Natura e paesaggio nella Provincia di Salerno

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itinerari alla scoperta della natura nella provincia di Salerno, dalla Costa Amalfitana al Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano passando per i monti Picentini

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La Provincia di Salerno persegue tra i propri obiettivi la realizzazione di un arti-colato programma di tutela e di valorizzazione dell’ambiente e dell’habitatnaturale. In tale contesto è stata conferita particolare importanza all’iscrizionedel Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano nella lista Unesco delPatrimonio Mondiale dell’Umanità insieme con le emergenze archeologiche diPaestum e di Velia con la Certosa di Padula. Tale ambìto riconoscimento se dauna parte rappresenta il frutto di una bella intuizione e di un meticoloso lavorodei promotori, per altro verso impone una nuova responsabilità alla classe diri-gente locale oggi impegnata a difendere il prestigioso risultato. È a mio avviso necessario individuare nel sistema delle Autonomie Locali i prin-cipali soggetti, attori delle strategie di promozione del territorio.Il ruolo della Provincia è di primaria importanza per il conseguimento di taliobiettivi. Le competenze in area vasta le consentono di rappresentare la natu-rale cerniera tra piccole e medie realtà amministrative e livelli istituzionalisuperiori: Regione, Governo Centrale, Unione Europea.L’azione di supporto, di assistenza e di accompagnamento che la Provincia diSalerno ha finora prodotto ha dato risultati di assoluto rilievo. Una diversa cul-tura dell’amministrazione pubblica, la sua trasformazione da soggetto “imposi-tivo” in soggetto di servizio all’utenza civica diventano il momento centrale diun percorso di sviluppo che ha già trovato riscontri sul territorio.La presenza nel salernitano del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Dianoconcretizza di per sé un’opzione fondamentale. La coscienza dei valori ambien-tali, le piccole realtà rurali, il paesaggio, le tradizioni, i prodotti tipici, la filieraenogastronomia, rappresentano riferimenti imprescindibili.Per tali motivazioni la Provincia di Salerno profonde il massimo impegno al finedi rendere sempre più operative e funzionali opzioni di sviluppo sostenibile:l’ambiente resta un valore aggiunto che non è più possibile sottovalutare.

Angelo VillaniPresidente della Provincia di Salerno

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Editore, direttore editoriale e artistico

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Coordinamento scientifico

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Direttore responsabile

Dario Coviello

Relazioni esterne

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Testi:

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Foto:

Alfio Giannotti

Editing

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Progetto grafico

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Il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di DianoQui la natura è protetta 4

I massicci e i montiVicini al cielo8

I fiumiLa linfa vitale della terra20

Oasi, parchi e aree protetteLa salvaguardia del territorio30

I fenomeni carsiciQuando l’acqua si diverte 42

Numero specialeIl Patrimonio Naturalisticodella Provincia di Salerno

I SITIENTE PARCO NAZIONALEDEL CILENTOE VALLO DI DIANOVallo della LucaniaPer informazioni:tel. [email protected]

VALLE DELLE FERRIEREA3 Salerno-ReggioCalabria, uscita Vietri, s.s.163 fino ad AmalfiIn alternativa:da Amalfi imboccarein direzione Ravelloaccesso da Pontone,fraz. di ScalaPer informazioni:tel. 089.876354Corpo Forestaledello Stato, Tramontitel. 089.876044

OASI WWFDEL PARCO NATURALEDIECIMAREA3 Salerno-ReggioCalabria, uscitaCava de’ Tirreni, s.s. 18seguendo le indicazioniper l’Oasi

Informazionie prenotazioni pressoil Centro Visitetel. e fax [email protected]

OASI WWFDEL PARCOINTERCOMUNALEDEL MONTEPOLVERACCHIOA3 Salerno-ReggioCalabria, uscita Campagna,seguirele indicazioniper l’Oasi WWFInformazionie prenotazionitel. 339.8090441

OASI WWFDI PERSANOA3 Salerno-ReggioCalabria, uscita Campagna,seguire le indicazioniper l’OasiInformazionie prenotazionipresso l’Oasitel. 0828.974684

OASI WWFDEL BOSCO CAMERINEA3 Salerno-Reggio

Calabria, uscitaBattipaglia, s.s. 18 in dire-zione Agropoli; a PonteBarizzo imboccare la s.s.11 in direzione Albanella Per informazionie prenotazionitel. 0828.781713cell. 339.7007418

OASI WWFDELLE GROTTEDEL BUSSENTOA3 Salerno-ReggioCalabria, uscita Padula-Buonabitacolo,direzione Sanza,proseguire per MorigeratiInformazionie prenotazioni pressoil Centro Visitetel. 0974.982223

OASI WWFDELLE GOLEDEL CALOREA3 Salerno-ReggioCalabria, uscitaBattipaglia, s.s. 18 e uscitaRoccadaspide, proseguireper Castel San Lorenzo eFelitto:il Centro Visiteè ubicato provvisoriamente

presso il ComuneInformazionie prenotazioni pressoil Comune di Felittotel. 0828.945028

GROTTE DI CASTELCIVITAA3 Salerno-ReggioCalabria, uscita Campagna,s.s. 19, dopo Serre imboc-care la s.s. 488 fino aCastelcivitaPer informazioni: Grotte di Castelcivita Srl,tel. e fax 0828.975524Ufficio Turisticotel. 0828.772397Pro Locotel. 0828.975467

GROTTE DELL’ANGELOA3 Salerno-ReggioCalabria, uscita Petinae seguire l’appositasegnaletica finoa PertosaPer informazioni:Pro Locotel. 0975.23298Comitato Grottedell’Angelo,tel. 0975.397037Comunetel. 0975.397028

S o m m a r i OS o m m a r i O

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Una roccia ardita che scende apicco da togliere il respiro; sullosfondo il mare che a marzo comin-cia a colorarsi del blu vivo dellestagioni calde. Su quella rupe,inarrivabile, se non da quegli spor-tivi che si arrampicano sullesuperfici più impervie, in lonta-nanza si intravede un mucchiettogiallo. Un binocolo per guardarepiù da vicino: è lei, la primula diPalinuro! Quando, nel dicembre 1991, fuistituito il Parco Nazionale delCilento e Vallo di Diano, i fondato-ri scelsero proprio la Primula pali-nuri come simbolo dell’istituzione,costituita con il non facile compi-to di vegliare sulle innumerevolispecie di flora e di fauna, endemi-che e non, che ancora popolanoquesto poco antropizzato angolodi mondo.Se con i numeri fosse possibiledescrivere un territorio, ecco alcu-ne cifre che riguardano il Parco:178.172 ettari di superficie; 1.898metri d’altezza il suo monte piùelevato e sei vette che superano i1.700 metri; quattrocento grotte;abitato da più di settantacinque-mila anni; milleottocento (almeno)specie di piante; otto fiumi in cuivive la lontra. Eppure tutto ciò non basta. La ric-chezza di paesaggi, di specie arbo-ree e floreali, che a loro voltadanno riparo e cibo a numerosissi-mi animali, i corsi d’acqua, lesplendide coste, le rocce, le grottee gli inghiottitoi che modellano ilterritorio: questi aspetti non pos-sono essere espressi in numeri e,probabilmente, neanche a parole.L’interno del Cilento è impervio, lafascia calcarea dei gruppi mon-tuosi del Cervati e degli Alburnihanno da sempre costituito unabarriera naturale verso la Puglia.Eppure, i loro crinali hanno vistovia vai di genti fin dalla preistoria.Già l’uomo di Neandertal, cherisiedeva nelle cavità rocciosedella costa cilentana, si spostavaverso gli Alburni alla ricerca dicacciagione. Nel primo Neoliticoinvece, se gli abitanti della riva tir-renica svolgevano i loro commercicon Lipari via mare, quelli delTavoliere pugliese raggiungevanoil Cilento lungo le strade dellatransumanza: i pascoli estivi mon-tani costituirono, dunque, il moti-vo per cui diverse genti vennero incontatto tra loro, inaugurandoscambi tra una parte e l’altradell’Appennino. Questi percorsi dicrinale furono abbandonati conl’avvento dei Romani, che costrui-

