NATURALMENTE · Il Signore dei Miti Maria Bellucci, Brunella Danesi Epigenetica, l’ereditarietà...

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1 anno 21 • numero 3 • settembre 2008 trimestrale NATURALMENTE Fatti e trame delle Scienze Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, CB PISA Pensando a Nori Enrico Pappalettere La strategia del grembiulino Vincenzo Terreni Il Signore dei Miti Maria Bellucci, Brunella Danesi Epigenetica, l’ereditarietà oltre il genoma Luciano Cozzi La candela Elio Fabri La storia del taglio cesareo Valeria Paganelli Un laboratorio per insegnanti Lucia Stelli Una proposta didattica per l’insegnamento delle Scienze Tommaso Castellani, Cinzia Belmonte, Emanuele Pontecorvo, Laura Maggi Quello che i libri non spiegano Carlo Bauer, Andrea Spanedda, Riccardo Falleni, Ahmed Mohamud Osman, Valerio Pelaia Gracido... striscio... sibilo... salto Marco A. L. Zuffi Il verziere di Melusina Laura Sbrana ANIMAT: l’Associazione di chi insegna Matematica si presenta Walter Maraschini Recensioni Le storie di Franco Marco Piccolino ®

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anno 21 • numero 3 • settembre 2008 trimestrale

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Pensando a NoriEnrico Pappalettere

La strategia del grembiulinoVincenzo Terreni

Il Signore dei MitiMaria Bellucci, Brunella Danesi

Epigenetica, l’ereditarietà oltre il genomaLuciano Cozzi

La candelaElio Fabri

La storia del taglio cesareoValeria Paganelli

Un laboratorio per insegnantiLucia Stelli

Una proposta didattica per l’insegnamentodelle ScienzeTommaso Castellani, Cinzia Belmonte,Emanuele Pontecorvo, Laura MaggiQuello che i libri non spiegano Carlo Bauer, Andrea Spanedda, Riccardo Falleni,Ahmed Mohamud Osman, Valerio PelaiaGracido... striscio... sibilo... salto Marco A. L. ZuffiIl verziere di Melusina Laura SbranaANIMAT: l’Associazione di chi insegnaMatematica si presentaWalter Maraschini

RecensioniLe storie di Franco

Marco Piccolino

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Hanno collaborato a questo numero

3. Pensando a NoriEnrico Pappalettere4. La strategia del grembiulinoVincenzo Terreni6. Il Signore dei MitiMaria Bellucci, Brunella Danesi15. Epigenetica, l’ereditarietà oltre il genomaLuciano Cozzi20. La candelaElio Fabri24. La storia del taglio cesareo Dal mito ai nostrigiorniValeria Paganelli studente Medicina Univ. Pavia32. Un laboratorio per insegnanti La via dell’ortoLucia Stelli35. Una proposta didattica per l’insegnamentodelle ScienzeTommaso Castellani, Cinzia Belmonte, EmanuelePontecorvo, Laura MaggiRicercatori Associazione formaScienza40. Quello che i libri non spiegano Componentidell’energia libera senza effetto sulla spontaneità deiprocessi chimico-fisiciCarlo Bauer, Andrea Spanedda, Riccardo Falleni, Ah-med Mohamud Osman, Valerio PelaiaUnità di Biochimica, Univ. di Pisa e Processi chimico-fisici,CNR Pisa47. Gracido... striscio... sibilo... salto Dal punto divista di rettili e anfibi. Gechi e altri arrampicatoriMarco A. L. Zuffi49. Il verziere di Melusina La quercia: di alcunianimali del querceto (parte quinta)Laura Sbrana54. ANIMAT: l’Associazione di chi insegna Mate-matica si presentaWalter Maraschini doc. Matematica, Presidente ANIMAT56. RecensioniMarco Tongiorgi, Luciano Luciani, Enrico Pappalettere63. Le storie di FrancoMarco Piccolino

Degli articoli firmati sono responsabili gli Autori

Fonti delle illustrazioniRebecca Jewel African designs British Museum PatternBooks,The British Museum Press, 1994

NATURALMENTE anno 21 • numero 3 • settembre 2008 trimestrale

Spedizione Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamentopostale - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1,comma 1, CB PISAIscrizione al ROC numero 16383Segretario di redazione: Enrico Pappalettere([email protected])Direttore responsabile: Fabrizio FeliciRedazione: via Carducci, 64/c 56017 - S. Giuliano Terme (Pi)Sandra Bocelli, Francesca Civile, Raffaello Corsi, Francesco Cri-santi, Brunella Danesi, Tomaso Di Fraia, Fabio Fantini, LucianoLuciani, Isabella Marini, Catia Pardini, Lucia Stelli, VincenzoTerreniProprietà: ANISN sezione di PisaImpaginazione: Vincenzo Terreni ([email protected])Amministrazione: Felici Editore srl Via Carducci 64\c Loc. Lafontina - Ghezzano, San Giuliano Terme (Pisa) tel. 050878159 -fax. 0508755588Stampa: Felici EditoreAbbonamenti: Felici Editore srl, ccp n. 16596553; ordinario20,00 euro, sostenitore 35,00 euro, Scuole, Associazioni, Musei,Enti ecc. 27,00 euro,, biennale 36,00 euro, estero 40,00 euro.Prezzo singolo numero 8,00 euro; numeri arretrati 12,00 euro;copie saggio su richiesta previo invio di 5 euro in francobolli perrimborso spese postali.Registrato il 25 febbraio 1989 presso il Tribunale di Pisa al n. 6/89Informazioni: 050/571060-878159; fax: 06/233238204

Un ringraziamento particolare alle case editriciZANICHELLI e BOVOLENTAper l’aiuto alla realizzazione di questo numero.

CollaboratoriMaria Arcà Centro studi Ac. Nucleici CNR RomaMaria Bellucci doc. St. Fil. L. Sc. Copernico PratoClaudia Binelli doc. Sc. Nat. TorinoLuciana Bussotti doc. Sc. Nat. LivornoStefania Consigliere dip. Antropologia Univ. GenovaLuciano Cozzi doc. Sc. Nat. MilanoElio Fabri doc. Astronomia Università di PisaFabrizia Gianni doc. Sc. Nat. Ist. S. Carlo MilanoTiziano Gorini doc. Lettere Ist. Sup. LivornoAlessandra Magistrelli doc. Sc. Nat. RomaFabio Olmi doc. Sc. Nat SSIS FirenzePiegiacomo Pagano ENEA BolognaMarco Piccolino doc. Fisiol. e St. Scienza Università di FerraraPietro Ramellini doc. Sc. Nat. L. Cl. VelletriLaura Sbrana doc. LettereRoberto Sirtori doc. Fisica ITIS PisaMarco Tongiorgi doc. Stratigrafia Università di PisaMarco A. L. Zuffi Erpetologo responsabile sezione didatticaMuseo di Storia naturale e del Territorio dell’Università di Pisa

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Pensando a NoriENRICO PAPPALETTERE

L’avevamo corteggiata a più riprese, lasciando trascor-rere fra un’avance e l’altra molto tempo. Inutilmente.Nori ci rispondeva sempre nello stesso modo: apprez-zava molto l’impegno e le iniziative del nostro gruppoche aveva dato nuova forza e visibilità alla sezionepisana dell’ANISN, ma di collaborare con noi proprionon se la sentiva, almeno fino al momento in cuiavrebbe posto fine al lavoro che assorbiva da anni tuttele sue energie intellettuali e fisiche, quello della speri-mentazione di Scienze Naturali all’interno della “maxi-sperimentazione” del Liceo Filippo Buonarroti di Pisa, incui insegnava fin dalla nascita della scuola.(...).

