NATURALMENTE · nel frigo l’acqua ghiaccia... sono cose di tutti i giorni, cose ovvie: cosa...

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1 anno 21 • numero 2 • maggio 2008 trimestrale NATURALMENTE Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D. L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 2, DCB PISA - tassa pagata - taxe percue Fatti e trame delle Scienze La scienza insegnata e le banalità dell’ovvio Maria Arcà Metodo scientifico o strategia della ricerca scientifica? Ezio Roletto, Alberto Regis La candela Elio Fabri La costruzione del modello di membrana Luciano Cozzi Verticalizzare? Marcello Sala E’ la lingua, bellezza! Tomaso Di Fraia L’albero di Darwin Tiziano Gorini Gazebo Fabrizia Gianni romammirabile Rosalba Conserva, Laura Scarino Gracido.. striscio.. sibilo.. salto Sara Fornasiero, Marco A. L. Zuffi Il verziere di Melusina Laura Sbrana Recensioni Scuola sempre uguale, sempre peggio Vincenzo Terreni

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Fatti e trame delle Scienze

La scienza insegnata e le banalità dell’ovvioMaria Arcà

Metodo scientifico o strategiadella ricerca scientifica?

Ezio Roletto, Alberto RegisLa candela

Elio FabriLa costruzione del modello di membrana

Luciano CozziVerticalizzare?

Marcello SalaE’ la lingua, bellezza!

Tomaso Di Fraia

L’albero di DarwinTiziano GoriniGazeboFabrizia GianniromammirabileRosalba Conserva, Laura ScarinoGracido.. striscio.. sibilo.. saltoSara Fornasiero, Marco A. L. ZuffiIl verziere di MelusinaLaura SbranaRecensioniScuola sempre uguale, sempre peggioVincenzo Terreni

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NATURALMENTE anno 21 • numero 2 • maggio 2008 trimestrale

Spedizione Poste Italiane SpA - Spedizione in AbbonamentoPostale - D. L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1,comma 2, DCB PISA - tassa pagata - taxe percueSegretario di redazione: Enrico Pappalettere([email protected])Direttore responsabile: Fabrizio FeliciRedazione: via Carducci, 64/c 56017 - S. Giuliano Terme (Pi)Sandra Bocelli, Francesca Civile, Raffaello Corsi, Francesco Cri-santi, Brunella Danesi, Tomaso Di Fraia, Nori Domenichini,Fabio Fantini, Luciano Luciani, Isabella Marini, Catia Pardini,Lucia Stelli, Vincenzo TerreniProprietà: ANISN sezione di PisaImpaginazione: Vincenzo Terreni ([email protected])Amministrazione: Felici Editore srl Via Carducci 64\c Loc. Lafontina - Ghezzano, San Giuliano Terme (Pisa) tel. 050878159 -fax. 0508755588Stampa: Felici EditoreAbbonamenti: Felici Editore srl, ccp n. 16596553; ordinario20,00 •, sostenitore 35,00 •, Scuole, Associazioni, Musei, Entiecc.. 27,00 •,, biennale 36,00 •, estero 40,00 •.Prezzo singolo numero 8,00 •; numeri arretrati 12,00 •; copiesaggio su richiesta previo invio di 5 • in francobolli per rimborsospese postali.Registrato il 25 febbraio 1989 presso il Tribunale di Pisa al n. 6/89Informazioni: 050/818717-571060-544428-878159; fax: 06/233238 204

Un ringraziamento particolare alle case editriciZANICHELLI e BOVOLENTAper l’aiuto alla realizzazione di questo numero.

CollaboratoriMaria Arcà Centro studi Ac. Nucleici CNR RomaMaria Bellucci doc. St. Fil. L. Sc. Copernico PratoClaudia Binelli doc. Sc. Nat. TorinoLuciana Bussotti doc. Sc. Nat. LivornoStefania Consigliere dip. Antropologia Univ. GenovaLuciano Cozzi doc. Sc. Nat. MilanoElio Fabri doc. Astronomia Università di PisaFabrizia Gianni doc. Sc. Nat. Ist. S. Carlo MilanoTiziano Gorini doc. Lettere Ist. Sup. LivornoAlessandra Magistrelli doc. Sc. Nat. RomaFabio Olmi doc. Sc. Nat SSIS FirenzePiegiacomo Pagano ENEA BolognaMarco Piccolino doc. Fisiol. e St. Scienza Università di FerraraPietro Ramellini doc. Sc. Nat. L. Cl. VelletriLaura Sbrana doc. Lettere L. Sc. Dini PisaRoberto Sirtori doc. Fisica ITIS PisaMarco Tongiorgi doc. Stratigrafia Università di PisaMarco A. L. Zuffi Erpetologo responsabile sezione didatticaMuseo di Storia naturale e del Territorio dell’Università di Pisa

Hanno collaborato a questo numero3. La scienza insegnata e le banalità dell’ovvioMaria Arcà8. Metodo scientifico o strategia della ricercascientifica?Ezio Roletto, Alberto Regis Gruppo I.Ri.Di.S.(Innovazione e Ricerca per la Didattica delle Scienze),Università di Torino15. La candelaElio Fabri19. La costruzione del modello di membranaLuciano Cozzi28. Verticalizzare? Linguaggio della scienza elinguaggio della scuola alla prova della realtàMarcello Sala biologo e formatore, Milano32. E’ la lingua, bellezza! Riflessioni di unutente, tra insoddisfazione e realismoTomaso Di Fraia34. L’albero di DarwinTiziano Gorini38. Gazebo Neurobiologia vegetale: fantascienza?(parte quinta)Fabrizia Gianni44. romammirabile L’obelisco dell’insonnia(tredicesima puntata)Rosalba Conserva doc. lettere RomaLaura Scarino ric. INRAN Roma49. Gracido.. striscio.. sibilo.. salto La comunicazio-nechimica nei serpentiSara Fornasiero, Marco A. L. Zuffi Museo di StoriaNat. Università di Pisa, Calci52. Il verziere di Melusina La quercia: il querceto(parte quarta)Laura Sbrana57. RecensioniClaudia Binelli, Luciano Luciani, Francesca Civile,Vincenzo Terreni, Marco La Rosa, Maurizio Boriani64. Scuola sempre uguale, sempre peggioVincenzo Terreni

Errata CorrigeNel fascicolo 1/2008, a pag. 24 in luogo di “Guido”deve leggersi Giulio Racah e a pag. 26 in luogo di “ID.”, develeggersi Ead.La pagina 10 deve iniziare con “Si può ragionevomenteaffermare che con l’introduzione di ISS in pochi anni potre-mo recuperare un secolo di ritardo passando dall’Ottocentoal Novecento, ma siamo sempre un secolo indietro!”Le pagine 30, 31 e 32 sono state scambiate di posto.