rono strade carrozzabili e ponti: laRegio-Capuam metteva in colle-gamento la via Appia, e dunqueRoma, con tutto il sud tirrenico,fino a Reggio Calabria, passandoper l’entroterra cilentano. Eppure,quando nel Medioevo divennenecessario ripararsi dai nemici, furipristinato l’arcaico sistema viarioche correva lungo le dorsaliappenniniche, e sulle montagnesorsero rocche, borghi e casalisparsi su tutto il territorio.Ma guardiamole da vicino questevette. I gruppi montuosi più inter-ni, gli Alburni e il Cervati, sono diorigine calcarea-dolomitica: ilcandido colore della roccia hafatto meritare ai monti Alburnil’appellativo di “Dolomiti delMezzogiorno”. Il massiccio è unamassa compatta, gli imponenticostoni rocciosi che ne dominanoil versante est, tra Postiglione eControne, si distinguono a occhionudo da chilometri di distanza.Risalendone i pendii, si attraversa-no fitti boschi: castagni, aceri eroverelle rappresentano il primoapproccio con una vegetazionericca e accogliente; più su, il verdeintenso dei lecci. Al di sopra dei1.000 metri - l’Alburno raggiungequota 1.742, mentre la vetta dellaNuda si eleva fino a 1.704 metri -dominano incontrastate le fagge-te. Un altro imponente massiccio èquello del Cervati, dove si trova lacima più alta del Parco Nazionaledel Cilento e Vallo di Diano (1.898metri), che dà il nome al gruppomontuoso. Il Cervati, che è ancheriserva naturale, è una delle areepiù incontaminate del Parco,famosa pure per le sue faggete,quasi impenetrabili, mentre le suequote più basse sono tinte di lilladalle praterie di lavanda. Questosplendido complesso naturaleoffre rifugio ad alcune specie ani-mali ormai rare sulla dorsaleappenninica, come il picchio nero,il gatto selvatico e il lupo.Ma a descrivere il paesaggio delParco Nazionale del Cilento e Vallodi Diano non sono solo boschi epraterie d’alta quota. Nelle areemaggiormente abitate risulta evi-dente, nel bene e nel male, lamano dell’uomo. Sulle colline, siaquelle costiere che quelle più arre-trate, è ampiamente diffusa la col-tivazione dell’olivo. Molto pregiatoè in particolare l’olivo pisciottano,un endemismo dalla chioma moltofolta e dal tronco alto, robusto emeno tortuoso rispetto ad altriulivi. Insieme ai muretti a secco

testo: Simona Mandatofoto: Alfio Giannotti

Qui la Natura è protettaIl Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano

Primule di Palinuro sullerocce dell’omonimo CapoPrimule di Palinuro sulle

rocce dell’omonimo Capo

Un cespuglio arborescente di EuforbiaUn cespuglio arborescente di Euforbia

Il frutto del Corbezzolo

Fioritura di Mirto

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guardia dall’alto sono gli antichiborghi di Sala Consilina, Padula,Teggiano e Polla, nati in posizioneelevata per sfuggire alle acquedella palude che occupava ladepressione.Eppure, non si pensi che la bellez-za del Parco Nazionale del Cilentoe Vallo di Diano sia solo nella suameravigliosa natura. Il rapportotra l’uomo e l’ambiente naturaleha prodotto la costruzione storicadel paesaggio, rappresentata daun lato dall’aspetto agricolo di cuidicevamo, e dall’altro dalla sacra-lità di alcuni luoghi, con celebra-zioni che risalgono ai tempi primi-tivi. Spesso queste sono state per-petuate nei secoli, come i riti diascesa devozionale al monteGelbison. In altri casi, le celebra-zioni si sono tramandate addirit-tura attraverso differenti culture ereligioni, come è stato per il montedella Stella. Il rilievo è situato suun promontorio, e in epoca grecaseparava le aree di influenza diPosidonia (Paestum) ed Elea(Velia). Alla sua vetta, 1.130 metri,si può accedere da numerosi cri-nali: la struttura orografica aforma radiale ha dato il nome alrilievo e, fin dalla preistoria, haattratto gli insediamenti intorno alsuo epicentro. Un sistema formatoda tanti piccoli abitati tenutiinsieme da quel fulcro ideale, su

cui il cattolicesimo si innestò, con-solidandolo. Prova ne è ancoraoggi il rito collettivo della “visitaai Sepolcri” del venerdì di Pasqua.Le confraternite dei comuni delmonte Stella si recano in proces-sione alle chiese dei vicini casali,per poi concludere nella propria:antichi canti ispirati alla Passionedi Cristo accompagnano il loropercorso. Questo itinerario circo-lare ha la funzione di tenere lega-ta una comunità, altrimenti dis-persa nelle tante piccole frazioniche coronano le pendici del monte. Proprio questa simbiosi tra l’uomoe il suo ambiente è ciò che ilProgramma MAB (Man andBiosphere) dell’UNESCO intendeconservare e preservare. Nel 1997il Parco Nazionale del Cilento eVallo di Diano è stato accolto nellaprestigiosa rete di Riserve dellaBiosfera. Se ciò non fosse bastato,il Parco è inserito, insieme ai sitiarcheologici di Paestum e Velia,nella lista del Patrimonio Mondialedell’UNESCO, nella particolaredefinizione di Bene Misto, sianaturale che culturale. Due impor-tanti riconoscimenti al ParcoNazionale del Cilento e Vallo diDiano per la sua natura viva e daproteggere, ma anche per il fonda-mentale ruolo sostenuto attraver-so i secoli, di territorio-cerniera frapopoli e civiltà.

che sostengono terrapieni e ter-razzamenti, questi preziosi sem-preverdi caratterizzano il paesag-gio agrario del Cilento. Il loroeccellente succo contribuisce allasana alimentazione degli abitantidel luogo, un’alimentazione rico-nosciuta a livello mondiale tra lepiù virtuose, con la definizione di“dieta mediterranea” inauguratanegli anni Cinquanta dal mediconutrizionista Ancel Keys. Sulle colline e lungo la costa cre-scono i carrubi, che spesso rag-giungono dimensioni maestose.Digradando ancora verso il mare,troviamo invece le aree in cui l’uo-mo maggiormente ha infieritosulla natura, con disboscamenti eincendi, per far posto a insedia-menti destinati ai turisti. Sullependici rimaste invece intatte, si èsviluppata la macchia mediterra-nea: gli arbusti di lentisco, corbez-zolo, mirto, ginepro, poi lecci ecerri formano splendidi ambientiin simbiosi con le rupi che, con labellezza di tutte le cose estreme, sigettano a strapiombo nel mare. APunta Licosa la roccia scura etagliente è sovrastata da una par-ticolare specie di conifere, il pinod’Aleppo, che, a opera del fortevento, cresce radente al suolo informe inaspettate e suggestive. Altri luoghi in cui la roccia e lavegetazione creano uno spettaco-

lo naturale sono Capo Palinuro e lacosta degli Infreschi, che va daMarina di Camerota a Scario. Apartire dal monte Bulgheria, infat-ti, il terreno è di natura calcarea,ma il fenomeno non è in continui-tà con quello dell’entroterra di cuisi è già parlato. Tra quelli e questo,v’è un’ampia fascia costituita dalcosiddetto flysch, terreno scivolo-so, come indica il termine derivatodal dialetto svizzero. Si tratta diun conglomerato di rocce di variotipo e provenienza, tenuto insiemeda un’arenaria: sedimenti formati-si sui fondali marini, che venneroin superficie a causa di movimentitettonici. Il flysch del Cilento èmolto diffuso in corrispondenzadel fiume Alento, ma costituisceanche la struttura del monte dellaStella, del monte Gelbison e delmonte Centaurino. Lungo le costealte appare con una fitta stratifi-cazione di rocce, dalle forme inso-lite e i colori rossastri, come alleRipe Rosse e a Punta Licosa. I dolciprofili in flysch formano un ottimoterreno per gli arbusti della mac-chia mediterranea, che vi cresconorigogliosi.Alla variegata conformazione delterritorio del Parco si aggiunge unulteriore panorama nel Vallo diDiano: la vallata acquitrinosabonificata dai Romani è oggi unafertile pianura coltivata. A far

Asfodelo giallo tra le praterie di alta quotadell’appenino salernitanoAsfodelo giallo tra le praterie di alta quotadell’appenino salernitano

Bacche di Biancospino tra la macchiadelle colline cilentaneBacche di Biancospino tra la macchiadelle colline cilentane

Ciclamini lungo i ruscelliCiclamini lungo i ruscelli

Crochi sulle pendici dei monti AlburniCrochi sulle pendici dei monti Alburni

Fioritura di Orchis Coriophora sui prati dei monti AlburniFioritura di Orchis Coriophora sui prati dei monti Alburni L’Orchidea Apifera dal fiore simile agli ImenotteriL’Orchidea Apifera dal fiore simile agli Imenotteri

Un campo di Papaveri nel Vallo di DianoUn campo di Papaveri nel Vallo di Diano

Cespuglio di Ginestra nella macchia collinareCespuglio di Ginestra nella macchia collinare

Fioritura di orchidea Anacamptis PyramidalisFioritura di orchidea Anacamptis Pyramidalis

Fioritura di Orchis TridentataFioritura di Orchis Tridentata

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E così, grazie alla buona volontà diqualche Pro Loco, negli anniOttanta si è cominciato a lavorarein questo senso, creando dei sen-tieri e pubblicando delle guide perescursionisti. Fino alla costituzio-ne, alla metà degli anni Novanta,della Comunità Montana deiMonti Picentini e di un ParcoNaturale Regionale e, nel 1999, diun Sistema Turistico Locale.Il massiccio ha un impianto oro-grafico ben definito, delimitato daarmoniose colline che ne addolci-

In alto: il monteAccellica vistoda Acerno. Inbasso: il borgodi Prepezzanodi Giffoni SeiCasali conalle spalle ilmassicciodell’Accellica.