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La strategia del grembiulinoVINCENZO TERRENI

E’ consuetudine consolidata che ogni inizio d’annoscolastico sia preceduto da una campagna di stampaassillante, quanto priva di riflessioni serie, sulla riaper-tura delle scuole. Quest’anno si apre anche con unanuova Ministra che entra nel merito delle questioni inmodo diretto e immediato; tutti i giornali riportano conrilievo le sue dichiarazioni e i commenti degli interes-sati: sindacati, genitori, studenti. Non passa giorno chesi presenti un nuovo argomento che appassiona glianimi e produce sondaggi sui giornali e alla TV. Daisondaggi emerge che le proposte della Ministra raccol-gono ampi consensi: sì al grembiulino, sì ai voti checancellano i fumosi giudizi, sì all’azione contro i libri ditesto che costano troppo e che cambiano troppospesso pur rimanendo uguali. Un vero plebiscito afavore della reintroduzione del voto di condotta: “Boc-ciati con il 5 in condotta”, ecco argine contro il bulli-smo che cancella anche lo Statuto degli studenti (docu-mento inutilmente lungimirante conosciuto purtrop-po dai soli attempati estensori). Meno partecipati isondaggi sul riconoscimento del merito ai docenti“bravi”, al loro reclutamento e al miglioramento dellaqualità della scuola.

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Il Signore dei MitiMARIA BELLUCCI, BRUNELLA DANESI

Che età ha?E’ giovane; inutile negarlo.Bel volto?Come scolpito nella pietra.Sguardo severo, vuoi dire?Sì e no; magari pensoso, calmo, fermo: modalità cheritornano nei suoi giudizi “perpendicolari”, del tuttoscevri di retorica e di mediazioni. Del resto, è unoscienziato.Dove è nato?E’ nato a Bruxelles, ma si è formato a Parigi, laurean-dosi alla Sorbona, in filosofia nel 1931, per poi insegna-re nella scuola secondaria.Si tratta di un professore di liceo, dunque.Non proprio; nel 1934, coglie al volo la proposta di unincarico per un corso di sociologia presso l’universitàdi San Paolo, in Brasile. Come per Darwin circa centoanni prima, questo viaggio, l’unico che intraprese interre selvagge, segnò per sempre la sua vita di uomo edi scienziato; qui venne a stretto contatto con gli ultimiindigeni del Mato Grosso e dell’Amazzonia.Un filosofo tra i Caduvei, i Bororo e i Nambikwara? Forse sulleorme dei viaggiatori del secolo XVIII, mossi da spirito diavventura?No, nessun voyage di questo tipo; anzi, una spiccatainsofferenza per la fatica negli spostamenti -a cavallo,a piedi, in piroga- e nel trasporto delle vettovaglie e delmateriale scientifico, ed anche l’impazienza per il tem-po perso a cercare gli informatori o a correggere ipercorsi, con conseguenti ritardi nella raccolta dei dati,delle informazioni e dei manufatti utili alla ricercaantropologica -rapporti di parentela con particolareriguardo agli istituti matrimoniali, organizzazione so-ciale delle comunità indigene, miti inediti, elenchi deinomi di clan, cerimoniali di feste e inoltre tessuti,utensili, statuette maschere-. Del resto, è noto l’incipitdi Tristi tropici: “Odio i viaggi e gli esploratori…”Nessun interesse meramente descrittivo, dunque, e nessunafruizione filosofica autoreferenziale …E’ proprio così; aggiungerei anche nessuna motivazio-ne sociologica di tipo Comte-Durkheim. In verità,oltrepassata la Fossa nera sulla linea equatoriale atlan-tica, gravata da un cielo caliginoso e ancora satura delricordo di Colombo e dei conquistadores europei che diqui passarono, agli inizi dell’età moderna, verso un’Ame-rica da scoprire -due pianeti opposti, poi due mondi aconfronto- , dopo lo sbarco a Santos colui che si inoltracon mezzi di fortuna e su improbabili piste versol’interno del Brasile è un giovane studioso che ha lettoRobert Lowie (1) e Marcel Mauss (2) e che è destinato

a diventare uno dei maggiori etnologi del XX secolo,senza dubbio il più attento nell’approccio conoscitivoverso i popoli senza scrittura e il più capace di elaborarein forma epistemologica una congruente spiegazionecirca l’organizzazione delle loro società. RaggiunseNalike, la capitale di capanne dei Caduvei alla frontieraparaguayana, poi Cujaba nel paese dei Bororo, Vihelanel cuore del territorio Nambikwara, infine PimentaBueno, sul rio Machado in piena foresta Amazzonica,dove alcuni gruppi di Indiani Tupi Kawahib vivevanoal limite estremo della vita selvaggia.Fu durante un’unica spedizione?No, le spedizioni furono tre, credo, dal 1935 al 1938; neuscirono un articolo sui Bororo, comparso sul JOUR-NAL DE LA SOCIÉTÈ DE AMERICANISTES, che gli valsel’attenzione degli etnologi americani, e successivamen-te due libri che ancora oggi si leggono con emozione:La vita familiare e sociale degli Indiani Nambikwara, e TristiTropici, appunto.Mai un ripensamento all’interno di quelle boscaglie o lungo lerapide del Sao Lourenço?Sì, sulla via del ritorno, durante una sosta a CamposNovos, quando, insieme al riaffiorare in forma quasiossessiva di una melodia di Chopin -tra l’altro, uncompositore mai schiettamente amato- si affollaronoalla mente domande del tipo: “Cosa siamo venuti a farequi? Con quale speranza? A quale fine? “Effettivamen-te corse il rischio di smentire il senso che aveva dato allasua vita.Riuscì a rispondere a se stesso?Ci rispose mirabilmente con le opere già citate e conquelle che avrebbe scritto in seguito, riunite in Mitolo-giche, ad esempio. Nel confronto tra “noi” e “loro”, trala nostra società e le società indigene, la conoscenzascientifica di tipo etnologico sarebbe stata la verarisposta, come forma la più alta di rispetto verso questipopoli e la più adeguata nel riconoscimento di civiltàdiverse da quella occidentale.All’inizio del 1939 tornò in Francia.In Europa si era alla vigilia dello scoppio della seconda guerramondiale; tra l’altro, la famiglia aveva radici ebraiche. Cosaaccadde dopo la capitolazione della Francia e la legislazioneantisemita del 3 Ottobre 1940?(...)

