Negazioni - n°1 - Giugno 2012

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n. 1 giugno 2012

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Maledetta Fanzine senza paraocchi e paraculi

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n. 1giugno2012

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L’arte non è sempre quello che ci dicono.L’arte può essere anche esattamente il contrario.Il contrario di succursali di quadri che tappezzano pareti ben imbiancate di mo-stre in antichi e ricchi palazzi di centro città. Il contrario di flim che ripetono os-sessivamente un balletto di scimmie con il morbo del denaro.Il contrario di lingue di volumi che si srotolano dentro enormi edifici multipiani con impressi codici a barre che fanno risalire la loro natura a stereotipi di vendi-ta. Stili di gradimento. Gusti registrati. Il riflesso condizionato della mano che afferra un tomo con il personaggio del momento. L’istinto preregistrato di accodarsi, sorridere, spendere.Ma i momenti muoiono, continuamente. La psiche indotta no. L’arte non è quel che ci dicono. La negazione dell’arte deve essere la negazione dell’autore da classifica, dei consigli per la pubblicità, del dopobarba che ti rende vero uomo.La negazione è sinonimo di sputo, di ballo fuori dal coro, di cupidigia delle proprie vi-scere. Di individualismo osti-co alla massa. La massa è la Messa della fede di una socie-tà che si rincorre.Io nego tutto questo.E nego me stesso perché ne-gando mi aggrego ai negatori.Sono la negazione al quadra-to.Nego la mia negazione.

Alessandro Pedretta Kresta

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pag. 2. prefazione3. indice

4. cosa posso aspettarmi5. cannibali

6. sorrisi7. i documenti prego8. lacrime solitarie

9. rombando10. non per molto

11. disastri ambientali12. bestial supermarket

13. maledizione14. lenore kandel16. diane di prima17. theate-reality18. emil cioran

19. thomas bires20. andrea pazienza

22. einsturzende neubauten, nuovi edifici che crollano24. teatro degli orrori

26. eduard levé27. bella giornata

28. forse non c’è altro29. distruzione30. gin tonic

32. effetti indesiderati34. a vivere con gli animali

36. quello che non ci hanno mai detto38. social world executive (connessione attivata)

40. le sei e sei41. alex

42. las americas

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Io che non ho visto le cervella del 35º Presidente volare basse ne cielo di Dallas.Io che mi son perso la la scimmia del quarto Reich

bal lare la polka sopra i l muro.Io che devo subirmi quest’epoca assurda

di fals i at tentat i e false cr is i economiche,in un mondo di plast ica e musica elet tronica.

Qua i l vento trascina le mode e pet t ina le tes te di cazzo,le nuvole sono scoregge di aeroplani ,

le s te l le fanno s trani colori .I comici non fanno r idere.

i meteorologi balbet tano e i calciatori reci tano.i calzolai s i r i t irano e gl i scri t tori annoiano,

mentre gl i schiavi s’ i l ludono.E adesso mi propongono fals i mit i ,

l ibri di educazione civica e panorami sul le complicazioni del lo svi luppo.

Mi dicono che sarò i l fu turo. . .Mi consigl iano di farmi la barba

e di r igare dri t to ,ma non vedo nessun ret t i l ineo.

Mort i che spiegano la v i ta ad al tr i mort i ,fanno quasi paura.

Io sarò da un’al tra parte .Intanto musiche medieval i

tengono i l r i tmo al fabbro, lui lavora sodo.Io gioco coi pensieri .

Gli al tr i scrivono la s toria.Andrà sempre peggio,

forse non ci sarà pace.Al tr i esseri cadranno in questo mondo,

dis truggeranno l ’arte .I bambini saranno col t ivat i

in un campo con s is temi idroponici .Ediz ioni scolast iche mondadori ,

qualcuno dovrà s tudiare le migl iori put tanate .I l progresso diventerà volgare,

non ci saranno vecchi saggie saremo tut t i uni t i ,

gal leggiant i , nel la nostra merda tecnologica

- di Matt ia Indavuru -

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divorare, mangiare,ingurgi tare al tr i uomini

è cannibal ismoce l ’hanno spiegato

quando eravamo bambinici spaventavano

parlandoci di queste popolazioniche ammazzavano e mangiavano

loro s imil i

ma i l cannibal ismonon è solo questo

i cannibal i moderni sono quel l i che costr ingono

al tre personead ammazzarsi di lavoro

per uno s t ipendio da fameoppure che succhiano

le loro energie di giornodavant i a un macchinario in fabbrica

e le loro cel lule cerebral i di seradi fronte a una tv

quest i cannibal i

divorano tante , troppe personeogni giorno, ogni annoma non ingrassano mai

perchè la loro fameè insaziabi le

- di Maures -

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“Sorrisi” di Giacomo Clerici Grotesquer

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fumo troppo fumo poco mi svegl io presto troppo tardi penso troppo non penso mai sono giovane sono vecchio mi hanno det to di guadagnare e di lasciare s tare di farmi e smet ter la di r icominciare e f inir la di v iaggiare e di s tar fermo ci dicono di esser parte ma di s tarne fuori di avere speranza e poi morire at t i tudine al l ’at t iv i tà di vendi ta massima serietà bel la presenza s iamo circonfusi art igl iat i aggrappat i imposiz ioni det tami regole codici lauree at tes tat i diplomi croci f iss i una soluzione una soluzione che non serve a un cazzo prenda i l numero prego f i le code amplessi abort i ne lnome del padre medici inghir landat i psicoterapeut i al col lasso le i parl i t ir i fuori tut to ombrecinesi cavalcano i miei sogni albechimiche mostrami le braccia r ic ic lat i un’anima che i l corpo suda troppo e t i fa tonfa traf f ica vendi droga guarda la tv s tupiscimi c’è sempre qualcuno più diverso di te o meno uguale qualcuno che imita che spicca uno che muore s’ impicca s i vende guadagna sagome prof i l i maschere seguaci idol i sant i principi e corone virus al ibi def ic i t curriculum mi dia i documenti che facciamo un control l ino

- Alessandro Pedret ta Kresta -

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Giorni r ipetut i dentro ospedal i af fol lat itra le t t i ospedal ier i di cr is tal lo

turni massacrant i di un infermiere frustratoho la schiena a pezzi e i l culo rot to

troppo presto lucidato a morte dentro una vi ta l iquida,s ter i l izzata

priva di s igni f icatot irando avant i a seghe di sborra rancida su lenzuola sporche

mai cambiatemai pul i te .

Pal le di polvere rotolano nel corridoioi l te le fono che non squi l la mai

nessuna donna tra le mie lenzuola sborrate .Sono geniale

nel farmi del malegiorni vacui

sempre ugual if inché

in repartonon capi ta un paziente afasico anziano

dagl i occhi tr is t i col culo sempre sporco di merdache piange lacrime amare

vergognandosi di mementre gl i pul isco i l culo e i l cazzo e lo scroto e le nat iche

la vi ta lo s ta lentamente abbandonandoè solo

si muore sol is i nasce sol i .

Mi è morto i l g iorno vent iquat tro agostonel caldo torrido di un le t to

disfatto mentre gli pulivo i l culo e i l cazzo e lo scroto e le natichee le lacrime bagnavano i l le t to

ma questa vol ta non erano le suenon è morto solo.

- di Dr. Cosmo -

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Con gl i occhi vuot ie le pal le piene,

mi s lancio s incero nel le terre selvagge,l ibero e v ivo,

come una best ia da monta:un bisonte in foia.

I l mio ventrenon vale un soldo bucato

e le mie budel labruciano di desiderio:

ardonocome infermi impazzi t i .

Corro come un fol le nei miei personal i campi e l is i ,

lontano dagl i occhi di dio,

scoreggiando saggezza e sperperando sordi mugghit i nel vento.

Sbavo, sborro, sbocco, fremo,Rombando Rimbaud

dal le labbra; gocciante , come tragica sal iva preziosa.

E un inf ido giorno sboccerò pure io

come i l p iù squal l ido dei f iori ,mentre voi

s tarete l ì a crepare sorrident i .

- di Davide De Maria -

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Nietzsche impazzi to sul le t to di morte avvol to in uno scial le color crema

gl i occhi f iss i contro un nul la che ha una formala mente persa in un caos divenuto incomprensibi le .

Becket t aspet ta quasi senza parlare un uomo misterioso senza vol to e senza voce

lo aspet ta seduto su una pietra dorata col cappel lo sot to i p iedi e una s igaret ta tra le labbra.

La canna del fuci le dri t ta in gola pomicia con l ’animo oramai fol le di un narratore americano

Hemingway ha premuto i l gr i l le t to del la v i ta e non è certo la morte che se l ’è portato via.

Vent i fuci l i contro un solo uomo piccolo e debole come mil ioni di uomini

solo e confuso come mil ioni di pecore che aspet tano la lama per una gola da aprire .

Dostoevski j s i salva solo per poco mentre è consapevole di essere solo un uomo.

E le spade nascoste sot to indumenti pesant i v ino e birra custodi t i t ra cosce e vomito Bukowski non muore di c irrosi epat ica

e tut t i noi cont inuiamo a bere.

- di Dante Olivier Belmonte -

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c’erano le tue pupi l le

dentro al le fotograf ie del la mia giornata.

sbiadi te , ingial l i te;

tracciavano i sent ier i del tuo passato,

i disastr i ambiental i del le tue troppe adolescenze,

i grammi che pesavano le tue lacrime

scendevano senza curarsi

dei tuoi sussul t i

gl i spasmi del tuo spir i to

che non esis te

volevo r ingraziart i

del le s igaret te e del l ’amore

- di Jacopo Matt ion -

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si dice che s ia la moderni tà

poter cogl iere preservat iv i

e frut ta insieme

godere l ’amplesso di mil le barat tol i

discutere sul l ievi to adat to

si dice che s ia la comodità

di trovar tut to in poco tempo

io trovo nul la ammassato

con mil ioni d’anime in f iamme

si parla d’amore e tecnologia

benessere a basso consumo

mutande col pizzo e cereal i assort i t i

prugne secche e cassiere brut te

s iamo best ie in foia

sul prodot to facol tat ivo

si dice che moriremo

in discariche colme di nul la

- di L’Anarcopoeta Surreale -

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Sono seduto dis trat to ,

su questa sedia scomoda.