Indomite regineI monti Picentini

Prima che l’automobile consentis-se di raggiungere ogni luogo colle-gato con una strada carrozzabile,era impensabile accedere allemontagne dei Picentini. Le note-voli altitudini, l’accidentalità delterreno e la scarsità di terreni col-tivabili hanno a lungo impeditoanche gli insediamenti nelle zone

più interne del massiccio. Tutte queste ragioni furono chiareanche a Giustino Fortunato, chenella seconda metà dell’Ottocentoragionava nel suo AppenninoMeridionale sui motivi dell’arre-tratezza di queste aree: “Sentii chela montagna è la regina dellanatura, regina indomita e superba,simbolo della sua forza e del suomistero, della sua purezza inconta-minata”, scriveva il celebre meri-dionalista a proposito di questimonti che ben conosceva, e di cui

frequentava da appassionatoescursionista le pendici.Una montagna regina, che decidefin dove vuole concedersi all’uo-mo: ancora oggi, quest’ultimo nonha avuto ragione di lei. Non perchéi mezzi a sua disposizione nonglielo consentissero, ma perché leposizioni di alcuni, consapevoli delruolo che la natura ha sulla quali-tà della vita dell’uomo e dellepotenzialità economiche che offre,aiutano a porre un freno alle atti-vità invasive.

Veduta daimonti Picentini

verso la valleomonima.

testo: Simona Mandatofoto: Alfio Giannotti

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Vicini al cieloI massicci e i monti

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scono i confini. La parte più meri-dionale del gruppo montuoso è dinatura dolomitica, con le massimevette del monte Accellica (1.660metri) e dei monti Mai (1.607metri), mentre più a nord preval-gono le rocce calcaree, che, nellaprovincia salernitana, si innalzanofino ai 1.790 metri del montePolveracchio. Quest’ultimo è con-tornato da alcuni piani d’altaquota, come il piano del Gaudo equello di Acerno, dove sono possi-bili rilassanti passeggiate.Per il fatto stesso che queste mon-tagne fossero impervie e inacces-sibili, la vegetazione ci è pervenu-ta nel suo aspetto quasi originario,certamente spettacolare. Diversi itinerari permettono diascendere al monte Accellica - ilpiù selvaggio dei Picentini - daAcerno o dalle Croci di Acerno.Risalendo questi sentieri, si rico-noscono faggi, aceri montani ebetulle; splendidi castagneti abi-tano questi pendii fino ai 1.000metri, e l’umido sottobosco ospitadistese di felci. Poi il faggio diven-ta incontrastato dominatore,soprattutto sul versante nord,dove il clima è più umido e fresco.I fianchi ovest e sud sono inveceabitati da cerri, carpini neri, lecci,olmi e tigli, e tra i 1.000 e i 1.500metri si incrocia un ontaneto puro.

Partendo da Acerno, Senerchia oCampagna si possono inveceeffettuare belle passeggiate sulmonte Polveracchio.Altri percorsi interessanti sonoquelli nel territorio di Giffoni SeiCasali, che, attraverso castagneti,congiungono i casali Sieti,Capitignano e Pre-pezzano. Inquel caso vale la pena anche sof-fermarsi, alla partenza o all’arrivo,nel borgo medievale recuperato diSieti. Una delle ricchezze del ParcoNaturale dei Monti Picentini stanel fatto che qui è raccolto il piùgrande bacino idrografico del SudItalia. Da questi monti hanno ori-

gine alcuni fiumi che percorronopoi i territori di altre province, idue corsi d’acqua che determinanoi confini naturali del massiccio,l’Irno e il Sele, infine il Tusciano eil Picentino. Sorgenti e corsi d’ac-qua caratterizzano ogni itinerarioche si decida di percorrere. E nonmancano le cavità naturali, createdall’azione erosiva delle acque ches’infiltrano nel terreno, per poicongiungersi alle sorgenti. Traqueste è interessante la grottadello Scalandrone sul lato meri-dionale dell’Accellica, formatadalle acque che alimentano la sor-gente del fiume Picentino. La grot-ta dedicata al culto di San Michelea Olevano sul Tusciano è notevolenon solo come fenomeno carsico,ricco di stalattiti e stalagmiti, maanche per le sette chiese che furo-no costruite nell’Alto Medioevo alsuo interno.Eppure, un tempo, queste monta-gne hanno fornito rifugio sicuro aibriganti: spesso furono mitizzatiper le loro azioni sovversive neiconfronti dei re, i vecchi, i Borbonee i nuovi, i Savoia, ma qualsiasimotivazione politica è lungi dalgiustificare i numerosi delitti cheessi perpetrarono. Celebre fu ilprimo rapimento a scopo estorsivoalla fine dell’Ottocento, ai dannidell’imprenditore svizzero Wenner.

Paginaprecedente.Paesaggio suSalerno e sullaValle delPicentino dalmonte Tobenna.In questa pagina.In alto:formazioni dimuschio sulmonte Accellicanei pressi dellagrotta delloScalandrone.Sotto: fiorituradi OrchisPurpurea aimargini dellafaggeta.

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addomesticamento dell’uomo, chesi è circondato di oliveti e frutteti.Laddove mancano i campi coltiva-ti, è la macchia mediterranea acaratterizzare il paesaggio, con isuoi lecci e gli arbusti semprever-di. Una delle tante meraviglie chequeste montagne riservano a chiha deciso di esplorarne le pendici,sono le cavità, gli anfratti e gliinghiottitoi frutto del carsismo: inmilioni di anni, l’acqua in abbon-danza ha perforato e segnato laroccia calcarea.I più noti fenomeni carsici degliAlburni sono le monumentali grot-te di Castelcivita e i laghi ipogei diPertosa, ma vi sono altre cavitàmeno famose nei pressi di Polla oa Sant’Angelo a Fasanella, e poi legrave del Serrone, quella dei Gattie numerose altre. La maggior parteè stata per millenni ricovero dellepopolazioni preistoriche che sali-vano su questi monti per cacciaree, più tardi, per condurre le lorogreggi in transumanza. L’uomo ha però saputo sfruttarecon intelligenza l’abbondanzad’acqua che c’è da queste parti:nella zona di Corleto Monforte e diCastelcivita si scorgono, a volteancora riconoscibili, altre profon-

damente trasformati, i mulini adacqua. Nei pressi di ruscelli e tor-renti si costruivano delle torri incui l’acqua, attraverso canali dipietra, veniva convogliata per ali-mentare poi il mulino. Se ne puòvedere un imponente rudere in

località Preta Tonna, ma anche neipressi di Postiglione, nelle frazionidi Moliniello e Aquara, dove learcate delle condotte e i torrinisono in ottimo stato.Riprendiamo il nostro camminoverso la sommità del massiccio

In alto: la torrecalcarea delmonte Figliolo.Sotto:fioritura di melo selvaticosul pianorodell’Aresta.

Bianchi guardianiI monti Alburni

Albus in latino significa bianco: èil candore delle rocce dolomitichedei monti Alburni ad aver fattomeritare il nome al massiccio. Inorigine era una fittissima coloniadi coralli formatasi in fondo almare, che i sommovimenti dellacrosta terrestre del Miocenesospinsero in alto. Oggi questemontagne hanno una conforma-zione compatta a costoni rocciosi,facilmente individuabili anche adistanza: in quel loro fiero ergersisomigliano a un esercito di guar-diani, salvo poi romanticamentearrossire e assumere i tenui coloririflessi del sole che sorge o tra-monta.In linea d’aria non siamo lontanida Paestum: il vento porta fin quila calda brezza marina di primave-ra, linfa vitale per i fiori che amarzo cominciano a punteggiare iprati e i boschi degli Alburni.Ginestre, rose canine e biancospinisono allietati dai variopinti volteg-gi delle tante specie di farfalle. Lafascia più bassa della montagna èquella su cui è evidente l’opera di

In alto: le pareticalcaree verso

ponente. In basso:

il pianoro diSanta Maria con

una fioritura di ginestre.