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Epigenetica, l’ereditarietà oltre ilgenoma

LUCIANO COZZI

Definizione e campi di interesseIn questo articolo ci occuperemo di come si possadefinire l’epigenetica e di delinearne la storia e i carat-teri attuali. Per dare consistenza al discorso, partiremoperò con una breve presentazione dei principali mec-canismi e fenomeni che in genere vengono consideratiparti dell’epigenetica.L’epigenetica è definita comunemente come lo studiodei cambiamenti ereditabili dell’espressione genica chenon sono dovuti a cambiamenti nella sequenza delDNA. Torneremo in seguito su questa definizione, chetuttavia è la più ampiamente accettata tra i ricercatori.L’epigenetica non si occupa quindi della regolazionegenica, le cui modificazioni non sono ereditabili, nédella mutagenesi, le cui modificazioni sono a carico delDNA. Il nostro interesse verterà sulla ricerca di base esulle implicazioni teoriche dell’epigenetica, ma questadisciplina ha una notevole importanza pratica in svaria-ti campi della biologia e della medicina, che vanno dallostudio dello sviluppo embrionale, alla tumorigenesi,alla clonazione e alle sue applicazioni alla zootecnia eall’agricoltura (Bird, 2002).

I meccanismi epigeneticiPrima di passare alla discussione sul significato e sullarilevanza dell’epigenetica, è utile una breve carrellata suiprincipali meccanismi e processi sui quali essa si basa.

BOOKMARKING

Si definisce bookmarking il fenomeno che consente ditrasmettere una mappa di espressione genica a unacellula figlia attraverso la mitosi. Si tratta di un fenome-no non conosciuto nei dettagli, ma fondamentale perl’epigenetica, poiché consente di stabilizzare alcunemodificazioni dell’espressione genica in una determi-nata linea somatica.

EFFETTO DI POSIZIONE

Il fenomeno noto come PEV (Position-Effect Variega-tion) indica una diversa risposta dei geni a stimoliambientali, in base alla loro disposizione nel nucleo, inparticolare al fatto che si trovino in regioni ricche opovere di eterocromatina (vedi più avanti).

EFFETTO MATERNO

Si parla di effetto materno quando il fenotipo dellamadre si esprime nella progenie, indipendentementedal contributo genetico del padre. In questo caso si può

dire che il fenotipo del figlio riflette il genotipo mater-no invece che il suo proprio. Il meccanismo classicoper questo fenomeno è quello dell’eredità citoplasma-tica, dovuta a molecole presenti nel citoplasma dellacellula uovo, che influiscono sullo sviluppo dell’em-brione.

IMPRINTING

Si parla di imprinting genico nei casi in cui l’attività di ungene è diversa se esso viene ereditato dalla madre o dalpadre. In alcuni insetti l’imprinting serve a inattivare unintero set di geni nei maschi, cosicché essi risultanofunzionalmente aploidi, sebbene diploidi all’esame ci-tologico.

INATTIVAZIONE DEL CROMOSOMA XUn caso noto da tempo di meccanismo epigenetico èl’inattivazione del cromosoma X, per il quale uno deidue cromosomi X di una femmina viene inattivato nelcorso dello sviluppo e diviene permanentemente ete-rocromatinico (corpo di Barr). L’inattivazione si basasull’azione di un RNA che inattiva uno specifico gene(Xist, X-inactive specific trascript).

METILAZIONE DEL DNALa metilazione del DNA è uno dei meccanismi di baseattraverso cui si possono manifestare processi epige-netici. Probabilmente per questo motivo è anche ilmeccanismo di modificazione chimica del DNA me-glio conosciuto. Nelle cellule umane adulte il sito piùcaratteristico per la metilazione del C-5 di una molecoladi citidina che si trovi affiancata a una di guanidina(CpG, nella simbologia comunemente usata, dove la pindica il fosfato che unisce i due nucleotidi).(...)

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La candelaPiuttosto che maledire il buioè meglio accendere una candelaLao Tzu

ELIO FABRI

Non so come mai, ma l’articolo di Marco Testa (1) miera sfuggito. Per fortuna ci sono stati i commenti diSala (2) e Di Fraia (3) che hanno risvegliato la miaattenzione su uno scritto interessante e anche diverten-te. Così ora mi trovo stimolato a continuare il discorsosu tutti e tre, visto che la quantità di questioni tutt’altroche banali che sono state sollevate è notevole. Me neoccuperò dal punto di vista astronomico e anchepuramente matematico, piuttosto che da quello didat-tico, per due ragioni: la prima è che non ho direttaesperienza didattica su cui basarmi; la seconda cheinvece sono convinto che senza un’adeguata chiarifica-zione sugli aspetti più strettamente scientifici che hoindicato, anche l’azione didattica non può che esseremanchevole.Il primo problema che ci troviamo di fronte è che separtissimo oggi da zero per dare una descrizione mate-maticamente e fisicamente corretta dei concetti cheintervengono nel discorso, adotteremmo probabil-mente punti di vista e definizioni alquanto diverse daquelle in uso. Queste infatti si sono formate nel corsodi millenni, e si portano dietro stratificazioni di espe-rienze e di culture che oggi ci sono lontane e comunqueci appaiono superate.Faccio subito un esempio per non restare nel vago: èoggi conoscenza comune che la Terra è pressochésferica; i viaggi intercontinentali sono piuttosto diffusi;qualunque bambino apprende su questo tema moltopiù dalla TV che dall’esperienza diretta. Invece i con-cetti geografici e astronomici hanno avuto origine neltempo lontano in cui al massimo si viaggiava per maresotto costa, non si sapeva nulla della forma della Terrané del reale moto dei corpi celesti...Posso essere ancora più preciso: ricordate i miei nipo-tini Sofia e Alberto? Ve ne parlai sette anni fa. Orahanno rispettivamente 16 e 15 anni, e nel momento incui scrivo (12 agosto) sono in volo con papà e mammaper la Nuova Zelanda. Certo, ora sono al Liceo, macomunque pensate: forma della Terra, fusi orari, per-corso del Sole in cielo, stagione (hanno dovuto appe-santire il bagaglio coi vestiti invernali ...).Tutto ciò pone un problema didattico non da poco, maho premesso che non voglio direttamente affrontarlo(anche se non potrò certo ignorarlo del tutto).