Ti s to maledicendo, lo sai?

Mi dà fast idio i l tuo ignorarmi.

Mi dis trugge sent ire i l tuo nome.

Mi sconvolge la gente che hai intorno:

stupidi bigot t i .

È i l massimo che sei r iusci ta a trovare?

Troppo faci le v ivere con loro,

troppo faci le dis truggerl i .

Prova con me invece, prova con me.

Hai i l coraggio di confrontart i?

Io credo di no.

È megl io così però.

Solo così potrei cont inuare ad ammirart i .

- di Sabino Di Tul l io -

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Lenore Kandel ,poetessa s tatuni tense del la beat generat ion (14 gennaio 1932 - 18 ot tobre 2009)Un suo l ibret to di 8 pagine contenente 4 poesie int i tolato “The Love Book”, nel 1966 venne sequestrato dal la pol iz ia nei 2 negozi in cui era venduto per osceni tà , al processo nel 1967 fu condan-nata ma poi venne assol ta in appel lo , questa disavventura le diede una grande notorietà.Fu un at t iv is ta del movimento controcul turale , ha fat to parte del gruppo pol i t ico anarchico dei Diggers , s i è sposata con Bi l ly Fri tsch (poeta e membro del la banda motocicl is t ica degl i Hel ls Angels ) con cui ha avuto un grave incidente in moto nel 1970 che l ’ ha costret ta al r i t iro dal la v i ta pubbl ica e a una lunghiss ima convalescenza.Disse: “la poesia non è mai compromesso. È la manifestazione – traduzione di una vis ione, un’i l luminazione, un’esperienza. Se scendi a compromessi divent i un profeta cieco. Non c’è alcun sen-so oggi in quel la poesia che esis te sol tanto come eserciz io di de-s trezza. La tecnica è necessaria f inché serve da abi le levatr ice a chiarezza, bel lezza, v is ione; quando s i innamora di se s tessa pro-duce masturbazione verbale”.

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trat to da “The Love Book”:

Sono nuda contro di tee met to la mia bocca su di te lentamente

vorrei tanto baciart ie la mia l ingua t i adora

sei bel l iss imoil tuo corpo s i muove verso di me

carne a carnela pel le scivola sul la pel le dorata

come la mia verso la tua

la mia bocca la mia l ingua le mie manii l mio ventre e le mie gambe

contro la tua bocca i l tuo amorescivola. . . sc ivola. . .

i nostr i corpi s i muovono s i unisconoinsopportabi lmentei l tuo viso su di me

è i l v iso di tut t i g l i deie demoni bel l iss imi

i tuoi occhi . . .amore tocca amorei l tempio e i l d io

sono uno

copulare con amore-conoscere i l t remito del la tua carne dentro la mia-

sent ire spesse dolci l infe scatenarsicorpi sudat i s tret t i e l ingua a l ingua

sono tut te quel le donne del l ’ant ichi tà innamorate del solela mia f iga è un favo s iamo copert i di venire e miele

siamo copert i l ’un con l ’al tro la mia pel le è i l tuo saporecopulare-copulazione d’amore-copulare i l s ì intero-

l ‘amore fa f iorire l ’universo intero-io/ ter i f less i nel lo specchio dorato s iamo l’avatar di Krishna e Rada

puro amore-brama del la divini tà bel lezza insopportabi lecarnale incarnato

sono i l d io-animale, la dea f iga spensierata i l d io animale maschiomi copre mi penetra s iamo diventat i un angelo totale

uni t i nel fuoco uni t i nel seme e sudore uni t i nel l ’urlo d’amoresacri i nostr i at t i e le nostre azioni

sacre le nostre part i e le nostre persone.

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Diane Di Prima è una del le poetesse più conosciute del la beat generat ion.Nasce a Brooklyn i l 6 Agosto 1934, abbandona gl i s tudi per diventare scri t tr ice , frequenta art is t i e nel 1958 pubbl ica i l pr imo l ibro. Nel 1962 comincia a prat icare i l buddismo. Nel 1966 s i è trasferi ta a Mil lbrook, entrando nel la comunità psichedel ica di Timothy Leary. Nel 1969 ha pubbl icato i l racconto del la sua espe-rienza beat in Memoirs of a Beatnik . .I suoi l ibri includono l ’ incendiario Revolut ionary Let ters , diversi volumi di memorie e autobiograf ia , non ancora pubbl icat i , e molte raccol te di poesia,

tra i qual i Pieces of a Song.Ora vive a San Francisco e HA BISOGNO DI AIUTO, ha problemi di salute e deve af frontare numerose cure mediche.Chi volesse mandare qualcosa, aiutarla in quals iasi modo o anche solo un pensiero può contat tarla su fa-cebook: ht tps: / /www.facebook.com/prof i le .php?id=620415827

Abbandonate. . . . . .

Abbandonate a se s tesse , le personesi fanno crescere i capel l i .Abbandonate a se s tessesi tolgono le scarpe.

Abbandonate a se s tesse fanno l ’amoredormono faci lmente

dividono coperte ,droga e bambininon sono pigre o impauri te

piantano semi,sorridono,parlano fra loro.La parolacomincia dentro se s tessa : tocco di amore

nel cervel lo ,nel l ’orecchio.

Ri torniamo con i l mare,con le mareeri torniamo spesso come le fogl ie ,numerosicome l ’erba,gent i le e insis tente ,r icordiamo

il modo in cui i nostr i piccol i muovono i primi passi apiedi nudi at traverso le c i t tà

del l ’universo.

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Il prezzo, la pugnalata, la putredine che emerge all’improvviso, l’e-splosione di conflitti latenti e potenziali. Consegnati con pacco ce-lere e rovesciatimi automaticamente addosso in tutta la loro orgo-gliosa realtà. Mittente: la maschera. Data di spedizione: il preciso momento in cui realizzi di essere amato mentre la indossi. Prese di coscienza che mi conducono per mano al desiderio di scoperchiare la scatola cranica per mangiarmi le cervella come fossero un budino da mensa scolastica.

- di Daniele Puddu -

fotografia di Mattia Indavuru

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“Non sono nichilista, non sono niente, sapete. E’ difficile da dire. Sicuramente mi ritengo un negatore, ma anche la negazione non è una negazione astratta, un esercizio, è una negazione viscera-

le, dunque un’affermazione, malgrado tutto, è un’esplosione. Uno schiaffo è forse una negazione? Dare uno schiaffo è un’afferma-

zione. Ciò che io faccio sono delle negazioni che si rivelano degli schiaffi, dunque delle affermazioni.”

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www.thomasbires.com

Prima di tutto ce li hai i requisiti?Ce l’hai

un occhio di vetro, denti finti o una gruccia,un tirante o un uncino,

seni di gomma, inguine di gomma,

rattoppi a qualcosa che manca? Ahno? E allora che mai possiamo darti?

Smetti di piangere.Apri la mano.

Vuota? Vuota. Ma ecco una mano

che la riempie, dispostaa porgere tazze di tè e sgominare emicranie,

e a fare ogni cosa che gli dirai.La vorresti sposare?

È garantita,

ti tapperà gli occhi alla fine della vitae del dolore.

Con quel sale ci rinnoviamo le scorte.Vedo che sei nuda come un verme.Che te ne pare di questo vestito-

Un po’ rigido e nero, ma niente male.Lo vorresti sposare?

È impermeabile, infrantumabile, abilecontro il fuoco e imbombardabile.Credi a me, ti ci farai sotterrare.

E adesso, scusa, hai vuota la testa.Ho la cosa che fa per te.

Su, su, carina, esci fuori dal guscio.Ecco ti piace questa?

Nuda per cominciare come una pagina bianca

ma in venticinqu’anni d’argento,d’oro in cinquanta, potrà diventare.

Una bambola viva, sotto ogni aspetto.Sa cucire, sa cucinare,

sa parlare, parlare, parlare.

E funziona, non ha una magagna.Qua c’è un buco, che è una manna.Qua un occhio, una vera visione.

Ragazzo mio, è l’ultima occasione.La vorresti sposare, sposare, sposare?

famiglia cristiana

L’aspirante (di Sylvia Plath)

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Andrea Pazienza (23 maggio 1956– 16 giugno 1988) fumett is ta e pi t tore.Dotato di un s traordinario talento divenne un s imbolo del movi-mento giovani le i tal iano contemporaneo al punk, era amico per-sonale di Freak Antoni degl i Skiantos e di Roberto Benigni che ha det to di lui: “Era l ’albero del paradiso, c i ha fat to intravedere la bel lezza e poi ha chiuso tut to , però ci ha lasciato dei frut t i proi-bi t i e noi ce l i s iamo mangiat i , l i abbiamo assaporat i . Ci resta una grande vogl ia di vedere compiute le s torie incompiute , chissà cos’al tro ci avrebbe potuto regalare. Andrea era vicino a tut te le e tà; poteva essere un bambino e un vecchio, una donna e un uomo, un animale o una biro. Era eclet t ico ed anche molto bel lo: aveva la gioia di v ivere negl i occhi”.

Una poesia di Andrea Pazienza (1984) : Ma io sono la mit ica anatra migrante ,sono ancora una vol ta perpetuo motosono la brocca sognante ,desiderio di vuoto.E se le mie arrogant i parole di un temposon f ini te segnal ibro d’un volume diment icatopure t i chiedo ara i l mio campoa scoprir lo .