Degli articoli firmati sono responsabili gli Autori

Fonti delle illustrazioniS. Hildebrandt, A. Tromba Principi di minimo. Formeottimali in natura Edizioni della Normale, 2006, Pisa

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La scienza insegnata e le banalitàdell’ovvio

MARIA ARCÀ

Stimolata dall’hopefull pessimism del Prof. Fabbri, vorreiesporre alcune personali considerazioni sulle difficoltàe sugli intenti del “fare scienze” a scuola.I vincoli che condizionano l’insegnamento delle variediscipline scientifiche sono solitamente esposti e com-mentati in ogni occasione di incontro o di formazione,e fanno parte dell’abituale repertorio di lamentazionida parte degli insegnanti: mancanza di laboratori, man-canza di tempi, mancanza di conoscenze adeguate, ecosì via. Ma, sempre in risposta al Prof. Fabbri, vorreinotare che praticamente nessun insegnante di scuolaelementare o media lamenta la mancanza di argomentida trattare, sia con lezioni sia con attività da laboratorio.Anzi: sia le guide annuali messe in vendita dalle caseeditrici specializzate sia le “quindicine” -cioè le pagineche sulle varie riviste, di settimana in settimana, pro-pongono rapidi percorsi “a prova di insegnante” (disolito per le scuole elementari)- costituiscono unrepertorio tradizionale di argomenti a cui la didattica faabitualmente riferimento. Per giunta, nella descrizionedi quello che l’insegnante deve dire e fare, sono benmessi in evidenza gli obiettivi che si raggiungono conogni proposta (a volte anche solo pronunciando unasingola, ben precisa, frase), e spesso vengono indicatepersino le risposte da mettere in bocca ai bambini inmodo che “venga naturale” appoggiarsi su quelle persviluppare le consuete argomentazioni. Talvolta, inuna stringatissima sintesi o in elenchi puntati, si trova-no i riferimenti concettuali necessari per una interpre-tazione scientifica dell’esperienza suggerita.Così credo che non esista scuola dell’infanzia italiana incui un cartellone non documenti “Oggi la maestra hamesso sul termosifone -o sul fornello- un pentolino condel ghiaccio ... e noi abbiamo capito...” E via con ipassaggi di stato, con le bottiglie piene d’acqua che sirompono nei freezer e, nei casi migliori, con i fazzolettiche si asciugano. (Anche il lavoro sugli oggetti coloraticon successiva classificazione e osservazione dei colorinelle stagioni fa parte di una routine abbastanza diffusa...)Le difficoltà, a mio parere, non stanno nella mancanzadi proposte ma nel non riuscire a far entrare le nozioni nelsistema di ragionamento dei ragazzi, nel non riuscire acollegarle e a trovarvi un signficato, o, almeno, unaqualche utilità per la vita abituale. Del resto, sempre nelpeggiore dei casi, l’insegnante non partecipa al signifi-cato concettuale (non solo metodologico) implicitonelle sue stesse proposte, e spesso non ha neppure letto

“le paginette” che i suoi allievi dovrebbero studiare. Aparte l’interesse per un non sempre consentito pastic-ciamento, perché un bambino di quattro o cinque annidovrebbe incuriosirsi vedendo (a scuola!) che il ghiac-cio fonde (no, non si scioglie: fonde)? E se per caso siincuriosisse, come potrebbe spiegarselo? Una quantitàdelle cosiddette esperienze da laboratorio, secondome, sviluppano un bel tipo di pensiero tautologico, unragionamento constatativo: il ghiaccio diventa acqua,nel frigo l’acqua ghiaccia... sono cose di tutti i giorni,cose ovvie: cosa c’è da capire?E allora il mestiere dell’insegnante dovrebbe esserenon solo quello di sviluppare modi di ragionare met-tendo i bambini davanti a fatti del mondo fisico,chimico, biologico o altro, ma soprattutto di far usciregli stessi fatti dalla imprigionante rete dell’ovvio. Ilmetodo scientifico non consiste nel “verificare” quelloche tutti possono vedere ma nel saper ideare, davanti aifatti, sistemi di spiegazione plausibili anche se nonimmediatamente giusti.Così fa pena vedere che a scuola dell’infanzia (maanche in quella primaria e secondaria di vario grado) sifanno astuti esperimenti di deprivazione sensorialedifferenziata per concludere che l’occhio serve pervedere o che l’orecchio serve per sentire (cosa che ibambini già sanno benissimo) ribadendo una consta-tazione ovvia, modellata a misura degli adulti, ed esclu-dendo qualunque possibile problematicità. Talvolta,nella brama di raggiungere il famoso obiettivo, gliinsegnanti neppure ascoltano osservazioni che nasco-no da altre esperienze o da altre logiche (perché pre-mendo forte forte sugli occhi si vedono bellissimicolori?) e, se le ascoltassero dai bambini, non sempresaprebbero come avviare su queste delle discussioninon banali. (...)

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Metodo scientifico o strategia dellaricerca scientifica?

EZIO ROLETTO, ALBERTO REGIS

ItroduzioneQuasi tutti i libri di testo di scienze sperimentali dellascuola secondaria di primo e secondo grado si preoc-cupano di spiegare come vengono prodotte le leggi e leteorie scientifiche. In genere, si sostiene che i ricerca-tori applicano, oggi come in passato, un metodo che

RIQUADRO 1 - IL METODO SPERIMENTALE

Lo studio scientifico di un fenomeno deve essere effettuato secondo un determinato “metodo di lavoro”,detto metodo sperimentale. Se tu volessi compiere una ricerca seguendo il metodo sperimentale, dovresti,così come farebbe ogni scienziato:1. osservare un fenomeno che ti interessa, studiare e stabilire su quale aspetto vuoi indagare, possibilmenteraccogliendo informazioni al riguardo;2. formulare un’ipotesi, cioè avanzare una possibile spiegazione del fenomeno;3. eseguire un esperimento (o più esperimenti) per verificare se l’ipotesi è valida; durante l’esperimento sieffettuano misure e si raccolgono i dati ottenuti.4. trarre le conclusioni, se l’esperimento dimostra che l’ipotesi è fondata; le conclusioni, se confermate daripetuti esperimenti, possono anche essere enunciate come una legge, che permette di prevedere come sisvolge il fenomeno, una volta stabilite certe condizioni.

RIQUADRO 2 - IL METODO SCIENTIFICO: OSSERVAZIONI, LEGGI, TEORIE

La chimica moderna è scienza e, in quanto tale, si è sviluppata mediante l’uso del metodo scientifico. In altritermini, per mezzo dell’osservazione attenta e rigorosa dei fenomeni naturali, la raccolta e la catalogazione deidati relativi alle osservazioni, la progettazione e la successiva realizzazione pratica di esperimenti, il lavorodi interpretazione dei risultati ottenuti attraverso tutte queste vie.L’insieme di molte osservazioni può portare ad una legge, cioè ad enunciato che generalizza le osservazionied è in grado di prevedere il comportamento di un determinato sistema senza essere in grado, però, dispiegarne il perché.La ricerca del perché di un certo fenomeno o di una serie di osservazioni porta alla formulazione di ipotesi,di tentativi, cioè, di interpretazione dei fenomeni e delle osservazioni. Una ipotesi poi, una volta formulata,viene sottoposta al fuoco incrociato di molte verifiche, di altri esperimenti che possono portare a doverscartare l’ipotesi stessa oppure a consolidarla avendo constatato che continua a essere in grado di spiegarei risultati delle verifiche stesse. In quest’ultimo caso l’ipotesi si trasforma in teoria. Le teorie non sononecessariamente eterne. Può accadere un giorno che un esperimento o una osservazione mai realizzati primarisultino in disaccordo con una teoria consolidata: in questo caso la teoria deve essere inevitabilmenteabbandonata o rivista in modo da spiegare tutte le osservazioni compiute.