* * *Cominciamo con l’orizzonte. Come dice l’etimologia(greco οριζω = termino, delimito) in origine -ma

anche oggi- la parola designa il confine di ciò che èvisibile da un dato luogo:

e questa siepe, che da tanta partedell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

E’ bene osservare subito che l’esistenza di un orizzontenon richiede che si pensi la superficie della Terra comecurva: anche su una Terra piana ci sono comunqueostacoli grandi e piccoli che delimitano ciò che èvisibile. Ed è per questo che l’orizzonte si allarga se sisale in alto: perfino in mare, dove bastano le onde aoccludere la vista di cose lontane.Ma l’astrazione scientifica produce ben presto altri duesignificati di orizzonte: una circonferenza, di raggio inde-finito, dove si proiettano le direzioni di osservazione(inclusi i punti cardinali) e il piano che idealizza lasuperficie terrestre infinitamente estesa. Per essereprecisi, nel linguaggio astronomico odierno il termine“orizzonte” indica la circonferenza, e poi si parla di“piano dell’orizzonte”. Aggiungo che è tradizionalealmeno in astronomia parlare di “cerchio” intendendola circonferenza: cerchio dell’orizzonte, e poi anchecerchio meridiano, ecc.A proposito di direzioni: qui c’è purtroppo un’altraambiguità linguistica. è vero, come osserva Sala, che iltermine matematico “direzione” sta a indicare unaretta non orientata (o più esattamente ciò che hanno incomune tutte le rette tra loro parallele, nel piano o nellospazio). Però nel linguaggio comune alla direzione siassocia anche un verso: si dice correntemente “direzio-ne Nord”, “direzione Roma”, ecc. D’altra parte non ècorretto chiamare “vettore” la direzione orientata,perché i vettori hanno anche una lunghezza, che quinon entra. Tutto sommato, e visto che non mi sembraesista un termine scientifico consolidato per indicare ladirezione + verso, credo che nel nostro contesto sipossa usare il termine “direzione” senza problemi,includendovi anche l’informazione sul verso. Quindi“direzione Nord” e “direzione Sud” sono cose diverse.Con questa precisazione linguistica (e mi scuso per lapedanteria, ma mi è sembrata inevitabile) il cerchiodell’orizzonte sta a rappresentare l’insieme di tutte ledirezioni in un piano orizzontale.

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La storia del taglio cesareoDal mito ai nostri giorni

VALERIA PAGANELLI

Il taglio cesareo consiste nell’estrazione del nascituromediante incisione della parete addominale e uterina,ossia nel parto per via addominale anziché per viavaginale. Ricostruirne la storia nel corso dei secolicomporta alcune difficoltà legate non soltanto allavastità dell’argomento ma anche al fatto che le testimo-nianze sono limitate e sporadiche fino ad epochemolto recenti.L’origine del nome è piuttosto controversa: per moltotempo si è creduto che il termine “cesareo” derivasseda Giulio Cesare (100 - 44) (1) il quale, secondo laleggenda, sarebbe nato appunto con questo tipo diintervento. Tuttavia tale ricostruzione non è correttaperché nel I secolo a. C. questa operazione vieneeffettuata esclusivamente su donna morta o morente,al solo scopo di tentare di salvare la vita del bambino,quando ormai non ci sono più speranze per quella dellapartoriente; dunque non è possibile che Cesare sia natoin questo modo visto che sua madre, Aurelia, è ancoraviva all’epoca della guerra in Gallia (2).Ricostruzioni più attendibili sono invece quelle checollegano l’etimologia del termine al verbo latino cæde-re, che significa tagliare, o al sostantivo cæsones, derivantedall’espressione natus a cæseo matris utero, che indica gliindividui nati con questo tipo di operazione (3).Altrettanto degna di nota è la versione secondo la qualeil termine potrebbe derivare dal nome della leggeromana che impone di eseguire l’operazione su donna

morta o morente nel tentativo di salvare il bambino:tale decreto, promulgato da Numa Pompilio col nomedi Lex Regia tra il 715 e il 673 a. C., viene poi denomi-nato Lex Cæsarea nel I secolo a. C. (4). Quest’ultimaipotesi lascia dunque supporre che la tecnica chirurgicain questione abbia origini molto remote: d’altrondenon è difficile immaginare che, fin dai tempi piùantichi, l’uomo abbia dovuto misurarsi con le compli-cazioni che talvolta si verificano al momento del partoe che, di conseguenza, abbia cercato di sviluppare delletecniche che, limitatamente ai mezzi a sua disposizio-ne, gli consentissero di salvare perlomeno la vita delnascituro. Non deve quindi stupire che si riscontrinotestimonianze di operazioni collegabili al taglio cesareonelle tradizioni più antiche, non solo occidentali, comequella greca, con i miti di Coronide (5) e di Semele (6),ma anche orientali, come quella persiana, con la vicen-da di Rostam. La leggenda di Coronide racconta cheApollo si innamora della figlia di Flegias, re dei Lapiti,mentre ella sta facendo il bagno in un lago. I dueconsumano la loro passione ma poi il dio abbandona lafanciulla lasciando che una cornacchia vegli su di lei.(...)

Estrazione di Esculapio dal ventre della madre Coronis ad opera del padre Apollo, da De re medica di A. Benedetti (1549)

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Un laboratorio per insegnantiLa via dell’orto

LUCIA STELLI

Laboratorio e insegnanti dovrebbero essere due elementidi un composto stabile altamente energetico del meta-bolismo scolastico ad uso alimentare di alunni spessonutriti troppo e male. Il paragone tra cultura e cibo èfilologico, infatti alunno deriva da alere, alimentarsi; chisi alimenta diventa adulto (participio passato di alere)cioè alimentato, quindi cresciuto. Da qui l’equazione:laboratorio + insegnanti = cibo per alunni.L’insegnante non può però limitarsi a riempire la panciadei suoi alunni, ma deve preoccuparsi di controllare tuttala filiera sottesa alla formazione scientifica.Come potrebbe dunque l’equazione generare un pro-dotto di qualità, considerando che l’incognita inse-gnanti ha un’anima alquanto tradizionalista? Comeorganizzare il laboratorio? Quali tematiche preferire?Le recenti esperienze di laboratorio biologico (1) coninsegnanti appartenenti a tutti gli ordini di scuola mihanno fatto apprezzare le grandi risorse contenutenelle piccole cose e nel contempo intravedere unprocedimento alla portata di tutti, che dà prodottipregevoli con strumenti minimi. Il procedimento, sto-ricamente antico, da sempre ha rappresentato un sfidaper l’intelligenza umana: la via dell’orto.In Toscana il detto non è la via dell’ orto è riferito a uncammino o a un’impresa complessa o di lunga durata,in contrapposizione alla via dell’orto breve e agevole, erimanda al tempo in cui l’orto era una dispensa natu-rale situata appena fuori l’uscio di casa. In riferimentoal contesto scolastico non è però illogico affermare chela via dell’orto non è la via dell’orto, vale a dire che un ortoannesso alla scuola non sempre viene visto come unmezzo di facile utilizzo per fare educazione scientificae anche gli abbinamenti laboratorio-orto, e insegnante-orto non sono così immediati come si potrebbe pensa-re. Eppure sono convinta che questi binomi potrebbe-ro essere molto fecondi, certo dipende da cosa gliinsegnanti intendono per laboratorio e se essi riesconoa vedere il piccolo orto come una zolla di insegnamen-to primario altrettanto importante quanto tutto ilglobo terrestre.Generalmente quando si parla di laboratorio scolastico sipensa a un locale attrezzato per un’attività specificaperlopiù a carattere sperimentale, come del resto l’attivi-tà scientifica impone; è la stanza dei desideri dei docentidi scienze e tale rimane soprattutto nel primo ciclod’istruzione. Niente vieta però che la stanza-laboratorionon abbia pareti e si sposti all’occorrenza dentro e fuorila scuola, mantenendo però l’essenza di luogo in cui sicostruiscono strumenti per capire il mondo.