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Tubi, flessibili, turbine, compressori, seghe cir-colari, bidoni pieni d’ac-qua, plastica, vetro e travi di metallo. Rari elementi melodici con dissonanze e rumori. Temi ossessivi, storie di autodistruzione e di emarginazione.Einstürzende Neubau-ten, ovvero “nuovi edi-fici che crollano”, è il progetto varato nel 1980 a Berlino dal cantante e chitarrista Blixa Bargeld (alias Christian Emme-rich) e dai percussionisti Mufti F.M.Einheit (Franz Strauss) e N.U.Unruh (Andrew Chudy, origina-rio di New York).Nell’Üntergang, un ex-mattatoio che era diven-tato il centro dell’avan-guardia giovanile della città, il progetto Neubau-ten da voce alll’under-ground berlinese, a tutta la costellazione dei punk, degli anarchici e degli irregolari che frequen-tavano l’area. È qui che nel 1980 gli Einstürzen-de Neubauten si esibiro-no per la prima volta con live show distruttivi, ter-roristici e sfrenati, che imposero subito il grup-po come una delle espe-rienze più estreme e più innovative della musica d’avanguardia.Il nome del gruppo acqui-sì una visibilità inaspet-tata quando il 21 mag-gio 1980 crollò il tetto

della Haus der Kulturen der Welt, causando alcu-ni feriti e un morto. La conseguente morbosa at-tenzione che i media de-dicarono al crollo della cosiddetta “ostrica gra-vida” diede al nome del gruppo una nuova profe-tica dimensione.Tutto il disagio del post industriale viene urlato con toni dissonanti, che squarciano le melodie pop. Accordi dolci e orec-chiabili vengono sostitu-iti da flessibili e seghe circolari per graffiare le coscienze con lo stridore di un malessere pressan-te, che investe una socie-tà stanca e monotona, de-dita a un lavoro alienante e che la sera si rinchiude in alveari sovraffollati.Pubblicato nel 1981, il primo album Kollaps sin-tetizza alla perfezione il loro progetto: quella de-gli EN è musica ridotta al grado zero, spogliata di ogni tipo di armonia e arrangiamento: apice dell’opera sono le fre-netiche danze industriali “Tanz Debil” e “Steh Auf Berlin” (introdotta da un martello pneumatico!), dove gli Einstürzende Neubauten portano la mu-sica tedesca, rock e non, al suo limite estremo. Il resto del disco si divide tra vignette surreali e infernali orge di rumo-re, ma spiccano gli otto

minuti della title-track, una litania narrata da un Bageld in pieno delirio estatico. Ancora acerbo, il disco mostra comunque già la personalità unica e originalissima dell’en-semble (ai tre fondatori si erano aggiunti il bassista Marc Chung e il chitarri-sta Alexander Hacke).Usando quegli stessi og-getti del lavoro quoti-diano in spettacoli che si avvicinano più al te-atro espressionista che alla musica a cui il mon-do era abituato, gli Ein-stürzende Neubauten sono uno strappo talmen-te forte dalle esperien-ze precedenti che gli al-bum ebbero un impatto enorme. “Kollaps”, “Die Zeichnungen Des Pa-tienten O.T.” e “Halber Mensch” hanno influen-zato intere generazioni di artisti: dal noise newyor-kese di band come i Sonic Youth, a nomi come Nine Inch Nails e Killing Joke, e gli italiani CCCP.Più che alla musica indu-striale, gli Einstürzende Neubauten si avvicinano sempre più ai collage so-nori dei maestri dell’a-vanguardia elettronica tedesca (Stockhausen so-prattutto) e americana, ma con una profondità morale e una visionarietà senza precedenti. I loro battiti metallici, i rantoli demoniaci del cantante,

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le dissonanze e le tem-peste ritmiche dipingono scenari apocalittici sen-za possibilità di uscita e di salvezza: ogni brano è avvolto in un senso quasi tangibile di vuoto, ango-scia, terrore. “Armenia”, a metà tra un incubo freu-diano e un trip lisergico, riassume tutta la “poeti-ca” di Blixa e compagni.Le sonorità iniziano a cambiare con l’esperien-za che Blixa si fa con Nick Cave and the Bad Seeds. La band comin-cia per la prima volta a introdurre strutture mu-sicali ben ordinate, se non vere e proprie “can-zoni”, sull’album Hal-ber Mensch (1985). Nelle loro mani tutto viene tra-sformato e deformato per essere messo al servizio delle nevrosi lancinanti di Blixa e dei deliri rumo-ristici dei due fenomenali percussionisti Einheit e Unruh.Il quarto album segna un altro cambiamento: gli Einstürzende Neubauten suonano insieme proprio ai Sonic Youth in varie date del loro tour (si par-la dei Sonic Youth del periodo di “Bad Moon Rising” e “Evol”), e pro-prio gli echi di quei due capolavori del gruppo newyorkese avvolgono profondamente le atmo-sfere e le sonorità di que-sto album dei Neubauten, il più tetro, insondabile e inquietante della loro carriera, nonché indub-biamente il più suggesti-vo: Fünf Auf Der Nach Oben Offenen Richter-

skala (1987). Più che un album, uno psicodramma disperato, che ruota in-torno alla straordinaria “Zerstorte Zelle”, bra-no che porta a definitivo compimento la loro pras-si del collasso nervoso, con il suo andamento si-nistro e l’apoteosi finale tra aperture sinfoniche e grida disperate.Il gruppo registrò una soundtrack per il teatro, seguì alcuni progetti so-listi e si dedicò ad altre colonne sonore. Si intra-vedono anche i primi ger-mi della crisi che di lì a poco colpirà il gruppo, che si ritroverà privato del bassista Marc Chung ma soprattutto del ge-niale F.M. Einheit, sosti-tuiti rispettivamente da Jochen Arbeit e da Rudi Moser, entrambi bravi ma non certo all’altezza dei loro predecessori.Dopo una lunga pausa, gli Einstürzende Neu-bauten trovano comun-que la forza di risorgere dalle proprie ceneri con Silence Is Sexy (2000), che dà di fatto inizio a una nuova carriera. Per-fezionando la strada già intrapresa con i due al-bum precedenti, il grup-po porta avanti un’este-tica basata sul silenzio, l’attesa e la rarefazione come armi per spiazzare il pubblico.Blixa stesso spiega: “Si trattava di trovare qual-cosa che non avevamo mai fatto prima. E questo naturalmente ci ha porta-to a fare delle cose sem-pre più fragili, perché le

cose rumorose le abbia-mo già provate negli anni 80. Adesso lavoriamo in-vece con il silenzio e con i suoni molto piani, il so-vrapporre, lo sparire e riapparire dei pezzi, che sono molto diversi l’u-no dall’altro, era questo quello che ci interessava in questo disco”.Quello che è visibile im-mediatamente è la scelta di passare da terrore e angoscia a ironia e raffi-natezza. Ma abbiamo an-che il pezzo “Pelikanol”, ovvero 18 minuti di reci-tazione su un sottofondo di rumori estenuanti.L’ultimo album è del 2007, Alles Wieder Offen, ovvero Autonomia Ope-raia. Indipendenti a tut-ti i livelli, dal finanzia-mento (con contributi dai fan) alla distribuzione tramite la loro etichetta personale, i Neubauten si ripresentano muoven-dosi con più efficacia e concisione. Album paca-to e surreale, in costante equilibrio tra rumorismo e forma-canzone, nutri-to con discrezione delle consuete dosi di angoscia e unheimlichkeit, “Alles Wieder Offen” è l’atto di ennesima rinascita del leggendario collettivo berlinese.I Neubauten tornano a occupare fabbriche in di-suso, tornano a sporcar-si di cemento e metallo, basti ascoltare l’inno in-dustriale di “Weil Weil Weil”: ma anche così re-stano pur sempre elitari, raffinati, unici.

- di Ty Elle -

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Negli anni cruciali della battaglia mediatica fra i due più grandi pseu-dorockettari della storia del pianeta, Ligabue e Vasco, nella scena mu-sicale “rock di nicchia” alcuni gruppi stanno facendo il loro esordio in campo, passando dalla porta di servizio, quella vicino ai cassonetti e senza la scritta “ingresso artisti” appiccicata sopra, tentando con co-raggio e presunzione di portare o riportare in Italia ciò che dagli anni ’70 non esiste più: espressione, senso critico, cultura, musica.Scusate se è poco. Se un tempo non troppo lontano in cui dagli aborti mu-sicali puntualmente prodotti da Cecchetto nei ’90 (ma anche oggi) ci si poteva consolare con ottime band del calibro di Verdena, Marlene Kuntz, Afterhours (per citare le più influenti) oggi queste stesse band non sono più in grado di reggere come una volta il fardello di mantenere vivo il vero rock. Vuoi perché hanno già dato, vuoi perché non sono più giova-notti aitanti, vuoi perché “che cazzo ne so io”.La missione è affidata allora a nuovi episodi del rock che da un lustro circa si stanno prepotentemente assorbendo una buona fetta di pubblico dai gusti musicali discordanti dalle offerte targate Teatro Ariston.La band di cui andrò a parlare è Il Teatro Degli Orrori. Che con l’Ariston ha in comune solo il 40% del nome, fortunatamente.Il progetto nasce dalle menti di tre membri degli One Dimensional Man, gruppo che ha sfondato poco in Italia, anche se ancora attivo e voglio-so. Parlo di Pierpaolo Capovilla, Giulio Favero e Francesco Valente. Di questi tre solo Capovilla è attualmente negli One Dimensional.Il Teatro degli Orrori nasce nel relativamente vicino 2005, ma sforna il primo album per conto di una casa indipendente (se non ci fossero loro in Italia oltre la Pausini non ci sarebbe un cazzo) nel 2007, probabilmente dopo due anni di sperimentazione e concerti in giro per locali sotterra-nei, con “Dall’impero delle Tenebre”.In 11 tracce per 40 minuti circa si concentra tutta la potenza musicale e testuale di questo nuovo gruppo, e si mettono in luce tutte le peculiarità che ha da offrire.Ciò che bisogna precisare prima di analizzare suoni e testi che caratte-rizzano Il Teatro degli Orroriè che non è una band che piace al primo ascolto, e non è detto che ascol-tandola ossessivamente possa piacere. Nel senso che nel loro conformar-si ad un genere, in questo caso il noise rock, sono un qualcosa di a sé stante, in tutto e per tutto. Le cose sono due: li adori o li detesti. Non è la solita frase che i recensori scrivono perché, come si dice, è la tipica “frase ad effetto”, e potete accorgervene ascoltando i loro dischi.La cosa più espressiva e rilevante nelle canzoni del Teatro sta nei testi e nell’interpretazione che l’autore Capovilla conferisce loro.Sono delle poesie, i testi del Teatro, parole acuminate, spesso ricerca-te, piene di citazioni e riferimenti, di denuncia e protesta sottoforma di

