Nel nome della Regina: i Longobardi · 2019-07-23 · una punizione divina, come scrisse in una...
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Nel nome della Regina: i Longobardi Il lungo dominio longobardo in Italia fu un periodo di grande importanza
per le vicende di Lombardia e di Monza, in particolar modo beneficiata
dalla regina Teodolinda. Prima della sovrana longobarda, infatti,
emergono scarse notizie sulla città lombarda, anche se è noto che già il re
ostrogoto Teodorico vi aveva edificato un palazzo, attribuendo quindi al
luogo una certa importanza, anche se forse solo legata alla "salubrità
dell'aria" e al "clima fresco durante l'estate", come sostiene Paolo
Diacono, lo storico dei Longobardi vissuto nell'VIII secolo.
I Longobardi provenivano dalle rive del Mare del Nord. Erano un popolo
numeroso raggruppato in gruppi tribali guidati da capi che, con chiara
derivazione dal latino dux; si chiamarono "duchi" - i quali eleggevano al
loro interno un re.
Re secondo le consuetudini barbariche, non legato al dominio territoriale,
ma rappresentava la continuità della nazione, formata dagli arimanni, cioè
dagli uomini liberi. Le tribù erano composte anche da servi, aldi, e schiavi.
Come tutti i popoli germanici non avevano legge scritta, ma il peso della
tradizione era fortissimo.
Il popolo venuto dal Nord Nel maggio 569 (o 568), dunque, i Longobardi
guidati da Alboino passarono le Alpi Giulie e
occuparono Cividale. Le valutazioni sono
controverse, ma sembra che i guerrieri non
fossero più di 15.000; con le donne, i vecchi, i
bambini, i servi, gli aldi “lavoratori della terra”
e gli schiavi; il gruppo saliva a circa 60.000
persone.
Sul confine delle Alpi Giulie Alboino travolse
le forze bizantine e lasciò Gisulfo a custodire la
frontiera orientale, nominandolo duca del Friuli.
Proseguì poi nelle terre del Veneto e di tappa in tappa, nel 569, giunse a
Pavia; il 3 settembre dello stesso anno i Longobardi entrarono in Milano.
Il vescovo della città Onorato, si rifugiò a Genova, che rimase sede
episcopale milanese per oltre settant'anni.
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Digiuni di marineria, i Longobardi non toccarono le città di mare liguri,
tirreniche e adriatiche, che poterono salvarsi e restare fedeli
all'imperatore di Costantinopoli.
I duchi longobardi facevano una guerra di conquista personale; così
alcuni di essi, con le loro fare (es. Fara d’Adda un nome che è rimasto in
alcune località lombarde), cioè i clan familiari da loro dipendenti si
spinsero fin nella Toscana e nell'Umbria, dove stabilirono una base
importantissima a Spoleto; altri arrivarono nel Sannio, occupando
Benevento. Spoleto e Benevento furono i maggiori possedimenti
longobardi fuori dall'Italia settentrionale, dove era rimasto il grosso del
gruppo. I due ducati controllavano le comunicazioni fra Ravenna e Roma e
fra Roma, Napoli e Otranto, impedendo così possibili invasioni bizantine
dal mare.
L’occupazione longobarda fu feroce; molti proprietari di terre furono
uccisi; ville, chiese e monasteri distrutti. Resistettero alcuni presidi
bizantini a Oderzo, Monselice, Padova, Mantova e Ravenna, e per
vent'anni anche l'isola Comacina. Ma la maggior parte della Pianura
Padana divenne "longobarda".
Alboino fu ucciso da una congiura di
famiglia nel 572; gli succedette Clefi
ucciso a sua volta nel 574. Seguirono
dieci anni di anarchia durante i quali i
duchi longobardi si rifiutarono di
eleggere un re, per non doversi
sottomettere a un proprio pari.
Nel 582, approfittando di questo stato
di cose, papa Pelagio invitò il governo
bizantino a riprendere la lotta contro i
barbari e a rinforzare i presidi italiani. I
Bizantini non soltanto aderirono alla
richiesta del papa, ma pensarono anche di
servirsi dei Franchi per contenere i Longobardi e i Franchi calarono per
due volte in Italia, impegnando i Longobardi in dure battaglie.
Il pericolo di un'alleanza tra Franchi e Bizantini convinse i duchi a darsi
una struttura di comando e nel 584 elessero Autari come re.