(...)

viene qualificato come scientifico, sperimentale oppuregalileiano. Come esempio, nei riquadri che seguonosono riportati tre estratti da libri di testo di scienze dellascuola secondaria di primo grado (estratto 1) e disecondo grado (estratti 2 e 3), preceduti dai titoli che liaccompagnano.

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La candelaPiuttosco che maledire il buioè meglio accendere una candelaLao Tzu

ELIO FABRI

Ricordate Darwin? Voglio dire: ricordate la discussio-ne, tempo fa, sui nuovi programmi della scuola elemen-tare e media, che avevano ignorato Darwin? Era mini-stro dell’istruzione (non più pubblica) Letizia Moratti,estensore dei programmi fu Giuseppe Bertagna... Cifurono proteste, poi la nomina della Commissione deiNobel... Tutto questo accadeva quattro anni fa; nelfrattempo abbiamo avuto un nuovo governo, quindiun nuovo ministro dell’istruzione (Giuseppe Fioroni,col quale l’istruzione è tornata pubblica), e delle nuove“Indicazioni nazionali” (non si dice più programmi, inossequio all’autonomia) redatte da un diverso profes-sore di pedagogia, di cui ignoro il nome.Una parentesi: sebbene le “indicazioni” non sianoprogrammi, si scopre però, leggendo l’“atto d’indiriz-zo” emanato dal Ministro il 28-6-2007, che:Le finalità del processo formativo, le competenze da sviluppare, gliobiettivi di apprendimento da garantire sono definiti con chiarezzanelle indicazioni nazionali che hanno piena forza prescrittiva, il cheimplica che le autonome scelte curricolari delle istituzioni scolastichedevono essere coerenti con tali prioritari riferimenti.Non so se a qualcuno di voi sia venuto in mente dileggerle, per vedere quanto Darwin ci sia; io l’ho fatto,ed ecco che cosa ho trovato. Intendiamoci, anche se hoscaricato tutto il corposo file, non ho avuto il tempo (oil coraggio) di leggerlo per intero: mi sono limitato aicapitoli intitolati “I discorsi e le parole” (pagg. 36-37),“La conoscenza del mondo” (pagg. 37-39), “Areamatematico-scientifico-tecnologica” (pagg. 91-92),“Scienze naturali e sperimentali” (pagg. 100-106), “Tec-nologia” (pagg. 107-111).Lo so, nel momento in cui scrivo mancano pochi giornialle elezioni, e quando voi mi leggerete sarà presumibil-mente già in carica un nuovo governo, quindi un nuovoministro: chissà se di un’istruzione ancora pubblica,oppure priva di questa qualificazione. Oso però spera-re che il nuovo ministro non avrà ancora fatto in tempoa metter mano a ulteriori novità in materia di program-mi; e penso comunque che quanto sto per dire siapiuttosto indipendente dalla maggioranza politica chereggerà l’Italia nel prossimo futuro.

* * *

Vi ho allungato il brodo per creare un po’ di suspense,perché la risposta alla domanda di partenza (quanto

Darwin c’è nelle nuove “indicazioni nazionali”?) èdavvero semplice: niente.L’articolazione dei capitoli di cui sto parlando è laseguente:- considerazioni metodologiche e pedagogiche di ca-rattere generale (qui trovano posto anche quelle che piùsopra erano indicate come “finalità del processo for-mativo”;- traguardi per lo sviluppo delle competenze al terminedella scuola primaria;- obiettivi di apprendimento al termine della classeterza della scuola primaria;- obiettivi di apprendimento al termine della classequinta della scuola primaria;- traguardi per lo sviluppo delle competenze al terminedella scuola secondaria di primo grado;- obiettivi di apprendimento al termine della classeterza della scuola secondaria di primo grado.Sulle considerazioni introduttive non vorrei dire mol-to, perché sono assai generiche, sebbene in genereabbastanza condivisibili. Per es. si ribadisce l’impor-tanza del laboratorio, naturalmente senza tenere ilminimo conto delle condizioni al contorno, prima ditutte l’orario. Da buon pedagogista l’autore non puòfare a meno di qualche “parola magica”: forse ricordatel’“ologramma” di Bertagna? Ora invece la parolina è“metacognitivo”, che con qualche sforzo credo di averdecifrato come segue: si chiede che i bambini non soloacquisiscano conoscenze e capacità, ma riflettano an-che sul modo come sono arrivati a conquistarle.Cerco ora di spiegare la differenza fra traguardi eobiettivi. I traguardi sono una specie di “ideale massi-mo cui si può aspirare”. Faccio un esempio: fra itraguardi per le Scienze naturali e sperimentali alla finedella s.s. di primo grado si legge:- L’alunno ha padronanza di tecniche di sperimentazione, diraccolta e di analisi dati, sia in situazioni di osservazione emonitoraggio sia in situazioni controllate di laboratorio.- (...)

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La costruzione del modello dimembrana

LUCIANO COZZI

In questo articolo ci occuperemo delle ricerche chehanno condotto a elaborare il moderno modello dimembrana cellulare, confrontando tra loro i modelliche si sono succeduti nel corso di oltre un secolo diricerche e cercando di evidenziarne il fondamentoempirico e i limiti.

Limiti e pregi di un buon modelloVorrei cominciare questa rassegna storica con unalunga ma doverosa citazione, tratta dall’articolo in cuiSinger e Nicolson, nel 1972, proposero in forma com-pleta il loro modello di membrana a mosaico fluido.(...) L’esperienza ci ha insegnato che, al fine di acquisire unacomprensione soddisfacente di come funzioni un sistema biologico,bisogna conoscere in modo dettagliato la composizione molecolaree la struttura di quel sistema. Sebbene noi siamo assai lontani dauna conoscenza di questo tipo a proposito della membrana, negliultimi anni i progressi sia in campo teorico sia in camposperimentale ci hanno condotto a un punto in cui siamo in gradodi comprendere gli aspetti più grossolani dell’organizzazione delleproteine e dei lipidi di membrana. Alcuni ricercatori, tuttavia,colpiti dalla grande diversità della composizione e delle funzionidelle membrane, non ritengono che sia possibile alcuna utilegeneralizzazione a proposito della struttura grossolana dellemembrane cellulari.Noi non condividiamo questa visione (...) Si possono operaregeneralizzazioni corrette a proposito dei modi in cui le proteinee i lipidi sono organizzati in una membrana intatta. La provafinale di queste generalizzazioni, o modelli, sta nel fatto che esserisultino utili nello spiegare vecchi esperimenti e nel suggerirne dinuovi. (Singer e Nicolson, 1972)La costruzione di un modello soddisfacente per lamembrana cellulare ha richiesto oltre un secolo diricerche e ha offerto un caso esemplare dell’approcciopredicato da Singer e Nicolson: dati sperimentali, gene-ralizzazioni provvisorie, ulteriori ricerche e affinamen-to dei modelli.Quando parliamo di questi argomentiagli studenti, non è raro sentirci chiedere quale tra imodelli presentati sia quello giusto. Quello che do-vremmo riuscire a fare comprendere è che la rispostadovrebbe essere: tutti e nessuno. Si tratta di un para-dosso solo apparente, nel quale è celato il succo dellaconoscenza scientifica.

