo incantesimo...Ci occuperemo ora di due affermazioni che rendono ben comprensibile perché in alcuni casi parti, avvocati e mediatori non riescono ad intendersi.

Affermazione 27Ogni individuo coinvolto in una mediazione agisce incarnando differenti gradi di libertà–consapevolezza.Come abbiamo detto, guardare una mediazione concede l’opportunità di osservare degli individui che giocano e che nel farlo agiscono degli stili. Un modo per generalizzare questi stili è di ricondurli a cinque tipi psicologici; vediamoli.

L’automa: agisce seguendo uno schema prestabilito, riproducendo degli schemi facilmente riconducibili a delle attese sociali o professionali. Risulta al tempo stesso prevedibile ma poco incline a seguire indicazioni non gestibili dai suoi protocolli. Il tutto, naturalmente, al netto della sua disponibilità relazionale.

L’attore: aggiunge alle caratteristiche precedente l’interpretazione ovvero la capacità di dare identità e spessore al suo modo di agire. Pur garantendo fedeltà al testo può diventare imprevedibile nel modo di porlo.

L’autore: è in grado di elaborare nuovi copioni utilizzando elementi che le situazioni che vive gli offrono. Solitamente ha un genere che predilige (giallo, fantasy, epico...) e questo lo rende in qualche modo maggiormente prevedibile.

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75La mediazione in pratica

Il regista: ama orientare le dinamiche del gioco alla ricerca di una condizione che gli garantisca di mantenere il controllo; difficilmente concede lo scettro ad altri.

Lo sceneggiatore: ha visione di gioco e solitamente riassume in se alcuni tratti del regista ed altri dell’autore; è in grado di dar vita a rappresentazioni complesse. Quando è presente in mediazione, il gioco si fa interessante.

In sintesiNel gioco della mediazione diventa fondamentale avere la capacità di individuare le caratteristiche e gli stili dei giocatori.

Affermazione 28Per ogni mediatore è fondamentale non perdere di vista gli scenari.In questo caso un adagio orientale ci può venire in aiuto: “Quando il saggio indica la luna lo sciocco guarda il dito”. A volte questa è l’illusione che intrappola i giocatori; qualcuno intuisce una strada ma gli altri sono occupati a guardare i fatti, le ragioni, i mandati che hanno ricevuto. Nessuno è esente dal rischio, nemmeno il mediatore! Per questo diventa fondamentale trovare la via che conduce agli scenari (al dietro le quinte) in modo da poter “leggere” ciò che accade, come Ulisse con le sirene.

In sintesiLa chiave di volta di ogni mediazione è nascosta nei contesti cui fanno riferimento le parti.

Dalle sessioni separate alle parafrasi con dedicaLe prossime sei affermazioni sono dedicate ad altrettanti possibili punti di rigidità che possono impedire al mediatore di giocare liberamente.

Affermazione 29Sessioni congiunte, sessioni separate: questo è il dilemma.Solitamente siamo portati a pensare che le sessioni separate o congiunte abbiano una finalità, che servano a “qualcosa” e questo aiuta a scegliere come procedere; chiedersi “a chi” servono sposta invece l’attenzione, ancora una volta, dal protocollo agito alle necessità degli attori in gioco. E questa seconda opzione ci consente di scoprire che spesso la scelta del format delle sessioni ancor più e prima che alle parti, serve al mediatore. Per intenderci, vi è mai capitato di pensare che sia giunto il momento di proporre delle sessioni separate proprio in coincidenza di difficoltà di dialogo tra–con le parti? La scelta del format non dovrebbe esser stabilita ex–ante (e magari formalizzata in una scaletta) quanto piuttosto valutata in itinere avendo cura di tener conto delle esigenze di tutti i giocatori (mediatore compreso).

In sintesiLe parti possono fare scelte migliori se riescono a mettere in gioco i loro interessi e desideri.

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Affermazione 30E se fossimo dotati di impercettibili ubiquità?La precedente affermazione può essere estesa approfondendo il concetto di “sessione”. Facciamo un esempio: se come mediatore sto intervistando una parte ma tengo in considerazione anche le reazioni dell’altra cosa sto facendo? Potrebbe esser funzionale abituarsi a pensare che in una situazione come quella descritta il mediatore sta gestendo contemporaneamente due sessioni. Questo modo di intendere la sessione aiuta a segmentare meglio ciò che accade rendendo esplicita la condizione del mediatore, assimilabile ad una sorta di impercettibile ubiquità. Acquisire consapevolezza di ciò consente di scegliere con maggior cognizione di causa cosa agire e come in ogni sessione che si sta giocando. Tenendo conto che la nostra capacità di agire contemporaneità non è infinita, una tal competenza diventa ancor più preziosa.

In sintesiPossiamo fare alcune cose contemporaneamente; non molte però. Per questo è fondamentale saper valutare cosa fare, come, con chi, in quali contemporaneità.

Affermazione 31In ogni mediazione assistiamo ad un continuo confronto tra contemporaneità e sincronie.L’idea di sincronia può aiutare a comprendere meglio ciò che accade in mediazione. Capita infatti che le parti siano esposte a stimoli (singole parole, oggetti, comportamenti, narrazioni) che pur essendo presenti e contemporanei non producono nessuna nuova associazione, comprensione, consapevolezza. Poi, apparentemente in modo casuale, qualche cosa accende l’interesse ed è proprio in quel momento che il mediatore dovrebbe essere in grado di rintracciare quale sia l’elemento che ha generato la sincronia ovvero quello stato di relazione empatica in grado di generare consapevolezza rispetto al senso (significato) di uno stimolo. Quando le parti diventano sincroniche e cosa attiva in loro questo stato? Ecco una domanda cui ogni mediatore dovrebbe dare importanza. L’analisi delle mediazioni riuscite mette in evidenza una caratteristica comune: la ridondanza di sincronie sintoniche tra le parti.

In sintesiNon importa quel che si dice (o si tace); ciò che conta è con cosa diventiamo sincronici.

Affermazione 32Le sei “W” del giornalismo inglese come base per i giochi di mediazione.Narra la mitologia del giornalismo che gli inglesi abbiano stabilito la regola delle “W”, che parafrasata a nostro uso e consumo diventa: “i buoni auspici di una mediazione dipendono da quanto il mediatore avrà il coraggio, la pazienza e la fermezza di coinvolgere le parti (i giocatori tutti) nella definizione di uno scenario che contenga chi, ha fatto (farà) cosa, con chi, quando (entro quanto), come, dove, perché”.

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77La mediazione in pratica

In sintesiOgni mediazione si basa su due semplici principi: il principio di realtà (si gioca con dei dati veri); il principio dei possibili (scomporre e ricomporre dati veri genera nuove possibilità).

Affermazione 33Se vuoi aver idea di cosa sia una mediazione, pensa ad una partita di scacchi multipla.In una partita a scacchi multipla giocata ad esempio da cinque giocatori, uno di questi si confronta con gli altri quattro facendo in sequenza una mossa nei confronti di ognuno (e riprendendo ogni volta dal primo). Negli scacchi l’obiettivo è chiaro: vince chi elimina per primo l’avversario. In una partita a “mediazione” giocata anche in questo esempio da cinque giocatori, c’è un mediatore che si confronta con due parti e due avvocati, e anche qui il mediatore può fare mosse sulle diverse “scacchiere”(non dovendo rispettare necessariamente la sequenza di giocata). Questa volta però l’obiettivo è diverso: vince chi riesce a far “muovere i pezzi” senza mettere l’altro nella condizione di “dover mangiare”8. Quanto detto consente di annoverare la mediazione nel gruppo dei giochi di reciprocità9.

In sintesiRendi gli sconosciuti e i nemici dei compagni d’avventura è avrai una chance in più.

Affermazione 34Non fare una parafrasi se non sai a chi dedicarla.Una delle “mosse” possibili nel gioco della mediazione è fare una parafrasi che nella sua versione base può esser così riassunta: Tizio dice una cosa e Caio, per verificare se l’ha compresa correttamente, la ripete con parole sue chiedendo a Tizio un feedback.La parafrasi offre però molte altre opportunità; basta coglierne la struttura profonda per rendersi conto che ad esempio nell’affermazione “parlare a nuora perché suocera intenda” si nasconde una parafrasi: Tizio dice a Caio una cosa ma di fatto dedica la frase (ne fa una parafrasi implicita) a Sempronio. E Tizio chiederà un feedback esplicito a Caio ma sarà molto attento nel cogliere i feedback indiretti che Sempronio gli offrirà. Di qui in avanti l’unico limite diventa la fantasia; perché Tizio potrebbe dire a Caio “chissà cosa direbbe Sempronio se fosse qua”, la cui versione in prosa potrebbe essere: Tizio chiede a Caio di immaginarsi che parafrasi farebbe Sempronio se fosse presente.

In sintesiAnche con lo strumento più semplice, se ben utilizzato, si possono realizzare grandi cose (raggiungendo ottimi risultati).

8 Agli appassionati di scacchi consiglio di provare a giocare in questi termini una partita a scacchi; potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa, oltre che una sfida tutt’altro che banale.9 Axelrod R., Giochi di reciprocità, Feltrinelli, Milano1985.

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Affermazione 35L’obiettivo di ogni mediazione è di andare alla ricerca dell’anima polisemica delle narrazioni esplicitate dalla parti.Questa affermazione riporta l’attenzione ad un aspetto già accennato in precedenza “la necessità di una narrazione polisemica” che alla luce di quanto detto si qui si arricchisce di nuove opportunità. Ora infatti possiamo condividere l’idea che nuovi significati possono essere rintracciati prendendo a riferimento diverse dimensioni del gioco della mediazione. In alcuni casi la polisemia viene recuperata agendo sul conteso, mentre in altri sarà un diverso stile relazionale o un certo modi di interpretare il ruolo a far da attivatore. In altri ancora sarà la contaminazione tra i vari modi di intendere le parole che genererà nuovi significati finalmente condivisibili.

In sintesiSe il mediatore si occupasse anche solo di far aumentare la quantità di significati con cui far giocare le parti, queste ne trarrebbero grandi benefici.

Gli archetipi della mediazioneLe ultime cinque affermazioni sono state scelte con l’intento di spostare l’attenzione ad un livello logico che solitamente non viene considerato ovvero quello archetipico. Eppure avere accesso alle dinamiche primordiali che organizzano i nostri modi di giocare potrebbe essere di grande aiuto per i mediatori perché limiterebbe nella condizione di riconoscere sia le grandi correnti che definiscono il divenire di ogni mediazione che gli eterni principi ispiratori che orientano l’agire dei giocatori.

Affermazione 36La mediazione è un gioco infinito.Leggere un verbale di mediazione in alcuni casi può confondere; soprattutto se si danno per scontate alcune informazioni tipo orario di inizio e fine dell’incontro, numero dei partecipanti, e poteri attribuiti. Prendiamo ad esempio il “potere di firma”; dal punto di vista archetipico una definizione superficiale ed approssimativa perché nulla dice del vero potere di cui ci si dovrebbe incuriosire: il potere di decisione. Perché se è vero che il potere di firma risponde ad una necessità formale (poter individuare chi ha firmato e quindi a chi attribuire eventuali conseguenze riconducibili a quell’assunzione di responsabilità), nulla ci svela in merito alle dinamiche di potere che determinano la decisione: chi sceglie di decidere cosa, come è in ragione di quali criteri?Associare la mediazione ai canoni narrativi della tragedia greca aiuta a comprendere quanto ingenuo sia un approccio che si adagia alla retorica del galateo sociale: la parte che crediamo giochi il ruolo della parte, l’avvocato che rappresenta la propria professionalità, il mediatore che in ragione della sua designazione gestisce il gioco...Sono questi atteggiamenti ingenui che portano ad affermare “le bancarie, o le assicurative, sono mediazioni dall’esito scontato perché chi rappresenta le organizzazioni ha un mandato preciso da cui non può prescindere”.

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79La mediazione in pratica

A chi la pensa così bisognerebbe suggerire di osare, di sfidare l’apparenza del gioco finito offrendo ai giocatori di scoprirne le dinamiche infinite.

In sintesiA volte le parti non accettano la sfida della mediazione perché il mediatore non è nella condizione di lanciarla.

Affermazione 37La mediazione è un gioco di ridefinizione dei confini.Un confine si può mettere, un confine si può togliere.Un confine si può spostare, un confine si può superare.Ma cos’è un confine? A volte è un elemento fisico, altre un vincolo sociale, altre ancora una semplice rappresentazione mentale oppure un limite fisiologico. Leggere la mediazione alla luce della metafora dei confini consente di veder in controluce i vincoli e le vie percorribili offrendo la possibilità di rispettarli. E il più delle volte basterebbe questo per intuire cosa potrà o dovrà accadere in una mediazione. Ma i confini sono anche un luogo da esplorare; proprio perché ancorati ad una certa unità di misura descrittiva i confini possono essere “ingranditi–rimpiccioliti” sino al punto da diventare territori talmente ampi da poter contenere un accordo piuttosto che esser ridimensionati (relativizzati) al punto da scomparire. Per questo ogni mediatore dovrebbe trasformarsi in una sorta di novello geografo capace di dare forma ai confini che vengono portati in mediazione e al tempo stesso pronto a ridefinirli in ragione di nuovi auspici.

In sintesiLe parti per trovare nuove vie di confronto hanno bisogno di incontrare esploratori pronti ad accompagnarli.

Affermazione 38La mediazione funziona come le scale di Escher.M.C. Escher amava disegnare scale infinite, scale che ad alcuni evocano l’incubo della ripetitività (questi ne colgono la dimensione circolare) mentre ad altri evocano la libertà della re–interpretazione (questi ne colgono la dimensione spiraliforme).A titolo d’esempio qui considereremo alcune “scale della mediazione” i cui gradini vengono rappresentati utilizzando dei verbi:• prima scala: percepisco, comprendo, condivido, attuo, verifico;• seconda scala: rivendico, contesto, affermo, riconosco, assimilo, accomodo,

ripropongo;• terza scala: osservo, interagisco, rappresento, definisco, modifico, ipotizzo, associo,

contemplo.

Ogni scala può essere ripetuta e ogni gradino può essere–diventare quello di partenza; come a dire che in qualsiasi punto si trovino le parti (ma anche gli altri giocatori) c’è sempre un passo successivo che può aprire una via.

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Spesso però i mediatori vivono queste scale come quelle dei labirinti di Escher e questo li disorienta privandoli della capacità di sfruttare le interazioni–intersezioni a proprio favore.A livello pratico potrebbe essere molto proficuo pensare “un gradino alla volta” Potremmo quindi chiederci “qual è il ruolo dell’esperienza in mediazione?”

In sintesiA livello pratico potrebbe essere molto proficuo pensare “un gradino alla volta“ rammentando che quasi sempre per trovare la via basta cambiare prospettiva.

Affermazione 39Se vuoi imparare a giocare, confrontati con gli arcani.Cosa non vedono le parti, gli avvocati e i mediatori? Cosa impedisce loro di procedere verso la soluzione? Quali sfide sarebbero in grado di accettare e quali invece sono loro precluse? Un buon modo per rappresentare le risposte a queste domande è nascosto nelle storie degli arcani; ventidue riferimenti che il tempo a trasformato in narrazioni archetipiche capaci di evocare in noi profonde sincronie. Se solo trovassimo il coraggio di guardare il gioco della mediazione come una rappresentazione dell’incontro di un gruppo di arcani, troveremmo spunti e suggerimenti interessanti. Ma ancora una volta per far ciò dovremmo esser disposti a pagare il prezzo di affermare il primato del mediatore sulla mediazione vista come mero protocollo da eseguire. E rimanendo in metafora, questo significa smettere di credere che possano esistere delle buone formule capaci di trasformarci magicamente in provetti mediatori accettando il rischio di partecipare al gioco della mediazione.

In sintesiL’esperienza ci vincola al passato, l’esperienza ci tranquillizza e a volte supporta, l’esperienza seda la nostra paura del nuovo, l’esperienza va usata con esperienza.

Affermazione 40Se la mediazione non ti fa un po’ paura... significa che non stai giocando.In continuità con l’affermazione precedente giungiamo alla fine del nostro viaggio occupandoci di un aspetto fondamentale e al tempo tesso taciuto: la paura della mediazione. Ci sono molte ragioni per ipotizzare che la mediazione possa far paura; vediamone quattro:• ogni volta che incontriamo il nuovo in noi si risveglia, seppur con forme diverse

per ognuno, un po’ di tensione; non fosse altro per il fatto che dovremo vivere l’esperienza e trovare modi per renderla in qualche modo accettabile;

• la mediazione, come abbiamo detto, è un procedimento “debole” che lascia ampi margini all’incertezza e all’improvvisazione; per questo le parti (ma anche gli altri giocatori) a volte reagiscono “arroccandosi” nelle loro quotidianità e convinzioni;

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81La mediazione in pratica

• se il mediatore si convince che ha esperienza, che ormai conosce il gioco, può illudersi di non dover provare la tensione che un nuovo incontro genera;

• a volte abbiamo paura di non avere alternative... altre volte invece temiamo di averne troppe.

In sintesiDifficile apprendere cose nuove se ci sentiamo a nostro agio (manca la necessità di farlo), difficile apprendere cose nuove se ci sentiamo troppo a disagio (manca la lucidità per definire bene l’obiettivo cui tendere); le nostre possibilità di cambiamento sono quasi sempre legate ad una tensione tollerabile... a una piccola paura di perdere quel nuovo “desiderabile” che qualcuno ci ha fatto intuire.

Questo è il nostro punto di arrivo, un approdo provvisorio, proprio come un gradino di Escher. A chi è giunto sin qui porgo il mio ringraziamento e rinnovo la mia disponibilità al dialogo e al confronto.

Un ultimo pensiero mi preme condividere...

Quando cominciamo a parlare di mediazione,ci riferiamo, seppur implicitamente,

ad un mondo in cui ci piacerebbe vivere…

per questo il gioco potrebbe valere la candelaper questo gli scenari potrebbero essere molti e diversi

per questo potremmo aver bisogno dipazienzafantasia

determinazionerispetto.

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Bibliografia Essenziale

«Si potrebbe fissare un prezzo per i pensieri.Alcuni costano molto, altri meno.

E con cosa si pagano i pensieri?Credo con il coraggio»

L. Wittgenstein

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Massimario di giurisprudenza(a cura di Davide Castagno)

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85Massimario di giurisprudenza

Indice

1. La condizione di procedibilità pag. 86

1.1 Le materie soggette a mediazione obbligatoria pag. 86

1.2 L’avvio della mediazione pag. 95

1.3 L’improcedibilità pag. 99

2. La mediazione e il processo civile pag. 110

2.1 In genere pag. 110

2.2 Il tempo di inizio del processo pag. 118

2.3 La pluralità di domande pag. 122

2.4 La mediazione e i procedimenti ante causam pag. 130

2.5 Le spese pag. 134

3. Il procedimento di mediazione pag. 138

3.1 In genere pag. 138

3.2 Le vicende soggettive anomale pag. 147

3.3 La competenza territoriale pag. 148

3.4 Il compenso di avvocati e mediatori pag. 152

3.5 Il verbale di mediazione pag. 155

4. La mediazione delegata dal giudice pag. 158

5. L’obbligo di informativa pag. 170

6. L’effettività della mediazione: la partecipazione delle parti e il ruolo del difensore pag. 174

7. La mancata partecipazione pag. 190

7.1 I giustificati motivi dell’assenza in mediazione pag. 190

7.2 Le conseguenze della mancata partecipazione pag. 197

8. La mediazione e l’usucapione pag. 208

9. La mediazione e il procedimento monitorio pag. 214

10. La mediazione e il rito locatizio pag. 229

11. La mediazione e la Pubblica Amministrazione pag. 232

12. La mediazione e altri strumenti di risoluzione delle liti pag. 235

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1. La condizione di procedibilità

1.1 Le materie soggette a mediazione obbligatoria

Corte d’appello di Napoli, sez. I, ordinanza 15 luglio 2010, Est. ForgilloL’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 sottende l’operatività del procedimento di mediazione relativamente alle controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, dacché non pare esservi spazio per l’inclusione delle revocatorie bancarie ai termini dell’art. 67 L.Fall. Del resto, è ben dubbia l’estendibilità del procedimento di mediazione a materia quale quella fallimentare, presidiata da rito e regole tendenzialmente incompatibili con la natura dispositiva del detto procedimento.

Tribunale di Modena, sez. II, decreto 5 maggio 2011, Est. MasoniLa domanda volta ad ottenere il rilascio dell’immobile occupato senza titolo trae evidentemente origine da un rapporto lato sensu locativo e deve quindi scontare la preventiva ed obbligatoria procedura di mediazione di cui all’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 10 giugno 2011, Est. BuffoneL’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 prevede testualmente l’obbligo della mediazione per chi intende esercitare in giudizio, tra l’altro, “un’azione relativa ad una controversia in materia di contratti bancari”. Ebbene, l’azione revocatoria non è relativa ad una controversia in materia di contratti bancari, essendo in quest’ambito inscrivibili le sole cause in cui si faccia discussione delle obbligazioni negoziali che dal contratto scaturiscono, ovvero ancora si metta in discussione la validità o efficacia della stipula. Esercitando l’azione ex art. 2901 c.c., invece, si attiva un mezzo di tutela del diritto di credito e, quindi, l’actio è relativa ad una controversia in materia di conservazione della garanzia patrimoniale.

Tribunale di Catania, 21 luglio 2011Il procedimento di mediazione disciplinato dal D.Lgs. n. 28/2010 non trova applicazione in materia di proprietà industriale ed intellettuale.

Tribunale di Verona, sez. lavoro, ordinanza 28 settembre 2011, Est. VaccariL’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 individua la maggior parte delle controversie devolute alla mediazione precontenziosa sulla base non già della loro causa petendi, bensì della materia su cui esse vertono. In particolare, con riguardo alle controversie relative a fatti illeciti, il legislatore, al fine di restringere l’ambito di applicazione

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87Massimario di giurisprudenza

della norma, ha scelto di precisare anche il contesto e le specifiche modalità di commissione del fatto generatore di responsabilità menzionando le controversie in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica (espressione impropria, più che equivoca, che pare idonea a ricomprendere anche l’ipotesi della responsabilità della struttura sanitaria) e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità. É evidente, quindi, come nessuna delle ipotesi di concorrenza sleale previste dall’art. 2598 c.c. sia ricompresa nell’elenco di cui alla norma succitata e, d’altro canto, tale scelta risulta perfettamente in linea con quella di non sottoporre alla c.d. mediazione obbligatoria le controversie di natura commerciale e societaria.

Tribunale di Mondovì, ordinanza 11 ottobre 2011Il giudizio che ha per oggetto l’azione revocatoria fallimentare prevista dall’art. 67 L.Fall. di rimesse intervenute su conto corrente, essendo giudizio concernente indubbiamente un contratto bancario (nella fattispecie conto corrente), rientra, ratione materiae, nell’ambito dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 e, pertanto, la domanda di mediazione ivi prevista ne è condizione di procedibilità.

Tribunale di Pavia, sez. I, ordinanza 26–27 ottobre 2011, Est. BalbaL’elenco di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 dev’essere interpretato restrittivamente in quanto la conciliazione obbligatoria costituisce condizione per l’esercizio dell’azione giudiziaria altrimenti libero. Di conseguenza, non vi rientra l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., restando irrilevante che la stessa abbia quale presupposto l’inadempimento ad un contratto bancario.

Tribunale di Cassino, ordinanza 11 novembre 2011La minuziosa elencazione delle ipotesi riportate all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 fa ritenere tassativo e non semplicemente esemplificativo quell’elenco e tale tassatività impedisce qualsiasi interpretazione estensiva, ai sensi dell’art. 12 delle preleggi.

Tribunale di Bologna, ordinanza 1 dicembre 2011, Est. MatteucciLe materie di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 vanno interpretate restrittivamente in quanto introducono una condizione di procedibilità limitativa della possibilità di agire in giudizio (seppure per un periodo di tempo esiguo e cioè per il tempo necessario all’espletamento della mediazione). Di conseguenza, non è soggetta al tentativo di mediazione obbligatoria la domanda dell’attore che lamenta l’inadempimento della convenuta all’esito di una compravendita immobiliare.

Tribunale di Varese, sez. distaccata Luino, ordinanza 20 dicembre 2011, Est. BuffoneL’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 prevede testualmente l’obbligo della

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mediazione per chi intende esercitare in giudizio, tra l’altro, “un’azione relativa ad una controversia in materia di responsabilità da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità”. Ebbene, la diffamazione a mezzo della voce o del telefono non integra gli estremi di quella a mezzo stampa, essendo evidente la disomogeneità strutturale e genetica dei due strumenti diffamatori. Non essendo possibile l’interpretazione analogia o estensiva dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, la norma non è quindi applicabile a tale fattispecie.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 20 gennaio 2012, Est. BuffoneIn tema di difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi. Soltanto la prima, riguardando una controversia in materia di diritti reali, deve essere proceduta dalla mediazione, mentre la seconda, avendo natura personale, può correttamente essere introitata direttamente davanti al Tribunale.

Tribunale di Milano, sez. VIII, ordinanza 16 marzo 2012, Est. CrugnolaLe controversie aventi ad oggetto un contratto di opzione su azioni stipulato tra privati non rientrano tra quelle in materia di “contratti finanziari” per cui il legislatore, all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, ha previsto la soggezione alla mediazione obbligatoria. Ciò poiché la categoria di controversie in discussione va individuata in riferimento alla natura “professionale” di una delle parti più che in riferimento a specifiche tipologie contrattuali di difficile ricostruzione sistematica, posto che il nomen iuris “contratto finanziario” non è di per sé stesso utilizzato né nel codice civile né nel TUF (D.Lgs. n. 58/1998). Tale conclusione interpretativa è inoltre avvalorata dalla previsione – contenuta sempre nell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 – della alternatività alla mediazione obbligatoria del procedimento di conciliazione previsto dal D.Lgs. n. 179/2007: previsione questa che pare confermare l’intenzione del legislatore del D.Lgs. n. 28/2010 di assoggettare alla mediazione obbligatoria appunto le controversie tra imprenditori bancari ovvero intermediari finanziari e i loro “clienti”, per cui già la legislazione previgente disegnava mezzi di risoluzione alternativa della lite facoltativi e giudicati idonei a sostituire – per tali controversie – il procedimento di mediazione obbligatoria quale condizione di procedibilità.

Tribunale di Verona, ordinanza 4 aprile 2012, Est. VaccariIl criterio discretivo utile a definire la tipologia dei rapporti riconducibili alla categoria dei contratti assicurativi di cui all’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 è quello, di carattere soggettivo, fondato sulla qualità professionale di impresa di assicurazione del soggetto che ha assunto l’obbligazione di pagamento, a prescindere dalla natura di quest’ultima. Tra tali rapporti può pertanto pienamente ricomprendersi anche la polizza fideiussoria sottoscritta da una compagnia assicuratrice, sebbene

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essa abbia natura di fideiussione o di garanzia atipica se stipulata a garanzia delle obbligazioni assunte da un appaltatore.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 13 giugno 2012, Est. RuvoloL’intento del legislatore, che all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 ha utilizzato una formula particolarmente ampia ed estesa – “controversie in materia di” – riferita ai contratti bancari e a quelli assicurativo–finanziari, è chiaramente quello di far rientrare nella mediazione obbligatoria tutte le controversie relative a servizi di natura bancaria, assicurativa e finanziaria erogati da soggetti che istituzionalmente svolgono tali attività. Di conseguenza, non è frutto di un’interpretazione estensiva l’inclusione delle cause relative ai contratti di finanziamento erogato da soggetti istituzionalmente a ciò preposti tra le “controversie in materia di contratti assicurativi, bancari e finanziari” di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Lamezia Terme, ordinanza 8 novembre 2012, Est. IanniLa causa afferente a rapporti bancari rientra nel campo di applicazione dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 e una volta consumato il potere delle parti di chiedere i provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. essa risulta assoggettata a mediazione obbligatoria.

Trib. di Milano, sez. speciale impresa A, sentenza 22 novembre 2013, n. 14772, Est. TavassiLa proprietà sui beni immateriali non può inquadrarsi nelle previsioni di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, neppure fra i “diritti reali”, cui la norma fa riferimento. Tale proprietà, infatti, non è un diritto reale, poiché manca la materialità dell’oggetto, ovvero la res, sicché la definizione “proprietaria” dei diritti di proprietà industriale e intellettuale non importa in alcun modo la loro qualificazione come “diritti reali”.Anche in seguito alla reintroduzione della mediazione obbligatoria, per opera del D.L. n. 69/2013, i casi per cui va esperito obbligatoriamente il tentativo di conciliazione non possono dirsi comprendere i procedimenti aventi ad oggetto i diritti di proprietà industriale e intellettuale. Si deve in proposito ritenere che l’elenco sia tassativo e che, essendo la norma di portata eccezionale, la stessa non possa che essere interpretata restrittivamente.

Tribunale di Brescia, sez. III, ordinanza 28 novembre 2013, Est. CassiaLa materia dei diritti reali e dei rapporti di vicinato si presta in particolar modo al proficuo esperimento della mediazione, in quanto materia caratterizzata da un conflitto di tipo dinamico, soggetto a trasformazioni e potenzialmente destinato a reiterarsi nel tempo, anche per la frequente incidenza di fattori di tipo soggettivo, che necessitano di essere adeguatamente affrontati e gestiti.

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Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 28 novembre 2013, Est. MoriconiL’art. 2 D.Lgs. n. 28/2010 esclude dal perimetro delle controversie mediabili quelle che vertono su diritti non disponibili. Va tuttavia chiarito che quando la legge fa riferimento alla disponibilità del diritto, per predicarne l’accesso alla mediazione, non intende riferirsi alla necessità della sussistenza in concreto della titolarità del diritto in capo a chi intenda disporne (nella e con la mediazione), posto che la mancanza di sussistenza concreta ed attuale in capo a tale soggetto è fattore sostanziale e causa di invalidità, rectius inutilità dell’eventuale accordo di mediazione, in applicazione del noto principio nemo plus juris transferre potest quam ipse habet. Piuttosto, la previsione della norma in commento vale a delimitare l’ambito della mediazione civile e commerciale a tutte quelle aree di situazioni soggettive che non siano sottratte alla disponibilità della negoziazione da parte dei privati.

Tribunale di Bari, sez. II, ordinanza 26 maggio 2014, Est. De LucaSi versa in materia di condominio, per la quale è previsto l’esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità giudiziale, allorché il presupposto della domanda attorea sia costituito dall’adempimento delle obbligazioni nei rapporti tra Amministratore e Condominio.

Tribunale di Torre Annunziata, sentenza 16 giugno 2014, n. 1883, Est. AmbrosinoLe controversie aventi ad oggetto l’annullamento di un contratto per conflitto di interesse ex art. 1394 c.c. sono sottratte al previsto obbligo di mediazione ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 (come modificato dal D.L. n. 69/2013).

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 15 settembre 2014, Est. VaccariUna controversia avente ad oggetto un rapporto di conto corrente è senz’altro relativa a contratti bancari e rientri quindi tra quelle per cui l’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 prevede la mediazione quale condizione di procedibilità. Infatti, con la predetta espressione si devono intendere tutte le controversie relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari. Non rientrano invece in tale elenco le domande che si fondano su un contratto di mutuo chirografario, atteso che la sola qualità di istituto di credito di una delle parti di tale rapporto non è elemento sufficiente a farlo qualificare come contratto bancario nel senso di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Modena, sez. II, sentenza 10 ottobre 2014, Est. MasoniÈ soggetto alla preventiva ed obbligatoria procedura di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010, a pena di improcedibilità della domanda, il procedimento di rilascio dell’immobile occupato senza titolo.

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Tribunale di Verona, ordinanza 28 ottobre 2014, Est. VaccariPer controversie bancarie ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 devono intendersi quelle relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari. Il contratto di mutuo non presenta la suddetta particolarità.L’individuazione delle materie del contendere ai fini dell’applicazione dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 va compiuta con riferimento alla domanda e cioè alla sostanza della pretesa e ai fatti dedotti a fondamento di questa, nonché sulla base della prospettazione del convenuto e allo stato degli atti.

Giudice di Pace di Lecce, sentenza 6 novembre 2014, Est. PaparellaLa causa avente ad oggetto un contratto di mutuo fondiario, ovverosia un contratto bancario, rientra tra le ipotesi di mediazione obbligatoria, a pena di improcedibilità dell’eventuale futura azione giudiziaria, individuate dall’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, così come modificato dal D.L. n. 69/2013 convertito con modificazioni dalla L. n. 98/2013.

Tribunale di Rimini, ordinanza 5 dicembre 2014Il rapporto avente ad oggetto mutui chirografari rientra tra le ipotesi di mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Treviso, sez. I, sentenza 29 gennaio 2015, Est. Di TullioNon sono volte ad accertare un diritto reale e sono conseguentemente estranee all’ambito applicativo dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 le domande aventi ad oggetto la simulazione assoluta e, in via subordinata, l’inefficacia ex art. 2901 c.c. di un contratto di compravendita stipulato tra le parti convenute in frode (asserita) alle ragioni creditorie della parte attrice. L’istituto della mediazione c.d. obbligatoria costituisce una condizione per l’esercizio dell’azione giudiziaria che altrimenti sarebbe libero, con la conseguenza che l’elenco di materie contenuto nell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, in relazione alle quali il previo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità, deve essere interpretato restrittivamente.

Giudice di Pace di Napoli, sentenza 9 febbraio 2015, Est. BrunoLa L. n. 220/2012 – recante modifiche alla disciplina nel condominio negli edifici – con l’art. 25 ha regolamentato, tra l’altro, il tema della conciliazione obbligatoria introducendo, nelle disp. att. al codice di rito, l’art. 71 quater, ove si fornisce una definizione delle “controversie in materia di condominio”, specificando che per esse si intendono quelle liti derivanti dalla violazione o dell’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice civile (artt. 1117–1138) e delle previsioni ricomprese dall’art. 61 all’art. 72 delle disp. att. c.c. Di conseguenza, non sono oggetto di mediazione obbligatoria i procedimenti per il mancato pagamento delle spese condominiali.

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Tribunale di Monza, sez. II, sentenza 26 marzo 2015, Est. FebbraroLa tassatività dell’elenco di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, atteso che la norma mira ad introdurre un’eccezione che vincola ad un previo adempimento il libero accesso del cittadino alla tutela giudiziaria, esclude che rientri nella previsione normativa il contenzioso relativo ad ipotesi diffamatorie condotte per vie diverse dal mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicità.

Tribunale di Modena, sez. II, sentenza 3 aprile 2015, Est. ItalianoNon rientra nella previsione di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 la domanda avente ad oggetto un’occupazione sine titulo, a differenza di quella avente ad oggetto l’accertamento e la declaratoria della sussistenza di un contratto di comodato.

Tribunale di Perugia, sez. I, sentenza 7 aprile 2015, Est. De LisioNon è soggetta al previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria la causa avente ad oggetto un diritto di credito scaturente da un contratto estimatorio stipulato tra le parti, non assoggettato alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Campobasso, sentenza 20 maggio 2015, Est. CalabriaPer identità teleologica, la nozione di contratti bancari di cui all’art. 1, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 rimanda ai contratti stipulati dagli istituti di credito di cui all’art. 117 D.Lgs. n. 385/1993 ed ha quindi una connotazione soggettiva, più ampia di quella indicata dal capo XVII del libro IV del codice civile. Ciò è chiarito dallo stesso comma 1 bis, il quale, in via alternativa al procedimento di mediazione ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010, rinvia per i contratti bancari a quello di cui all’art. 128 bis D.Lgs. n. 385/1993. Tale ultima norma non può che riferirsi ai contratti bancari intesi in senso soggettivo, in quanto rimanda all’art. 115 dello stesso D.Lgs. n. 385/1993 ed alle controversie con la clientela. Sarebbe allora irrazionale attribuire diversi ambiti di applicabilità alle due modalità con cui, per i contratti bancari, lo stesso procedimento di mediazione obbligatoria può essere esperito.

Tribunale di Palermo, sez. V – spec. impresa, sentenza 25 giugno 2015, n. 3887, Est. SpigaLa causa avente ad oggetto somme dovute a titolo di compensi professionali non rientra tra le materie previste dall’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 (introdotto dall’art. 84, 1° comma, lett. b), D.L. n. 69/2013, conv. con modificazioni nella L. n. 98/ 2013), per le quali il legislatore ha previsto l’obbligo di esperire il tentativo di mediazione come condizione di procedibilità della domanda.

Tribunale di Milano, sez. IX, ordinanza 15 luglio 2015, Est. Buffone La presenza del “diritto indisponibile” nel procedimento civile non esclude la co–presenza di diritti del tutto disponibili e, quindi, negoziabili. E, in genere, a fronte di

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un’azione che ricada su diritti disponibili è sussistente un interesse sostanziale della parte che (anche solo) indirettamente mira al soddisfacimento di situazione giuridiche soggettive negoziabili. Orbene, in un habitat processuale in cui convivono pretese a giurisdizione necessaria e interessi suscettibili di transazione, deve trovare spazio il principio secondo cui la mediazione civile è suscettibile di trovare applicazione per quella “parte” di procedimento in cui imperano interessi disponibili e, perciò, negoziabili. L’eventuale accordo sulla parte disponibile del processo può, infatti, avere poi ricadute sul procedimenti in generale: infatti, la composizione del conflitto “spegne” l’interesse delle parti per la procedura giudiziale che può, a questo punto, essere oggetto di atti dispositivi anche indiretti (si pensi al caso della parte attrice che rinuncia alla domanda giudiziale avente ad oggetto diritti indisponibili).

Tribunale di Milano, sez. IX, ordinanza 14 ottobre 2015, Est. ManfrediniL’istituto della mediazione civile è applicabile anche alle controversie familiari, là dove il diritto non sia indisponibile, come nel caso in cui la domanda abbia ad oggetto un credito e, in particolare, una somma di denaro.

Tribunale di Genova, sez. I, sentenza 6 novembre 2015, n. 3203, Est. LuccaL’azione revocatoria ha come causa petendi la tutela del credito e quindi fa parte della causa petendi anche la fideiussione omnibus, da cui il credito deriva, che è un contratto bancario. Conseguentemente, per tali tipologie di cause deve applicarsi la mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Livorno, ordinanza 26 novembre 2015, Est. NannipieriLa sola qualità di istituto di credito di una delle parti di una fideiussione (ovvero, analogamente, di un contratto autonomo di garanzia) non è elemento sufficiente a far qualificare tale contratto come “bancario” nel senso di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 12 gennaio 2016, n. 21, Est. ArrigoniNon si verte in una delle materie soggette a procedimento di mediazione ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 allorché l’oggetto della controversia sia costituito da una domanda della curatela di ripetizione di indebito e risarcimento del danno conseguente alla responsabilità dell’amministratore.

Tribunale di Milano, sez. VI, sentenza 13 gennaio 2016, Est. FerrariLa controversia vertente su di un rapporto di garanzia non è riconducibile nell’alveo della obbligatorietà della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Modena, sez. I, sentenza 14 gennaio 2016, n. 78, Est. SaraciniLa elencazione delle materie il cui presidio giurisdizionale è condizionato dal

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preventivo esperimento della procedura di mediazione deve considerarsi tassativa e in essa non si possono far rientrare le controversie che hanno nel rapporto di conto corrente bancario il proprio presupposto di fatto.

Tribunale di Benevento, sez. I, sentenza 23 gennaio 2016, Est. GalassoL’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 impone l’esperimento del procedimento di mediazione a chi intende esercitare in giudizio, tra l’altro, un’azione relativa a una controversia in materia di condominio. All’interno di tale materia rientra la domanda di pagamento delle quote condominiali, come evidenzia l’art. 71 quater, 1° comma, disp. att. c.c., che comprende anche le controversie ex art. 63, 1° comma, disp. att. c.c.

Tribunale di Napoli, sez. spec. impresa, sentenza 9 febbraio 2016, Est. QuarantaIn materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, l’art. 12 D.Lgs. n. 28/2010 dispone che può essere omologato il verbale di accordo “il cui contenuto non è contrario all’ordine pubblico e a norme imperative”, rendendo così chiaro che anche la materia dei diritti disponibili, campo necessario della mediazione in questione, può essere regolata da norme inderogabili e imperative, purché le stesse vengano rispettate.

Tribunale di Trento, sentenza 9 febbraio 2016, n. 126, Est. FermanelliNel contesto dei contratti bancari, l’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 prevede che il potenziale attore debba, preliminarmente all’introduzione del giudizio, esperire il procedimento di mediazione disciplinato da tale decreto oppure, in alternativa, il procedimento ex art. 128 bis TUB. Vanno però escluse dall’ambito applicativo di tale previsione le domande aventi ad oggetto un’azione revocatoria, essendo quest’ultima un’azione volta a conservare la garanzia patrimoniale del debitore in favore del creditore e non già un contratto bancario.

Tribunale di Trento, sentenza 23 febbraio 2016, n. 177, Est. BarbatoI contratti bancari di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 non sono solo quelli qualificati come tali nel codice civile, ma vanno individuati, in base a una connotazione soggettiva, in quelli stipulati dagli istituti di credito ex art. 117 D.Lgs. n. 385/1993, deponendo in tal senso il fatto che lo stesso comma 1 bis prevede, in alternativa al procedimento di mediazione in oggetto, quello disciplinato dall’art. 128 bis D.Lgs. n. 385/1993, che senz’altro si riferisce ai contratti bancari intesi in senso soggettivo, visto che rimanda all’art. 115 dello stesso testo normativo e alle controversie con la clientela. Di talché sarebbe allora irrazionale attribuire diversi ambiti di applicabilità alle due modalità con cui, per i contratti bancari, lo stesso procedimento di mediazione obbligatoria può essere esperito.

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Può, quindi, ritenersi che la mediazione deve essere esperita anche per le cause relative a mutui chirografari, nonché alle fideiussioni, accedendo queste ultime a contratti bancari, ragion per cui risultano assoggettate allo stesso regime applicabile all’obbligazione principale.

Tribunale di Livorno, sentenza 7 marzo 2016, n. 316, Est. PastorelliLa materia dell’appalto non rientra, ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, tra quelle per cui la previa mediazione è condizione di procedibilità della domanda.

Tribunale di Trento, sentenza 24 marzo 2016, Est. Tamburrino La domanda rientrante nell’ambito della responsabilità contrattuale per prodotto difettoso non è ricompresa tra quelle oggetto di obbligatoria mediazione.

Tribunale di Verona, sez. III, sentenza 24 marzo 2016, Est. Tommasi Di VignanoLa domanda della banca finalizzata al pagamento del saldo passivo del conto corrente bancario intercorso tra la stessa e la controparte rientra tra quelle che l’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, nel ricomprendere le cause relative ai contratti bancari, assoggetta a mediazione obbligatoria.

Tribunale di Firenze, sez. speciale impresa, sentenza 30 marzo 2016, Est. PrimaveraIl D.Lgs. n. 28/2010 non contempla tra le materie soggette a preventivo procedimento obbligatorio di mediazione i diritti di proprietà intellettuale ed industriale né gli illeciti di cui all’art. 2598 c.c. La locuzione “diritti reali” contenuta nell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 deve infatti intendersi riferita ai soli diritti reali su beni materiali, disciplinati nel libro III del codice civile. I diritti sulle opere dell’ingegno e sulle invenzioni industriali trovano, invece, diversa collocazione nel codice civile e segnatamente nel titolo IX del libro V nonché nel c.p.i. e ciò in quanto, mentre i diritti reali su cosa propria o su cosa altrui presuppongono necessariamente la materialità della res che ne costituisce oggetto, i diritti su beni immateriali non hanno ad oggetto cose materiali.

1.2 L’avvio della mediazione

Tribunale di Busto Arsizio, sez. distaccata Gallarate, sentenza 15 giugno 2012, Est. Di LorenzoPur se il termine assegnato ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 per proporre domanda di mediazione è da ritenersi ordinatorio in difetto di diversa ed espressa indicazione di perentorietà nel disposto legislativo, può essere chiesta al Giudice la proroga, purché prima della sua scadenza, così che il decorso del termine comporta uguali conseguenze preclusive del decorso del termine perentorio e comunque osta alla assegnazione di un nuovo termine.

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Il Legislatore precisa che nel termine di 15 giorni l’istanza va depositata e non indica espressamente anche la spedizione a mezzo raccomandata da parte di una delle parti quale mezzo di introduzione del procedimento. Di conseguenza, in difetto di rituale e tempestivo deposito dell’istanza, la domanda va dichiarata improcedibile per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione.

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 27 novembre 2014, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 23 febbraio 2015, n. 619, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 2 marzo 2015, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 31 marzo 2015, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 11 giugno 2015, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 2 luglio 2015, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 21 gennaio 2016, n. 146, Est. MaricondaL’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 dispone che il giudice, nel caso in cui il procedimento di mediazione non sia stato espletato, sospenda la causa per tre mesi, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Pertanto, è la stessa legge a fissare il termine entro cui il procedimento di mediazione deve essere iniziato (quindici giorni dalla data di sospensione del procedimento), fissazione che rende superflua l’indicazione, da parte del giudice, del termine entro cui la domanda di mediazione deve essere depositata, termine sulla cui natura meramente ordinatoria non è dato discutere. Conseguentemente la parte a carico della quale è stato posto il relativo onere è tenuta a depositare tempestivamente l’istanza prima della scadenza del termine stesso, essendo noto che i termini ordinatori possono essere prorogati ai sensi dell’art. 154 c.p.c. solo a condizione che essi non siano ancora scaduti e che la proroga non superi la durata del termine originario, potendosi ammettere un’eventuale ulteriore proroga subordinatamente alla ricorrenza di motivi particolarmente gravi.

Tribunale di Como, sez. I, sentenza 12 gennaio 2015, n. 40, Est. PetronziIl termine di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 è un termine ordinatorio, visto il disposto di cui al secondo capoverso dell’art. 152 c.p.c., in forza del quale i termini fissati dalla legge debbono intendersi ordinatori, salvo che la legge stessa espressamente li qualifichi come perentori. Tuttavia, ai sensi dell’art. 154 c.p.c., le parti possono richiedere una proroga del suddetto termine soltanto allorché lo stesso non sia ancora decorso.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 19 febbraio 2015, n. 542, Est. GhelardiniNon può considerarsi giustificabile ed incolpevole, e di conseguenza non può essere disposta la rimessione in termini per avviare il procedimento di mediazione, l’errore delle parti per la dedotta scarsa esperienza e perizia nell’uso degli applicativi digitali,

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causa la recente entrata in vigore delle disposizioni sul PCT. Anche ad ammettere che le stesse non avessero avuto la perizia necessaria e le dotazioni informatiche per “aprire” il documento inviato in file PDF, contente l’invio in mediazione, sarebbe stato comunque loro onere prendere tempestiva cognizione del provvedimento in originale presso la cancelleria, senza confidare invece nella piena esaustività della sintetica indicazione del contenuto dell’atto di cui al messaggio PEC inviato.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 18 maggio 2015, Est. MarzocchiL’onere dell’avvio della mediazione, in assenza di specificazioni del provvedimento giudiziale, spetta evidentemente alla parte più diligente e che ha interesse.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 8 giugno 2015, n. 542, Est. GhelardiniLa mediazione tardivamente attivata rende improduttivo di effetti il relativo incombente, provocando gli stessi effetti del mancato esperimento di esso. Ne segue, quindi, la applicazione della sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale.La implicita perentorietà del termine concesso dal giudice ex art. 5, 2° comma, ultimo periodo, D.Lgs. n. 28/2010 per il deposito della domanda di mediazione si evince dalla stessa gravità della sanzione prevista, l’improcedibilità della domanda giudiziale, che comporta la necessità di emettere sentenza di puro rito, così impedendo al processo di pervenire al suo esito fisiologico. Apparirebbe infatti assai strano che il legislatore, da un lato, abbia previsto la sanzione dell’improcedibilità per mancato esperimento della mediazione, prevedendo altresì che la stessa debba essere attivata entro il termine di quindici giorni, e dall’altro abbia voluto negare ogni rilevanza al mancato rispetto del suddetto termine. Non è possibile fare riferimento, in via analogica, al meccanismo di sanatoria previsto dal D.Lgs. n. 28/2010 e s.m.i. per il caso di mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui la stessa è obbligatoria ante causam (art. 5, comma 1 bis). Invero, considerata la natura speciale della disciplina della mediazione iussu iudicis e la espressa sanzione di improcedibilità prevista in caso di inottemperanza, non appare ragionevole ammettere che, in caso di mancato esperimento e/o esperimento tardivo della mediazione disposta dal giudice, sia consentito alle parti di sanare la propria inerzia mediante la concessione di nuovo, apposito termine. Del resto, nella mediazione obbligatoria ante causam il relativo procedimento deve essere esperito prima del giudizio e quindi d’iniziativa dalle parti. Ciò spiega perché, ove tale incombente non venga assolto e la questione sia eccepita dalla parte interessata o rilevata di ufficio, sia consentito sanare l’omissione mediante successivo esperimento della stessa. Si è voluto cioè evitare l’applicazione della grave sanzione dell’improcedibilità per un’omissione che poteva essere frutto di mancata conoscenza dell’obbligo normativo. Del tutto coerente con tale impostazione è quindi l’aver previsto che il mancato esperimento della mediazione disposta dal giudice ai sensi del 2° comma della disposizione citata comporti immediatamente, e quindi senza possibilità di sanatoria, l’improcedibilità della domanda.