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Autari respinse l'anno seguente una spedizione Franca e avviò trattative
con l'esarca di Ravenna Smaragdo. Questo significò il riconoscimento
del regno longobardo da parte di Costantinopoli e quindi il pericolo franco
bizantino venne neutralizzato.
La grande regina di Monza "La sorgente principale del lustro e della grandezza a cui Monza pervenne
deesi fuor di dubbio al tempio sacro al Precursore di Cristo dalla regia
magnificenza di Flavia Teodolinda, regina dè Longobardi, qui eretto e
splendidamente dotato e costituito, per così dire l'oracolo di sua nazione,
non solo, ma di tutta quanta l’Italia…" Così scrive lo storico Marimonti a
proposito di San Giovanni in Monza e della sovrana longobarda.
Il canonico Frisi, un altro importante storico monzese, la chiama
“Teodelinda", nome composto da due parole germaniche, theuda (in gotico
thiuda). che significa "gente", e lind che sta per "tiglio" o "scudo di legno
di tiglio". "Teodelinda" significherebbe dunque "difesa, scudo della
gente", nome ben adatto a una regina.
Teodolinda era una principessa barbara, figlia di
Garibaldo re dei Bavari, chiesta in moglie da
Autari per rendere più solida l'alleanza contro i
Franchi che minacciavano di continuo i territori
longobardi in Italia. I Bavari erano cristiani, i
Longobardi in gran parte pagani, tranne pochi che
si erano convertiti al cristianesimo, ma nella
forma ereticale del prete Ario; la cosa non
doveva però sembrare così grave, tanto che le
trattative andarono avanti e il matrimonio venne
combinato.
Un anno dopo le nozze i Franchi tentarono una
nuova spedizione in Italia; un gruppo scese dal
passo di Lucomagno e giunse al lago di Lugano, un altro dall’Alto Adige
arrivò a Verona. Autari, costretto a rifugiarsi a Pavia organizzò la
controffensiva che in tre mesi respinse il nemico oltralpe.
Da una lettera di papa Gregorio Magno apprendiamo che in quello
stesso anno Autari aveva emanato un decreto che proibiva ai Longobardi
di far battezzare i figli nella fede cattolica.
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Perché questo irrigidimento da parte del sovrano? Forse l’influenza della
regina cattolica aveva irritato e insospettito il re? Non potremo mai
saperlo; sta di fatto che Autari mori giovanissimo, forse per
avvelenamento, il 5 settembre 590 e papa Gregorio vide in quella morte
una punizione divina, come scrisse in una lettera ai vescovi italiani.
Teodolinda dunque rimase vedova, sollecitata dai duchi perché scegliesse
un nuovo marito, nel novembre di quello stesso anno convolò a nuove nozze
con Agilulfo, parente di Autari. Nel maggio seguente Agilulfo fu
proclamato re dall'assemblea dei Longobardi.
Al di là dei suoi due matrimoni regali, Teodolinda fu un personaggio di
grande rilevanza storica soprattutto per Monza. A lei si devono infatti, i
due elementi reali e simbolici che tolsero la città dall'anonimato nel quale
era vissuta fino a quel momento, e cioè la basilica e il Tesoro. A
Teodolinda infine, si deve se la Chiesa di Roma acquisì prestigio e potere
in Monza e nel suo territorio, creando un'isola cattolica nel mare della
Longobardia pagana ed eretica.
Questo aspetto della vicenda di
Teodolinda viene riferito da
Paolo Diacono sulla base di una
perduta Historiola dei
Longobardi redatta dal
consigliere spirituale della
regina, l'abate Secondo da
Trento, il quale fu anche il
ministro del battesimo di suo
figlio Adaloaldo, mentre Agilulfo
mantenne finché visse la sua fede ariana.
Ed è forse proprio in questo contrasto di fede che trova spiegazione la
scelta di Monza come residenza della regina. Agilulfo infatti, si stabilì a
Milano, mentre la sua sposa preferì andare a vivere nella città dove già
Teodorico si era fatto costruire un palazzo, Monza appunto.
La regina però non scelse il palazzo di Teodorico come residenza, ma se
ne fece costruire uno nuovo. Dice Paolo Diacono che sulle pareti della
dimora la sovrana fece dipingere le imprese più rilevanti dei Longobardi;
lo storico osserva che su quei muri si poteva vedere quel popolo com'era
agli inizi del regno, composto da barbari, con i capelli rasati fino alla nuca
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e ricadenti davanti fino alla bocca, vestiti con abiti larghi ornati di grandi
strisce di colori diversi.