Le prime ricerche, tra ’800 e ’900Le membrane occupano attualmente uno spazio bendefinito nei testi di biologia. Spesso un capitolo interoè dedicato alla loro trattazione e la loro importanza non

è sovrastimata, dato che l’organizzazione di qualsiasisistema vivente è legata alla indispensabile presenza diuna membrana citoplasmatica, senza la quale è impos-sibile parlare di organizzazione cellulare.Lo studio delle membrane trova le sue origini nellachimica, in particolare nello studio delle emulsioni dioli in acqua. La diversità di comportamento tra l’acquae i liquidi oleosi era nota fin dall’antichità e se ne trovauna descrizione in autori classici, quali Plinio il Vecchioe Plutarco, ma il primo risultato scientifico riguardo aquesto aspetto fu ottenuto da John William Strutt,barone di Rayleigh, il quale, tra il 1889 e il 1890, misuròl’area di dispersione di una quantità nota di olio sullasuperficie dell’acqua, riuscendo a calcolare in questomodo lo spessore dello stato così formato.Nel 1891, Rayleigh aiutò la ricercatrice tedesca dilettan-te Agnes Pockels a pubblicare su Nature i risultati dellesue ricerche sulla tensione superficiale e su come essafosse modificata dalla presenza di impurità. Nel corsodelle sue ricerche, la Pockels elaborò un’ingegnosaapparecchiatura per allestire e studiare pellicole oleose.Tale apparecchiatura sarà successivamente perfeziona-ta da Irving Langmuir e Katharine Blodgett, comevedremo più avanti nel corso della nostra trattazione.Pochi anni prima, tra gli anni ’50 e ’70 del XIX secolo,diversi autori avevano cominciato a interessarsi allesingolari proprietà delle cellule in termini di permeabili-tà. Tra questi ricercatori, ricordiamo il botanico svizzeroKarl W. Nägeli, famoso soprattutto per avere scoraggia-to Mendel dal proseguire le sue ricerche, e il botanicoolandese Hugo de Vries, famoso soprattutto per averecontribuito alla riscoperta dell’opera di Mendel.

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Verticalizzare?Linguaggio della scienza e linguaggio della scuola alla provadella realtà

MARCELLO SALA

Vorrei tornare sui problemi posti dall’articolo di MarcoTesta “Meridiani verticali” e lo faccio a partire non daun’aula scolastica o da un laboratorio didattico, madallo sport nazionale. Tenendo conto che in stragrandemaggioranza chi insegna appartiene al genere femmini-le, che ha meno dimestichezza con i campi di calcio, mimetterò nei panni di chi non sa già, quindi non darònulla per scontato.

Calciatori e muratoriLo sport del calcio si gioca su un campo (approssima-bile a un piano) orizzontale. Per definizione di orizzon-tale esso non può contenere linee verticali.Osservando il gioco del calcio, gli unici elementi verti-cali che è dato di cogliere sono i pali delle porte, lebandierine ai vertici del rettangolo di gioco e, appros-simativamente, l’asse principale del corpo dei giocatori,quando non sono in azione. Le traiettorie impresse alpallone sono paraboliche, ma solo nei casi banali,ltell’un animatore risporata sul portale ULISSE della esolo in casi abbastanza eccezionali possono avvicinarsialla verticale; in questi casi nell’oralità che accompagnail gioco del calcio vengono tradizionalmente definite “acampanile”, forse per nostalgia del passato, quando sigiocava a pallone sul campetto dell’oratorio.Nel gioco del calcio ognuna delle due squadre ha comescopo mandare il pallone nella rete della squadra avver-saria (le reti sono poste al centro dei lati corti delrettangolo di gioco) e ciò definisce un orientamentobase per ogni squadra: quello che va dalla propria portaverso quella avversaria. Per la convenzione fondamen-tale del gioco avanti è il vettore parallelo all’asse maggio-re del campo diretto verso la porta avversaria. I lanci inavanti sono evidentemente quelli che mandano il pallo-ne in questa direzione, che potremmo designare “lon-gitudinale”, e in questo verso.A ribadire questa convenzione, i lanci del pallone chehanno direzione trasversale, ovvero parallela al latocorto del campo, si usa definirli “laterali”, termineattribuito anche ai giocatori che si muovono in preva-lenza nella zona prossima al lato lungo del rettangolo(“fascia laterale”).Stando così le cose, rimango stupito quando in unatelecronaca sento il termine “verticalizzare”; prestoattenzione e mi accorgo che viene correntemente usatoper movimenti dei giocatori o del pallone effettuati inavanti verso la porta avversaria. Quanto detto esclude la

possibilità che l’espressione “in verticale” intervengaper “supplenza”, in assenza di un’altra più semplice diuso comune; anzi si comprende facilmente che “inavanti” avrebbe molte ragioni per essere considerata lapiù semplice.Questo uso linguistico è testimoniato anche dalla suapresenza nei dizionari che più sono sensibili alla linguacome fatto sociale, come linguaggio parlato:verticalizzare “... sport, nel calcio, sviluppare l’azione diattacco lungo l’asse verticale del campo, dando profon-dità al gioco”.Come inevitabilmente capita nella consultazione deidizionari la definizione di un termine rimanda ad altrie il gioco continua fino a che chi li consulta trova nelledefinizioni solo termini noti, oppure rinuncia dispera-to di fronte alla amplificazione esponenziale dei termi-ni ignoti.Per fissare il significato di “verticalizzare” allora cercola voce contenuta nella sua definizione:profondità: “condizione, carattere di ciò che è profondo/ distanza, misurata in senso verticale, tra il fondo di uncorpo cavo e la sua estremità superiore”.Per fissare il significato di “profondità” allora cerco lavoce:verticale “geom., di retta o piano, perpendicolare a un pianoorizzontale - estens., che si sviluppa o ha una disposizioneperpendicolare rispetto al piano dell’orizzonte o rispettoal terreno o ad altri punti di riferimento”.