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tra natura ed espressione artisticadell’uomo.Quando l’altitudine fa sentire ilfresco, incontreremo i dominatoriassoluti della montagna al di sopra

dei 1.000 metri: i faggi in immen-si boschi puri, fitti, talvolta impe-netrabili, fin sulle vette. La più altaè quella del Panormo o monteAlburno con i suoi 1.748 metri, ma

la Nuda è di poco meno alta (1.704metri); più a sud si staglia come unmonolite la splendida roccia delFigliolo.Nel sottobosco delle faggete vivo-no le beccacce, da sempre vittimadei cacciatori, i picchi verdi, i rossimaggiori e alcuni picchi neri.Qualche coturnice è sopravvissutaai ludi venatori dell’uomo, mentresulle rupi più elevate nidificano esorvegliano, in tutta la loro com-posta imponenza, i falchi pellegri-ni, i gheppi, le poiane, i nibbi brunie reali. In questo contesto di natu-ra incontaminata vive ancoraqualche esemplare di lupo.Ridiscendiamo e passiamo su untratto della via che fu costruita daiRomani, la Capuam-Reghion, cheoggi si chiama, in maniera moltopiù asettica, Statale 19, e scopria-mo che il versante orientale deimonti Alburni, a differenza dell’al-tro, è scosceso. Concludiamo ilnostro giro a Petina, la città chedeve il suo nome agli imponentiboschi di abeti bianchi risalentialle glaciazioni del Quaternario,oggi solo un ricordo, testimoniatodagli scritti di Plinio.

In alto: la sculturarupestre Antecesu CostaPalomba.Sotto: bosco difaggio tra Ottatie Castelcivita.

alburnino. A mano a mano che sisale, pare che la montagna ripren-da il suo scettro, mentre l’uomo èsolo suddito. Vassalli e valvassorisono gli abitanti autoctoni di que-ste pendici: imponenti castagnicon un sottobosco di felci, roverel-le, carpini, aceri e lecci, e poi i fiorigialli dei cornioli.Sul versante nord-orientale dellamontagna che va verso Sicignanodegli Alburni, il fitto della macchiasi apre a piccole radure: in questispazi assolati trovano le condizio-ni giuste per fiorire in primavera leorchidee selvatiche, sempre sor-prendenti per gli innumerevoli eincantevoli colori e forme. Anchetra Castelcivita e Ottati si apronodei pianori, molto più ampi deiprecedenti, e pieni di assoluto

fascino: sono i pianori di SantaMaria e Campo Farina. Più a sud è invece il panoramamistico di Costa Palomba: tra lerocce dolomitiche che spuntano in

sculture naturali, una è stata scol-pita invece da una remota mano,probabilmente in epoca lucana (Vsecolo a.C.), nella forma del guer-riero Antece. È la perfetta simbiosi

In alto: pozzad’acqua sulpianoro di

Campo Farina.In basso: pozzo

in pietrain località Pozzidi Santa Maria.

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cola colonia, ravviva il naturalesilenzio del pianoro.Contraddistingue in modo parti-colare questi crinali il carsismo, lamillenaria erosione delle roccecarbonatiche a opera delle acque.Ne sono una testimonianza lenumerose grotte, le doline e tuttiquei fenomeni, divenuti nei topo-nimi locali “raia” o “raio”, a descri-zione di strapiombi e corsi d’acquache fluiscono in gole profonde eincassate, tra cui lo stesso fiumeCalore. Gli speleologi hanno individuatopiù di centotrenta grotte, in moltedelle quali hanno scoperto pozziinterni con depositi di ghiacciofossile o fiumi ipogei.La fatica di salire fin quassù, nonimporta se ispirata dalla fede odall’amore per la natura, è sicura-

mente ripagata. Dalle creste roc-ciose a 1.898 metri d’altitudine siha una vista emozionante: guar-dando verso nord, si vedono inse-guirsi la vetta del monte Motola equelle degli Alburni; volgendo losguardo un po’ più a est, si sorve-glia sull’intero Vallo di Diano.Sul monte Motola, nella propaggi-ne più settentrionale del massic-cio, alcuni abeti bianchi residuitestimoniano di ben più esteseabetine, eredità delle glaciazionidel Quaternario.Anche se viene sempre associatoal Cervati, con la sua strutturageologica formata da flysch - unamassa di rocce di diversa deriva-zione, tenute insieme da pietraarenaria -, il monte Gelbison èun’inattesa interruzione tra i ban-chi calcarei del Cervati e del

monte Bulgheria. Data la differen-te qualità del terreno, le acque dicui è ricco non si inabissano incavità carsiche, al contrario flui-scono in superficie, rendendo par-ticolarmente lussureggianti questideclivi. Il clima, gli aspetti geologici enaturalistici hanno fornito dasempre a questa montagna unaspetto sacrale, che si è traman-dato attraverso i secoli. Su questavetta, chiamata anche monteSacro, nel X secolo alcuni padribasiliani fondarono un santuario;ancora oggi continua la tradizionedelle ascese devozionali, fatte apiedi scalzi, intonando litanie esorreggendo sulla testa alcunidoni, fra cui la “centa”, una speciedi culla formata da candele, cherappresentano il Bambino Gesù.

In alto:il massicciodel Cervati.sotto:sentieroprocessionalesul monteGelbison.

Selvaggi decliviIl massiccio del Cervatie il monte Gelbison

Il monte Cervati era il “monte deicervi”, dai mammiferi che l’hannoabitato fino a meno di cinquan-t’anni fa, prima che i fucili lifacessero estinguere definitiva-mente, così come è accadutoanche ai caprioli.La cima che dà nome al massiccioè la più alta del Cilento e dellaCampania: pochi metri prima dellavetta, una grotta ospita laMadonna della Neve, motivo, dasecoli, di devoto pellegrinaggio dimigliaia di persone che ogni esta-te, salgono a piedi dai centri avalle; alcuni portano su, per peni-

tenza, anche un sasso, che deposi-tano poi sul “monte di gioia”, uncumulo di pietre formato neisecoli dai devoti. Partendo da Piaggine - magari inauto per alleggerire la salita - siattraversa dapprima un bosco diquerce, poi ampi pianori incolti.Una strada sterrata costeggia ora icontrafforti rocciosi del Cervati adestra, e le valli solcate dal fiumeCalore a sinistra, di cui un’ampiafascia di lecci copre il letto allavista dall’alto. Si giunge a unasplendida prateria che in primave-ra è un tappeto lilla di lavanda.Superatala, comincia il bosco fittodi ontani napoletani, che prestolascerà il posto alla faggeta pura:vera regina di queste pendici è laforesta dei Tamponi, migliaia diettari di faggi ad alto fusto, uno

spettacolo mozzafiato, un incon-tro con la natura primordiale. Unavegetazione così imponente e sel-vaggia è l’habitat ideale per unafolta fauna: martore e volpi sgat-taiolano nel sottobosco, mentretamburellano i picchi muraioli chescavano col becco i loro nidi nellerupi. Ma soprattutto vivono quialcune specie ormai rare sulla dor-sale appenninica, come i picchineri, i gatti selvatici e i lupiappenninici: in inverno, la neveabbondante ne rivela talvolta ilsilenzioso, temuto passaggio. Nelle radure, invece, vivono lelepri appenniniche, un endemismoindividuato di recente. Il cielo èsorvolato dall’aquila reale, a cac-cia, tra le altre prede, di coturnici;lo squillante verso dei gracchicorallini, presenti qui con una pic-

Prateried’alta quota

sulla vettadel Cervati.

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mente esposto alle temperaturecalde e alla presenza dell’uomo, haun aspetto completamente diffe-rente: a parte qualche residuo diquercete, il panorama è caratteriz-zato dalle piantagioni a ulivo. Nonper questo però, il declivio risultameno bello, anche gli ulivetiargentati fanno ormai parte delpaesaggio della costa cilentana edel tratto sovrastato dal monteBulgheria.La posizione isolata del monte e lapresenza dell’uomo hanno fatto sìche gli animali abbandonasseroqueste pendici. Tra la Baia degliInfreschi e Scario invece, in unaprofonda incisione di origine tet-tonica, il Vallone del Marcellino, si

è sviluppato un microclima tale daconsentire non solo alla macchiamediterranea, ma anche a lecci ecastagni, di crescere e di ospitaretassi, volpi e i loro predatori, ilfalco pellegrino e la poiana.Non si può non riconoscere, tutta-via, alle rocce lo scettro di questoangolo di golfo, la cui ricchezza dicolori dipende in gran parte anchedal loro contributo. Il nero delledolomie triassiche si alterna albianco dei calcari, al giallo dellamarna e al rossiccio dei residui diflysch, in un tripudio di stratifica-zioni e riflessi cromatici. Rocceche la natura ha voluto folte dicavità, in cui l’uomo, o meglio, isuoi antenati hanno potuto trova-

re riparo, integrandosi con questanatura e facendo di questo il lorohabitat. La grotta della Serratura,quella della Cala, il Riparo delMolare di Scario sono solo alcunidei numerosi antri in cui sono statirinvenuti reperti che raccontanol’evoluzione del genere umano dalPaleolitico inferiore (cinquecento-mila anni fa) in poi, i cambiamen-ti delle specie e lo sviluppo delledifferenti tecniche: visitandole sipuò capire l’importanza di certipassaggi per l’avanzamento cultu-rale dell’uomo.Ma più in alto di tutti, un po’ ere-mita, un po’ principessa inarrivabi-le, splende al sole la Primula diPalinuro.