Ed è sempre Paolo Diacono che ci informa sull'atto costitutivo della
basilica. Scrive infatti, che vicino al suo palazzo la regina fece edificare
"una basilica in onore di san Giovanni Battista alla quale essa diede in
dotazione sufficienti terre e molti ornamenti d'oro e d'argento".
Potrebbe essere stata una cappella di preghiera domestica, ma allora non
si capirebbe quella "dotazione di sufficienti terre". Quindi, si tratta quasi
certamente della prima fondazione di quello che sarà poi il grandioso
Duomo di Monza, mentre i "molti ornamenti" rappresentano il primo
nucleo del Tesoro.
Che l'iniziativa della regina fosse atto di grande rilievo, lo dimostra
l'invio di "moltissime sacre reliquie", come scrive il Marimonti, da parte
del papa Gregorio Magno, che non si sarebbe altrimenti scomodato per
una semplice cappella gentilizia.
Il solito Paolo Diacono da parte sua pone un'enfasi particolare nel
sottolineare il gesto di Teodolinda e nell'esaltare la sua azione di
avvicinamento alla Chiesa.
Così infatti scrive: "Per opera di questa regina
la Chiesa di Dio ottenne molti benefici. I
Longobardi infatti, quando vivevano ancora
nell'errore del paganesimo, avevano confiscato
quasi tutti i beni delle chiese. Ma il re Agilulfo,
mosso dalle suppliche di lei, accolse la fede
cattolica, donò molti possessi alla Chiesa di
Cristo e restituì all'onore della loro dignità i
vescovi che erano in cattività e in dispregio...".
In realtà, come abbiamo visto, Agilulfo non si
convertì mai alla confessione cattolica.
Quando Agilulfo morì, nel 615-616, l'assemblea
dei duchi longobardi proclamò re il figlio
tredicenne Adaloaldo, sotto la reggenza di Teodolinda.
Probabilmente in questi anni la regina poté esprimere concretamente, con
la costante protezione e generose donazioni, la sua predilezione per la
Chiesa cattolica. Assecondando l'opera di evangelizzazione perseguita
tenacemente dai papi. Come scrive il canonico Frisi, “infatti i papi a tutto
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lor potere cercavano di convertirli li barbari alla vera fede. Ma la ragione
dè barbari era troppo bambina; rifuggivano i barbari ad ogni pensiero
d'intellettuale fatica; i loro raziocini erano nell'armi, i loro costumi rozzi
e quasi feroci...".
A parte il giudizio antropologico e psicologico dello storico monzese,
probabilmente il favore della regina per la chiesa dovette irritare e
insospettire i duchi; così, quando Teodolinda morì, nell'anno 626-628, il
debole Adaloaldo venne deposto e sostituito con Arioaldo, di confessione
ariana nonché marito della figlia di Teodolinda e Agilulfo, Gundeberga.
Si chiudeva così la vicenda terrena della regina dei Longobardi, e con lei
finiva il "momento magico" di Monza. Il nuovo re infatti, riportò la corte a
Pavia e la città briantea rientrò nella sua mediocre quotidianità.
Da Rotari a Liutprando Ad Arioaldo nel 636 succedette Rotari, anch'egli
di fede ariana, che, dopo un decennio di tregua,
riprese la guerra contro l'impero bizantino. Con la
campagna del 643 liquidò i presidi bizantini di
Modena, Oderzo e di tutta la Liguria marittima.
Secondo Paolo Diacono, nella battaglia sul fiume
Scultenna attuale Panaro perirono ben ottomila
soldati imperiali.
Il successo sui Bizantini ebbe conseguenze anche
per la Lombardia e per la regione monzese.
Infatti, poiché Genova era ormai terra longobarda
non c'era più motivo che l'arcivescovo di Milano
restasse in quella città; in effetti dai "Cataloghi
dei vescovi" risulta che l'arcivescovo Giovanni il
Buono, eletto a Genova riportò la sede episcopale a Milano, dove morì e fu
sepolto intorno alla metà del VII secolo.
Giovanni il Buono compare anche in un documento del XIII secolo nel
quale si afferma che l’arcivescovo costituì a Desio una chiesa matrice,
cioè una pieve, con giurisdizione sulla campagna circostante, con sacerdoti
residenti che andavano in giro ad amministrare i sacramenti.
Il ritorno del metropolita milanese contribuì senza dubbio alla
progressiva conversione dei Longobardi anche perché sposa di Rotari era
allora un'altra regina cattolica, quella Gundeberga figlia di Teodolinda e
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Agilulfo che in prime nozze aveva sposato Arioaldo. Tuttavia Rotari
rimase ariano, come attesta anche Paolo Diacono.