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E’ la lingua, bellezza!Riflessioni di un utente, tra insoddisfazione e realismo

TOMASO DI FRAIA

Come è (o dovrebbe essere) noto, la lingua obbedisce acriteri di economicità, efficacia, chiarezza, ecc; il sistemasi regge, funziona e si perpetua solo se ha una sua propriarazionalità, complessiva e delle singole parti. Così ladisambiguazione (esempio di parola brutta, ma linguisti-camente efficace) in alcuni casi è affidata al contesto; adesempio, i parlanti non toscani che non conosconol’opposizione tra vocale aperta e vocale chiusa (per cuiè possibile distinguere, nel parlato, la ròsa, fiore, da rósa,participio passato del verbo rodere ecc.) se la cavano lostesso: difficilmente infatti la parola pronunciata péscapotrà creare problemi di comprensione per chi compradella frutta (pèsca); un’espressione come “la pesca ècattiva” potrà essere usata fra pescatori e avrà un certosenso, o fra mangiatori di frutta e ne avrà un altro. Se poi,come fiscalissimi avvocati del diavolo, immaginassimodei pescatori che in barca mangiano delle pesche, lasituazione si potrebbe fare ambigua, ma in realtà soloin astratto, giacché probabilmente nessuno direbbe “lapesca”, per riferirsi alla frutta, bensì “questa pesca” o“le pesche”, e così eviterebbe l’ambiguità. Insomma,nel parlato è facile superare problemi di questo tipo,tanto più se si considerano anche tutte le possibilitàmimiche e deittiche. Comunque, che sia possibile,grazie al contesto, evitare tale tipo di confusione èdimostrato dal fatto che nell’italiano scritto non siusano gli accenti per distinguere il diverso suono dellavocale e (come invece avviene in francese) e della vocaleo. Se si affermasse la tendenza a non distinguere, inbase al suono aperto o chiuso di queste due vocali, leparole scritte nello stesso modo (omografe) ma inorigine pronunciate diversamente (allofone) soprattut-to in Toscana, si potrebbe anche arrivare a perdere unodei due suoni distintivi (fonemi), ormai inutile per ilsistema; e sarebbe un caso di trasformazione nellafonologia di una lingua. Che la lingua si trasformi, anzi,che sia condannata a trasformarsi, è un dato chepossiamo facilmente verificare su tempi medio-lun-ghi, ma spesso anche in diretta, per dir così. Ogginessuno si sognerebbe di usare la voce melancolia(letteralmente: “nera-bile” e quindi “umor nero”),che i parlanti nel corso del tempo hanno modificatonella prima parte (mela-), forse percepita come inade-guata o addirittura controproducente rispetto al si-gnificato complessivo, introducendo un concetto fortee chiaro: mal(e), con ulteriori aggiustamenti fonetici.Ma anche guardando all’oggi si possono coglieremolti interessanti processi di trasformazione. L’espres-sione, sintatticamente insostenibile e spesso molto

ambigua, “Basta ... (più infinito)” col significato “Sismetta di” è in circolazione da poco tempo (così, adocchio, direi non più di due o tre anni). Si è forseutilizzato il valore di Basta! (imperativo), facendo segui-re immediatamente la cosa di cui si vuole la fine;difficile dire quale peso abbia avuto la brevità comuni-cativa (titoli giornalistici, sms) o l’influenza di espres-sioni anglosassoni (stop...). Ad esempio, l’espressione:Basta fare affari con l’Iran Dagli USA nuove sanzioni (titologiornalistico) non è immediatamente e chiaramentecomprensibile. E’ ancora accettabile, invece, il “Basta”seguito da un sostantivo, specie se in un titolo giorna-listico, (ad es. Basta giustizia show! Invito al riserbo per igiudici. altro titolo) anche se sarebbe di gran lungapreferibile la vecchia forma Basta con....Un caso di trasformazione che finisce per perdere larazionalità dell’espressione originaria è Non si può fare ditutta un’erba un fascio, anziché Non si può fare di tutte l’erbeun fascio: infatti non si capisce perché non si possa fareun fascio di un’erba, cioè di un unico tipo di erba, mentreè ben chiaro che non conviene fare un unico fascio divari tipi di erba con caratteristiche organolettiche ebiochimiche differenti. In questo caso il parlante èindotto ad usare un’espressione oggettivamente privadi senso, senso che forse si potrebbe ancora salvare, sesi usasse, nella prima espressione citata, la forma l’erbacon valore collettivo.

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L’albero di DarwinTIZIANO GORINI

Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove scienze fu pubblicatonel 1638 ma Galilei cominciò le sue ricerche, quelle sulpendolo, a circa 18 anni; dunque il libro riporta inmodo ordinato e logico i risultati di una attività scien-tifica maturata in oltre mezzo secolo, sicuramente inmodo ben diverso da come furono poi esposti (adesempio scompare l’uso errato delle regole di Mertonper determinare la legge S = 1/2 at, errore a cui loscienziato pisano poi rimediò). Questo è uno dei tanticasi che si possono addurre per provare che la dimo-strazione della scoperta scientifica implica un po’ para-dossalmente che si celi come essa sia avvenuta in realtà.Quasi sempre infatti i razionali ed esatti risultati conse-guiti dall’indagine scientifica nascondono, dietro accu-rati esperimenti e logiche argomentazioni, processiconoscitivi complessi e tortuosi, talvolta perfino con-fusi. Perciò fu opportuna la distinzione di Dewey tra lascienza intesa come insieme sistematico di conoscenzesul mondo fisico e la scienza intesa come forma mentis,spazio intellettualmente e culturalmente determinatodella scientificità; una distinzione che fu ripresa edelaborata dai neopositivisti, che individuarono dueambiti diversi dell’attività scientifica: il contesto dellascoperta e il contesto della giustificazione. Per essi solo ilsecondo era rilevante, perché mostra il “prodottofinito” (in termini lakatosiani: la ricostruzione raziona-le della teoria), mentre il primo viene dimenticato unavolta esaurita la propria funzione propedeutica, suben-do quindi una sorta di rimozione scientifica. Benchésembri -oggi che il neopositivismo ha mostrato i suoilimiti- una versione epistemologica della fiabe del ro-spo che si trasforma in principe la distinzione è ancorautile, ma per il motivo opposto a quello per cui fuproposta, ovvero perché consente di individuare eportare alla luce ciò che nella scoperta e nella elabora-zione di una teoria non appartiene alla trasparenza delmetodo scientifico. Il ribaltamento della prospettiva èdipeso dal convincimento che in realtà non ci sia unmetodo scientifico e una sua presunta trasparenzaprovocata dal lume della ragione, bensì che nello spaziodella creatività scientifica una molteplicità di fattori traloro interagiscano in intricate combinatorie: fattorioggettivi e soggettivi, logici ed extralogici, cognitivi eculturali. In esso si mescolano l’osservazione e l’intui-zione con la necessità della deduzione, il giudizioestetico col pregiudizio metafisico e perfino -è accadu-to- la fantasticheria e il sogno. E’ un groviglio di cuineanche lo scienziato stesso è consapevole, anzi soven-te ne è talmente ignaro che s’immagina d’aver seguitoaltri percorsi, aperti e rettilinei, per giungere alle sue

scoperte, piuttosto che quel labirinto da cui è appenasortito.Uno di questi ignari scienziati fu Charles Darwin.Darwin asseriva d’aver elaborato la propria teoriadell’evoluzione in modo “baconiano”, cioè secondo ilmetodo induttivo, partendo dai fatti. Certamente nonmentiva, eppure s’ingannava, anche lui irretito dall’ide-ale scientifico positivista, nella sua epoca dominante.Intanto perché il “fatto” nella scienza non esiste,essendo piuttosto il “risultato” di un paradigma cogni-tivo e culturale. Inoltre perché lui stesso, in Origine dellaspecie, si smentisce nella propria positivistica dichiara-zione metodologica mettendo in atto strategie retori-che invece che logiche ed un evidente eclettismo teo-retico (1). Infine è smentito dai suoi appunti, cheproprio per queste sono interessanti: ci mostrano loscienziato privo della maschera del neutro osservatoree del lucido ragionatore.Al termine del suo quinquennale viaggio a bordo delBeagle, che gli consentì di raccogliere una grande quan-tità di osservazioni naturalistiche e di meditare ideeinnovative, Darwin elaborò i rudimenti della teoriadell’evoluzione in pochi mesi di intenso lavorio intel-lettuale, del quale si è custodita la testimonianza inalcuni taccuini di appunti redatti tra il 1837 e il 1838 (2).Essi sono una sorta di palinsesto che reca nascosto insé il ricordo di un’origine, dove è possibile leggere lapreistoria teoretica di L’origine della specie, pubblicatovent’anni dopo. In quei preziosi taccuini è serbata unariflessione nient’affatto lineare, traversata da muta-menti di prospettiva e di stati d’animo e, perfino, di stilelinguistico; una riflessione in cui si mescolano l’enun-ciazione teorica e l’emozione estetica, l’indagine co-smologica e il piacere creativo della simbolizzazione, inun eccezionale momento magmatico che manifestal’ancora informale disporsi della teoria in attesa dellaposteriore razionalizzazione.