Le rupidai mille coloriIl monte Bulgheria

Dopo l’interruzione geologica delflysch presente nel monteGelbison e più a nord nel montedella Stella, riprende, in idealecontinuità con gli Alburni e ilCervati, la roccia calcarea nel pro-montorio sul quale si erge il monteBulgheria. Dalla sua finestra privi-legiata sul golfo di Policastro, que-sta vetta vide il passaggio dellanave del grande Ulisse, e assistet-te all’insolito esperimento del re diItaca di farsi legare all’albero della

sua nave per poter ascoltare, eresistere, all’ammaliante richiamodelle sirene. In lontananza potéanche vedere la fine di Palinuro,timoniere della nave di Enea,addormentato dal dio del sonnoMorfeo, cadere in mare e perireucciso dagli abitanti della costa,che lo scambiarono per un mostromarino.Paradisiaco. Una sola parola, per-ché anche mille non basterebberoper descrivere i paesaggi che sigodono da quassù, con il blu delTirreno a 180 gradi davanti, e peril resto le valli del Mingardo a norde del Bussento a sud, le rispettivevegetazioni, le rocce che stra-piombano nell’acqua. Sul versante

nord di queste aspre pendici, dopouna folta lecceta, si incontra unaltopiano, terra di conquista diuna tipica vegetazione rupestre:l’arida gariga mediterranea, che inprimavera viene però inondata dalprofumo della lavanda, e maculatada orchidee selvatiche di diversespecie. Alle quote più alte incon-triamo il bosco. Ma diversamenteda quanto avviene per la maggiorparte dei monti del Cilento, quinon si sono formate faggete: perla vicinanza del mare, mancano laforte umidità e la temperatura fre-sca di cui necessita questa latifo-glia, e il bosco assume la formadell’ontaneto. Il versante meridionale, maggior-

Le paretidolomitiche

del monteBulgheria.

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prodigo nutritore, dalle valli inter-ne al bacino idrico del pescosomare di Paestum, fu innalzato unaltare a Hera Argiva, la dea cheproteggeva il parto e i figli, maanche i giardini e i raccolti. Laveneratissima dea reggeva inmano una melagrana, simbolodell’amore e della fertilità.Oggi il contributo di questo fiumenon riguarda solo le comunità dis-tribuite intorno al suo bacinoidrografico e la costa cilentana,ma anche la Puglia, alimentata daun acquedotto che capta le sueacque poco dopo la sorgente, neipressi di Caposele, e le trasportanella vicina regione. Così che illivello del Sele ne risulta notevol-mente ridotto, fino alla confluen-za con il Tanagro. Una confluenzache non era naturale, ma che èstata voluta e realizzata dall’uo-mo, più precisamente da un inge-gnoso, e ottimo ingegnere idrauli-

In alto: il bosco igrofilolungo il Sele.

Chiaree pescose acqueIl Sele, il Tanagroe il Calore

I più grandi viaggiatori del passa-to, da Plinio a Strabone, passandoper Virgilio e Silio Italico, raccon-tarono nei loro scritti del fiumeSiler, quello che i Greci prima diloro chiamavano Silaros, ed eraconsiderato alla stregua di unadivinità. Questo si spiega con ilfatto che le sue acque erano linfaper un lungo tratto di territorio,dai monti Picentini fino alla suafoce nei pressi di Paestum. E proprio qui, al suo sfociare inmare, i Greci avevano costruitouno dei santuari più frequentati:nel suo punto terminale, dovel’acqua si ricongiunge all’acqua,continuando così nel suo ruolo di

In alto:J.P. Hackert,

Traghettosul Sele.In basso:

un tratto delSele nei pressi

dell’Oasi diPersano.

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La linfa vitale della terraI fiumi

testo: Simona Mandatofoto: Alfio Giannotti

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In alto: pratiallagati lungoil Tanagro.In basso: salicebiancolungo le rivedel Tanagro.

co, dell’epoca latina. A lungo il Vallo di Diano avevacostituito una barriera insormon-tabile, anche il toponimo lo ricor-da, poiché il nome latino da cuideriva vallo significa “trincea”, nelsenso di limite invalicabile. Ilfiume Tanagro, che l’attraversava,trovava lungo il suo percorso lavalle sbarrata all’altezza di Polla, eriusciva a trovare sfogo solo inalcuni inghiottitoi, per poi ricom-parire in diversi punti del massic-cio degli Alburni: la sua risorgivapiù conosciuta è quella ipogea diPertosa. Spesso, però, quelle viesotterranee si ostruivano, e ilfiume invadeva la valle, trasfor-mandola in un acquitrino inacces-sibile e paludoso.Nell’ambito della costruzione della

via che da Capua portava fino aReggio Calabria - una strada chedoveva consentire il controllomilitare e la penetrazione econo-mica nell’Italia meridionale - iRomani intrapresero un’impegna-tiva opera di bonifica del vallo. Anord tagliarono le rocce per dareal Tanagro un nuovo e più comodoletto, che ne faceva confluire leacque nel Sele. Da allora, il Vallodi Diano (Diano era il nome anticodi Teggiano) fu trasformato in unaflorida valle coltivata, quale èrimasta fino a oggi. E sono proprio i canali d’irrigazio-ne dei campi il motivo per cui,oggi, molte specie di uccellimigratori si fermano in sosta, poi-ché in questi acquitrini trovanocibo in abbondanza (insetti, larve,

anfibi). Negli ultimi anni, inoltre,su queste sponde sono tornate lecicogne, assenti ormai da alcunecentinaia di anni da tutto il sudItalia, e tra Teggiano e SalaConsilina nidificano, tra lo stuporee l’ammirazione di tutti.Poco distante dalla Certosa di SanLorenzo, sulla sponda orientale delfiume, una sorgente divenne luogodi culto fin dall’epoca greca,quando vi si celebrava la nereideLeucothea, la mitica nutrice diDioniso. Questo luogo sacrodivenne nei secoli un importantepunto di riferimento, intorno alquale si sviluppò un mercato cheattirava Greci e genti italiche. Inepoca cristiana il mercato si incre-mentò, mentre al culto pagano fusovrapposto il rituale del battesi-

In alto,a sinistra: i resti

di un anticomulino nei

pressi delleGrotte

dell’Angeloa Pertosa.

In alto, a destra:scorcio del

Tanagro con lespiaggette di

ciottoli.Sotto: il bosco

ripariale sulTanagro.

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te Lucano per distinguerlo daquello Irpino - è rimasto avvan-taggiato dall’essere stato a lungofiglio di un dio minore, e oggi, inquanto “fiume naturale”, offre unbene impagabile, che potrebbeessere sapientemente trasformatoin fonte economica. A patto che losi faccia nel pieno rispetto del suoecosistema.Le sue acque vengono captate daun acquedotto appena dopo la suasorgente dal monte Cervati, peressere poi distribuite in gran partedel Cilento. Così la portata d’ac-qua è chiaramente limitata quan-do il fiume attraversa una primagola nei pressi di Piaggine.Ciononostante, le pareti calcareeche, alte, ne accolgono l’alveo,creano un effetto mozzafiato,mentre sullo sfondo si stagliaimponente il Cervati. Ma questo èappena un saggio. Dopo essersiarricchito delle acque di alcunesorgenti, percorre un’altra gola neipressi di Laurino: qui è un tripudiodi salici e ontani neri lungo il suoletto di roccia, che cedono il postoa fasce di carpini e, infine, al verdecupo della lecceta. Poco dopo, ilCalore tange il bosco di Campora,una primordiale foresta di latifo-glie che non ha conosciuto l’uo-mo: querce dalle dimensionigigantesche contano qualche

secolo di vita. Ai piedi di Magliano Nuovo è ilpasso della “Preta perciata”, doveun tempo si era sottoposti alpagamento di un pedaggio peraccedere alla valle del Calore.Poco dopo, un ponte medievale,detto “a sella d’asino” per la formadel suo fornice, permette un saltoindietro nel passato: si è conser-vato praticamente intatto, e,vedendolo combinato alla naturaspontanea d’intorno, il visitatoreha l’impressione di camminare trale irte vie del Medioevo. Poi unastretta gola, una cascata e il pontenaturale detto “Preta tetta”. Sonole gole di Felitto, le più conosciu-

te, anche se è difficile decretareuna bellezza ancora superiore alleprecedenti; certamente è al loropari.Nei pressi di Ponte Barizzo ilCalore si immette nel corso delSele, per percorrere insieme pochi,ultimi chilometri. Attraversano icampi coltivati della piana bonifi-cata del Sele, passano accanto airesti del tempio della bella Hera (icui reperti più preziosi sono con-servati al Museo Archeologico diPaestum), tra i quali, lente, pasco-lano le bufale. Con un estuariotermina il percorso del Sele, 64chilometri di anse, cinguettii efrusciar di rami.