La devota Gundeberga aveva fondato a Pavia una chiesa in onore di san
Giovanni Battista, ma Rotari, morto nel 652, venne sepolto in un'altra
chiesa, sempre dedicata al Battista, sui muri della quale vennero
affrescate le sue imprese guerresche.
Il nome di Rotari è legato soprattutto al celebre Editto emanato il 22
novembre 643 dal palazzo di Pavia; in esso erano raccolti in forma
legislativa e in 388 capitoli in lingua latina gli usi e le consuetudini dei
Longobardi. Dopo settantacinque anni di permanenza in Italia, era il primo
documento scritto da quel popolo, nonché la prima testimonianza del
progressivo influsso del diritto romano e del Cristianesimo.
Leggendo i diversi capitoli, possiamo conoscere qualcosa sugli usi e sulle
convinzioni dei Longobardi. Per esempio, apprendiamo che la vendetta
privata “la faida” è ammessa, ma si suggerisce di mitigarla con la
riparazione dell'offesa in denaro “il guidrigildo” e non in sangue; che è
proibito accusare una donna di stregoneria e perseguitarla, poiché "non
sembra possibile che una donna sia capace di trangugiare un uomo vivo";
che è altresì proibito ai duellanti di portare sul proprio corpo amuleti o
erbe magiche.
Dall'Editto appare evidente che i
Longobardi si sentono un popolo a
parte, non desideroso di mischiarsi ai
vinti, i quali anzi, tranne rarissime
eccezioni, sono tenuti in uno stato
servile. Erano insomma degli aldi
lavoratori legati alla terra e come la
terra proprietà del signore.
A Rotari succedette il figlio Rodoaldo
assassinato dopo sei mesi; venne poi
eletto un nipote di Teodolinda, Ariperto, che regnò per nove anni; dal 652
al 661. Ariperto era bavarese e cattolico e favorì ulteriormente la
conversione dei Longobardi. Alla morte di Ariperto il regno venne diviso
tra i suoi due figli; Pertarito, a Pavia e Godeperto, a Milano.
Naturalmente sorsero immediati contrasti fra i due e ne approfittò il
duca di Benevento, Grimoaldo il quale uccise Godeperto, mise in fuga
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Pertarito e si proclamò unico sovrano. Ben presto però dovette tornare
verso sud, poiché l'imperatore di Costantinopoli Costante II stava
assediando il suo ducato.
Quando Grimoaldo, non si sa in quali circostanze, morì, tornò a Pavia
Pertarito, che nel 680 riuscì a concludere un trattato di pace con i
Bizantini.
Seguì un periodo di tranquillità e di favore per la Chiesa, che ne
approfittò per ristabilire le gerarchie cattoliche in Lombardia.
Nel 678 il regno era dilaniato dalla rivolta del duca di Trento Alachi,
causata probabilmente dal rifiuto della religione cattolica, ormai
considerata religione ufficiale. Contro il ribelle si mosse Cuniperto, figlio
di Pertarito e associato al regno dal padre.
Presso Cornate d’Adda vi fu la battaglia che vide la sconfitta e la morte
di Alachi. In memoria dell'avvenimento Cuniperto eresse in quei luoghi un
monastero dedicato a San Giorgio.
Dopo Cuniperto ci fu Ariperto II, contro il quale si ribellò Ansprando;
Ariperto II tentò la fuga ma mori affogato nel Ticino, e con lui
scomparve anche l'oro
con il quale ero fuggito.
Ad Ansprando, che
regnò solo pochi mesi
succedette Liutprando,
re dal 712 al 744: un
regno lungo e ricco di
novità positive per il suo
popolo.
Liutprando fu il vero
legislatore dell'età
longobarda in Italia. Dal 709 al 724, dopo quindici assemblee generali,
emanò i 153 capitoli della legge che ampliava e migliorava l’Editto di
Rotari rendendo la legislazione del regno più umana e articolata
Liutprando, che si dichiara principe cristiano e cattolico, vieta infatti
l'omicidio, limita il duello giudiziario, aggiunge al guidrigildo la confisca
dei beni del colpevole, vieta i matrimoni fra consanguinei e rende più
severe le leggi contro l'adulterio, la bigamia, le superstizioni e i culti
pagani.
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Ma Liutprando è celebre anche per un altro fatto legato alla storia della
Chiesa la cosiddetta "Donazione di Sutri" nella quale molti storici vedono
il primo nucleo del potere temporale dei pontefici romani.
