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Nel primo anno del progetto, in cui abbiamo partecipato a tre moduli e due seminari, abbiamo particolarmente sviluppato il tema della sicurezza sul lavoro.

In questo anno, invece, abbiamo seguito il modulo “Economia & felicità”, con il prof. Luca Stanca. Il lavoro che ci ha proposto era difficilmente attuabile in questo anno e solo due di noi hanno provato ad approfondirlo. In particolare uno di noi, Marco, ha provato a leggere il libro “Il denaro fa la felicità?” di Leonardo Becchetti, ma abbiamo preferito soffermarci sul tema che più ci aveva interessato lo scorso anno, grazie alla relazione della dottoressa Carmela Torchiarella, la differenza tra precarietà e lavoro flessibile.

Abbiamo chiesto aiuto alla letteratura, che spesso è più leggera del diritto e dell’economia all’apparenza, ma riesce ad essere più incisiva di molti trattati e manuali.Così abbiamo pensato di leggere alcuni brani da libri che abbiamo letto e che sono:

“Mi spezzo ma non m’impiego”, di Andrea Bajani; “La leggenda dei monti naviganti” di Paolo Rumiz.

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Dopo la conferenza del Professor Stanca su “Economia e felicità” ho deciso di approfondire il tema del rapporto tra denaro e benessere.

Ho letto il libro di Leonardo Becchetti “Il denaro fa la felicità?” e alcune parti dei libri “La buona vita” di Inghilleri e “La leggenda dei monti naviganti” di Rumiz.

Vorrei condividere con voi uno stralcio da Rumiz che parla degli ELFI, una comunità di persone che vivono in modo alternativo, dando importanza alle relazioni tra le persone e non considerando parte essenziale della vita il denaro.

Rumiz è andato a trovare Guccini e gli sta chiedendo informazioni su uno strano autostoppista, a cui ha dato un passaggio:

“ Senti, gli dico dopo i convenevoli, “ho trovato sulla strada un tipo con la giacca in pelle di capra. Chi poteva essere?”

Francesco, a colpo sicuro: “Aveva odore di selvatico?”.

“Sì, di caprone.”

“Allora non c’è dubbio, hai incontrato un elfo.”

Penso sia un gioco.

“Ma no, gli elfi esistono. Sono una confraternita di famiglie. Vivono in frazioni abbandonate attorno a Bellavalle. Non hanno acqua corrente, né luce elettrica. Brave persone che vivono all’antica.”

Stappiamo una bottiglia di rosso. Il tavolo della cucina è ingombro di giornali. Guccini gesticola, e la sigaretta disegna geroglifici rossi nella penombra.

“Hanno ribattezzato i luoghi con i nomi di Tolkien: Gran Burrone, Terra di Lotrien eccetera. Fanno tanti figli, belli e in buona salute. Vanno anche benissimo a scuola, perché crescono senza tv.”

Immagino qualcosa di simile agli Amish. Gente tosta e taciturna. Come il barbuto che ho imbarcato in topolino.

L’orso di Pavana conferma. “Non lasciano giocare i figli prima che abbiano finito i compiti. Si fanno il pane in casa. Vivono di baratto o di mestieri. Ferrano cavalli, zappano orti, raccolgono castagne, ripuliscono il bosco.”

Penso che l’odore di capra sia semplicemente l’odore dei nostro nonni. Come dire il nostro, ma senza rubinetti in casa e con il letamaio in cortile. La stessa vita grama di Amerigo.

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Basta parlare di precari.

I precari non esistono, e se mai sono esistiti adesso si sono estinti.

La legge 30, conosciuta anche come Legge Biagi, lo dice molto chiaramente: lavoratore è “qualsiasi persona che lavora o che è in cerca di un lavoro”.

E’ un lavoratore anche colui che il lavoro non ce l’ha, e questa è una buona notizia.

Chi mai se lo sarebbe aspettato. Basta mettersi in strada a cercare un impiego che già la disoccupazione è finita. Ingenuo, non averci pensato prima.

Eppure è un principio molto semplice: basta cambiare i nomi alle cose e le cose non esistono più.

Basta cambiare il nome alla disoccupazione, e la disoccupazione finisce.