Al centro:un tratto delfiume Calore.

mo: al IV secolo risale il suggesti-vo Battistero di San Giovanni inFonte, la cui particolarità è diessere circondato dall’acqua, chefluisce al suo interno tramite delleaperture andando ad alimentare lapiscina quadrata.Quando il Tanagro e il Sele siincontrano, quest’ultimo ha giàricevuto le acque di Contursi, lecui sorgenti sulfuree e calcareeproducono un particolarissimofenomeno di sedimentazioneminerale. L’empirico Aristoteledescrisse le particolari proprietàdell’acqua del Sele in quel punto,senza riuscire a darvi una spiega-zione razionale: qualsiasi oggettoche cadesse nelle sue acque,prima galleggiava e poi si indurivacome pietra. Solo la scienzamoderna ha potuto spiegare che isali di zolfo e i vari calcari si depo-sitano, originando l’insolito feno-meno.Per la limpidezza delle sue acque eper la fauna che, in conseguenza,ne popola le rive o l’alveo stesso, ilbacino del Sele è considerato unecosistema complesso e di elevatovalore naturalistico, ed ha avutoimportanti riconoscimenti chemirano alla sua salvaguardia: l’al-ta valle e la foce del fiume Selesono stati inseriti nella lista italia-na dei Siti di Importanza

Comunitaria (SIC), in attuazione diquanto previsto dal programmaeuropeo Natura 2000, mentre laRegione Campania ha ritenutoopportuno tutelare l’area istituen-dovi, nel 1993, la Riserva NaturaleFoce Sele Tanagro. La purezza diqueste acque è talmente rinoma-ta, che in pittura una particolaretonalità è definita “verde Sele”,con riferimento al colore smeral-dino del loro fondale. La porzionedi fiume più interessante dalpunto di vista naturalistico è cer-tamente quella sita in corrispon-denza di Persano, antica riserva dicaccia dei Borbone, oggi trasfor-mata in un parco naturale gestitodal WWF. L’antica natura paludosadell’area ne aveva da sempredeterminato la naturale destina-zione a luogo di accoglienza permigliaia di uccelli durante la loromigrazione. Oggi la zona è bonifi-cata, ma una barriera crea un lagoartificiale, e queste anse conti-nuano a svolgere quell’importanteruolo di stazione di sosta dell’avi-fauna proveniente da tuttaEuropa. I detriti di natura ghiaiosae sabbiosa trasportati dall’acqua sidepositano a ridosso della diga,formando strisce di terre emerse:su queste si forma una vegetazio-ne, fatta dapprima di giunchi ecanneti, che a loro volta determi-

nano un ulteriore compattamentodei detriti, preparando il terreno albosco igrofilo, fatto di salici, onta-ni e pioppi. Quale ricchezza diinsetti, anfibi e rettili ne possaderivare lo dimostrano le tantespecie ornitologiche che, in talunicasi, hanno eletto queste sponde aloro sede stanziale.Poco dopo essere uscito dal terri-torio dell’Oasi di Persano, il Seleincontra il suo secondo grandeaffluente: il Calore. Per secolioffuscato dal fratello maggioreSele - maggiore, in realtà, solo perfama, ma non per abbondanza diacqua, vegetazione e fauna - èstato per secoli ignorato dalle cro-nache di storici e dagli studi dibotanici. Per contro, la sua parti-colare natura lo rende uno dei piùinteressanti sia da un punto divista geomorfologico che natura-listico. Il fatto di essere rimastosempre ai margini, consente, però,a noi oggi di conoscerlo nel suoaspetto inalterato, un percorso inun paesaggio e in una natura diselvaggia e sorprendente bellezza,a differenza del “maggiore”, cheha visto insediamenti industrialinella sua parte più alta (ma i refluiscorrono in un condotto, salvandocosì l’intero percorso del Sele dailoro malefici flussi).Il Calore - definito impropriamen-

In alto,a sinistra: un

tratto del fiumeCalore nei pressi

delle omonimegole.

In alto, a destra:il bosco ripariale

lungo il Calore.

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cambio, come in questo caso, di unposto privilegiato in prima filadavanti a uno splendido mare.Dalla strettissima gola del Diavolo,fra alte e ripide pareti calcaree incui l’acqua comincia a scendereveloce verso il mare, si accede allavalle interna del fiume. Passiamoattraverso un tunnel scavato nellapietra, e subito scorgiamo, lungo ilprofilo di uno sperone roccioso,altri ruderi, un castello e un picco-lo centro, completamente costrui-to in pietra e evidentementeabbandonato. Un tempo, SanSeverino di Centola controllava lagola del Mingardo, facile via dipenetrazione dalla costa, affinchéla sua popolazione potesse difen-dersi dalle incursioni saracene e, al

Paginaprecedente.In alto, a sinistra:pino d’Alepponei pressi dellafoce dell’Alento.Al centro:un tratto delMingardo neipressi di SanSeverino diCentola.In basso: il pontemedievale sulrio Casaletto.In questa pagina.In alto: alcuni olivilungo l’invasodell’Alento.In basso: le forredel fiumeMelandro neipressi diCaggiano.

Una rete d’acquaI fiumi minori

Se i corsi del Sele e dei suoi prin-cipali affluenti destano l’ammira-zione di escursionisti e naturalisti,anche altri fiumi del territorio checirconda Salerno, sebbene minoriper portata e lunghezza, possonocompetere con tali meraviglie.Partendo da sud, in un itinerarionon certamente percorribile in unagiornata, ma, che piuttosto segueun percorso geografico ideale chedescrive i beni naturalistici “mino-ri” del territorio, partiamo dallacosta nei pressi di Marina diCamerota: andiamo in direzione diCapo Palinuro, gli occhi fedelmen-

te rivolti a sinistra, ad ammirarequeste splendide rocce calcareeche digradano dal monteBulgheria. Prima ancora che si formi la peni-sola, ci imbattiamo nella foce delfiume Mingardo, separata da quel-la del Lambro dal piccolo promon-torio della Molpa. Qui, tra gliintensi profumi di lentisco, si indi-viduano ancora i ruderi di uncastello che sorvegliava un anticoinsediamento, distrutto ripetuta-mente da Saraceni e pirati. Laparte orientale della foce delMingardo è ricoperta da splendidiboschi di pini d’aleppo, una coni-fera tipica del Mediterraneo, che siaccontenta di poco per vivere, dirupi inospitali e terreni calcarei, in

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pomodori San Marzano (chehanno ricevuto il prestigioso rico-noscimento DOP), i carciofi diPagani, il vino della sepoltaPompei. Il fiume Sarno era venerato dagliantichi abitanti di Nuceria per lasua generosità incondizionata. Inmolte case messe in luce dagliscavi archeologici, sono emersiaffreschi che divinizzavano il

Sarno: Svetonio ha tramandato laleggenda del giovane EpidioNuncionio, che si tuffò in questeacque e ne venne fuori con lenodose corna sul capo, attributodelle divinità fluviali: da allora fuvenerato come dio protettore ditutta la valle del Sarno e diNuceria stessa, colui che ne deter-minava floridezza e abbondanza.L’Autorità di Bacino del Sarno, isti-

tuita nel 1989, ha eseguito tuttigli studi necessari per poteraffrontare i difficili lavori di depu-razione e ripristino, e da qualchetempo ha avviato i lavori veri epropri.Noi restiamo nell’attesa e nellasperanza che presto queste rive equeste acque possano tornare alloro antico splendore. Che il dioSarno vegli su di loro.

In alto:un tratto delfiume Sarnocon pioppetie cannuccedi palude.In basso:Filippo Palizzi,Lavandaie sulSarno.

tempo stesso garantirsi il control-lo dello sbocco a mare. Dopo unlungo periodo di declino, alla metàdel secolo passato, il paese fuabbandonato dai suoi ultimi abi-tanti. Inerpicandosi sull’insellaturache ospita San Severino, si puòscoprire il fascino di un villaggiomedievale che ha conservatomolto della sua originaria costru-zione.Risaliamo ancora la costa, passan-do per il borgo medievale diPisciotta e poi Velia: gli scaviarcheologici dell’antica Elea grecatestimoniano di un luogo e unaciviltà che hanno dato un forteapporto allo sviluppo della culturaoccidentale, soprattutto al pensie-ro filosofico e scientifico. Ai piedidel monte della Stella troviamoun’altra foce, quella dell’Alento, ilcui nome ha probabilmente origi-nato il toponimo di questo enormeterritorio: Cis Alentum, al di làdell’Alento, il Cilento. L’estuariocade proprio in prossimità di Elea,l’antica città dai due porti.Risalendone il corso si aggira ilmonte della Stella sul versanteorientale.Dagli anni Novanta, una barrieraartificiale costruita per il riforni-