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Tribunale di Pavia, sez. III, sentenza 14 ottobre 2015, Est. MarzocchiIl termine di quindici giorni per l’avvio della mediazione, nel silenzio dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 e coerentemente con la natura informale dell’istituto della mediazione, è da intendersi ordinatorio. Al riguardo, decisivo è il disposto dell’art. 152, 2° comma, c.p.c. per cui “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”. A ciò si aggiunga che, per taluni soggetti (enti pubblici, società per azioni, condomìni, etc.), ove il termine per avventura fosse considerato perentorio, ne sarebbe pressoché impossibile il rispetto per i lunghi tempi di formazione delle loro volontà. In materia condominiale, ad esempio, sono infatti espressamente previste dall’art. 71 quater disp. att. c.c. eccezioni al rigore dei termini con possibilità di rinvio dell’incontro di mediazione, potendosi disporre una proroga del termine di adesione adottabile caso per caso o una proroga dei termini per la risposta alla proposta del mediatore, in considerazione della particolare natura del soggetto convocato in mediazione.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 26 ottobre 2015, Est. MarzocchiOve la procedura attivata non abbia avuto un regolare svolgimento a causa di impreviste inefficienze dell’organismo prescelto e, in ogni caso, per causa non imputabile alle parti, è necessario che queste possano essere rimesse in termini per valutare se avviare altra mediazione avanti allo stesso o ad altro organismo.Le parti, prima della declaratoria di improcedibilità della domanda e indipendentemente da un provvedimento che le mandi in mediazione, sono sempre e comunque titolari della facoltà di avviare la detta procedura, considerata anche la non perentorietà del termine di quindici giorni per l’avvio della mediazione obbligatoria.

Tribunale di Milano, sez. I, sentenza 27 novembre 2015, Est. CattaneoIl termine di avvio della procedura di mediazione ha natura perentoria, risultando univocamente ancorato alla “sanzione” dell’improcedibilità della domanda.

Tribunale di Civitavecchia, ordinanza 15 gennaio 2016, Est. FebbraroNel caso in cui la procedura di mediazione, prevista quale condizione di procedibilità della domanda, sia stata esperita dagli attori e dagli interventori, ma non si sia conclusa, non essendo iniziata dopo il primo incontro, in forza del combinato disposto dell’art. 8, commi 1 e 4, D.Lgs. n. 28/2010 (come modificato dal c.d. Decreto del Fare n. 69/2013) il giudice deve fissare il prosieguo di prima udienza, disponendo la prosecuzione del procedimento di mediazione con il suo inizio ovvero la rinnovazione del procedimento entro il termine di 15 giorni.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 10 marzo 2016, n. 328, Est. BenattiIl termine di 15 giorni stabilito dall’art. 5, comma 1 bis, penultimo periodo, D.Lgs. n. 28/2010 non è perentorio e la convocazione per un incontro conciliativo evita comunque

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99Massimario di giurisprudenza

l’improcedibilità. Infatti, benché sia in astratto consentito evincere la perentorietà del termine, anche in via interpretativa, una generica esigenza di deflazione del contenzioso e di rispetto della ragionevole durata del processo non pare sufficiente a superare l’ostacolo letterale costituito dalla mancata previsione di qualsivoglia sanzione processuale in conseguenza della sua violazione: alla stregua di tale teoria si finirebbe per promuovere a perentorio qualsiasi termine del processo in quanto dettato comunque a tutela della sua ragionevole durata. Né è condivisibile l’idea che la sanzione d’improcedibilità comporti come necessaria conseguenza la perentorietà del termine; semmai essa è espressione della volontà legislativa che vi sia comunque una procedura di mediazione e non certo del rispetto del termine quindicinale previsto dalla norma.

Tribunale di Ivrea, sentenza 11 marzo 2016, n. 215, Est. MastropietroIl termine indicato dal giudice per l’attivazione della procedura di mediazione ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 mediante deposito dell’istanza presso l’organismo deputato deve considerarsi perentorio, potendosi tale perentorietà desumere, anche in via interpretativa, in ragione dello scopo perseguito, che impone che lo stesso debba essere rigorosamente osservato. Del resto, il legislatore ha previsto, nel caso di mancato esperimento della detta procedura, la sanzione dell’improcedibilità dell’azione, che impone al giudice di emettere una sentenza di puro rito (impedendo in tal modo al processo di giungere al suo esito fisiologico). Orbene, la mancata presentazione dell’istanza di mediazione nel termine assegnato dal giudice rende improduttivo di effetti il relativo incombente, determinando le stesse conseguenze del mancato esperimento di esso, ossia l’improcedibilità del giudizio.

Tribunale di Napoli Nord, articolazione territoriale di Aversa, sentenza 14 marzo 2016, Est. PizziIl temine concesso dal giudice ex art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 per il deposito della domanda di mediazione ha natura perentoria. Ciò si desume dalla stessa gravità della sanzione prevista: l’improcedibilità della domanda giudiziale comporta infatti la necessità di emettere sentenza di puro rito, cosi impedendo al processo di pervenire al suo esito fisiologico.

1.3 L’improcedibilità

Tribunale di Prato, decreto 30 marzo 2011, Est. CecchiAi sensi dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”, con la precisazione che “l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza”. Alla stregua di tali previsioni è pertanto imposto a questo giudice il rilievo d’ufficio dell’improcedibilità della domanda, senza necessità di procedere alla fissazione (in questo caso) dell’udienza ex art. 420 c.p.c.

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Il predetto art. 5, 1° comma, prevede inoltre che “il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è ancora conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6” e che “allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”; di conseguenza, a prescindere dalla qualificazione normativa in termini di “improcedibilità” della sanzione processuale correlata al mancato esperimento della procedura di mediazione, sotto un profilo sostanziale non vi è luogo ad emettere un formale provvedimento di improcedibilità, dovendosi invece assegnare un termine per l’inizio del procedimento di mediazione, con contestuale fissazione dell’udienza (in questo caso, come detto, ai sensi dell’art. 420 c.p.c.) per una data successiva alla scadenza del termine di quattro mesi previsto dall’art. 6, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Modena, ordinanza 5 maggio 2011, Est. MasoniL’unico effetto processuale derivante dal mancato esperimento della mediazione consiste nell’assegnazione alle parti del termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 13 luglio 2011, Est. RuvoloTribunale di Santa Maria di Capua Vetere, sez. distaccata Carinola, ordinanza 18 gennaio 2012, Est. SpezzaferriTribunale di Bari, sez. III, ordinanza 22 maggio 2014, Est. AgninoLa rilevabilità dell’improcedibilità è obbligatoria e non discrezionale.

Tribunale di Larino, sez. distaccata Termoli, ordinanza 23 dicembre 2011, Est. D’AlonzoAi sensi dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.Conseguentemente, ove la mediazione non sia stata esperita, il giudice deve assegnare un termine per l’inizio del procedimento di mediazione, con contestuale fissazione dell’udienza per una data successiva alla scadenza del termine di quattro mesi previsto dall’art. 6, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Modena, sez. II, ordinanza 10 marzo 2012, Est. MasoniAnche quando il convenuto non depositi la memoria integrativa in seguito al mutamento del rito locatizio, l’eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione può essere sollevata entro la prima udienza ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.

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101Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 23 marzo 2012, Est. MoriconiIl provvedimento con cui il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, sia pure emesso con la forma di ordinanza, in quanto definitivo, ha natura di sentenza (e come tale ben può contenere la statuizione sulle spese).

Tribunale di Nocera Inferiore, sez. II, sentenza 27 aprile 2012, Est. CrespiAllorché la parte resistente si costituisca tardivamente ed il giudice non rilevi alla prima udienza l’assenza della mediazione, l’improcedibilità non può più essere dichiarata ed il processo deve continuare nel merito.

Tribunale di Busto Arsizio, sez. distaccata Gallarate, sentenza 15 giugno 2012, Est. Di LorenzoIl D.Lgs. n. 28/2010 prevede che il giudice, in prima udienza, verifichi se sia stato previamente esperito il tentativo di mediazione, e, in caso negativo, assegni alle parti un termine per presentare la domanda all’organismo di conciliazione. In tale fase, quindi, non è ancora maturata l’improcedibilità, ma il giudizio “entra in una fase di quiescenza” e solo in caso di mancata proposizione della domanda di mediazione nel termine assegnato, o in caso di mandata richiesta di proroga prima di tale scadenza, il giudice dichiara improcedibile la domanda.

Tribunale di Lamezia Terme, sentenza 22 giugno 2012, Est. IanniLa declaratoria di improcedibilità, per non aver le parti dato corso alla procedura di mediazione, assume la forma della sentenza, trattandosi di statuizione di ordine decisorio (benché solo in rito).

Tribunale di Siena, sentenza 25 giugno 2012, Est. CaramellinoLa declaratoria di improcedibilità, per non aver le parti dato corso alla procedura di mediazione, ha forma di sentenza poiché le condizioni di procedibilità, incidendo sull’an del diritto di azione, sono idonee a definire la lite con pronuncia in mero rito che, in difetto di contraria disposizione di legge, non può che avere la forma prescritta dall’art. 279, 3° comma, num. 2, c.p.c.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 22 agosto 2012, Est. MoriconiDopo che il giudice, rilevato alla prima udienza che la mediazione obbligatoria non è stata esperita, ha assegnato alle parti (ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010) il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, se il procedimento di mediazione non viene esperito – o non viene esperito validamente – ne discende, senza possibilità alternative, la improcedibilità della domanda. Ciò semplicemente in quanto la legge non prevede (eventualità produttiva di ritardi

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nella trattazione della causa) la concessione ad oltranza, da parte del giudice, di termini per l’introduzione del procedimento di mediazione.

Tribunale di Bari, sez. III, ordinanza 18 ottobre 2012, Est. AgninoLetteralmente, il 1° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 prevede che “l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza”. Quindi, la rilevabilità dell’improcedibilità è obbligatoria e non discrezionale.

Tribunale di Palmi, ordinanza 22 aprile 2014, Est. SaponeAi sensi dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dal D.L. n. 69/2013, ove il giudice rilevi che la mediazione non sia stata esperita, è tenuto ad assegnare il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 29 settembre 2014, Est. MoriconiVa dichiarata l’improcedibilità della domanda allorché sia pacifico che il procedimento di mediazione non è stato avviato e non è stato addotto alcun motivo giustificativo per tale mancanza.

Tribunale di Pescara, sentenza 7 ottobre 2014, Est. Di FulvioAllorché risulti pacifico che le parti non abbiano attivato la procedura di mediazione, va dichiarata l’improcedibilità delle domande proposte dalle medesime con compensazione delle spese di lite ex art. 92 c.p.c., dipendendo l’improcedibilità dalla condotta omissiva di entrambe.

Tribunale di Modena, sez. II, sentenza 10 ottobre 2014, Est. MasoniIl mancato ottemperamento all’invito del giudice di proporre la domanda entro quindici giorni davanti ad uno degli organismi di mediazione disvela la mancanza di interesse della parte a coltivare diligentemente le proprie istanze di giustizia e giustifica, pertanto, una declaratoria di improcedibilità della vertenza giudiziaria. Infatti, il rinvio della causa per la prosecuzione del giudizio successivamente all’esperimento del procedimento di mediazione è possibile una sola volta, risultando altrimenti irragionevole, perché contrario ai fini deflattivi dell’istituto in parola, che il legislatore abbia inteso offrire più volte alle parti il predetto invito e i relativi termini processuali.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 16 gennaio 2015, n. 126, Est. MoriAnche dopo la reintroduzione dell’istituto della mediazione obbligatoria per determinate categorie di cause si è mantenuta nell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 la previsione secondo cui “l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza”, il che esclude che la questione possa essere sollevata addirittura in sede di precisazione delle conclusioni.

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103Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Bologna, sez. III, sentenza 28 gennaio 2015, Est. IovinoNella mediazione delegata dal giudice, il rilievo dell’improcedibilità per mancato esperimento del procedimento di mediazione è rilevabile d’ufficio e, a differenza di quella omologamente prevista dall’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, non è soggetta ai limiti di rilievo previsti per quest’ultima, come è ragionevole attendersi, atteso che essa non riguarda una mediazione obbligatoria ab origine, cosa questa che giustifica (l’eccezione o) il rilievo officioso solo entro la prima udienza e non oltre.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 19 febbraio 2015, n. 542, Est. GhelardiniTribunale di Firenze, sez. III, sentenza 8 giugno 2015, Est. GhelardiniL’invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce potere discrezionale dell’ufficio, che può essere esercitato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti”, sempreché non sia stata tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni; ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.

Tribunale di Aosta, sentenza 26 febbraio 2015, Est. ModoloLa conseguenza del mancato esperimento della mediazione obbligatoria è l’improcedibilità della domanda ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 e ciò costituisce ragione che impedisce l’esame dell’atto introduttivo del giudizio da parte del giudice. Pertanto, la declaratoria di improcedibilità deve assumere la forma della sentenza, trattandosi di statuizione di ordine decisorio (benché solo in rito).

Tribunale di Vasto, sentenza 9 marzo 2015, Est. PasqualeLa norma dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, che impone al giudice l’obbligo di assegnare alle parti il termine per la presentazione della domanda di mediazione e di fissare la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6, si applica soltanto al caso in cui la mediazione sia già iniziata, ma non ancora conclusa e al caso in cui essa non sia stata affatto esperita, ma non anche alla diversa ipotesi in cui la mediazione sia stata tempestivamente introdotta e definita, ma in violazione delle prescrizioni che regolano il suo corretto espletamento. In tali casi, infatti, non vi è altra possibilità se non quella di dichiarare l’improcedibilità della domanda attorea.

Tribunale di Taranto, sez. II, ordinanza 16 aprile 2015, Est. CasaranoPer quel che concerne la disciplina della mediazione disposta dal giudice, e cioè quando si atteggia come condizione di procedibilità, si deve ritenere che solo nel caso di inerzia dell’attore può seguire l’improcedibilità della domanda e non certo quando vi incorra la sola controparte.

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Non può infatti applicarsi all’attore una sanzione processuale per un fatto addebitale ad altri. Il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione non può spingersi sino al punto di ritenere che si applichi la sanzione dell’improcedibilità anche quando l’attore si rifiuti di partecipare immotivatamente alla mediazione sin dalla fase preliminare. Allo scopo non può essere dirimente il disposto dell’art. 5, comma 2 bis, D.Lgs. n. 28/2010 secondo cui “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”. L’espressione “senza l’accordo”, infatti, comprende anche il caso in cui la parte non voglia comunque mediare. Peraltro, l’aver la legge previsto per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, nel senso lato precisato, la sanzione ex art. 116 c.p.c., ossia il trarre argomenti di prova, implica necessariamente la prosecuzione del processo, che evidentemente non si concilia con la ipotizzata improcedibilità. In terzo luogo, l’art. 8, 1° comma, quando regola il passaggio dalla fase preliminare della mediazione al suo effettivo esperimento, presuppone che nel c.d. primo incontro le parti debbano acconsentire alla mediazione, riferendosi con ciò non alla sola possibilità tecnica (diritti indisponibili, litisconsorte pretermesso, etc.), posto che l’invito ad avere il placet è indirizzato dal mediatore anche alle parti e non solo agli avvocati. Pertanto, l’obbligo di effettiva mediazione grava sì su entrambe le parti costituite, ma nel senso che se anche vi sia un rifiuto ingiustificato, oltre che l’assenza ingiustificata, possono seguire le sanzioni tassativamente previste dalla legge. Non può però l’effettività dell’obbligo spingersi fino al punto da sanzionare con l’improcedibilità della domanda l’attore (o il convenuto qualora abbia spiegato riconvenzionale), quando si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 21 aprile 2015, Est. GhelardiniTribunale di Firenze, sez. III, sentenza 24 marzo 2016, Est. GhelardiniLa mancata partecipazione alla mediazione della parte convenuta non può avere alcuna rilevanza ai fini della procedibilità della domanda attorea, non potendo certo la parte diligente subire un pregiudizio per la mancata collaborazione di quella che non ha interesse. Ciò peraltro non esclude che la parte onerata ex lege abbia in ogni caso l’onere di partecipare al primo incontro avanti al mediatore. Ciò non solo quando, come di solito accade, la stessa abbia promosso tale procedimento, ma anche quando lo stesso sia stato in concreto attivato dalla controparte. In caso di mancata partecipazione alla mediazione della parte che ha l’onere di esperire il procedimento mediatorio non sarebbe ragionevole ritenere applicabili le sole sanzioni di cui all’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010, giacché in tal modo si renderebbe possibile alla parte onerata di assolvere alla condizione, assicurando la procedibilità della propria domanda, semplicemente attivando il procedimento e

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105Massimario di giurisprudenza

non mediante “l’esperimento” dello stesso. Va quindi sanzionato con l’improcedibilità il comportamento della parte onerata ex lege che, a prescindere dalla attivazione o meno del procedimento da parte sua, non lo coltivi non comparendo al primo incontro avanti al mediatore. La previsione di cui al citato art. 8, comma 4 bis, va invece letta nel senso che essa sia applicabile esclusivamente nei confronti della parte che non è onerata ex lege, sotto comminatoria di improcedibilità, all’esperimento della mediazione.

Tribunale di Ivrea, sentenza 13 maggio 2015, Est. CosentiniLe conseguenze della mancata partecipazione senza giustificato motivo della parte al procedimento di mediazione sono espressamente regolamentate dal D.Lgs. n. 28/2010, il quale, all’art. 8, comma 4 bis, prevede che “il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”, salva in ogni caso la possibilità di desumere da detta condotta “argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, secondo comma, del codice di procedura civile”. Alla luce di quanto sopra esposto, non può disporsi, in tali casi, la sanzione dell’improcedibilità della domanda attorea.

Tribunale di Ivrea, sentenza 20 maggio 2015, Est. CulottaL’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatorio, ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, deve essere eccepita dalla parte, a pena di decadenza, o rilevata dal Giudice, non oltre la prima udienza. Pertanto non può essere accolta l’eccezione proposta soltanto in sede di precisazione delle conclusioni.

Tribunale di Napoli, sez. IX, sentenza 3 giugno 2015, Est. MartanoAllorché il procedimento abbia avuto origine da un atto di citazione ex art. 658 c.p.c., trova applicazione il dettato di cui all’art. 5, commi 1 e 4, lett. b), D.Lgs. n. 28/2010, per cui va dichiarata l’improcedibilità della domanda se la parte attrice non ottempera all’ordine del giudice ai sensi del citato art. 5, 4° comma, lett. b).

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 11 giugno 2015, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 2 luglio 2015, Est. MaricondaNel giudizio avente ad oggetto una delle materie indicate dall’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, l’omessa instaurazione del procedimento di mediazione prima dell’inizio della causa comporta la necessità per il giudice di concedere alla parte attrice il termine già indicato dalla legge per la relativa instaurazione, termine la cui violazione determina la improcedibilità della domanda formulata con l’atto di citazione, che lo stesso giudice è tenuto a rilevare d’ufficio ai sensi del disposto di cui al richiamato art. 5.

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Tribunale di Roma, sez. VI, sentenza 24 giugno 2015, n. 15669, Est. NardoneIl mancato esperimento, nel termine assegnato, del procedimento di mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 comporta la improcedibilità della domanda giudiziale.

Tribunale di Palermo, sez. I, ordinanza 29 luglio 2015, Est. RuvoloSe è vero che la parte è tenuta ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 ad esperire il procedimento di mediazione prima dell’instaurazione del giudizio, è parimenti vero che tale adempimento costituisce mera condizione di procedibilità della domanda giudiziale, con la conseguenza che ove il giudice riscontri il mancato esperimento della mediazione, lo stesso provvede assegnando alle parti un termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissando la successiva udienza non prima che siano trascorsi tre mesi. In altri termini, nei casi in cui la domanda sia priva della chiesta condizione di procedibilità per mancata previa instaurazione del procedimento di mediazione, l’attore può ben dotarla di tale condizione instaurando il procedimento di mediazione nel termine assegnato dal giudice.

Tribunale di Chieti, sentenza 8 settembre 2015, n. 492, Est. RiaL’esito negativo dell’incontro di mediazione, che integra la condizione di procedibilità della domanda, non può che essere costituito, oltre che da un mancato accordo su una proposta tra le parti comparse, anche dal c.d. verbale negativo per mancata comparizione di una o di entrambe le parti, ivi inclusa la parte c.d. litigante. A ben vedere, infatti, l’articolato normativo di cui agli artt. 5, 8 e 11 D.Lgs. n. 28/2010, anche nelle modifiche subite a seguito dell’intervento del 2013, non vieta affatto (ma neppure espressamente abilita) l’ipotesi della mancata partecipazione di entrambi i litiganti al procedimento di mediazione e ciò significa che anche il c.d. verbale negativo (per mancata comparizione delle parti) integra la condizione di procedibilità de qua. Del resto, da un lato la legge espressamente prevede quali conseguenze discendano dall’inottemperanza anche del litigante all’obbligo di cooperazione con i mediatori (valutazione, in sede processuale, del comportamento ex art. 116, 2° comma, c.p.c. e condanna al pagamento di una somma pari a quella dovuta per il contributo unificato) e, dall’altro, esperire il tentativo di mediazione significa semplicemente e solo presentare la domanda di mediazione (e di ciò vi è conferma nell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 in cui si prevede che il giudice assegna alle parti un termine per la presentazione della domanda di mediazione, quando questa non è stata esperita, e non per la comparizione davanti al mediatore).

Tribunale di Ferrara, sentenza 22 settembre 2015, n. 768, Est. PorrecaLe parti sono chiamate a partecipare personalmente alla mediazione e in particolare

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107Massimario di giurisprudenza

la parte che ha interesse contrario alla declaratoria di improcedibilità della domanda ha l’onere di presenziare a tutti gli incontri. Solo una volta acclarato che la procedura non si è potuta svolgere per indisponibilità della parte che ha ricevuto l’invito a presentarsi in mediazione la condizione di procedibilità può, quindi, considerarsi avverata, essendo ovviamente impensabile che il convenuto possa, con la propria colpevole o volontaria inerzia, addirittura beneficiare delle conseguenze favorevoli di una declaratoria di improcedibilità della domanda, che paralizzerebbe la disamina nel merito delle pretese avanzate contro di sé.

Tribunale di Ferrara, sentenza 22 settembre 2015, n. 768, Est. PorrecaTribunale di Ferrara, sentenza 4 novembre 2015, n. 916, Est. PorrecaIn seguito al mancato avveramento della condizione di cui all’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, non vi è alternatività alla declaratoria di improcedibilità della domanda attorea, non essendo praticabile la soluzione di assegnare alle parti un nuovo termine per la reiterazione della procedura di mediazione, ormai già definita. L’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 – che impone al giudice di assegnare alle parti il termine per la presentazione della domanda di mediazione e di fissare la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 – si applica, infatti, soltanto al caso in cui la mediazione sia già iniziata, ma non ancora conclusa e al caso in cui essa non sia stata affatto esperita, ma non anche alla diversa ipotesi in cui la mediazione sia stata tempestivamente introdotta e definita, ma in violazione delle prescrizioni che regolano il suo corretto espletamento.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 15 ottobre 2015, Est. SciontiLaddove le parti presenti al primo incontro davanti al mediatore si siano limitate a manifestare la loro intenzione di non dare seguito alla procedura obbligatoria, senza fornire ulteriore e più specifica indicazione degli impedimenti all’effettivo svolgersi del procedimento, si rende di fatto necessaria l’applicazione della sanzione comminata dall’art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. n. 28/2010. A nulla vale del resto la circostanza che siano state ambedue le parti ad impedire l’effettivo tentativo di mediazione con la loro concorde – ingiustificata – volontà di sottrarsi ad esso, ciò comportando piuttosto che ciascuna di esse sarà sottoposta alla sanzione indicata dalla legge, vale a dire alla dichiarazione di improcedibilità della rispettiva domanda proposta.

Tribunale di Modena, sez. I, sentenza 28 ottobre 2015, Est. ConteLaddove l’istanza di mediazione non sia stata presentata dalle parti, ma dal procuratore privo di poteri, il procedimento di mediazione deve considerarsi tamquam non esset, con la conseguenza che la domanda attorea deve essere dichiarata improcedibile ai sensi dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010.

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Tribunale di Palermo, sez. II, sentenza 24 novembre 2015, n. 6783, Est. GrassadoniaVa dichiarata la improcedibilità delle domande di entrambe le parti per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria allorché sarebbe stato interesse di entrambe proporre domanda di mediazione avendo interesse, l’una, ad ottenere quanto richiesto con la domanda principale e, l’altra, a proseguire il giudizio per far valere la propria domanda riconvenzionale.

Tribunale di Milano, sez. I, sentenza 27 novembre 2015, Est. CattaneoSe il giudice dispone la mediazione e nessuna delle parti dà avvio al procedimento di mediazione, non può che dichiararsi l’improcedibilità della causa.

Tribunale di Udine, sentenza 27 gennaio 2016, n. 94, Est. GigantescoPer soddisfare la condizione di procedibilità, il procedimento di mediazione deve essere concluso antecedentemente alla prima udienza di comparizione e trattazione. Anche qualora il procedimento sia stato attivato dopo la notifica dell’atto di citazione, ma la procedura fosse stata già comunque esaurita, la condizione sarebbe rispettata.

Collegio arbitrale di Bologna, ordinanza 3 marzo 2016, Avv.ti Francia, Andreotti, SoggiaÈ da ritenersi tardiva e, come tale, prova di effetti rispetti al giudizio, l’eccezione di improcedibilità per mancato esperimento della procedura di mediazione formulata per la prima volta nel corso dell’udienza e non, come prescritto dall’art. 5, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010 “nella prima difesa”.

Giudice di Pace di Nocera Inferiore, sentenza 17 marzo 2016, Est. AscoleseLa mancata presenza della parte attrice in sede di mediazione disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 determina l’improcedibilità della sua domanda. L’ordine del giudice, infatti, è da ritenersi osservato soltanto in caso di presenza della parte (o di un di lei delegato), accompagnata dal difensore e non anche in caso di comparsa del solo difensore, anche quale delegato della parte, dal momento che l’attività che porta all’accordo conciliativo ha natura personalissima e non è delegabile.

Tribunale di Salerno, sez. I, sentenza 13 aprile 2016, Est. IannicelliNon può essere esaminata la questione della procedibilità delle domande riconvenzionali per omissione della mediazione obbligatoria in assenza di un’eccezione di parte o del rilievo d’ufficio entro il termine previsto dall’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010.

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109Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 27 aprile 2016, Est. GuidaLa circostanza che già una volta sia stato rivelato ex officio che la mediazione non si era svolta preclude al giudice la facoltà di rimettere nuovamente la parte onerata in mediazione. A mente dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, infatti, il giudice può rimettere le parti (rectius: parte attrice) in mediazione una sola volta, se accerta che il procedimento di ADR non sia stato esperito, mentre nel caso di perdurante inerzia dell’onerato – che non si attivi compiutamente per l’effettivo esperimento del procedimento di mediazione – la condizione di procedibilità della domanda deve ritenersi definitivamente non avverata. Una diversa soluzione interpretativa, che consentisse al giudice di inviare ripetutamente la parte onerata in mediazione, fino a quando essa non si svolga ritualmente, non solo sarebbe svincolata da un effettivo supporto normativo, ma si porrebbe in palese contrasto con la ratio deflativa che connota il procedimento di mediazione.Il verificarsi della condizione di procedibilità non può consistere nella mera presentazione della domanda di mediazione, posto che in tal modo si finirebbe col disattendere la ratio deflativa dello strumento di ADR che postula l’effettiva partecipazione delle parti (o quanto meno di una di esse) ad un iter procedimentale, scandito, come ogni processo, da tre fasi essenziali, quali l’inizio, lo svolgimento e la fine. Ai sensi dell’art. 5, comma 2 bis, D.Lgs. n. 28/2010, difatti, perché la condizione si consideri avverata è necessario un quid pluris rispetto alla mera proposizione della relativa domanda: la norma richiede che il primo incontro davanti al mediatore si concluda senza accordo; è da escludere quindi l’avveramento della condizione quando manca l’incontro, perché le parti neppure incontrano il mediatore. L’inerzia dell’onerato, in sede stragiudiziale, si riverbera sul versante processuale e determina il mancato avveramento della condizione di procedibilità della domanda.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 28 aprile 2016, Est. Moriconi La legge ha posto come condizione di procedibilità della domanda giudiziale che venga esperita dalle parti la mediazione che è la procedura di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 28/2010. L’incontro informativo, al di là della sua imperfetta formulazione normativa, non è mediazione, ma solo una fase preliminare ad essa. Di conseguenza, lo svolgimento dell’incontro informativo non seguito dalla mediazione non rimuove, salvo il caso di effettiva impossibilità a proseguire, l’improcedibilità della domanda conseguente al mancato esperimento della mediazione.

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2. La mediazione e il processo civile

2.1 In genere

Tribunale di Prato, decreto 30 marzo 2011, Est. CecchiPer espressa previsione dell’art. 6, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2020, il termine previsto dal 1° comma, “anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o del quinto periodo del comma 1 dell’articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale”, sì che il computo inerente la determinazione della data per la fissazione dell’udienza deve prescindere dalla considerazione della sospensione feriale dei termini.

Tribunale di Prato, ordinanza 9 maggio 2011Risponde ad una precisa scelta legislativa che i procedimenti incidentali di cognizione, tra i quali debbono essere ad ogni buon diritto annoverati i giudizi di divisione endoesecutivi, siano sottratti alla nuova procedura in tema di mediazione civile. Tale ragione deve essere rintracciata nel necessario bilanciamento tra la funzione deflattiva del nuovo strumento conciliativo e le contrapposte esigenze di celerità e concentrazione tipiche di un processo quale è quello esecutivo la cui principale funzione è la pronta e celere liquidazione delle ragioni dei creditori. La mediazione in sede esecutiva, ove ritenuta applicabile all’esecuzione forzata, finirebbe con lo scontrarsi con un processo esecutivo, come ridisegnato dalle riforme degli ultimi anni, che, pur conoscendo parentesi di cognizione, le delinea e configura come essenzialmente “strumentali” all’esecuzione stessa, onde consentire, nel caso di specie, l’individuazione definitiva dell’oggetto dell’espropriazione forzata.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 16 agosto 2011, Est. RuvoloIl procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. non può dirsi escluso dalla mediazione obbligatoria, invocando il principio per cui per i procedimenti urgenti e cautelari non occorre la condizione di procedibilità del previo esperimento del procedimento di mediazione. Infatti, il processo sommario di cognizione è, secondo l’impostazione preferibile, un processo a cognizione piena che non ha natura urgente o cautelare. Inoltre, se esso fosse stato escluso dall’ambito di applicazione del 1° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 sarebbe stato facile eludere il procedimento di mediazione obbligatorio instaurando processualmente la controversia con il sommario di cognizione.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 30 dicembre 2011, Est. RuvoloTribunale di Como, sez. distaccata Cantù, ordinanza 2 febbraio 2012, Est. Mancini

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111Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 13 giugno 2012, Est. RuvoloNon può disporsi la rinnovazione della citazione o della notificazione della stessa o l’integrazione del contraddittorio per una successiva udienza assegnando contestualmente il termine per la proposizione dell’istanza di mediazione, essendo necessario garantire a tutte le parti del giudizio la possibilità di interloquire sulla necessità o meno di instaurare un procedimento di mediazione. L’invio delle parti in mediazione contestualmente all’imposizione degli adempimenti per la regolare instaurazione del contraddittorio impedisce infatti a quelle parti ancora non presenti in giudizio di evidenziare le ragioni per cui non andrebbe effettuata la mediazione obbligatoria ovvero di non dare il consenso sulla mediazione delegata e potrebbe comportare, in caso di presentazione davanti al mediatore del chiamato in mediazione, la sopportazione di costi ad opera di quest’ultimo soggetto ancora non costituito in giudizio e la necessità per lo stesso chiamato, in caso di sua contumacia nel procedimento di mediazione, di dover motivare il giustificato motivo della sua assenza qualora decidesse di costituirsi poi in giudizio e ciò al fine di evitare le conseguenze negative previste dall’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 6 luglio 2012, Est. BuffoneIn caso di esito favorevole della mediazione, non è imposto alle parti di darne atto nel processo, ben potendo semplicemente non comparire per provocare l’estinzione del giudizio.

Tribunale di Genova, sez. III, ordinanza 18 novembre 2011, Est. VinelliIl procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. non rientra tra quelli per cui è esclusa la c.d. mediazione obbligatoria, posto che il 4° comma dell’art. 5 esclude esplicitamente alcuni procedimenti, senza però menzionare il rito sommario ex art. 702 bis c.p.c. Tale procedimento non ha del resto finalità detrattive, ma acceleratone, non essendo il suo scopo quello di evitare il ricorso alla giustizia, creando meccanismi alternativi alla giurisdizione volti a dirimere le controversie, quanto piuttosto quello offrire un procedimento giurisdizionale più rapido e snello rispetto al procedimento ordinario. Tale funzione acceleratoria non risulta quindi compromessa dalla previsione, anche per questo tipo di procedimenti, della c.d. mediazione obbligatoria. Quest’ultima infatti, avente invece finalità deflattiva, può importare – se precedentemente instaurata – la superfluità di ricorrente alla giustizia e in ogni caso, attesa la brevità del termine entro cui deve essere iniziata e conclusa, essa non inficia comunque la finalità acceleratoria del procedimento ex art. 702 bis c.p.c.

Tribunale di Varese, sez. I civile, ordinanza 20 gennaio 2012, Est. BuffoneL’introduzione del giudizio con il ricorso sommario di cognizione, ex art. 702 bis

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c.p.c., non incide affatto sul se, al cospetto dell’azione proposta, sussista l’obbligo della preliminare mediazione ex art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, posto che non è il rito procedimentale a determinare l’obbligatorietà del procedimento mediativo, ma la natura della controversia.

Giudice di Pace di Napoli, sez. II, sentenza 23 marzo 2012, Est. D’OnofrioL’art. 311 c.p.c. dispone in via diretta che il procedimento dinanzi al giudice di pace è regolato dalle norme del titolo secondo del libro secondo e, per ciò che esse non regolano, da quelle sul procedimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica, esigendo che un diverso regolamento risulti da altre espresse disposizioni, sicché una norma sul rito può essere applicata al giudice di pace solo se essa lo dispone espressamente. Di conseguenza, poiché il D.Lgs. n. 28/2010 non contiene alcun richiamo al giudice di pace, nel procedimento dinanzi a tale giudice continuano a trovare applicazione, in luogo della mediazione introdotta dal citato decreto, gli artt. 320 e 322 c.p.c. in cui già si prevede sia la conciliazione in sede contenziosa che in sede non contenziosa.

Giudice di Pace di Cava dei Tirreni, ordinanza 21 aprile 2012, Est. PellegrinoIl tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie affidate al giudice di pace è già stato previsto dal legislatore all’art. 30 L. n. 374/1991, la cui ratio ispiratrice è quella di tendere a deflazionare il contenzioso. Ne consegue che applicare la mediazione per le materie del giudice di pace comporterebbe una inutile duplicazione di quanto già assegnato alla competenza di tale giudice, nonché un ostacolo alla celerità del processo, posto che il procedimento dinanzi al giudice di pace già prevede sia la conciliazione in sede non contenziosa sia quella in sede non contenziosa, in virtù degli artt. 320 e 322 c.p.c. Del resto, il D.Lgs. n. 28/2010 non contiene alcun richiamo al giudice di pace, né dispone espressamente l’abrogazione dei citati artt. 320 e 322 c.p.c.

Tribunale di Firenze, sez. III, ordinanza 22 maggio 2012, Est. MonteverdeLa previsione di cui all’art. 702 bis, 5° comma, c.p.c., che consente il rinvio della prima udienza soltanto per lo sviluppo di incombenti necessari, esclude all’evidenza una trattazione frammentata o eccessivamente protratta, invitando le parti ed il giudice ad un confronto processuale concentrato e risolutivo in un medesimo contesto spazio temporale. Di conseguenza, essa è virtualmente incompatibile con la previsione di concessione di termini per l’esperimento di attività ulteriori e diverse da quelle strettamente tenute in considerazione dalla norma citata.L’art. 5, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010 prevede che i commi 1 e 2 non si applichino nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Tale disposizione ben può essere analogicamente applicata al caso del processo sommario di cognizione per

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113Massimario di giurisprudenza

l’ipotesi in cui, non potendosi procedere nelle forme previste dagli artt. 702 bis e segg. c.p.c. per la complessità dell’istruttoria o contenutistica della controversia, sia necessario convertire il processo nel rito ordinario di cognizione, nel qual caso, evidentemente, dovrà procedersi secondo quanto previsto dal 1° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 20 luglio 2012, Est. RuvoloIn materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 e la condizione di proponibilità della domanda di cui all’art. 145, 1° e 2° comma, D.Lgs. n. 209/2005 (c.d. codice delle assicurazioni), sembrano potere convivere. La raccomandata con la quale si chiede il risarcimento del danno alla compagnia di assicurazioni, infatti, è sì imposta normativamente, ma non è affatto diversa da tutte quelle altre raccomandate contenenti le più svariate richieste che normalmente precedono l’instaurazione di un giudizio. Come queste ultime (se relative a materie rientranti tra quelle assoggettate a mediazione obbligatoria), anche quella in tema di sinistri stradali dovrà dunque essere seguita, in caso di silenzio o di risposta negativa del destinatario della richiesta extra giudiziale, dal procedimento di mediazione prima di potere (eventualmente) pervenirsi alla lite giudiziale. Il problema è, semmai, se le due procedure possano essere svolte contestualmente.

Tribunale di Salerno, sez. I, sentenza 24 aprile 2013, Est. FortunatoTribunale di Salerno, sez. I, sentenza 8 giugno 2013, Est. FortunatoNel caso in cui le parti raggiungano un accordo in sede di mediazione per la tacitazione delle rispettive pretese, va certamente dichiarata la cessazione della materia del contendere, mentre l’omologazione va richiesta al Presidente del tribunale ai soli fini della creazione del titolo esecutivo, restando per altro verso l’accordo medesimo del tutto vincolante per la parti, in quanto munito di valenza contrattuale.

Tribunale di Verona, ordinanza 27 gennaio 2014, Est. VaccariPuò escludersi che la sospensione del giudizio possa determinare anche sospensione del procedimento di mediazione che sia stato disposto nel corso di esso, dal momento che questo incidente, pur inserendosi nel giudizio, ha una propria autonomia, ricollegabile alla sua esclusiva finalità conciliativa, cosicché non pare risentire delle sorti del processo (un riscontro a tale ricostruzione è rinvenibile nel disposto dell’art. 6, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 che prevede che il termine per lo svolgimento della mediazione non è soggetto a sospensione feriale).

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 17 marzo 2014, Est. MoriconiIn un’ottica di equilibrato contemperamento fra l’esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e

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utilità delle attività che si compiono nel corso ed all’interno di tale procedimento, deve ritenersi legittima ed ammissibile la produzione nella causa alla quale pertiene la mediazione dell’elaborato del consulente tecnico esterno nominato dal mediatore, limitatamente agli aspetti ed ai contenuti che siano strettamente corrispondenti al compito accertativo che gli sia stato affidato. Non esistono infatti impedimenti giuridici all’utilizzo della relazione peritale al di fuori della mediazione e specificamente nella causa che può seguire (o proseguire), né reali contrasti con le norme e la disciplina legale di tale istituto, riguardando i divieti previsti dalla legge (art. 9 D.Lgs. n. 28/2010) esclusivamente le dichiarazioni delle parti, fermo restando il generale obbligo di riservatezza del consulente, come di tutti gli altri soggetti che intervengono nel procedimento. Se le risultanze della perizia in mediazione sono, in linea di principio, in sede giudiziale ammissibili ed utilizzabili, è ben diverso il valore e l’efficacia delle stesse rispetto a quelle della consulenza tecnica di ufficio. Ciò in quanto la prima non fa parte degli strumenti apprestati dal codice di rito per l’acquisizione, formazione e valutazione della prova, perché non disposta, controllata e diretta dal giudice e perché l’esperto in mediazione non è un ausiliario del giudice, di guisa che anche le sue possibilità accertative potrebbero in concreto incontrare dei limiti e ostacoli nei rapporti esterni. Ne consegue che il giudice potrà utilizzare tale relazione secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze e rilievi delle parti; meno frequentemente per fondarvi la sentenza, più spesso per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del suo giudizio.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 18 settembre 2014, Est. GuidaIn caso intervenuta conciliazione della controversia in sede di mediazione va dichiarata l’improcedibilità delle domande dell’attrice nei confronti della parte convenuta e della riconvenzionale di quest’ultima.

Tribunale di Bologna, sez. III, sentenza 21 ottobre 2014, Est. GiannitiVa dichiarata la cessazione della materia del contendere, con compensazione integrale delle spese, avuto riguardo al contenuto dell’accordo raggiunto a seguito della disposta mediazione delegata.

Tribunale di Roma, sez. VI, ordinanza 1 novembre 2014, Est. RanieriLe parti sono tenute a segnalare immediatamente l’accordo conciliativo raggiunto in sede di mediazione, anche prima della prossima udienza, onde poter così liberare prezioso spazio sul ruolo istruttorio e decisorio per quelle cause che necessitano inevitabilmente di decisione di tipo giurisdizionale/contenziosa da parte del giudice. Tale collaborazione può essere richiesta alle parti in applicazione dell’art. 111 Cost. che impone una “durata ragionevole del processo”, durata ragionevole che va letta sia con riferimento al singolo processo trattato sia con riferimento alla più complessiva gestione dell’attività giurisdizionale da parte del giudice.

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115Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 19 febbraio 2015, Est. MoriconiL’assenza della parte convenuta in mediazione è valutabile in termini negativi, dal momento che con tale comportamento si è esclusa qualsiasi possibilità di raggiungere un accordo. Anche per tale ragione, oltre ad una reciproca soccombenza, è giusto compensare le spese di causa per due terzi a favore della parte attrice.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 19 febbraio 2015, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 22 giugno 2015, Est. MoriconiAll’udienza di rinvio, le parti, in caso di accordo, possono anche non comparire. Viceversa, in caso di mancato accordo, possono, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt. 91 e 96 c.p.c.

Tribunale di Torino, sez. III, ordinanza 23 marzo 2015, Est. Di CapuaAnche nel processo sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. trova applicazione la mediazione obbligatoria, non essendo il rito a determinare l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, bensì la natura della controversa.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 18 maggio 2015, Est. MarzocchiNon può considerarsi sufficiente che all’udienza di verifica i difensori si limitino a dichiarare al giudice di aver svolto infruttuosamente il tentativo di mediazione, senza far seguire alla dichiarazione di fallimento della procedura la produzione in giudizio del relativo verbale. In tal modo, infatti, il giudice si trova nell’impossibilità di verificare non solo la regolarità dello svolgimento della procedura di mediazione, ovvero la presenza delle parti o i loro procuratori speciali, quella dei rispettivi difensori con funzione di assistenza e lo svolgimento dell’incontro preliminare informativo, ma anche tout court di verificare l’effettivo svolgimento di una procedura di mediazione.

Tribunale di Milano, sez. VI, ordinanza 19 maggio 2015, Est. CozziAppare utile disporre l’esperimento del tentativo di mediazione prima dell’assunzione delle prove e di ogni altra valutazione sulla richiesta di CTU contabile.

Tribunale di Ascoli Piceno, sentenza 15 giugno 2015, Est. MarianiÈ possibile pronunciare condanna al pagamento delle spese processuali dei convenuti, anche se non costituiti in giudizio, allorché gli stessi abbiano ritenuto di non partecipare neppure alla procedura di mediazione senza fornire alcuna giustificazione.

Tribunale di Palermo, sez. II, sentenza 18 settembre 2015, n. 4951, Est. AdelfioDurante il tentativo di mediazione il termine di trenta giorni per l’impugnazione delle delibere assembleari si sospende e riprende dalla data di redazione e deposito

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del verbale negativo. A norma dell’art. 5, 6° comma, D.Lgs. n. 28/2010, infatti, “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda, giudiziale” e dalla stessa data, “la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta”. Tuttavia, il termine di decadenza per l’impugnazione della delibera assembleare viene sospeso – per una sola volta – non dal giorno della presentazione della domanda di mediazione, bensì da quella della sua comunicazione alle altri parti.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 26 ottobre 2015, Est. MarzocchiAllorché non vi sia in atti alcun documento che comprovi l’esito del procedimento di mediazione, occorre che le parti forniscano al giudicante ulteriori chiarimenti con eventuali documenti a supporto, sull’esito della procedura, senza con questo violare l’obbligo di riservatezza che permea la mediazione, non trattandosi certo di entrare nel merito dell’eventuale negoziato tra le parti né delle eventuali dichiarazioni rese o delle informazioni comunque acquisite nel corso della procedura di mediazione.

Tribunale di Firenze, sez. II, sentenza 12 novembre 2015, n. 4010, Est. AnselmoIl termine decadenziale di cui all’art. 1137 c.c., che si interrompe con la proposizione della domanda di mediazione, riprende a decorrere, ai sensi dell’art. 5, 6° comma, D.Lgs. n. 28/2010, dalla data di deposito del verbale di mancata conciliazione nella segreteria dell’organismo adito.

Giudice di Pace di Torino, sez. V, sentenza 19 novembre 2015, n. 4440, Est. BonaccorsiNei procedimenti instaurati avanti al giudice di pace non si deve dar luogo alla preventiva mediazione, in quanto l’art. 320 c.p.c. prevede espressamente l’obbligo per tale giudice di tentare la conciliazione delle parti prima di procedere all’istruzione del giudizio. Di conseguenza, la natura di conciliatore e mediatore intrinseca alla figura del giudice di pace rende la mediazione esterna al giudizio una inutile duplicazione e supera ogni eccezione di improcedibilità sul punto.

Tribunale di Monza, sez. II, sentenza 12 gennaio 2016, n. 65, Est. LaubLa formulazione utilizzata dal legislatore nell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 (“impedisce la decadenza”) e l’individuazione di un nuovo termine di decorrenza in caso di fallimento della mediazione (“decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11”) escludono di poter ritenere che la presentazione della domanda di mediazione determini una mera sospensione del termine perentorio di impugnazione stabilito dall’art. 1137 c.c., che riprenderebbe a decorrere, per il tempo residuo, dalla conclusione dal procedimento.

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117Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 9 febbraio 2016, n. 176, Est. BenattiLa procedura di mediazione ha efficacia interruttiva della prescrizione, ma non ha alcun effetto sulla data di decorrenza dell’interesse come previsto dall’art. 2033 c.c.

Tribunale di Cagliari, sez. I, sentenza 15 febbraio 2016, Est. LuchiDeve pronunciarsi la cessazione della materia del contendere laddove le parti dichiarino in udienza di aver raggiunto un accordo transattivo consacrato nel verbale di mediazione depositato in atti.

Tribunale di Palermo, sez. III, sentenza 19 febbraio 2016, Est. SpiaggiaAi sensi dell’art. 9 D.Lgs. n. 28/2010 le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto, anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni; sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio. È dunque evidente la dicotomia tra fase stragiudiziale delle trattative e fase processuale, non rilevando nel procedimento civile, ai fini dell’art. 115 c.p.c. il contegno serbato dalla parte nel momento della concertazione bonaria.

Tribunale di Treviso, sentenza 1 marzo 2016, Est. Di TullioA fini probatori, nessun rilievo possono assumere le dichiarazioni da rese dalle parti in sede di mediazione, considerato il chiaro disposto dell’art. 10 D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dalla L. n. 98/2013.

Tribunale di Perugia, sez. II, ordinanza 2 marzo 2016, Est. PainiAi sensi dell’art. 5, 6° comma, D.Lgs. n. 28/2010, dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e, dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta. Tale norma si occupa in generale degli effetti, sul processo, dell’introduzione della domanda di mediazione, effetti che risultano disciplinati unicamente da tale disposizione e non da altre. In particolare, l’art. 2 D.Lgs. n. 28/2010 si limita a prevedere la possibilità della mediazione facoltativa nelle materie ove questa non costituisce condizione di procedibilità, ma non regolamenta in alcun modo la forma della relativa domanda o i relativi effetti, né tantomeno lo fa in modo difforme rispetto a quanto previsto al citato art. 5, 6° comma. Di conseguenza, non v’è ragione di ritenere che nella materie oggetto di mediazione facoltativa, ove la parte scelga comunque di esperire tale tentativo, gli effetti non debbano essere gli stessi che discendono dalla mediazione obbligatoria.

Tribunale di Taranto, sez. II, sentenza 17 marzo 2016, n. 940, Est. CasaranoLa domanda di mediazione non può essere ritenuta utile per interrompere la

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prescrizione allorché l’avviso di ricevimento non rechi né la firma dell’incaricato della notifica per posta, né la firma del destinatario.

2.2 Il tempo di inizio del processo

Corte d’appello di Roma, sez. II, ordinanza 28 ottobre 2010L’art. 24 D.Lgs. n. 28/2010 circoscrive l’entrata in vigore della normativa espressamente al 1° comma dell’art. 5 e cioè alle ipotesi in cui per la prima volta vi è l’intenzione di azionare un giudizio in una delle materie che il legislatore individua ai fini del procedimento mediatorio de quo, mentre il 2° comma del medesimo articolo riserva al giudice, anche d’appello, senza alcun limite temporale, ma solo di materia, la facoltà di inviare le parti a procedere alla mediazione.