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GazeboNeurobiologia vegetale: fantascienza? (parte quinta)

FABRIZIA GIANNI

IntroduzioneL’argomento da me intrapreso sui movimenti dellepiante ha toccato le due categorie naturali di movimentiproposte dai fisiologi vegetali: i movimenti nastici e itropismi (1).Dallo studio di questi movimenti emerge che gli orga-nismi vegetali rispondono in modo veloce e perfetta-mente adattato a numerosi stimoli del mondo che licirconda come nel caso delle piante insettivore o dellepiante rampicanti.A conclusione del discorso trovo interessante presen-tare alcune interpretazioni e chiavi di lettura che sonoproposte oggi riguardo al fenomeno dell’irritabilitàmanifestata dalle piante. Questo tema, a prima vista,sarebbe più pertinente in un testo di fantascienza nelquale le protagoniste, piante antropomorfizzate, sono ingrado di rispondere agli stimoli, di registrare le situazio-ni ambientali, di scegliere la soluzione più adatta e dimemorizzarla per riutilizzarla in situazioni analogheche si presentassero in futuro.Tutti questi fenomeni implicano la presenza di unsistema di conduzione degli stimoli e di un centro chememorizzi, coordini e selezioni il tipo di risposta ma,fino ad oggi, non si conosce nelle piante un sistemanervoso analogo a quello animale.Nonostante questo imprescindibile dato di fatto, ungruppo di ricerca italiano, partendo da alcune esperien-ze di Charles Darwin del 1880, porta avanti con altricentri di ricerca internazionali studi che dimostrinocome il fenomeno della irritabilità dei vegetali sia fonda-to su una forma di intelligenza localizzata in cellulealtamente specializzate poste nell’apice della radice.Devo fare un passo indietro e partire dal 2005 annonelquale, dal 17 al 20 maggio, si è tenuto a Firenze ilprimo congresso internazionale di Neurobiologia vegetale.La nuova disciplina, che si occupa di comunicazione ecomportamento delle piante, è stata promossa da ungruppo di ricercatori del Polo Scientifico dell’Univer-sità di Firenze, dipartimento di ortoflorofrutticoltura,sotto la guida del prof. Stefano Mancuso in collabora-zione con il team del Prof. Frantisek Baluska dell’isti-tuto di botanica molecolare e cellulare dell’Universitàdi Bonn.Gli studiosi della nuova disciplina hanno dato vita allaSociety for plant neurobiology, ad una nuova rivista Plantsignaling & behavior (comunicazione e comportamentodelle piante), inoltre proprio a Firenze è nato il primoLaboratorio internazionale di Neurobiologia vegetale(Linv). A questo primo congresso ne sono seguiti altri:

il secondo a Pechino nel maggio 2006, il terzo inSlovakia nel maggio del 2007 e il quarto si terrà que-st’anno, il prossimo giugno, a Fukuoka in Giappone. Ilfatto che studiosi di tutto il mondo s’incontrino etrattino problemi inerenti la neurobiologia vegetale,induce ad una riflessione e apre porte fino a questomomento considerate chiuse.In realtà la comunicazione fra piante o fra piante ed altriorganismi è stata studiata da almeno cento anni e nelmondo ci sono centinaia di ottimi laboratori che lavo-rano in questo campo.Secondo il Prof. Stefano Mancuso (...) la dizione diintelligenza applicata alle piante è più una questionefilosofica che scientifica. Sempre secondo Mancuso qual-siasi essere vivente superiore possiede una qualche formadi intelligenza che lo aiuti a superare i problemi legati allasopravvivenza. La vera scoperta dei ricercatori del Linvè legata all’individuazione di una regione dell’apiceradicale, chiamata zona di transizione, che sembrapossedere tutti i requisiti per essere considerata unazona simil-neurale, definibile come una speciale zonasensoria e di calcolo.Il punto di partenza per gli studi di Neurobiologiavegetale ha inizio con gli esperimenti eseguiti da Char-les Darwin, assistito dal figlio Francesco, nel lontano1880. Il tipo di esperienze e le conclusioni a cui sonoarrivati i due studiosi sono riportate nel libro The powerof movement in plants considerato ancora oggi un testofondamentale per lo studio della fisiologia vegetale (2).Per questo motivo trovo opportuno trattare l’argo-mento iniziando dalle esperienze e dai risultati a cuisono giunti i Darwin, padre e figlio.

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romammirabileL’obelisco dell’insonnia (tredicesima puntata)

ROSALBA CONSERVA, LAURA SCARINO

Porgerete ascolto al crescere delle erbe(Puskin)

Sono Pazzi Questi Romani(Obelix, o forse Asterix?)

C’è chi per addormentarsi conta le pecore, con o senzastaccionata. Chi, nel cuore della notte, cerca di risolvereequazioni differenziali per riprendere sonno. Altri in-vece si scervellano per mettere ordine nella sequenzadegli amori passati e perduti o fanno piani dettagliatiper le vacanze dei prossimi dieci anni, aggiustandodestinazioni e compagnia a seconda della tenacia delrisveglio notturno.Laura contava gli obelischi di Roma. Diciamo “conta-va” perché, da quando gliene hanno tolto uno, Lauranon ci si raccapezza più e per lei quello è diventatol’obelisco dell’insonnia. E nel tentativo di dare unaregolata al suo sconvolto ritmo circadiano partiremo,per questa nuova puntata di romammirabile, da dovequell’obelisco c’era, una volta e or non c’è più.Dunque, con le spalle al Circo Massimo e la facciarivolta verso la passeggiata archeologica, a 5,36 metridell’aiuola extraterritoriale della FAO e a 12,2 metri dalpalo del semaforo che regola il traffico su viale Aven-tino, immaginatevi che effetto potrebbe fare avere sullatesta un monolite in ocra axunita alto 24 metri. Fino apochi anni fa, infatti, proprio lì c’era la stele di Axum,unico degli obelischi di Roma a sezione rettangolareinvece che quadrata e unico etiope in mezzo a tantiegiziani, venuto a Roma come bottino di guerra -comedel resto quasi tutti gli altri- ma un po’ dopo, diciamocirca 2000 anni più tardi (nel 1937 per l’esattezza,durante la campagna di Eritrea ed Etiopia).Dato il più breve lasso di tempo intercorso tra larimozione forzata e la riflessione collettiva sulla giu-stezza di tale non autorizzato e coloniale trasporto, lastele ha ripreso la strada di casa ed è stata restituitaall’Etiopia nell’anno domini MMIII. Questo ci permet-terà, nel dare inizio alla nostra passeggiata, di muoverciagevolmente, visto che il volume occupato per più disessanta anni da una incomprimibile massa di pietra èoggi riempito più lievemente dall’aria, che dà comodospazio alla circolazione del vento, degli uccelli, dei canie delle persone, ognuno all’altezza che più gli si confà,da zero a ventiquattro metri verticali.Evitando quindi con cura il ricordo dell’obelisco scom-parso, noterete alla vostra destra, sul bordo dell’aiuola