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dramma poetico, proprio come in uno spettacolo teatrale (che io ho sem-pre odiato, ma questo è un limite personale).E proprio come in uno spettacolo teatrale le canzoni sono recitate.Il cantato è presente ma viene attuato in una forma e con una voce lon-tana dalla melodia italiana, la voce di Capovilla sa di retrò, sa di attore finito nel baratro, un doppiatore di soggetti ubriachi e misantropi che sospirano, sussurranno, urlano e annaspano.La forza di Capovilla forse sta proprio in questo. Dare enfasi e colori a ciò che scrive come un monologo teatrale, su uno sfondo di chitarre di-struttive e bassi pomposi.Una sceneggiatura drammatica non accompagnata da vaghe sviolinate o jingle su pianoforte, ma da riff di chitarra mai virtuosi o “solisti”, ma pieni di ritmo, cantilenanti e dalla sfumature crude e cupe, distorte, invasive a livello encefalico. Il basso e la batteria fanno il loro dovere: il primo, oltre ad avere una distorsione altissima e un volume notevole, rende corposo, riempie di ingranaggi l’intero arrangiamento musicale, annerendolo e incazzandolo mentre la batteria scandisce a colpi secchi e semplici la velocità di narrazione e accentua i cambi di tono di Capovil-la. La sensazione che si ha nell’ascoltare canzoni come “Dimmi addio”, ottimo brano noise-rock cantautorato dell’ultimo album fresco fresco d’uscita, Il Mondo Nuovo, “E lei venne!” (reinterpretazione della poesia “il vino dell’assassino” di Baudelaire), “La vita è breve”, “Il turbamen-to della gelosia”, “Non vedo l’ora”, “A sangue freddo”, è di assistere ad cupa e rabbiosa quanto sentimentale narrazione di storie, di istinti, dove anche la più sociale argomentazione si trasforma in una tragedia, teatralmente parlando. Basti pensare all’ultimo album, il già citato “Il Mondo Nuovo”, un concept incentrato unicamente sul tema dell’immi-grazione, dell’abbandono della propria nazione, dell’amore e delle op-portunità che il paese non ha saputo dare, il tutto in un miscuglio di suoni e parole che seppur fanno intendere di che si parla, è un aleggiare, un sussurro violento, un’implicita denuncia. Se non fosse per il fatto che buona parte delle canzoni riporta come titolo il nome di un potenziale migrante (scelta che non condivido appieno), il senso dell’album sarebbe ancora più nascosto.Tirando le somme, accettato lo stile musicale originale e letterario del Teatro (in Italia sono gli unici ad essersi ritagliati un certo spazio, an-che commerciale, ma è tutto meritato) possiamo davvero andare fieri di come attraverso il rock venga diffusa cultura, espressione e appunto stile graffiante, in un connubio che Capovilla e sudditi hanno realizzato molto bene, non creando quella discrepanza facile quando si mischia il parlato, o meglio il Recita-cantato su ritmi elevati e forti come il loro noise-rock. Gruppi del genere dovrebbero nascerne a fiotti, e probabilmente ce ne sono già, ma gli ostacoli che il paese in cui viviamo mette rende difficol-toso l’emergere. Meglio così, a volte è un bene che certi gruppi rimanga-no nella nicchia, non se ne infanga il nome e la musica facendo diventa-re un gruppo come il Teatro banale come chi si vanterebbe d’ascoltarli. Congratulazioni al Teatro degli Orrori, che continuino su questa strada, asfaltata di talento e voglia di dire.

-di Giuseppe Baldassarra -

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Il 5 ottobre 2007, il ma-noscritto di un libro fu recapitato all’ editore francese Paul Otcha-kovsky-Laurens. Titolo: Suicidio. Tema: lettera scritta a un amico in-nominato suicidatosi quindici anni prima con un colpo di fucile, sen-za lasciare una sillaba di spiegazione. Autore: Edouard Levé, scrittore e fotografo, che già in passato aveva pubblica-to dei testi con lo stes-so editore. L’ 8 ottobre, quell’ editore gli tele-fonò: «Va bene, pubbli-chiamo». E aggiunse di sperare che non fosse un libro autobiografi-co. Levé gli rispose con una battuta. Aveva qua-rantadue anni. Il 15 ot-tobre, lo trovarono im-piccato in casa. Anzi: la moglie lo trovò im-piccato in casa, come egli aveva previsto che accadesse. Aveva la-sciato tre lettere: una all’ editore, due ai ge-nitori e alla moglie. Pa-role affettuose, che non spiegavano nulla: for-se perché nulla avreb-be potuto spiegare, nei termini della cosiddetta normalità, quello che Baptiste Liger sul set-timanale L’ Express ha definito «un atto lette-rario assoluto», quasi l’ incarnazione di una vita e di una morte nella let-teratura. E viceversa. Suicidio fu pubblicato

qualche mese più tardi.Chiunque legga Levè capisce subito che è un libro autobiografico. Non si può immaginare così stati alterati, de-pressione, confusione mentale se non ci sei passato attraverso. Non descritte così puntiglio-samente, con dolore che fa arrancare nella let-tura sentendoti parte di un dramma annunciato, che non potrai evita-re. Levè ha scelto, non spiega i motivi del suo gesto, ci arrivi da solo. Leggendo i suoi pensieri capisci che non avrebbe potuto restare perché la vita o la mordi, la rove-sci, ci ridi sopra o fini-sci schiacciato.Si legge di farmaci che rallentano, che rendono la mente una nebulosa che si espande all’infi-nito, confusamente. Si legge di relazioni af-fettive che non possono più bastare perché, e Levè lo dice chiaramen-

te, il suicida è un essere assolutamente egoista, che deve fottersene di chi gli sta intorno, o non arriverebbe mai fino in fondo. La necessità di ammazzarsi supera ogni altro affetto, amicizia, amore. La decisione è presa, l’organizzazione della fine comporta una concentrazione che non sempre c’è, ma che vie-ne portata avanti con fatica estrema ma ca-parbia. La sensazione di legge-re dentro un altro esse-re umano, indifeso, spo-gliato di ogni maschera, ti tiene inchiodato al libro e te lo fa leggere tutto in una volta sola. Si cercano risposte, si apre un mondo che non credevi potesse essere scritto con quella since-rità brutale. Si capisce che quando la qualità della vita viene schiac-ciata da farmaci e de-pressione non puoi che sospendere ogni giudi-zio e accettare la deci-sione di Levè come l’u-nica fedele a se stesso. Nessun giudizio, dun-que, solo parole inca-sellata su fogli bianchi, a distruggere certezze e creare dubbi su questa società che lascia i suoi presunti figli abbando-nati a crepare da soli. Nessun giudizio, solo lettura. Leggetelo e non dimenticate.

- di Ty Elle -

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Io sono un lupo mannaro, mi trasformo ogni notte,qualche volta an-che di giorno,quando ho le mestruazioni e la mia mente vaga: .. .mi trovo in un PUB da solo al bancone col mio solito pint di birra,pacchetto da venti dimarlboro light,biglietti scritti da distribuire...<< ho paura di girarmi...c’è qualcuno che mi spia!gioco a biliardo con dei veri e propri svitati,vagabondi che suonano la chitarra per degli spiccioli, vado a casa di studentesse universita-riedi mia spontanea volontà,loro miaccudiscono, mi medicano le ferite, si prendono cura di me,piangono per me,per l’amor chenon so dare. Sono al bagno,al lavandino sotto allo specchio,un tipastro con la barbetta rossa e berrettonero che mastica la gomma con l’occhio leggermente chiuso,suggerisce: “bella giornata oggi.. .”ehm...la mia testa è zeppa di spettri del passato,un aeroplano che non riesce a decollare con 350 elefanti a bordo,la mia testa piena di cartaccia. . . .chi toccò il cielo col dito per poi crollare su se stesso?ma che razza di autodistruzione è mai questa?ma quale autocombustione, ma quale sfiammata elettrica!presto scoppierò come un palloncino,un giorno di questi me ne vado in televisionee mi faccio saltare le cervella,trattenendo il respiro per un bel quarto d’ora abbondante...…io sono un libero pensatore.

- di Alessandro De Cesare -

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disegno di Silvia Vaienti

Bruciano le mani, che poi non sono mani, ma labbra che costruisco-no parole, martelli che inchiodano promesse, strilli che frantumano specchi.Bruciano gli occhi e tutte le immagini della vita, quella di ieri, quella di domani, quella che oggi chissà se c’è.Carta, la gente è fatta di carta e la vita altro non è che fuoco.Siamo tutti nudi fogli di carta vestiti di parole.Bruciano le gambe, che poi non sono gambe, ma luoghi da raggiungere, idee da cui fuggire, domani da inseguire.Brucia lo stomaco, chenon è stomaco, ma son rospi da inghiottire e fame di emozioni, poi singhiozzi e parole andate di traverso.Acqua, la gente è fatta d’acqua e la vita altro non è che corrente che ci spin-ge e ci trascina.Siamo tutti fiumi alla ricerca del nostro mare.Bru-ciano le dita strette nella mano, che poi non sono dita, ma coraggio da trovare e tener stretto, son cazzotti in piena pancia, momenti che tolgono il fiato.Bruciano i piedi, che poi non sono piedi, ma contatto con il suolo, sono ancore per non andare al largo, sono primi passi che ci porteranno lontano.Bruciano i pensieri, che poi non son pen-sieri, ma non sono niente e in fondo sono tutto.Emozioni, la gente è fatta di emozioni, forse nella vita non c’è altro.