Tribunale di Modena, sez. distaccata Pavullo nel Frignano, ordinanza 8 luglio 2011, Est. MasoniDa un punto di vista cronologico l’obbligo di mediazione concerne “i processi successivamente iniziati” dopo un anno dall’entrata in vigore del decreto sulla mediazione (art. 24 del D.Lgs. n. 28/2010), ovvero, introdotti alla data del 20 marzo 2011. Tenendo però conto che il 20 marzo cadeva nella giornata di domenica, l’obbligo riguarda i processi introdotti a far data dal 21 marzo 2011. Il dubbio concernente l’inizio dei processi con assoggettamento all’obbligo in discorso appare risolubile mercè i dati normativi emergenti dal sistema processuale, occorrendo al riguardo discernere le diverse tipologie di introduzione del processo. I processi introdotti con citazione si considerano legalmente iniziati con la notificazione (art. 39, 3° comma, c.p.c.) e in particolare dal momento della “consegna del plico (da notificare) all’ufficiale giudiziario” (art. 149, 3° comma, c.p.c.), ovvero, mercè richiesta della parte a procedere a notificazione (principio applicabile anche alle notifiche non richieste all’ufficiale giudiziario perché eseguite direttamente dall’avvocato ai sensi della. L. n. 53/1994). Per i processi che iniziano con ricorso, la litispendenza è invece determinata dal deposito del ricorso in cancelleria (art. 39, 3° comma, c.p.c.), mentre per i procedimenti monitori dispone l’art. 643, 3° comma, c.p.c. che è la notificazione a determinare la pendenza della lite.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 11 luglio 2011, Est. RuvoloTribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 13 luglio 2011, Est. RuvoloTribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 20 luglio 2012, Est. RuvoloIl momento rilevante, ai fini di determinare la pendenza della lite, è quello della notificazione della citazione o del deposito del ricorso. Può porsi un problema interpretativo con riferimento al caso in cui l’attore abbia consegnato la citazione

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119Massimario di giurisprudenza

all’ufficiale giudiziario entro il 20 marzo 2011, ma la notifica si sia perfezionata nei confronti del convenuto dopo tale data, giacché se è vero che l’art. 149, 3° comma, c.p.c. prevede che la notificazione a mezzo posta si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e se è anche vero che tale principio ha carattere generale e vale per tutti i tipi di notifica, tuttavia non può trascurarsi che il principio in questione comporta soltanto che il notificante non incorre in decadenze o prescrizioni maturate dopo la detta consegna. Agli altri fini, la notifica si considera invece perfezionata nel momento in cui il destinatario ne ha legale conoscenza. Ora, poiché l’art. 24 D.Lgs. n. 28/2010 prevede che le disposizioni sulla condizione di procedibilità di cui al 1° comma dell’art. 5 si applichino ai processi “iniziati” a partire dal 21 marzo 2011 (ossia dopo la data di entrata in vigore del decreto, che era domenica 20 marzo 2011) e considerato che la pendenza del giudizio ed il suo “inizio” si hanno dalla notificazione della citazione, devono probabilmente ritenersi allo stato improcedibili le domande contenute in citazioni (relative a materie soggette a mediazione obbligatoria) notificate al destinatario a partire dal 21 marzo 2011.

Tribunale di Lamezia Terme, ordinanza 1 agosto 2011, Est. IanniL’art. 24 D.Lgs. n. 28/2010 delimita il proprio ambito di efficacia ai processi iniziati dopo la sua entrata in vigore, chiarendo, nella relazione illustrativa al decreto, che in forza della disciplina transitoria le norme sulla condizione di procedibilità si applicheranno ai processi instaurati dopo 18 mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 28/2010. Tale instaurazione non può che coincidere con il perfezionamento della notifica dell’atto introduttivo del giudizio.

Tribunale di Vasto, ordinanza 9 ottobre 2011, Est. PasqualeAi fini della instaurazione del contraddittorio, non è sufficiente la mera consegna del plico da notificare all’ufficiale giudiziario, ma è necessario che l’atto pervenga a legale conoscenza del destinatario, sicché – per la pendenza della lite – deve aversi riguardo non alla data del primo adempimento, bensì al momento in cui il procedimento notificatorio si perfeziona giungendo nella sfera di conoscenza del notificato.

Tribunale di Torino, sez. IV, ordinanza 27 dicembre 2011, Est. CastellinoL’obbligatorio esperimento del procedimento di mediazione, quale condizione di procedibilità, costituisce un mutamento della modalità di accesso alla giurisdizione previsto da una norma di legge che, in difetto di specifica previsione mediante norma transitoria, non può applicarsi retroattivamente rispetto al momento in cui il notificante ha compiuto quanto in suo potere (consegna all’ufficiale giudiziario) per radicare il giudizio. Diversamente opinando, l’attore sarebbe privato della facoltà di valutare preventivamente, nel momento in cui intraprende l’azione giudiziaria ponendo in essere tutti gli atti in suo potere per radicarla, i costi e i tempi del giudizio, con assoggettamento a un diverso regime processuale, in dipendenza da eventi esterni e casuali e non rientranti nella sua sfera di disponibilità.

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Tribunale di Campobasso, sentenza 4 gennaio 2012, Est. Cardona AlbiniI processi introdotti con citazione si considerano pendenti al momento della notificazione della citazione e ai fini della instaurazione del contraddittorio non è sufficiente la mera consegna del plico da notificare all’ufficiale giudiziario, ma è necessario che l’atto pervenga a legale conoscenza del destinatario, sicché – per la pendenza della lite – deve aversi riguardo non alla data del primo adempimento, bensì al momento in cui il procedimento notificatorio si perfeziona giungendo nella sfera di conoscenza del notificato. È quindi infondato l’assunto difensivo della parte attrice, nella parte in cui pretende di individuare il momento della pendenza del processo nella data in cui la notifica è stata richiesta dall’attore all’ufficiale giudiziario. Di conseguenza va accolta l’eccezione preliminare sollevata da parte convenuta e dichiarata l’improcedibilità della domanda azionata.

Tribunale di Santa Maria di Capua Vetere, sez. distaccata Carinola, ordinanza 18 gennaio 2012, Est. SpezzaferriL’art. 149, 3° comma, c.p.c. stabilisce l’anticipazione del perfezionamento della notifica per il notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario solo quando si tratta di sancire a vantaggio del notificante l’osservanza di un termine pendente, di talché, per tutti gli altri effetti, deve ritenersi che la notifica si perfezioni al momento della consegna dell’atto al destinatario. Ne deriva che, allo stato, sono da ritenersi improcedibili le domande contenute in atti di citazione (relativi a materie soggette a mediazione obbligatoria) notificate al destinatario a partire dal 21 marzo 2011.

Tribunale di Bari, sez. III, ordinanza 18 ottobre 2012, Est. AgninoPoiché l’art. 24 D.Lgs. n. 28/2010 prevede che le disposizioni sulla condizione di procedibilità di cui al 1° comma dell’art. 5 si applicano ai processi “iniziati” a partire dal 21 marzo 2011 e considerato che la pendenza del giudizio ed il suo “inizio” si hanno dalla notificazione della citazione, allora devono ritenersi allo stato improcedibili le domande contenute in citazioni (relative a materie soggette a mediazione obbligatoria, come quella di cui al presente giudizio) notificate al destinatario a partire dal 21 marzo 2011.

Tribunale di Campobasso, sentenza 20 maggio 2014, n. 417, Est. Di MeoNon è fondata l’eccezione di improcedibilità della domanda, per non avere la parte attrice esperito, preliminarmente, il tentativo obbligatorio di mediazione, allorché il giudizio si sia instaurato tra le parti prima dell’entrata in vigore (19 settembre 2013) della nuove disposizioni in tema di mediazione.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 19 febbraio 2015, n. 542, Est. GhelardiniTribunale di Firenze, sez. III, sentenza 4 giugno 2015, n. 542, Est. Ghelardini

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121Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 24 marzo 2016, Est. GhelardiniNessun dubbio può porsi circa la applicabilità della disciplina della mediazione delegata ai procedimenti pendenti alla data del 21 settembre 2013, data di entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di mediazione. Invero, in assenza di una espressa diversa disciplina transitoria ed in coerente osservanza del principio tempus regit actum, secondo cui la validità degli atti processuali deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al momento in cui l’atto è compiuto e non a quella in vigore alla data di avvio del processo, non vi è alcuna ragione di ritenere l’istituto in questione applicabile esclusivamente ai procedimenti avviati dopo la sua entrata in vigore. Né si traggono spunti interpretativi diversi dal disposto dell’art. 24 D.Lgs. n. 28/2010 (che differiva l’efficacia dell’originario art. 5, 1° comma, ai procedimenti avviati dopo il 21 marzo 2011), posto che tale norma si riferisce espressamente alla mediazione ante causam, oggi disciplinata dall’art. 5, comma 1 bis, e non a quella delegata/demandata dal giudice (art. 5, 2° comma), così come novellata dal D.L. n. 69/2013 (conv. con modificazioni in L. n. 98/ 2013).

Corte d’appello di Firenze, sentenza 12 marzo 2015, Est. RivielloNon può essere pronunciata l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione, se ciò è stato disposto in un provvedimento normativo successivo all’introduzione del giudizio, né può ritenersi che la mediazione possa essere disposta in grado di appello, poiché in tanto sussiste tale potere in quanto l’obbligo della mediazione fosse già sorto al momento dell’introduzione del giudizio.

Tribunale di Genova, sez. III, sentenza 13 marzo 2015, Est. FerrariNon sono soggette al previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria le cause introdotte con ricorso in data anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 69/2013.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 25 giugno 2015, n. 650, Est. BenattiLa previsione originaria della conciliazione obbligatoria ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 è stata dichiarata incostituzionale per eccesso di delega con sentenza n. 272/2012, la quale – come tutte le sentenze di illegittimità costituzionale – ha efficacia retroattiva, salvi i rapporti c.d. “esauriti”. Dal canto suo, la successiva reintroduzione dell’obbligo di mediazione avvenuta con il D.L. n. 69/2013 non ha effetto retroattivo.

Corte d’appello di Firenze, sez. II, ordinanza 2 ottobre 2015, Est. SanteseLa L. n. 98/2013, nel riscrivere parzialmente la normativa di cui al D.Lgs. n. 28/2010, ha previsto la possibilità per il giudice (anche di appello) di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione (c.d. mediazione ex officio). Trattandosi di in un mero ampliamento dei poteri del giudice, tale norma è applicabile anche ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore.

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Tribunale di Genova, sez. I, sentenza 6 novembre 2015, n. 3203, Est. LuccaNon sono soggette a mediazione obbligatoria le cause introdotte con citazione notificata tra la dichiarazione di incostituzionalità della Corte Costituzionale, intervenuta con la sentenza n. 272 depositata il 6 dicembre 2012, e l’entrata in vigore del c.d. Decreto del Fare (D.L. n. 69/2013), ossia il 21 giugno 2013, che ha reintrodotto la normativa de qua.

Corte d’appello di Campobasso, sentenza 14 gennaio 2016, Est. D’ErricoLa condizione di procedibilità di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, concernente il procedimento obbligatorio di mediazione, in base alle disposizioni transitorie di cui all’art. 24 dello stesso D.Lgs., è divenuta operante a far tempo dallo scadere dei dodici mesi successivi alla sua data di entrata in vigore (e quindi dal 21 marzo 2011). Essa si deve quindi applicare unicamente ai processi iniziati successivamente a tale data.

Tribunale di Milano, sez. XII, sentenza 25 febbraio 2016, Est. TranquilloNon sono soggette al previo esperimento della mediazione obbligatoria le cause introdotte dopo le dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 e prima dell’entrata in vigore dell’art. 5, comma 1 bis, del medesimo D.Lgs. n. 28/2010, a sua volta introdotto dal D.L. n. 69/2013.

Tribunale di Treviso, sez. I, sentenza 25 febbraio 2016, n. 525, Est. RonzaniNon è improcedibile la domanda riconvenzionale formulata dalla parte convenuta, per mancato esperimento della mediazione obbligatoria, allorché il processo sia stato instaurato in data antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 28/2010; anche per la domanda riconvenzionale, successivamente introdotta, occorre infatti attenersi alla normativa allora vigente. Tale soluzione rispetta non solo il principio di ragionevole durata del processo e di corretto equilibrio tra mediazione e giurisdizione, ma, altresì, il dettato costituzionale (art. 3 Cost.) secondo cui sarebbe irragionevole trattare situazioni analoghe in modo differente: cosa che avverrebbe laddove si sottoponesse solo la domanda riconvenzionale, e non anche quella principale, alla suddetta condizione di procedibilità. In casi analoghi, del resto, la ratio stessa posta a fondamento della mediaconciliazione obbligatoria verrebbe meno, visto che la finalità compositiva, preventiva e deflattiva della procedura, perderebbe ragione di esistere davanti ad un giudizio correttamente instaurato e, oramai, radicato.

2.3 La pluralità di domande

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 11 luglio 2011, Est. RuvoloVanno escluse dall’ambito della mediazione obbligatoria tutte le domande (riconvenzionale inedita, domanda trasversale, reconventio reconventionis) che

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123Massimario di giurisprudenza

siano diverse da quella dell’attore proposta con l’atto introduttivo del giudizio. Lo scopo del legislatore che ha introdotto la mediazione obbligatoria è infatti quello di aumentare i casi di composizione extra giudiziale della lite e di introdurre una ridotta limitazione del principio della ragionevole durata del processo.

Tribunale di Verona, ordinanza 18 gennaio 2012, Est. VaccariAllorché due controversie siano state riunite e tra loro sussista una stretta connessione, non solo giuridica, ma anche fattuale, è estremamente opportuno, al fine di rendere utilmente esperibile il procedimento di mediazione, demandare ad esso (giovandosi del disposto dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010) entrambe le controversie, seppur soltanto per una di esse sia necessario esperire il procedimento di mediazione a pena di improcedibilità della domanda.

Tribunale di Como, sez. distaccata Cantù, ordinanza 2 febbraio 2012, Est. ManciniL’interpretazione letterale dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 non consente di distinguere tra domande principali e domande proposte successivamente, giacché l’onere del preventivo tentativo di mediazione è previsto con riguardo ad ogni singola domanda da far valere in giudizio e quindi indipendentemente dalla posizione processuale (di attore o convenuto). Da tale impostazione consegue che, quando all’interno di un processo pendente con domanda principale non assoggettata a mediazione venga proposta una domanda riconvenzionale inerente a materie per cui si debba disporre il rinvio in mediazione, vi è l’obbligo di fissare nuova udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 del citato D.Lgs. n. 28/2010 per consentire alle parti di sperimentare il tentativo di mediazione omesso.Ove la necessità del rinvio in mediazione riguardi la sola domanda riconvenzionale, la trattazione congiunta delle domande dell’attore e del convenuto ritarda e rende più gravoso il processo. Di conseguenza, è necessario separare la domanda riconvenzionale dalla domanda principale, ai sensi dell’art. 103, 2° comma, c.p.c. Prima della separazione, sarebbe però opportuno acquisire l’eventuale consenso delle parti per portare davanti ai mediatori non solo la domanda riconvenzionale, ma anche la domanda principale, atteso l’intimo collegamento tra le due domande dell’attore e del convenuto. In tal modo, potrebbe evitarsi la separazione del processo, rinviando entrambe le domande cumulate a nuova data e rimettendo la causa riconvenzionale davanti ai mediatori, a titolo di mediazione obbligatoria, e quella principale davanti ai mediatori, a titolo di mediazione facoltativa sollecitata dal giudice.

Tribunale di Firenze, sez. II, ordinanza 14 febbraio 2012, Est. BreggiaLa domanda riconvenzionale c.d. inedita, cioè non inserita prima in sede mediativa (ad esempio, nella procedura di mediazione iniziata per la domanda principale), deve reputarsi soggetta al tentativo obbligatorio di conciliazione.

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Né può disporsi la separazione delle domande, dal momento che non avrebbe significato, tenuto conto delle finalità compositive della procedura mediativa, portare in mediazione la lite con riferimento alla domanda riconvenzionale, mentre la stessa controversia, oggetto delle pretese della parte attrice, viene decisa in via autoritativa. La mediazione, infatti, deve riguardare il rapporto nella sua interezza, affinché nella sede mediativa, sia pure formalmente attivata con riferimento alla domanda riconvenzionale, sia possibile risolvere il conflitto contemperando gli interessi di entrambe le parti.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 15 marzo 2012, Est. MoriconiAnche in caso di domande avanzate da soggetti diversi dall’attore va applicata la disciplina di cui all’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, posto che le domande riguardanti materie soggette a mediazione obbligatoria sono sottoposte alla disciplina per tale procedimento prevista quale che sia la parte proponente e la fase del giudizio nella quale la domanda viene introdotta. Non è infatti la collocazione della parte (sul fronte dell’attore o in quello del convenuto) a decidere se la mediazione è obbligatoria, ma il contenuto della domanda giudiziale, che può essere dispiegata sia dall’attore e sia, in via riconvenzionale, dalle altre parti del giudizio (convenuto e terzo chiamato). L’eventuale improcedibilità, in questo caso, sarà riferita non all’intero giudizio, ma solo a quella parte di esso relativa alla domanda carente per omessa mediazione.

Tribunale di Verona, ordinanza 4 aprile 2012, Est. VaccariAllorché la domanda di manleva svolta dall’attrice nei confronti dei terzi chiamati non rientri in nessuna delle controversie di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, per dar modo ad attore e convenuto di esperire il procedimento di mediazione sulla controversia tra loro in essere, occorrerebbe separare la prima dalla seconda con un provvedimento che sarebbe pienamente legittimo, atteso che le domande di garanzia dell’attrice nei confronti dei terzi chiamati hanno natura impropria. Una simile prospettiva rischia, però, di ridurre le possibilità di successo della mediazione che sarebbero, invece, maggiori se ad essa partecipassero anche i terzi chiamati nel giudizio. Proprio per favorire simili prospettive conciliative è estremamente opportuno che anche le cause tra attore e terzi chiamati vengano demandate alla mediazione, utilizzando l’istituto di cui all’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 e quindi solo previa acquisizione del consenso delle parti interessate.

Giudice di Pace di Salerno, ordinanza 2 luglio 2012, Est. VingianiAnche in caso di domande avanzate da soggetti diversi dall’attore va applicata la disciplina di cui all’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 giacché la legge non distingue fra domanda dell’attore e domanda riconvenzionale del convenuto (o del terzo).

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125Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Reggio Calabria, sez. II, ordinanza 2 aprile 2014, Est. MinutoliNel contesto di contrastanti opzioni interpretative, è maggiormente condivisibile la tesi secondo cui la mediazione obbligatoria non si estende alle domande riconvenzionali sollevate dal convenuto o da terzi nel corso del procedimento. Infatti, pur se l’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 non sembra distinguere tra la domanda principale e quella riconvenzionale, la ratio della legge, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata che faccia salvi i principi della ragionevole durata del processo e dell’efficienza ed effettività della tutela giurisdizionale, sembra indicare che: l’obbligo di preventiva mediazione non sortirebbe comunque l’effetto di definire l’intero contenzioso, posto che, in ipotesi, il tentativo conciliativo è già fallito per la domanda principale e la mediazione per le riconvenzionali non sarebbe preventiva, ma successiva; si avrebbe un allungamento dei tempi del processo, in contrasto con l’art. 111 Cost., senza possibilità di verificare l’eventuale scopo dilatorio dell’azione del convenuto o del terzo; lo stesso art. 5 cit. autorizza “il convenuto” ad eccepire il mancato tentativo di mediazione e tale va considerato chi viene citato in giudizio e non già chi, avendo promosso un’azione e, pertanto, notificato ad altri una vocatio in ius, risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria.

Tribunale di Verona, ordinanza 15 settembre 2014, Est. VaccariAllorché due controversie siano state riunite e tra loro sussista una stretta connessione, non solo giuridica, ma anche fattuale, è estremamente opportuno, al fine di rendere utilmente esperibile il procedimento di mediazione, demandare ad esso (giovandosi del disposto dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010) entrambe le controversie, seppur soltanto per una di esse sia necessario esperire il procedimento di mediazione a pena di improcedibilità della domanda.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 27 novembre 2014, Est. MoriconiLaddove la domanda dell’attore non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 mentre lo sia quella riconvenzionale del convenuto, per avere ad oggetto una delle materie fra quelle indicate nella norma suddetta, costituisce ineludibile onere di quest’ultimo proporre rituale e tempestiva istanza di mediazione al fine di rendere procedibile la sua domanda riconvenzionale. In mancanza, la domanda riconvenzionale (ed essa sola, attingendo esclusivamente tale domanda alle materie di cui al comma 1 bis dell’art. 5) va dichiarata improcedibile.Nel caso in cui sia la domanda dell’attore che quella del convenuto in riconvenzionale abbiano ad oggetto le materie di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, così come nel caso di impulso del giudice ai sensi del 2° comma di tale articolo (mediazione demandata), per ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità è sufficiente che almeno una delle parti abbia introdotto una valida e completa domanda di mediazione. Nella mediazione obbligatoria per talune soltanto delle domande (ad esempio perché la sola domanda riconvenzionale attinge a materie

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di cui all’art. 5 comma 1 bis), l’aver proposto incompiutamente la domanda di mediazione, confinandola alla sola trattazione di tale riconvenzionale, condanna all’improcedibilità solo tale domanda, non propagandosi il vizio alle domande degli attori che soggette non vi siano. Per contro, nel caso della mediazione demandata dal giudice, in cui la condizione di procedibilità prescinde dalla materia, tutte le domande, indifferentemente quelle degli attori, quelle dei convenuti e quelle dei terzi, sono soggette a mediazione; e in questo caso aver confinato l’oggetto della mediazione ad una parte soltanto della controversia (il che equivale ad avere introdotto, violando in difetto la disposizione impartita dal giudice, una mediazione monca), comporta che l’improcedibilità si propaghi a tutte le domande.

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 23 febbraio 2015, n. 619, Est. MaricondaL’improcedibilità anche della domanda riconvenzionale non preceduta da mediazione è coerente con il tenore letterale dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 che permette di evidenziare che l’onere del preventivo tentativo di mediazione è stato contemplato non con generico riferimento all’instaurazione del processo ed al soggetto (attore) che in concreto lo promuove, ma con specifico riguardo “alla domanda” da far valere in giudizio e quindi indipendentemente dalla posizione processuale della parte che intende formularla. E poiché la riconvenzionale costituisce una domanda nuova, una contro–domanda con cui il convenuto si fa attore, mirando ad ottenere un provvedimento positivo a suo favore, deve considerarsi ricorrente il presupposto indicato dalla citata norma.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 9 marzo 2015, n. 763, Est. GhelardiniL’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non distingue tra domanda principale e domande riconvenzionali o di manleva. Ne segue che la sanzione della improcedibilità, in caso di omesso avvio della mediazione, non può che colpire tutte le domande proposte dalla parte inadempiente nel processo.

Tribunale di Taranto, sez. II, ordinanza 16 aprile 2015, Est. CasaranoAnche le domande riconvenzionali sono assoggettate alla mediazione obbligatoria ex D.Lgs. n. 28/2010, non potendosi ammettere un regime diverso per le domande giudiziali a seconda che siano fatte valere dall’attore o dal convenuto, in mancanza peraltro di disposizione di legge contraria. Ciò non toglie che possa assicurarsi il simultaneus processus, rinviando la trattazione di tutte le cause ad una udienza successiva, piuttosto che disporsi la loro separazione.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 25 giugno 2015, Est. VaccariNel caso in cui la domanda risarcitoria, non ricompresa in nessuna delle materie di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, vada separata da quella fondantesi sul diritto di comunione per consentire lo svolgimento del procedimento di mediazione su

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quest’ultima, ciò rischierebbe di compromettere ab origine la prospettiva conciliativa, dal momento che le parti si troverebbero a trattare di una parte solamente della complessiva controversia tra loro pendente. Per ovviare a tale inconveniente, è opportuno demandare alla mediazione anche la controversia per cui non sarebbe obbligatoria le previa mediazione, in applicazione del disposto di cui all’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 12 novembre 2015, n. 4006, Est. SciontiNonostante la domanda principale sia dichiarata improcedibile per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, il carattere autonomo della domanda riconvenzionale impone comunque la valutazione nel merito su essa, tenuto conto che la presenza della parte in mediazione e la sua dichiarazione di adesione alla procedura, non svoltasi per mancata adesione della controparte, non consente l’applicazione di corrispondente sanzione di improcedibilità.

Tribunale di Grosseto, sentenza 27 novembre 2015, n. 1130, Est. MezzalunaLa mancata attivazione della procedura di mediazione comporta l’improcedibilità della domanda riconvenzionale a norma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dal D.L. n. 69/2013 (conv. in L. n. 98/2013). L’improcedibilità della domanda è concetto giuridico ben distinto dalla decadenza dalla domanda riconvenzionale, evenienza quest’ultima che comunque consente di recuperare le circostanze di fatto poste a fondamento di quella domanda quale eccezione riconvenzionale, con il limitato fine di paralizzare l’altrui domanda. Nel caso dell’improcedibilità, viceversa, si è in presenza di una situazione processuale che logicamente precede la sanzione della decadenza da una domanda che sia, appunto, procedibile; in tal caso il mancato avveramento della condizione di procedibilità non consente di procedere oltre e, quindi, di poter prendere in esame le circostanze di fatto alla base della domanda per alcuna finalità.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 18 dicembre 2015, Est. VaccariÈ alquanto controverso, sia in dottrina che in giurisprudenza, se la previsione di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 trovi applicazione anche nei processi oggettivamente e soggettivamene complessi e quindi se la mediazione sia condizione di procedibilità anche delle domande fatte valere nel corso del processo dal convenuto, dai terzi intervenienti volontari o su chiamata e pure dallo stesso attore, sotto forma di reconventio reconventionis. Peraltro, i maggiori dubbi riguardano il caso in cui la domanda cumulata sia inedita, ossia venga ad aggiungersi ad una domanda principale che è già stata sottoposta a mediazione; per contro, qualora non si sia svolto un tentativo di conciliazione rispetto alla domanda principale, non si vedono ragioni per non estendere la mediazione a tutte le domande ad essa cumulate che vi siano soggette.

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Tribunale di Udine, sentenza 27 gennaio 2016, n. 94, Est. GigantescoLa condizione di procedibilità di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, sulla scorta dell’interpretazione oramai prevalsa del dettato normativo, riguarda anche le domande riconvenzionali proposte dal convenuto o dal terzo, ma la relativa eccezione deve essere sollevata, a pena di decadenza, ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 nella prima udienza ex art. 183 c.p.c., termine entro cui matura anche il rilievo d’ufficio del giudice, o al più entro il termine di deposito della prima memoria ex art. 183 c.p.c.

Tribunale di Palermo, sez. III, ordinanza 27 febbraio 2016, Est. NozzettiNell’ipotesi in cui il giudizio, dopo la proposizione della domanda giudiziale, si arricchisca di nuove domande o di nuovi parti, diversi sono gli argomenti che inducono a ritenere che la mediazione obbligatoria non si estenda alle domande proposte nei riguardi di terzi chiamati in causa. In primo luogo, le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo una deroga all’esercizio di agire in giudizio garantito dall’art. 24 Cost, non possono essere interpretate in senso estensivo, né può prescindersi dalla rigorosa interpretazione del dato testuale, che prevede che l’improcedibilità sia sollevata dal convenuto, qualificazione che il codice di rito annette non al destinatario di una qualunque domanda giudiziale, bensì a colui che riceve la vocatio in jus da parte dell’attore. Inoltre, l’evenienza di dover esperire, in tempi diversi e nell’ambito dello stesso processo, una pluralità di procedimenti di mediazione, comportando un inevitabile, sensibile allungamento dei tempi di definizione del processo, è all’evidenza difficilmente compatibile con il principio costituzionale della ragionevole durata del giudizio e con l’esigenza di evitare ogni possibile forma di abuso strumentale del processo medesimo. Ancora, sostenere (in maniera del tutto logica e coerente con la ratio dell’istituto) che, una volta ammessa la mediazione obbligatoria anche per le domande proposte da e nei confronti dei terzi, eventualmente distinguendo la chiamata in garanzia propria da quella impropria (escludendo soltanto nella prima la necessità del preventivo esperimento del tentativo di mediazione che si sia già svolto rispetto alla domanda principale), sia necessario demandare alla mediazione l’intera controversia, perché solo in tal modo essa può essere definita in via conciliativa, equivale a gravare oltremodo la posizione dell’attore, obbligato a farsi nuovamente carico del costo dell’organismo di mediazione pur avendo già invano sostenuto quelli della mediazione sulla domanda principale. Per tutte le illustrate ragioni, la ratio legis sottesa all’art .5 D.Lgs. n. 28/2010 deve intendersi ragionevolmente limitata all’iniziativa processuale che dia vita ad un processo, senza che essa possa invece estendersi anche ai fenomeni di ampliamento dell’ambito oggettivo del giudizio già avviato.

Tribunale di Verona, sez. III, sentenza 24 marzo 2016, Est. Tommasi Di VignanoSul tema dell’assoggettamento alla mediazione obbligatoria della domanda riconvenzionale (inedita o meno) rientrante nelle materie di cui al D.Lgs. n. 28/2010

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(come anche delle domande dei terzi chiamati in causa, delle domande trasversali, della reconventio reconventionis), è preferibile la più ragionevole e razionale tesi negativa, in ragione delle seguenti esigenze: interpretare l’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 alla luce dei principi di ragionevole durata del processo, di efficienza ed effettività della tutela giurisdizionale rispetto alle norme di deroga alla giurisdizione alla luce dell’art. 24 Cost., di equilibrio nella relazione tra procedimento giudiziario e mediazione come espresso dalla Dir. n. 2008/52/CEE; rispettare l’autentica finalità dell’istituto mediatorio, che è marcatamente deflattiva; evitare la formulazione di domande riconvenzionali “strumentali” al solo fine di imporre al giudice l’invio in mediazione, con conseguente allungamento dei tempi processuali anche per la definizione della domanda principale, ovvero la separazione della domanda riconvenzionale da quella principale, con quanto deriverebbe in termini di proliferazione delle cause e aggravamento degli adempimenti amministrativi di cancelleria.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 12 maggio 2016, Est. VaccariA favore della sottoposizione anche della domanda riconvenzionale c.d. inedita alla mediazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, militano le seguenti considerazioni: la Cassazione (n. 830/2006) ha interpretato una norma analoga, ed anzi identica nella sua prima parte, ossia l’art. 46 L. n. 3/1982 n. 3 (ora art. 11 D.Lgs. n. 150/2011) nel senso che l’onere del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione sussiste anche nei confronti del convenuto che proponga una riconvenzionale secondo uno dei criteri di collegamento previsti dall’art. 36 c.p.c.; il termine “convenuto” utilizzato dall’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, per indicare il soggetto che eccepisce l’improcedibilità della domanda ben può essere riferito all’attore rispetto alla domanda riconvenzionale; l’esclusione della domanda del convenuto dall’ambito di applicazione dell’art. 5 comma 1 bis provocherebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra attore e convenuto del tutto illegittima. Alle suddette considerazioni non può del resto validamente obiettarsi che la norma in esame deve essere interpretata restrittivamente, costituendo una deroga al diritto di azione, atteso che tale argomento presuppone che la norma sia inequivoca nell’escludere dall’obbligo di mediazione le domande cumulate mentre, dopo quanto detto sopra, così non è.

Tribunale di Mantova, sez. I, ordinanza 14 giugno 2016, Est. BernardiLa mediazione deve essere esperita unicamente in relazione alle domande proposte dall’attore nei confronti del convenuto e non con riguardo alle domande proposte da quest’ultimo nei confronti di terzi in quanto: una diversa soluzione comporterebbe un notevole allungamento dei tempi di definizione del processo, in contrasto con il principio di ragionevole durata dello stesso stabilito dall’art. 111 Cost.; le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga al diritto

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di azione, sono di stretta interpretazione; l’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 menziona solo il convenuto quale soggetto legittimato a dedurre il difetto del previo esperimento del tentativo di conciliazione.

2.4 La mediazione e i procedimenti ante causam

Tribunale di Brindisi, sez. distaccata Francavilla Fontana, ordinanza 9 gennaio 2010, Est. MarsegliaNella prospettiva della piena operatività della disciplina della media–conciliazione obbligatoria, la parte che abbia richiesto e ottenuto un sequestro ante causam per una controversia rientrante in una delle materie di cui all’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, pur volendo esperire il procedimento di mediazione non potrà esimersi dall’instaurare il giudizio di merito ex art. 669 octies c.p.c. prima o nel corso della mediazione stessa, in quanto, per una parziale antinomia che si auspica possa essere meglio armonizzata de iure condendo, il termine di durata della procedura conciliativa ai sensi dell’art. 6 D.Lgs. n. 28/2010 può spingersi fino a 4 mesi ed è dunque più ampio rispetto al termine perentorio entro cui va instaurato il giudizio di merito.

Tribunale di Varese, sez. I, decreto 21 aprile 2011, Est. BuffoneL’ambito dell’art. 696 bis c.p.c. è escluso dall’obbligatorietà della mediazione sancita dall’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 per almeno tre diverse ragioni. In primo luogo, l’istituto conserva natura “cautelare formale” e trova quindi applicazione l’esclusione ex lege prevista dall’art. 5, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010. Inoltre, resta ovvia la constatazione secondo cui l’istituto disciplinato dall’art. 696 bis c.p.c. non introduce, a norma dell’art. 2 D.Lgs. n. 28/2010, una controversia in materia di diritti disponibili e, dunque, non trova applicazione l’art. 5, 1° comma, del medesimo decreto in ragione dell’art. 2, 1° comma. In ogni caso, la consulenza tecnica preventiva, pur non avendo “sostanziale” carattere cautelare, conserva una relazione di accessorietà rispetto all’eventuale futuro giudizio di merito, posto che se la conciliazione non riesce, ciascuna delle parti può chiedere, ai sensi dell’art. 696 bis, 5° comma, c.p.c., che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. Incidendo, pertanto, sui tempi di definizione dell’eventuale futuro giudizio di merito, se ne deve quantomeno riconoscere il carattere “urgente”, in adesione alla collocazione formale dell’istituto nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva. Ne discende l’esclusione dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 in ragione della deroga di cui al successivo 3° comma della medesima disposizione.Sul piano squisitamente logico–giuridico, non può poi, comunque, non segnalarsi l’aporia del “mediare per chiedere di mediare” posto che con il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. la parte non chiede la distribuzione di torti e ragioni, ma di sperimentare un tentativo di risoluzione della lite con modalità alternative.

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131Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Arezzo, ordinanza 4 luglio 2011, Est. SestiniÉ infondata l’eccezione di improcedibilità per mancato espletamento della mediazione obbligatoria ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 allorché si verta in situazioni di consulenza tecnica preventiva. Ciò sia perché la necessità della preventiva mediazione costituisce – fatte salve le eccezioni previste dal 4° comma – condizione di procedibilità delle domande di merito (e non anche di istanze diverse che – come quella ex art. 696 bis c.p.c. – non sono finalizzate ad una pronuncia sul merito della controversia) sia perché, condividendo l’istituto disciplinato dall’art. 696 bis c.p.c. le stesse finalità di composizione bonaria della lite proprie del procedimento di mediazione, apparirebbe illogico condizionarne l’esperibilità al preventivo espletamento della mediazione.

Tribunale di Pisa, ordinanza 25 luglio 2011, Est. LaganàLa natura ibrida dell’istituto della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite consente di affermare che possa farsi ricorso a tale procedura anche senza l’obbligatorio esperimento della mediazione, dovendo ritenersi che l’esercizio in giudizio di un’azione relativa ad una controversia nelle materie indicate nell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 riguardi il giudizio del merito, ovverosia il giudizio che conduca ad una decisione definitoria della controversia cui, in alternativa, possa contrapporsi quella assunta in sede di mediazione. Non invece una controversia, come quella disciplinata dall’art. 696 bis c.p.c., che non necessariamente ha come risultato la definizione della lite, ma che può avere solo quello di una consulenza utilizzabile nel successivo giudizio di merito ed è, come tale, assimilabile ai provvedimenti urgenti e cautelari esclusi ai sensi del 3° comma dell’art. 5 dall’obbligatorio esperimento della procedura di mediazione.Non appare irragionevole ipotizzare, una volta conclusa (naturalmente senza conciliazione), la procedura ex art. 696 bis c.p.c., il ricorso all’istituto della mediazione, attese le non necessariamente coincidenti finalità delle due fattispecie e l’astratta ipotizzabilità di una diversa gamma di situazioni di fatto (ripetizione della consulenza o modifica parziale delle sue conclusioni, appianamento di alcune questione ritenute d’ostacolo alla mediazione, diversa capacità conciliativa del mediatore) che può rendere utile il ricorso alla mediazione, salva la possibilità per la parte, nell’eventuale giudizio di merito, di avvalersi della consulenza esperita in sede di ricorso ex art. 696 bis c.p.c. e che può, di per sé sola, fondare un interesse per l’esperimento di tale procedura.

Tribunale di Milano, sez. VI, ordinanza 24 aprile 2012, Est. CosentiniLa coesistenza nell’ordinamento processuale dei due istituti dell’accertamento tecnico preventivo (art. 696 bis c.p.c.) e del procedimento di mediazione (artt. 3 e segg. D.Lgs. n. 28/2010) non è prevista in termini di alternatività, tale per cui il ricorso all’uno escluda il ricorso all’altro. Di conseguenza, il ricorso al primo, rimesso alla disponibilità delle parti ove ne ricorrano i presupposti (con

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particolare riferimento all’utilità di una verifica tecnica che consenta alte parti di fare chiarezza sul tema controverso e su istanze restitutorie o risarcitone poste), non esclude la necessità di ricorrere al secondo quando, non raggiunto l’obiettivo della conciliazione, si profili la via contenziosa e quindi, nelle materie previste, l’obbligatorietà di ricorrere al preventivo procedimento di mediazione (nel quale, prevalenti le tecniche relazionali di mediazione, ci si potrà comunque avvalere dell’accertamento tecnico già svolto).

Tribunale di Siracusa, sez. II, ordinanza 14 giugno 2012, Est. ManganoAppare coerente con la lettera e lo spirito del D.Lgs. n. 28/2010 ritenere che, laddove il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. verta su una delle materie di cui al 1° comma dell’art. 5, lo stesso debba essere considerato inammissibile, stante la necessità di dover previamente instaurare il tentativo obbligatorio di mediazione. Il silenzio del legislatore in merito alla mancata previsione del procedimento di cui all’art. 696 bis c.p.c. tra quelli indicati nel 4° comma dell’art. 5, pertanto, va interpretato come una tecnica di disciplina ed espressione di una scelta voluta.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 22 agosto 2012, Est. MoriconiL’emissione di un provvedimento cautelare in materia di mediazione obbligatoria – come pure la trascrizione della domanda giudiziale – non è condizionata dalla previa introduzione dell’esperimento di mediazione, che può sussistere o meno senza che da ciò derivi alcun condizionamento giuridico per il giudice.

Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 13 ottobre 2012, Est. MorliniIn seguito alla concessione di un provvedimento cautelare anticipatorio, il termine ex art. 669 octies c.p.c. per instaurare il giudizio di merito rimane sospeso da quando s’inizia a quando si conclude la mediazione. Ciò, oltre che in base ad un principio di ragionevolezza, avviene in ragione della enucleazione di un principio generale, ricavato in via analogica dalle prescrizioni particolari dettate dall’art. 5, 6° comma, D.Lgs. n. 28/2010, che prevede appunto, sia pure per il diritto sostanziale, la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza durante la pendenza del procedimento di mediazione; e dall’art. 669 octies, 4° comma, c.p.c. in tema di rapporto di lavoro pubblico, che a livello processuale fa decorrere da un momento successivo all’esperimento del tentativo di conciliazione la condizione di procedibilità della domanda cautelare.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 16 dicembre 2014, Est. ManganoIl c.d. Decreto del Fare (D.L. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 98/2013) ha aggiunto alla lista dei procedimenti espressamente esclusi dalla mediazione (art. 5, 4° comma, lett. c, D.Lgs. n. 28/2010) quelli di cui all’art. 696 bis c.p.c., con ciò espressamente risolvendo il contrasto emerso in giurisprudenza, in adesione alla tesi maggioritaria che non riteneva necessario attivare il procedimento di mediazione

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prima di proporre l’accertamento tecnico a fini conciliativi, in base alla considerazione che si tratta di uno strumento sia d’istruzione preventiva che di composizione della lite, il quale, almeno in parte, ha le medesime finalità, della mediazione.Non può estendersi al giudizio di merito instaurato tra le medesime parti e avente il medesimo oggetto, rientrante nel novero delle controversie per le quali il ricorso alla procedura di mediazione è condizione di procedibilità, l’esclusione espressamente prevista per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., poiché il rischio di duplicazione di una attività conciliativa in contrasto con i principii di ragionevole durata del procedimento si paleserebbe recessivo rispetto alla evidente e più grave elusione della condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, con il sostanziale generalizzato azzeramento dell’auspicata efficacia deflattiva sul complessivo sistema giudiziario, connessa all’istituto della mediazione obbligatoria.

Tribunale di Milano, sez. I, ordinanza 17 febbraio 2015, Est. GattariAnche ove venga richiesta in previsione di una delle controversie soggette alla c.d. mediazione obbligatoria ex D.Lgs. n. 28/2010, l’istruzione preventiva ex art. 696 bis c.p.c. non richiede il previo esperimento del procedimento di mediazione stragiudiziale, che va eventualmente attivato prima dell’introduzione del successivo giudizio di merito, essendo diversi i presupposti e le finalità dei due istituti. Infatti, mentre il procedimento di istruzione preventiva ex art. 696 bis c.p.c. si svolge davanti al giudice ed è finalizzato alla formazione (attraverso la consulenza tecnica) di un mezzo di prova utile all’accertamento ed alla determinazione di un preteso diritto di credito che ciascuna parte può poi eventualmente utilizzare nel successivo giudizio di merito (rispetto al quale il procedimento di istruzione preventiva risulta quindi strumentale) qualora il procedimento di istruzione preventiva non si concluda con la conciliazione, la mediazione stragiudiziale non è affatto finalizzata alla formazione di una prova utilizzabile nel successivo giudizio di merito.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 16 luglio 2015, Est. MoriconiL’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 prevede al 4° comma, lettera c), che nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’art. 696 bis c.p.c. non si applichino i commi 1 bis e 2, vale a dire le prescrizioni relative alla mediazione obbligatoria ed a quella demandata. Ne consegue che l’invito del giudice, in questi casi, non va iscritto in tali moduli procedimentali, per gli effetti che ne possono scaturire, ma piuttosto quale percorso volontario concordato dalle parti all’esito della prospettazione da parte del giudice delle evidenti maggiori utilità di una buona mediazione.

Tribunale di Catania, sez. I, ordinanza 6 aprile 2016È procedibile, anche in mancanza del previo esperimento del procedimento di mediazione, l’istanza cautelare di istruzione preventiva, in quanto, ai sensi dell’art. 5, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010, i procedimenti cautelari non sono soggetti a tale condizione di procedibilità.

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Tribunale di Latina, sez. II, ordinanza 23 aprile 2016, Est. ManciniL’art. 5, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010 enuncia un principio processuale di carattere generale fondato sull’assunto, immanente al sistema ordinamentale, per cui per i procedimenti cautelari l’esclusione dalla soggezione al tentativo obbligatorio di mediazione si correla alla stessa strumentalità della giurisdizione cautelare rispetto all’effettività della tutela giurisdizionale sancita dall’art. 24 Cost., tutela che potrebbe essere frustrata dall’imposizione del previo esperimento del tentativo di conciliazione. La previsione della mediazione obbligatoria è, infatti, finalizzata ad assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali attraverso la composizione preventiva della lite, ma tale interesse svanisce in riferimento all’azione cautelare, proprio in considerazione delle esigenze tutelate con i procedimenti cautelari, le quali richiedono una risposta necessariamente immediata. Pertanto, considerato il rango costituzionale del principio appena richiamato, la clausola contrattuale che ne prevedesse una deroga pattizia dovrebbe ritenersi radicalmente nulla.

2.5 Le spese

Tribunale di Modena, sez. II, sentenza 9 marzo 2012, n. 479, Est. MasoniStante la riconducibilità eziologica del procedimento di composizione della lite all’accertato inadempimento del convenuto, in forza del principio di causalità le spese sostenute per l’obbligatoria mediazione sono recuperabili dal vincitore, in quanto esborsi (art. 91 c.p.c.). Il convenuto va perciò condannato pure al rimborso della somma sostenuta per espletamento della mediazione.

Tribunale di Cagliari, sentenza 10 luglio 2014Deve disporsi la compensazione integrale degli oneri di lite allorché la causa avrebbe dovuto trovare la sua naturale composizione nell’ambito del procedimento di mediazione, considerata la evidente superfluità della prosecuzione della lite.

Tribunale di Monza, sez. II, sentenza 3 febbraio 2015, n. 985, Est. CaniatoNon sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare le spese di lite in caso di mancata partecipazione da parte dei convenuti al tentativo di mediazione avanti all’Organismo di conciliazione.

Tribunale di Aosta, sentenza 26 febbraio 2015, Est. ModoloIn forza del criterio generale di cui all’art. 91 c.p.c., le spese di lite devono essere poste a carico della parte che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo ad una pretesa fondata, ha dato causa al processo o alla sua protrazione e che deve qualificarsi tale in relazione all’esito finale della controversia. Tuttavia, causare un processo significa anche costringere alla sopportazione di un’iniziativa giudiziaria rivelatasi incompleta, per la mancata ottemperanza agli

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oneri procedurali sottesi alla sua definizione. Orbene, seppur in generale il termine per la mediazione venga per legge assegnato ad entrambe le parti, è evidente che in assenza di domande riconvenzionali la parte evocata in giudizio può non avere alcun interesse alla procedibilità dell’azione, sicché in caso di improcedibilità dell’azione per mancato esperimento del procedimento di mediazione, le spese di lite vanno poste a carico della parte attrice, quale parte che con la propria condotta ha dato avvio al procedimento senza poi compiere gli adempimenti necessari per la sua prosecuzione.

Tribunale di Reggio Emilia, sez. II, sentenza 14 aprile 2015, n. 601, Est. ZompiLe spese sostenute ante causam, tra cui rientrano quelle anticipate nel procedimento di mediazione, non possono essere considerate come autonoma voce di danno risarcibile, dovendo invece essere liquidate tra le spese di lite.

Tribunale di Genova, sez. III, sentenza 12 giugno 2015, n. 1902, Est. GabrielTribunale di Prato, sentenza 23 giugno 2015, n. 762, Est. LunghiTribunale di Bologna, sez. III, sentenza 15 luglio 2015, n. 2261, Est. IovinoAnche le spese per la fase di mediazione seguono la soccombenza.

Tribunale di Prato, sentenza 4 luglio 2015, n. 814, Est. MagheriniIn caso di mancato conseguimento di un accordo in sede di mediazione senza che sia possibile individuare a chi debba essere addossato il mancato raggiungimento di tale accordo, le spese per detta attività devono essere compensate fra le parti.

Tribunale di Bari, sez. II, sentenza 15 luglio 2015, n. 3275, Est. D’AprileVanno poste a carico della parte soccombente le spese di accesso alla procedura di mediazione, nei limiti di quanto documentato.

Tribunale di Verona, sez. II, ordinanza 31 agosto 2015, Est. LanniTra le spese che la parte deve rimborsare in base al principio della soccombenza bisogna includere anche i costi del procedimento di mediazione allorché la stessa abbia contestato la mancanza di prove della riferibilità del procedimento di mediazione alla controversia giudiziale, ma non abbia poi indicato quali sarebbero le ulteriori, possibili, controversie cui il procedimento sarebbe riferibile e se, in mancanza di tali indicazioni – e considerata la successione temporale tra il procedimento dì mediazione e la controversia – il primo deve presuntivamente riferirsi alla seconda.

Tribunale di Modena, sez. II, sentenza 7 ottobre 2015, n. 1298, Est. ZompiLe spese anticipate nel corso del tentativo di mediazione obbligatoria non possono essere considerate come autonoma voce di danno risarcibile, dovendo invece essere liquidate tra le spese di lite.

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Tribunale di Milano, sez. XIII, sentenza 22 ottobre 2015, n. 11826, Est. RotaAllorché la parte attrice, prima di azionare il giudizio, non abbia atteso la fine del procedimento di mediazione, nel liquidare le spese a carico del convenuto, soccombente virtuale, si dovrà aver riguardo unicamente alle voci afferenti la fase introduttiva del giudizio.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 12 novembre 2015, Est. VaccariSull’importo riconosciuto a titolo di compenso per la fase di merito, alla parte convenuta spetta anche il rimborso delle spese vive, tra cui rientrano quelle per l’avvio della mediazione.

Tribunale di Monza, sez. II, sentenza 17 dicembre 2015, n. 3103, Est. CaldaroniLe spese di causa seguono la soccombenza e devono liquidarsi, in base al D.M. n. 55/2014, anche con riguardo al contegno di totale noncuranza della parte che non abbia partecipato alla mediazione obbligatoria, nonostante la sua regolare convocazione.

Giudice di Pace di Buccino, sentenza 25 gennaio 2016, n. 29, Est. IzziLe spese di giudizio, che seguono la soccombenza, devono essere incrementate in considerazione dell’attività e degli esborsi sostenuti anche per la procedura di mediazione, trattandosi di attività avente autonoma rilevanza rispetto a quella difensiva.

Tribunale di Frosinone, sentenza 1 marzo 2016, n. 269, Est. MasoneTribunale di Mantova, sez. I, sentenza 4 aprile 2016, n. 429, Est. PagliucaTribunale di Milano, sez. VI, sentenza 22 aprile 2016, n. 5114, Est. MonteLe spese di lite, comprensive di quelle di mediazione, seguono la soccombenza.

Tribunale di Pisa, sentenza 1 marzo 2016, n. 2015, Est. De DuranteLe spese relative al procedimento di mediazione devono essere liquidate nell’ambito delle spese di lite.

Tribunale di Monza, sez. II, sentenza 8 marzo 2016, Est. GrecoIn caso di accoglimento, anche se parziale, delle domande azionate con l’atto di citazione, alla parte attrice spetta pure la refusione delle spese sostenute per il procedimento di mediazione ex D.Lgs. n. 28/2010 laddove la controparte – rimasta contumace in giudizio – non abbia fornito giustificazione alcuna per la mancata comparizione all’incontro col mediatore.

Tribunale di Pordenone, sentenza 24 marzo 2016, Est. CostaQuali poste di danno di natura strettamente patrimoniale, vanno altresì liquidate le spese sostenute per l’obbligatoria mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010.

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Tribunale di Bologna, sez. II, ordinanza 31 marzo 2016, Est. D’OraziIn caso di esito negativo del procedimento di mediazione delegata, in sede di liquidazione delle spese del giudizio si deve provvedere anche su spese e indennità del procedimento di mediazione, nonché sul compenso del difensore per l’assistenza prestata durante la procedura.

Tribunale di Reggio Emilia, sez. II, sentenza 7 aprile 2016, Est. BoiardiNon si possono rimborsare le spese di mediazione se non è prodotta in giudizio la notula relativa alle spese stesse.

Tribunale di Potenza, sentenza 15 aprile 2016, n. 532, Est. MiceliTra le spese di lite vanno ricomprese quelle relative alla mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010, disposta dal giudice in seguito al mutamento del rito locatizio.