mento d’acqua del Cilento, hacreato un invaso tra i paesiCicerale e Perito: dalla trasforma-zione del paesaggio si sono origi-nati insoliti ma piacevoli scorci diulivi affacciati sul letto del fiume.Questo nuovo lago attira già alcu-ne specie di uccelli, cormorani ininverno, svassi maggiori in prima-vera e aironi cenerini durante lamigrazione; ma, certo, negli anniprossimi il bacino è candidato atrasformarsi in un attrattore pernumerose altre specie ornitologi-che, così come è stato per l’invasodi Persano.Superiamo a pie’ pari la valle delSele, di cui abbiamo già parlatoaltrove, fermandoci al suo confinesettentrionale: nei pressi diPontecagnano, laddove sbocca ilPicentino. Il nome di questo fiumeminore, uno dei tanti anche benpiù grossi che si originano sulmassiccio omonimo, deriva dal-l’antica Picentia, una città e unapopolazione di origine adriaticache viveva su questo litorale, inforte contrasto con i Romani:all’arrivo di Annibale, essi si schie-rarono decisamente dalla suaparte. Questo costò la distruzionedella loro capitale e la dispersione

sul territorio di quei monti chepresero da loro il nome. Dallaghetto della grotta delloScalandrone, nel comune diGiffoni Valle Piana, si forma la sor-gente principale del Picentino. Nelsuo tratto più alto, alcuni dislivellicreano precipitosi salti d’acqua,accompagnati da una vegetazionespontanea di faggi, ontani, carpini,frassini e aceri. Le sue acque, untempo ricche di anguille, oggi sonoconosciute per l’abbondante pre-senza di trote fario: ciò è possibilegrazie al fatto che nella zona nonsono presenti industrie che, altri-menti, comprometterebbero l’e-quilibrio biologico del fiume.L’economia di questo territorio è,infatti, soprattutto agricola: noc-cioli - la “tonda” di Giffoni è ilfiore all’occhiello di questa zona -noci e castagni a monte, frutta everdura nei fertili campi a valle,determinano un paesaggio natu-rale di tipo agreste. Concludiamo il nostro giro tra leacque di questa provincia, che ciha fatto scoprire angoli di naturaincontaminata e selvaggia.Arriviamo nell’Agro Nocerino-Sarnese, terra fertile e generosa, dicui sono famosi in tutto il mondo i

Uno scorciosull’invasodell’Alento

con le collinecilentane.

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L’acqua che non arrugginisceil ferro La Valle delle Ferriere

Al confluire a valle delle pendici dicinque monti, incassato tra verti-cali pareti di roccia c’è il valloneGrevone: qui insiste una selva ori-ginaria, una vegetazione da fore-sta pluviale. Non siamo né neipressi del Rio delle Amazzoni, nénelle isole della Malesia descritteda Emilio Salgari. Siamo tra imonti Lattari, poco distante daAmalfi, di cui tutti conoscono lasplendida costa, i vicoli stretti ebianchi, ma pochi si sono insinua-ti fra le rocce, oltre la fine del suocentro abitato, fino ad arrivare allaValle delle Ferriere. I più non sannoche oltre quelle candide casetteesiste un mondo a parte. Risalendo il corso del torrenteCanneto (che, nascosto sotto lastrada, scorre attraverso la stessaAmalfi), tra le violente rupi delmonte Cervigliano e i vivi coloridei limoni e degli aranci, si percor-rono irte scalinate e antichi sen-tieri. Già qui la natura è assolutasignora, sebbene in molti angoli lacaparbietà dell’uomo si mostri neipezzetti di terra strappati alla pie-tra e dati a coltivazione. La presenza del torrente diventasempre più forte: passando nellaValle dei Mulini, tra i rami abbon-danti si scorgono i ruderi di anti-che cartiere; l’uomo profittò alungo della forza motrice dell’ac-qua che scorre ripida, per aiutarsinella produzione della pregiatacarta di Amalfi.Continuando la risalita, si giungealla gola che ospita la giunglaidrofila di cui parlavamo. Questiaspri monti, circa 700 metri distrapiombo sulla valle, sono ricchidi ferro che in passato venivalavorato nelle ferriere, apposita-mente costruite nelle immediatevicinanze dei luoghi di estrazione;quelle fabbriche del ferro hannoispirato il toponimo della conca.Le pareti della montagna riparanodai venti, a ogni angolo sgorganoruscelli e rivoli, si chiamano sem-pre “Acqua” qualcosa, Acqua

Vracciara, Acqua Fredda, delPertuso, del Ceraso, e percorronoquelle ripide pareti calcaree. La piùgrossa e imponente chiude su unlato questo profondo solco incisofra i monti, e determina il ristagnodell’umidità; vi si è creato unmicroclima, che ha prodotto unanatura assolutamente insolita: conun’inversione vegetazionale, nellavalle si è formato un bosco misto,mentre sui versanti si sviluppa lamacchia mediterranea. Inoltre, l’e-levato tasso di umidità crea il giu-sto ambiente per le specie idrofile.La lingua cervina è una felce dallefoglie lunghe e lisce, che ricordanola lingua di un cervo; maggiormeraviglia desta la WoodwardiaRadicans, una felce che si sviluppònell’Italia meridionale alla fine delTerziario, e che oggi sopravvive inpochi angoli con rari esemplari.E questa culla, laminata di ferro etappezzata di muschi e felci, è illuogo ideale per gli anfibi, come lasalamandra pezzata, il rospo e larana appenninica, ma anche lasalamandrina dagli occhiali, unendemismo italiano, così chiamataper la striscia di colore chiaro cheha sugli occhi, e che la rende par-ticolarmente simpatica. Tra i rami degli alberi, folti e dalcolore brillante, nidificano nume-rose specie della famiglia dei pas-

seri, tra cui il merlo, la ghiandaia eil picchio rosso maggiore; le rupicalcaree sono invece il regno deirapaci: gli sparvieri e i nobili falchipellegrini, che dei primi vanno acaccia e si nutrono.Altri accessi alla Valle delleFerriere sono dall’abitato diPontone, frazione di Scala, o daPogerola. Per chi volesse, per qual-che ora, abbandonare il mondo edentrare in una dimensione lontananel tempo e nello spazio, perandare alla scoperta di questiscorci surreali, suggeriamo di farloin mesi non troppo caldi, poichél’elevata umidità renderebbe inso-stenibile la passeggiata. È inoltrenecessario munirsi dell’autorizza-zione del Corpo Forestale, cui facapo la riserva Valle delle Ferriere:l’accesso è ammesso solo per finieducativi, escursionistici e di stu-dio. Una fruizione da pic-nic difamiglia, spesso purtroppo invasiviper le aree coinvolte - e questa neè una particolarmente delicata -non è invece consentita.E noi siamo d’accordo a che que-sto giardino pensile, questa fore-sta primordiale venga tutelata, eaperta solo a coloro che meritanodi godersi una giornata immersanella natura, perché sinceramentene comprendono e rispettano ilvalore.

Paginaprecedente.La cascata nellaValle delleFerriere.In questapagina.La rara felceWoodwardiaRadicans.

testo: Simona Mandatofoto: Alfio Giannotti

La salvaguardia del territorioOasi, parchi e aree protette

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donnole e faine, le impronteinconfondibili dei cinghiali, i forinella terra di qualche talpa, e, inun tronco morto, quelli di un pic-chio alla ricerca di larve. Il monte Caruso su cui ci troviamoè caratterizzato da una cima brul-la. Da una sua fiancata si ha unasplendida vista su Cava de’ Tirreni,si riesce a scorgere il castello diNocera Inferiore, poi a spaziaresulla piana nocerina e ancoraoltre, fino al Vesuvio. Allo sguardoche si riavvicina, si impone, persorprenderlo, il giallo luccicante diuna ginestra.L’attività dell’Oasi naturalistica èmolto incisiva. A conclusione diquesta prima escursione può esse-re, infatti, interessante dareun’occhiata anche al PercorsoNatura. Si tratta di un itinerariodidattico pensato per bambini eragazzi: attraverso una serie dipannelli disposti nel Parco, se nedescrivono gli animali e la vegeta-

zione. Da una vera e propria aulaall’aria aperta, con tanto di ban-chi, cattedra e lavagna, tutto rigo-rosamente in legno affinché sia inarmonia con l’ambiente, si posso-no svolgere le lezioni naturalisti-che, prima della verifica “sul terre-no”. Per i ragazzi ci sono anche learee faunistiche, quella delcapriolo - con degli esemplariospitati in un’ampia area recinta-ta - e quella del bombo.Quest’ultimo è un insetto simileall’ape, ma privo del pungiglione,che svolge un ruolo importantissi-mo per l’agricoltura, poiché è uninfaticabile impollinatore. Le cas-sette di legno poste su alcunialberi per favorire la nidificazione,testimoniano delle numerose spe-cie di uccelli che volteggiano inquesti 444 ettari su cui si estendeil Parco Naturale Diecimare: il pic-chio verde e quello rosso, la cin-ciarella, e poi numerosi rapaci, ilfalco pellegrino, il gufo comune, il

barbagianni, l’allocco e la civetta,per citarne solo alcuni. Un aviarioche ospita circa settecentomilaapi è stato installato all’internodel Parco, e il miele biologico chese ne ricava è uno dei prodottitipici dell’Oasi, assieme al formag-gio caprino, all’olio extravergine dioliva e al vino.Oltre che sul monte Caruso, ilParco Naturale si estende anchesulla Forcella della Cava, ilMontagnone, parte del poggioCuculo: questi rilievi appartenneroa lungo al Monastero dellaSantissima Trinità di Cava de’Tirreni, finché la secolarizzazionenon si impose sui luoghi di clausu-ra dei benedettini.Nel 1980 l’area è stata costituitain Parco Naturale.Per chi desidera trascorrervi unapiacevole mattinata, basta pren-dere l’uscita Cava de’ Tirreni dellaA3 e continuare per la Statale 18,seguendo le indicazioni per l’Oasi.