- di Gnigne Train -

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distruzionedis truzionedis truzionedi-s truzionedis truzionedis truzionedis tru-z ionedis truzionedis truzionedis truzio-

nedis truzionedis truzionedis truzionedi-s truzionedis truzionedis truzionedis tru-z ionedis truzionedis truzionedis truzio-

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nedis truzionedis truzionedis truzionedi-s truzionedis truzionedis truzionedis tru-z ionedis truzionedis truzionedis truzione

l’anarcopoetasurreale

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Non ho voglia di niente tranne che del mio gin tonic. Come sempre, a quest’ora.Chiudo la zip del piumino e mi avvio verso il solito bar. So già cosa troverò, per-fetta cornice alla mia ubriacatura. Due passi e già ci sono, per non fare aspettare troppo la mia voglia-necessi-tà.Lei è sempre lì sor-ridente, una barista perfetta a quest’ora. Quando tutti vanno a letto arrivo io e non devo nemmeno chiede-re, lei sa cosa prendo. Mi siedo al bancone, sullo sgabello imbotti-to e inizio a mangiare i taralli, giusto per fare qualcosa mentre dico come è andata di merda anche que-sta giornata.Lo so, mi lamento, ma lei è una bari-sta, ci sta apposta, no? E poi faccio anche due battute, lei ride e non so se ride perché sono stato divertente o ride perché lo deve fare. Non mi importa un cazzo, alla fine. Ognuno ha i suoi ruoli: io sono l’ubriaco-ne che arriva all’una di notte, lei la barista gentile che smercia alcol.Poco ghiaccio, molto gin Tanque-ray, poca acqua tonica, lime. Ecco come lo voglio ed ecco come mi vie-ne messo davanti.Faccio un complimento al vestito

nuovo della barista e lei come al so-lito risponde con una battuta. Sa che non ci sto esattamente provando, sa che è un’abitudine anche questa.

Lei è una donna, io un uomo. Il complimento alcolico ci scappa.Non vorrei star lì a spiegare perché la mia giornata è andata di merda, ma mi ritro-vo a sorseggiare gin tonic spiegando esat-tamente perché la mia giornata è andata di merda.Lei ascolta, è compre-so nei 5 euro del coc-ktail. Inveisco, mi la-mento, mi sfogo. Non ci torno in quel posto di merda, me ne vado in campagna, a fare l’apicultore. Lei la

trova un’ottima idea e sorride inte-ressata. Allora mi prende di raccon-tarle della casa in campagna di mio zio, di quando ci andavo da bambi-no. Le dico che sarebbe proprio una bella vita, senza dover più cucinare in un maledetto albergo di terz’ordi-ne con i materassi infestati dai topi, giù nel magazzino. Cibo surgelato e sporcizia in cucina. E io l’ho detto che le cose sarebbero dovute cam-biare, l’ho detto che non sarei stato disposto a sopportare. Sono il capo cuoco, voglio decidere io il menu. Siamo a Natale, voglio delle cazzo di ferie. Si incazzano? Me le negano?

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E io sono venuto via e non ci torno. Vado a fare l’apicultore da mio zio e si fotta questo mondo di merda che ti stritola nei suoi ingranaggi.Un altro gin tonic, grazie.E’ il mio mantra. Un altro gin tonic, grazie.Lei tiene il conto su quella cassa computerizzata. Digita il tasto long drink con la pennetta ed ecco com-parire altri 5 euro.Lei tiene il conto, io no. Ha senso tenere il conto di quanto mi ci vuole per ubriacarmi e non sentire più un cazzo? Piacevolmente assente.Stasera ho anche fumato e sono sto-nato. Non ci ero più abituato, le palpebre sono pesanti. Se parlo io non ho problemi, se parla lei non la seguo. Non importa seguirla, pago. Quindi parlo io e chiedo un altro gin tonic. Però voglio sempre meno ac-qua tonica e lei che sa quanto lascio ogni sera su quel bancone non si fa problemi e ne mette poco, giusto per poter dire che è un gin tonic.Le chiedo le polpette marocchine, anche se mi si rivolta lo stomaco, ma la chimica si impone. Vado in automatico e aspetto bevendo.C’è un gruppo chiassoso dietro di me. Tre ragazzi con le loro ragazze. Avranno vent’anni.Ecco, glielo dico, alla barista, che è una generazione di merda, che non pensano mai a un cazzo, che si tro-veranno male in questo mondo che stiamo distruggendo. E lo so che lo dico sempre, ma porca puttana è vero. E mi fa rabbia che questi stronzetti stiano qui a ridere incon-sapevoli della merda che li circon-da. Sono anche loro merda.Arriva il mio piatto e la barista me lo mette sul bancone. Lo sa che non ci vado, a un tavolo.

E’ triste sedersi a un tavolo da solo, in mezzo a questi stronzetti allegri. E io non sono triste, sono incazzato.Dico alla barista che ci mando i NAS, in quell’albergo di merda. Che gliela faccio vedere io. Li avevo av-vertiti, ora faccio il culo a tutti. E vado a vivere in campagna, faccio l’apicultore.Mi viene il dubbio di averglielo già detto, ma forse no perché lei annui-sce e sorride.Mi si chiudono gli occhi. Lei asciu-ga i bicchieri nel vapore della lava-stoviglie.Mi sveglio di colpo, qualcosa di umido mi appiccica il mento.Merda, le polpette marocchine.Per arrivare al tovagliolo ci met-to troppo tempo. Le mani tremano, sono lento. Mi pulisco. Mi guardo intorno. Lei sta pulendo la macchi-na del kebab, non si è accorta.Guardo il piatto, la testa è pesan-te. Polpette mangiate a metà, intinte nel sugo piccante. Stavolta non con-trollo più lo stomaco.Faccio in tempo a arrivare in bagno, vomito le polpette, il sugo piccante, i gin tonic e quello che resta di que-sta notte di merda. Tiro lo sciacquo-ne. Faccio davvero schifo, ma me ne fotto. Mi pulisco. Ora va meglio.Torno al bancone. Mi aspetta anco-ra il resto del mio piatto e il mio quarto o quinto gin tonic col ghiac-cio che si sta sciogliendo.Forse se avessi qualcuno da cui tor-nare adesso non sarei qui.Forse dopotutto sarei qui lo stesso.Forse domani torno in quell’albergo di merda. E poi torno anche qui, a questo bancone.Fanculo la campagna e le api.Fanculo tutto.

- di Ty Elle -

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Giacomo si svegliò sudato, ave-va freddo e sudava, una cosa as-surda, s icuramente stava male, gl i mancava i l respiro, fat icava a respirare, aveva preso quella nuova droga che gl i aveva ven-duto quel t ipo poi non ricordava niente, sentiva formicolio ovun-que soprattut to in faccia, s i alzo con le braccia a penzoloni , r iu-scì a trascinarsi in bagno, cazzo che sballo, mai senti to una cosa simile, sembrava che i l naso gl i sbattesse in bocca, che sballo, cazzo che roba fenomenale, s i af-facciò al lo specchio e gl i s i gelò i l sangue, sal tò indietro sbatten-do la testa contro i l muro, s i portò terrorizzato le mani in faccia, s i tastò come per cancellare quel-lo che vedeva, no era l ì , cazzo che cazzo, un cazzo, un pene di medie dimensioni gl i penzolava al posto del naso e aveva pure i test icoli che f inivano armoniosa-mente prima del labbro superio-re, un cazzo in faccia, che ver-gogna, come faceva ora, come andare in giro così , un dubbio ancora più atroce lo assalì , s i t irò giù le mutande e rigelò, i l naso era l ì e senza mutande re-spirava f inalmente meglio, senti un assurdo senso di sol l ievo che lo pervase, in fondo aveva tut to come prima, aveva solo cambia-to posizione, forse era un al luci-nazione della droga, r icominciò a tremare, aveva da pisciare, ma con cosa doveva farla, s i avvicinò

al water, sentiva dal cazzo al po-sto del naso l’ esigenza di urina-re, s i abbassò e pisciò dal cazzo. Si sol levò, una goccia di piscio gl i bagnò le labbra, non ci fece neanche caso, doveva abituarsi , ora come faceva ad andare a la-vorare, doveva tenere sempre la sciarpa, o mettersi un velo come le donne oriental i , pensando alle donne oriental i nude sotto i ve-st i t i gl i venne un improvvisa ere-zione, gl i sbatteva sulla fronte, dava fast idio, come cazzo poteva andare in giro con quella faccia da cazzo?Telefonò a un suo amico che stu-diava medicina e gl i spiegò la si tuazione, ot tenne delle r isate e un riposati che t i passano le al-lucinazioni .Era disperato.Poi gl i venne l’ idea e tut te le preoccupazioni svanirono: Mas-simo Dimmerla.I l grande Dimmerla, i l mit ico pre-sentatore televisivo che aiutava tut t i , lui avrebbe avuto la solu-zione, lui aveva la soluzione per ogni problema, solo Dimmerla poteva salvare la sua vi ta. Tele-fonò e trovò la segretaria, le dis-se i l problema, le r ispose: “Non si muova, saremo da lei tra poco, s t ia calmo e vicino al telefono per ogni evenienza”. Dopo pochi minuti sentì degli el icotteri , s i af facciò e vide una scena che gl i r icordò Apoclypse Now, numerosi el icotteri s tavano atterrando nel