Tribunale di Pesaro, sentenza 3 maggio 2016, n. 316, Est. FazziniAl convenuto, soccombente “virtuale”, va addebitato, oltre alle spese di lite, anche il compenso per l’attività di assistenza prestata nella fase di mediazione, ai sensi dell’art. 20 D.M. n. 55/2014, trattandosi di attività con autonoma rilevanza rispetto a quella di difesa svolta nel giudizio. Il relativo importo va determinato in misura pari al valore medio di liquidazione previsto per le prestazioni di assistenza stragiudiziale.

Tribunale di Treviso, sez. I, sentenza 11 maggio 2016, Est. NasiniIn punto spese di lite, il fatto che la parte attrice, nel corso del procedimento e, in particolare, a seguito della disposta CTU, abbia ridotto la propria pretesa non rileva laddove l’assicurazione convenuta non risulti aver offerto alcunché in via stragiudiziale, avendo, per contro, non solo negato l’indennizzabilità del sinistro, ma anche omesso di partecipare alla mediazione introdotta dagli attori ex D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Padova, sez. III, sentenza 6 maggio 2016, Est. BordonNon si può applicare l’art. 13, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 – a mente del quale quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché’ al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto – allorché non solo l’attore, ma nemmeno il convenuto ha accettato la proposta formulata dal mediatore, che avrebbe evitato la lite giudiziaria.

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3. Il procedimento di mediazione

3.1 In genere

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 22 novembre 2010, Est. MoriconiNell’ambito della mediazione delegata di cui all’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, al fine di giungere ad un accordo utile per entrambe le parti il mediatore potrà disporre CTU medica.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 20 giugno 2012, Est. BuffoneIl tempo di quattro mesi, previsto dal D.Lgs. n. 28/2010 come scadenza per la mediazione, è ovviamente un termine ordinatorio e soprattutto nella disponibilità delle parti in caso di mediazione ancora in corso, posto che la finalità della stessa – la foce conciliativa – è giustificativa dell’impegno di energie processuali. Infatti, se è vero che, in linea di principio il “tempo del processo” è sottratto alla disponibilità delle parti, è anche vero che, per il caso della mediazione, non si tratta di tempo inutilmente consumato, ma di energie temporali spese vuoi per l’interesse delle parti ad una composizione bonaria della lite, vuoi per l’interesse pubblico ad una deflazione del contenzioso.

Tribunale di Mantova, sez. I, ordinanza 25 giungo 2012, Est. VenturiniPoiché nell’ambito della procedura di mediazione non è obbligatoria l’assistenza tecnica di un difensore, non può ritenersi che le domande proposte in sede di mediazione debbano essere compiutamente ed esattamente formulate sotto il profilo giuridico, essendo sufficiente, come espressamente previsto dall’art. 4 D.Lgs. n. 28/2010, che l’istanza contenga l’indicazione dell’oggetto e delle ragioni della pretesa, al fine di consentire alle parti di raggiungere un accordo conciliativo in merito.

Tribunale di Vasto, ordinanza 5 luglio 2012, Est. PasqualeTribunale di Vasto, ordinanza 8 luglio 2012, Est. PasqualeNella scelta dell’organismo di mediazione, le parti devono rivolgersi ad enti il cui regolamento non contenga clausole limitative del potere, riconosciuto al mediatore dall’art. 11, 2° comma, del D.Lgs. n. 28/2010, di formulare una proposta di conciliazione quando l’accordo amichevole tra le parti non è raggiunto, in particolare restringendo detta facoltà del mediatore al solo caso in cui tutte le parti gliene facciano concorde richiesta. Tali previsioni regolamentari frustrano infatti lo spirito della norma – che è quello di stimolare le parti al raggiungimento di un accordo – e non consentono al giudice di fare applicazione delle disposizioni previste dall’art. 13 del citato decreto, in materia di spese processuali, così vanificandone la ratio ispiratrice, tesa a disincentivare rifiuti ingiustificati di proposte conciliative ragionevoli.

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Cassazione, sez. II, ordinanza 24 luglio 2012, n. 12938, Est. GiustiPonendosi per la prima volta la questione se il contenzioso civile nascente dalla violazione del termine ragionevole del processo rientri o meno nel campo di applicazione della mediazione finalizzata alla conciliazione, essendo indisponibile il diritto al termine ragionevole di durata del processo, considerata la sua particolare importanza, la Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Cassazione, sez. un., sentenza 22 luglio 2013, n. 17781, Est. ForteAnche se la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, di cui alla sentenza del 6 dicembre 2012 n. 272 della Corte Costituzionale, ha escluso la obbligatorietà della mediazione in ogni controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili e, quindi, anche se la mediazione non costituisce più condizione di proponibilità della domanda, resta fermo l’effetto dell’istanza di mediazione d’interruzione della prescrizione e di impedimento, per una sola volta, della decadenza dal diritto di agire per equa riparazione, essendo rimasta ferma l’applicazione dell’art. 5, 6° comma, D.Lgs. n. 28/2010, che non è stato dichiarato in contrasto con la carta costituzionale ed è coerente agli intenti deflattivi del contenzioso giudiziario della disciplina legale della mediazione stessa.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 6 febbraio 2014, Est. MoriconiIn tema di mediazione civile, il giudice, al fine di concludere in via stragiudiziale la vertenza, può procedere alla nomina di un CTU perché accerti il saldo tra l’effettiva debenza della somma che costituisce parametro per la valutazione – sia pure in termini di chances – del danno lamentato.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 17 marzo 2014, Est. MoriconiNon vi sono valide ragioni in punto di diritto per escludere la possibilità che anche in assenza (per mancanza di adesione e partecipazione) della parte convocata, possa essere disposta una consulenza da parte del mediatore, richiestone dal solo istante presente. Del resto, in termini di pura logica prima ancora che di stretto diritto, la mancata presenza della parte convocata non può di per sé costituire impedimento all’espletamento di un’attività espressamene prevista come fattibile in mediazione (sarebbe come dire, per rendere meglio l’idea e non per trasferire in mediazione norme processuali, che in presenza di contumacia del convenuto in causa non possa essere disposta una consulenza tecnica; oppure che, pur esso costituito, ma non presente alle operazioni peritali, il CTU non possa procedere). In presenza di un accertamento tecnico ben effettuato, da parte di un professionista iscritto nell’albo dei CTU del Tribunale, il mediatore e la parte presente possono studiare e porre in essere ulteriori attività dirette a riattivare il dialogo con la parte assente, ad esempio con l’invio alla medesima della relazione, con l’invito a esaminarne il contenuto e a partecipare ad un incontro, all’uopo

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fissato, per discutere se e quali possibilità possano trarsi da questo nuovo scenario. Come pure il mediatore, se richiesto, potrebbe formulare una proposta inviata alla parte assente, per quanto ne possa conseguire. Laddove poi che non si raggiunga l’accordo, nella causa che segua, la relazione dell’esperto potrà egualmente produrre delle utilità; in particolare, sussistendone i requisiti, il giudice potrà formulare una proposta ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c. In questo caso, per la natura (non decisionale) e lo scopo (finalizzato alla conciliazione) del provvedimento, l’utilizzo (della consulenza) potrà estendersi anche a soggetti che non abbiano partecipato alla mediazione per non essere stati convocati.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 3 aprile 2014, Est. MoriconiAnche in caso di mancata partecipazione del convenuto al procedimento di mediazione, l’assicurazione dello stesso ben può procedere sostanzialmente nella mediazione al fine di giungere ad un accordo con l’attore, purché non si verta in un ambito di sostanziale litisconsorzio necessario. Tale accordo (a due), infatti, sarebbe in termini di diritto perfettamente valido ed efficace fra le parti contraenti; nonché utile per il danneggiante non comparso in mediazione e conveniente per l’assicuratore comparso e conciliante, sempre che nell’accordo di mediazione l’attore della causa (e istante della mediazione) rinunci, a favore del convenuto, a qualsiasi pretesa economica ulteriore, esorbitante la somma ottenuta dall’assicurazione come da accordo conciliativo.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 10 arile 2014, Est. MoriconiAllorché non ricorra un’ipotesi di litisconsorzio necessario, la presenza di tutte le parti convocate in mediazione è utile, ma non indispensabile. Invero, una volta che fra la parte convenuta e le assicurazioni chiamate in causa sia stato raggiunto l’auspicato accordo, il giudice può provvedere a regolare autonomamente i rapporti fra il medesimo convenuto e quella fra le assicurazioni che dovesse non aderire all’invito o non partecipare all’accordo, che sia costituita o meno in giudizio.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 3 giugno 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. VI, ordinanza 1 novembre 2014, Est. RanieriTribunale di Roma, sez. VI, ordinanza 19–21 gennaio 2015, Est. RanieriLa legge sulla mediazione obbligatoria prevede la irrogazione di sanzioni economiche a favore dello Stato ed carico dell’una e dell’altra parte per eventuali comportamenti non leali e non probi tenuti in sede di mediazione.

Tribunale di Roma, sez. VIII, sentenza 22 ottobre 2014, Est. BuscemaIl procedimento di mediazione disciplinato dal D.Lgs. n. 28/2010, così come novellato dal D.L. n. 29/2013 (convertito dalla L. n. 98/2013), ha natura sostanziale, perché destinato a favorire la conclusione di un vero e proprio accordo negoziale tra i potenziali

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litiganti, ancorché veicolato attraverso un procedimento che tende a favorirlo. Il contesto dove avviene l’accordo ha una rilevanza solo formale, ma non influisce in alcun modo sulla formazione della volontà pattizia, essendo libere le parti di accordarsi o meno, senza alcun potere impositivo (o decisorio) dell’organismo di mediazione.Trattandosi di un vero e proprio accordo concluso tra le parti va sottolineato come esso altro non sia, nella maggior parte dei casi, che una vera e propria transazione per così dire “assistita”, ossia garantita dalla presenza dei legali delle parti e da un soggetto terzo, per l’appunto l’organismo di mediazione, il cui ruolo è quello di mediare le posizioni conflittuali per cercare un punto di raccordo soddisfacente per tutti i contendenti, anche attraverso la formulazione di proposte di soluzione della lite.Non vi è motivo ragionevole per escludere che l’accordo in mediazione possa essere assoggettato, secondo la disciplina generale del contratto, ad una condizione sospensiva ai sensi dell’art. 1353 c.c., non ravvisandosi alcuna preclusione o elemento ostativo nei riguardi del contratto di transazione. Né rileva che l’art. 6, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 prescriva che la procedura di mediazione abbia una durata non superiore a 4 mesi. Infatti, tale disposizione è strettamente connessa alla condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria, involgendo l’operatività del termine in questione solo gli aspetti procedurali dell’istituto e non, invece, gli aspetti sostanziali dell’accordo, i cui effetti siano stati pattiziamente sottoposti a condizione sospensiva senza fissazione di un termine per il verificarsi della condizione.

Tribunale di Bologna, sez. III, ordinanza 6 novembre 2014, Est. GiannitiNelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, ai sensi dell’art. 8, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010 (come modificato dalla L. n. 98/2013) è possibile la co–mediazione. Le parti possono cioè segnalare al mediatore un professionista di comune fiducia, iscritto negli albi dei consulenti presso il Tribunale, di cui il mediatore stesso può avvalersi al fine di rendere ciascuna parte maggiormente consapevole dei dati obiettivi; nonché al fine di elaborare la proposta che effettuerà al termine della mediazione delegata, nel caso in cui le parti glielo richiedano.

Giudice di Pace di Lecce, sentenza 6 novembre 2014, Est. PaparellaAllorché una parte non avanzi un’istanza di mediazione immediata, bensì un’istanza di mediazione volta all’accertamento del proprio diritto al fine di poter ottenere un risultato positivo dalla mediazione e, di conseguenza, nel verbale di mediazione di primo incontro il mediatore non formuli una proposta di accordo, ma, in aderenza alla richiesta dell’istante, una proposta di accertamento dell’istanza mediante “la nomina di un CTU finalizzata ad accertare con esattezza le richieste di parte istante” (così come gli è consentito dall’art. 8, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010), tale proposta non costituisce proposta di accordo rifiutabile ex art. 17, comma 5 ter, D.Lgs. n. 28/2010, bensì proposta di accertamento della fondatezza della domanda ex art. 8, 4° comma, stesso decreto. Conseguentemente, in tali casi il rifiuto della controparte

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a proseguire nella mediazione non rientra nell’ipotesi di mancato accordo al primo incontro, rifiutabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 5, comma 2 bis, e 17, comma 5 ter, D.Lgs. n. 28/2010, né rientra tra le ipotesi di ingiustificato motivo a partecipare alla mediazione, quanto piuttosto nel porre in atto un arzigogolato sistema che si colloca nella zona d’ombra del D.Lgs. n. 28/2010 compresa tra la partecipazione alla mediazione per evitare la dichiarazione di “ingiustificato motivo a partecipare alla mediazione stessa” e la mancata accettazione della proposta di accordo al primo incontro per evitare il pagamento delle spese della mediazione. Ebbene, poiché tale terza via non è contemplata dalla normativa della mediazione, occorre dare atto che in tali situazioni l’attività di mediazione sia stata comunque avviata e svolta nel corso del primo incontro, ma interrotta ingiustificatamente dalla controparte.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 19 gennaio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 26 gennaio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 9 febbraio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 10 febbraio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 16 febbraio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 28 febbraio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 2 marzo 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 9 marzo, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 16 marzo, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 7 aprile 2015, Est. MarzocchiIl mediatore ben potrebbe estendere l’oggetto della trattativa (rectius: della mediazione) ai crediti maturati anche prima o dopo l’instaurazione della lite e non fatti valere nel processo in cui si è disposta la mediazione delegata, così essendo evidente che l’eventuale soluzione conciliativa potrebbe definire il conflitto tra le parti nel suo complesso – includendo persino nell’accordo soggetti terzi che non sono parti nel giudizio – mentre la sentenza potrebbe definire, tout court, solo l’oggetto della lite instaurata davanti al giudice.

Tribunale di Parma, sez. I, ordinanza 13 marzo 2015, Est. ChiariLa circostanza che la perizia disposta dal mediatore sia o meno rituale non inficia la attendibilità dell’esame condotto dal consulente tecnico, il quale è stato a ciò incaricato non dalla parte, ma da un terzo estraneo alla lite, quale è l’organismo di mediazione.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 9 aprile 2015, Est. MoriconiLa possibilità di dare corso alla mediazione anche in assenza della parte convocata, con modalità pur sempre finalizzate alla ricerca di un accordo, superando l’empasse determinata da tale assenza, non può che essere salutata positivamente, perché, come

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l’esperienza fin qui maturata attesta, è tutt’altro che rara la possibilità che un percorso, pur diverso da quello usuale, possa tuttavia conseguire, attraverso il successivo interessamento della parte originariamente assente, la ripresa del dialogo fra le parti ed il conseguimento dell’accordo. Modi efficaci, in questo particolare scenario, per rafforzare tale possibilità implicano la proiezione esterna di alcuni contenuti della mediazione, attraverso ad esempio la formulazione (e comunicazione) della proposta della parte presente ovvero di quella, formale, del mediatore, alla parte assente.La mediazione può procedere purché vi sia l’interesse e la disponibilità delle parti, non necessariamente quelle ordinariamente previste, essendo sufficiente che almeno una delle parti dichiari di avere tale interesse alla prosecuzione.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 17 giugno 2015, Est. MarzocchiL’eventuale soluzione conciliativa raggiunta in sede di mediazione ben può definire l’oggetto del conflitto tra le parti, intese in senso lato come centri di interesse, che non necessariamente coincide con il conflitto tra le parti processuali e definire l’oggetto della mediazione, che non necessariamente coincide con l’oggetto del giudizio.

Tribunale di Vasto, ordinanza 23 giugno 2015, Est. PasqualeNella scelta dell’organismo di mediazione, le parti devono rivolgersi ad enti il cui regolamento non contenga clausole limitative del potere, riconosciuto al mediatore dall’art. 11, 2° comma, del D.Lgs. n. 28/2010, di formulare una proposta di conciliazione quando l’accordo amichevole tra le parti non è raggiunto, in particolare restringendo detta facoltà del mediatore al solo caso in cui tutte le parti gliene facciano concorde richiesta. Tali previsioni regolamentari frustrano infatti lo spirito della norma – che è quello di stimolare le parti al raggiungimento di un accordo – e non consentono al giudice di fare applicazione delle disposizioni previste dall’art. 13 del citato decreto, in materia di spese processuali, così vanificandone la ratio ispiratrice, tesa a disincentivare rifiuti ingiustificati di proposte conciliative ragionevoli. La formulazione di una proposta di conciliazione da parte del mediatore – tutte le volte in cui le parti non abbiano raggiunto un accordo amichevole ed anche in assenza di una richiesta congiunta delle stesse – costituisce un passaggio fondamentale della procedura di mediazione, vieppiù valorizzato dalle disposizioni del D.L. n. 83/2012, il quale – modificando l’art. 2 della L. n. 89/2001 in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo – ha introdotto il comma 2 quinquies, a norma del quale non è riconosciuto alcun indennizzo “nel caso di cui all’articolo 13, primo comma, primo periodo, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28”, con ciò confermando la tendenza del legislatore ad introdurre nell’ordinamento meccanismi dissuasivi di comportamenti processuali ostinatamente protesi alla coltivazione della soluzione giudiziale della controversia, la cui individuazione, però, presuppone necessariamente la previa formulazione (o, comunque, la libera formulabilità) di una proposta conciliativa da parte del mediatore ed il suo raffronto ex post con il provvedimento giudiziale di definizione della lite.

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Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 16 luglio 2015, Est. MoriconiAnche nel caso di mancato accordo, la consulenza tecnica disposta in mediazione, ed in particolare la relazione dell’esperto elaborata e depositata in quel procedimento, non è un atto privo di utilità successive, potendo essere prodotto ed utilizzato nella causa che segue. I costi della consulenza in mediazione, che le parti sopportano in pari misura, anche tenuto conto delle modeste indennità di mediazione previste dalle norme, sono senz’altro più vantaggiosi (e prevedibili, attesa la possibilità di previa interlocuzione con l’organismo, di cui è impensabile una corrispondente in sede giudiziale) rispetto a quelli della causa. Il consulente in mediazione, compensato in ogni caso a forfait per il suo lavoro, secondo le usuali convenzioni che i migliori organismi di mediazione intrattengono con i consulenti, può operare realmente ai fini conciliativi, sviluppando un’utile sinergia con il mediatore.Il mediatore, capace e preparato, deve saper orientare la (sua) scelta e propiziare l’attività del consulente nominato (fra i CTU del Tribunale) nell’alveo di un percorso rispettoso dei fondamentali principi che devono essere considerati dal consulente anche in ambito non giudiziario, qual è la mediazione, ed in particolare il rispetto del contraddittorio; l’astensione dall’acquisizione in mancanza del consenso delle dichiarazioni delle parti; il contenimento dell’attività di consulenza nel perimetro dei quesiti che le parti di comune accordo abbiano inteso demandargli, etc.

Tribunale di Palermo, sez. I, ordinanza 29 luglio 2015, Est. RuvoloL’invio da parte del chiamato di una non contemplata dichiarazione di mancata adesione alla procedura di mediazione non comporta l’aborto della procedura stessa. L’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 prevede infatti un’eventuale mancata comparizione, ma non una mancata adesione alla procedura di mediazione. Va quindi lasciato fermo l’incontro di mediazione già fissato anche in caso di ricezione da parte dell’organismo di mediazione di comunicazioni di mancata adesione.

Tribunale di Siena, ordinanza 4 agosto 2015, Est. CaramellinoIl termine di cui all’art. 6 D.Lgs. n. 28/2010, pari a 3 mesi, è espressamente esentato dalla sospensione feriale dei termini e decorre dalla scadenza del termine di 15 giorni, per il quale invece la sospensione feriale dei termini non riceve deroghe.

Tribunale di Pavia, sez. III, sentenza 14 ottobre 2015, Est. MarzocchiData l’informalità della procedura di mediazione è evidente come l’oggetto della stessa possa essere ricavato non solo dal modulo di avvio, ma anche aliunde, ad esempio dai documenti allegati o, ancora e soprattutto, dall’esposizione orale delle parti durante l’incontro di mediazione, sempre che la discussione – anche in quella procedura – non si dilunghi e si perda in questioni preliminari, togliendo così alle parti un’opportunità di dialogo che potrebbe non ripresentarsi più.

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Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 22 dicembre 2015, Est. MarianiLaddove la controversia investa questioni puramente tecnico/contabili, il giudice può invitare il mediatore designato a nominare, eventualmente, un professionista iscritto all’albo dei CTU del Tribunale affinché questi rediga un elaborato peritale nel contraddittorio con i CTP su cui formulare la proposta, ai sensi dell’art. 11 D.Lgs. n. 28/2010. In caso di effettivo svolgimento della mediazione che non si concluda con il raggiungimento di un accordo amichevole, il mediatore deve comunque provvedere alla formulazione di una proposta di conciliazione, anche in assenza di una concorde richiesta delle parti.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 25 gennaio 2016, Est. MoriconiIl mediatore deve trascrivere ogni circostanza – quand’anche consistente in dichiarazioni delle parti – utile a consentire (al giudice) le valutazioni di competenza, altrimenti impossibili, attinenti alla partecipazione (o meno) delle parti al procedimento di mediazione ed allo svolgimento dello stesso, come pure le circostanze che attengono al primo incontro informativo. In relazione al quale la parte che rifiuta di proseguire può esporne la ragione chiedendo che venga trascritta, con il correlativo obbligo del mediatore di verbalizzarla.Il mediatore non è né un collaboratore del giudice né un suo ausiliario, ma lo schema della legge prevede, in sommo grado nella mediazione demandata, una serie di link che non possono essere ignorati fra il procedimento di mediazione e la causa. Una corretta verbalizzazione da parte del mediatore delle circostanze che attengono a segmenti del procedimento di mediazione che, in vario modo, rilevano e si riverberano nella causa, si appalesa quindi più che utile, doverosa e necessaria. Ed il giudice svolge a tale fine una fondamentale attività didattica e di raccordo, nella grande varietà di condotte, non sempre approvabili, che emergono dall’esame dei verbali degli organismi di mediazione.

Tribunale di Udine, sentenza 27 gennaio 2016, n. 94, Est. GigantescoPer soddisfare la condizione di procedibilità, il procedimento di mediazione deve essere concluso antecedentemente alla prima udienza di comparizione e trattazione. Anche qualora il procedimento sia stato attivato dopo la notifica dell’atto di citazione, ma la procedura fosse stata già comunque esaurita, la condizione sarebbe rispettata.

Corte d’appello di Torino, sez. IV, verbale 28 gennaio 2016, Pres. Barelli InnocentiIl mediatore può formulare la proposta di mediazione.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 1 febbraio 2016, Est. MoriconiIl procedimento di mediazione, caratterizzato dalla informalità (cfr. art. 3, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010), ben può essere svolto anche con parti ulteriori rispetto a quelle

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della causa alla quale pertiene il provvedimento di invio in mediazione demandata, fermo restando che nessuna conseguenza negativa può derivare a tali soggetti nel caso di mancata partecipazione.

Tribunale di Firenze, sez. speciale impresa, ordinanza 16 febbraio 2016, Est. SciontiAi sensi dell’art. 8, commi 1 e 4, D.Lgs. n. 28/2010, nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo di mediazione può nominare uno o più mediatori ausiliari e lo stesso mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i Tribunali.Ai sensi dell’art. 11, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può comunque formulare una proposta di conciliazione indipendentemente dalla concorde richiesta delle parti, si che si rende attuale il procedimento di cui all’art. 11, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, in riferimento alla conclusiva risposta di accettazione/rifiuto delle parti o anche di una sola di esse.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 10 marzo 2016, n. 328, Est. BenattiAppare censurabile la condotta dell’organismo e del suo mediatore – con conseguente necessità di trasmettere copia della sentenza al Responsabile per la tenuta del registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione, da individuarsi ex art. 3, 2° comma, D.M. n. 180/2010 nel Direttore generale per la giustizia civile del Ministero della Giustizia, per quanto di eventuale competenza ai sensi dell’art. 10 del medesimo D.M. – allorché nel verbale: vi sia un riferimento del tutto generico al soggetto convocato; l’oggetto della controversia sia del tutto generico; non sia indicato il numero del procedimento di mediazione, ma solo un protocollo che non si sa se riferito al verbale stesso o all’istanza di mediazione i cui riferimenti sono del tutto omessi; non sia indicato il mezzo con cui sarebbero state convocate le parti, non comprendendosi quindi se e a chi sia stata notificata la richiesta e se sia stato rispettato il termine ex art. 8, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, anche per il mancato riferimento all’istanza; sia quindi del tutto gratuita l’affermazione di mancata adesione di parte convenuta desunta dal mero silenzio; sia certificata la competenza territoriale di un organismo di mediazione sito in un luogo posto al di fuori della competenza territoriale del Tribunale competente sulla base di un accordo in deroga tra l’organismo di mediazione ed un terzo non meglio identificato.

Tribunale di Frosinone, sentenza 22 marzo 2016, Est. Di NicolaAi sensi dell’art. 8, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 la domanda e la data del primo incontro di mediazione sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante In questa prospettiva, la comunicazione inoltrata a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno è mezzo idoneo a portare a conoscenza della controparte l’avvio del procedimento, non

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rilevando eventuali difficoltà soggettive e oggettive della controparte stessa che di per sé non risultano obiettivamente e astrattamente ostative all’idoneità del mezzo di comunicazione utilizzato ad assolvere al proprio scopo e la cui conoscenza importerebbe un aggravio a carico della parte attrice non prescritto e comunque ultroneo rispetto all’ordinaria diligenza esigibile. Tali circostanze, se del caso, potranno al massimo rilevare ai fini della valutazione, da parte del giudicante, circa la sussistenza di ragionevoli giustificazioni per l’assenza della parte nel procedimento di mediazione e in ordine alla possibilità di trarre da tale assenza argomento di prova nel successivo giudizio secondo il disposto dell’art. 116, 2° comma, c.p.c.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 4 aprile 2016, Est. Moriconi In sede di mediazione, al fine di facilitare il raggiungimento di un accordo, le parti ben possono richiedere al mediatore la nomina di un consulente per l’espletamento di una CTM (consulenza tecnica in mediazione).

3.2 Le vicende soggettive anomale

Tribunale di Varese, uff. vol. giur., decreto 13 febbraio 2012, Est. BuffoneAllorché sia convenuto dinanzi ai mediatori un interdetto, è il tutore a dover prendere parte al procedimento, richiedendosi per la valida trattazione del processo di mediazione la piena capacità di colui che vi partecipa. Sulla possibilità, però, di assumere decisioni nel corso del processo, sussiste il limite degli atti dispositivi di cui all’art. 375 c.c., sicché il tutore non può, senza autorizzazione del Tribunale, procedere a transazioni.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 7 dicembre 2015, Est. MoriconiLa condizione di contumace del convenuto non è di ostacolo all’introduzione di un procedimento di mediazione demandata, non potendosi escludere a priori che il convenuto, rimasto contumace nella causa, possa comparire e partecipare alla mediazione. In caso contrario, non si tratterà comunque di attività, di oneri inutili e di tempo sprecato, posto che in luogo dell’attività istruttoria, il giudice, secondo un modello ormai sperimentato, potrà utilizzare lo strumento di cui all’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010. Laddove il convenuto contumace non compaia neppure in mediazione, non per questo la stessa non potrà aver corso. Il mediatore, infatti, può, se del caso ed in conformità a quanto previsto dal regolamento dell’organismo adito, formulare una proposta ai sensi dell’art. 11 D.Lgs. n. 28/2010, che provvederà poi a comunicare al convenuto anche nel caso in cui questi rimanga assente.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 15 febbraio 2016, Est. MoriconiNel caso di decesso nel corso del procedimento di mediazione (ovvero anche prima che esso sia iniziato, nello spazio intercorrente fra il provvedimento di invio in mediazione del giudice e la comparizione davanti al mediatore) di una delle parti,

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il mediatore deve dichiarare il non luogo a procedere dell’esperimento, senza che possa in contrario valere la diversa volontà delle parti presenti, neppure se fra esse vi sia l’erede. La ragione di ciò è evidente: nel caso di mancato accordo, si verificherebbe infatti uno sfasamento soggettivo rispetto alla procedura di mediazione esperita con soggetti che ancora non facevano parte della causa, tali essendo quelli che in essa compaiono solo dopo la riassunzione della causa stessa; con tutte le possibili problematiche ed eccezioni annesse e connesse.

3.3 La competenza territoriale

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 6 luglio 2011, Est. BuffoneTribunale di Varese, sez. I, ordinanza 8 luglio 2011, Est. BuffoneIl foro di mediazione deve essere scelto dai litiganti mediante presentazione di una istanza comune; in difetto, la mediazione dovrà tenersi presso l’Organismo adito per primo. Là dove la mediazione sia su invito del giudice e non si arrivi ad una istanza presentata in modo congiunto (e quindi con completa libertà di scelta proprio poiché condivisa dai litiganti), è conclusione logica quella per cui il tentativo debba tenersi nell’ambito del circondario, anche perché, altrimenti, gli stretti tempi a disposizione (4 mesi) vanificherebbero il procedimento conciliativo. Vi è, quindi, che una interpretazione orientata alla salvaguardia della funzionalità dell’istituto impone, almeno per i Fori inderogabili e almeno per il caso della mediazione su invito del giudice, che il magistrato possa indicare l’ambito territoriale entro cui svolgere la mediazione.

Tribunale di Milano, sez. IX, ordinanza 29 ottobre 2013, Est. BuffoneAnche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice è vincolante la previsione di cui al novellato art. 4, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010: la domanda di mediazione, pertanto, va presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. Ovviamente, trattandosi di norme legate alla mera competenza territoriale, è chiaro che le parti – se tutte d’accordo – possono porvi deroga rivolgendosi, con domanda congiunta, ad altro organismo scelto di comune accordo. L’onere posto a carico di una parte – di attivarsi per introdurre il procedimento di mediazione – non esclude che la domanda possa essere presentata anche dalla controparte; in quel caso, al cospetto eventuale di più domande di mediazione, la mediazione deve essere svolta dinanzi all’organismo adito per primo, purché territorialmente competente. La domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi all’organismo che non ha competenza territoriale non produce effetti.

Tribunale di Verona, ordinanza 27 gennaio 2014, Est. VaccariTribunale di Verona, ordinanza 15 settembre 2014, Est. VaccariL’art. 84, 1° comma, lett. a), D.L. n. 69/2013, integrando il 1° comma dell’art. 4 D.Lgs. n. 28/2010, ha introdotto un criterio determinativo della competenza per territorio

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dell’organismo di mediazione prevedendo che “la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia”. Alla luce dei chiarimenti forniti dal Ministero della giustizia con la circolare 27 novembre 2013 è poi sufficiente che nel circondario del Tribunale territorialmente competente per la controversia si trovi una sede secondaria dell’organismo di mediazione, regolarmente comunicata e iscritta presso il Dicastero della giustizia, perché il procedimento possa considerarsi correttamente radicato presso di essa. L’art. 4, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non attribuisce rilievo, ai fini della determinazione della competenza per territorio dell’organismo di mediazione, a criteri diversi da quelli contenuti nella sezione III del titolo I del c.p.c., cosicché non rilevano, al fine suddetto, eventi processuali come la litispendenza o continenza.

Tribunale di Monza, ordinanza 17 dicembre 2014, Est. GnaniNel caso in cui il tentativo di mediazione obbligatoria sia iniziato dinnanzi ad un organismo incompetente territorialmente, il giudice deve concedere un successivo ulteriore termine per l’avvio del tentativo dinnanzi all’organismo competente, non ostandovi l’inutile decorso, nel frattempo, del termine trimestrale di cui all’art. 6 D.Lgs. n. 28/2010. L’improcedibilità della domanda, infatti, può verificarsi solo quando la parte sia rimasta del tutto inerte, manifestando un comportamento concludente contrario al sub–procedimento di mediazione, mentre nel caso in cui l’istanza sia stata presentata – sebbene dinnanzi a organismo incompetente – non vi è ragione di sanzionare la parte – comunque intenzionata ad esperire la mediazione – con la declaratoria di improcedibilità. Del resto, il D.Lgs. n. 28/2010 è tutto ispirato alla possibilità di svolgimento effettivo della mediazione e non ad una pronuncia di rito del giudice (di improcedibilità).

Tribunale di Bologna, sez. III, sentenza 28 gennaio 2015, Est. IovinoL’art. 4 D.Lgs. n. 28/2010 impone che la domanda di mediazione sia presentata presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente. Pertanto, la domanda di mediazione proposta innanzi ad organismo che non ha sede nel luogo del giudice territorialmente competente va considerata tamquam non esset, con conseguente pronuncia di improcedibilità della lite.

Tribunale di Prato, sentenza 18 giugno 2015, n. 722, Est. BrogiSoltanto in seguito all’entrata in vigore del D.L. n. 69/2013 si è introdotta la norma per cui le parti possono presentare istanza solo presso organismi di mediazione presenti nel luogo del giudice territorialmente competente per l’eventuale causa. Questa, in realtà, è una restrizione alla facoltà di poter mediare “senza limitazioni territoriali” prevista originariamente dal legislatore nel 2010, norma che, nella sua ratio, voleva essere di favore al taglio dei costi e delle spese di viaggio per le parti aderenti alla mediazione.

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Cassazione, sez. VI, ordinanza 2 settembre 2015, n. 1748, Est. FrascaLa regola di corrispondenza tra luogo dell’organismo di conciliazione e luogo del giudice competente, prevista all’art. 4 D.Lgs. n. 28/2010, deve essere rovesciata, poiché – anche secondo il tenore letterale della norma, che collega la localizzazione dell’organismo amministrativo al foro della controversia, non viceversa, e che dunque suppone come operazione preliminare la determinazione del giudice, da cui quella dell’organismo deriva – altrimenti si verificherebbe una distorsione delle regole processuali sulla competenza, sostanzialmente abrogate nelle materie soggette a mediazione e sostituite dal solo criterio di determinazione dell’organismo di conciliazione. La generica previsione della corrispondenza tra luogo di organismo di mediazione e giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, indicata nell’art. 4 D.Lgs. n. 28/2010 per le cause non a mediazione obbligatoria, non può trovare applicazione nelle controversie soggette al tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Comitato regionale per le comunicazioni (Co.re.com.). Tali controversie, infatti, essendo regolate dalla L. n. 249/1997 secondo un modulo di conciliazione preventiva obbligatorio, presuppongono che sussista il rapporto di condizionamento tra previo esperimento della fase pre–giudiziale e causa, rapporto che non è predicabile in base all’art.2 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 3 novembre 2015, n. 1049, Est. FioroniAi sensi dell’art. 4, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 (come modificato dal D.L. n. 69/2013, conv. in L. n. 98/2013), la domanda di mediazione va presentata davanti ad uno degli organismi che si trovano nel circondario dell’ufficio giudiziario competente per la controversia. Pertanto, al fine di determinare la competenza dell’organismo di mediazione, si deve prima identificare il giudice competente secondo le norme del codice di rito e, quindi, fare riferimento all’ambito di competenza territoriale previsto per gli uffici giudiziari. Né rileva che lo svolgimento della mediazione avvenga con la modalità della conferenza telefonica, atteso che la norma fa riferimento al luogo del deposito dell’istanza di mediazione. La domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi all’organismo che non ha competenza territoriale non produce effetti e pertanto la stessa deve essere considerata come non espletata, con le conseguenze previste dalla legge. Laddove il Tribunale abbia disposto l’espletamento del procedimento di mediazione e le parti abbiano instaurato lo stesso avanti ad un organismo territorialmente incompetente, è precluso al giudice assegnare alle parti un nuovo termine per la presentazione della domanda di mediazione presso un organismo competente, non prevedendo il D.Lgs. n. 28/2010 la possibilità di concedere alla parte un nuovo termine, ovvero di disporre la riassunzione del procedimento davanti all’organismo competente.La competenza del mediatore è derogabile ogniqualvolta lo sarebbe quella del giudice, dovendosi rilevare che, trattandosi di norme legate alla mera competenza

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territoriale, le parti – se tutte d’accordo – possono porvi deroga rivolgendosi, con domanda congiunta, ad altro organismo scelto di comune accordo.

Tribunale di Milano, sez. I, sentenza 26 febbraio 2016L’art. 4 D.Lgs. n. 28/2010 pone una corrispondenza tra luogo dell’organismo di mediazione e luogo del giudice competente, nel senso di collegare la localizzazione dell’organismo amministrativo al foro della controversia e non viceversa. Il meccanismo legislativo postula dunque che sia prima individuato il foro giudiziale, secondo le regole processuali sulla competenza, e che quindi sia individuato l’organismo cui accedere in fase conciliativa. La previsione di obbligatorietà del procedimento preventivo di mediazione risponde ad una finalità deflattiva: è con essa coerente la indicazione che l’organismo di mediazione debba aver sede “nel luogo del giudice competente per la controversia”, riportandosi quindi ai principi che determinano la competenza e che, sotto il profilo territoriale, individuano in via principale il luogo di residenza/domicilio/sede del convenuto, sì da consentirne la sua effettiva partecipazione senza oneri eccessivi. In questa prospettiva, l’instaurazione del procedimento in luogo diverso (arbitrariamente scelto da chi intenda promuovere l’azione) anziché favorire l’incontro preventivo delle parti al fine di addivenire ad un accordo, può porsi come ostacolo, così vanificando sin dall’origine lo scopo della mediazione, sostanzialmente privando di utilità e riducendo ad una mera formalità il procedimento così introdotto. Ne consegue che il preventivo esperimento della mediazione presso la sede di un organismo in luogo diverso da quello del giudice competente per la controversia, non produce effetti e non è idoneo a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda. Non costituisce valida ragione per ritenere efficacemente svolta la mediazione presso un organismo diverso da quello territorialmente competente la possibilità di partecipare al procedimento anche per via telematica, possibilità da ritenersi comunque rimessa alla volontà di chi è chiamato e non strumentalmente utilizzabile da chi introduce il procedimento per derogare al disposto dell’art. 4 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Napoli Nord, art. territoriale di Aversa, sentenza 14 marzo 2016, Est. PizziAnche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice è vincolante la previsione di cui al novellato art. 4, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010, per cui la domanda di mediazione va presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. Ovviamente, trattandosi di norme legate alla mera competenza territoriale, è chiaro che le parti – se tutte d’accordo – possono porvi deroga rivolgendosi, con domanda congiunta, ad altro organismo scelto di comune accordo. Ove tale accordo non vi sia stato, e la domanda di mediazione sia stata presentata unilateralmente dinanzi ad un organismo che non aveva competenza territoriale, la stessa non può invece produrre effetti.

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Né può rilevare che, successivamente, sia stata presentata un’altra domanda di mediazione ad un organismo rientrante nella competenza territoriale del giudice adito, posto che il termine di quindici giorni per la presentazione della istanza ha carattere di perentorietà.

3.4 Il compenso di avvocati e mediatori

Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, parere 18 gennaio 2013, n. 161, Est. Chieppa(Schema di decreto ministeriale di modifica del decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140)In caso di assistenza stragiudiziale nel procedimento di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010, il possibile aumento del compenso può essere previsto “tenuto conto dell’esito del procedimento e dell’attività svolta dall’avvocato al fine di favorire il buon esito del procedimento”. In tal modo, si premia non l’assistenza ad una qualsiasi attività di mediazione, ma l’ausilio ad una mediazione coronata da buon esito, o comunque svolta dal professionista con proposte idonee a favorire il buon esito. In tale ottica, potrebbe essere prevista pure una diminuzione del compenso, in caso di una assistenza nel procedimento di mediazione non rispondente a tali principi, anche con riguardo alla mancata accettazione di proposte, poi risultate coerenti con l’esito del giudizio.

Giudice di Pace di Lecce, sentenza 28 novembre 2014, Est. CosiNon è applicabile l’art. 17, comma 5 ter, D.Lgs. n. 28/2010 allorché l’attività della parte non si esaurisca al primo incontro programmatico, bensì, formulata la proposta, al secondo incontro, dando definitivamente atto che non vi è alcuna volontà di aderire alla proposta stessa. Ai fini dell’applicabilità della norma in questione, infatti, è necessario che la parte rifiuti la proposta avanzata dal mediatore e chieda allo stesso di redigere apposito verbale di mancato accordo con ogni conseguenza di legge, diversamente maturando il diritto al compenso del mediatore. Né è previsto dal D.Lgs. n. 28/2010 la possibilità di porre in essere un comportamento differente rispetto alla partecipazione alla mediazione, rifiuto della proposta di mediazione o inizio dell’attività di mediazione stessa con la formulazione della proposta da parte del mediatore che ne ha facoltà per legge.

Tribunale di Firenze, sez. II, decreto 13 gennaio 2015, Est. BreggiaL’art. 75 D.P.R. n. 115/2020, secondo cui l’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprende la fase della mediazione obbligatoria pre–processuale anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal processo. Si tratta infatti di una procedura strettamente connessa al processo, dal momento che condiziona la possibilità di avviarlo (o proseguirlo, per la mediazione demandata dal giudice); d’altronde nel caso di successo della mediazione, si realizza il

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risultato migliore non solo per le parti, ma anche per lo Stato che non deve sostenere anche le spese del giudizio. Tale conclusione inoltre è conforme alla direttiva europea sul Legal Aid ed è costituzionalmente orientata (art. 3 Cost.), perché sarebbe irragionevole prevedere il sostegno dello Stato per i casi di mediazione non conclusa con accordo e seguita da processo e negarla per i casi di mediazione, condizione di procedibilità, non seguita dal processo per l’esito positivo raggiunto. La garanzia costituzionale del diritto di difesa inviolabile “in ogni stato e grado” (art. 24 cost.), per essere effettiva, deve contemplare anche la fase che, pur concernendo di per sé attività non giurisdizionale per la soluzione dei conflitti, è così innestata nella giurisdizione da condizionarne le vicende: “in ogni stato” è dunque espressione che ricomprende lo stato pre–processuale o endo–processuale che in modo obbligatorio deve essere attraversato dalle parti perché la giurisdizione possa regolarmente svolgersi. Per assicurare “ai non abbienti […] i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione”, è indispensabile riconoscere a carico dello Stato anche il compenso del legale nella fase mediativa che condiziona necessariamente l’avvio del processo o la sua prosecuzione.

Consiglio di Stato, sez. IV, ordinanza 22 aprile 2015, Est. GrecoL’uso del termine “compenso” utilizzata nel comma 5 ter dell’art. 17 D.Lgs. n. 28/2010 (introdotto dalla “novella” del 2013) è manifestamente generico e improprio, non trovando detta terminologia riscontro in alcuna altra parte della normativa primaria e secondaria de qua, nella quale si parla invece di “indennità di mediazione”, che a sua volta si compone di “spese di avvio” e “spese di mediazione” (art. 16, D.Lgs. n. 28/2010). Tanto premesso, nulla quaestio essendovi per le spese di mediazione, nelle quali è ricompreso “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione” (art. 16, 10° comma), il problema si pone per le spese di avvio – che a tenore del 2° comma dell’art. 16 comprendono, a loro volta, da un lato le “spese vive documentate” e dall’altro le spese generali sostenute dall’organismo di mediazione – le quali effettivamente non appaiono prima facie riconducibili alla nozione di “compenso” di cui alla disposizione citata. In particolare, ciò è di palmare evidenza quanto alle spese vive documentate, ma vale anche per le residue spese di avvio, che sono quantificate in misura forfettaria e configurate quale onere connesso all’accesso a un servizio obbligatorio ex lege per tutti i consociati che intendano accedere alla giustizia in determinate materie, come confermato dal riconoscimento in capo alle parti, ex art. 20 D.Lgs. n. 28/2010, di un credito di imposta commisurato all’entità della somma versata e dovuto – ancorché in misura ridotta – anche in caso di esito negativo del procedimento di mediazione.

Tribunale di Firenze, sez. III, ordinanza 7 maggio 2015, Est. GhelardiniAi sensi dell’art. 17, comma 5 ter, D.Lgs. n. 28/2010, “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo

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di mediazione”. Di conseguenza, è illegittimo il comportamento dell’Organismo di mediazione nella misura in cui condizioni l’esperimento della mediazione al previo pagamento dei relativi oneri.

Tribunale di Verona, sez. III, sentenza 29 ottobre 2015, Est. VaccariAl difensore spetta il compenso per l’attività di assistenza prestata nella fase di mediazione, ai sensi dell’art. 20 D.M. n. 55/2014, trattandosi di attività con autonoma rilevanza rispetto a quella di difesa svolta nel giudizio ed il relativo importo va determinato in misura pari al valore medio di liquidazione previsto per le prestazioni di assistenza stragiudiziale.

Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 17 novembre 2015, n. 5230, Est. GrecoLe spese di mediazione, comprendendo anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione, integrano certamente il nucleo essenziale dell’indennità di mediazione e di queste, in applicazione dell’art. 17, comma 5 ter, D.Lgs. n. 28/2010, non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro davanti al mediatore. Diverse considerazioni vanno invece svolte per le spese di avvio, le quali, quantificate dal legislatore in modo fisso e forfettario (e, quindi, sganciato da ogni considerazione dell’entità del servizio effettivamente prestato dall’organismo di mediazione), vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie. In altri termini, posto che il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010, e dal momento che tale fase il legislatore ha inteso configurare come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della mediazione, ne discende la coerenza e ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto servizio.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 17 novembre 2015, Est. VaccariAll’avvocato non può riconoscersi nessun compenso per l’attività di consulenza stragiudiziale che egli ha reso prima o nel corso del procedimento di mediazione. Tale attività, infatti, come quella di assistenza, ha natura stragiudiziale e pertanto trova applicazione l’art. 18 D.M. n. 55/2014 che stabilisce il carattere onnicomprensivo, in relazione ad ogni attività inerente l’affare, dei compensi liquidati in relazione a quel tipo di attività. Coerentemente a tale previsione, il punto 25 della tabella allegata al regolamento, individua i valori medi di liquidazione per le sole prestazioni di assistenza stragiudiziale.

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3.5 Il verbale di mediazione

Tribunale di Genova, sez. III, ordinanza 18 novembre 2011, Est. VinelliNon è possibile trascrivere né la domanda di mediazione, atteso che l’art. 2653 c.c., con elencazione tassativa, ha riguardo unicamente alle domande giudiziali – come chiaramente desumibile dall’art. 2653, 1° comma, c.c. che disciplina l’effetto della trascrizione in relazione alla sentenza (ovvero ad un provvedimento di natura giurisdizionale) – né direttamente il verbale di mediazione (essendo prevista unicamente la possibilità di trascrivere l’accordo conclusivo di mediazione previa autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato). Ne consegue quindi che, per i diritti reali, la mediazione deve sempre essere “doppiata” dal giudizio ordinario atteso che, in caso contrario, l’attore vittorioso non potrebbe comunque trascrivere direttamente né il verbale di avvenuta positiva mediazione (se non previa autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un pubblico ufficiale a ciò abilitato), né soprattutto giovarsi dell’effetto prenotativo della domanda di mediazione (non trascrivibile).

Tribunale di Modica, ordinanza 9 dicembre 2011, Est. TamburiniIl controllo che il Presidente del tribunale deve effettuare per l’attribuzione di efficacia esecutiva al verbale di conciliazione deve avere ad oggetto, data la congiunzione “anche” contenuta nel 1° comma dell’art. 12 D.Lgs. n. 28/2010, sia i profili di carattere formale sia le eventuali violazioni dell’ordine pubblico e delle norme imperative. L’omessa certificazione, da parte del mediatore, dell’autografia delle sottoscrizioni delle parti espressamente prevista dall’art. 11, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010 può ritenersi superata dalla certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni delle parti effettuata dal cancelliere del Tribunale in calce al processo verbale con la dicitura “le superiori firme sono state apposte alla mia presenza della cui identità personale sono certo”, stante che l’omologazione di competenza del presidente del Tribunale attiene all’efficacia esecutiva dell’accordo, diversamente dalla “autenticazione delle sottoscrizioni” prevista dall’art. 11, 3° comma, per la trascrizione nei registri immobiliari. In ogni caso, non può essere omologato il processo verbale in cui il sottoscrittore mediatore abbia omesso di indicare il suo legittimo status quale soggetto incluso nei ruoli di un organismo di conciliazione regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia.

Tribunale di Varese, sez. I, decreto 12 luglio 2012, Est. DelmonteAi sensi dell’art. 12, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, il verbale di accordo, debitamente omologato, costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca. Poiché le parti – concludendo il negozio compositivo della lite – danno linfa ad un contratto che resta a base volontaristica, senza che l’omologa incida sulla natura del patto, ne discende che la previsione in questione va riferita, per l’appunto, all’accordo (eventualmente contenuto nel verbale), ma non ad atti diversi. Nel caso in esame, è il legislatore

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stesso ad avere effettuato una specifica scelta discrezionale prevedendo che l’ipoteca iscritta con l’accodo di mediazione sia “giudiziale”. Deve, dunque, prendersi atto di una norma speciale integrativa della disciplina di diritto comune che vincola l’interpretazione nel senso di ritenere l’iscrizione giudiziale, fermo restando che i dati di iscrizione devono essere riferiti all’accordo e non al decreto.

Tribunale di Rieti, decreto 4 febbraio 2013, Est. OddiAllorché le parti, in caso di esito positivo della mediazione, concludano un contratto soggetto a trascrizione ai sensi dell’art. 2643, n. 1, c.c., non è possibile omologare il verbale di accordo, perché formalmente irregolare, se la loro sottoscrizione non sia stata autenticata da un pubblico ufficiale autorizzato ai sensi dell’art. 21 D.P.R. n. 445/2000, così come previsto dall’art. 11, 3° comma, seconda parte, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Avezzano, ordinanza 29 ottobre 2014, Est. Dell’OrsoIl decreto di omologa del verbale di conciliazione, secondo il disposto di cui all’art 12 D.Lgs. n. 28/2010, deve intendersi alla stregua di titolo esecutivo, sicché non risulta a tal fine indispensabile l’apposizione della formula esecutiva. Tale interpretazione trae convincimento dall’assunto secondo cui il legislatore ha espressamente indicato i casi in cui è indispensabile siffatto ulteriore adempimento formale; pertanto, va da sé come nel silenzio della legge il solo decreto di omologa possa essere sufficiente per intraprendere la procedura esecutiva. Inoltre, questa soluzione risulta ulteriormente rafforzata dalla lettura sistematica degli artt. 474 e 475 c.p.c. In particolare, dal momento che l’art 475 c.p.c. non richiama la categoria degli atti ai quali la legge attribuisce una specifica efficacia esecutiva deve ritenersi che per il provvedimento di omologa della conciliazione, che rientra all’interno di tale ampio genus, non sia necessaria la formula esecutiva.