Ci sono anche altri luoghi comuni che non incoraggianoa intraprendere la via dell’orto: il fatto che le Scienze sianomateria speculativa radicata nei libri e non in terra, il fattoche per fare scienze sia necessario l’esperto, il ricercato-re, colui o colei che deve rassicurarci e mantenere alto illivello del sapere scientifico; e ancora il fatto che servanoattrezzature complicate da reperire e utilizzare. Se riu-scissimo a prendere le debite distanze da certi stereotipi,allora potremmo cercare ed esplorare altre strade, arri-vando anche a vedere in un piccolo orto ricavato nelgiardino della scuola un magnifico laboratorio scientifi-co a cielo aperto. A questo punto mi immagino com-menti del tipo: “Tanti discorsi per una stupidaggine delgenere!” Oppure: “Bella scoperta, nella nostra scuolasono anni che coltiviamo un orto, biologico, sarebbe ilcaso di precisare!” O anche: “Non c’era nessun bisognodi rimarcarlo, lo sanno proprio tutti che la coltivazionedi un orto è per i bambini un’esperienza fortementeeducativa, non per nulla anche l’Amministrazione Co-munale lo scorso anno ha proposto agli insegnanti ilprogetto Un orto in ogni scuola!” (2)Il punto è che spesso l’orto c’è, ma è sottoutilizzato dalpunto di vista scientifico perché prevalgono altre fina-lità quali l’educazione alla fatica, all’impegno responsa-bile, al rispetto per l’ambiente comune.Vorrei qui invece sottolineare l’importanza dell’ortocome strumento per insegnare/imparare a vedere, guar-dare, osservare. Il binomio insegnante di scienze-orto èquindi basilare per fare emergere molteplici mattoni diconoscenza che pur essendo alla portata dei sensi,potrebbero rimanere isolati e privi di potenzialità co-struttiva se non intervengono intenzione, consapevo-lezza, sistematicità.

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Una proposta didattica perl’insegnamento delle Scienze

TOMMASO CASTELLANI, CINZIA BELMONTE, EMANUELE PONTECORVO, LAURA MAGGI

E’ scientificamente dimostrato che...Non di rado ci imbattiamo in articoli sulla paginascientifica dei quotidiani che affermano che “è statoscientificamente provato che...” o “da oggi è scientifica-mente dimostrato che...”. Il fatto di vedere la scienzacome una fonte di certezze fa parte dell’epistemologiapersonale inconscia di molte persone. In questa visio-ne, comune alla maggioranza dei cittadini del nostroPaese, solo ciò che “è scientifico” diventa affidabile.Numerosi corsi universitari inseriscono la parola “scien-za” nel loro nome: Scienze dell’Educazione, Scienzedella Comunicazione, Scienze Umanistiche. La scien-tificità è automaticamente garanzia di valore e di utilitàdelle conoscenze che si apprenderanno nei corsi dilaurea. Cosa succede però nel momento in cui si creauna contrapposizione tra due affermazioni di duescienziati, che hanno entrambi “scientificamente di-mostrato” le loro tesi, che pur sono contraddittorie? Lerisposte possono essere di vario tipo: attribuire mala-fede a uno dei due scienziati, attribuire un errore a unodei due scienziati, ecc. ma in ogni caso il risultato èquello di una diminuzione di fiducia nei confronti dellascienza. Così accade anche nei casi in cui una tesi chesia stata dimostrata scientificamente vera anni addietrovenga smentita da un nuovo esperimento. E alloravengono da sé considerazioni pessimistiche: “Gli scien-ziati hanno sbagliato, gli scienziati si propongonocome portatori di conoscenza oggettiva ma poi questaloro conoscenza si rivela da buttare”. Sarebbe ora chegli scienziati prendessero la consapevolezza che un’epi-stemologia personale di questo tipo, ossia completa-mente distorta e, cosa ancor più grave, assolutamenteinconscia, danneggia seriamente le relazioni tra scienzae società. Finché lo scienziato tenterà di tenere alta lasua credibilità puntando sull’oggettività dei suoi risul-tati ogni contraddizione gli farà perdere punti. Lacontraddizione è invece il pane della scienza, che vivee si evolve proprio in virtù del dibattito e della contrap-posizione tra idee diverse. Ci piacerebbe che anche ilgiornalismo scientifico puntasse a evidenziare que-st’aspetto della scienza e non a puntare su un sensazio-nalismo incentrato sulla “scoperta” spesso “straordi-naria”, che in realtà altro non è che un singolo matton-cino di un edificio ben più grande. Le poche grandiscoperte che sono state fatte da un singolo sonocomunque emerse da un terreno ben preparato neglianni precedenti dal lavoro di molti.

Per un’epistemologia consapevoleformaScienza nasce nel 2005 per iniziativa di un gruppodi ricercatori provenienti da vari ambiti della ricercascientifica, tra i quali ci sono gli autori di quest’articolo,con l’obiettivo di valorizzare la scienza come fenome-no culturale, evidenziandone quindi il ruolo nella so-cietà e riavviciandola ai cittadini. Sebbene scienziati egiornalisti siano gli attori principali delle relazioni trascienza e società, il ruolo di protagonista nella forma-zione della visione epistemologica individuale lo giocala scuola. E’ stato quindi per noi naturale rivolgerci aglistudenti e agli insegnanti come destinatari prioritari diuna proposta di riflessione epistemologica. In que-st’articolo presentiamo la nostra proposta didatticache abbiamo elaborato per le scuole secondarie conl’obiettivo di problematizzare con gli studenti il signi-ficato dell’aggettivo “scientifico” e di avviare una ri-flessione epistemologica e, perché no, sociologica sulruolo della scienza. L’idea alla base di questa propostaè ricostruire in classe un’esperienza di ricerca scientifi-ca, in cui evidenziare tutte le caratteristiche secondonoi importanti e che solitamente sfuggono durante lanormale attività scolastica. Per raggiungere quest’obiet-tivo il nostro lavoro con gli studenti non è incentratosu particolari argomenti scientifici ma sull’insieme dipratiche che potremmo chiamare “metodo scientifi-co”. Si tende talvolta a presentare la scienza come unasuccessione di descrizioni di vari fenomeni, questosignifica però confondere la scienza con i risultati dellascienza. La nascita della scienza moderna è infatticaratterizzata da un cambiamento metodologico e nondall’acquisizione di risultati particolari.(...)