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Esiste una tendenza, piuttosto diffusa, a considerare i lavoratori precari come

un amalgama indistinta di persone tutte uguali. Tutti mediamente giovani, mediamente scalcagnati, tendenzialmente mammoni e con le scarpe da ginnastica slacciate.Sarebbe come pensare ai vacanzieri nei termini di una folla di persone con la collana di fiori intorno al collo, la camicia hawaiana e le infradito che cercano di passare il check-in con la tavola da surf sotto il braccio. Invece, a guardarli da vicino ci si rende conto che c’è chi parte portandosi dietro tutto il guardaroba e chi si mette in viaggio con lo spazzolino da denti nel taschino, chi fa un viaggio soltanto in occasione delle nozze d’oro e chi parte tutti i weekend. Lo stesso vale per i lavoratori precari che, sia detto come scoop, non hanno tutti le scarpe da ginnastica, non sono tutti giovani e non hanno così tanta voglia di stare aggrappati alle gonne delle mamme per il resto dei loro giorni. Alcuni sono appena laureati altri hanno capelli grigi perché il mercato del lavoro li ha espulsi a cinquant’anni, alcuni sono uomini in giacca e cravatta, altri sono fricchettoni irriducibili, altri ancora hanno veramente le scarpe da ginnastica alcuni sono padri, altri non lo saranno mai, alcune sono madri, altre non hanno voglia di esserlo, altre ancora lo vorrebbero ma poi rinunciano, alcuni fanno lavori di basso profilo, altri ricoprono ruoli di responsabilità, alcuni sono felici di essere precari e morirebbero se soltanto avessero un posto fisso, altri finiscono male perché non hanno un posto fisso e non riescono più a reggere le incertezze della precarietà. Quel che è certo, è che sono tanti e che stanno crescendo a vista d’occhio.

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Chi si iscrive ad un master è perché vuole diventare più professionista di tutti. E in un’epoca di professionismi concorrenziali avere l’attestato del master è come avere il settebello tra le carte in mano. Ecco qualche esempio di master reperibile sul mercato molto facilmente. Analogamente ai corsi, si può imparare a fare di tutto:

Master in valorizzazione delle risorse territoriali e culturaliMaster avanzato in “percorsi d’autore”Master breve in business englishMaster breve per il viaggio enogastronomico (inglese-francese)Master di specializzazione in copywritingMaster human resourcesMaster in beauty and wellness managerMaster in comunicazione della salute e delle scienze medicheMaster di design di scarpe e accessoriMaster in diritto del lavoro e della previdenza socialeMaster in fashon buyerMaster in fashon showMaster in video conferenza in avvocato d’affariMaster in videogame designMaster weekend in gestione e sviluppo delle risorse umane

Certo, i costi sono elevati, ma i genitori devono avere pazienza. Un master può costare tra i 6 000 e i 12 000 euro all’anno. Ma che sarà mai?Se costa 6 000 euro all’anno per due anni, che sarà mai?Se per farlo i figli dovranno spostarsi a Milano o a Roma e pagare un affitto, che sarà mai?Prestito per prestito, si fa 31. Prima di chiederlo alla banca, tanto vale fare bene i calcoli.Tra vitto e camera in affitto sono 9 000 euro? Vada per 9 000 euro. Più 6 000 che sono quelli per il master? Segniamo 15 000 euro all’anno, che per due anni fanno 30 000 euro. Sono 1 250 euro al mese per il pargolo, per due anni. E che sarà mai? Alla fine però diventano professionisti. Ovvero: fanno una stage gratuito in azienda.

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Prodigio della natura, capita che le donne con vantaggioso contratto flessibile ogni tanto rimangono incinta. Chi volente, chi nolente, finiscono per avere un corpo che cresce dentro la pancia e aspetta di diventare bambino. Quando succede lo dicono sottovoce ai colleghi e li invitano a bere un bicchiere di vino finito il lavoro. Col calice in mano i colleghi dicono: “Questa si che è una bella notizia!”. Lei sorride e tintinna i loro bicchieri col suo succo di frutta. In ufficio, poi, tutti la trattano con premura, anche se il datore di lavoro ancora non lo sa. Quando viene informato, il datore di lavoro prima stringe e denti nervoso, poi sorride e dice: “Questa si che è una bella notizia!”. La collaboratrice, dall’altra parte del tavolo, è molto nervosa perché ha paura di perdere il lavoro. Ma l’affermazione del suo principale la tranquillizza e lei si lascia andare più rilassata sullo schienale. Così dice:” Sono contenta, di sentirle dire queste parole. E io che temevo …” “Lei non ha nulla da temere, - le dice il datore di lavoro, - perché qui ci sarà sempre un posto per lei.” La collaboratrice, di nuovo dritta e nervosa sulla sedia, ribatte che lavorerà fino al giorno in cui le si romperanno le acque, e che una settimana dopo il parto sarà di nuovo al suo posto. Il datore di lavoro, però, le ripete che ha fatto una scelta importante,meravigliosa, e che quindi è giusto che la porti avanti con tutto l’amore che merita. “ quando scade il suo contratto?” le chiede. Lei risponde che scade due mesi prima della nascita del bambino. Se sarà galantuomo, lui in ospedale le farà recapitare un mazzo di fiori.