Tribunale di Firenze, sez. II, decreto 2 luglio 2015, Est. BreggiaAllorché nel verbale di conciliazione manchi totalmente l’indicazione del titolo posto a base dell’accordo, la natura del tutto astratta e non titolata dell’accordo stesso non rende possibile per il giudice accertare i presupposti di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 28/2010 richiesti per l’omologazione dell’accordo e, in particolare, verificare se questo sia conforme all’ordine pubblico o a norme imperative. Ne consegue che un verbale così redatto non è omologabile, salva l’integrazione da parte dell’istante delle informazioni mancanti, anche attraverso la produzione di copia della domanda di mediazione, nonché della dichiarazione di adesione della controparte. Pur tenendo conto delle caratteristiche di riservatezza tipiche della mediazione, è evidente che ai fini dell’omologazione ex art. 12 D.Lgs. n. 28/2010 è necessario mettere il giudice in grado di effettuare le valutazioni di sua competenza con la sintetica indicazione del titolo sottostante alle pretese creditorie.

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157Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Roma, sez. V, decreto 17 novembre 2015, n. 7948, Est. BertuzziL’accordo stipulato dalle parti in sede di mediazione trova la sua disciplina specifica in tema di trascrizione nella legge medesima e non direttamente nelle disposizioni in materia di trascrivibilità degli atti poste dal codice civile. Tale circostanza, unitamente ad una interpretazione sistematica della disciplina normativa in materia di mediazione obbligatoria, portano a ritenere suscettibili di trascrizione, una volta assolto l’obbligo di autenticazione della sottoscrizione, tutti gli accordi contenenti negozi o atti trascrivibili ai sensi del codice civile.Il richiamo contenuto nell’art. 11 D.Lgs. n. 28/2010 all’art. 2643 c.c. va intenso come riferito agli atti soggetti a trascrizione, laddove la particolare menzione fatta dalla legge agli atti e contratti elencati dal citato art. 2643 c.c. sembra esprimere il diverso intendimento di sottolineare che l’accordo di mediazione non è un tipo contrattuale a sé stante, ma solo l’involucro esterno, l’occasione in cui viene concluso il contratto, il quale conserva perciò la tipologia che gli è propria e non si trasforma, solo perché stipulato in sede di mediazione, in qualcos’altro; ciò con la sola peculiarità che, per la sua trascrizione, è espressamente richiesta l’autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un notaio, ai fini della verifica della conformità del contenuto dell’atto alle prescrizioni di legge.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 10 marzo 2016, n. 328, Est. BenattiAppare censurabile la condotta dell’organismo e del suo mediatore – con conseguente necessità di trasmettere copia della sentenza al Responsabile per la tenuta del registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione, da individuarsi ex art. 3, 2° comma, D.M. n. 180/2010 nel Direttore generale per la giustizia civile del Ministero della Giustizia, per quanto di eventuale competenza ai sensi dell’art. 10 del medesimo D.M. – allorché nel verbale: vi sia un riferimento del tutto generico al soggetto convocato; l’oggetto della controversia sia del tutto generico; non sia indicato il numero del procedimento di mediazione, ma solo un protocollo che non si sa se riferito al verbale stesso o all’istanza di mediazione i cui riferimenti sono del tutto omessi; non sia indicato il mezzo con cui sarebbero state convocate le parti, non comprendendosi quindi se e a chi sia stata notificata la richiesta e se sia stato rispettato il termine ex art. 8, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, anche per il mancato riferimento all’istanza; sia quindi del tutto gratuita l’affermazione di mancata adesione di parte convenuta desunta dal mero silenzio; sia certificata la competenza territoriale di un organismo di mediazione sito in un luogo posto al di fuori della competenza territoriale del Tribunale competente sulla base di un accordo in deroga tra l’organismo di mediazione ed un terzo non meglio identificato.

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4. La mediazione delegata dal giudice

Corte d’appello di Roma, sez. II, ordinanza 28 ottobre 2010Deve disporsi, anche in grado di appello, la mediazione, laddove il credito di cui alla sentenza impugnata trovi titolo in un giudizio di risarcimento del danno da circolazione da veicoli, ovverosia di una materia ricompresa in quelle di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010; ciò anche in considerazione della natura della causa, del fatto che nel secondo grado di giudizio non vi è necessità di istruzione, nonché del comportamento dell’appellante che ne abbia fatto esplicita richiesta.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 22 novembre 2010, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 6 dicembre 2010, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 9 dicembre 2010, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 27 giugno 2011, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 15 novembre 2012, Est. MoriconiLaddove in relazione agli atti e all’istruttoria espletata, il giudice ritenga che le parti ben potrebbero addivenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di pervenire rapidamente ad una conclusione per entrambe vantaggiosa, anche da un punto di vista economico e fiscale, della controversia in atto, è opportuno procedere ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2020, invitando quindi le parti alla media–conciliazione della controversia.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 6 luglio 2011, Est. BuffoneÈ opportuno invitare le parti a valutare la possibilità di un tentativo stragiudiziale di mediazione, giusta l’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, allorché la causa interessi, dal punto di vista soggettivo, due litiganti legati da un pregresso rapporto di origine familiare e quindi destinato a proiettarsi nel tempo in modo durevole, nel tentativo di salvaguardare la possibilità di conservazione del vincolo affettivo in essere. In questa prospettiva, la mediazione, diversamente dalla statuizione giurisdizionale, può infatti guardare anche all’interesse (pubblico) alla “pace sociale”, favorendo il raggiungimento di una conciliazione che non distribuisce ragioni e torti, ma crea nuove prospettive di legame destinate a far sorgere dal pregresso rapporto disgregato nuovi orizzonti relazionali. La legge non ricollega alcuna conseguenza al rifiuto delle parti circa l’invito del giudice in mediazione e tale omissione non può essere colmata né con l’art. 116, 2° comma, c.p.c., né con l’art. 88 c.p.c., in quanto il legislatore ha voluto che la scelta dei litiganti fosse libera e genuina, non influenzata dal timore di

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ricadute sfavorevoli nella futura decisione giurisdizionale (è una mediazione su invito e non comando del giudice). Le parti vanno quindi avvisate che del loro eventuale rifiuto, il giudice non terrà conto nella decisione conclusiva del processo.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 8 luglio 2011, Est. BuffoneÈ opportuno invitare le parti a valutare la possibilità di un tentativo stragiudiziale di mediazione, giusta l’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, allorché la causa interessi, dal punto di vista soggettivo, due proprietari confinanti legati da un pregresso rapporto di vicinato che, a ben vedere, è destinato a proiettarsi nel tempo in modo durevole, sicché merita di essere salvaguardata la possibilità di conservazione dello stato relazionale in essere, posto che la mediazione, diversamente dalla statuizione giurisdizionale, può guardare anche all’interesse (pubblico) alla “pace sociale”, favorendo il raggiungimento di una conciliazione che non distribuisce ragioni e torti, ma crea nuove prospettive di legame destinate a far sorgere dal pregresso rapporto disgregato nuovi orizzonti relazionali.

Corte d’appello di Roma, sez. II, ordinanza 28 ottobre 2011Il 2° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 riserva al giudice d’appello, senza alcun limite temporale, ma solo di materia, la facoltà di inviare le parti a procedere alla mediazione. Pertanto, in considerazione della natura della causa, del fatto che nel secondo grado di giudizio non vi è necessità di istruzione, nonché del comportamento dell’appellante che ne abbia fatto esplicita richiesta, può essere opportuno invitare le parti alla mediazione.

Tribunale di Prato, ordinanza 16 gennaio 2012, Est. BrogiL’imposizione al capo dell’Ufficio giudiziario di adottare, nell’ambito dell’attività di pianificazione, ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione su invito del giudice implica che non sussiste più una discrezionalità assoluta in merito all’an dell’applicazione dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, ma che tale discrezionalità sia, ormai, circoscritta alla valutazione dei presupposti relativi alla natura della causa, allo stato dell’istruzione e al comportamento delle parti e si identifichi in un giudizio prognostico sulla possibile idoneità della mediazione a definire la controversia.

Corte d’appello di Napoli, sez. II bis, ordinanza 17 febbraio 2012La natura del giudizio, allorché lo stesso si protragga da tempo, può rendere auspicabile, anche in grado d’appello, il ricorso alla mediazione prevista dal D.Lgs. n. 28/2010, che consente una più celere e meno onerosa definizione della controversia.

Tribunale di Bari, sez. distaccata Modugno, ordinanza 16 aprile 2012, Est. Delia

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Tribunale di Bari, sez. distaccata Altamura, ordinanza 10 maggio 2012, Est. FazioL’ampiezza del rinvio all’udienza ex art. 190 c.p.c. rende opportuno l’invito a procedere alla mediazione facoltativa, formalizzato dal legislatore nell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, invito reso “doveroso” in ultima analisi dalle stesse questioni in fatto, originate da un illecito attinente alla circolazione stradale, ovvero da una delle materie per le quali, a decorrere dal 21 marzo 2011, è entrata in vigore la media conciliazione obbligatoria.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 28 settembre 2012, Est. BuffoneIl sollecito per un mediazione delegata non impedisce alle parti di attivarsi comunque per attivare la cd. mediazione volontaria; in quel caso, però, la pendenza dell’una impedisce la pendenza anche dell’altra, sugli stessi fatti e sulle stesse parti, poiché pur essendo diversa la fonte (volontà della parte e invito del giudice) uguale resta il procedimento.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 9 novembre 2012, Est. Buffone Anche in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, persiste nell’ordinamento la validità ed efficacia dell’istituto della mediazione cd. delegata.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 26 novembre 2012, Est. MoriconiLa mediazione delegata dal giudice, non essendo obbligatoria, ha un senso solo se esperita bene e con lealtà, davanti ad un organismo serio ed efficiente, fornito di buona professionalità e di mediatori competenti.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 14 dicembre 2012, Est. Buffone La pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non ha inciso in alcun modo sull’istituto della mediazione su invito del giudice, giacché la falcidia della incostituzionalità ha colpito solo la mediazione cd. obbligatoria e gli istituti annessi che le orbitavano attorno rafforzandone il regime. Ne consegue che, espunto dall’ordinamento l’obbligo della mediazione, rimane comunque vivo il diritto alla mediazione, che trova respiro attraverso l’eventuale adesione delle parti, all’invito sottoposto dal giudice.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 11 gennaio 2013, Est. Buffone Anche in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, non può dubitarsi dell’utilità dell’istituto della c.d. mediazione delegata: basti pensare che, dal 2012, le ADR sono state selezionate dalla CEPEJ (Commissione europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa) come uno degli elementi di valutazione del sistema giudiziario.

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161Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Milano, sez. IX, ordinanza 29 ottobre 2013, Est. BuffoneTribunale di Milano, sez. IX, ordinanza 14 ottobre 2015, Est. ManfrediniÈ opportuno invitare le parti a un tentativo stragiudiziale di mediazione allorché la causa interessi, dal punto di vista soggettivo, due parti legate da pregresso rapporto affettivo; rapporto destinato cioè a proiettarsi nel tempo, in quanto i litiganti, non più coniugi, sono tuttavia ancora genitori. Ciò dovrebbe infatti indurre le parti stesse ad agire tenendo sempre fermo e presente l’interesse preminente dei figli minori, che meglio è preservato ove gli stessi non diventino – seppur indirettamente – oggetto di procedure giudiziali. La legge n. 98/2013 (di conversione del D.L. n. 69/2013), riscrivendo parzialmente il tessuto normativo del D.Lgs. n. 28/2010, ha previsto la possibilità per il giudice (anche di appello) di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione (cd. mediazione ex officio). Si tratta di un addentellato normativo che inscrive, in seno ai poteri discrezionali del magistrato, una nuova facoltà squisitamente processuale. Il fascio applicativo della previsione in esame prescinde peraltro dalla natura della controversia (e, cioè, dall’elenco delle materie sottoposte alla cd. mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010) e, per l’effetto, può ricadere anche su un controversia avente ad oggetto il recupero di un credito rimasto insoddisfatto.

Tribunale di Firenze, 4 novembre 2013In materia di mediazione il giudice, prima di avviare la procedura ex art. 5, 2° comma 2, D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dal D.L. n. 69/2013, può disporre di sentire le parti.

Tribunale di Milano, sez. speciale impresa B, ordinanza 11 novembre 2013, Est. Riva CrugnolaÈ opportuno invitare le parti a un tentativo stragiudiziale di mediazione allorché la causa interessi, dal punto di vista soggettivo, due parti legate da rapporti familiari e una di esse si sia già dimostrata disponibile a chiudere la lite secondo la proposta conciliativa formulata dal giudice istruttore.

Tribunale di Firenze, sez. II, ordinanza 14 novembre 2013, Est. BreggiaRicorrono le condizioni per disporre l’invio in mediazione delle parti allorché la controversia riguardi un rapporto di locazione in corso da tre anni e che abbia avuto regolare esecuzione per molto tempo, le posizioni delle parti non appaiano estremamente distanti e i difensori abbiano riferito dell’esistenza di margini di accordo.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 14 novembre 2013, Est. MoriconiÉ opportuno invitare le parti a un tentativo stragiudiziale di mediazione allorché il giudice reputi che le stesse ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo che annullerebbe per ognuna di esse il rischio di una dannosa soccombenza, anche da un punto di vista del pregiudizio all’immagine di una delle parti in causa.

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Tribunale di Brescia, sez. III, ordinanza 28 novembre 2013, Est. CassiaÈ opportuno il ricorso all’istituto della cd. mediazione ex officio quando nella controversia, già di risalente trattazione, si siano smarriti i verbali di escussione di alcuni testi, posto che ove tali verbali non venissero reperiti, occorrerebbe un supplemento di istruzione, mediante la riconvocazione dei testi già escussi.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 5 dicembre 2013, Est. MoriconiNella mediazione demandata, la realizzazione della condizione di procedibilità è solo una delle sue ragion d’essere, le quali consistono piuttosto nel giudizio del giudice secondo cui sussistono, nel caso specificamente esaminato, le condizioni positive perché le parti possano pervenire ad un accordo amichevole, di tipo conciliativo o transattivo. Con la mediazione demandata si evita di intraprendere percorsi spesso già condannati in partenza; e ciò perché è il giudice che sceglie, con oculatezza, il momento migliore per disporne l’avvio. La circostanza che l’attore abbia proposto, prima e fuori della causa, una domanda di mediazione (non ha rilevanza la natura volontaria o obbligatoria della stessa) non è impeditiva all’esercizio ed all’attivazione da parte del Giudice della mediazione demandata di cui all’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 nella versione riformata dal D.L. n. 69/2013. Si tratta infatti, ove la mediazione demandata sia frutto di una precisa e riflettuta decisione del Giudice che assume in questo caso una funzione di assistenza e guida, di modelli diversi e non alternativi, che si sviluppano con presupposti, forza ed efficacia non sovrapponibili.

Tribunale di Verona, ordinanza 27 gennaio 2014, Est. VaccariUna soluzione conciliativa è auspicabile allorché: le parti abbiano riferito di aver tentato, senza esito, la conciliazione davanti all’Ordine degli avvocati senza però spiegare le ragioni che hanno impedito un esito positivo di tale confronto; l’entità del credito fatto valere dal convenuto sia tale da rendere possibile la individuazione di una somma inferiore a quella massima richiesta dallo stesso che costituisca una reciproca concessione delle parti; sia probabile che l’iter del contenzioso si complichi, con conseguente lievitazione dei costi per le parti poiché, una volta superati i profili processuali controversi, si dovrà dar corso ad una attività istruttoria.

Tribunale di Firenze, sez. II, ordinanza 19 marzo 2014, Est. BreggiaRicorre il presupposto per ordinare l’invio in mediazione ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 allorché la causa riguardi un rapporto di natura condominiale di lunga data, siano intercorsi difetti di comunicazione tra le parti all’epoca dell’accordo e le stesse abbiano già avviato delle trattative, seppur senza esito positivo.

Tribunale di Palermo, sez. I, ordinanza 16 luglio 2014, Est. RuvoloLa L. n. 98/2013 attribuisce al giudice il potere di imporre alle parti di intraprendere un procedimento di mediazione nel corso del processo, in tal modo creando una

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nuova condizione di procedibilità (sopravvenuta) per ordine del giudice, mentre in passato il giudice poteva solo invitarle a svolgere un tentativo stragiudiziale di mediazione, attendendo l’eventuale risposta positiva delle parti. La mediazione ex officio iudicis può essere disposta anche per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 98/2013 nonché pure per le materie diverse da quelle assoggettare a mediazione obbligatoria ex lege in base al comma 1 bis dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.Nelle materie già selezionate dal legislatore per la mediazione obbligatoria ex lege può ritenersi sussistente una “presunzione semplice” di opportunità, avendo già la normativa formulato ex ante una prognosi favorevole quanto all’efficacia del procedimento di mediazione.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 30 settembre 2014, Est. GhelardiniL’avvio e la partecipazione alla mediazione delegata dal giudice costituiscono atto dovuto per le parti, fermo il loro diritto, già al primo incontro avanti al mediatore e dopo l’avvio dell’effettiva mediazione, di chiedere la conclusione dell’incombente, essendo così avverata la condizione di procedibilità. La partecipazione al procedimento di mediazione disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, sanzionato a pena di improcedibilità, è infatti sottratta alla disponibilità delle parti e non richiede alcuna “accettazione”.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 16 ottobre 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 29 ottobre 2015, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 1 febbraio 2016, Est. MoriconiIl previo esperimento (evidentemente fallito) di una mediazione obbligatoria non preclude né impedisce che il giudice possa disporre, nel momento ritenuto più opportuno, la mediazione demandata ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Monza, sez. I, ordinanza 20 ottobre 2014, Est. Litta ModignaniL’esistenza di una procedura concordataria omologata dal Tribunale rende possibile l’esperimento di una procedura di mediazione tra le parti, in cui possa essere riconsiderata anche la posizione dei garanti, sotto la vigilanza degli organi della procedura.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 30 ottobre 2014, Est. MoriconiLa regola d’oro della mediazione demandata è che tanto più elevate sono le probabilità di raggiungimento di un accordo fra le parti, quanto più ciascuna di esse può intravvedere delle utilità, dei vantaggi, dei benefici scaturenti dall’accordo conseguente alla mediazione o, che è lo stesso, un contenimento degli svantaggi e delle disutilità che potrebbero derivar loro dalla sentenza.

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Per contro, mettere una parte con le spalle al muro, con una proposta che si intraveda di contenuto in tutto e per tutto uguale al contenuto della sentenza seguente al mancato accordo è controproducente, giacché la parte onerata deve poter contare su un qualche benefit derivante dall’accordo rispetto al contenuto della sentenza. D’altro canto, per la parte percipiente, deve valere il correlativo principio che un bene della vita non esattamente uguale a quello sperato, ma in compenso conseguibile subito e con certezza a seguito dell’accordo sia migliore e più tranquillizzante di un risultato pieno che, in futuro, potrebbe anche mancare in tutto o in parte.

Tribunale di Siracusa, sez. II, ordinanza 23 gennaio 2015, Est. RizzoDeve considerarsi ammissibile la mediazione c.d. delegata, ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, allorché si verta in materia di diritti disponibili, nel processo giurisdizionale non sia stata ancora celebrata l’udienza di precisazione delle conclusioni e, inoltre, sia già stata esperita una CTU, dal momento che ciò può ulteriormente facilitare l’attività del mediatore.

Giudice di Pace di Monza, sez. I, ordinanza 28 gennaio 2015, Est. RavennaDevono invitarsi le parti alla mediazione, ex art 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, allorché la causa riguardi il mancato pagamento di spese straordinarie per il figlio di una coppia e, dall’esame degli atti e dei documenti di causa, emerga una situazione di grave conflittualità tra i genitori, conflittualità che può solo aumentare se non si interviene tempestivamente con una procedura stragiudiziale.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 19 febbraio 2015, n. 542, est. GhelardiniL’esercizio da parte del giudice del potere di invio in mediazione di cui all’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non deve essere preceduto da attivazione del contraddittorio con le parti. Ciò ai sensi dell’art. 101, 2° comma, c.p.c. che, nell’affermare il principio del contraddittorio, prevede semplicemente che “il giudice non può statuire su alcuna domanda se la parte contro cui la stessa è proposta non sia stata citata” e che “se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio” il giudice deve sottoporre la stessa preliminarmente ai difensori. Tale norma non può interpretarsi in chiave analogica ed estensiva e cioè in modo tale da ritenere precluso l’esercizio dei poteri ufficiosi del giudice, in assenza di previo interpello delle parti, anche quando si tratti dell’adozione di provvedimenti non aventi contenuto decisorio, ma meramente ordinatori del processo, quale quello in esame (che ha la funzione di favorire la conciliazione della lite). Il provvedimento con cui è stato disposto l’invio delle parti in mediazione ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 ben può essere allegato (tramite copia scansionata dell’originale cartaceo) al messaggio inviato via PEC, avente ad oggetto

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“designazione giudice e fissazione prima udienza”. Invero l’allegazione dell’originale “scansionato” del provvedimento rende superflua la completa indicazione del contenuto dell’atto, in quanto i destinatari possono avere conoscenza diretta dell’atto nella sua interezza. Né rileva che unitamente al messaggio di cancelleria il sistema invii di routine più allegati (ricevute del gestore della posta elettronica ed altro) essendo comunque onere della parte che fa uso del mezzo tecnico previsto per legge acquisirne la necessaria conoscenza ed operare con la massima diligenza al fine di evitare disguidi.

Tribunale di Taranto, sez. II, ordinanza 16 aprile 2015, Est. CasaranoAnce se sia stata già esperita, ma invano, la mediazione prima dell’introduzione del giudizio, in seguito alla proposizione di una domanda riconvenzionale (e delle valutazioni del giudice sul tema decisorio e sulle prove) va disposta la mediazione c.d. delegata, ex art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 (per come modificato dal D.L. n. 69/2013) anche per le domande principali.

Tribunale di Milano, sez. I, ordinanza 7 maggio 2015, Est. CattaneoPuò essere opportuno rimettere la parti in mediazione ai sensi dell’art 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 allorché tra le stesse sussista un pregresso rapporto di amicizia.

Tribunale di Milano, sez. VI, ordinanza 12 maggio 2015, Est. CosentiniPuò essere opportuno disporre l’esperimento del procedimento di mediazione delegata laddove in una causa, che interviene in ambito parentale, sia incontestata la dazione di somma, mentre sia in contestazione la relativa causale.

Tribunale di Monza, sez. I, ordinanza 9 giugno 2015, Est. AlbaneseÈ opportuno rimettere le parti in mediazione ai sensi dell’art 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 allorché: la natura specifica dei rapporti tra le parti – una collaborazione professionale che si sviluppa da lungo tempo – indichi la necessità di preservare una pacifica relazione e soprattutto una soluzione condivisa del contrasto; il comportamento delle medesime parti faccia presumere che le stesse potrebbero in futuro riprendere la collaborazione professionale; non si sia ancora provveduto sulle istanze istruttorie né sulla richiesta ex art. 648 c.p.c.; l’eventuale fase istruttoria appaia di particolare complessità e, infine, soltanto in mediazione sia possibile coinvolgere un terzo estraneo alla pretesa oggetto di ricorso al fine di tentare una “soluzione conciliativa allargata e tombale” delle pretese creditorie di entrambi, con l’ovvio vantaggio di evitare una più che plausibile ulteriore controversia giudiziale.

Tribunale di Monza, sez. I, ordinanza 14 luglio 2015, Est. De GiorgioÈ opportuno rimettere le parti in mediazione ai sensi dell’art 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 allorché: la natura specifica dei rapporti tra le parti indichi la necessità di

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preservare una pacifica relazione soprattutto una soluzione condivisa del contrasto; non si sia ancora provveduto sulle istanze istruttorie; l’eventuale fase istruttoria appaia di particolare complessità e, infine, vi sia la volontà delle parti di pervenire ad una soluzione condivisa del conflitto.

Tribunale di Milano, sez. IX, ordinanza 15 luglio 2015, Est. BuffoneLa nuova formulazione normativa dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non è affatto incompatibile con un generale potere del giudice (art. 175 c.p.c.) di sollecitare un percorso volontario di mediazione mediante un invito: invito che, se seguito dalla adesione delle parti, ha il vantaggio (per le parti stesse) di non comportare conseguenze in punto di procedibilità della domanda. Infatti, la mediazione demandata dal giudice, altro non è se non una forma di mediazione volontaria, veicolata dal suggerimento del magistrato: l’espunzione dell’istituto, pertanto, non esclude e nemmeno limita la facoltà del giudicante di sollecitare una riflessione nei litiganti, mediante invito a rivolgersi spontaneamente ad un organismo di mediazione. Si ricade nell’ambito dei normali poteri di governance giudiziale, né più e né meno di quanto già avviene per il celebre “invito a coltivare trattative”. Pertanto, è sempre possibile – pur nella vigenza dell’attuale versione normativa del D.Lgs. n. 28/2010 – che il giudice inviti le parti ad avviare il procedimento di mediazione, su scelta volontaria.

Tribunale di Pistoia, ordinanza 22 settembre 2015, Est. CurciÈ opportuno rimettere le parti in mediazione ai sensi dell’art 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 allorché il giudice valuti che, mettendo a frutto l’esperienza maturata nello svolgimento delle rispettive attività d’impresa e nell’ottica di una migliore tutela della rispettiva credibilità commerciale, le parti potrebbero addivenire, con il supporto del mediatore, ad una soluzione mutualmente accettabile e soddisfacente per entrambe, in tempi e con costi assai più contenuti di quelli altrimenti correlati alla definizione giudiziale della controversia.

Corte d’appello di Firenze, sez. II, ordinanza 2 ottobre 2015, Est. SanteseÉ evidente l’opportunità di una soluzione conciliativa della lite allorché si ravvisino elementi di fondatezza in entrambe le prospettazioni delle ragioni delle parti ed il permanere della situazione di conflitto appaia inevitabile fonte di aggravamento dei potenziali danni di una delle parti in causa.L’onere di instaurare il procedimento di mediazione delegata dal giudice, nei giudizi di appello, va posto a carico dell’appellante, quale parte che propone la domanda giudiziale.

Tribunale di Milano, sez. IX, ordinanza 14 ottobre 2015, Est. ManfrediniÈ del tutto opportuno invitare le parti a procedere ad un tentativo di mediazione civile per la composizione amichevole della controversia allorché la stessa: riguardi

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un pregresso rapporto negoziale intercorso tra attore e convenuto avente natura fiduciaria (trattandosi di litiganti in precedenza vincolati da una relazione giuridica che può rappresentare un elemento di favore per una trattativa conciliativa); abbia ad oggetto un credito di modesto valore; potrebbe ospitare un incombente istruttorio rilevante, come il giuramento decisorio e, infine, lo sfoglio di rito e merito delle questioni da affrontare nel processo rischi di rendere antieconomico il giudizio per la distribuzione dei torti e delle ragioni.

Tribunale di Milano, sez. I, sentenza 27 novembre 2015, Est. CattaneoNel caso in cui il giudice scelga di suggerire alle parti una mediazione volontaria, l’adesione all’invito e l’avvio della procedura costituiscono un’estrinsecazione del potere di assistenza e rappresentanza processuale di cui all’art. 84, 1° comma, c.p.c. É peraltro ovvio che di fronte alla mediazione disposta ex officio, alle parti che abbiano interesse alla prosecuzione del giudizio non residui altra scelta se non quella di ottemperare al provvedimento del giudice. Di conseguenza, anche il difensore del condominio, esercitando il potere di cui all’art. 84 c.p.c., ben può e deve proporre la domanda di mediazione nel termine disposto d’ufficio, senza che sia a tal fine necessario convocare una preventiva assemblea straordinaria dei condomini.

Tribunale di Busto Arsizio, sez. III, sentenza 3 febbraio 2016, n. 199, Est. PupaLa mediazione disposta dal giudice in caso di mancato espletamento della stessa in data anteriore all’instaurazione di un giudizio vertente su una delle materie menzionate dal D.Lgs. n. 28/2010 non deve essere vissuta dalle parti come la mera rimozione di un causa di improcedibilità, ossia un come un formale adempimento burocratico, svuotato di ogni contenuto funzionale e sostanziale, ma come un’occasione per cercare una soluzione extra giudiziale della loro vertenza in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il giudice con la sentenza, atto che può formare oggetto di impugnazione e che, in caso di mancata attuazione spontanea da parte del soccombente, richiede un’ulteriore attività esecutiva, con conseguente dispendio di tempo e denaro. Ne deriva che non può considerarsi soddisfatta la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 in presenza di condotte elusive del dettato normativo e della ratio legis.

Tribunale di Milano, sez. I, ordinanza 17 febbraio 2016, Est. CattaneoÈ opportuno rimettere le parti in mediazione allorché le stesse abbiano manifestato la loro concorde volontà in tal senso e, inoltre, la causa abbia un valore economico modesto e l’istruttoria richiesta risulti antieconomica. Del resto, il componimento del conflitto può sempre giovarsi della visione di un mediatore, libero di valutare e sottoporre alle parti profili che la decisione del giudice potrebbe non considerare e che l’istruttoria potrebbe non chiarire, dovendo applicarsi le norme processuali.

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Tribunale di Siracusa, sez. II, ordinanza 22 febbraio 2016, Est. MuratoreÈ opportuno rimettere le parti in mediazione, tenuto altresì conto del ruolo del giudice – e, in particolare, dell’esigenza di rispettare la priorità di trattazione e decisione dei procedimenti con data di iscrizione a ruolo più risalente – allorché la causa riguardi un procedimento possessorio per cui siano già stati emessi i provvedimenti ex art. 703, 3° comma, c.p.c.

Tribunale di Bari, sez. stralcio Altamura, decreto 26 febbraio 2016, Est. FazioNell’espletamento della mediazione delegata dal giudice le parti ben possono prendere spunto dalle valutazioni compiute dal giudice stesso, con riguardo alla già espletata CTU, nell’ordinanza di invito in mediazione. Tali valutazioni, infatti, sono utili per individuare i “temi della conciliazione” perché atte, da un lato, a sfrondare il thema decidendum oggetto del giudizio e, dall’altro, a fornire gli elementi tecnici per poter procedere alla rideterminazione delle eventuali competenze spettanti, in ossequio al generale potere di direzione del procedimento spettante al giudice ex art. 175 c.p.c. e volto al suo più “sollecito e leale svolgimento” e agli “obblighi collaborativi” gravanti sulle parti.

Corte d’appello di Milano, sez. I, ordinanza 22 marzo 2016, Est. FiecconiCorte d’appello di Milano, sez. I, ordinanza 11 maggio 2016, Est. FontanellaL’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 intende incentivare strumenti di risoluzione delle controversie preposti a facilitare l’accesso alla giustizia con l’assistenza di un mediatore qualificato al fine di promuovere una stabile composizione amichevole delle controversie e di ridurre i costi del contenzioso civile. L’esercizio della facoltà descritta nella norma in esame è demandato alla discrezionalità del giudice, anche in fase di appello, a prescindere dalla obbligatorietà o meno della mediazione ante causam o dalla vigenza o meno della norma prima dell’introduzione della controversia, ed è collegato a una preliminare considerazione della qualità delle parti e della particolarità della lite sottoposta al vaglio del giudice.

Tribunale di Lecco, ordinanza 13 aprile 2016, Est. TrovòDeve disporsi la mediazione obbligatoria ex art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 laddove: il giudizio faccia seguito ad un verbale di conciliazione già sottoscritto dalle parti; la trattazione e decisione della causa appaia complicata dalle problematiche sollevate dalla parte convenuta e l’entità dei danni azionati da parte attrice non sia chiara rispetto alla prospettazione fatta dal procuratore attoreo; le parti abbiano manifestato serie difficoltà di comunicazione davanti al giudice, non apparendo in grado di cogliere serenamente, nei tempi consentiti dall’udienza, il carattere vantaggioso di una conciliazione, rispetto alla prosecuzione del giudizio, sicché è probabile che un confronto più approfondito davanti ad un organismo di

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mediazione, a ciò deputato, possa sortire risultati più proficui rispetto al tentativo di conciliazione giudiziale; la causa, per essere decisa, richieda un’istruttoria, non potendosi escludere anche la necessità di una CTU, ciò implicando costi che una mediazione consentirebbe di evitare.

Giudice di Pace di Lucera, ordinanza 27 aprile 2016, Est. Filograno Anche laddove la materia oggetto del contendere non rientri fra quelle per cui vi è obbligo di mediazione, ugualmente – anche in considerazione dei rapporti societari esistenti fra le parti – può apparire comunque utile (anche allo scopo di evitare il dilungarsi eccessivo dei tempi processuali alle luce delle richieste istruttorie) rinviare le parti al mediatore, tale potere rientrante nella c.d. mediazione delegata dal giudice.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 12 maggio 2016, Est. VaccariDeve escludersi che lo svolgimento di un secondo procedimento di mediazione, dopo l’esito infruttuoso del primo, sia inutile e dispendioso allorquando esso avvenga sulla base di una circostanza sopravvenuta quale la domanda di condanna del soggetto convenuto, di per sé idonea a indurre le parti a riconsiderare la possibilità di una definizione transattiva della controversia.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 26 maggio 2016, Est. MoriconiIl giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione. A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità e l’individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un provvedimento che può anche contenere – come l’esperienza sempre più spesso attesta – utili spunti ed indicazioni per la discussione ed il confronto fra le parti con il mediatore, il non pòssumus delle parti (o di una di esse) si qualifica come ingiustificata e pregiudiziale renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice ed espressione di un volontario quanto ingiustificabile rifiuto a priori di sperimentare realmente, con lealtà e senza riserve mentali, un percorso conciliativo.

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5. L’obbligo dell’informativa

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 9 aprile 2010L’obbligo informativo di cui all’art. 4, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010 deve ritenersi sussistente solo se la lite insorta tra le parti rientri tra quelle controversie per cui è possibile (in concreto, perché prevista) l’attività (facoltativa, obbligatoria o su impulso giudiziale) dei mediatori. Pertanto, nella controversia avente ad oggetto le modifiche delle condizioni di separazione, ex art. 710 c.p.c., poiché involgente una lite giudiziaria per cui non è previsto l’accesso (anche facoltativo) al procedimento di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010, non sussiste alcun obbligo per i difensori di rendere l’informativa di cui all’art. 4, 3° comma, del citato decreto e, conseguentemente, nessun obbligo del giudice, in caso di omessa informativa succitata, di provvedere in supplenza ai sensi del medesimo grimaldello normativo (art. 4, 3° comma, ultimo inciso).

Tribunale di Varese, sez. I, 30 giugno 2010, Est. BuffoneAi sensi dell’art. 5, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010, la mediazione conciliativa, sia obbligatoria che su impulso giudiziale è esclusa nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Cionondimeno, correttamente il difensore deve provvedere alla informativa, giacché l’obbligo di cui all’art. 4, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010 deve ritenersi sussistente se la lite insorta tra le parti rientri tra quelle controversie per cui è possibile l’attività dei mediatori. Del resto, pur essendo esclusa la mediazione obbligatoria e quella su impulso giudiziale, è però pur sempre possibile il ricorso alla mediazione c.d. facoltativa e la parte deve esserne messa a conoscenza; inoltre, e comunque, il cliente deve essere avvisato della rilevanza che potrà avere il D.Lgs. n. 28/2010 in prosieguo di giudizio, atteso che la “sospensione” dei commi 1° e 2° dell’art. 5 cessa nel momento in cui il giudice scioglie la sua decisione sulla provvisoria esecuzione.

Tribunale di Teramo, sez. distaccata Giulianova, 23 agosto 2010L’annullabilità del contratto tra l’avvocato e l’assistito per violazione degli obblighi di informazione di cui all’art. 4, 3º comma, D.Lgs. n. 28/2010 può essere fatta valere solo dalla parte che non ha ricevuto l’informativa e non ha alcuna incidenza sulla validità della procura alle liti.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 1 marzo 2011, Est. BuffoneIl mancato obbligo di informazione di cui all’art. 4, 3º comma, D.Lgs. n. 28/2010 provoca una specifica reazione dell’Ufficio giudiziario nel senso “salvifico” del rapporto. Infatti, il giudice che verifica la mancata allegazione del documento informativo, se

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non provvede ai sensi dell’art. 5, 1° comma, “informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”. In secondo luogo, l’esegesi del testo, conferma che l’approdo alla “annullabilità” sia nel senso di recepire integralmente la categoria codicistica con il regime giuridico che ad essa si collega e che quindi, in punto di legittimazione, trovi applicazione l’art. 1441, 1° comma, c.c., di guisa che la annullabilità può essere fatta valere solo dall’assistito che non ha ricevuto l’informativa.

Tribunale di Palermo, sez. II, ordinanza 24 marzo 2011, Est. De GregorioIl mancato obbligo di informazione di cui all’art. 4, 3º comma, D.Lgs. n. 28/2010 non determina l’improcedibilità del ricorso, incidendo soltanto sul rapporto negoziale tra professionista e cliente, che può chiedere l’annullamento del contratto; e l’annullabilità non potrà essere fatta valere se non dall’assistito che non ha ricevuto l’informativa. Al più, il difetto di informazione può indurre il giudice – verificata la mancata allegazione del documento informativo – ad informare “la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

Tribunale di Milano, sez. lav., sentenza 25 marzo 2011, n. 1542, Est. PattumelliLa mancata informativa di cui all’art. 4, 3º comma, D.Lgs. n. 28/2010 è prevista a pena – non già di nullità – bensì dì annullabilità. Orbene, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1324 e 1441 c.c., l’annullamento può essere domandato, con riguardo agli atti unilaterali tra vivi quale il mandato difensivo, “solo dalla parte nel cui interesse esso è stabilito dalla legge”, parte la quale, nel caso di specie, si identifica all’evidenza nel soggetto che conferisce il mandato e non già nella controparte processuale. Inoltre, ai sensi dell’ultimo inciso del citato art. 4, “il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’art. 5 comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”: pertanto, tale è la conseguenza di natura processuale stabilita dal legislatore per il caso di mancata prova documentale in giudizio dell’informativa in questione.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 6 maggio 2011La sanzione per la violazione dell’obbligo di informazione di cui all’art. 4, 3º comma, D.Lgs. n. 28/2010 è l’annullabilità del contratto di patrocinio tra avvocato e cliente. Tuttavia, come precisato dalla relazione illustrativa al decreto legislativo, “si tratta di un vizio che non si riverbera sulla validità della procura, in linea con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità. Secondo la Suprema Corte, infatti, la procura alle liti, come atto interamente disciplinato dalla legge processuale, è insensibile alla sorte del contratto di patrocinio la cui invalidità non toglie quindi al difensore lo ius postulandi attribuito con la procura”, con ciò intendendo evitare di prevedere un’improcedibilità della domanda medesima, che sarebbe andata a danno della stessa parte a favore della quale è introdotta la previsione.

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Corte d’appello di Firenze, sez. II, sentenza 20 febbraio 2012, n. 29, Est. DinisiLa legittimazione a far valere l’annullamento del contratto con il difensore a causa del difetto di informazione previsto dall’art. 4, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010 compete esclusivamente alla parte del rapporto professionale che lamenti la violazione del suddetto obbligo da parte del professionista.

Tribunale di Roma, sez. VI, sentenza 14 aprile 2012La mancata allegazione alla copia notificata del ricorso dell’informativa di cui all’art 4, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010, comporta, ai sensi della norma richiamata, l’informativa ad opera del giudice della facoltà della parte di chiedere la mediazione, senza tuttavia incidere sulla relativa costituzione in giudizio.

Tribunale di Milano, sez. spec. impresa B, sentenza 26 settembre 2013, Est. MambrianiNon è ammissibile l’eccezione sollevata dal convenuto avente ad oggetto l’improcedibilità della domanda per violazione dell’art. 4, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010 da parte del procuratore dell’attore, sia perché la parte convenuta non è legittimata a sollevare siffatta eccezione, attendendo l’informativa di cui all’articolo richiamato ai rapporti tra il difensore ed il suo assistito, sia perché per la violazione dell’obbligo informativo di cui si discute non è prevista l’improcedibilità della domanda, ma solo l’annullabilità del contratto tra difensore ed assistito.

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 25 marzo 2014, Est. MaricondaLa violazione dell’obbligo d’informazione da parte dell’avvocato è causa di annullamento del contratto di patrocinio, ma la relativa legittimazione ex art. 1441 c.c. spetta solo alla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge.

Tribunale di Milano, sez. I, sentenza 17 luglio 2014, Est. GattariL’assenza dell’informativa al cliente prevista dal D.Lgs. n. 28/2010 non comporta nullità della procura rilasciata al difensore, bensì eventualmente – ove l’informativa non sia stata fornita al cliente – l’annullabilità del contratto di patrocinio concluso tra il difensore e il cliente, che solo quest’ultimo può far valere; ne deriva che la violazione degli obblighi informativi previsti dal citato D.Lgs. non può essere utilmente invocata dalla controparte processuale.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 10 settembre 2014, n. 2626, Est. GuidaLa dedotta omissione d’informativa, sulla facoltà di proporre la mediazione, del legale di controparte alla propria assistita non determina l’improcedibilità del giudizio.

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173Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Massa, sentenza 26 marzo 2015, n. 314, Est. ProvenzanoLa mancata allegazione all’atto introduttivo dell’informativa in forma scritta alla parte assistita relativa alla possibilità di avvalersi della procedura di mediazione civile, formalità prevista dall’art. 4, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010, lungi dal comportare conseguenze sul piano processuale (tanto meno implicanti l’invalidità della citazione), determina, in base alla stessa disposizione appena citata, l’annullabilità del contratto d’opera professionale concluso dall’avvocato con il proprio assistito. Trattasi quindi di rapporto giuridico rispetto al quale la controparte è evidentemente estranea e, pertanto, priva di legittimazione e di interesse ad interloquire.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 25 giugno 2015, n. 650, Est. BenattiL’omessa informazione al cliente relativamente all’azionabilità del procedimento di mediazione comporta unicamente l’annullabilità del contratto tra il cliente e il professionista e mai può portare alla nullità o improcedibilità dell’azione proposta in assenza di qualsivoglia norma che lo preveda. La mancata allegazione del documento informativo, invece, comporta solo, ex art. 4 D.Lgs. n. 28/2010, l’obbligo per il giudice, che non ritenga di disporre “d’ufficio” la mediazione, di avvertire la parte della facoltà di chiedere la stessa.

Tribunale di Milano, sez. I, sentenza 17 settembre 2015, n. 10453, Est. BaccoliniIn seguito all’intervento della Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 272/2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, è venuta meno – fino al successivo intervento legislativo del giugno 2013 – l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Conseguentemente, nel periodo intercorso tra la pronuncia della Corte Costituzionale e la novella legislativa che ha introdotto nuovamente (ma con alcune modifiche) la predetta obbligatorietà, il disposto di cui all’art. 4, 3° comma, del medesimo decreto, che prescriveva l’obbligo di allegare all’atto introduttivo l’informazione scritta resa dall’avvocato all’assistito con riferimento ai casi in cui la procedura di mediazione è condizione di procedibilità in ragione del rinvio all’art. 5, può ritenersi svuotata di significato.

Corte d’appello di Bologna, sez. III, sentenza 8 ottobre 2015, Est. GuidottiLa mancanza di informativa di cui all’art. 4, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non ha conseguenze sulla validità del mandato alle liti precedentemente conferito al legale. La violazione degli obblighi di informazione incide infatti soltanto sul rapporto tra avvocato e cliente e non sulla validità processuale degli atti.

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6. L’effettività della mediazione: la partecipazione delle parti e il ruolo del difensore

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 9 dicembre 2010, Est. MoriconiIn tema di mediazione obbligatoria, al fine della procedibilità della domanda si condivide quanto contenuto nella circolare del Ministero della Giustizia del 4 aprile 2011 secondo cui “si ritiene non corretto l’inserimento, nel regolamento di procedura di un organismo di mediazione, di una previsione secondo la quale, ove l’incontro fissato del responsabile dell’organismo non abbia avuto luogo perché la parte invitata non abbia tempestivamente espresso la propria adesione ovvero abbia comunicato espressamente di non volere aderire e l’istante abbia dichiarato di non volere comunque dare corso alla mediazione, la segreteria dell’organismo possa rilasciare, in data successiva a quella inizialmente fissata, una dichiarazione di conclusione del procedimento per mancata adesione della parte invitata. L’inserimento di tale previsione nel regolamento di procedura di un organismo di mediazione non può che essere ritenuta in contrasto con la norma primaria (art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010) che esige che, per determinate materie, deve essere preliminarmente esperito il procedimento di mediazione: il che postula che si compaia effettivamente dinanzi al mediatore designato, il quale solo può constatare la mancata comparizione della parte invitata e redigere il verbale negativo del tentativo di conciliazione”.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 6 luglio 2011, Est. BuffoneTribunale di Varese, sez. I, ordinanza 8 luglio 2011, Est. BuffoneLa legge non specifica quale sia la parte che debba pronunciarsi sull’invito in mediazione: se quella in senso sostanziale o il rappresentante legale. Giova rilevare, però, che l’adesione all’invito non costituisce un atto dispositivo del diritto, ma solo una precisa scelta in ordine alla strategia di tutela, azione o difesa e deve, allora, ritenersi che le “parti” del procedimento di invito siano gli avvocati. Deve, cioè, ritenersi che l’adesione all’invito costituisca una estrinsecazione del potere di cui all’art. 84, 1° comma, c.p.c.: in tal senso, quando la parte sta in giudizio col ministero del difensore, questi può compiere e ricevere, nell’interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati. Depone verso tale soluzione anche il dato normativo che “contestualizza” invito e rinvio per l’adesione, non agevolmente immaginabile ove il giudice dovesse, invece, rivolgere l’invito alla parte sostanziale, in genere assente dalle udienze civili se non richiesta di comparire.Di fronte all’invito, pur se muniti di procura e pur se dotati del relativo potere, gli avvocati hanno diritto a conferire con il cliente per fare in modo che la loro decisione sia rispettosa dell’attuale desiderio/bisogno del loro assistito.

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175Massimario di giurisprudenza

Ciò non può essere trascurato in quanto la mediazione, nel profilo pratico, comporta un esborso economico e un rinvio del processo nel tempo di almeno quattro mesi: elementi che il difensore potrebbe ritenere sia necessario discutere con la parte dove non l’abbia preventivamente fatto. Gli avvocati, pertanto, sono liberi di richiedere un rinvio breve del procedimento per raccogliere il consenso o dissenso del proprio assistito al percorso di mediazione.

Tribunale di Modena, sez. II, ordinanza 10 marzo 2012, Est. MasoniLa mediazione deve ritenersi correttamente esperita allorché il mediatore, chiudendo il verbale, dia atto della mancata partecipazione dell’invitato per carenza di procura del difensore. La malattia del legale rappresentante della società, il quale non possa comparire alla sessione avanti al mediatore causa malattia, non gli impedisce infatti di officiare, seppure senza formale mandato, il difensore. Su quest’ultimo grava l’onere di farsi rilasciare apposita procura scritta agli effetti conciliativi, onde partecipare alla procedura, in difetto della quale il difensore presente non può ritenersi in grado di rappresentare la parte evocata in mediazione.

Tribunale di Siena, sentenza 25 giugno 2012, Est. CaramellinoLa prescrizione legale del previo esperimento della procedura media–conciliativa, in quanto intesa allo scopo della deflazione del contenzioso mediante l’offerta di un’effettiva ed attuale possibilità di definizione stragiudiziale della controversia anteriormente alla trattazione della medesima, non può ritenersi soddisfatta mediante un mero, formalistico deposito di domanda cui non faccia seguito alcun comportamento della parte proponente idoneo a perseguire né l’instaurazione di un effettivo ed integro contraddittorio di fronte al mediatore, né l’effettiva fruizione del servizio da quest’ultimo erogato, che trova il suo corrispettivo nel pagamento delle competenze del mediatore.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 22 agosto 2012, Est. MoriconiPer radicare l’avveramento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale nei casi di cui all’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non è sufficiente la semplice proposizione della domanda di mediazione alla quale non segua effettivamente la presenza e la partecipazione (almeno) della parte istante davanti al mediatore.Una volta che la parte istante si sia presentata davanti al mediatore, con la presenza o meno della parte convocata, ed in particolare in presenza di quest’ultima, laddove non siano previsti né siano stati frapposti impedimenti pregiudiziali e formali all’attività del mediatore (come nel caso che il predetto non possa neppure aprire la discussione con la parte o le parti), non è mai dato al giudice un sindacato contenutistico che possa sfociare in un giudizio di mancato esperimento del procedimento di mediazione. La presenza nel procedimento di mediazione, in luogo delle parti, di soggetti, avvocati o meno, che

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le rappresentano è sempre ammessa a prescindere dalle modalità del conferimento del potere rappresentativo. Tuttavia, laddove il rappresentante della parte istante nella mediazione obbligatoria sia stato ridotto a mero nuncius, la procedura di mediazione, ai fini della procedibilità dell’azione giudiziale, non può ritenersi ritualmente esperita.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 5 dicembre 2013, Est. MoriconiLa possibilità di rappresentare pacatamente, con equidistanza ed imparzialità, i punti di debolezza e di forza delle rispettive posizioni, consente di esaltare la sensibilità culturale e giuridica dei difensori, che tanto ruolo hanno nella mediazione riformata. Tramite essi, il giudice può infatti parlare alle parti che pertanto dovranno essere informate nel modo più ampio e sostanziale dai difensori circa il contenuto del provvedimento, al fine che esse possano, esattamente come in ambito sanitario, determinarsi verso la scelta migliore da assumere, in ordine alla quale è precondizione una adeguata consapevolezza.