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Quello che i libri non spieganoComponenti dell’energia libera senza effetto sullaspontaneità dei processi chimico-fisici

CARLO BAUER, ANDREA SPANEDDA, RICCARDO FALLENI, AHMED MOHAMUD OSMAN, VALERIO PELAIA

Nota preliminare di Carlo BauerQuesta serie di articoli rappresenta il percorso che hofatto nell’arco di più di cinquant’ anni per chiarire a mestesso concetti in chimica (e dintorni) che mi sonorisultati oscuri e hanno richiesto molta fatica percercare di capirli. Un aiuto sostanziale è venuto daproficue discussioni con colleghi ed amici, tra cui icoautori di questo articolo. L’esposizione che segue èil frutto del lavoro di persone di normale intelligenza,ma particolarmente determinate a voler capire. Moltospesso questo atteggiamento non è considerato posi-tivamente, viene visto con sospetto e scoraggiato intutte le maniere nei giovani. Credo che il motivo sia daricercare nel fatto che le persone che contano, inqua-drate nelle istituzioni preposte alla riproduzione e allaconservazione della struttura e della piramide sociale(chiesa, scuola, comunità scientifica) temono che ciòpossa distogliere i giovani dai doveri di “ buoni suddi-ti”: molto lavoro, su binari prestabiliti, da buoni esecu-tori, senza fare troppe domande (cosa che tra l’altrocomprometterebbe anche il completamento dei gravo-sissimi programmi sia di studio che di lavoro chevengono imposti). Chi gestisce il sistema sa bene cheun tale atteggiamento porta, prima o poi, a mettere indiscussione l’assetto esistente: per questo è così fre-quente il caso che, nei concorsi di vario tipo, vengapreferito, e prestabilito come vincitore ( individuando-lo col sistema delle raccomandazioni e delle segnalazio-ni ) chi si inquadra meglio nella struttura rispetto a chipossiede meglio la materia. Questa è anche la ragioneper cui spesso i libri sono oscuri e non aiutano chivoglia capire veramente. E’ tempo di cominciare adinvertire queste tendenze e in questa direzione puntaquesta serie di articoli.In questo settimo articolo affrontiamo un problemache può dare parecchio filo da torcere a chi studia lachimica fisica di processi spontanei coinvolgenti mo-lecole di una certa complessità: un chimico abituato adapplicare le consuete grandezze termodinamiche (en-talpia, entropia, energia libera) a reazioni tra semplicimolecole inorganiche ed organiche si trova veramentesconcertato quando cerca di applicare le stesse catego-rie concettuali a reazioni organiche un po’ più comples-se e, soprattutto, a processi che coinvolgono macro-molecole, in particolare quelle biologiche (biomacro-molecole), ad es. la denaturazione delle proteine o lo

srotolamento di acidi nucleici. Si trovano valori altidell’entalpia di reazione che riflettono solo marginal-mente il bilancio energetico dei legami rotti e formatie dipendono molto fortemente dalla temperatura. Inol-tre, anche l’entropia di reazione assume valori moltoalti e, per una forma di compensazione tra le duegrandezze, l’energia libera di reazione assume valoripiù modesti. I termini che si elidono, legati alla varia-zione dei gradi di libertà nel processo (e della capacitàtermica) sono sì associati al processo spontaneo, mabisogna concludere che non contribuiscono alla spon-taneità del processo. Infine, si hanno delle discrepanzetra la variazione di entalpia a p costante (pari al caloremesso in gioco) misurata calorimetricamente e ilvalore ricavato da misure della costante di equilibrio avarie temperature con il grafico di Van’t Hoff. Questeproblematiche di grande interesse anche biologicosono rimaste per ora circoscritte a ristrette cerchie dispecialisti mentre, non essendoci difficoltà particolar-mente gravi per capirle e descriverle, è bene, a nostroavviso, che entrino anche nel repertorio della didatticaa vari livelli.

Riassunto informativoLa variazione di entalpia in un processo chimico fisico,ad es. una reazione chimica, è uguale al calore messo ingioco nel processo se la pressione è mantenuta costan-te e se il salto di energia libera non è utilizzato perprodurre lavoro W’ di natura non espansiva (tramite unopportuno dispositivo, ad es. una pila, accoppiato allareazione). Per le reazioni più semplici questo ΔHriflette anche il bilancio energetico dei legami rotti eformati nella reazione. La rottura di legami nei reagentiporta ad un aumento di energia del sistema perchéoccorre fornire lavoro per realizzarla; invece, la forma-zione di nuovi legami nei prodotti porta ad un calo dienergia e ad una liberazione di calore.

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Gracido... striscio... sibilo... saltoDal punto di vista di rettili e anfibiGechi e altri arrampicatori

MARCO A. L. ZUFFI

Se a Pisa dici “terrantola” ti capiscono subito. Prova adirlo a Bergamo o a Catania. Magari ti guardano conbenevola compassione, magari no. Ma questa, la com-passione, non deriva dal capire il significato del nome,locale, poi non così diverso dal nome proprio italiano.La compassione si manifesta quando spieghi che leterrantole, si! proprio quelle, tu le studi. Apriti cielo.“Si studiano le terrantole?”“E a che serve?”“Ma non mordono?”Ecco, se ti arriva questa domanda hai in pugno il tuointerlocutore.Certo che mordono, ma solo se devono difendersi, sa!,un po’ come un passerotto!“Poverino...” E qui il gioco è fatto.A quel punto ce ne vuole di tempo per illustrare chequelle bestie strane, bianchicce la sera, scure di giorno,non ti cascano in testa, non sono pericolose, ma anzi cisono alcune persone in Italia che le studiano, e alcunedi queste, peraltro, percepiscono uno stipendio ancheper studiare rettili e tra questi anche i nostri gechi.Stiamo proprio parlando di gechi, in particolare dellaspecie di maggiori dimensioni che incontriamo inItalia, il geco comune, Tarentola mauritanica. E’ la speciedella famiglia dei Geconidi che annovera ben quattrospecie italiane, non esclusive però solo del nostropaese. Le altre sono l’Hemidactylus turcicus, l’Eulepteseuropaea e il Cyrtopodium kotschyi. La distribuzione deigechi in Italia è abbastanza diversa. Il geco comune el’emidattilo (Hemidactylus turcicus) sono abbastanza co-muni, diffusi lungo gran parte delle coste e delle zonecostiere italiane, ma assenti naturalmente in PianuraPadana, sulle Alpi e gli Appennini. In alcune localitàdella Pianura Padana, a Verona e Brescia, per esempio,il geco comune e l’emidattilo sono presenti con coloniestabili, di sicura introduzione, probabilmente a causa ditrasporto passivo. Il tarantolino, Euleptes europaea, èlimitato ad alcune delle isole dell’Arcipelago Toscano,alla Liguria, alla Toscana e alla Sardegna; il geco diKotschy è diffuso nella parte sud orientale della peni-sola, specificamente nella parte meridionale della Pu-glia. In realtà quest’ultima specie di geco è una speciedi relitto della distribuzione più occidentale della spe-cie: arriva dalla parte meridionale dei Balcani, quandoesistevano ponti di terra o, meglio, quando il livello delmare era molto più basso di come è ora. Al reinnalza-mento del livello del Mare Adriatico, le popolazioni