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giardino condominiale, in pochi at t imi ebbe l’ appartamento al-lest i to come uno studio televisi-vo, con tanto di salot to con gl i espert i del caso, lui lo posizio-narono di spalle dietro una ten-da per la privacy e per non far vedere organi genital i in prima serata, interruppero la normale programmazione con un edizione straordinaria, lui s i sentiva con-tento, era l’ uomo del momento, di che poteva lamentarsi .Iniziarono i l dibatt i to: c’ era chi diceva che se avesse un f igl io così lo caccerebbe di casa, chi inve-ce diceva che i giovani s tanno vivendo un periodo di disagio e bisogna star loro vicini , capirl i , comprendere perché si drogano a tal punto da ri trovarsi i l cazzo in faccia, uno grasso del pubblico dello studio-appartamento si alzò accalorato urlando: “La pena di morte ci vuole”, molt i applaudi-rono calorosamente, una signo-ra dist inta fresca di parrucchiere rispose prontamente: “Bastereb-be applicare le leggi che già ci sono”, alcuni applaudirono t ie-pidamente. Poi cominciarono a discutere animatamente del l’ im-migrazione clandest ina causa di tut t i i mali , dopo un paio d’ ore cominciarono f inalmente a par-lare di come risolvere i l suo pro-blema f is ico e alcuni volevano vederlo bene da vicino al lora a turni di due iniziarono ad andare dietro la tenda e con un guanto di lat t ice che veniva fornito da un solerte assistente gl i toccava-no i l cazzo, ma sentirono in quel momento un el icottero dal rombo più potente di tut t i quell i di pri-ma, iniziarono tut t i ad agitarsi e

urlare “E’ arrivato i l Presidente, i l Presidente del la Repubblica”.Pochi is tanti dopo entrò nell’ ap-partamento tra gl i applausi dei presenti emozionati , deciso andò dietro la tenda e gl i diede la mano: “Caro giovane come vede i l Presidente è vicino a tut t i i c i t -tadini del la nazione in qualsiasi momento della loro vi ta, lei che si trova con gl i organi genital i in faccia non è meno degno di uno più fortunato, piut tosto smetta di drogarsi che come vede può cau-sare danni imprevedibil i”.Tutt i applaudirono commossi da tanta saggezza in un solo uomo, alcuni piangevano senza freni , le parole del Presidente aveva-no colpi to anche Giacomo che si mise a piangere ma mentre pian-geva a causa della tensione ner-vosa riebbe un erezione e proprio in quel momento i l Presidente col guanto stava osservando di per-sona, non riuscì a trat tenersi e venne copiosamente in faccia al Presidente , una guardia del cor-po per ri f lesso indotto immedia-tamente estrasse la pistola e gl i sparò in faccia, Giacomo cadde riverso sul pavimento, l ’ ennesi-ma vi t t ima della droga.Lo imbalsamarono per esporlo al museo come monito per i giova-ni , ma per via di un esposto per la pubblica decenza non lo espo-sero mai, r imase nel magazzino del museo dimenticato.Solo i l mit ico Massimo Dimmer-la andò a visi tarlo una volta per farsi una foto ricordo.

- di Andreas Finott is -

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“Se ne vuole andare a vivere con gl i animali . E’ da un po’ di tem-po che ci pensa. Magari in una giungla del l ’Amazzonia, o nel-la savana. O anche nel deserto. Vuole andarsene con gl i animali , insomma, i l punto è questo.Ha sempre avuto paura del la morte , questa la veri tà , e nel la sua condiz ione at tuale non vede al tro che cont i al la rovescia, r i -f less i di se s tesso dentro specchi e vetr i mentre invecchia, paras-s i t i che lo divorano mentre dor-me.Sta sprecando i l suo tempo in mezzo al la c i t tà e agl i umani , lo sente . Ma non solo lui . Lo s tanno sprecando tut t i . Dal la f inestra osserva scatolet te con ruote che muovono persone immobil i , ce-mento ovunque, non è pietra, t i dà proprio la sensazione di fal-so, di art i f ic ioso, di avvelenato.E poi tut t i che corrono. Luci , schermi, te lecomunicazioni . E’ c iò che forse gl i fa più paura, la fret ta . Gli r icorda di non esse-re immortale , di non essere indi-spensabi le , di non essere. E’ con-vinto che quei t iz i là fuori non

s t iano davvero vivendo, anche se imperterri t i ur lano le proprie ambizioni , che s iano condivis i -bi l i o meno, che s iano ant icon-formiste o plasmate, o plasma-te dal l ’ant iconformismo. Chi ha det to che devi avere ambizioni? come puoi chiamare vivere i l fare c iò prescinde dal la natura umana e animale? Si dovrebbe vivere di is t int i , d i sensazioni , di v i ta o di morte . E quel l i in-vece s tanno l ì a passare gl i anni inseguendo chimere, a vest ire camicie , a fare f igl i da iscrive-re a scuola calcio, a mangiare panet toni davant i a del le scatole che trasmettono persone vir tual i e sempre fe l ic i .Ma che cazzo s to e s tanno fa-cendo? Chi ha inventato questo modo di v ivere? Non può essere certo l ’ is t into di sopravvivenza! Aver creato questo mondo pa-ral le lo dove s i v ive imbott igl iat i fuori dal verde e dal le sensazioni pancreat iche a che pro dovrebbe portare?E’ s tanco e nauseato di sent ire poi parole s tupide e modaiole come “l ibertà” , “fel ic i tà”, “sta-

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bil i tà”, “amore” da f int i uomini che le pronunciano inf i landole dentro un ogget to di plast ica po-sto al l ’orecchio o nel r i fer irs i ai loro traguardi inesis tent i . S i è rot to i cogl ioni di questo mondo farlocco, che vive di nul la per nul la , per questo se ne vuole an-dare con gl i animali .Libertà non è la piena manipo-lazione del le proprie azioni , è qualcosa di meno cinematogra-f ico e piacevole .La l ibertà è una malat t ia men-tale . Libertà è essere manipolat i da se s tess i . E’ non avere scel ta di pensiero, è solo uno scorrere di immagini e parole fuori con-trol lo , una miriade di sensazio-ni . Proprio come accade negl i animali , che fanno le cose a caz-zo perchè sono burat t inat i dal le vogl ie . Ragionare con la pancia, respirare con la pel le , immagi-nare con gl i occhi . Vivere solo ciò che è s tato loro dato, lontano dal le invenzioni umane che mi-rano al l ’ i l lusione di essere al tro ol tre ad atomi morent i .Vuole provare per una vol ta ad essere brutale , meschino, immo-rale , s tronzo come un leone, o come un furet to . Mangiare orga-nismi e sent irne gl i odori , non bis tecche spacciate per c ibo.Si è rot to anche di scrivere, di

bat tere tast i , d i bat tere dent i , d i bat tere la f iacca. Gli uomi-ni hanno frainteso enormemen-te i l concet to di percorso vi ta-le . L’hanno preso davvero per un percorso-cresc i ta-real izzaz ione , un abbigl iamento da met tersi ad-dosso. Ma in real tà non è niente . Se non ci fossero le parole for-se sarebbe tut to molto più sem-pl ice . Nessun concet to astrat to , interpretazioni , nessuna poesia che parl i del l ’arcano. Ci sarbbe solo un mucchio di animali puz-zolent i che fanno quel lo che gl i pare, e i l mot ivo non è dato sa-perlo, perchè non c’è .Perchè non c’è i l concet to di mo-t ivo! Queste parole apocal i t t iche come “esis tenza”, “vi ta”, “real-tà” cosa sono se non circoscri-z ioni a concet t i che non vanno al di là di semplici supposiz ioni?In real tà per spiegare bene cosa s i è , basterebbe smet tere di scri-vere. Vuoto. Fine.E così smet te .Molla tut to .Se ne va dal la f inestra. Si va a guardare al lo specchio. La bar-ba vuole essere r i fat ta , le lamette nuove le ha comprate ier i s tesso.Non gl iene frega nul la .Lui vuole andare a vivere con gl i animali .”

- di Giuseppe Baldassarra -

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Dolore. Si dice che con esso nasciamo e in sua compagnia moriamo. E’un attimo finito e infinito, nello stesso tempo. Vedi l’uomo caracollante sul ring dinanzi a te farsi sotto col suo muso scavato e angolare, un triangolo di carne segnata e scalfita, e puntarla quasi nell’incavo del tuo collo, mi-rando lo spazio rossastro e urlante tra le tue costole. E’ come un rinoceronte sovraeccitato a cui abbiano sommini-strato una brutale droga ipnotica. Sono attimi, secondi – nemmeno. Senti l’odore acre, pungente del suo sudore e del suo sangue e riesci ni-tidamente a scorgere quella piccola, antica e bianca cicatrice sul suo cra-nio bulboso che solo ora ti accorgi che possiede, solo ora in intimo contatto con i tuoi sensi squadernati, solo ora, inquietante macchia psicopompa che prelude al tuo passaggio alla soffe-renza. Sei lì, immobile, le braccia ancora alzate con i pugni semichiusi, ma lo sguardo è trasognato, come catalizza-to sul funesto e ugualmente agognato bianco simbolo craniale che si asso-cia al tuo processo di liberazione. I lampi di luce dei piccoli fari at-torniano e delineano il tuo sfidante sbuffante rimarcandolo, facendolo più spesso, dandogli un’aurea quasi mistica, trascendentale… E quelle linee di luci si combaciano, piano piano, si uniscono alle facce distorte e animalesche appena fuori

dalle corde, musi che sbavano, sputa-no, che stringono corti mozziconi di sigari bagnati, le gote e le sopracci-glia che si allargano e si piegano in un rallenti febbricitante, le bocche unte che s’aprono, denti gialli che di-grignano, occhi obliqui e gesti con-vulsi, e tu, tu non odi nulla. Come se quel marasma di voci urlanti fosse di-stante chilometri, come se fossi sepa-rato da esso da un muro trasparente, non senti niente, tranne la calda cul-lante ebbrezza di qualcosa che sta per avvenire. Di qualcosa di importante. Lentamente le luci si confondono col corpo muscoloso che hai davanti e pare che lo innalzino, che lo librino al di sopra del ring fino a fargli sfio-rare le sue scarpe di tela grigiastra e consunta col tuo volto tumefatto. E tu rimani fermo, col volto sospeso in aria, gli occhi in cielo, ed è lì che-succede. Dolore. Ti trovi su quel ring perché forse hai accettato il fatto che per cambiare, per affrontare una nuova nascita devi passare per un comune denominatore d’ogni nascita: il dolore. Violento e traumatico. Il tuo nuovo sanguinolento parto li-beratore. La porta alla vera parte di te. Gli eccessi possono portare all’equi-librio.