Tribunale di Santa Maria di Capua Vetere, sez. I, ordinanza 23 dicembre 2013, Est. CaputoIn seguito al c.d. Decreto del Fare della mediazione obbligatoria, il legislatore ha attribuito al difensore un ruolo centrale, prima ancora che nel giudizio, nell’attività di mediazione delle controversie, al punto da prevedere, con le modifiche operate dal D.L. n. 69/2013, che gli avvocati siano di diritto mediatori e debbano assistere la parte nel procedimento di mediazione. Tale prospettiva tende sempre di più ad individuare nel ricorso al Tribunale l’extrema ratio per la soluzione della quasi totalità delle controversie civili.

Tribunale di Firenze, sez. speciale impresa, ordinanza 17 marzo 2014, Est. SciontiTribunale di Siracusa, sez. II, ordinanza 17 gennaio 2015, Est. MuratoreTribunale di Firenze, sez. III, sentenza 15 ottobre 2015, Est. SciontiTribunale di Firenze, sez. III, sentenza 12 novembre 2015, n. 4006, Est. SciontiTribunale di Firenze, sez. speciale impresa, ordinanza 16 febbraio 2016, Est. SciontiTribunale di Siracusa, sez. II, ordinanza 30 marzo 2016, Est. MuratorePer espressa volontà del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla “volontà” delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria, bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflativa.

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177Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Firenze, sez. speciale impresa, ordinanza 17 marzo 2014, Est. SciontiTribunale di Firenze, sez. speciale impresa, ordinanza 16 febbraio 2016, Est. SciontiL’esplicito riferimento operato dall’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 alla circostanza che “al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” implica la volontà di favorire la comparizione personale della parte quale indefettibile e autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi, limitando a casi eccezionali l’ipotesi che essa sia sostituita da un rappresentante sostanziale, pure munito dei necessari poteri. Pertanto mentre certamente soddisfa il dettato legislativo l’ipotesi di delega organica del legale rappresentante di società, al contrario il mero transeunte impedimento a presenziare della persona fisica dovrebbe invece comportare piuttosto un rinvio del primo incontro.

Tribunale di Firenze, sez. II, ordinanza 19 marzo 2014, Est. BreggiaRitenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, vuol dire in realtà ridurre ad un’inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori, sicché non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica infatti solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata data un’effettiva chance di raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto, occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione, altrimenti si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione.La natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti. L’istituto mira infatti a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma 1 bis e l’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’assistenza degli avvocati e ciò implica la presenza degli assistiti.L’ipotesi che la condizione di procedibilità si verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice. In tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di mediabilità del conflitto (come prevede l’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 che impone al giudice di valutare “la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”) e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori.

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Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 13 aprile 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 18 maggio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 15 giugno 2015, Est. MarzocchiLa mediazione non può considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti, ancorché muniti di procura speciale per la partecipazione alla mediazione, dal momento che nella detta procedura la funzione del legale è di mera assistenza alla parte comparsa, come stabilito dagli artt. 5, comma 1 bis e 8, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 nel testo novellato dalla L. n. 98/2013. Nelle citate norme viene infatti espressamente sottolineata la funzione di assistenza del legale e, al contrario, omessa la funzione di rappresentanza. Evidente quindi che la funzione di assistenza del difensore non può che prefigurare la contemporanea presenza avanti al mediatore di due soggetti, il primo, la parte sostanziale, quale soggetto che riceve l’assistenza e prende le decisioni negoziali e il secondo, il suo avvocato, necessariamente diverso dalla parte sostanziale, quale soggetto che non rappresenta la parte, ma che a lei fornisce quell’assistenza tecnico–legale utile per prendere le decisioni di gestione degli interessi sostanziali.

Tribunale di Bologna, sez. III, ordinanza 5 giugno 2014, Est. GiannitiTribunale di Bologna, sez. III, ordinanza 16 ottobre 2014, Est. GiannitiTribunale di Bologna, sez. III, ordinanza 11 novembre 2014, Est. GiannitiLe disposizioni di cui agli artt. 5, comma 5 bis, e 8 D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dalla L. n. 98/2013, lette alla luce del contesto europeo nel quale si collocano, impongono di ritenere che l’ordine del giudice è da ritenersi osservato soltanto in caso di presenza della parte (o di un di lei delegato), accompagnato dal difensore e non anche in caso di comparsa del solo difensore, anche quale delegato della parte. Ciò poiché la natura della mediazione di per sé richiede che all’incontro del mediatore siano presenti di persona (anche e soprattutto) le parti, dal momento che i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, sono senza dubbio già a conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità, di talché non avrebbe senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore in vista di una (dunque, inutile) informativa. Ancora, l’ipotesi in cui all’incontro davanti al mediatore compaiano i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come si desume dalla lettura coordinata dell’art. 5, comma 1 bis e dell’art. 8, che prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’assistenza degli avvocati, implicando ciò l’assistenza degli assistiti (personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore).

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 30 giugno 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 22 giugno 2015, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 26 ottobre 2015, Est. Moriconi

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179Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 14 dicembre 2015, Est. MoriconiAi sensi e per l’effetto dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dal D.L. n. 69/2013, è richiesta alle parti l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente.

Tribunale di Palermo, sez. I, ordinanza 16 luglio 2014, Est. RuvoloIl mediatore, nell’invitare le parti e i loro procuratori a esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, deve verificare se vi siano i presupposti per poter procedere nell’effettivo svolgimento della mediazione. Tali presupposti sono, ad esempio, l’esistenza di una delibera che autorizzi l’amministratore di condominio a stare in mediazione o l’esistenza di un’autorizzazione del giudice tutelare se a partecipare alla mediazione deve anche essere un minore ovvero la presenza di tutti i litisconsorti necessari. Il mediatore non dovrebbe invece chiedere, come ritenuto da molti, se le parti vogliano andare avanti, giacché egli non deve verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma invitarli ad esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione. In questa prospettiva, nel punto in cui l’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 afferma che il mediatore, “nel caso positivo, procede con lo svolgimento”, esso non va inteso nel senso che se gli avvocati riconoscono che ci sia tale possibilità si va avanti, mentre se dicono che non sussiste non si procede oltre, essendo infatti soltanto il mediatore che, tenuto conto di quello che dicono le parti e gli avvocati, deve valutare se sussista questa possibilità.

Tribunale di Rimini, ordinanza 16 luglio 2014, Est. BernardiNon può dirsi effettivamente intrapreso il procedimento di mediazione allorché le parti si siano limitate a rifiutare di iniziare la procedura dopo la mera illustrazione, da parte del mediatore, della funzione e modalità di svolgimento della mediazione.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 29 settembre 2014, Est. MoriconiL’orientamento interpretativo che si ritiene debba essere preferito a proposito del contenuto formale o sostanziale dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 è per la soluzione contenutistica, vale a dire che non sia sufficiente, per radicare l’avveramento della condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale nei casi di cui al 1° comma dell’art. 5 cit. la semplice proposizione della domanda di mediazione alla quale non segua effettivamente la presenza e la partecipazione (almeno) della parte istante davanti al mediatore. L’art. 5, comma 2 bis, D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dal D.L. n. 96/2013, prevede, al fine di considerare avverata la condizione di procedibilità, che si sia verificato almeno un primo incontro dinanzi al mediatore, sia pure conclusosi senza l’accordo. Poiché solo con acrobazie dialettiche si potrebbe parificare l’incontro (fisico) di cui parla la norma ad un incontro solo cartaceo, qual è quello che si

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determina in presenza di missive, telegrammi, fax o simili, inviati dalle parti renitenti al mediatore, si deve affermare con certezza che in questo secondo caso non si realizzi la condizione di procedibilità prevista dalla legge.

Tribunale di Cassino, ordinanza 8 ottobre 2014, Est. CapuzziIl verbale di mediazione con esito negativo, senza la partecipazione delle parti personalmente o tramite procuratori speciali ad hoc o che comunque abbiano dichiarato di non aderire al procedimento, è nell’un caso ritenuto improduttivo di effetti giuridici e nell’altro caso produttivo di sanzioni, a favore dell’Erario e dell’altra parte, come previsto dalla legge.

Tribunale di Bologna, sez. III, ordinanza 6 novembre 2014, Est. GiannitiLe parti sono tenute a partecipare, assistite dal proprio difensore, all’incontro preliminare, informativo e di programmazione. Detta partecipazione si realizza, per le persone fisiche, mediante partecipazione personale della parte (che può realizzarsi, in presenza di un giustificato motivo, anche a mezzo di supporto digitale, quale skype) ovvero mediante partecipazione di un soggetto dalla stessa delegato con semplice scrittura privata (con firma autenticata dal legale) e, per le persone giuridiche, mediante partecipazione di un soggetto dalle stesse delegato, con semplice scrittura privata (con firma autenticata dal legale), a conoscenza dei fatti di causa e munito dei necessari poteri. In nessun caso il soggetto delegato può coincidere con l’avvocato che assiste la parte nella mediazione delegata.

Tribunale di Firenze, sez. II, ordinanza 26 novembre 2014, Est. BreggiaAnche per la mediazione che precede il giudizio è evidente la necessità che la mediazione sia effettivamente esperita. É vero che nella mediazione demandata il giudice ha già svolto la valutazione di mediabilità in concreto del conflitto, mentre la mediazione che precede il giudizio è imposta dal legislatore sulla base di una valutazione di mediabilità in astratto, in base alla tipologia delle controversie. Tale differenza, però, non incide minimamente sulla natura della mediazione e, quindi, non appare rilevante per ritenere che la condizione di procedibilità possa ritenersi svolta con un mero incontro “preliminare” in cui le parti dichiarano la mancanza di volontà di svolgere la mediazione. Di conseguenza, anche per la mediazione obbligatoria da svolgersi prima del giudizio ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, è necessario che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori come previsto dall’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 7 gennaio 2015, Est. MarzocchiNon può dirsi soddisfatta la condizione del preventivo esperimento del tentativo di mediazione, da non ritenersi una mera formalità processuale, allorché il tentativo di

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mediazione si sia svolto nella forma del solo incontro preliminare, ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010.Per un effettivo esperimento della procedura di mediazione si ritiene necessario che partecipino le parti personalmente o debitamente rappresentate da procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare, assistiti dai rispettivi difensori.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 12 gennaio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 19 gennaio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 22 gennaio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 26 gennaio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 9 febbraio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 16 febbraio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 18 febbraio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 28 febbraio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 2 marzo 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 4 marzo, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 9 marzo, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 16 marzo 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 30 marzo 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 1 aprile 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 7 aprile 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 20 maggio 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 15 giugno 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 17 giugno 2015, Est. MarzocchiTribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 8 gennaio 2016, Est. MarzocchiLa mediazione non può considerarsi esperita con il semplice incontro preliminare, occorrendo a tal fine che le parti – presenti di persona o con procuratori speciali al corrente dei fatti e muniti del potere di conciliare, unitamente ai rispettivi difensori – esprimano avanti al mediatore la volontà di proseguire nella procedura di mediazione oltre l’incontro preliminare.

Tribunale di Siracusa, sez. II, ordinanza 17 gennaio 2015, Est. MuratoreL’esplicito riferimento operato dall’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 alla circostanza che “al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato” implica la volontà di favorire la comparizione personale della parte, quale indefettibile e autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi, dovendo limitarsi a casi eccezionali l’ipotesi che essa sia sostituita da un rappresentante sostanziale, pure munito dei necessari poteri.

Giudice di Pace di Monza, sez. I, ordinanza 28 gennaio 2015, Est. RavennaPerché sia soddisfatta la condizione di procedibilità è necessario che le parti si

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presentino personalmente avanti al mediatore, assistite dai propri legali, e che partecipino all’incontro di mediazione e non solamente a una sessione informativa.

Tribunale di Modena, 9 febbraio 2015In tema di mediazione obbligatoria, ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, deve ritenersi come non assolto dalla parte istante il tentativo attuato attraverso una mera conferenza telefonica con il mediatore, posto che il termine «incontro» presuppone che una riunione tra più persone debba fisicamente sussistere, anche nel caso di mancata partecipazione della parte chiamata.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 19 febbraio 2015, Est. MoriconiAi sensi e per l’effetto del 2° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, come modificato dal D.L. n. 69/2013, è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente.

Tribunale di Vasto, sentenza 9 marzo 2015, Est. PasqualeSia per la mediazione obbligatoria da svolgersi prima del giudizio ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, sia per la mediazione demandata dal giudice ex art. 5, 2° comma, è necessario – ai fini del rispetto della condizione di procedibilità della domanda – che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori, come previsto dal successivo art. 8) all’incontro con il mediatore. Grava su quest’ultimo, in qualità di soggetto istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della procedura, l’onere di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle parti, ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro, sollecitando, anche informalmente, il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione, ovvero dando atto a verbale che, nonostante le iniziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire.La parte che ha interesse contrario alla declaratoria di improcedibilità della domanda ha l’onere di partecipare personalmente a tutti gli incontri di mediazione, chiedendo al mediatore di attivarsi al fine di procurare l’incontro personale tra i litiganti, potendo altresì pretendere che nel verbale d’incontro il mediatore dia atto della concreta impossibilità di procedere all’espletamento del tentativo di mediazione, a causa del rifiuto della controparte di presenziare personalmente agli incontri. Solo una volta acclarato che la procedura non si è potuta svolgere per indisponibilità della parte che ha ricevuto l’invito a presentarsi in mediazione, la condizione di procedibilità può considerarsi avverata, essendo in questo caso impensabile

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183Massimario di giurisprudenza

che il convenuto possa, con la propria colpevole o volontaria inerzia, addirittura beneficiare delle conseguenze favorevoli di una declaratoria di improcedibilità della domanda, che paralizzerebbe la disamina nel merito delle pretese avanzate contro di sé. Negli altri casi e, segnatamente, quando è la stessa parte che ha agito (o che intende agire) in giudizio a non presentarsi personalmente in una procedura di mediazione da lei stessa attivata (anche su ordine del giudice), la domanda si espone al rischio di essere dichiarata improcedibile, per incompiuta osservanza delle disposizioni normative che impongono il previo corretto esperimento del procedimento di mediazione.

Tribunale di Palermo, sez. II, ordinanza 17 marzo 2015, Est. ModicaIn caso di mancata comparizione personale senza giustificato motivo di entrambe le parti davanti all’organismo di mediazione la condizione di procedibilità fissata dall’art. 5, comma 2 bis, D.Lgs. n. 28/2010 è da ritenersi non maturata, atteso che, in conformità alla ratio ispiratrice di quest’ultima, il tentativo di mediazione davanti al surriferito organismo deve essere effettivo e non meramente formale.

Tribunale di Taranto, sez. II, ordinanza 16 aprile 2015, Est. CasaranoNell’ambito della mediazione c.d. delegata dal giudice, che vi sia un obbligo di mediazione effettiva a carico di entrambe le parti lo si desume dal disposto dell’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010: si sanziona infatti la mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo. E nell’espressione mancata partecipazione si deve intendere compresa non solo l’ipotesi dell’assenza, ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, trattandosi di condotte omissive equivalenti, in quanto idonee entrambe a frustrare la stessa possibilità di tentare la mediazione.

Tribunale di Monza, sez. I, ordinanza 21 aprile 2015, Est. De GiorgioTribunale di Monza, sez. I, ordinanza 14 luglio 2015, Est. De GiorgioPer mediazione disposta dal giudice si intende che il tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti, anziché limitarsi al formale primo incontro, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla conseguente procedura di mediazione.

Tribunale di Firenze, sez. III, ordinanza 7 maggio 2015, Est. GhelardiniAl primo incontro davanti al mediatore deve procedersi ad effettiva attività di mediazione, salva la possibilità di redigere verbale negativo in caso di mancato accordo al primo incontro, così concludendosi la procedura.

Tribunale di Milano, sez. I, ordinanza 7 maggio 2015, Est. CattaneoLa mediazione che dispone il giudice ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010

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deve essere effettivamente svolta con la presenza di tutte le parti personalmente, assistite dai rispettivi difensori, non essendo sufficiente l’espletamento della formalità di cui all’art. 8, 1° comma, del D.Lgs. citato, proprie del primo incontro che ha funzione meramente informativa.

Tribunale di Vasto, ordinanza 23 giugno 2015, Est. PasqualeLe parti sono libere di scegliere l’organismo di mediazione al quale rivolgersi, ma sono tenute a partecipare personalmente, assistite dal proprio difensore, all’incontro preliminare, informativo e di programmazione, che si svolgerà davanti al mediatore dell’organismo prescelto e nel quale verificheranno se sussistano effettivi spazi per procedere utilmente in mediazione.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 14 settembre 2015, Est. MarzocchiIl legale, nelle mediazioni c.d. obbligatorie, tanto quelle ex lege, ovvero per materia, ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, quanto quelle iussu iudicis, relative a mediazioni demandate, ex art. 5, 2° comma, ha una mera funzione di assistenza della parte comparsa e non di sua sostituzione e rappresentanza.

Tribunale di Ferrara, sentenza 22 settembre 2015, n. 768, Est. Porreca Le disposizioni di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 (come modificato dalla L. n. 98/2013), lette alla luce del contesto europeo nel quale si collocano, impongono di ritenere che l’ordine del giudice di procedere alla mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 sia da considerarsi osservato soltanto nel caso in cui alla mediazione partecipi la parte personalmente, assistita dal proprio difensore, e non anche nel caso in cui compaia il solo difensore, che dinnanzi al mediatore presenzi anche quale delegato della parte stessa. Il valore e la funzione della mediazione sta nel delineare un ambito informale, diverso dal processo, nel quale ridare la parola alle parti e consentire loro di mettere in gioco i propri interessi al fine di trovare una soluzione che, a prescindere dai profili strettamente tecnico–giuridici del problema, risponda alle loro esigenze di vita, che non coincidono solo e necessariamente con gli specifici interessi in conflitto, ma che hanno una estensione spesso ben maggiore e più complessa. Ciò rende l’attività che è funzionale al (possibile) accordo di mediazione personalissima e, di regola, non delegabile a terzi, salvo casi eccezionali che non possono essere esclusi a priori e nei quali non può essere negato alla parte di scegliere, sulla base dei propri rapporti personali di fiducia, insindacabili da chiunque, il soggetto che, opportunamente delegato, meglio la potrà rappresentare nella mediazione con la controparte.

Tribunale di Reggio Calabria, sez. II, ordinanza 5 ottobre 2015, Est. DelfinoPer “mediazione disposta dal giudice” si intende che il tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti – anziché limitarsi ad incontrarsi e informarsi, non aderendo poi alla proposta del mediatore di procedere – adempiano effettivamente

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185Massimario di giurisprudenza

all’ordine del giudice partecipando alla vera e propria procedura di mediazione, salva l’esistenza di questioni pregiudiziali che ne impediscano la procedibilità.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 26 ottobre 2015, Est. MarzocchiAnche l’incontro svolto in via telematica non esonera dal rispetto dell’art. 8, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 secondo cui “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 14 dicembre 2015, Est. MoriconiAllorché alla procedura di mediazione disposta con ordinanza del giudice – nei cui vari incontri sia sempre stato presente l’attore di persona ed il suo difensore ed invece – le parti convenute siano comparse per il tramite del solo difensore, la partecipazione delle stesse deve considerarsi non rituale. In tal caso, se dal preciso e puntuale resoconto effettuato dal difensore dell’attore a verbale di udienza delle presenze (e assenze) nel procedimento di mediazione, nonché da quanto dichiarato ivi dai difensori delle altre parti, emerge la sussistenza di concrete possibilità conciliative, frustrate nel procedimento di mediazione dalla irrituale partecipazione dei convenuti, anche considerate le conseguenze che possono derivare a carico delle parti dalla mancata o irrituale partecipazione alla mediazione, deve concedersi alle stesse la possibilità di rinnovare la mediazione in modo rituale.

Tribunale di Pavia, sez. III, sentenza 21 dicembre 2015, Est. MarzocchiAi sensi dell’art. 5, comma 1 bis e dell’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28/2010, le parti in mediazione devono partecipare personalmente, assistite dai rispettivi difensori. La formulazione utilizzata dal legislatore, che fa esplicito riferimento alla necessaria assistenza del difensore alla parte che compare avanti al mediatore, induce a ritenere, in via interpretativa, che il difensore nella mediazione abbia il limitato ruolo di assistente della parte e che non possa, quanto meno ai fini del più efficace svolgimento della procedura mediativa, estendere la sua funzione anche alla rappresentanza e alla sostituzione della parte assente, specie nel primo incontro.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 6 gennaio 2016, Est. MarzocchiLa mediazione non può considerarsi ritualmente esperita con un semplice incontro tra i legali delle parti, ancorché i legali si presentino all’incontro muniti di procura speciale per la partecipazione alla mediazione, dal momento che nella detta procedura la funzione del legale, come definita in via interpretativa dall’art. 5, commi 1 bis e 2, D.Lgs. n. 28/2010, è di mera assistenza alla parte comparsa e non, per la formulazione normativa utilizzata e per il migliore e più efficace funzionamento dell’istituto, di rappresentanza della parte assente. Ove, nella specie, una delle parti non si presentasse personalmente al primo incontro avanti al mediatore e

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sia presente solo il suo difensore quale suo rappresentante, la parte presente deve avanzare al mediatore istanza di rinvio della procedura per consentire che la parte assente si presenti personalmente assistita dal difensore.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 8 gennaio 2016, Est. MarzocchiNella scelta dell’organismo di mediazione, i difensori devono privilegiare gli organismi attrezzati per lo svolgimento degli incontri anche in via telematica, al fine di assicurare la partecipazione dei clienti, indipendentemente dalla loro presenza nel luogo dell’incontro col mediatore.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 25 gennaio 2016, Est. MoriconiSolo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio a un convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno) può predicarsi realizzata validamente la impossibilità di iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il procedimento di mediazione (con l’inveramento della condizione di procedibilità e l’assenza di sanzioni). Non così invece ove le parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la possibilità di iniziare la procedura di mediazione, giacché ciò varrebbe a postulare che le parti stesse abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo ha ordinato), ottenendo il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) previsto per il caso in cui la mediazione fosse stata esperita davvero.

Tribunale di Ferrara, sentenza 1 marzo 2016, Est. PorrecaL’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 prevede espressamente che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”: la partecipazione alla mediazione disciplinata dal testo normativo citato può, dunque, dirsi effettiva solo ove la stessa si sia esplicitata ritualmente nei modi e nei termini previsti espressamente dalla legge, ovvero con la partecipazione (a tutti gli incontri del procedimento) della parte personalmente, assistita dal relativo difensore. A nulla, invece, rileva il fatto che la parte non comparsa con il proprio difensore risulti aver pagato la somme dovute per l’avvio della mediazione: la fattura prodotta in atti, infatti, se comprova l’avvenuto pagamento a titolo di “spese di avvio” della procedura di mediazione, certamente non comprova affatto che una parte abbia realmente partecipato, nei modi previsti dalla legge (ovvero con la doverosa assistenza di un avvocato), alla mediazione espletata dalle altre parti.

Tribunale di Verona, sez. III, sentenza 24 marzo 2016, Est. Tommasi Di VignanoIl primo incontro tra le parti e il mediatore ha la funzione di verificare la volontà

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187Massimario di giurisprudenza

e disponibilità delle parti, informate sulla natura e funzione della mediazione cui il mediatore intende procedere, ad “autorizzare” l’avvio della procedura, consentendo loro altresì di fornire le eventuali giustificazioni per non procedervi. Tale ricostruzione è pienamente avallata dall’art. 5, comma 2 bis, D.Lgs. n. 28/2010 che, nell’affermare espressamente che “la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, implicitamente ammette che il primo incontro informativo non è un momento estraneo alla ricerca dell’accordo e che la mediazione possa legittimamente chiudersi al primo incontro, sicché nell’espressione “senza l’accordo” deve necessariamente rientrare anche l’ipotesi che le parti, o una di esse, non intendano tout court proseguire con la mediazione, ritenendo preferibile che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria. In tale prospettiva, l’effettività della mediazione si realizza sic et simpliciter nel mettere le parti nella condizione di prendervi parte, all’interno della cornice procedimentale che la legge predispone come obbligatoria, senza che tuttavia il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione possa essere forzato sino al punto di ritenere non assolta la condizione di procedibilità anche quando la parte, all’esito del primo incontro con il mediatore, rifiuti di proseguire con la mediazione manifestando la chiara e ferma volontà che la controversia sia conosciuta dall’autorità giudiziaria, cioè dall’organo cui l’ordinamento costituzionale conferisce l’attribuzione dei poteri giurisdizionali.

Tribunale di Torino, sez. VI, sentenza 30 marzo 2016, n. 1770, Est. MarinoNon può considerarsi validamente esperito il procedimento di mediazione a cui abbia partecipato la parte personalmente senza l’assistenza del difensore, essendo necessaria, per espressa previsione legislativa, l’assistenza di un avvocato per la validità del procedimento stesso.

Tribunale di Bologna, sez. II, ordinanza 31 marzo 2016, Est. D’OraziLa partecipazione personale delle parti al primo incontro informativo di mediazione, assistite dai difensori, consente loro di potersi esprimere sulla possibilità di proseguire o meno nel procedimento di mediazione.

Tribunale di Reggio Emilia, sez. II, sentenza 7 aprile 2016, Est. BoiardiLaddove dalla disamina del verbale di mediazione prodotto in giudizio emerga che la parte attrice non ha chiesto al mediatore di attivarsi per assicurare la partecipazione personale delle parti (e non del solo difensore munito di mandato), deve ritenersi vi sia stata tacita accettazione della partecipazione del difensore della controparte munito di procura speciale.

Tribunale di Siracusa, sez. II, ordinanza 11 aprile 2016, Est. RizzoNon può dirsi avverata la condizione di procedibilità laddove, dal verbale negativo di

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mediazione prodotto in giudizio, emerga che l’incontro tra le parti non ha condotto ad un concreto confronto tra le stesse sui profili della lite.

Tribunale di Vasto, ordinanza 23 aprile 2016, Est. PasqualeAlle parti non può essere riconosciuto un potere di veto assoluto ed incondizionato sulla possibilità di dare seguito alla procedura di mediazione (addirittura anche nel caso in cui il giudice ne ha disposto l’espletamento ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010), dal momento che una siffatta eventualità si presterebbe al rischio di legittimare condotte delle parti tese ad aggirare l’applicazione effettiva della normativa in materia di mediazione, frustrando la finalità stessa dell’istituto, che non è quella di introdurre una sorta di adempimento burocratico svuotato di ogni contenuto funzionale e sostanziale, ma che – invece – consiste nell’offrire ai contendenti un’utile occasione per cercare una soluzione extra giudiziale della loro vertenza, in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il giudice con la sentenza. Muovendo, dunque, dal principio per cui sono da considerarsi illegittime tutte quelle condotte contrarie alla ratio legis della mediazione e poste in essere dalle parti al solo scopo di eludere il dettato normativo, e facendo specifico riferimento alle determinazioni assunte dalle parti al termine del primo incontro, deve concludersi che, quando il rifiuto ingiustificato di dare seguito al procedimento di mediazione viene opposto dalla parte attrice/istante in mediazione, la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, D.Lgs. n. 28/2010 non può considerarsi soddisfatta.

Tribunale di Milano, sez. I, ordinanza 27 aprile 2016Il tentativo di mediazione non può considerarsi una mera formalità da assolversi con la partecipazione dei soli difensori all’incontro preliminare informativo, essendo evidente che i legali sono già a conoscenza del contenuto e delle finalità della procedura di mediazione ed essendo al contrario necessaria la partecipazione delle parti personalmente – o dei rispettivi procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare – che all’interpello del mediatore esprimano la loro volontà di proseguire nella procedura di mediazione oltre l’incontro preliminare.

Tribunale di Modena, sez. II, ordinanza 2 maggio 2016, Est. MasoniDalla lettura dell’art. 8, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, che univocamente richiama un “primo incontro” (delle parti), emerge che la condizione di procedibilità si considera avverata, anzitutto, laddove si sia svolto un primo incontro (seppur conclusosi senza accordo); ovvero, in altre parole, che le parti si siano fisicamente incontrate alla presenza del mediatore (e con l’assistenza dei rispettivi avvocati). Né potrebbe qualificarsi per tale un incontro meramente cartaceo, ovvero, quello ipotizzabile in presenza di missive, telegrammi o fax inviati dalle parti (renitenti alla comparizione personale) direttamente al mediatore o alla sede dell’organismo.

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189Massimario di giurisprudenza

All’incontro col mediatore devono partecipare le parti personalmente (per quanto sempre assistite dall’avvocato). In quest’ottica, trasparente è la previsione dettata dal 1° comma dell’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 che, lessicalmente, scinde la presenza della parte (personalmente) da quella del difensore per la partecipazione agli incontri di mediazione, di guisa che entrambi devono congiuntamente partecipare al primo incontro ed a quelli successivi. Non avrebbe d’altro canto senso logico prevedere l’attività informativa che il mediatore è tenuto ad esplicare in sede di primo incontro se non in un’ottica informativa a beneficio della parte personalmente comparsa, posto che il difensore, in quanto mediatore di diritto e titolare degli obblighi informativi ex art. 4, 3° comma, nei confronti del cliente, non abbisogna di informazione su funzione e modalità di svolgimento della mediazione. Nell’ottica di garantire lo “svolgimento della mediazione” e considerare attuata la condizione di procedibilità della domanda, appare indispensabile che al primo incontro innanzi al mediatore siano presenti le parti personalmente assistite dal difensore, non essendo sufficiente che compaia unicamente il difensore, nella veste di delegato della parte.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 28 aprile 2016, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 26 maggio 2016, Est. Moriconi Un’interpretazione delle norme del D.Lgs. n. 28/2010 (come modificato ed integrato dal c.d. Decreto del Fare del 2013) che conduca a ritenere che esista il diritto potestativo di non dare corso al provvedimento del giudice che ordina la mediazione demandata ai sensi dell’art. 5, 2° comma, non può in alcun modo essere condivisa. In questa prospettiva, assimilare l’incontro informativo alla “mediazione” è operazione impervia. É la stessa legge, infatti, che definisce la mediazione come cosa diversa rispetto all’incontro informativo, che è una fase preliminare alla mediazione. Predicare al contrario che assolto all’incontro informativo ed a seguito della dichiarata volontà delle parti di non volere procedere alla mediazione si possa considerare quest’ultima – contro l’evidente diversa realtà – egualmente svolta, costituisce una contraddizione logica e giuridica L’impossibilità di procedere oltre l’incontro informativo implica la sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura, essendo da escludere che l’impossibilità possa coincidere con la mera volontà delle parti di non dare inizio alla mediazione.

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7. La mancata partecipazione

7.1 I giustificati motivi dell’assenza in mediazione

Tribunale di Termini Imerese, ordinanza 9 maggio 2012, Est. PirainoL’espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione anche successivamente alla proposizione della controversia è espressamente contemplato dall’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 e la sussistenza di una situazione di litigiosità tra le parti non può di per sé sola giustificare il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è precipuamente volto ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla attribuzione di torti e di ragioni, mirando al perseguimento di un armonico contemperamento dei contrapposti interessi delle parti.

Tribunale di Termini Imerese, ordinanza 28 maggio 2012, Est. PirainoNon costituisce giustificato motivo di impedimento a partecipare al procedimento di mediazione la circostanza che tale procedimento, seppur correttamente instaurato presso l’Organismo di Conciliazione Bancaria, si sia poi svolto in un luogo in cui l’istituto di credito convenuto non possedeva sedi operative, giacché quest’ultimo ben avrebbe potuto, al ricorrere di valide ragioni giustificative, richiedere che le sedute del procedimento si svolgessero presso la sede principale ovvero con modalità telematiche.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, sentenza 5 luglio 2012, Est. Moriconi Non costituisce giustificato motivo per l’assenza al procedimento di mediazione l’affermazione della parte convenuta circa la ritenuta erroneità della sentenza parziale, da essa appellata. Traslando tale ragionamento in generale si potrebbe infatti affermare che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione, e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, sia validamente dispensata dal comparirvi.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 20 luglio 2012, Est. RuvoloLa giustificazione circa la mancata partecipazione relativa a “problemi legati all’età avanzata” dei convenuti non è ammissibile quando l’età non è tale da impedire di comparire in mediazione davanti ad un organismo di mediazione situato in un paese molto vicino a quello di residenza degli stessi convenuti. Inoltre, nulla impedisce di conferire procura ad altra persona al fine di essere rappresentati in mediazione.

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191Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 29 maggio 2014, n. 14521, Est. MoriconiNon è possibile affermare che ogniqualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione, e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, essa sia validamente dispensata dal comparirvi. Così ragionando, infatti, sussisterebbe sempre, in ogni causa, un giustificato motivo di non comparizione, se è vero, com’è vero, che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno. La ragione d’essere della mediazione, del resto, si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti e di interpretazioni che il mediatore esperto tenta di sciogliere, favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 10 luglio 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 30 ottobre 2014, Est. MoriconiSoltanto allorché fosse di palmare ed eclatante evidenza la infondatezza o in fatto o in diritto, o per entrambi i profili, della domanda, si potrebbe ragionevolmente ravvisare una giustificazione della mancata comparizione, senza trarne alcuna conseguenza negativa per il soggetto renitente. In ogni altro caso (vale a dire in ogni situazione di res dubia) la volontaria mancanza di indicazioni motivazionali per la non adesione e comparizione nel procedimento di mediazione (ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis ovvero 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010) – come pure l’esposizione di motivazione di stile – equivale ad assenza di un giustificato motivo.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 21 ottobre 2014, Est. GhelardiniL’estinzione della società è da ritenersi giustificato motivo per la mancata comparsa in sede di mediazione delegata, sicché in tali casi non si deve procede all’applicazione di alcuna sanzione ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Bologna, sez. III, ordinanza 6 novembre 2014, Est. GiannitiNon costituisce motivo che giustifichi la mancata partecipazione alla mediazione la improbabilità di un successo della stessa (per la lontananza delle posizioni delle parti ovvero per la ritenuta impossibilità di evincere dalla mediazione i termini quantitativi della possibile conciliazione). Quanto ai motivi di salute o di lavoro, in caso di impedimento momentaneo a comparire, la parte può chiedere al mediatore di rinviare il già fissato incontro, mentre in caso di impedimento a comparire che si protragga per un lasso di tempo pari, superiore o di poco inferiore ai tre mesi (che costituiscono il periodo previsto per lo svolgimento della mediazione), la parte può partecipare all’incontro di mediazione tramite supporto digitale o tramite soggetto all’uopo delegato.

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Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 19 febbraio 2015, Est. MoriconiLe compagnie di assicurazione tendono a non partecipare, pur quando ritualmente convocate, in mediazione. Si può ipotizzare che tale atteggiamento derivi dalla convinzione che le possibilità conciliative delle istanze risarcitorie rivolte alle assicurazioni dai danneggiati nella materia dell’RCA siano state già pienamente soddisfatte dalla procedura apprestata dagli artt. 145 e segg. D.Lgs. n. 209/2005 (c.d. codice delle assicurazioni private), evidentemente, attesa la presenza della causa, inutilmente e senza frutto esperita, ovvero che tali domande incontrino difficoltà probatorie nonché di altro genere e che pertanto sia inutile, ove convocate, aderire all’invito di partecipare all’esperimento di mediazione. Occorre però richiamare l’attenzione sulla circostanza che, quand’anche solo una limitata percentuale di domande giudiziali meritasse positiva considerazione da parte delle compagnie di assicurazione, proprio in considerazione di ciò non sarebbe giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione. Ciò, in particolare, allorché l’invio in mediazione sia stato effettuato da parte del giudice ai sensi del riformato 2° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010: in tal caso, infatti, si tratta non più di un semplice invito, bensì di un ordine presidiato da sanzioni, che presuppone peraltro il previo esame e la valutazione degli atti di causa da parte del magistrato che l’ha disposto.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 26 marzo 2015, Est. MoriconiIn presenza di un rapporto contrattuale di affidamento di minori alla scuola in base alle norme di cui agli artt. 1218 e segg. c.c. la sussistenza di responsabilità della scuola è in re ipsa allorché il minore riporti gravi lesioni mentre è sotto la vigilanza e la custodia del personale insegnante, sicché la strada (rectius: onere della prova) per una improbabile esclusione della responsabilità è tutta in salita, come usuale allorché si debba provare il caso fortuito. Tale evidente posizione di debolezza impone più che mai la partecipazione della scuola e della compagnia assicuratrice alla procedura di mediazione, di guisa che il rifiuto di partecipare alla mediazione, in simili casi, è del tutto irragionevole, illogico in concreto, ma anche dal punto di vista astratto, ed inescusabile.

Tribunale di Ivrea, sentenza 13 maggio 2015, Est. CosentiniL’assoluta fondatezza della pretesa della parte assente può verosimilmente integrare giustificato motivo circa la sua mancata partecipazione al procedimento di mediazione; in tali casi, la stessa non può quindi essere condannata al pagamento di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Vasto, ordinanza 23 giugno 2015, Est. PasqualeIncombe sul mediatore l’onere di verbalizzare i motivi eventualmente addotti

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193Massimario di giurisprudenza

dalle parti assenti per giustificare la propria mancata comparizione personale e, comunque, di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle stesse, ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro o sollecitando anche informalmente il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione ovvero dando atto a verbale che, nonostante le iniziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire.

Tribunale di Palermo, sez. I, ordinanza 29 luglio 2015, Est. RuvoloNon integra un giustificato motivo per la mancata adesione al procedimento di mediazione l’eccezione di incompetenza territoriale posta a base della dichiarazione di mancata adesione laddove la stessa sia stata successivamente ritenuta infondata dal giudice.

Tribunale di Milano, sez. VI, sentenza 27 ottobre 2015, n. 11997, Est. FerrariLaddove la parte convenuta abbia adeguatamente esplicitato le ragioni per cui non avrebbe partecipato al procedimento di mediazione obbligatorio, non trova applicazione nei suoi confronti la sanzione di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 12 novembre 2015, n. 4006, Est. SciontiLa circostanza che la banca abbia posto in esecuzione il decreto ingiuntivo opposto limitatamente alla debitrice principale e che, nell’ambito di tale procedimento, sia in corso la stima del compendio dei beni a questa pignorati non costituisce di per sé concreto impedimento all’effettivo esperimento del tentativo di mediazione tra la banca medesima ed il fideiussore opponente. Anzi, i risultati di tale stima, una volta conseguiti, potrebbero costituire elemento utile al mediatore per la formulazione di una proposta conciliativa volta alla definizione della posizione del garante.

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 2 dicembre 2015, Est. ModignaniRisulta più che giustificata la mancata adesione della parte convenuta al tentativo di mediazione facoltativa prevista dal D.Lgs. n. 28/2010 allorché la proposta di mediazione individuava l’ammontare della somma richiesta calcolando il danno biologico permanente in ragione di un’invalidità inferiore di quasi il 50% rispetto a quella poi liquidata dal giudice in sentenza.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 14 dicembre 2015, Est. MoriconiI principi relativi alla riservatezza delle dichiarazioni delle parti devono essere riferiti al contenuto sostanziale dell’incontro di mediazione.

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Ogni qualvolta, invece, vengano trasposte all’esterno, anche in udienza, dichiarazioni che riguardino circostanze attinenti alla possibilità di valutare la ritualità (o meno) della partecipazione (o della mancata partecipazione) delle parti al procedimento di mediazione, va predicata la perfetta liceità della loro comunicazione e del loro utilizzo. Ed invero, vale a consentirne la conoscenza da parte del giudice la norma di cui all’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 nonché, in via generale, l’art. 96, 3° comma, c.p.c. Sarebbe infatti insolubile aporia ammettere da una parte che il giudice debba sanzionare la mancata o irrituale partecipazione delle parti al procedimento di mediazione e per contro impedirgli di conoscere gli elementi fattuali e storici che tale ritualità o meno concretizzino. Conclusivamente, il mediatore deve – e chiunque ne abbia interesse può – trascrivere ogni elemento fattuale utile a consentire al giudice di valutare la ritualità della partecipazione o la mancata partecipazione delle parti al procedimento di mediazione.

Tribunale di Monza, sez. II, sentenza 15 dicembre 2015, n. 3096, Est. GrecoNon si può ritenere che la mancata partecipazione del condominio convenuto al procedimento di mediazione sia avvenuta “senza giustificato motivo” – e ciò almeno nell’accezione del difetto di “giustificato motivo” rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 – laddove ciò sia dipeso dal condivisibile obiettivo di non gravare l’ente condominiale (anche) delle spese del procedimento di cui al D.Lgs. n. 28/2010, in un contesto in cui, stante anche la spiccata litigiosità tra le parti, le prospettive di raggiungere un accordo in sede di mediazione apparivano assai scarse.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 17 dicembre 2015, Est. Moriconi È viziato da manifesta miopia logico–giuridica il tentativo di giustificare il rifiuto alla partecipazione alla mediazione affermando e ribadendo la propria ragione e l’altrui torto, dal momento che se questa fosse infatti una valida ragione per non partecipare al procedimento di mediazione, la mediazione stessa non potrebbe esistere tout court, posto che alla base della sua ragione d’essere vi è, immancabilmente, una divergenza di vedute fra le parti in conflitto, e precisamente su dove sia allogata la ragione e dove il torto.

Tribunale di Pavia, sez. III, sentenza 21 dicembre 2015, Est. MarzocchiA fronte della possibilità di incontro tra le parti ed il mediatore con modalità telematiche, la mancata partecipazione al primo incontro di mediazione non può essere giustificata dal semplice fatto che il legale rappresentante di una parte sia domiciliato all’estero.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 25 gennaio 2016, Est. MoriconiIn mancanza di qualsiasi dichiarazione, autorizzativamente verbalizzata, della

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195Massimario di giurisprudenza

parte, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato e le conseguenze di tale rifiuto – ingiustificato – di procedere nella mediazione sono sovrapponibili alla mancanza tout court della (partecipazione alla) mediazione, con quanto ne può conseguire.

Tribunale di Udine, sentenza 27 gennaio 2016, n. 94, Est. GigantescoConsiderare motivo sufficiente per giustificare la mancata partecipazione al procedimento di mediazione la presunta intempestività dell’attivazione del procedimento stesso svuota di significato l’obbligo di parteciparvi, la cui inosservanza è sanzionata con la condanna al pagamento di una somma pari al contributo unificato versato per l’introduzione della lite.

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 28 gennaio 2016, Est. De GiorgioNon può ritenersi giustificata la mancata partecipazione della convenuta al procedimento di mediazione obbligatoria esperito ante causam allorché l’indennizzo richiesto sia risultato dovuto a prescindere dalla fondatezza o meno delle dichiarazioni rilasciate dalla controparte; né rilevano a tale proposito i contatti tenuti dalle parti a fini transattivi al di fuori del procedimento di mediazione obbligatorio.

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 10 febbraio 2016La mancata partecipazione del convenuto al procedimento di mediazione non può essere ritenuta ingiustificata in caso di accertata infondatezza della domanda dell’attore.

Tribunale di Verona, sez. III, sentenza 16 febbraio 2016, Est. VaccariLa volontà di rimarcare l’opposizione agli assunti della controparte, che presuppone la convinzione della fondatezza di quelli propri, non può integrare un motivo di assenza alla procedura di mediazione idoneo a sottrarre la parte assente all’applicazione della sanzione pecuniaria prevista all’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010. In caso contrario, infatti, non vi sarebbe mai occasione per applicare la norma citata dal momento che, a ben vedere, ciascuna parte che agisce o resiste in giudizio è mossa dalla fondatezza dei propri assunti.

Tribunale di Milano, sez. VI, sentenza 9 marzo 2016, Est. FerrariAi fini di valutare i giustificati motivi in ragione dei quali una parte non abbia potuto partecipare al procedimento di mediazione, non è possibile tenere conto della comunicazione email prodotta in giudizio, e non menzionata nel verbale di mancata conciliazione, laddove si tratti di invio non attraverso posta certificata e quindi senza capacità di prova dell’effettivo inoltro.

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Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 10 marzo 2016, n. 328, Est. BenattiLa procedura di mediazione per convocazione telefonica ed un ritardo plurimensile per il suo avvio giustificano pienamente il rifiuto della controparte a partecipare alla procedura, con conseguente inconfigurabilità, nei suoi confronti, della responsabilità prevista dall’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 22 marzo 2016, Est. BulgarelliNon costituisce giustificato motivo di assenza della parte in mediazione la volontà della stessa, dichiarata in udienza, di “non gravare il procedimento di ulteriori costi”.

Tribunale di Vasto, ordinanza 23 aprile 2016, Est. PasqualeAi fini dell’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 il rifiuto deve considerarsi non giustificato sia nel caso di mancanza di qualsiasi dichiarazione della parte sulla ragione del diniego a proseguire il procedimento di mediazione, sia nell’ipotesi in cui la parte deduca motivazioni inconsistenti o non pertinenti rispetto al merito della controversia. In tal senso, non potrà – ad esempio – mai costituire giustificato motivo per rifiutarsi di partecipare alla mediazione la convinzione di avere ragione o la mancata condivisione della posizione avversaria, per la evidente contraddittorietà, sul piano logico prima ancora che giuridico, che tale argomentazione sottende, atteso che il presupposto su cui si fonda l’istituto della mediazione è, per l’appunto, che esista una lite in cui ognuno dei contendenti è convinto che egli abbia ragione e che l’altro abbia torto, lite che il mediatore tenterà di comporre riattivando il dialogo tra le parti e inducendole ad una reciproca comprensione delle rispettive opinioni. Laddove nel verbale del primo incontro di mediazione non sia riportata nessuna indicazione, neppure sommaria, in merito alle eventuali ragioni che hanno indotto la parte invitata a non voler iniziare la procedura di mediazione, è preclusa al giudicante ogni valutazione in ordine alla sussistenza di possibili profili di giustificatezza del rifiuto opposto dalla stessa alla prospettiva di proseguire nel procedimento di mediazione, di talché, non potendo apprezzare le ragioni che hanno indotto la parte ad interrompere il tentativo di mediazione al primo incontro, il rifiuto deve considerarsi non giustificato.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 28 aprile 2016, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 26 maggio 2016, Est. MoriconiIn mancanza di qualsiasi dichiarazione, che le parti possono richiedere di verbalizzare liberando in tal modo il mediatore dall’obbligo di riservatezza, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato. Invero, la regola di base espressa dal D.Lgs. n. 28/2010 è l’obbligatorio svolgimento del procedimento di mediazione di cui agli artt. 5, commi 1 bis e 2; ne consegue che il rifiuto di procedere e partecipare alla mediazione costituisce la violazione della regola e che, come per ogni violazione, in qualsiasi sistema, è la parte che invoca una giustificazione scriminante a doverla quanto meno allegare.

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197Massimario di giurisprudenza

7.2 Le conseguenze della mancata partecipazione

Tribunale di Napoli, ordinanza 30 aprile 2012Il giudice può emettere un’ordinanza di condanna, in corso di causa, nell’immediatezza dell’accertamento della condotta elusiva della procedura di mediazione e anticipatamente rispetto alla sentenza, al pagamento di una somma di denaro corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio, nonostante la mancata conversione in legge dell’art. 12 D.L. n. 212/2011, da parte della L. n. 10/2012, che espressamente disciplinava il potere per il giudice, entro la prima udienza di comparizione delle parti ovvero all’udienza successiva di cui all’art. 5, 1º comma, D.Lgs. n. 28/2010, di pronunciare d’ufficio l’ordinanza non impugnabile di condanna al pagamento della suddetta somma.

Tribunale di Termini Imerese, ordinanza 9 maggio 2012, Est. PirainoAi sensi dell’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010, nel testo modificato dall’art. 2, comma 35 sexies del D.L. n. 138/2011, va pronunciata condanna al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio nei confronti della parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5 del medesimo decreto legislativo, non abbia partecipato al procedimento senza giustificato motivo. La lettera dell’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna ivi disciplinata ogniqualvolta la parte che non ha partecipato al procedimento non fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta.L’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010 prescinde del tutto dall’esito del giudizio, non potendosi ritenere necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia. Di conseguenza, essa ben può essere irrogata anche in corso di causa e in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.

Tribunale di Lamezia Terme, sentenza 22 giugno 2012, Est. IanniIn forza del criterio generale di cui all’art. 91 c.p.c., le spese di lite vanno poste a carico della parte che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo ad una pretesa fondata, abbia dato causa al processo o alla sua protrazione e che debba qualificarsi tale in relazione all’esito finale della controversia. Causare un processo, tuttavia, significa anche costringere alla sopportazione di un’iniziativa giudiziaria rivelatasi incompleta, per la mancata ottemperanza agli oneri procedurali sottesi alla sua definizione. Se, quindi, è vero che, in generale, il termine per la mediazione viene per legge assegnato ad entrambe le parti, è altrettanto evidente che in assenza di domande riconvenzionali la parte evocata in giudizio può non avere alcun interesse alla procedibilità dell’azione, sicché non sussistono le gravi ed eccezionali ragioni richieste dalla legge per la compensazione delle spese.