che abitavano quelle terre sono rimaste separate e leritroviamo ora solo in questa parte del nostro Paese.I gechi sono noti a tutti per le loro capacità di stare sumuri, pareti, soffitti in attesa delle loro prede, normal-mente falene, farfalle di piccola taglia, ma anche zanza-re, piccoli coleotteri, mosche, a volte anche piccoliimenotteri. I nostri gechi, in particolare modo il gecocomune, sono quasi sempre considerati tipici di casestoriche, vecchie o abbandonate, comunque associatialla presenza dell’uomo e ai lampioni, presso i qualistazionano, sfruttando la maggior frequenza di predepotenziali.L’aspetto delle lamelle sottodigitali è molto vario tra letante specie note al mondo (in figura uno schema dellemorfologia delle dita delle quattro specie italiane), mail sistema che regola la capacità di rimanere aderenti apareti di qualunque foggia e struttura è identica pertutte le specie. Si tratta di un particolare aspetto dellafisica della materia noto come forze di Van der Waals:tale sistema di forze interessa le attrazioni elettrostati-che, di induzione e di attrazione tra molecole nonpolari e superfici. Sono causate dalle correlazioni nellapolarizzazione fluttuante delle particelle vicine (comeconseguenza delle dinamiche dei quanti). Permettono,di fatto, di restare incollati con la superficie del mezzoconsiderato. In caso di forte umidità, la capacità adesi-va delle lamelle sottodigitali viene fortemente limitata.

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Il verziere di MelusinaLa quercia: di alcuni animali del querceto (parte quinta)

LAURA SBRANA

Mi son innamorato della bella forestapromiscua, dove briscola è la quercia…Lì vive un piccolo popolo minuto-ciascuno ha il suo cappuccio di ghiande-e gli scoiattoli roteano il bianco insanguinatodegli occhi in una ruota di spavento…O. Mandel’stam

“Sotto la grande quercia della Val Mala, fra le radici,vive tutto un popolo strano. Formiche brune, ricci,lumache, una faina. Si lavora continuamente giorno enotte...”, così esordisce lo scrittore marchigiano FabioTombari ne Il riccio uno dei suoi racconti de Il libro deglianimali, poema della zoologia esoterica, presentando,appunto, una parte di quel mondo che ha a che fare conla quercia ed il querceto, e prosegue: “appena è matti-no, le formiche in due lunghe file contrarie portano acasina ogni ben di Dio. Queste van sempre d’accordo.Il grande Platone, sdraiato in terra, ha imparato da lorola sua Repubblica. Ogni tanto la riccia torna a casa conun gran fascio di foglie sopra la schiena: è andata arotolarsi sotto le querce ed i castagni e tante foglie le sison infilzate sul dorso, tante ne porta a casa. E’stata su,come al solito, tutta la notte, ma ha ancora molto dafare, perché questo è l’ultimo giorno e deve preparareil letto per il gran sonno invernale. Il piccino suo,seduto su una radica di quercia, la guarda tutto conten-to. E’ simile a un minuscolo porcellino da latte, piùignorante di una talpa, e non sa niente, non capisceniente. Di giorno non è mai uscito…”.La quercia, con le sue profonde e grandi radici e la suafitta e larga chioma, e, a maggior ragione, il querceto,costituiscono da sempre un habitat privilegiato permolte specie di animali, alcuni, per gli antichi, addirit-tura di origine divina, come le colombe, le cicale, le apied i picchi. Alle colombe è già stato fatto cenno nellaprima puntata, per quanto riguarda le cicale, i Greci,che le amavano, le consideravano sacre ad Apollo e lechiamavano, oltre che tettix, anche dryokoitai = chedormono sulle querce, inoltre, a differenza dei Romani cuiil loro frinito era insopportabile, lo apprezzavano cosìtanto che lo paragonavano al suono della lira del dio:una traccia di tanta considerazione si può riscontareanche oggi nel nome scientifico della specie più grossadi cicale: Lyristes plebeius = suonatore di lira per il popolo.Anche le api, siccome a quei tempi, non essendoancora allevate, vivevano nelle cavità delle querce e,soprattutto producevano un miele che era considerato

divino, perché “costituito dalla rugiada mielosa checade dal cielo e che si posa di preferenza sulle fogliedelle querce”, erano sacre per i Greci che le chiamava-no melissai, lo stesso nome degli iniziati e delle sacerdo-tesse ispirate, specie quelle di Delfi ed Eleusi; inoltre,poiché questi insetti sembravano rinascere in primave-ra insieme con le querce dentro cui vivevano, nellareligione greca rappresentavano l’anima che, dopoesser discesa nelle ombre dell’Ade, si preparava aritornare sulla terra.Quanto al picchio (il nostro picchio nero, dal significa-tivo nome Dryocopus martius), prima di esser trasforma-to in uccello da Circe che, come racconta Ovidio nelleMetamorfosi, volle così punirlo di averla più volte respin-ta per fedeltà alla moglie Canente, era stato un anticore di Laurento nel Lazio, un giovane tanto bello da farinnamorare di sé tutte le Driadi. I Greci chiamavano ilpicchio dryocolaptes = che intacca le querce, oppure dryocopos= che picchia ripetutamente sulle querce e, spiegando questomartellare rabbioso sui tronchi con la volontà dell’uc-cello di rompere il malefico incantesimo, gli assegnaro-no una parte importante nell’ornitomanzia, infatti eraconsiderato profetico e si cercava di interpretare la“percussione che produce nella foresta un rumoreformidabile, un vero rullio di tamburi che si sente agrande distanza… e che non va confuso con il semplicemartellamento che tende a far uscire le larve dallacorteccia o dallo scavare il legno. E’ indubitabilmenteun segnale, un mezzo di comunicazione e di avverti-mento collegato all’eccitazione sessuale ed alla paratanuziale”. Per gli antichi una manifestazione così im-pressionante non poteva essere che un messaggioproveniente dagli dei e da far decifrare dagli àuguri!Sarà interessante ricordare che i Romani chiamavano ilpicchio martius, sia perché era l’uccello del mese dimarzo, sia perché era legato al dio Marte, se nonaddirittura un aspetto del dio stesso; secondo il mito,proprio un picchio portava a Romolo e Remo nellagrotta del Lupercale del cibo con cui integrare il latteche prendevano dalla Lupa..