antistante l’ingresso della FAO, l’edicola della Madon-na del Divino Amore, con roselline, ciclamini e prati-cello fiorito (1). E dopo esservi voltati indietro e averammirato l’infilata del Circo Massimo -una vera fine-stra storica sulla distesa erbosa, sulle cupole, sulle torri,sulle terrazze romane-, seguite ora la pista ciclabilesenza rilassarvi troppo: anche i ciclisti, qui a Roma,possono essere pericolosi! Oltrepassato l’ingresso del-lo Stadio delle Terme di Caracalla e più avanti unapanchina istallata su un pavimento di sampietrini,avrete alla vostra destra le Terme e a sinistra la chiesadei SS Nereo e Achilleo, che troverete chiusa conprobabilità molto elevata -è aperta infatti su appunta-mento e solo per i matrimoni (2). Arrivati che siate alpiazzale Numa Pompilio, non senza esservi fermati ascambiare due chiacchiere lungo la passeggiata archeo-logica con cani e padroni acclusi (noi abbiamo incon-trato una magnifica Leonberger (3) che portava aspasso una gentilissima coppia di umani), siete prontiper la nostra passeggiata ammirabile.Per sostare sul piazzale Numa Pompilio, su cui siaffacciano le Terme di Caracalla e dove un semaforomultiplo regola il traffico intenso verso via Druso, viadelle Terme di Caracalla e via di Porta san Sebastiano,avrete dovuto fare qualche preventivo esercizio diapnea, data la lunghezza del semaforo e il livello diinquinamento. Comunque sia, voi respirate il menopossibile e lasciatevi chiesa, edicola, Terme, lapidi allevostre spalle il prima possibile; siete ora in via di Portasan Sebastiano (primo tratto di via Appia antica).Fu la primavera scorsa che, di passaggio per via Drusosull’autobus 714, all’incrocio con piazzale Numa Pom-pilio vedemmo di sfuggita e in lontananza una vastachioma, fitta di fiori a grappolo di un luminoso violetto.

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Gracido.. striscio.. sibilo.. saltoLa comunicazione chimica nei serpentiPanoramica delle puzze di famiglia

SARA FORNASIERO, MARCO A. L. ZUFFI

Il modo di comunicare che noi bipedi utilizziamo difrequente passa dalla scrittura su carta (forse è giàpassata) a quella su calcolatore e, con risultati più omeno condivisibili, alla messaggeria via cellulare e viainternet. Ma si parla solo di ciò che si trasmette periscritto. Il suono, più semplicemente la voce, e con essoil sistema di ricezione, le orecchie, ci permettono difarci sentire dagli altri, di ascoltare e di trasmettereinformazioni, sensazioni, concetti.In realtà la voce non è una nostra prerogativa, mentrela capacità di astrarre e di comunicare tali astrazioni cimette in una posizione di indubbia particolarità. Maanche il gusto e il tatto comunicano. Nonostante noiumani siamo microsmatici (come gli altri Primati, peresempio), siamo cioè in genere poco abili a odorare ea discriminare tra gli odori, esistono però persone conuna sensibilità talmente avanzata da discriminare tradecine di odori (pensate agli esperti di profumi), o diassaporare centinaia di varietà diverse di sapori (adesempio i sommelier).Certo è che tra gli organismi che più vediamo (da film,documentari, o in oasi naturali e parchi), sono gli uccellie in parte gli insetti a farla da padrone quando si trattadi farsi sentire. Anche le rane e le raganelle, in effetti, sela cavano piuttosto bene quanto a cantare, ma nonsono oggi il nostro gruppo di interesse.Tra i vertebrati a vita prevalentemente terrestre ritenia-mo che i serpenti (sarà un caso che ne parliamo?) sianoprobabilmente tra i meno noti, o forse i meno cono-sciuti in assoluto. Sapere come è generalmente fatto unserpente non vuol dire sapere come funziona il “siste-ma serpente”.Sia chiaro, a scanso di dubbi, che i serpenti non hannocapacità o caratteristiche “speciali”. Tutte le speciesono di fatto particolari.Ma torniamo a noi. E’ noto che i serpenti non emetto-no suoni. E hanno limitate capacità di percezione delsuono. In realtà, è più corretto parlare di onde sonorea basso numero di cicli/secondo che si trasmettonoprevalentemente dal terreno al corpo del serpente,passando dalle coste e da queste giungendo sino alleossa articolari posteriori del capo (quadrato e articola-re). Ci sentono, non benissimo quindi, ma ci sentono.Sentono le vibrazioni del terreno e possono quindicomportarsi di conseguenza all’approssimarsi di una“significativa fonte di vibrazione”: in genere scappano.Anche questa è comunicazione, ma probabilmentenon la più raffinata. I serpenti, oltre alla vista estrema-

mente ben sviluppata, hanno un organo particolar-mente funzionante e funzionale, che copre di fatto piùdi una peculiarità: la lingua.Essa assolve a moltissime funzioni.La lingua di un serpente sente le proprietà delle super-fici (lisce, rugose, calde o fredde).Permette di seguire odori lasciati nell’aria, odori chevengono catturati dalle superfici su cui la lingua scorreo che tocca. Gli odori catturati passano, mentre lalingua si retrae sulla volta del palato, all’interno di unaarea situata tra il palato, le narici e gli occhi, che prendeil nome di Organo di Jacobson. Tale organo ha lafunzione di registrazione dell’odore catturato e per-mette all’individuo di riconoscere, capire e interpretarele informazioni che esso contiene.