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Tribunale di Siena, sentenza 25 giugno 2012, n. 209, Est. CaramellinoIl comportamento della parte volto ad eludere l’obbligatorietà della media–conciliazione, in quanto comportamento elusivo della prescrizione legale di un presupposto processuale costituente norma imperativa – poiché posta a presidio del giusto processo e della sua ragionevole durata mediante la complessiva deflazione del contenzioso civile – integra gli estremi della frode alla legge.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, sentenza 5 luglio 2012, Est. MoriconiLa mancata comparizione in sede di mediazione non può di per sé costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto, posto che l’argomento di prova di cui all’art. 116 c.p.c., richiamato dall’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010, attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delle prove libere, ai fini dell’accertamento del fatto. Si può quindi affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa. Secondo le circostanze del caso concreto, tuttavia, gli argomenti di prova che possono essere tratti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o delegata, pertiene, a seconda dei casi possono costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero unica e sufficiente fonte di prova.La sussistenza di un giustificato motivo per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione costituisce elemento che esonera dall’applicazione della sanzione prevista dall’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010 e deve essere conseguentemente provata da chi la invoca.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 20 luglio 2012, Est. RuvoloLa sanzione pecuniaria di cui all’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010 riguarda una sanzione imposta dallo Stato e non un rimborso all’attore delle spese per il contributo unificato, per cui non vi è la necessità che la valutazione del giudice sull’imposizione di tale sanzione venga fatta in sede di decisione sul regime delle spese di lite in sentenza, nulla escludendo che anche prima della sentenza il giudice possa emettere la condanna in questione. Ciò purché sia chiaro il motivo della mancata comparizione, motivo che può essere esplicitato dal convenuto già in comparsa di risposta o alla prima udienza, con conseguente possibilità di emettere in quest’ultima sede la relativa condanna. Si dovrà invece aspettare la scadenza delle preclusioni istruttorie di cui ai termini ex art. 183, 6° comma, c.p.c. o la fine della fase istruttoria quando il motivo sia allegato e si intenda provarlo per testimoni o con documenti da depositare nei detti termini.

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199Massimario di giurisprudenza

La valutazione sulla sanzione economica in questione andrà infine effettuata nella fase decisoria quando essa sia costituita, ad esempio, dalla temerarietà della lite.Se non viene addotta alcuna ragione della mancata partecipazione o se il motivo fatto valere non è ritenuto dal giudice giustificato la condanna è automatica, posto che la legge non attribuisce al giudice alcun potere discrezionale, prevedendo la norma che in assenza di giustificato motivo il giudice “condanna”. Non è infatti utilizzata l’espressione “può condannare”, che sarebbe stata invece indicativa di una facoltà attribuita al giudice, analogamente a questo disposto nella prima parte del 5° comma a proposito degli argomenti di prova. Non è possibile condannare chi, non comparso in mediazione, sia rimasto contumace pure in giudizio. Deve infatti ritenersi che la normativa renda possibile una condanna solo nei confronti della “parte costituita”, poiché altrimenti si sarebbe introdotta una sanzione indiretta della contumacia a forte rischio di incostituzionalità. Ciò che, invece, si è voluto tentare di evitare è che chi vuol far valere le proprie ragioni in giudizio in relazione alle richieste dell’attore possa agevolmente sottrarsi al tentativo di conciliazione.

Tribunale di Modena, sez. II, sentenza 23 novembre 2012, n. 1789, Est. MasoniLa parte che, senza addurre legittimo impedimento, non si sia presentata e non abbia partecipato alla procedura di mediazione dimostra un marcato ed ingiustificato disinteresse per un componimento extra giudiziario in funzione deflattiva del contenzioso e, quand’anche risulti vittoriosa all’esito della lite, va comunque sanzionata con la condanna al rimborso di importo corrispondente al contributo unificato previsto per la causa a favore dell’entrata del bilancio dello Stato.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 29 maggio 2014, n. 14521, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 10 luglio 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 17 dicembre 2015, Est. MoriconiL’art. 8, comma 4 bis, prima parte, D.Lgs. n. 28/2010 prevede che dalla alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice possa desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c. Tale norma, a differenza della seconda parte del medesimo articolo (relativa al contributo unificato) che riguarda solo le parti costituite, si applica a tutte le parti.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 10 luglio 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 30 ottobre 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 26 marzo 2015, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 17 dicembre 2015, Est. MoriconiLa mancata comparizione in sede di mediazione non può di per sé costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto, posto che l’argomento di prova di cui

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all’art. 116 c.p.c., richiamato dall’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010, attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delle prove libere, ai fini dell’accertamento del fatto. Si può quindi affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa. Secondo le circostanze del caso concreto, tuttavia, gli argomenti di prova che possono essere tratti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o delegata, pertiene, a seconda dei casi possono costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero unica e sufficiente fonte di prova.

Tribunale di Treviso, sez. I, sentenza 15 luglio 2014, Est. BarbazzaNon può trovare accoglimento la domanda di condanna al risarcimento delle somme versate per l’attivazione della procedura di mediazione alla quale la controparte non si è presentata. Tale risarcimento presuppone, infatti, l’esistenza di un’attività illecita, mentre nel comportamento della parte che ha deciso di non presentarsi nemmeno all’appuntamento stabilito per il tentativo di mediazione non può ravvisarsi alcun elemento di antigiuridicità, non essendo contra ius, in quanto non vietata da alcuna disposizione, l’assenza ad una procedura di mediazione.

Tribunale di Bologna, sez. III, ordinanza 6 novembre 2014, Est. GiannitiNella mediazione delegata dal giudice, la mancata e ingiustificata partecipazione personale delle parti all’incontro preliminare non determina la improcedibilità della domanda, ma costituisce argomento di prova ex art. 116, 2° comma, c.p.c. e comporta la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria (dall’ammontare pari al contributo unificato).

Tribunale di Livorno, sentenza 8 gennaio 2015, n. 20, Est. ArcudiTribunale di Firenze, sez. III, ordinanza 3 giugno 2015, Est. GuidaTribunale di Mantova, sez. II, sentenza 15 marzo 2016, Est. BenattiTribunale di Mantova, sez. II, sentenza 22 marzo 2016, Est. BulgarelliTribunale di Belluno, sentenza 8 aprile 2016, Est. ArgentieriTribunale di Pescara, ordinanza 13 aprile 2016, Est. CasarellaTribunale di Milano, sez. VI, sentenza 18 aprile 2016, n. 4808, Est. FerraciTribunale di Pescara, ordinanza 20 aprile 2016, Est. CasarellaL’intimato che non risulti aver partecipato al procedimento di mediazione senza validamente giustificare tale mancata partecipazione, va condannato ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

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201Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 11 febbraio 2015, n. 446, Est. GhelardiniAi sensi dell’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 e successive modifiche, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione discendono due conseguenze: in primis il giudice può desumere argomenti di prova ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c.; in secondo luogo, è prevista la condanna della parte costituita al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 19 febbraio 2015, Est. MoriconiLa mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.

Tribunale di Vasto, ordinanza 23 giugno 2015, Est. PasqualeLa mancata partecipazione personale delle parti senza giustificato motivo agli incontri di mediazione può costituire, per la parte attrice, causa di improcedibilità della domanda e, in ogni caso, per tutte le parti costituite, presupposto per l’irrogazione – anche nel corso del giudizio – della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010, oltre che fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c.

Tribunale di Palermo, sez. I, ordinanza 29 luglio 2015, Est. RuvoloLa sanzione pecuniaria di cui all’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010 riguarda una sanzione imposta dallo Stato e non un rimborso all’attore delle spese per il contributo unificato, per cui non vi è la necessità che la valutazione del giudice sull’imposizione di tale sanzione venga fatta in sede di decisione sul regime delle spese di lite in sentenza, nulla escludendo che anche prima della sentenza il giudice possa emettere la condanna in questione. Ciò purché sia chiaro il motivo della mancata comparizione, motivo che può essere esplicitato dal convenuto già in comparsa di risposta o alla prima udienza, con conseguente possibilità di emettere in quest’ultima sede la relativa condanna. Si dovrà invece aspettare la scadenza delle preclusioni istruttorie di cui ai termini ex art. 183, 6° comma, c.p.c. o la fine della fase istruttoria quando il motivo sia allegato e si intenda provarlo per testimoni o con documenti da depositare nei detti termini. La valutazione sulla sanzione economica in questione andrà infine effettuata nella fase decisoria quando essa sia costituita, ad esempio, dalla temerarietà della lite. Se non viene addotta alcuna ragione della mancata partecipazione o se il motivo fatto valere non è ritenuto dal giudice giustificato la condanna è automatica, posto che la legge non attribuisce al giudice alcun potere discrezionale, prevedendo

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la norma che in assenza di giustificato motivo il giudice “condanna”. Non è infatti utilizzata l’espressione “può condannare”, che sarebbe stata invece indicativa di una facoltà attribuita al giudice, analogamente a questo disposto nella prima parte del 5° comma a proposito degli argomenti di prova. Non è possibile condannare chi, non comparso in mediazione, sia rimasto contumace pure in giudizio. Deve infatti ritenersi che la normativa renda possibile una condanna solo nei confronti della “parte costituita”, poiché altrimenti si sarebbe introdotta una sanzione indiretta della contumacia a forte rischio di incostituzionalità. Ciò che, invece, si è voluto tentare di evitare è che chi vuol far valere le proprie ragioni in giudizio in relazione alle richieste dell’attore possa agevolmente sottrarsi al tentativo di conciliazione.

Tribunale di Pavia, sez. III, sentenza 12 ottobre 2015, Est. MarzocchiIl D.Lgs. n. 28/2010 ha istituito un sistema di sanzioni per le parti renitenti alla mediazione: si va dalla sanzione più grave dell’improcedibilità della domanda giudiziale a sanzioni processuali come la facoltà per il giudice di valutare il comportamento delle parti rispetto alla mediazione come elemento di valutazione ai fini della decisione, ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c. o alla sanzione pecuniaria della condanna della parte al pagamento in favore del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato per il giudizio. Spetta al giudice il compito di applicare le sanzioni al caso concreto, distinguendo tra quelle situazioni in cui il comportamento delle parti va sanzionato più gravemente con l’improcedibilità, per non aver le parti nemmeno avviato la mediazione, da quelle meno gravi, che si configurano quando la partecipazione alla mediazione non sia stata rispettosa dell’art. 8, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, che prevede la presenza di parti e avvocati dall’incontro preliminare fino all’ultimo incontro di procedura, sanzionabili invece con la condanna al pagamento del contributo unificato.

Tribunale di Ferrara, sentenza 30 ottobre 2015, n. 927, Est. ArcaniDeve applicarsi la previsione di cui al 5° comma dell’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 laddove la parte non abbia partecipato, senza addurre alcun giustificato motivo, al procedimento di mediazione.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 12 novembre 2015, Est. VaccariLa mancata partecipazione al procedimento di mediazione svoltosi in corso di causa, non sostenuta da alcuna giustificazione, ben può essere valorizzato ai fini della decisione della causa alla luce del disposto di cui all’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010.La condanna al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato ai sensi dell’art. 8, 5° comma, D.Lgs. n. 28/2010, avendo natura sanzionatoria, va adottata nei confronti di ciascuna delle parti che non abbiano partecipato al procedimento di mediazione senza giustificato motivo e ciò, a fortiori quando le loro posizioni non siano inscindibili ed esse possano quindi valutare indipendentemente, l’una dall’altra, di aderire alla prospettiva conciliativa.

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203Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 1 dicembre 2015, Est. MarianiLaddove una parte non abbia partecipato, pur regolarmente convocata, senza addurre alcun giustificato motivo, al procedimento di mediazione, la stessa va condannata al pagamento in favore dello Stato di una somma pari all’importo dovuto per il contributo unificato ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010; e tale condanna ben può essere pronunciata prima della decisione della causa principale.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 17 dicembre 2015, Est. MoriconiIn caso di mancata e ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione, nonostante l’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 predisponga specifici deterrenti, può senz’altro applicarsi anche la sanzione di cui all’art. 96, 3° comma, c.p.c., in forza del brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit. Invero, l’art. 96 c.p.c. è norma aperta, cioè di generale applicazione, e non può neppure concettualmente essere ipotizzata, pena una grave aporia, un’interpretazione che condizioni il suo perimetro applicativo all’esistenza di una espressa previsione per singoli casi. Ciò trova del resto conferma nello stesso D.Lgs. n. 28/2010 che, all’art. 13, all’atto di prevedere una specifica disciplina delle spese di causa in materia di proposta del mediatore irragionevolmente non accettata, fa comunque salva l’applicabilità degli artt. 92 e 96 c.p.c. Quindi, è giocoforza affermare che sono piuttosto gli strumenti previsti dall’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 ad aggiungersi, in virtù di una specifica previsione di legge, alle norme di generale applicazione (qual è l’art. 96 c.p.c.), per le quali non è necessario uno specifico richiamo.La possibilità di applicare l’art. 96, 3° comma, c.p.c., nel caso di ingiustificata partecipazione della parte convocata al procedimento di mediazione delegata, deriva dai seguenti e convergenti parametri logico–sistematici: nel caso dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 il giudice ha effettuato una valutazione di mediabilità concreta e specifica, sicché il disvalore del rifiuto di partecipare all’incontro è ben più elevato rispetto al caso della mediazione obbligatoria; l’applicazione della misura sanzionatoria non è una conseguenza automatica della mancata partecipazione, ma di una valutazione specifica e complessiva della condotta del soggetto renitente con riferimento, fra l’altro, all’assenza di giustificati motivi per non partecipare ed al grado di probabilità del raggiungimento di un accordo in caso di partecipazione, di guisa che tanto più alte ed evidenti si appalesano tali possibilità, tanto più grave e meritevole di sanzione si connota l’ingiustificato rifiuto; il collegamento, già insito nell’essere la mediazione condizione di procedibilità, fra procedimento giudiziario (causa) e procedimento esterno (mediazione) è strettissimo e sincronico nella mediazione demandata; la doverosità della partecipazione delle parti al procedimento di mediazione acquista ben più pregnante spessore e cogenza a seguito della mediazione demandata riformata, nella quale l’ordine (e non come nel testo previgente un mero invito) del giudice si rivolge direttamente a tutte le parti, nessuna esclusa, rendendo manifesta ed esplicita la doverosità della

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partecipazione al procedimento di mediazione. Emerge quindi con evidenza che con l’applicazione dell’art. 96, 3° comma, c.p.c. viene sanzionata la condotta del soggetto renitente prima di tutto processuale, cioè interna ed appartenente alla causa, dove tale espressione afferisce alla scelta del soggetto di non tenere nella giusta considerazione l’ordine impartitogli dal giudice, opponendogli un ingiustificato rifiuto. Ne consegue che l’applicazione della norma in questione alla fattispecie della mancata partecipazione al procedimento di mediazione demandata non è solo questione ed interesse dell’istituto della mediazione, ma ben di più e prima, di disciplina del processo e di condotta processuale, che si qualifica scorretta e sanzionabile proprio nella misura in cui senza valida ragione viene disatteso un ordine legalmente dato dal giudice.La parte che non abbia partecipato alla mediazione, per quanto ingiustificata sia la sua assenza, subisce l’applicazione (certa) di una sanzione pari al contributo unificato, all’evidenza di scarsa o nulla deterrenza (essendo una somma fissa, del tutto imbelle per soggetti possidenti, come enti, assicurazioni o banche), e l’eventuale utilizzo da parte del giudice dell’art. 116 c.p.c. che, nel caso in cui la soccombenza sia stata per altro verso già attinta, è del tutto fuori luogo ed inutile. Quindi, in moltissimi casi e nella sostanza, non vi è nel D.Lgs. n. 28/2010 a carico del convocato che non voglia pregiudizialmente partecipare al procedimento di mediazione nessuna sanzione. Da ciò la sostanziale equità costituzionale dell’utilizzo dell’art. 96, 3° comma, c.p.c. (anche) in funzione riequilibratrice delle posizioni delle parti rispetto ai mezzi legali applicabili per rendere effettiva la loro partecipazione all’esperimento di mediazione.L’inottemperanza, ingiustificata, delle parti (di regola quella convocata, posto che per l’istante sussiste adeguata sanzione), all’ordine del giudice ex art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010, non solo di introdurre, ma di partecipare effettivamente alla mediazione, costituisce sempre grave inadempienza, dalla quale ben può discendere, secondo le circostanze del caso, l’applicazione della sanzione di cui al 3° comma dell’art. 96 c.p.c. Dal punto di vista soggettivo, infatti, il comportamento della parte convocata che volontariamente e consapevolmente si sottrae all’obbligo, derivante dall’ordine impartito dal giudice, di presentarsi e partecipare alla mediazione, di cui era perfettamente a conoscenza, integra non solo gli estremi della colpa grave richiesti dalla norma, bensì addirittura quelli, più gravi, del dolo. Del resto, il volontario ed ingiustificato rifiuto di aderire ad un ordine del giudice civile, legittimamente dato, va sempre considerato grave ed infatti l’ordinamento prevede rimedi, sanzioni e deterrenti di variegata natura e contenuto, a carico della parte (e talvolta anche del terzo) renitente.

Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 22 dicembre 2015, Est. MarianiLa mancata partecipazione personale delle parti senza giustificato motivo al primo incontro di mediazione può costituire, per tutte le parti costituite, presupposto

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205Massimario di giurisprudenza

per l’irrogazione – nel corso del successivo instaurando giudizio – della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010, oltre che fattore da cui desumere argomenti di prova, anche in caso di mancata prosecuzione oltre il primo incontro informativo, ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c.

Tribunale di Mantova, sez. I, ordinanza 22 dicembre 2015, Est. BernardiTribunale di Mantova, sez. I, ordinanza 14 giugno 2016, Est. BernardiL’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 non indica la forma del provvedimento con cui la sanzione ivi prevista deve essere irrogata. Tuttavia, considerato che tale norma dispone una sanzione per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione, prescindendo del tutto dall’esito della causa, viene in rilievo l’art. 176 c.p.c., secondo cui tutti i provvedimenti del giudice istruttore, salvo che la legge disponga diversamente, hanno la forma dell’ordinanza, nonché l’art. 179 c.p.c. che, in tema di sanzioni, è norma che esprime un principio di carattere generale.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 9 febbraio 2016, n. 176, Est. BenattiLa mancata partecipazione al procedimento di mediazione non determina l’applicazione della sanzione di cui all’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010, così come introdotto dall’art. 84, 1° comma, lett. h), D.L. n. 69/2013, allorché l’introduzione del giudizio sia avvenuta prima dell’entrata in vigore di tale ultima norma.

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 10 febbraio 2016La mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, a norma dell’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010, non determina la condanna al pagamento delle spese di mediazione nei confronti della controparte, bensì la condanna al pagamento in favore dell’Erario di un importo corrispondente a quello del contributo unificato.

Tribunale di Verona, sez. III, sentenza 16 febbraio 2016, Est. VaccariLe risultanze già raggiunte in sede di giudizio non possono essere sovvertite dal solo argomento di prova, costituito dalla mancata partecipazione dei convenuti al procedimento di mediazione promosso ante causam, desumibile dall’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010.La previsione di cui all’art. 8, comma 4 bis, secondo periodo, D.Lgs. n. 28/2010 (condanna al pagamento in favore dello Stato di una somma pari all’importo dovuto per il contributo unificato per la parte che non ha partecipato al procedimento di mediazione) trova applicazione anche nel caso di mediazione volontaria e non solo in quello di mediazione obbligatoria, come si evince dalla sua collocazione all’interno di una norma che regola il procedimento di mediazione in generale. Ancora, essa prescinde totalmente dalla soccombenza nel successivo giudizio atteso che, in attuazione del principio di causalità, mira a sanzionare la parte che, sottraendosi alla procedura stragiudiziale, provoca il giudizio stesso.

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Tribunale di Larino, sentenza 6 aprile 2016, Est. GuarinielloDalla mancata partecipazione, senza giustificato motivo, della parte convenuta all’incontro svoltosi innanzi all’organismo di mediazione investito dall’attore dell’esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria tra le medesime parti, deve trarsi argomento di prova in merito alla fondatezza della domanda attorea, ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c., così come stabilito espressamente nel novellato art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010. Non può invece essere applicata la sanzione prevista nel predetto disposto dell’art. 8, comma 4 bis, seconda parte, D.Lgs. n. 28/2010 ove la parte che non ha partecipato al procedimento di mediazione non si sia neppure costituita in giudizio.

Tribunale di Mantova, sez. II, sentenza 11 aprile 2016, n. 450, Est. FioroniNon sussistono le condizioni per condannare la parte convenuta al pagamento della sanzione prevista dall’art. 8 D.Lgs. n. 28/2010 laddove sia provato documentalmente che la stessa, dopo essersi presentata al primo incontro aderendo all’istanza di mediazione, ha ritenuto di non aderire alla proposta conciliativa avanzata dalla controparte, informando il mediatore dell’intenzione di astenersi dal comparire alla udienza successiva; in tali casi, infatti, non si versa nell’ipotesi prevista dalla norma citata.

Tribunale di Vasto, ordinanza 23 aprile 2016, Est. PasqualeLe conseguenze, anche di natura sanzionatoria, previste dall’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 non scattano soltanto nel caso di assenza ingiustificata della parte al primo incontro di mediazione, ma operano anche nel distinto ed ulteriore caso in cui la parte presente al primo incontro, esprimendosi negativamente sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, non espliciti le ragioni di tale diniego ovvero adduca motivazioni ingiustificate, in tal modo rifiutandosi di partecipare, immotivatamente, a quella fase del procedimento di mediazione che si svolge all’esito del primo incontro. Ciò, in ragione della dirimente considerazione per cui, quando il citato art. 8 parla di “mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione”, esso deve intendersi riferito non soltanto al primo incontro (che non è altro che un segmento della intera procedura), ma anche ad ogni ulteriore fase del procedimento, ivi inclusa – in primis – quella che dà inizio alle sessioni di mediazione effettiva. Quando il rifiuto ingiustificato di dare seguito al procedimento di mediazione viene formulato, oltreché dalla parte attrice/istante, anche o soltanto dalla parte convenuta/invitata in mediazione, sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 ed, in particolare, per l’irrogazione – anche nel corso del giudizio – della sanzione pecuniaria ivi prevista (condanna al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo dovuto per il giudizio) e ricorre, altresì, un fattore da cui desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c., nel prosieguo del giudizio.

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207Massimario di giurisprudenza

La sanzione pecuniaria in favore dello Stato ben può essere irrogata anche in corso di causa e in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio, non emergendo dalla lettura dell’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 dati normativi contrari alla propugnata interpretazione.

Tribunale di Torre Annunziata, sez. II, sentenza 7 maggio 2016, Est. BarbatoVa condannata, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio la parte che non ha contestato la ritualità della sua convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione, né ha giustificato la sua mancata partecipazione allo stesso.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 23 giugno 2016, Est. MoriconiDeve tenersi conto, nella determinazione dell’ammontare dei compensi, della condotta processuale della parte convenuta che non abbia partecipato, senza alcuna ragione, alla mediazione disposta dal giudice. Tuttavia, in assenza di soccombenza la stessa non può essere condannata ex art. 96, 3° comma, c.p.c. per una condotta pur sicuramente censurabile, sotto il profilo della mancata ottemperanza all’ordine del giudice di partecipare alla mediazione demandata. Infatti, la norma in questione prevede e postula la soccombenza del soggetto che ha posto in essere la condotta censurabile alla stregua di tale norma, al contrario di quanto previsto dall’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 che, in perfetta simmetria con la natura dell’istituto (della mediazione), ne prescinde.

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8. La mediazione e l’usucapione

Tribunale di Roma, sez. V, decreto 22 luglio 2011, Est. DedatoL’istituto dell’usucapione, quale modo di acquisto del diritto di proprietà e dei diritti reali di godimento, rientra nel novero delle controversie soggette alla mediazione obbligatoria.L’art. 11 del D.Lgs. n. 28/2010 prevede la trascrivibilità del verbale di conciliazione nei registri immobiliari allorquando la mediazione si risolva in un accordo coincidente con uno degli atti previsti dalla disposizione normativa di cui all’art. 2643 c.c. Il verbale di conciliazione avente ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta usucapione del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento non si risolve in uno di tali accordi, perché non realizza un effetto modificativo, estintivo o costitutivo, ma assume al contrario il valore di un mero negozio di accertamento, con efficacia dichiarativa e retroattiva, finalizzato a rimuovere l’incertezza, mediante la fissazione del contenuto della situazione giuridica preesistente. Pertanto, il verbale di conciliazione in esame, non essendo riconducibile ad una delle ipotesi di cui all’art. 2643 c.c. non può in forza di detta norma essere trascritto.L’art. 2651 c.c. prevede la trascrizione delle sentenze da cui risulta acquistato per usucapione uno dei diritti indicati dai numeri 1, 2 e 4 dell’art. 2643 c.c., ma non la trascrizione di un atto negoziale, sia pure produttivo dello stesso effetto dichiarativo o retroattivo della sentenza di accertamento dell’usucapione. In particolare, il verbale di conciliazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010 recepisce uno schema negoziale nel quale la fase di negoziazione è favorita ed assistita da un privato, il cui ruolo diverge da quello del giudice, in quanto il mediatore ha la funzione di favorire l’incontro tra le volontà delle parti senza entrare nel merito dei termini dell’accordo; il che nulla a che vedere con la decisione di causa contenziosa. Né tantomeno, si può ritenere che il verbale di conciliazione di cui si discute perda il suo carattere negoziale in caso di omologa da parte del Presidente del Tribunale, in quanto detta omologa non altera la natura di esso, non partecipando il Presidente del Tribunale all’atto, ma attribuendogli solo delle garanzie prettamente formali. Non è pertanto idoneo alle formalità pubblicitarie di cui all’art. 2651 c.c. il verbale di conciliazione avente oggetto l’accertamento dell’acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento per intervenuta usucapione.

Tribunale di Varese, sez. distaccata Luino, ordinanza 20 dicembre 2011, Est. BuffoneL’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 sottopone al tentativo obbligatorio di mediazione le controversie in materia di “diritti reali” e, quindi, di fatto anche l’azione per la declaratoria di usucapione. In questo caso, il verbale di conciliazione non può però offrire all’attore un risultato equivalente a quello della sentenza, non potendo la conciliazione determinare nei suoi confronti l’acquisto a titolo originario,

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209Massimario di giurisprudenza

bensì consentendogli soltanto di conseguire eventualmente il bene immobile a titolo derivativo. L’accordo conciliativo non si surroga quindi alla sentenza e la composizione amichevole della lite volge inevitabilmente al fallimento perché l’attore non può rinunciare alla “garanzia” dell’accertamento giudiziale.Ne consegue che, nei casi in esame – quelli in cui l’accordo non può comporre la lite evitando la sentenza che si figura come indefettibile – non è richiesta la condizione di procedibilità ex art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, giusta una interpretazione teleologica della disposizione, che conformi l’articolato al criterio costituzionale della ragionevolezza.

Tribunale di Palermo, sez. distaccata Bagheria, ordinanza 30 dicembre 2011, Est. RuvoloNon è condivisibile l’impostazione per cui – poiché la mediazione in tema di usucapione non può avere il medesimo effetto della sentenza (posto che non sarebbe trascrivibile il negozio di accertamento dell’acquisto della proprietà per usucapione) – allora un’interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 28/2010 dovrebbe portare ad escludere le controversie in materia di usucapione dalla mediazione obbligatoria. La mediazione non è un clone anticipato della sentenza: l’accordo in sede di mediazione sulla domanda di usucapione può essere configurato in mille forme, tutte idonee a fare venire meno la lite (ad esempio trasferimento della proprietà del bene con acquisto a titolo derivativo o rinuncia alla domanda di acquisto della proprietà per usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro). In altri termini, l’assenza, in relazione al procedimento di mediazione, del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato comporta che una controversia che entra in mediazione come domanda di usucapione può uscirne mediata in un’altra forma. Di conseguenza, se è vero che la mediazione è da ritenere non necessaria nei casi in cui non sia configurabile un accordo che possa evitare la lite, è anche vero che in relazione alla domanda di usucapione è possibile ipotizzare vari accordi risolutivi della controversia. Il tentativo di conciliazione è quindi obbligatorio anche quando l’attore vuole vedere dichiarato il proprio acquisto del diritto reale per usucapione, poiché trattasi di “controversia in materia di diritti reali” ai sensi del 1° comma dell’art. 5, D.Lgs. n. 28/2010 e poiché è possibile una risoluzione extragiudiziale della lite.

Tribunale di Como, sez. distaccata Cantù, ordinanza 2 febbraio 2012, Est. ManciniSeppur sia da escludere che l’usucapione costituisca un diritto reale, essendo invece un modo di acquisto della proprietà a titolo originario mediante il possesso continuato nel tempo, tuttavia la domanda di usucapione rientra senza dubbio nell’ambito della mediazione obbligatoria, costituendo una domanda relativa a

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“controversie in materia di diritti reali” assoggettate al tentativo obbligatorio di mediazione di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.L’accordo di mediazione – che potrà assumere le forme più varie per risolvere la lite (come ad esempio attraverso la rinunzia al diritto di proprietà ovvero la rinuncia alla domanda di usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro), senza coincidere con il contenuto della pronuncia giudiziaria richiesta da parte attrice – è espressione del potere negoziale delle parti ex art 1321 c.c. in quanto attraverso di esso viene regolamentata la situazione giuridica sostanziale. Sicché l’accordo di mediazione avrà ad oggetto il diritto reale, ma non il fatto attributivo di esso, ossia l’avvenuta usucapione e la parte che si vedrà trasferito il bene lo acquisterà a titolo derivativo in quanto lo strumento utilizzato per la traslazione è il verbale di mediazione (e non a titolo originario come invece nel caso di accertata usucapione mediante sentenza). Di conseguenza, l’accordo di mediazione con cui si attribuisce un diritto reale è trascrivibile non certo ai sensi dell’art. 2651 c.c., bensì ai sensi dell’art. 2643 n. 13 c.c. in relazione all’art 11 del D.Lgs. n. 28/2010, perché in esso non vi è altro che una transazione.

Tribunale di Roma, sez. V, decreto 8 febbraio 2012, Est. DedatoIl verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta usucapione del diritto di proprietà non si risolve in uno degli accordi di cui all’art. 2643 c.c., perché non realizza un effetto modificativo, estintivo o costitutivo, ma assume al contrario il valore di un mero negozio di accertamento, con efficacia dichiarativa e retroattiva, finalizzato a rimuovere l’incertezza, mediante la fissazione del contenuto della situazione giuridica preesistente. Pertanto, il verbale di conciliazione in esame, non essendo riconducibile ad una delle ipotesi di cui all’art. 2643 c.c. non può in forza di detta norma essere trascritto. Poiché in forza dell’art. 2 D.Lgs. n. 28/2010 l’accesso alla mediazione per la conciliazione è limitato alle controversie vertenti su diritti disponibili, solo l’accertamento del possesso ad usucapionem con effetti limitati alle parti può essere demandato all’autonomia negoziale, giacché quello del diritto di proprietà per intervenuta usucapione con valenza erga omnes rientra nel novero degli atti riservati al giudice. Di conseguenza, si dovrà ricorrere alla via conciliativa solo quando tra le parti sussiste una controversia in fatto, mentre, se il fatto è pacifico, l’usucapiente potrà direttamente instaurare il processo innanzi all’autorità giudiziaria, la quale, preso atto della mancanza della lite da conciliare, non potrà rilevare l’improcedibilità della domanda. Ove invece la parti raggiungano un accordo conciliativo sulla controversia in fatto, questo non sarà ostativo per l’instaurazione o la prosecuzione del successivo giudizio innanzi all’autorità giudiziaria al fine di ottenere quell’accertamento erga omnes volto a soddisfare il diverso e ulteriore interesse rispetto a quello soddisfatto dalla conciliazione.

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211Massimario di giurisprudenza

L’accordo conciliativo in materia di usucapione, produce effetti solo tra le parti ex art. 1372 c.c. e proprio per questa ragione si colloca su un piano nettamente differente rispetto alle sentenze di usucapione, le quali, oltre ad eliminare l’incertezza in modo incontrovertibile tra le parti, i loro eredi o aventi causa, producono, altresì, la cosiddetta efficacia riflessa nei confronti dei terzi, tant’è che ne è prescritta la trascrizione, sia pure con il limitato effetto della pubblicità notizia, evidentemente esclusa per il negozio di accertamento, che per la limitata portata dei suoi effetti non può certo paragonarsi alla sentenza.

Tribunale di Lamezia Terme, decreto 17 febbraio 2012, Est. SpadaroPoiché ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 28/2010 il Presidente del Tribunale è tenuto ad omologare, previo accertamento della sua regolarità formale, il verbale di accordo non contrario all’ordine pubblico o a norme imperative di legge, può essere omologato il verbale di conciliazione in cui si è riconosciuto il possesso ultraventennale di un bene e, di conseguenza, il suo acquisto per intervenuta usucapione.

Tribunale di Catania, sez. I, decreto 1 marzo 2012, Est. VitaleIl verbale di conciliazione contenente l’accertamento della intervenuta usucapione è inidoneo alla trascrizione poiché, in base all’art. 11, 3° comma, D.Lgs. n. 28/2010, possono essere trascritti solo gli atti e i contratti previsti dall’art. 2643 c.c. Di conseguenza, il verbale di conciliazione accertativo dell’usucapione, non realizzando alcun effetto costitutivo, traslativo o modificativo, ma assumendo il valore di negozio di mero accertamento, non è in alcun modo riconducibile all’ambito applicativo di tale articolo, dovendosi di certo escludere la natura transattiva dell’accordo in questione per difetto dei necessari requisiti (“reciproche concessioni” delle parti).Il verbale di accordo amichevole contenente l’accertamento dell’intervenuta usucapione non può essere trascritto ai sensi dell’art. 2651 c.c. L’effetto accertativo del verbale di conciliazione rileva, infatti, su di un piano meramente probatorio tra le parti (rimuovendo l’incertezza tra le stesse circa i fatti a fondamento dell’acquisto a titolo originario, dispensando la parte a favore della quale il riconoscimento è stato compiuto dall’onere di provare il rapporto come accertato e ponendo a carico della parte che ha compiuto il riconoscimento l’onere della prova contraria), mentre la pronuncia giudiziale di accertamento dell’usucapione contiene un accertamento valevole erga omnes nel senso che la valutazione giuridica del rapporto operata dal giudice che ha pronunciato la sentenza fa parte di quell’affermazione obiettiva di verità i cui effetti anche i terzi sono tenuti a subire.

Tribunale di Castrovillari, 29 maggio 2012È inutile la media–conciliazione nel caso di usucapione immobiliare in quanto l’eventuale accordo raggiunto in tale sede, non genera un titolo idoneo alla trascrizione.

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Tribunale di Palmi, ordinanza 11 febbraio 2014, Est. SaponeAl fine di rendere concettualmente compatibile l’usucapione, modo di acquisto a titolo originario, con la mediazione, che conduce ad un acquisto a titolo derivativo (come si desume anche dalla trascrivibilità dell’accordo di mediazione che accerta l’usucapione ai sensi dell’art. 2643 n. 12 bis c.c.), quest’ultima deve applicarsi al primo solo quando tra le parti vi sia un preesistente rapporto giuridico relativo al bene in contestazione, sul quale rapporto l’usucapione è destinata ad incidere in senso modificativo. Ciò in quanto il rilievo del preesistente rapporto giuridico relativizza, per così dire, dal punto di vista soggettivo il modo di acquisto del diritto; e ciò, si ribadisce, in ragione della necessità che l’effetto acquisitivo passi attraverso – e si concretizzi in una – modificazione di un pregresso rapporto giuridico avente ad oggetto il bene in questione. È solo nelle ipotesi di preesistenza di un rapporto giuridico tra le parti sul bene per cui è controversia che l’istituto della mediazione appare concretamente idoneo a perseguire la finalità deflativa alla quale è preordinato. Tale finalità è difficilmente configurabile quando l’altra parte dell’accordo di mediazione non ha più interesse sul bene, non esercitando alcuna attività sul bene stesso e non avendo alcun rapporto con chi intende usucapire. Cosicché è plausibile ritenere che l’avvio del procedimento di mediazione finirebbe per essere nella maggior parte dei casi solo un appesantimento formale per chi intende usucapire piuttosto che un tentativo con serie possibilità di esito positivo.La certezza dei rapporti giuridici implica che in sede di accertamento dell’usucapione si proceda ad un rigoroso controllo circa l’individuazione del soggetto titolare del bene da usucapire. Rigoroso controllo la cui effettiva possibilità appare garantita solo in un contesto propriamente processuale, ossia in presenza di tutte le garanzie predisposte dal codice di rito. È evidente che in mancanza di tale rigoroso controllo – che solo un contesto processuale appare capace di assicurare – istituti di tipo conciliativo si prestino ad applicazioni distorsive, idonee a minare la certezza dei rapporti giuridici. Applicazioni consistenti nel porre in essere accordi con soggetti diversi dai reali titolari della proprietà sul bene da usucapire.

Tribunale di Trento, sentenza 10 marzo 2014, n. 291, Est. AttanasioL’opinabilità della questione concernente l’obbligatorietà del procedimento di mediazione per le domande di usucapione giustifica l’integrale compensazione delle relative spese.

Tribunale di Firenze, sez. II, ordinanza 26 novembre, Est. BreggiaLe cause in materia di usucapione (diritti reali) rientrano tra quelle per cui è prevista la condizione di procedibilità del preventivo esperimento della mediazione ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Lecce, sez. I, decreto 24 aprile 2015, Est. RubinoLa disposizione di cui al numero 12 bis dell’art. 2643 c.c., introdotta dall’art. 84 bis del

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213Massimario di giurisprudenza

D.L. n. 69/2013, convertito con modificazioni nella L. n. 98/2013, è assolutamente chiara nello stabilire la trascrivibilità degli accordi di mediazione che accertano l’usucapione. Infatti, la circostanza che la norma che, novellando l’art. 2643 c.c. vi ha introdotto il citato n. 12 bis non sia contenuta nel medesimo testo normativo che ha riaffermato la natura di condizione di procedibilità del previo esperimento di mediazione per le controversie indicate nell’art. 5 D. Lgs. n. 28/2010, appare chiaro indice della volontà del Legislatore di superare gli ostacoli e la difficoltà incontrate, subito dopo la sua introduzione nel nostro ordinamento giuridico, dell’istituto della mediazione, compresa la non trascrivibilità degli accordi con i quali le parti conciliavano la lite accertando l’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà, da parte di una di esse, di un bene originariamente appartenente all’altra.

Corte d’appello di Reggio Calabria, sentenza 12 novembre 2015, Est. StiloAnche in seguito all’introduzione del n. 12 bis all’art. 2643 c.c., per opera dell’art. 84 bis D.L. n. 69/2013, in cui si consente la trascrivibilità del verbale di conciliazione, resta fermo che lo stesso non è comunque assimilabile, quanto agli effetti, alla sentenza di accertamento dell’usucapione. Infatti, all’acquisto a titolo di usucapione accertato con sentenza, che è un acquisto a titolo originario, non si applica il principio della continuità delle trascrizioni, sancito dall’art. 2650 c.c., e la trascrizione della relativa sentenza, ai sensi dell’art. 2651 c.c., ha valore di mera pubblicità notizia. Gli accordi conciliativi in materia di usucapione, invece, rientrano tra gli atti ed i contratti elencati nell’art. 2643 c.c., per i quali gli effetti della pubblicità sono regolati non dall’art. 2651 c.c., bensì dalle norme degli artt. 2644 e 2650 c.c., che si improntano al principio della continuità delle trascrizioni che sorregge il sistema della pubblicità con riferimento agli acquisti derivativo–traslativi. Di conseguenza, gli accordi di conciliazione, anche se trascritti, non sono assimilabili alle sentenze di accertamento dell’usucapione, essendo inopponibili ai terzi che vantano titoli anteriormente trascritti o iscritti che in qualche modo possano essere pregiudicati dagli accordi medesimi. È quindi da escludere che il verbale di conciliazione in tema di usucapione possa avere effetti liberatori (cd. usucapio libertatis) sul bene usucapito, non potendosi opporre ai terzi estranei all’accordo l’acquisto a titolo originario del bene e la retroattività degli effetti dell’usucapione.

Tribunale di Taranto, sez. I, sentenza 17 dicembre 2015, Est. D’ErricoIl decorso del termine necessario per usucapire è da ritenersi interrotto dall’esperimento della procedura di mediazione obbligatoria prevista dal D.Lgs. n. 28 del 2010, posto che, ai sensi dell’art. 5, 6° comma, la domanda di mediazione produce i medesimi effetti della domanda giudiziale.

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9. La mediazione e il procedimento monitorio

Tribunale di Prato, ordinanza 18 luglio 2011, Est. IannoneLa mediazione non è obbligatoria né nella fase di deposito del ricorso monitorio, né in quella eventuale e successiva di proposizione dell’opposizione, inserendosi solo nella fase successiva ed eventuale di opposizione a decreto ingiuntivo ed, in particolare, nel momento in cui il giudice adito deve decidere in merito alla concessione e sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. La decisione sulla sospensione della provvisoria esecuzione, alla stregua di una qualsiasi istanza cautelare, non può essere procrastina all’esito dell’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Del resto, l’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010, nell’escludere l’obbligatorietà della mediazione, fa espresso riferimento alla pronuncia e non semplicemente alla mera istanza di sospensione, lasciando intendere che una decisione sul punto debba essere adottata dal giudice di essa investito. Conforta inoltre detta interpretazione il 3° comma del citato articolo, laddove statuisce che “lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari”. Nel caso in cui la parte più diligente non introduca (a prescindere dal suo esito) il tentativo obbligatorio di mediazione nei termini concessi dal giudice adito, fornendone adeguata prova, l’opposizione a decreto ingiuntivo diventa improcedibile e il titolo acquista efficacia esecutiva in via definitiva.

Tribunale di Verona, ordinanza 4 aprile 2012, Est. VaccariPer contemperare l’interesse del convenuto opposto con quello, più generale, alla definizione conciliativa dell’intera controversia è preferibile ritenere che, in ipotesi di cumulo soggettivo di domande proposte in giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice possa decidere alla prima udienza sulla istanza di provvisoria esecuzione e rinviare al momento in cui il contraddittorio sia stato integrato nei confronti dei terzi l’assegnazione del termine per attivare il procedimento di mediazione. A ciò non osta la circostanza che l’art. 5, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010 stabilisca che la sollecitazione del giudice alle parti sia “contestuale” al rilievo della mancanza della condizione di procedibilità, giacché a quest’ultimo termine ben può attribuirsi il significato di raccomandazione ad una tempestiva attivazione del procedimento di mediazione.

Tribunale di Lamezia Terme, ordinanza 19 aprile 2012, Est. IanniRientrando la causa nel campo di applicazione dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, una volta consumato il potere dell’opposto di chiedere la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo impugnato essa risulta assoggettata a mediazione obbligatoria.

Tribunale di Varese, sez. I, ordinanza 18 maggio 2012, Est. BuffoneIl 4° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 introduce una disciplina speciale per i processi a struttura c.d. bifasica, come il procedimento monitorio in cui l’onere

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della mediazione, davanti all’organismo prescelto, è differito “fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”. In altri termini, soltanto la pronuncia giudiziale che statuisce in ordine alla concessione della esecutività della ingiunzione (648 c.p.c.) oppure in ordine alla sospensione della stessa (649 c.p.c.) riattiva nel processo l’onere di presentare l’istanza per il procedimento mediativo, a pena di improcedibilità della domanda. Nel procedimento monitorio l’onere di avviare la mediazione grava sul creditore, attore sostanziale, e non invece sul debitore che propone opposizione. Di conseguenza, la mancata attivazione della fase conciliativa, fa divenire improcedibile la domanda giudiziale, ovverosia quella portata dal decreto ingiuntivo, e non l’opposizione, ovverosia la formale richiesta della parte opponente. Una diversa interpretazione creerebbe infatti uno squilibrio irragionevole ai danni del debitore che non solo subirebbe l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria verrebbe pure gravato di un altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui.

Tribunale di Napoli, sez. III, sentenza 7 maggio 2013, Est. BalzanoIl 4° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 introduce una disciplina speciale per i processi a struttura cd. bifasica, come il procedimento monitorio. Per quanto qui interessa, in particolare, l’onere della mediazione nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, è differito “fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”. Di conseguenza, il giudice non è tenuto a pronunciarsi sulle istanze di cui all’art. 5, 4° comma, lett. a), D.Lgs. n. 28/2010 ove l’opponente non abbia fatto espressa richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione concessa nella fase monitoria.

Tribunale di Firenze, sez. speciale impresa, ordinanza 17 marzo 2014, Est. SciontiTribunale di Firenze, sez. III, ordinanza 18 marzo 2014, Est. PrimaveraNell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di dare nuovo impulso al procedimento di mediazione, nel termine previsto dal giudice, deve essere posto a carico della parte opposta, dal momento che in tale ipotesi – come da costante giurisprudenza della Suprema Corte – è da ritenersi quest’ultima parte attrice in senso sostanziale, con l’esercizio in giudizio dell’azione monitoria, di cui la fase di opposizione rappresenta mera prosecuzione eventuale.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 26 marzo 2014, n. 977, Est. GuidaIn caso di opposizione a decreto ingiuntivo, non coglie nel segno l’eccezione di improcedibilità della domanda per omesso esperimento del procedimento di mediazione, non costituendo esso una condizione di procedibilità della cause introdotte col rito monitorio.

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Tribunale di Rimini, ordinanza 17 luglio 2014, Est. BernardiTribunale di Rimini, ordinanza 19 novembre 2014, Est. BernardiLa domanda che diviene improcedibile è, nel giudizio che si instaura in seguito all’opposizione a decreto ingiuntivo, la domanda formulata con l’atto di citazione in opposizione (ed eventualmente con la comparsa di risposta o con comparse di terzi), che è l’atto che ha dato origine al procedimento di opposizione, nel quale l’opponente ha la veste processuale di attore. Ciò importa, in ossequio ai principi processuali propri di tale procedimento speciale (ai quali, è bene ricordarlo, la normativa in tema di mediazione non deroga espressamente), che all’improcedibilità del procedimento di opposizione consegua il consolidarsi degli effetti del decreto ingiuntivo.Al contrario, porre in capo all’ingiungente opposto l’onere di coltivare il giudizio di opposizione condurrebbe ad un risultato opposto rispetto a quello – deflattivo per il sistema giudiziario – che l’istituto della mediazione si propone di raggiungere, imponendo ad una parte (l’opposto) che già è munita di un titolo (il decreto ingiuntivo) che si consolida in caso di estinzione del giudizio (di opposizione) e che può considerarsi non interessata alla prosecuzione della lite, di attivarsi anche laddove l’altra parte (l’opponente) non si dimostri più interessata all’esito della stessa (e ciò, come sovente avviene in caso di opposizioni dilatorie, in seguito all’emissione dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c.). Deve quindi ribadirsi che il mancato esperimento della mediazione, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, non importi la revoca del decreto stesso.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 31 ottobre 2014, Est. GhelardiniIn caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione è possibile solo quando è proposta opposizione e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.Nell’opposizione a decreto ingiuntivo, così come per i procedimenti di appello, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” deve interpretarsi alla stregua di improcedibilità o estinzione dell’opposizione (o dell’impugnazione in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo. Al contrario, fare riferimento alla domanda sostanziale, ed alla nozione di attore in senso sostanziale, porterebbe infatti all’inevitabile conseguenza, sempreché nelle more non siano maturate decadenze o prescrizioni, che il processo potrebbe ricominciare da zero (nuovo ricorso monitorio, conseguente opposizione ecc.), in palese contrasto con la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione delegata.

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 27 novembre 2014, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 2 marzo 2015, Est. Mariconda

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217Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Monza, sez. I, sentenza 31 marzo 2015, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 21 gennaio 2016, n. 146, Est. MaricondaTribunale di Monza, sez. I, sentenza 17 febbraio 2016, Est. MaricondaNel giudizio che s’instaura con l’opposizione a decreto ingiuntivo pronunciato con riferimento ad una delle materie indicate nell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, l’omessa instaurazione del procedimento di conciliazione entro il termine fissato dalla legge determina la improcedibilità della domanda formulata con l’atto di citazione in opposizione (ed eventualmente con la comparsa di risposta o con comparse di terzi), che è l’atto che ha dato origine al procedimento di opposizione, nel quale l’opponente ha la veste processuale di attore. Non vi è dubbio, infatti, che essendo il decreto ingiuntivo astrattamente idoneo a diventare definitivo (si pensi al caso di mancata opposizione ovvero di estinzione del procedimento di opposizione eventualmente proposto), il mancato verificarsi della condizione di procedibilità costituita dall’instaurazione del procedimento di mediazione sia destinato ad incidere esclusivamente e negativamente sul procedimento di opposizione e non anche sul decreto ingiuntivo i cui effetti, in ossequio ai principi processuali propri di tale procedimento speciale (cui, è bene ricordarlo, la normativa in tema di mediazione non deroga espressamente), divenendo improcedibile il relativo procedimento di opposizione, si consolidano e non sono più suscettibili di essere posti in discussione. Deve quindi ribadirsi che il mancato esperimento della mediazione, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, non importa la revoca del decreto stesso, ma incide esclusivamente sul procedimento di opposizione, da dichiararsi improcedibile.

Tribunale di Campobasso, ordinanza 3 gennaio 2015, Est. CalabriaNel procedimento monitorio il mancato esperimento della mediazione determina l’improcedibilità dell’opposizione e la conseguente efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo, a detrimento degli opponenti.

Tribunale di Ferrara, sentenza 7 gennaio 2015, Est. GhediniLa norma di cui al D.Lgs. n. 28/2010, laddove stabilisce che “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”, deve essere interpretata e applicata in relazione alla domanda azionata nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ovvero alla domanda spiegata dal creditore opposto. Infatti, nonostante l’attore in senso formale sia il debitore opposto, attore in senso sostanziale è il creditore e quindi a lui spetta l’onere di instaurare la procedura di mediazione. Di conseguenza, se la mediazione non viene promossa, a divenire improcedibile è la domanda del creditore azionata in ricorso monitorio, con conseguente decadenza del decreto ingiuntivo.

Tribunale di Bologna, sez. II, sentenza 20 gennaio 2015, Est. MatteucciIl mancato esperimento della mediazione giova al “convenuto opposto” e

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comporta la definitività del decreto ingiuntivo opposto in applicazione (analogica) dell’articolo 647, 1° comma, c.p.c., in quanto è l’opponente, e non l’opposto, ad avere interesse a che proceda il giudizio di opposizione diretto alla rimozione di un atto giurisdizionale (il decreto ingiuntivo) suscettibile altrimenti di divenire definitivamente esecutivo, sicché è l’opponente a dovere subire le conseguenze del mancato o tardivo esperimento del procedimento di mediazione delegata. Pertanto, l’espressione “condizione di procedibilità della domanda giudiziale” contenuta nell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 va interpretata alla stregua di improcedibilità/estinzione dell’opposizione e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo.Nel procedimento monitorio, la condizione di procedibilità opera solamente nella fase di opposizione. Diversamente argomentando, si introdurrebbe infatti una sorta di improcedibilità postuma della domanda monitoria, ossia una improcedibilità che pur non sussistente al momento in cui è stato proposto il ricorso e ottenuto il decreto ingiuntivo, sarebbe accertata solo successivamente in una fase posteriore, applicandosi così un regime speciale alla improcedibilità non contemplato dal D.Lgs. n. 28/2010 ed in contrasto con il disposto dell’art. 647 c.p.c., nonché con il tendenziale principio della stabilità dei provvedimenti emessi, a cui è informato il procedimento di ingiunzione.