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ANIMAT: l’Associazione di chiinsegna Matematica si presenta

WALTER MARASCHINI

Questo breve scritto ha un obiettivo semplice, chiaroe definito. Quello di presentare una associazione dapoco costituita: ANIMAT, associazione nazionale degliinsegnanti di matematica. Attenzione: non una asso-ciazione di matematici, ma una associazione tra coloroche insegnano la matematica, in qualunque ordine e grado.E coloro che insegnano matematica, nella maggiorparte dei casi, non sono matematici né si sentono tali.L’articolo, per la sede di NATURALMENTE in cui vienegentilmente ospitato, ha obiettivi derivati un po’ menosemplici: spiegare perché ci si rivolge a persone chemagari solo incidentalmente, e non per passione diret-ta, si ritrovano a dover insegnare matematica, come unaddentellato necessario, una stampella ineliminabiledel loro “fare scienza”, “diffondere scienza”, farneapprendere i rudimenti, i concetti, le procedure e imetodi, a studenti magari riluttanti. Ci si rivolge quindia persone che, qualunque siano la loro formazione e illoro principale interesse, professionalmente hanno ilcompito di far apprendere la matematica necessaria, lamatematica sufficiente.La Fisica, la Biologia, la Chimica, le Scienze della Terra,l’Astronomia…: le Scienze naturali sono discipline distudio, di ricerca e d’insegnamento tra loro vicine. Iconfini che le delimitano sono incerti, mobili, e cam-biano a seconda del grado di approfondimento e dellivello scolare di insegnamento. Le intersezioni traqueste discipline sono comunque molte. E spesso, condiversi abbinamenti di materie a seconda dell’ordine odel grado di scuola, sono le stesse persone che leinsegnano ad attraversare tali intersezioni. E’ dunqueindeterminato il baricentro. E’ anche dubbio se iltermine “scienze” sia da riferirsi al contenuto o almetodo. L’attributo “naturali” appare infatti per certiversi limitativo: perché per esempio la tecnologia el’ingegneria, che si applicano ad artefatti non naturali,dovrebbero essere espunti da un ambito scientifico? Eperché, viceversa, si sente “odore d’imbroglio” quan-do alcuni settori, per legittimarsi, si fanno modesti,diventando aggettivi del sostantivo “scienze”: non piùPedagogia, ma “Scienze dell’educazione”, non piùSociologia ma Scienze umane o sociali, non piùEducazione fisica, ma “Scienze motorie”?Da Galileo in poi, ma con uno sviluppo impetuosonell’Ottocento, le Scienze naturali, si sono dotate, oltreche di procedure di metodo e di controllo sempre piùdefinite, di un substrato linguistico e procedurale chesempre più si avvale di simbolismi e tecniche matema-

tiche: non soltanto esperimenti su basi numeriche, tracui quelle statistiche, ma formule, relazioni e dimostra-zioni logiche, forme di rappresentazione iconica mu-tuate dalla matematica. Qualunque sia l’ambito diinsegnamento scientifico, appare evidente che i terrenidella comunicazione tra umani e della rappresentazio-ne di concetti e procedure costituiscono una baseimprescindibile. Non si può realizzare educazionescientifica se non si costruiscono contemporaneamen-te competenze linguistiche; non si possono formarecompetenze linguistiche significative che vadano oltreil chiacchiericcio se non si formano solide capacitàlogiche, forme di ragionamento proporzionale, inte-riorizzate rappresentazioni simboliche, linguaggi più omeno formalizzati.

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Alan CutlerLa conchiglia del Diluvio. Niccolò Stenone ela nascita della scienza della TerraEd. Il Saggiatore, La Cultura, 2007, 219 pagg

(..)Marco Tongiorgi

Recensioni

Frank M. SnowdenLa conquista della malaria. Una modernizza-zione italianaEinaudi Storia, Torino, 2008, pp. 319

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Luciano LucianiPiero BianucciTe lo dico con parole tueLa scienza di scrivere per farsi capireZanichelli, 2008

(...)Enrico Pappalettere

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Le storie di FrancoMARCO PICCOLINO

E’ difficile nel mondo moderno rivivere l’emozioneche sul far della sera coglieva il viandante (pellegrino oviaggiatore che fosse), attardato e stanco per il lungocammino percorso tra strade e sentieri sperduti quan-do, per il sopraggiungere della sera, disperando ormaidi poter trovare un rifugio in cui ristorarsi e riposarsi,scorgeva infine di lontano una luce che, con il suoincerto bagliore, segnalava la sospirata presenza di unalocanda accogliente. Oltre che posto di ristoro e diriposo, la locanda era anche il luogo di incontro e, conl’incontro, era nei tempi passati anche spesso il luogodel racconto, in cui i viandanti si scambiavano infor-mazioni, parlavano di quello che avevano fatto e vistonel corso delle loro peregrinazioni, narravano storie eleggende ascoltate in lontani paesi.Il racconto orale è stato in effetti a lungo il mezzofondamentale con cui gli uomini hanno tramandato lestorie di avvenimenti che, trasformati in vario modo,contribuivano a dare uno spessore temporale più am-pio alla loro esistenza, a mantenere quella continuitàculturale che è alla base della civiltà umana. Conl’avvento della scrittura il racconto orale non è certoscomparso, anche se ovviamente ha preso forme di-verse. Sebbene molte delle fiabe o racconti di cuimamme e nonne (ma anche babbi e nonni in qualchecaso) si servono per addormentare figli o nipoti sonomolto spesso frutto di letture, non è del tutto infre-quente che si raccontino a volte storie e fiabe traman-date a memoria da una generazione all’altra.Io, che da bambino ho vissuto in un piccolo villaggiodi contadini ai piedi di una montagna, ricordo ancoracon molto piacere le lunghe serate d’inverno in cuimolti bambini si raccoglievano nella nostra casa perascoltare le fiabe che ci raccontava un anziano conta-dino, continuando la narrazione sera dopo sera, avolte per alcuni mesi. Erano storie che zio Lorenzo(nel nostro paesino tutti gli anziani erano, per noibambini, zii) non aveva letto da nessuna parte (nonsono neppure sicuro che sapesse davvero leggere). Ciraccontava quello che da bambino aveva sentito rac-contare lui stesso, e spesso, ne sono certo, aggiungevaqualcosa di sua invenzione, soprattutto -penso- quan-do noi bambini, affascinati da quelle storie, gli chiede-vamo di continuare ancora per qualche sera la narrazio-ne che ormai volgeva alla fine.Dopo gli anni dell’infanzia, lontana nel tempo e nellospazio, non pensavo che avrei potuto rivivere le emo-zioni del racconto di quel tipo, vicino a un focolare, conuna persona che narra storie che ha sentito raccontare

o, in alcuni casi, vissuto personalmente. Non lo pensa-vo, soprattutto perché mi era sembrato che, con ildilagare della televisione (e di altre forme di comunica-zione per immagini), il fascino e la possibilità stessadella storia raccontata a voce e in forma diretta volgesseormai alla fine. E invece ho avuto la fortuna per alcunianni di ascoltare storie che mi affascinavano, proprioseduto accanto a un focolare, in una locanda in cuigiungevo molto spesso sul far della sera, a volte quandoera ormai buio, spesso dopo aver ritrovato con diffi-coltà il sentiero tra boschi e fitte macchie, rivivendouna emozione simile a quella dei viandanti che giunge-vano alla locanda quando il giorno volgeva al tramon-to, in quell’ora incantata evocata da Dante nel cantoVIII del Purgatorio con le parole soavi di un innocristiano: Te lucis ante.Tutto questo è invece accaduto per me, almeno finchéè vissuto Franco.

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