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Per tarare una bilancia bisogna sag-giare i pesi opposti. Gli estremi. L’estremo,ora, è la grossa rossa avi-da bocca della violenza che s’apre in squarci ululanti di ferite che traggo-no altrettanti squarci illuminanti nel tuo incartapecorito raggrinzito inti-mo essere. E’uno shock di luce e nero e buio e gente che ghigna nel silenzio e poi un forte lampo, un secondo di nocche di una mano che si ritira con un elastico di sangue legato al tuo mento. Silenzio, flash di luci, le bocche che ora, di colpo, in un trauma cacofo-nico delirante che spezza quella tua momentanea sordità, s’aprono e si sentono, tutte, inequivocabilmente, all’unisono, pazzesche, atroci, be-stiali. Un ruggito di guerra profondo e terribile, da oltretomba. Aprire una porta col dolore equivale ad una esperienza spirituale. Il tuo guru è ora questo rozzo energu-meno dal teschio spigoloso e il naso risucchiato tra gli zigomi. Pratichi l’arte di procacciarti flash di morte che sospingono alla vera vita. Ogni cambiamento provoca un po’ di dolore perché l’essere il quale siamo diventati non è consono al cambia-mento. E’ strutturato nella sua posi-zione di sconfitto. L’essere umano è una creatura bloc-cata nella sua scala evolutiva. Cir-concisa dal solo pensiero di poter es-sere migliore. E invece di proiettarci

in avanti ci immergiamo sempre più in noi stessi. Nel denso crogiolo del nostro io perduto. In quell’amalgama di dettami impartiti dalle cose, dalle regole prestabilite, dai fottuti cenoni in famiglia e le serate davanti alla TV. Nel dolore, in quello fisico, diventi il Cristo di te stesso. Cominci ad adorarti per quel che sei: mortale nella tua sconfitta e dunque, al cospetto della Morte, immortale. E tu che reggi le gambe dritte ancora un poco e ti volti, col busto immobi-le, una folata di sigaro dal sapore di terra bruciata t’avvolge la testa e poi l’uomo ancora, caracollante ma ben presente, gli occhi stretti come due uncini affilati e non puoi fare niente anche se tutto vedi e lo vedi distin-tamente e con una coscienza totale dell’azione che è come se passassero secondi e secondi in quell’ultimo col-po. Il gomito che arretra col braccio, roteando con la spalla e torcendosi col busto e lo scattare lineare, feroce, sistematico delpugno. Dolore. Un’ondata di bianco accecante, lan-cinante duro bruciare. E’ un attimo, e senti il tuo proprio tonfo sul suolo, t’immagini anche il tuo muso, il mento rimbalzare due volte sul tappeto di gomma, e sorridi, e poi chiudi gli occhi, lentamente, nel dolore.

- di Alessandro Pedretta Kresta -

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SOCIAL WORLD EXECUTIVE NET-WORK(connessione attivata)

Identificativo: Memorie Esterne di un Nervo Ottico.

Diario pubblico personale:Un’altra giornata nella cintura ester-na, la temperatura, come ci ricordano i nostri BenGraditi Esecutori Globa-li, è nella norma; l’escursione termica quest’anno ha avuto un miglioramento rispetto all’anno scorso, siamo sui meno dieci con punte di meno tredici in not-turna e un bel quarantasei nella nostra incredibile Piazza Bianca, registrato proprio stamattina verso le quattordici; insomma questo sarà finalmente un anno mite, si spera così di smentire definiti-vamente l’antica e ingiustificata tesi che le nostre Grandi Madri Fabbriche siano responsabili dell’inquinamento.

SOCIAL WORLD EXECUTIVE NET-WORK (connessione disattivata)

Spengo la Warrior e tiro fuori da sotto il letto un vecchio 406ExtraSound, il me-glio della qualità IperSonor per tutti i formati d’ascolto compreso il vinile, il meglio del 2024. Attualmente sono considerati illegali.Attualmente c’è la Warrior: cinque tele-camere obbligatorie, cinque casse sur-round per sentire al meglio, due schermi riceventi per conversazioni multiple ed uno trasmittente, connesso direttamente con Social World Executive Network.

L’essenziale: videonotizie, blog, social-

network, televisione, cinema, libreria infinita sempre in aggiornamento, che te ne fai di pochi? Scegli l’infinito.Il tutto in una sedie con schienale re-clinabile, singola o per due, dedicare quindici minuti della tua vita facendoci sapere cosa ne pensi del mondo è un tuo diritto, rispettalo.

La più grossa disgrazia mai apparsa sulla faccia di Progress I, terzo pianeta della fascia esterna.Prima si chiamava terra, poi dopo l’in-gresso nella Federazione di Galactica, il Collettivo Decisionale, si è messo in regola con le formalità: scelta di un nome, classe di appartenenza, etc. ed eccoci qua: Progress I, la terra dei vostri incubi.

Prendo un vecchio disco in vinile; credo di essere l’unico su tutto il pianeta ad avere ancora della musica non digitale e non schedata.Attualmente considerata illegale.Appoggio delicatamente la puntina sul solco, prendo una cuffia Binaural e mi sdraio sul letto.

Memodate Attivato.Se stai ascoltando o leggendo questo memodate significa che Johnson ha bat-tuto Rosso K. Siamo nel 2042, parliamo per slogan: modi di dire, frasi fatte, semplici e ger-gali. Sapete com’è, no? l’abitudine. Abi-tuatevi pure voi.Chi ha un lavoro, è occupato quasi tutto il giorno.Chi non ha un lavoro, quasi sempre en-tra nella Resistenza. Io sono tra quelli.

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Se vi siete persi qualcosa: eccovi un ri-assunto.Nel secondo ventennio del XXI secolo, gli scambi globali arrivarono al punto di rottura.Si istituì un sistema globale di emergen-za: il Collettivo Decisionale.Qualsiasi cosa: dalla scelta dei governi al prezzo del burro, dall’erogazione di gas ai finanziamenti alle squadre di cal-cio, scuole di pensiero, programmi tele-visivi, medicine, cibi, tutto. Vagliato, commentato e approvato.La musica e l’arte in genere restarono immuni, o per meglio dire vennero di-menticati.I pochi che continuarono imperterriti ad interessarsi, vennero considerati illega-li.Quei pochi, crearono La Resistenza.Da musicisti ad informatici specializza-ti.

Esempi di gergo in uso.Il ritorno di un pinguino – Giornata di merda/situazione critica. Attualmente ignoriamo cosa sia un pin-guino; qualcuno associa il termine ad un antico animale o qualcosa di simile, altri affermano invece che era un nome in codice riferito all’arrivo di una sor-ta di Squadre d’Intervento del ventesimo secolo.

Caga Sul Cazzo – C S C / Ci Stanno Con-trollando.Significa che abbiamo dieci minuti scar-si per scappare, prima che una Squadra d’Intervento ci piombi addosso.

Torna a Casa alle Otto se No sono Guai – G N O C TGravità Non Ottimizzata – Controllare ThermichalsOgni tanto la Federazione Galattica to-glie gravità ai pianeti come il nostro,

per stabilizzare il Labirinto. Il Labirinto è un enorme sistema in-terspaziale di tunnel spazio-temporali costruito da una specie che si è estin-ta milioni di anni prima che esistesse il concetto stesso di Federazione Galatti-ca. Ritornato in uso da poco, funziona gra-zie alla gravità dei pianeti. Il Thermichals è uno stabilizzatore gra-vitazionale, in teoria è illegale, ma è l’unico modo per restare ancorati alla superficie durante questi Black-Out, al-cuni di noi sospettano che questi stac-chi di gravità servano per stabilizzare il livello della sovrapopolazione, ma non abbiamo notizie certe.

Esempi come questi ve ne potrei citare tanti ma ora non mi vengono in mente.Per quanto la tecnologia sia capace di spostare universi grazie al rotore di Farghender, il riconoscimento vocale è ancora utilizzato nella sua forma base: accesso agli edifici, pagamento debiti, etc. Il lato positivo è che inserendo il ger-go corretto all’interno di un discorso prevalentemente costituito da slogan, la comunicazione diventa indecodificabile per tutti i sistemi di controllo.

Far parte della Federazione di Galacti-ca avrebbe dovuto concederci la libertà, una nuova rinascita, ma non fu così.Venimmo semplicemente schedati come Sistema in Evoluzione, ci fecero instal-lare degli Approdi per scambi commer-ciali e inserirono il nostro pianeta in fondo alla lista delle specie evolute.Le specie non umane che circolano at-tualmente per il pianeta sono circa una ventina, gli scarti della galassia.Ora devo lasciarvi, vi terrò informati.