Tribunale di Bologna, sez. II, ordinanza 5 febbraio 2015, Est. GiulianoNel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, il mancato esperimento della mediazione delegata ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 comporta la definitività del decreto ingiuntivo opposto.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 12 febbraio 2015, n. 471, Est. GuidaL’esatta identificazione della figura dell’actor nel procedimento d’ingiunzione, effettuata sulla base di univoci elementi testuali, induce a ritenere che l’onere di iniziare il procedimento di mediazione gravi sul creditore (opposto) che, come è sempre stato correttamente sostenuto, è l’attore sostanziale, ossia colui che fa valere il proprio diritto di credito in giudizio, non già sul debitore (opponente). La conseguenza di tale opzione interpretativa è che, nel caso in cui il creditore, a ciò tenuto ope legis o iussu iudicis, non abbia promosso la mediazione, il procedimento d’ingiunzione si concluderà con una pronuncia in rito che, nel dichiarare l’improcedibilità della domanda, al contempo caducherà, revocandolo, il decreto ingiuntivo.

Tribunale di Nola, sez. II, sentenza 24 febbraio 2015, Est. FrallicciardiMuovendo dalla necessità di fornire alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 28/2010 un’interpretazione sistematica, che sia coerente non solo con l’intero universo normativo in materia di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ma, altresì,

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con la ratio che ha animato il legislatore dell’istituto della mediazione obbligatoria, in caso di procedimento monitorio va individuato nell’opponente il soggetto su cui grava l’onere di coltivare il giudizio e, quindi, anche gli effetti pregiudizievoli di un’eventuale improcedibilità. Con la conseguenza che, una volta dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione per mancato esperimento del procedimento di mediazione, il corollario giuridico di detta pronuncia non potrà che essere la conferma del decreto ingiuntivo opposto.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 21 aprile 2015, Est. GhelardiniIn caso di mediazione omessa in procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la sanzione dell’improcedibilità di cui all’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non va a colpire la pretesa creditoria azionata in via monitoria, bensì la stessa opposizione, con conseguente irrevocabilità del decreto ingiuntivo opposto.

Tribunale di Campobasso, sentenza 20 maggio 2015, Est. CalabriaIn un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la domanda giudiziale cui fa riferimento il legislatore è la domanda di opposizione e non la domanda sostanziale creditoria. Si deve giungere a questa conclusione considerando che nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo competono all’opponente gli atti di impulso processuale, anche successivi alla proposizione dell’opposizione. Se quindi spetta all’opponente coltivare il giudizio d’opposizione, è allo stesso che spetta l’onere di proporre la mediazione, la quale costituisce una fase interinale necessaria dello stesso giudizio di opposizione, ovvero una conseguenza necessitata dell’opposizione, anche per ciò che attiene ai relativi e supplementari costi. Ogni altra interpretazione appare a questo giudice irrazionale e contrastante con il principio espresso dall’art. 653 c.p.c.

Tribunale di Bologna, sez. II, sentenza 13 giugno 2015, n. 2026, Est. CostanzoTribunale di Bologna, sez. II, sentenza 18 giugno 2015, Est. CostanzoTribunale di Bologna, sez. II, sentenza 12 gennaio 2016, Est. CostanzoIn base alle peculiarità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e alle finalità sottese al D.Lgs. n. 28/2010, la mancata attivazione del procedimento di mediazione delegata comporta l’improcedibilità (non della domanda monitoria, ma) del giudizio di opposizione e l’acquisto da parte del decreto ingiuntivo della autorità ed efficacia di cosa giudicata in relazione al diritto in esso consacrato. Ciò posto che l’instaurazione del procedimento monitorio non richiede il previo passaggio in mediazione, sicché l’improcedibilità verificatasi in pendenza del giudizio di opposizione non può di per sé comportare, in assenza di una espressa previsione di legge, la caducazione del decreto ingiuntivo già emesso. Inoltre, sull’ingiunto grava l’onere di proporre tempestivamente l’opposizione e di costituirsi se vuole evitare la dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo ex art. 647 c.p.c. ed il formarsi

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del giudicato, di guisa che risulta coerente con questa impostazione, ricavabile direttamente dalla legge, il porre a carico dell’ingiunto–opponente l’onere di evitare l’improcedibilità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Tribunale di Genova, sez. III, sentenza 15 giugno 2015, n. 1914, Est. BellingeriIn caso di procedimento monitorio è sull’opponente che grava l’onere di avviare il procedimento di mediazione e, quindi, anche gli effetti pregiudizievoli di un’eventuale improcedibilità dell’opposizione. Pertanto, una volta dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione, il corollario giuridico di detta pronuncia non potrà che essere la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Ritenere al contrario che la mancata instaurazione del procedimento di mediazione conduca alla revoca del decreto ingiuntivo comporterebbe infatti in capo all’opposto, già in possesso di un titolo destinato a consolidarsi nel caso di mancata opposizione, l’onere di coltivare il giudizio di opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, con ciò contraddicendosi la ratio del giudizio di opposizione che ha la propria peculiarità nel rimettere l’instaurazione del giudizio, e quindi la sottoposizione al vaglio del giudice della fondatezza del credito ingiunto, alla libera scelta del debitore.

Tribunale di Chieti, sentenza 8 settembre 2015, n. 492, Est. RiaCon l’art. 5, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010 si è inteso escludere sia che la proposizione del ricorso monitorio o della opposizione in materia rientrante tra quelle per le quali è prevista la necessaria mediazione ante causam siano condizionate da tale incombente, sia che in tali procedimenti, e nel susseguente giudizio di opposizione sino a quando siano stati adottati i provvedimenti ritenuti evidentemente urgenti ed incompatibili con i tempi della mediazione, di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., possa essere disposta la mediazione delegata dal giudice. Ne segue che, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione è possibile solo quando è proposta opposizione e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.Deve ritenersi che nell’opposizione a decreto ingiuntivo, così come per i procedimenti di appello, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” debba interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell’opposizione (o dell’impugnazione in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo. Di conseguenza, l’interesse concreto alla presentazione della istanza di mediazione deve essere individuato in capo alla parte opponente, quale parte appunto “interessata” ad evitare il prospettabile “passaggio in giudicato” dell’opposto decreto nell’ipotesi, in ogni caso, di mancato avveramento della condizione.L’opzione interpretativa che pone a carico della parte opponente l’onere della proposizione della mediazione deve applicarsi non solo nei giudizi ex art. 645

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c.p.c., ma ogni qualvolta il processo abbia già prodotto un provvedimento idoneo al giudicato ex art. 2909 c.c., come ad esempio le ordinanze di cui agli artt. 186 bis e ter c.p.c.L’individuazione della parte interessata alla instaurazione del procedimento di mediazione e quindi onerata dell’attivazione della procedura, secondo una valutazione ex ante, non va confuso con la verifica che deve essere compiuta dal giudice a valle, essendo la condizione di procedibilità costituita, ex art. 5, comma 2 bis, D.Lgs. n. 28/2010, dalla conclusione del primo incontro senza l’accordo. Pertanto, se certamente è interesse specifico dell’opponente di introdurre esso stesso la procedura di mediazione, alcun dubbio può esservi in ordine alla affermazione che la declaratoria di improcedibilità resti radicalmente preclusa al giudice ove in ipotesi, all’incontro con esito negativo, si sia pervenuti per iniziativa non dell’opponente (che pure vi ha l’interesse specifico ed immediato), ma per iniziativa dell’opposto, giacché di fronte all’avverarsi della condizione ex art. 5, comma 2 bis, resta del tutto irrilevante lo scendere a verificare su iniziativa di quale delle parti si sia addivenuti alla maturazione di quella fase.

Tribunale di Pistoia, ordinanza 22 settembre 2015, Est. CurciL’esperimento del procedimento di mediazione delegata dal giudice integra condizione di procedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo.

Tribunale di Modena, sez. I, sentenza 29 settembre 2015, Est. RimondiniNell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, è l’opponente ad avere interesse a promuovere e proseguire il giudizio di opposizione fino alla decisione finale. Ed invero, se si verifica una vicenda processuale che impedisce al procedimento di opposizione di procedere, l’art. 653 c.p.c. fa ricadere sull’opponente le conseguenze negative dell’evento. Analogamente, pertanto, l’onere di procedere alla mediazione va posto a carico dell’opponente, trattandosi dell’unico soggetto interessato a coltivare il giudizio di opposizione.

Tribunale di Cuneo, art. territoriale di Saluzzo, sentenza 1 ottobre 2015, Est. LombardoNell’ambito dei giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, va individuato nel creditore opposto la parte onerata ad assolvere la condizione di procedibilità prevista dalla legge (esperimento della mediazione obbligatoria). Di conseguenza, nell’ipotesi di mancata attivazione della procedura di media–conciliazione, si determinerà l’improcedibilità dell’azione, così come originariamente proposta mediante il deposito del ricorso monitorio, con la conseguente e necessaria revoca del decreto ingiuntivo opposto. A tal riguardo, va ricordato che la fase dell’opposizione non costituisce un autonomo procedimento, ma costituisce una (sia pur eventuale) continuazione della fase monitoria nell’ambito di un unico giudizio. Inoltre, se il titolo monitorio

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può essere revocato in caso di accoglimento dell’opposizione nei confronti dello stesso spiegata, non si comprende perché lo stesso titolo non possa essere revocato in difetto delle condizioni dell’azione come originariamente proposta dal creditore. Quanto all’interesse di quest’ultimo, infine, ben può ritenersi che l’attivazione della procedura di mediazione corrisponda al suo interesse, giacché ove egli non provveda, il titolo monitorio sarà destinato alla caducazione per improcedibilità della domanda come originariamente proposta nei confronti del soggetto ingiunto.

Tribunale di Pavia, sez. III, sentenza 12 ottobre 2015, Est. MarzocchiNel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, senza una esplicita regolamentazione, l’individuazione del soggetto tenuto ad avviare la mediazione – specie di fronte ad un’ordinanza giudiziale che non indica quale delle parti è da ritenersi onerata dell’avvio del tentativo di mediazione – è oggettivamente più difficile stabilire chi sia tenuto ad avviare la procedura di mediazione e occorre risalire ai princìpi per dare risposta alla necessità di individuare il soggetto onerato dell’avvio della mediazione. Il problema interpretativo non si porrebbe se il provvedimento giudiziale che dispone la mediazione ex art. 5, sia comma 1 bis che comma 2, attribuisse l’onere a una delle parti litiganti, giacché, se così fosse, sarebbe evidente che la sanzione di improcedibilità applicata all’opponente comporterebbe la conferma del decreto e la medesima sanzione di improcedibilità applicata all’opposto comporterebbe la revoca del decreto. Laddove, tuttavia, non vi sia attribuzione dell’onere di avviare la mediazione, la tesi preferibile è quella che discende dall’applicazione del principio di cui all’art. 653,1° comma, c.p.c., a mente del quale se è dichiarata l’estinzione del processo, il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva. Tale norma stabilisce infatti un principio processuale di natura generale che si applica a tutti i casi di estinzione del processo per inattività delle parti.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 15 ottobre 2015, Est. SciontiTribunale di Firenze, sez. III, sentenza 12 novembre 2015, n. 4006, Est. SciontiPosto che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l’accertamento dei fatti costitutivi della pretesa creditoria fondante l’emissione del decreto ingiuntivo opposto, la sanzione dell’improcedibilità deve innanzitutto colpire la domanda sostanziale azionata in sede monitoria, con conseguente revoca dell’opposto decreto.

Tribunale di Ferrara, sentenza 4 novembre 2015, n. 916, Est. PorrecaIl processo di opposizione a decreto ingiuntivo verte non già sulla mera legittimità del provvedimento monitorio, quanto piuttosto sul rapporto dedotto in giudizio dal creditore, sicché, al pari dell’onere probatorio, anche le relative facoltà processuali vanno valutate non certo avendo riguardo alla qualità formale di attore e convenuto

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in opposizione, bensì con riferimento alla rilevanza sostanziale della rispettiva posizione processuale. Da ciò segue che il convenuto opposto, titolare della pretesa creditoria azionata ed oggetto del giudizio di opposizione, è l’unico soggetto che, al di fuori dei casi di domanda riconvenzionale, propone la “domanda giudiziale” e che pertanto deve subire gli effetti della declaratoria di improcedibilità della stessa nel caso in cui non venga ritualmente espletata la procedura di mediazione obbligatoria ex D.Lgs. n. 28/2010.Diversamente argomentando, del resto, vi sarebbe un irragionevole squilibrio ai danni del debitore, il quale non solo subirebbe l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria verrebbe anche gravato di altro onere che, in un procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E tutto ciò sulla base di una scelta del tutto discrezionale del creditore.

Cassazione, sez. III, sentenza 3 dicembre 2015, n. 24629, Est. VivaldiL’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo ed ha il potere di iniziarlo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo, cui segue l’opposizione, ciò può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta. Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. È invece l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, ed è dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria, essendo quest’ultimo colui che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe del resto palesemente irrazionale, perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. É dunque l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione, pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.

Tribunale di Milano, sez. XIII, sentenza 9 dicembre 2015, Est. PisaniÈ da ritenersi condivisibile l’orientamento già espresso in precedenza da altri Tribunali e da ultimo confermato dalla Corte di Cassazione che individua nell’opponente il soggetto su cui grava l’onere di avviare il procedimento di mediazione; soggetto destinato, di conseguenza, a subire anche gli effetti pregiudizievoli di un’eventuale improcedibilità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. In tale giudizio, infatti, l’opponente ha la veste processuale di attore e la sua attività, essenzialmente, è volta ad impedire che il decreto ingiuntivo divenga definitivo, sia proponendo tempestivamente e ritualmente l’opposizione, ai sensi del combinato

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disposto degli artt. 647 e 650 c.p.c., sia evitando che il processo si estingua, ai sensi dell’art. 653 c.p.c. Suo è, quindi, l’interesse non solo a proporre e coltivare il giudizio di opposizione, ma anche a consentirne la procedibilità.

Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 22 dicembre 2015, Est. MarianiLa mancata partecipazione personale delle parti senza giustificato motivo al primo incontro di mediazione può costituire, per la parte opponente a decreto–ingiuntivo, causa di improcedibilità della domanda.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 8 gennaio 2016, Est. MarzocchiIn caso di procedimento monitorio, l’onere di avviare la procedura di mediazione demandata dal giudice va posto a carico della convenuta opposta, con l’avviso che la mancata rituale attivazione della procedura stessa comporterà l’improcedibilità della domanda e la revoca del decreto opposto.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 17 gennaio 2016, Est. GuidaAnche in seguito alla pronuncia della Cassazione n. 24629/2015, si può continuare ad affermare che, nel procedimento d’ingiunzione riguardante materie per le quali la mediazione è obbligatoria, dopo che l’opponente (“convenuto sostanziale”) ha proposto opposizione e dopo che sono state emesse le ordinanze ex artt. 648 e 649 c.p.c., l’onere d’iniziare la mediazione grava sull’opposto (“attore sostanziale”), a pena d’improcedibilità della (sua) domanda introdotta col deposito del ricorso per decreto ingiuntivo e conseguente revoca del titolo monitorio.

Tribunale di Reggio Emilia, sez. II, sentenza 21 gennaio 2016, Est. RamponiOccorre adeguarsi all’orientamento esposto dalla Cassazione n. 24629/2015 secondo cui, in caso di procedimento monitorio, il richiamo alla “domanda” contenuto nel D.Lgs. n. 28/2010 va riferito alla opposizione. Di conseguenza, in caso di mancata attivazione della procedura di mediazione, diviene improcedibile l’opposizione e deve dichiararsi esecutivo in via definitiva il decreto opposto.

Tribunale di Benevento, sez. I, sentenza 23 gennaio 2016, Est. GalassoL’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010 onera della mediazione chi intende esercitare in giudizio un’azione ed è jus receptum che, nel caso del procedimento monitorio seguito da opposizione, chi esercita l’azione, ossia l’attore, è il creditore, che insta per l’emanazione del decreto ingiuntivo. L’opponente, al contrario, subisce la domanda ed appare perciò anomalo e vessatorio imporgli di adempiere ad un onere, posto come condizione di procedibilità, quando, evidentemente, nessun interesse esso nutre, contrariamente al creditore opposto, all’emissione di una condanna contro di lui. Di conseguenza – contrariamente a quanto di recente affermato dalla Suprema Corte – l’improcedibilità non colpisce affatto la domanda

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dell’opponente (domanda che tale non è, salve le riconvenzionali), bensì quella dell’opposto e, pertanto, il decreto ingiuntivo dev’essere revocato.

Corte d’appello di Bologna, sez. III, sentenza 26 gennaio 2016, Est. GuidottiNon sussiste alcuna limitazione alla facoltà, avente finalità chiaramente deflattive e rimessa al prudente apprezzamento del giudice, di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione ex art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 (così come sostituito dall’art. 84, 1° comma, lett. c, D.L. n. 69/2013, conv. in L. n. 98/2013) dopo che il Tribunale ha provveduto al rigetto della istanza di sospensione della esecutività del decreto ingiuntivo tardivamente opposto. In tali casi, peraltro, l’onere di attivare la mediazione disposta dal giudice grava sulla parte che nella fattispecie ritiene di avere interesse al proseguimento del giudizio, senza alcuna distinzione, in particolare, fra opponente ed opposto.

Tribunale di Busto Arsizio, sez. III, sentenza 3 febbraio 2016, n. 199, Est. PupaQuesto Giudice è consapevole dell’emissione della sentenza n. 24629/2015 della terza sezione civile della Cassazione in materia di mediazione nell’ambito del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ma intende disattenderla, giacché tale orientamento giurisprudenziale risulta di dubbia compatibilità con il principio costituzionale sancito dall’art. 24 Cost., in quanto pare ricollegare l’onere di intraprendere la mediazione alla scelta della parte di instaurare un giudizio di opposizione avverso un provvedimento reso in assenza di contraddittorio e sulla base di un’istruzione sommaria, quasi come se la mediazione fosse una sorte di sanzione nei confronti di chi agisce in giudizio. Esso, inoltre, non appare compatibile con la stesso orientamento consolidato dalla Suprema Corte, secondo cui, nel giudizio ex art. 645 c.p.c., l’opposto riveste la natura sostanziale di attore e l’opponente di convenuto. Pertanto, deve affermarsi che l’onere di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 28/2010, fermo restando il disposto del 4° comma per i procedimenti monitori, incombe sul creditore opposto, atteso che egli riveste la natura di parte attrice e che l’azione cui si riferisce la citata norma è la domanda monitoria, non già l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso in accoglimento della stessa.

Tribunale di Firenze, sez. II, ordinanza 15 febbraio 2016, Est. BreggiaIl giudice non condivide le osservazioni della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 24629/2015, fondandosi tale pronuncia su di un presupposto non corretto: applicazione della condizione di procedibilità per la proposizione della opposizione al decreto ingiuntivo anziché nel momento successivo alla proposizione, una volta pronunciati eventuali provvedimenti interinali ex artt. 648 e 649 c.p.c. Deve invece affermarsi che l’onere di attivare la procedura mediativa gravi sulla parte opposta. É infatti quest’ultima quella che ha deciso di portare in

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giudizio il proprio conflitto per la tutela di un suo diritto; ed è questa parte per prima che deve riflettere sulla possibilità di una più adeguata soddisfazione dei suoi interessi nel caso concreto attraverso strumenti più informali e duttili, o attraverso la ricomposizione di un rapporto di natura personale o commerciale. La specialità del giudizio di ingiunzione giustifica la peculiare disciplina del giudizio di opposizione rispetto alla condizione di procedibilità: si consente di avviare subito l’opposizione per permettere l’intervento del giudice attraverso i provvedimenti interinali ex artt. 648 e 649 c.p.c. Una volta esaurita questa fase urgente, non vi è però motivo per discostarsi dalla ricostruzione generale per cui chi intende agire in giudizio è onerato dell’avvio della mediazione; dunque è l’opposto che è attore, portatore del diritto o dell’interesse che ritiene compresso. A maggior ragione deve ritenersi che l’onere di attivare la mediazione gravi sulla parte opposta proprio perché questa, in materia soggetta alla condizione di procedibilità, ha ritenuto non solo di non esplorare vie di definizione amichevole, ma addirittura di avvalersi di uno strumento particolarmente celere, con contraddittorio eventuale e differito. Se dunque sono ben comprensibili le ragioni che escludono tale strumento dall’onere della condizione di procedibilità, tuttavia, una volta che l’opposizione riconfiguri le posizioni ordinarie, sostanziali, delle parti rispetto alla pretesa, ben si giustifica la reviviscenza dell’obbligo di mediazione – nelle materie previste – in capo all’attore (sostanziale). Né può rimettersi al giudice di valutare caso per caso quale sia la parte onerata della condizione di procedibilità, perché la ricostruzione del sistema alla luce della ratio dell’imposizione della mediazione (ex lege o iussu iudicis) vale per ogni controversia in modo uniforme e astratto e non si ravvisano di conseguenza spazi per un potere discrezionale del giudice nel caso concreto.

Tribunale di Firenze, sez. speciale impresa, ordinanza 16 febbraio 2016, Est. SciontiNon appare convincente l’opinione recentemente ammessa dalla Suprema Corte (sentenza n. 24629/2015) in quanto, come esplicitamente indicato dalla legge, è onerata dell’attivazione del procedimento di mediazione la parte che intende esercitare in giudizio un’azione, con onere della prova dei relativi fatti costituitivi, e non la parte che, genericamente, ha interesse ad introdurre un giudizio di merito, indispensabile in questo caso ai soli fini di far accettare fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto fatto valere dall’ingiungente con l’azione monitoria. Di conseguenza, l’onere di impulso deve essere posto a carico della parte opposta, dal momento che nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo è da ritenersi quest’ultima parte attrice in senso sostanziale, con l’esercizio in giudizio dell’azione monitoria, di cui la fase di opposizione rappresenta mera persecuzione eventuale.

Tribunale di Trento, sentenza 23 febbraio 2016, n. 177, Est. BarbatoNon si ravvisano valide ragioni per disattendere il principio di diritto espresso dalla

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Cassazione con la sentenza n. 24629/2015, sicché, nell’opposizione a decreto ingiuntivo, grava sugli ingiunti l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; ove tale incombente non sia stato espletato, ciò comporterà l’improcedibilità dell’opposizione.

Tribunale di Nola, sez. II, sentenza 3 marzo 2016, Est. CoronaAvendo il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo natura impugnatoria, in caso di mancata proposizione dell’istanza di mediazione ciò che diviene improcedibile è la domanda proposta con l’atto di citazione in opposizione finalizzata ad ottenere la revoca del decreto ingiuntivo opposto e non già la domanda proposta dall’opposto nel ricorso per decreto ingiuntivo, a fronte della quale vi già stata una deliberazione da parte del giudice con la pronuncia del decreto ingiuntivo, del quale si intende ottenere la revoca con l’opposizione. La correttezza di tale conclusione si evince dall’analisi della complessiva disciplina del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ed in particolare dalla lettura della disposizione di cui all’art. 633 c.p.c., ai sensi della quale, ove venga dichiarata l’estinzione del giudizio di opposizione, ciò che viene meno non è la domanda proposta in sede monitoria dal creditore, ma la domanda dell’opponente volta ad ottenere la revoca del decreto ingiuntivo, con la conseguenza che quest’ultimo, in seguito della dichiarazione di estinzione, diviene definitivo ed acquista efficacia esecutiva, ove non ne sia già munito. Del resto, tale tesi interpretativa ha da ultimo ricevuto l’avallo della Suprema Corte con sentenza n. 24629/2015.

Tribunale di Napoli, sez. IX, sentenza 21 marzo 2016, Est. Di TontoÈ pacifico che in tema di procedimento monitorio, se le parti non hanno esperito la mediazione disposta dal magistrato, il giudice deve dichiarare l’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo; e tale improcedibilità travolge non la domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo, ma l’opposizione a essa. L’inattività delle parti, infatti, dà luogo all’estinzione del processo, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo produce gli stessi effetti dell’estinzione del giudizio di impugnazione, facendo acquisire in tal modo al decreto ingiuntivo opposto l’incontrovertibilità tipica del giudicato.

Tribunale di Verbania, sentenza 22 marzo 2016, Est. CapponiIn caso di mancata attivazione della mediazione in procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, l’improcedibilità prevista dal D.Lgs. n. 28/2010 non va a colpire la pretesa creditoria azionata in via monitoria, bensì l’opposizione stessa, con il corollario del passaggio in giudicato del relativo decreto ingiuntivo.

Tribunale di Firenze, sez. III, sentenza 24 marzo 2016, Est. GhelardiniIn caso di mediazione non esperita in procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la sanzione dell’improcedibilità di cui all’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 non va a colpire la pretesa creditoria azionata in via monitoria, bensì

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la stessa opposizione, con conseguente irrevocabilità del decreto ingiuntivo opposto. Il punto non merita ulteriore approfondimento, anche perché tale opzione interpretativa è stata accolta dalla Corte di Cassazione, sez. III civile, con la recentissima sentenza n. 24629/2015, seppur all’indomani della suddetta decisione di legittimità questo stesso Ufficio, ritenendola non condivisibile, ha ribadito l’opzione interpretativa che qui si avversa. Non si ravvisano tuttavia ragioni, diverse da quelle già valutate, che inducano ad abbandonare la soluzione interpretativa adottata.

Tribunale di Bologna, sez. II, ordinanza 31 marzo 2016, Est. D’OraziIl mancato avvio del procedimento di mediazione delegata comporta la improcedibilità definitiva dell’opposizione ed il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo, esecutivo nella sua interezza ed irrevocabile.

Tribunale di Cosenza, sez. I, sentenza 5 maggio 2016, Est. LentoL’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziarlo. Ne consegue che, nel processo monitorio, grava su gli opponenti l’onere di avviare il procedimento di mediazione e che il mancato esperimento determina il consolidamento degli effetti il decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.

Tribunale di Grosseto, sentenza 7 giugno 2016, Est. MultariPoiché nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo la domanda oggetto del giudizio è quella dell’opposto, non si comprende come l’integrazione della condizione di procedibilità dovrebbe gravare sull’opponente. D’altra parte, la ratio dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 – nella parte in cui sottrae all’obbligo di attivazione della procedura di mediazione i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione – non autorizza il ricorrente monitorio a godere del regime derogatorio anche dopo che le istanze cautelari siano state definite. Per contro, ove l’opponente proponga domanda riconvenzionale, sarà suo onere attivare la procedura di mediazione sull’oggetto della stessa, pena l’improcedibilità. Ciò proprio perché la declaratoria di improcedibilità è decisione in rito che riguarda la domanda e non il giudizio. Diversamente, in assenza di attivazione della procedura di mediazione, ad essere colpita da improcedibilità sarà la domanda attivata col ricorso monitorio, con contestuale revoca del decreto ingiuntivo opposto.

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229Massimario di giurisprudenza

10. La mediazione e il rito locatizio

Tribunale di Prato, decreto 30 marzo 2011, Est. CecchiLa domanda di accertamento dell’intervenuto esercizio del recesso senza l’osservanza del termine di preavviso pattuito non rientra quelle che l’art. 5, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010 indica come non soggette all’obbligo del preliminare espletamento del procedimento di mediazione disciplinato dallo stesso decreto legislativo. Tale previsione, infatti, riguarda esclusivamente i procedimenti “per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile”.Allorché la domanda risulti assoggettata, in forza dell’espresso richiamo operato dall’art. 447 bis c.p.c., al rito previsto dagli artt. 414 e segg. c.p.c., la fissazione dell’udienza dev’essere effettuata avendo a riferimento anche il termine di cui all’art. 416, 1° comma, c.p.c., da computare in aggiunta al periodo di quattro mesi previsto dall’art. 6, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010, onde evitare di addivenire al risultato di costringere la parte resistente a costituirsi in giudizio in concomitanza con il perdurante svolgimento della procedura di mediazione (ciò che, oltre ad essere evidentemente incongruo, si appalesa in contrasto con la riscontrata improcedibilità della domanda).La struttura dell’art. 415, 4° comma, c.p.c., che fissa in dieci giorni a partire dalla pronuncia del decreto il termine per notificare alla controparte il ricorso ed il decreto stesso, non consente la posticipazione del decorso di tale termine all’esito dell’esperimento della procedura di mediazione (o del termine massimo di quattro mesi per la sua definizione), anche in considerazione del fatto che la previsione di cui al citato art. 5, 1° comma, quarto e quinto periodo, del D.Lgs. n. 28/2010 indica esclusivamente, tra le attività di rinvio (quale conseguenza del rilievo dell’improcedibilità), quella concernente la fissazione della successiva udienza e non anche delle attività ad essa correlate, ma ancorate a distinti dies a quo (come, appunto, la notifica del ricorso e del decreto ex art. 415, 4° comma, c.p.c.).

Tribunale di Modena, sez. distaccata Pavullo nel Frignano, ordinanza 6 marzo 2012, Est. MasoniÉ congruente al significato complessivo dell’innovativa disciplina normativa in funzione deflativa escludere il previo esperimento della mediazione finalizzata alla conciliazione per i procedimenti che potrebbero concludersi senza insorgenza di contrasti tra le parti e in modo consensuale, come il procedimento per convalida di sfratto il quale può terminare con pronunzia di ordinanza di convalida laddove il convenuto non compaia in udienza o comparendo non si opponga (art. 663 c.p.c.). La disposizione di cui all’art. 5, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010 conferma tale interpretazione laddove impone la mediazione solo in ipotesi di “mutamento del rito di cui all’art. 667 c.p.c.”, giacché in tale eventualità, subentrando un contrasto di pretese, si giustifica l’evolversi della controversia nelle forme del giudizio contenzioso.

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Prima dello svolgimento del giudizio di opposizione alla convalida, vanno applicati i commi 1 e 2 dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010; ciò che vuol dire applicabilità del regime di improcedibilità sui generis previsto dal 1° comma, previo invito giudiziale alle parti renitenti all’esperimento del tentativo di componimento nei successivi quindici giorni dall’ordinanza ex art. 667 c.p.c. e possibilità di applicazione della c.d. mediazione demandata di cui al 2° comma.

Tribunale di Roma, sez. distaccata Ostia, ordinanza 26 marzo 2012, Est. MoriconiLa mancata attivazione della mediazione obbligatoria in seguito al disposto mutamento del rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c. comporta l’improcedibilità della domanda giudiziale.

Tribunale di Palermo, sez. II, ordinanza 13 aprile 2012, Est. De GregorioNel procedimento per convalida di sfratto il tentativo di mediazione diviene condizione di procedibilità solo dopo la pronuncia dei provvedimenti adottati nella fase c.d. sommaria e per il giudizio a cognizione piena, derivato dalla opposizione e dal successivo mutamento del rito. È onere della parte avviare il procedimento di mediazione all’esito del mutamento del rito e, di conseguenza, la verifica di cui al 1° comma del citato art. 5 va operata solo all’udienza fissata ex art. 667 c.p.c.

Tribunale di Busto Arsizio, sez. distaccata Gallarate, sentenza 15 giugno 2012, Est. Di LorenzoDichiarata l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, non viene meno l’efficacia dell’ordinanza non impugnabile di rilascio ex art. 665 c.p.c. emessa all’esito della fase sommaria del procedimento di convalida, posto che l’ordinanza in questione rientra nella categoria dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto e quindi l’estinzione del giudizio di merito o la sua improcedibilità non ne determina l’inefficacia, salva restando la facoltà del conduttore di far valere, nel termine di prescrizione, le sue eccezioni in un nuovo, autonomo processo.

Tribunale di Bologna, sez. II, sentenza 17 novembre 2015, n. 21324, Est. MatteucciCon specifico riguardo ai tempi di attivazione del procedimento di mediazione obbligatoria con riferimento alle intimazioni di sfratto, il termine per l’esperimento della mediazione obbligatoria va opportunamente assegnato non più in sede di procedimento di sfratto, bensì (ove le parti non abbiano nel frattempo autonomamente provveduto ad esperire la mediazione) in occasione dell’udienza che si svolge all’esito del mutamento del rito. La ragione di tale scelta sta nel fatto che l’adempimento, anche, ma non solo, in caso di intimato non comparso, potrebbe risultare gravoso e macchinoso o potrebbe determinare disallineamenti interpretativi.

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231Massimario di giurisprudenza

Nei procedimenti di intimazione di sfratto, è l’intimato, nei cui confronti il locatore può far valere l’ordinanza di rilascio (immediatamente esecutiva e non impugnabile), ad essere significativamente onerato della instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria (una volta che il termine sia stato assegnato dal giudice) al fine di evitare che l’ordinanza di rilascio si stabilizzi. Dal suo canto, anche il locatore intimante può avere interesse a coltivare la mediazione obbligatoria, ma ciò è vero non con riguardo al provvedimento esecutivo già conseguito e non impugnabile (condanna con riserva delle eccezioni del convenuto), bensì unicamente con riguardo alle ulteriori domande che il locatore abbia proposto. L’espressione “condizione di procedibilità della domanda” di cui al D.Lgs. n. 28/2010 va dunque correttamente intesa con riferimento alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall’intimato–opponente, nonché alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall’intimato (essenzialmente pagamento somme). Tali domande, infatti, restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall’intimato, non risultando sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena. Invece, l’ordinanza di rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non impugnabile dall’art. 665 c.p.c. e, pertanto, non è neppure modificabile e/o revocabile).

Corte d’appello di Firenze, sez. locazioni, sentenza 29 gennaio 2016, Est. BarbarisiIn relazione al procedimento per convalida di fratto, il tentativo di mediazione previsto dall’art. 5, 4° comma, D.Lgs. n. 28/2010 diviene condizione di procedibilità unicamente dopo la pronuncia dei provvedimenti adottati nella fase c.d. sommaria, dovendosi ritenere esperibile solo dopo il mutamento del rito disposto all’udienza ex art. 667 c.p.c. e, quindi, anche dopo la pronuncia dei provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c. e per il giudizio a cognizione piena derivato dalla opposizione e dal successivo mutamento del rito. È onere della parte avviare il procedimento di mediazione all’esito del mutamento del rito – anche in grado di appello – e, di conseguenza, la verifica di cui al 1° comma del citato art. 5 dev’essere operata solo all’udienza fissata ex art. 667 c.p.c.

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11. La mediazione e la Pubblica Amministrazione

Consiglio di Stato, sez. I, parere 6 febbraio 2013, n. 1516, Est. MeleIl rapporto di pubblico impiego con l’Amministrazione dell’Interno presenta delle particolarità pubblicistiche di livello elevato, in quanto il soggetto ricompreso nei ruoli di tale Amministrazione rappresenta lo Stato nella sua veste autoritativa e nella titolarità specifica della sicurezza interna dell’ordinamento, per cui ogni attività, per quanto occasionale e di elevato contenuto professionale, non può essere compatibile con la qualità rivestita, determinando una doppia veste, da un lato autoritativa e dall’altro apertamente libero–professionale che non può sussistere nell’attuale momento storico–ordinamentale. A tal riguardo, l’iscrizione all’elenco dei mediatori di una società di diritto privato che si occupa della materia dà luogo all’assunzione di una specifica qualità giuridica, di soggetto “mediatore”, eventualmente chiamabile ad esercitare la relativa attività, la quale consiste nell’attribuzione di una specifica professionalità di soggetto libero–professionista, che non può essere compatibile con l’esercizio dell’attività di Polizia.

Corte dei conti, sez. giur. per la Regione Siciliana, sentenza 23 luglio 2013, n. 2719, Est. ColavecchioNon appare censurabile, né frutto di scriteriatezza, la scelta dell’Amministrazione di giungere ad una soluzione transattiva anche nei casi di mediazione non obbligatoria ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 24 ottobre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 20 novembre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 23 ottobre 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 22 giugno 2015, Est. MoriconiNon vi sono ostacoli a che il funzionario delegato dalla Pubblica Amministrazione possa gestire la procedura di mediazione e, nell’ambito dei poteri attribuitigli, concludere un accordo. Per contro, l’eventuale deprecata scelta di una condotta agnostica, immotivatamente anodina e deresponsabilizzata dell’Amministrazione, potrebbe esporre la stessa a danno erariale sotto il profilo delle conseguenze del mancato accordo su una proposta mediatoria comparativamente valutata rispetto al contenuto della sentenza.

Tribunale di Palermo, sez. I, ordinanza 16 luglio 2014, Est. RuvoloLa mediazione ex officio iudicis può essere disposta anche se una delle parti del processo è una Amministrazione pubblica. Nelle fonti normative non si rinvengono, infatti, disposizioni che escludono le Pubbliche Amministrazioni dall’ambito di applicazione della disciplina introdotta.

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233Massimario di giurisprudenza

Pertanto, la normativa in materia di mediazione in ambito civile e commerciale trova applicazione anche in riferimento al settore pubblico, come pure si legge nella circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 9/2012.

Tribunale di Bologna, sez. III, ordinanza 11 novembre 2014, Est. GiannitiLa normativa in materia di mediazione opera anche in riferimento al settore pubblico, con esclusione delle controversie che implichino la responsabilità della Pubblica Amministrazione per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 4 agosto 2015, n. 3843, Est. LignaniNell’art. 6, 4° comma, Reg. n. 180/2010 si allude alla possibilità che le funzioni di mediatore siano svolte da pubblici dipendenti. Tuttavia, in questa disposizione non si può leggere una sorta di autorizzazione generalizzata ed implicita a che ogni pubblico dipendente assuma tale qualità. Essa invece si spiega con la considerazione che l’organizzazione del servizio di mediazione può essere intrapresa anche da enti pubblici (tipicamente, ad esempio, le camere di commercio) avvalendosi di propri dipendenti.

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 17 dicembre 2015, Est. Moriconi Non sussiste un giustificato motivo per non aderire, non presentandosi, all’incontro di mediazione demandato dal giudice nel caso in cui il difensore di un ente territoriale di grandi dimensioni manifesti il rifiuto dello stesso di partecipare alla procedura in forza di una procura rilasciata direttamente dall’organo di vertice e non, invece, da un responsabile del procedimento o da un procuratore speciale. È infatti sommamente inverosimile che tale organo, o chiunque altro per esso, sia stato mai e realmente investito della conoscenza dell’ordinanza e dell’invio in mediazione impartito dal giudice ed abbia assunto una qualsiasi determinazione consapevole al riguardo. La risposta, quindi, pur riconducibile formalmente al soggetto convenuto, è meramente stereotipa e di stile, sintomo della trattazione dell’ordine giudiziale, da parte dell’ente territoriale, come mera questione processuale di cui si deve occupare l’avvocato al quale è stato rilasciato il mandato alla lite.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 28 gennaio 2016, Est. Moriconi Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 1 febbraio 2016, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 29 febbraio 2016, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 10 marzo 2016, Est. MoriconiLa partecipazione al procedimento di mediazione demandata è obbligatoria per legge e, proprio in considerazione di ciò, non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica della Pubblica Amministrazione di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione, neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione.

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Va infatti considerato che la legge, nel disciplinare la mediazione, sia dal punto di vista attivo che passivo, non fa alcuna eccezione per quanto riguarda l’ente pubblico. Le Pubbliche Amministrazioni hanno pertanto, in subiecta materia, gli stessi oneri ed obblighi di qualsiasi altro soggetto, fermo restando che il soggetto che va in mediazione in rappresentanza dell’Amministrazione dovrà concordare con chi ha il potere dispositivo del diritto perimetri oggettivi all’interno dei quali poter condurre le trattative. Peraltro, va considerato che una conciliazione raggiunta sulla base del correlativo provvedimento del giudice, spesso anche corredato da indicazioni motivazionali, in nessun caso potrebbe esporre il funzionario a responsabilità erariale, caso mai potendo essa derivare dalle conseguenze sanzionatorie (art. 96, 3° comma, c.p.c.) che possono conseguire ad una condotta deresponsabilizzata, ignava ed agnostica della Pubblica Amministrazione.

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235Massimario di giurisprudenza

12. La mediazione e altri strumentidi risoluzione delle liti(arbitrato, conciliazione e negoziazione assistita)

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 23 settembre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 30 settembre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 3 ottobre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 10 ottobre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 24 ottobre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 4 novembre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 16 dicembre 2013, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 16 ottobre 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 23 ottobre 2014, Est. MoriconiTribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 22 giugno 2015, Est. MoriconiBenché la legge non preveda che la proposta formulata dal giudice ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c. debba essere motivata, è tuttavia opportuno indicare alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente. Sotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato.

Tribunale di Bari, sez. distaccata Modugno, ordinanza 30 ottobre 2013, Est. DeliaLe parti, assistite dai rispettivi difensori secondo lo schema da loro già usufruito nel percorso conciliativo ex art. 185 c.p.c., possono avvalersi – ove lo reputino d’ausilio ed in aggiunta alla proposta formulata dal giudice ex art. 185 bis c.p.c. – di un mediatore professionale, in ossequio al 2° comma dell’art. 5, D.Lgs. n. 28/2010, perché può rivelarsi conveniente risolvere la controversia con le agevolazioni, per tutte le parti, economiche e fiscali.

Tribunale di Milano, sez. speciale impresa B, ordinanza 21 marzo 2104, Est. VannicelliOve le parti rifiutino immotivatamente la proposta conciliativa formulata dal giudice ex art. 185 bis c.p.c., quest’ultimo ben può avviarle alla mediazione ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D.Lgs. n. 28/2010 (cd. mediazione ex officio).

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Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 30 giugno 2014, Est. MoriconiAffinché le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta conciliativa del giudice ex art. 185 bis c.p.c., un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 16 dicembre 2014, Est. ManganoIn ragione della estrema flessibilità dell’istituto disciplinato dall’art. 185 bis c.p.c., il quale assegna al giudice civile i più ampi poteri nella determinazione dei tempi e dei modi di esercizio di una funzione schiettamente conciliativa, ancorché inserita nel contesto dell’ordinario giudizio contenzioso, l’accertamento della improcedibilità dell’azione, per il mancato previo ricorso alla mediazione obbligatoria, non esclude la possibilità per il giudice di proporre una soluzione transattiva della lite, di cui le parti potranno giovarsi a prescindere dalla sede prescelta (mediazione, giudizio contenzioso, etc.).

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 2 febbraio 2015, Est. MarzocchiAnche in seguito all’esito negativo del tentativo di conciliazione svolto direttamente dal giudice ex art. 185 c.p.c., deve disporsi il tentativo di mediazione delegata allorché le parti, personalmente presenti al tentativo di conciliazione, abbiano mostrato capacità negoziali potenzialmente sufficienti a definire amichevolmente la lite, pur in presenza di rispettive contrapposte domande giudiziali.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 10 febbraio 2015, Est. MarzocchiAnche se i legali delle parti si siano detti contrari ad un tentativo di conciliazione svolto direttamente dal magistrato, ai sensi dell’art. 185 c.p.c., può essere opportuno disporre, in via ulteriormente subordinata alla proposta conciliativa del giudice ex art. 185 bis c.p.c., un tentativo di mediazione in vista di una possibile conciliazione della lite, alla luce degli elementi in fatto e di diritto già emersi in corso di causa.

Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 28 febbraio 2015, Est. MarzocchiPuò essere opportuno disporre il tentativo di mediazione in vista di una possibile conciliazione della lite non soltanto in base agli elementi di fatto e di diritto già emersi in corso di causa, ma altresì alla luce della proposta formulata dal giudice ex art. 185 bis c.p.c.

Tribunale di Palermo, sez. I, ordinanza 29 luglio 2015, Est. RuvoloLa proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. può eventualmente anche costituire il punto di partenza del percorso conciliativo da intraprendere davanti al mediatore.

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237Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 29 ottobre 2015, Est. MoriconiLa proposta conciliativa del giudice non è una sentenza, quanto piuttosto un’autorevole e meditata indicazione, allo stato e sulla base degli atti, di un punto di equilibrio, irrorato di equità, sul quale ben possono ed anzi debbono le parti, in caso di difficoltà ad accordarsi sull’esatto contenuto della proposta, continuare a discutere, anche con l’ausilio di un soggetto terzo ed imparziale, qual è il mediatore.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 22 dicembre 2015, Est. VaccariL’art. 3, 5° comma, primo periodo, D.L. n. 132/2014 (conv. in L. n. 162/2014) impone espressamente il cumulo tra negoziazione assistita obbligatoria e procedure stragiudiziali obbligatorie, per legge o per previsione contrattuale o statutaria, salvo che la controversia non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex lege, perché in tal caso solo questa procedura va esperita. In altre parole, l’esito negativo di una procedura stragiudiziale prevista obbligatoriamente per una determinata controversia non esonera le parti dall’esperimento della negoziazione assistita che sia prevista per quella stessa controversia e viceversa. Pur in mancanza di una chiara previsione normativa, lo steso iter va dunque seguito nel caso in cui in relazione ad una controversia soggetta a mediazione obbligatoria sia stata prima esperita una negoziazione assistita facoltativa. Del resto, una simile sequenza non appare in astratto inutilmente dilatoria, a differenza di quella inversa (negoziazione esperita dopo il fallimento della mediazione) poiché consente il passaggio ad una procedura stragiudiziale che presenta un valore aggiunto rispetto alla prima, costituito dall’intervento di un terzo imparziale, che può favorire l’esto conciliativo.

Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 1 febbraio 2016, Est. MoriconiLa mediazione demandata dal giudice (art. 5, 2° comma, D.Lgs. 28/2010, come modificato dal D.L. n. 69/2013) richiede anch’essa, da parte del giudice, attenzione e studio, ma non dovendo contenere una proposta specifica, è certamente meno impegnativa rispetto allo strumento di cui all’art. 185 bis c.p.c. In quest’ottica, è possibile prevedere, al fine di incrementare l’efficacia del provvedimento rispetto al modello della semplice e anodina ordinanza di invio in mediazione, la presenza di indicazioni motivazionali, così come già sperimentato nell’ambito della proposta del giudice. Mentre però in quel caso (art. 185 bis c.p.c.) tali indicazioni sono funzionali a propiziare nelle parti l’accoglimento della proposta del giudice, nel caso delle mediazione demandata il giudice segnala alle parti ed al mediatore i punti fondamentali sui quali è opportuno orientare e centrare la discussione nella ricerca dell’accordo. Anche in questo caso, del resto, come nella proposta ex art. 185 bis c.p.c. il giudice segnala, prudentemente e con lealtà, gli aspetti salienti di maggiore o minore forza delle posizioni delle parti e delle risultanze istruttorie, al fine esclusivo di favorire

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le migliori condizioni di confronto dialogo e soluzione del conflitto. Il vantaggio della mediazione demandata rispetto alla proposta del giudice, infine, si manifesta ulteriormente nell’armamentario sanzionatorio che è costituito dall’improcedibilità delle domande da chiunque proposte – se il procedimento conciliativo non è stato promosso, ovvero è stato esperito in modo irrituale – e, ove di ragione, argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. nonché condanna ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c.

Tribunale di Santa Maria di Capua Vetere, sez. I, ordinanza 22 febbraio 2016Può essere opportuno disporre l’esperimento del procedimento di mediazione per consentire alle parti di confrontarsi sulla proposta formulata dal giudice ex art. 185 bis c.p.c.

Collegio arbitrale di Bologna, ordinanza 3 marzo 2016, Avv.ti Francia, Andreotti, SoggiaA differenza del 5° comma dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, il comma 1 bis del medesimo articolo rivolge esclusivamente al giudice l’obbligo di differire il giudizio per consentire l’instaurazione (e/o la conclusione) del procedimento di mediazione obbligatoria, senza coinvolgere in alcun modo la figura dell’arbitro. La formulazione normativa non può ritenersi frutto di una mera “svista” del legislatore, bensì frutto di quel ripensamento che, nella stesura definitiva dell’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 (nella formulazione originaria) aveva portato il legislatore ad espungerne il 7° comma, a norma del quale “le disposizioni che precedono si applicano anche ai procedimenti davanti agli arbitri, in quanto compatibili”. La non applicabilità della mediazione obbligatoria al procedimento arbitrale è dunque frutto di una specifica scelta del legislatore che si fonda sul rilievo della natura parimenti alternativa e deflattiva attribuibile, tanto all’arbitrato, quanto alle procedure di mediazione.

Tribunale di Verona, sez. III, ordinanza 15 maggio 2016, Est. VaccariL’ambito di applicazione dell’art. 3, 5° comma, D.L. n. 132/2015, che consente il cumulo tra negoziazione assistita obbligatoria e altre condizioni di procedibilità, va limitato ai casi in cui la medesima domanda o una pluralità di domande distinte siano soggette a condizioni di procedibilità diverse. Si può pensare, a titolo esemplificativo, al caso della domanda di condanna la pagamento di una somma fino ad euro 50.000,00 che si fondi su un contratto agrario, che come tale è soggetta sia a negoziazione assistita che al tentativo obbligatorio di conciliazione davanti all’ispettorato agrario, o a quello di una domanda di condanna al pagamento di una somma fino ad euro 50.000,00 fondata su una ipotesi di responsabilità professionale alla quale sia connessa una domanda relativa ad un contratto assicurativo, atteso che mentre la prima è soggetta a negoziazione assistita la seconda soggiace a mediazione.

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239Massimario di giurisprudenza

Tribunale di Santa Maria di Capua Vetere, sez. I, ordinanza 15 giugno 2016, Est. VeschiniLa proposta transattiva formulata dal giudice ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c. ben può essere sviluppata dalle parti anche in sede di mediazione, onde agevolare la soluzione bonaria della controversia.

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