Nel 728, dunque, durante una campagna contro il riottoso duca di
Spoleto, Liutprando occupò il castello di Sutri, a cinquanta chilometri da
Roma; lo tenne però soltanto quaranta giorni, perché papa Gregorio II,
con somme di denaro e infuocate esortazioni, lo convinse a farne dono agli
apostoli Pietro e Paolo. Cioè al papa stesso, erede di Pietro, anche se il
territorio romano era ancora sottoposto all'autorità di Costantinopoli.
Presto però, i rapporti fra il papa e il re si guastarono; il pontefice
sentiva il peso della presenza delle truppe di Liutprando; Liutprando a sua
volta accusava il papa di sostenere i duchi ribelli di Spoleto e Benevento,
tanto che a un certo punto si alleò persino coi Bizantini di Ravenna per
tenere a bada sia questi sia il papa. Si giunse al punto che il nuovo
pontefice, Gregario III non sperando aiuto né da Costantinopoli, né dai
duchi ribelli, si rivolse al re dei Franchi Carlo Martello, per sostenere una
campagna contro i Longobardi. Ma il signore franco non ritenne opportuno
immischiarsi negli affari italiani.
La diatriba andò avanti fino al 742, quando era pontefice Zaccaria,
Liutprando s’impegnò solennemente a restituire i castelli romani occupati
e ad osservare vent'anni di pace con Roma.
Nel 743 Liutprando ricominciò la guerra contro Ravenna, e stavolta fu
papa Zaccaria a fare da paciere. Si recò prima a Ravenna. quindi a Pavia
dove stabili un'intesa con Liutprando.
Erano appena partiti gli ambasciatori per Costantinopoli, quando il re
longobardo, nel 744, morì e le trattative furono così sospese.
Con la morte di Liutprando si chiude anche la Historia Langobardorum di
Paolo Diacono, che conclude la sua opera con una lode al re. Lode
giustificata, poiché con la sua politica di consolidamento dello Stato, e
con la sua opera legislativa. Liutprando contribuì certamente a preparare
la strada alla nascita di una visione unitaria del regno d'Italia.
Longobardi, Franchi e papi: una partita a tre Dopo Ildeprando, che regnò solo otto mesi, venne eletto re dei
Longobardi il duca del Friuli Rachis. Intanto era ripresa la guerra con i
Bizantini e nel 749 Rachis si fece convincere da papa Zaccaria a una
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nuova pace. Ma i duchi non accettarono la tregua, obbligando Rachis a
dimettersi ed eleggendo in suo luogo il fratello Astolfo.
Astolfo, non smentendo le aspettative, attaccò l'Esarcato occupando
tutti i territori bizantini da Comacchio a Ravenna e nel 751 poté
celebrare il secondo anniversario del suo regno a Ravenna con la fine dei
possedimenti bizantini in Italia.
Ma proprio da questa fine
nasceva un problema che
sarebbe stato fatale ai
Longobardi infatti, se
Costantinopoli non aveva più
giurisdizione in Italia che fine
avrebbero fatto Roma e i suoi
territori, dipendenti
dall'Impero?
Secondo Astolfo erano ormai di fatto sottoposti al governo longobardo,
tanto che pretese da tutti i cittadini romani un soldo d'oro come tributo
personale.
Il papa regnante, Stefano II maturò invece la decisione di rivolgersi
nuovamente ai franchi, con i quali le relazioni erano buone e di lunga data.
Era stato proprio papa Zaccaria, nel 751, a legittimare l'usurpazione di
Pipino il Breve, "maggiordomo di palazzo" del re merovingio Childerico
III, e a sanzionare con la sacra unzione, somministrata da San Bonifacio
a Soissons la sua incoronazione.
Stefano II quindi mandò un'ambasceria segreta a Pipino, chiedendo un
incontro urgente. Intanto da Costantinopoli giungeva un diplomatico con la
delega imperiale che autorizzava il papa a trattare con Astolfo per la
restituzione dell’Esarcato.
Fu come legato imperiale, che Stefano II si recò a Pavia per discutere
con Astolfo, ma, vista l'inutilità del negoziato, chiese e ottenne di poter
proseguire per la Francia. Nel novembre 753 il corteo papale prese la
strada delle Alpi giunse al Gran San Bernardo, proseguì per l'abbazia di
San Maurizio nel Vallese e a Langres venne accolto da uno dei figli di
Pipino, il giovane Carlo. Nel gennaio 754 il papa e il suo seguito giunsero al
palazzo reale di Ponthion.