Memodate Disattivato.- di Andrea Doro -

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Le sei e sei. “L’ora del demonio”, penso, rigirandomi tra le dita l’edizione tascabile di un romanzo rosa. Una copia sgualcita degli autori più decadenti del genere, recuperata in fretta e furia, il bisogno di staccare la mente dal corpo per un secondo, quell’attimo infinito nel quale concludi che qualunque stronzata, foss’anche la più divertente, perversa, sconvolgente, o di contrap-punto inutile, tediosa, deprimente che si possa mai concepire, si dimostra adatta allo scopo, in quanto niente e nessuno riuscirà mai a distrarti dal tuo obiettivo.Devi solo impegnare la mente per non pensare al dolore.“E’ quasi l’ora, ci siamo quasi”. Le parole scorrono una dietro l’altra senza trovare un reale approdo nella mente, e più tardi nella memoria, un sonno-lento fiume di caratteri indistinguibili l’uno dall’altro che percorre il nervo ottico senza arrivare a destinazione, prosciugato da pensieri più profondi, schiacciato dalla forza di volontà di un’anima che non intende darsi per vin-ta senza combattere, consapevole di un incombente distacco, consapevole di un’imminente perdita, un’inevitabile separazione. Musica in lontananza, un clacson, un cane che abbaia, un bimbo che piange. Rumore, processi gaus-siani bianchi a dispersione infinita e a valor medio nullo, disturbi in preca-rio ma per questa ragione perfetto equilibrio.Ma sto divagando. La verità è che sudo freddo. Immagino ci si senta così a pochi istanti dalla propria morte. Perché è così che mi sento, e così proba-bilmente sono, e tra poco non sarò più. Pessimista, brutto segno. Non abban-donarti. Non abbandonarci. I pensieri s’affollano, curioso come il desiderio di non pensare venga troppo spesso automaticamente tradotto in un troppo pensare. Troppi stimoli, mi deconcentro, un lampo, un crampo, ritorno in me. Pochi secondi, il rombo del tuono mi circonda come un piumone in una notte d’inverno, mi culla, mi risveglia dal torpore. Sì, cazzo, m’ero quasi addor-mentato.“E’ il momento”. Adrenalinico, come sempre. Il corpo si adatta, si evolve, risponde alle richieste di sangue extra, il cuore pompa con più energia, mena colpi nel petto come un pugile che sa di aver poco tempo per vincere. Il do-lore esplode. “Merda, no!” non adesso, mi ripeto. Non ora, non così. Non ce la farò. Ancora un tuono, poi un altro, è una tempesta ormai. E’ la fine. Urticante, come l’odore che pervade le mie narici. Odore di sconfitta.Forza. Forze. Raccolgo le forze, spingo, caccio via ogni pensiero con tutte le mie forze, sorretto dall’ultimo lampo di orgoglio. Sto sanguinando, forse. Sì, dev’essere così. Sangue mescolato a questo magnifico orgasmo. Ho quasi un’erezione. Sono stremato ma vibro un ultimo colpo alle mie paure, a quella parte di me che ora DEVE abbandonarmi, cazzo. E’ quello decisivo. Non è finita. E’ finita, ne uscirò vincitore. Lo so.Buio. Il suono del mio respiro inframezzato da un altro lampo. Un crampo, un tuono.Guardo lo stronzo galleggiare nel cesso, prima di salutarlo per l’ultima vol-ta.

- di Diego Minelli (C) COLLETIVO SCRIBI DALL’INFERNO -

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E d’un tratto capii che il pensare è per gli stupidi,mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione.

(Alex - Arancia Meccanica)

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Chi non si è mai chiesto, almeno per una volta, nei suoi vent’anni, qual è il suo senso nella vita, e soprattutto, che cosa volerne fare dei propri giorni? Volere continuare a sognare fra le pagine di quel libro che vi ha rapiti, immaginando dei personaggi che riescono ad essere quello in cui voi ritrovate il vostro alter ego, (o probabilmente il vostro vero io) o in-vece decidersi, liberarsi da quel senso che ci tiene attaccati ai canoni di una realtà comune, e andare a vivere di persona tutte quelle avventure e disavventure che la vita tiene in serbo per chi si sbilancia?La maggior parte della gente, comune e non, non fa altro che fare finta, e si crea un personaggio che il più delle volte non è neanche il suo. Ma lo fa per paura, pura paura di affrontare quel che poi è la consistenza a dimo-strare chi si è veramente. Certo, è duro riuscire a tirarsi fuori da quella armatura che, comunque, in qualche modo sei proprio costretto ad indos-sare per attutire i colpi, ma la ragione sta proprio qui; è più conveniente subire questi colpi come una vittima o affrontarli perlomeno da essere vivente? No, perché perlopiù, e oggi più che mai, più che esseri viventi stiamo sembrando soltanto dei conviventi comuni, e che oltretutto non si sopportano a vicenda, o perlomeno l’uno vuole prevalere sull’atro. Vo-gliamo sentirci superiori agli altri. Ma secondo me non è questo il punto. Secondo me, se uno vuole qualcosa dalla propria vita, prima di tutto deve mettersi in discussione con se stesso, e affrontarsi, e anche nel caso che perda, non prendersi mai del tutto sul serio, ma seriamente continuare a rischiare la rivincita. Gli dei ci osservano, o, oltremodo, la vita.Nei miei vent’anni avevo una voglia smisurata di andare via dal mio pa-ese, e cercare una qualche forma di vita più interessante, (anche se tra l’altro non è che i miei giorni non fossero interessanti; ma io volevo di più) andare a vivere la vita davvero giorno per giorno, con le capacità del mio genio, e soprattutto per vincere quella mia paura che mi rendeva del tutto pigro, e mi faceva accontentare solo del sogno. (Intanto scrivevo po-esie) Ma io in qualche modo sapevo che dentro di me qualcosa ci doveva essere, e così un bel giorno, per caso o per volontà, decisi di lasciare tutto e andarmene incontro ad una sorte vagabonda. Non ero sicuro di niente; non lo ero mai stato, ma la voglia, l’istinto, fu più forte di ogni pensiero. La sera prima che partissi nella mia avventura avevo all’incirca 140mila lire, ma quella sera, incontrando il mio amico Costanzo, decisi di brin-dare alla mia risoluzione. Quando io ho avuto una lira ho brindato quasi sempre a qualcosa. Se è stata amarezza ho brindato ad essa, se è stata una cosa simpatica ho fatto lo stesso, e così anche con tutte le altre cose emotive che mi sono capitate. Ad ogni modo, quella sera, poiché Costanzo era senza una lira, e siccome noi eravamo due che tracannavano, e che ci davano dentro di brutto, partirono le 40mila lire. Be’, avevo sempre le 100mila.

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Costanzo era un gran bevitore e nello stesso un valente fumatore di can-nabis. Io alle volte non riuscivo a capire come riuscisse a mantenere le due sostanze insieme senza dare sintomi di sballottamento perlomeno vi-sibile. Io ero uno che tracannava sì tanto, ma lo sballo lo accusavo, e mi ci perdevo, e addirittura ci godevo, e poi mi sprigionavo in follia, e final-mente mi ritrovavo in quella forma di vita che abitava dentro a quell’es-sere che sarei dovuto essere io.Il giorno dopo sistemai lo zaino, presi la chitarra classica che mi aveva regalato un omosessuale a Graz, in Austria, andai a comprare qualche bottiglia, e nella serata fui già sul treno per Roma Termini. I primi giorni a Roma, con i soldi in tasca, mi parvero una vacanza, ma quando mi finì la grana mi resi conto che dovevo darmi un bel da fare, e da quel momento, incurante del futuro, divenni un vagabondo. Passai mille storie, viaggiai per quasi tutta l’Europa, a volte in compagnia del mio amico Valerio e la sua ragazza, Gaia. Conobbi nuovi personaggi, un bel po’ di ragazze. Con qualcuna di loro ebbi delle spudorate avventure sessuali. Poi rincontrai Petra, una ragazza bulgara che avevo lasciato in Austria prima di questa mia avventura, il mio amico Costanzo, e poi ancora viaggi, fino a scoprire un amore platonico che vissi per tre giorni, fra Isabel, (una francese) e Teide, (spagnolo) a Tenerife, nelle Canarie. Feci il vagabondo per circa due anni, poi, non proprio per scelta, ma ne-anche del tutto per la sorte, ritornai al mio paese. (intanto avevo scritto altre ed altre poesie) All’inizio l’idea era quella di comprare un furgone a poco prezzo e poi ripartire, insieme a Valerio e Gaia, ma ci riuscì im-possibile acquistare il mezzo. Col tempo ci riuscì difficile anche il nostro rapporto, e così si ruppe anche la nostra amicizia. Molti anni dopo mi venne l’ispirazione di scrivere un romanzo dedicato al mio vagabondaggio, e nel giro di un inverno riuscii a finirlo. Era forte, elastico, ironico, spietato, ma anche appassionante, sarcastico. All’ini-zio gli trovai il titolo: Sognando la California, ma nei giorni prossimi mi venne alla mente che probabilmente quel titolo l’aveva già usato qual-cun altro, così lo cambiai in Sognando Los Angeles, ma subito dopo mi sembrò troppo diretto sulla città americana. No, io cercavo qualcosa che andava aldilà, e così, un momento dopo mi venne un altro titolo, Sogna-vo l’AmeriKa. Si, perché la mia idea non era tanto quell’America, quella regione, quella terra abitata dagli americani e dagli indiani sfrattati, ma un’illusione, un sogno, un’utopia, che mi dava la speranza per riuscire a cavalcare la vita e spronare me stesso. Tuttavia poi mi venne un altro titolo, che mi parve ancora più originale e lo definii “Las Americas”.Questo romanzo è uno dei più avventurosi che abbia scritto fin ora. Parla di questo mio viaggio senza una vera e propria meta, che parte da Roma e finisce a Tenerife, nella Plaja de Las Americas. In qualche modo in un posto chiamato America ci ero arrivato, anche se il nome aveva una con-sonante in più; la s. Esse come selvaggio, quello che in qualche modo ero io nei mie vent’anni.Ergo, buona lettura.

- di Giovanni Favazza -Per informazioni o per acquistare il libro:

[email protected] http://www.mokaweb.it/edizioni.amande/

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Alessandro Pedretta Krestadirettore irresponsabilefacebook.com/alessandro.pedrettakresta facebook.com/Maledettiscrittori

Andreas Finottis guida spiritualefinottis.blogspot.com

Ty Elle

Giovanni Favazzascrittore profano

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Giuseppe Baldassarraservo dell’inconscio

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Mauro Bellicini (Maures)simpatico sociopatico

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Diego Minelli Andrea Doro Dr. CosmoThomas Bires Silvia Valenti Gnigne Train

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Daniele Puddu

I disegni sono di Giacomo Clerici Grotesquer http://grotslair.wordpress.com/

Grafica e impaginazione: Maures

Hanno collaborato