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Il verziere di MelusinaLa quercia: il querceto (parte quarta)

LAURA SBRANA

... de le grandi querce all’ombra stan ammusando i cavalli e intorno intornotutto è silenzio ne l’ardente pian…G. Carducci

“Quando il giovane Tristano, sfuggito ai pirati-mer-canti norvegesi, approdò sul litorale della Cornovaglia,con gran fatica salì fin sulla cresta della scogliera e videche, al di là di una landa ondulata e deserta, si estendevauna foresta senza fine: questa era la realtà fisica dell’Oc-cidente medievale: un gran manto di foreste e lande,attraversato da radure coltivate, più o meno fertili;questo è il volto della Cristianità, simile a una negativadell’Oriente musulmano, mondo di oasi in mezzo aideserti”, così Jacques Le Goff, ne La civiltà dell’Occidentemedievale, ci presenta l’Europa tra i secoli X e XIII,quando, sul piano naturalistico, poco era cambiatorispetto al mondo antico, infatti, sebbene fosse “qua-lunque progresso dell’Occidente medievale scasso diterre, lotta e vittoria su sterpi, arbusti, o, se occorrevae se il coraggio e l’attrezzatura tecnica lo permettevano,sugli alberi di alto fusto, sulla foresta vergine”, ilpaesaggio non era poi molto lontano da quello descrit-to dagli autori latini, anche se, ovviamente, la lorofantasia era stata colpita da situazioni anche per alloraeccezionali, riscontrabili soprattutto nell’Europa perniente o poco romanizzata.Secondo Raymond Delatouche, coautore con RogerGrand di una preziosa Storia agraria del Medioevo, “ci siimmagina volentieri che un’immensa foresta coprisseall’inizio della storia tutta la distesa del territorio e checon i dissodamenti successivi, sempre più numerosi,questa superficie boscosa si sia assottigliata nel corso deisecoli al punto da presentare solo isolotti di foreste piùo meno importanti... Questo non è conforme alla realtàstorica. All’inizio, malgrado il regresso dell’agricolturaregistrato alla fine dell’impero romano, regresso che ildisordine delle invasioni barbariche accrebbe forse an-cora qua e là, non vi sono state soluzioni di continuità trale due civilizzazioni, ma passaggio progressivo dall’unaall’altra. I barbari stessi erano degli agricoltori che cerca-vano precisamente terre da coltivare… D’altra parteanche sulle terre incolte e che tali son restate a lungo, nonè generalmente, e nemmeno più spesso, la foresta pro-priamente detta che si impadronisce a lungo andare delterreno abbandonato dall’uomo, ma è la boscaglia, que-sta sorta di macchia confusa più o meno folta... Salvo icasi di dissodamento massiccio, i confini della foresta simodificano molto lentamente”.

Comunque sia andata, il primo a parlare degli immensiquerceti, è Cesare che, nel De bello Gallico, descrive laselva Ercinia (nome che, molto probabilmente, deriva da*perk = quercia in indoeuropeo) che rivestiva il territoriooggi quasi corrispondente alla Germania occidentale:“La selva Ercinia si estende in larghezza per novebuone giornate di cammino per chi si muova senzabagaglio, altro mezzo di misurarla non v’è, dato che iGermani non conoscono le misure stradali. Essa va daiconfini dei Nemeti e dei Rauraci, in linea parallela alfiume Danubio, fino alle frontiere dei Daci, di qui piegaverso sinistra e tocca nella sua immensa estensione iterritori di molte genti. In questa parte della Germanianon c’è nessuno che possa dire di aver sentito parlareo di aver toccato il suo limite, neanche procedendo persessanta giorni, o che sappia in che luogo essa comin-ci”.Pure Plinio tramanda che, ancora ai suoi tempi, “leforeste di querce copron quasi tutta la Germania e, perla loro smisurata invadenza nel crescere, occupanoaddirittura il litorale e, a causa delle onde che scavanola terra sotto di esse o del vento che le sospinge, sistaccano portando con sé grandi isole costituite dall’in-treccio delle radici: restano così dritte in equilibrio e sispostano galleggiando. La struttura dei grossi rami,simile ad un armamento velico, ha spesso creato loscompiglio nelle nostre flotte, quando le onde sospin-gevano questi isolotti, come di proposito, contro laprua delle navi alla fonda, di notte: così quelle navi, nonriuscendo a trarsi d’impaccio, ingaggiavano uno scon-tro navale con delle piante. Sempre nelle regioni setten-trionali, la selva Ercinia con le sue querce di enormidimensioni- lasciate intatte dal trascorrere del tempo edoriginate insieme con il mondo- è di gran lunga, perquesta sua condizione quasi immortale, il fenomenopiù stupefacente.

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Florilegio… tanto son leggere le selvede’ querciuoli vestiteancor della fronda autunnaleche un poco rosseggia e per entrovi si scorge il tenero verde…G.D’Annunzio

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Giuseppe Sica (a cura di)La Formazione nell’emergenza. Un’ipotesisperimentale sulla Formazione per l’Emer-genza Ambientale.Aracne editrice, Roma 2007, pp. 306

Bernard LechevalierIl cervello di MozartBollati Boringhieri, Torino, 2006

Recensioni

Michele LuzzattoPreghiera darwinianaRaffaello Cortina Editore, Milano 2008

Frank McCourtEhi, prof!Adelphi, 2006

Fabrizia GianniVia per via gli alberi di MilanoEditoriale Giorgio Mondatori, Milano, 2007, pp.424

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Scuola sempre uguale, semprepeggio

VINCENZO TERRENI

Il Ministro Fioroni, a cui va riconosciuto il non gran-dissimo merito di non essere stato il peggiore ministrodegli ultimi anni, si impegna sul fronte dei debitoscolatico. Egli ritiene che non sia accettabile che lascuola di un Paese considerato ancora nel novero diquelli civili, registri senza reagire un così alto numero distudenti che presentano valutazioni insufficienti.

almeno una insufficienzasenza insufficienze

a. sc. 2007/08 scrutini del primo quadrimestre

Nella tabella analitica, riproposta dal sito della FLC -CGIL (1) si vede che il numero dei debitori nei con-fronti della conoscenza va aumentando all’allontanarsidal Liceo classico ed è massimo negli Istituti professio-nali.Sono andato a confrontare i dati con quelli raccoltiventi anni fa nel Distretto dove lavoravo (Valdera) (2)riferiti alle scuole presenti e allo scrutinio finale (era giàun problema avere questi dati figuriamoci quelli delloscruninio del primo quadrimestre). I dati sono in %: laparte nera si riferisce alla quota degli iscritti ad un tipodi scuola sul totale, gli altri si riferiscono al singoloistituto. I dati risultano un po’ migliori di quelli dei(quasi) loro figli perché c’è stato lo sprint del secondoquadrimestre dove i quattro del primo si trasformanoin sei meno, ma le cose non sono sostanzialmentediverse. Allora c’erano gli esami di riparazione, poiaboliti perché poco seri e quindi sostituiti dal sistema

dei debiti (c’è poco da ridere), rivelatosi peggiore diogni più tetra aspettativa e quindi...?Se quindi si vanno ad analizzare i dati con l’attenzioneche meritano si vede che questi non sono cambiatimolto: la scuola non è diventata più severa né piùefficace nella sua azione, gli studenti non sono némigliori né peggiori e sarebbe difficile che fosse diversoda così dal momento che nel sistema educativo nostra-no non ci sono stati cambiamenti tali da giustificarerisultati diversi. In questi venti anni le riforme e la loropronta cancellazione si sono succedute ad un ritmofrenetico che ha consentito di sopravvivere solo acoloro che hanno seguito, come se fossero su un altropianeta, la loro stella polare evitando ogni cambiamen-to perché richiedeva tempi di trasformazione più lun-ghi della sua speranza vita. Quindi perché i risultatiavrebbero dovuto essere diversi? Forse perché le scuo-le sono diventate autonome? Oppure perché non cisono più i Provveditorati? O perché i Presidi, divenutiDirigenti scolastici, forse sono stati finalmente in gradodi occuparsi di didattica senza preoccuparsi della ordi-nata consumazione delle merende?

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Zanichelli