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In quell'anno venne steso un documento fondamentale per la storia della
chiesa la cosiddetta “Promissio Carisiaca” (da Carisium, ovvero Quierzy),
nella quale il sovrano franco e i suoi maggiorenti si impegnavano a esigere
da Astolfo la restituzione alla "repubblica dei Romani" di tutte le terre di
sua legittima appartenenza compreso il territorio dell'Esarcato, già
bizantino.
Ma il testo della Promissio era
ambiguo: il papa agiva in nome
dell'imperatore bizantino o a nome
del popolo romano, come suo
sovrano?
Vedremo in seguito come, dopo la
conquista di Carlomagno, fosse la
seconda tesi ad affermarsi
gettando le basi di una nuova
entità politica, lo Stato della
Chiesa. Astolfo rifiutò comunque la
restituzione e Pipino gli mosse guerra; nel 755 l'esercito longobardo
venne sconfitto alle clusae Francorum cioè all’Alpe di Susa; ne seguì la
ripresa delle trattative e la promessa di Astolfo di restituire le terre
occupate, a cominciare da Ravenna Soddisfatto, Pipino riprese la via delle
Alpi e tornò nel suo regno. Subito Astolfo interruppe le restituzioni e le
sue truppe ricominciarono a devastare il Lazio. Nel 756 pose addirittura
l'assedio a Roma, che durò ben otto mesi.
Disperato, il papa scrisse a Pipino chiedendo aiuto; di nuovo i Franchi
varcarono le Alpi di nuovo sconfissero i Longobardi a Susa. Di nuovo
Astolfo dovette capitolare. E stavolta le condizioni furono più dure: oltre
a pagare pesanti risarcimenti i Longobardi dovettero riconoscere la
sovranità dei Franchi sul loro regno, consegnare al sovrano franco
Ravenna e Comacchio, le terre da Forlì fino a Jesi e a Senigallia, Gubbio e
il territorio romano.
Il rappresentante di Pipino, l'abate Fulrado, si recò a Roma, dove
consegnò al papa le chiavi della città e l'atto di donazione di Pipino al
Patrimonio di San Pietro di tutte le terre conquistate.
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Astolfo morì nel dicembre 756 e, dopo una travagliata lotta di
successione fra i duchi, salì al trono longobardo Desiderio, che tentò di
ricucire i rapporti con la Chiesa e con i Franchi.
Il regno longobardo poté così godere di circa quindici anni di relativa
pace, durante i quali Desiderio manifestò particolare benevolenza nei
confronti del monachesimo benedettino.
L’abbazia di Civate, secondo la tradizione, è attribuita a Desiderio. Era
costituita di due chiese, una dedicata a
San Pietro, l'altra a San Benedetto;
nulla però resta di quelle primitive
fondazioni anche se gli scavi effettuati
nel 1879-1881 in San Pietro al Monte
rivelarono le fondamenta di un sacello
forse risalente all'VIII sec. Da un
documento del XII sec. apprendiamo
che al monastero di Civate
appartenevano ben trentasei località
della Brianza.
I primi documenti di Monza risalgono al regno di Desiderio; si tratta
delle pergamene più antiche conservate nell’archivio Capitolare del
Duomo. Esse si riferiscono a donazioni in terre per i poveri e in edifici
religiosi fatte nel 768 e nel 769 da due ecclesiastici residenti in Monza
Theodald e Grato, date in
amministrazione alla basilica di San
Giovanni.
Nel 768 Pipino morì e la vedova
Bertrada, per consolidare la
tregua con Desiderio, combinò il
duplice matrimonio tra sua figlia
Gisla e il figlio di Desiderio,
Adelchi; e tra suo figlio Carlo e la
figlia di Desiderio, la fanciulla che
nell'Adelchi Alessandro Manzoni chiama Ermengarda, ma che forse si
chiamava Desiderata.
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Il papa Stefano II tentò di impedire entrambi i matrimoni ma riuscì a
mandarne a monte solo uno, quello fra Gisla e Adelchi, mentre le nozze
fra Carlo e la giovane longobarda si celebrarono alla fine dell'anno 770.
La fine dei Longobardi Nel 771 morì Carlomanno, fratello maggiore di Carlo, il quale si fece
riconoscere e consacrare re di tutto il regno, calpestando probabilmente i
diritti della cognata e dei nipoti, tanto che la vedova di Carlomanno,
Gerberga, con i figli e alcuni suoi fedeli fuggì in Italia chiedendo la
protezione di Desiderio.