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Chi affronta bene un colloquio di lavoro è a metà dell’opera, e non di rado l’azienda se ne accorge e lo tiene con se. Viceversa, affrontarlo male significa scavarsi la fossa da soli e rassegnarsi al vizietto della disoccupazione. Per questo seguire un corso di formazione in cui insegnano, tra l’altro, ad affrontare al meglio il colloquio è un investimento che vale la pena. Si paga quel che si deve pagare, ma d’altra parte non si può certo fare economia su questi aspetti, Quindi, sii te stesso, sii sincero!!!!

Una volta memorizzati tutti i trucchi, messe tutte le cinque P nel posto giusto il colloquio è un gioco da ragazzi. È per questo che ci si iscrive al corso, perché qualcuno spieghi per filo e per segno come ci si comporta davanti a un selezionatore. La sincerità, poi, conta più di tutto, perché è la sincerità che fa la chimica del colloquio. L’esaminatore, spiegano al corso, farà solo domande “rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoro”. Al limite qualche domanda provocatoria, ma soltanto per vedere il candidato come reagisce. Se, per fare un esempio, chiedono a una donna se le piacciono i bambini è solo una domanda provocatoria. Se per fare un altro esempio chiedono a una donna se ha dei figli è solo per fare una domanda provocatoria. Se, per fare un altro esempio ancora chiedono a una donna se ha intenzione di sposarsi, è solo per fare una domanda provocatoria. Se poi, dopo le domande provocatorie, decidono di non tenerla sarà solo perché avrà reagito un po’ male. Oppure perché stava seduta ingobbita. Oppure perché non è arrivata in orario. Oppure perché non ha saputo dire se era più da boutique o da supermercato. Certo non perché ha risposto sinceramente alle domande

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Grazie all’agenzia di “fornitura di personale”, per la prima volta hai indossato un tailleur elegante. Dopo i primi momenti di imbarazzo, a girare sotto gli occhi di tutti così sagomata, hai cominciato a prenderci gusto. Il fatto che anche le altre hostess dell’agenzia indossassero un tailleur in tutto e per tutto identico al tuo, ti faceva sentire un po’ meno nuda.

La gente vi si rivolgeva come se foste tutte la stessa persona, e proprio come se foste la stessa persona voi rispondevate nello stesso identico modo. Il che in qualche modo facilitava il lavoro.

Cinque giorni di sorrisi di fronte alla scocca dell’ultima auto nuova fiammante in fondo al salone. Accanto al salone, il gabinetto. Il tuo ruolo, per tre giorni, è stato quello di far splendere la scocca ancora di più e di dire “In fondo a destra” a chi si avvicinava camminando tutto insaccato in cerca del bagno. La sera, per cinque giorni, sei tornata a casa e quando ti sei tolta le scarpe i tuoi piedi hanno fumato paonazzi e tu ti sei addormentata sul divano col tailleurino indosso e la spilla dell’agenzia appuntata sul petto. Dopo il Salone delle automobili è stata la volta del Salone del mobile, del Convegno internazionale cardiologia, della Giornata Mondiale del ponte dentario. In ciascuna di queste occasioni hai sorriso rendendo più piacevole la giornata di chi ti è passato davanti, hai consegnato cataloghi da dentro il cubicolo di uno stand colorato, hai fatto firmare fogli presenze e hai reindirizzato ad altri le domande che ti sono state rivolte (“Il ventricolo destro è più a rischio di quello sinistro?”, “Che mi dice delle otturazioni dei premolari?”, “C’è qualcuno che si prende la responsabilità di dirmi che l’ebano è più resistente del faggio o anche lei non sa niente come tutte le altre?”)

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Realizzazione a cura di:

Francesca Urso;

Marco Moro;

Valentina Pusterla;

Raffaella Grecchi;

Michela Clun;

Antonella D’Alfonso;

Francesca Spennati.

Coordinamento Prof.ssa Sara Marsico