Desiderio concesse questo aiuto,
guadagnandosi immediatamente
l'ira di Carlo, che ripudiò e rispedì
a Pavia la sua povera sposa
longobarda, che morì forse di
parto poco dopo.
L'anno successivo, il 772.
Desiderio andò oltre e rioccupò le
terre ex bizantine e ormai
pontificie; Carlo prima minacciò,
poi si mosse. Nel 773, scese in
Italia per la solita via, ancora una
volta a Susa travolse le truppe
longobarde e pose l'assedio a Pavia, dove si era rifugiato Desiderio.
Intanto Adelchi. sconfitto a Verona dopo una disperata resistenza, riuscì
a fuggire a Costantinopoli, mentre il duca di Spoleto fece atto di
sottomissione al papa, Adriano I.
Pavia era ancora assediata quando Carlo, circondato dalla corte e dalla
famiglia, entrò solennemente in Roma il 2 aprile 774, Sabato Santo,
accolto dalle bandiere del papa e del messo imperiale bizantino.
Il 6 aprile iniziarono le trattative col papa, in base all'accordo di Quierzy
di dieci anni prima, che Carlo onorò munificamente.
Sistemati gli affari romani, il re franco tornò all'assedio di Pavia e il 7
giugno 774 la città si arrese. Desiderio venne condotto prigioniero in
Francia, dove morì di lì a poco nel monastero di Corbie, mentre il figlio
Adelchi perse la vita nel 788 nell'esilio di Costantinopoli.
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Dal 774 in poi i documenti ufficiali nomineranno Carlo come Rex
Francorum et Langobardorum.
Finiva così il regno dei Longobardi in Italia, con un bilancio tutto
sommato negativo. In due secoli infatti, essi non erano riusciti a creare
strutture statali omogenee e stabili, né si erano conquistati l'appoggio
della popolazione sottomessa, anzi, come scrive lo storico Riva, "…sia i
Galli che i Longobardi riuscirono difficilmente a integrarsi con le nostre
popolazioni che, sfruttate e oppresse da costoro, rifiutarono qualsiasi
sporadico tentativo di fraternizzazione. La lingua stessa degli oppressori
fu odiata dagli oppressi e, se dei Galli poco si sa circa l'idioma usato, dei
Longobardi possiamo invece costatare l'adozione della scrittura latina.
Fummo noi ad essere civilizzati da quelle popolazioni? La risposta è
evidente: se mai ci fu qualcuno che migliorò nella graduatoria della civiltà,
fu l'oppressore e non il vinto...".
I nuovi signori d'Italia I Franchi si sostituirono dunque ai Longobardi nel dominio in Italia, con a
capo un personaggio di eccezionale statura come re Carlo, poi noto con il
nome di Carlomagno. I Franchi, il cui nome significa "uomini liberi", erano
una nazione germanica divisa in diverse tribù. Spostatisi dapprima ai
confini della Gallia, nel 481, sotto la guida di Clodoveo, si costituirono in
un unico regno con capitale Lutetia - oggi Parigi, ponendo le fondamenta
di quella che sarà la nazione francese.
Carlo, colui che sconfisse i Longobardi, era nato nel 742, figlio minore di
Pipino il Breve, che avendo usurpato il trono a Childerico III divenne il
fondatore della dinastia carolingia che sostituì i Merovingi alla guida dei
Franchi. Re guerriero e campione della fede, dopo la vittoria sui
Longobardi condusse feroci campagne contro i Sassoni, cristianizzati a
forza nell'804 circa, contro i Bavari e contro gli Avari. Sono entrate nella
leggenda e nella poesia, con il ciclo cavalleresco dei paladini di Francia le
sue imprese contro i Mori di Spagna.
Divenne signore di quasi tutta l'Europa occidentale, anche per il sostegno
ricevuto dalla Chiesa, tanto che nel giorno di Natale dell'anno 800 venne
incoronato imperatore a Roma da papa Leone III, con una fastosa e
solenne cerimonia che rendeva visibile al mondo il suo sogno di
restaurazione dell'idea imperiale in Occidente e la nascita del Sacro
Romano Impero.
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Per governare e amministrare l'immenso territorio acquisito, Carlo mise a
punto una struttura politico-amministrativa basata sul rapporto di
fedeltà fra l'imperatore e i suoi rappresentanti, conti o marchesi, i quali
reggevano e governavano le terre loro affidate per conto e in nome del
sovrano, servendosi di altre figure via via meno importanti. Un potere
delegato e diffuso, che dal vertice si allargava a una base abbastanza
ampia. Era la "piramide feudale".
Nella costruzione carolingia si annidava però il pericolo della
disgregazione e del prevalere degli interessi dei singoli feudatari, laici o
ecclesiastici che fossero. Carlomagno operò, in effetti, una politica di
particolare favore nei confronti di vescovi e abati, donando loro terre e
possedimenti da amministrare e dai quali trarre cospicui frutti,
E questo accadde soprattutto in Italia. Arricchì di nuove terre i monaci
di Bobbio, vicino a Piacenza, assegnò al monastero di san Martino di Tours
la città di Sirmione e la Valcamonica, e a quello di Saint-Denis vaste terre
in Valtellina, assicurandosi in tal modo il controllo dei passi alpini.
Il territorio milanese e brianzolo nell'età carolingia La politica di Carlomagno nei confronti dei monasteri ebbe grandi
conseguenze anche per la Lombardia. Proprio nella fase di passaggio dai
Longobardi ai Franchi, infatti, acquisì grande importanza il monastero di
Civate, e a Carlomagno si deve la nascita del monastero milanese di
Sant'Ambrogio, fondato probabilmente nel 784 dall'arcivescovo Pietro
ed eretto ufficialmente nel 789.
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I possedimenti del monastero andarono via via ingrandendosi, tanto che
buona parte della campagna monzese divenne proprietà di Sant’Ambrogio,
come il territorio di Cologno, posseduto fino al 1750.
Per quanto riguarda la campagna milanese, fu divisa in cinque contadi.
Il maggiore era quello di Milano, che comprendeva anche i territori della
Martesana e della Bazzana. Gli altri erano i contadi di Seprio, Stazzona
(antico nome di Angera), Lecco e Burgaria.
La denominazione di Martesana
compare in un documento del
931 e probabilmente deriva da
qualche Marcius o Martericius
dal quale presero nome alcune
terre del piano d'Erba: fundi
Marteciam; rura Marteciana. in
seguito la denominazione si
diffuse a tutte le terre fra
Corno e Lecco, distinte in
Martesana di mezzo, delimitata
dal Seveso, e Martesana
abduana, sulle rive dell'Adda.
Fino alla metà del XII sec. circa, quindi, la Martesana non fu contado a
sé, ma territorio del contado di Milano. Ad essa appartenevano le pievi di
Asso, Incino, Cantù, Mariano, Oggiono, Agliate, Seveso, Desio, Bollate,
parte della pieve di Bruzzano e parte della pieve di Missaglia, Garlate,
Brivio, Vimercate, Trezzo, Gorgonzola, Comegliano, Settala, Segrate,
parte della pieve di Bruzzano e parte della pieve di Missaglia.
Alla Martesana, come si vede, corrisponde gran parte del territorio cui
dall'XI sec. in avanti si cominciò a dare il nome di Brianza.
La corte di Monza si trovava al suo confine meridionale e anch'essa
faceva parte del contado milanese ma con una certa autonomia, a
cominciare da quella religiosa.
La disgregazione dell'edificio carolingio Nell'806 Carlomagno affidò il governo dell'impero ai tre figli. Pipino,
Ludovico il Germanico e Ludovico il Pio, stabilendo che quest'ultimo, alla
sua morte, avrebbe dovuto assumere il titolo imperiale - che comprendeva
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anche; quello di re d'Italia - mentre gli altri due avrebbero governato la
Germania e la Francia.
E così avvenne. Carlomagno morì nell'814 e Ludovico il Pio divenne
imperatore del Sacro Romano Impero e re d'Italia.
Nell'820 divenne re d'Italia il figlio di Ludovico, Lotarlo, che succedette
al padre nella carica imperiale nell'840, alla
morte di Ludovico.
Ma l'elezione non venne accettata da Pipino e
Ludovico il Germanico, e dopo tre anni di aspre
contese, col Trattato di Verdun dell'843
l'impero si divise in regno di Francia, di
Germania e d'Italia.
Il governo carolingio durò ancora quarant'anni
circa e finì con la caduta dell'ultimo imperatore,
Carlo il Grosso, che tentò di riunificare le
corone di Francia, Germania e Italia ma
sopraffatto dall'attacco di un nuovo popolo
barbaro, i Normanni, e dalla rivolta dei
feudatari tedeschi e francesi, fu costretto ad abdicare.
Finiva così il sogno di Carlomagno e per l’Europa si preparava un'altra
stagione di disordini e guerre.