In alto:una femminadi Capriolonell’areafaunistica.A sinistra:un esemplaredi farfallaMacaone,simbolodell’Oasi.A destra:l’aula nel bosco.

Sentieri tranquilliL’Oasi WWF del ParcoNaturale Diecimare

Una strada stretta sale sul crinaledel monte Caruso, e conduceall’ingresso del Parco di Diecimare.Siamo nei pressi di Cava de’Tirreni, ma l’Oasi naturalistica delWWF che andiamo a visitare inte-ressa anche i territori dei comunidi Baronissi e di Mercato SanSeverino. Un rifugio in legno ospita il centrovisite e un piccolo museo, doveesemplari di insetti e di serpentiincuriosiscono soprattutto i piùpiccoli. Nel Parco sono stati predi-sposti quattro sentieri: il PercorsoNatura, dedicato ai ragazzi, ilSentiero del Bosco, completamen-te all’ombra, il Sentiero dei DueGolfi, dal quale si dominano sia ilgolfo di Napoli che quello diSalerno. Ci incamminiamo sul quarto, ilSentiero del Falco, un nome cheevoca la possibilità di avvistamen-to di questo splendido rapace, nelvolo di perlustrazione che preludealla caccia. Il paesaggio naturale ècaratterizzato dai sempreverdipini e lecci, ma anche da roverelle,cespugli di mirto, cisto ed erica.Le tracce di animali sono tante quia Diecimare: gli escrementi di

In alto: veduta di Cavade’ Tirreni dal

Sentiero delFalco.

In basso: un tratto delSentiero del

Falco.

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Fondo Internazionale. Per rag-giungerla, dall’uscita di Campagnadella Salerno-Reggio Calabria, siseguono le indicazioni per l’Oasi.A dimostrazione del valoreambientale di quest’area sta ilsimbolo prescelto per l’Oasi: illupo, che d’inverno lascia chiaretracce del suo passaggio sullaneve fresca. Dopo una mattanzadurata decenni, a opera soprattut-to dei pastori che non volevanoveder compromesso il loro bestia-me, pochi esemplari ripopolanoquesto tratto di Appennino, inparticolare le aree con la vegeta-zione più intatta. Una prova, dun-que, del rilievo che rivestono, intermini di ecosistema, questomassiccio e quest’Oasi. Ma il luponon ne è l’unica attestazione.Anche il picchio nero e l’aquilareale sono animali che di rado sivedono in Italia, e che hanno tro-vato su queste pendici un luogoideale per vivere. I sentieri natura creati dall’Oasi siinfiltrano nel fitto bosco formatodapprima da faggi e da aceri mon-tani, con un sottobosco di agrifo-gli: sollevando lo sguardo, si sco-

prirà che le foglie di questi ultimisono dotate di punte soltanto inbasso, ossia fin dove sono rag-giungibili dai musi degli animali; amano a mano che l’arbusto si svi-luppa in alto, le sue foglie perdo-no questa caratteristica. In alcune zone più impervie, siincontrano anche alcuni tassisecolari, esemplari di tre-quattro-cento anni, che raggiungonodimensioni notevoli. Altrettantorare sono le betulle pendule,scampate ai tagli indiscriminatioperati dall’uomo. Gli abitanti di questi boschi sono ilpicchio verde, dall’insolito versoche somiglia a una risata e che sinutre di formiche, mentre i suoiparenti più tipici picchiettano neivecchi tronchi di alberi alla ricercadi larve e insetti. Tra i mammiferiritroviamo la volpe, il tasso e lamartora, che vanno a caccia dopoil crepuscolo. Le notti di questependici sono popolate anche daalcuni rapaci notturni, come ilgufo reale, l’allocco e il barba-gianni, dei quali al buio non pos-sono percepire il volo silenzioso gliignari topolini e altri roditori,

come i ghiri o i moscardini. Digiorno bisogna invece temere lepoiane, gli astori e gli sparvieri checacciano nel fitto della faggeta.Vale la pena una sosta alla sor-gente “Acqua Menecale” e al-l’“Acqua Bianca”. I ruscelli di cui èricca l’Oasi sono abitati, tra glialtri, da alcuni anfibi.Nei pressi del centro visite sonostate allestite due piccole pozze,per permettere ai visitatori diosservare la salamandra pezzata,con la sua caratteristica pelle neramaculata di giallo, e l’ululone dalventre giallo.Salendo fino in cima al montePolveracchio, si ha una splendidavista sulla prateria d’alta quotache percorre tutta la cresta dellamontagna. Ed è qui che il lupotrova le sue prede preferite: cin-ghiali e lepri.A conclusione del nostro giro, tor-niamo all’origine del percorso, eapprofittiamo dell’area sosta crea-ta dagli operatori del WWF. I per-corsi didattici ci hanno fornitointeressanti informazioni, e anco-ra una volta apprezziamo il lavorodi questa organizzazione.

In alto,a sinistra:una civetta.A destra:una volpe.Sotto, a sinistra:un tritonecrestato.A destra:un’aquila reale.

Qui caccianorapaci e lupiL’Oasi WWF del ParcoIntercomunale del Monte Polveracchio

Foglie tinte di verde, chiaro in pri-mavera e più scuro in estate, chesi trasformano poi in oro e in ramenei mesi più freddi: sono quelledelle faggete pure, i boschi piùdiffusi sul monte Polveracchio, ene caratterizzano le pendici.Con una cresta lunga più di diecichilometri, questa è la montagnapiù estesa dei Picentini, con unnome derivato dal calcare friabileche in prevalenza lo compone, euna vetta a 1.790 metri sul livellodel mare.Su questa cima c’è l’omonima Oasidel WWF, a protezione delle splen-dide faggete e delle praterie d’altaquota, oltre che della fauna chedimora e si nutre su queste pendi-ci incontaminate. Siamo nel com-prensorio di Campagna, il comuneche nel 1988 decise di affidarequesti 200 ettari di territorio allacura e salvaguardia del celebre

In alto:un giovane

esemplare difalco pellegrino.

In basso: i boschi sul

versante delmonte

Polveracchio.

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divieto di caccia del 1977, undivieto che è stato fatto rispettarea suon di controlli e multe salate.Nel 1980 il Consorzio di Bonificaaffidò una parte cospicua dei“suoi” 300 ettari alla gestione delWWF.Certo, le campagne intorno costi-tuiscono oggi un paesaggio diffe-rente rispetto alle foreste riparialidi un tempo, una folta vegetazio-ne di salici, pioppi bianchi e neri. Acaratterizzare l’area oggi sonoperlopiù i canneti, laddove leacque sono basse, e qualchesprazzo di bosco igrofilo supersti-te. Eppure, anche quel poco, unitoalla limpidezza dell’acqua e allasua pescosità, basta ad attirare ungran numero di animali. In primavera vale la pena trascor-rere una giornata nell’Oasi diPersano magari con la propriafamiglia (dalla Salerno-ReggioCalabria si esce a Campagna e siprosegue verso Serre, seguendo leindicazioni per l’Oasi): il centrovisite ha un piccolo museo, dove èesposta anche una lontra imbalsa-mata, trovata moribonda in unaffluente del Sele, e che non fupossibile salvare. Questo è forsel’unico animale che, sebbene vivanell’Oasi, sarà difficile avvistare,poiché non ama mostrarsi. Ma,con l’aiuto di una guida del centroe un pizzico di fortuna, se nepotranno individuare le improntenel fango o gli escrementi profu-mati di muschio. Queste traccesono sicuramente un punto d’or-goglio per l’Oasi che ha scelto lalontra come suo simbolo: quisopravvive infatti la più foltapopolazione d’Italia di questomammifero, a lungo cacciato perla sua pelliccia o perché facevaconcorrenza ai pescatori, e rappre-

senta al tempo stesso una provadella purezza delle acque del Sele. Ci saranno però molte probabilitàdi avvistare altri animali. Daicapanni per il birdwatchingcostruiti dagli operatori del WWF,e dotati di un binocolo, si potran-no avvistare le gallinelle d’acqua ele folaghe nei pressi dei canneti.Laddove l’acqua raggiunge i duemetri, si vedranno, invece, il tuf-fetto e lo svasso maggiore, di cuiin primavera si potrà ammirare ladanza di corteggiamento sull’ac-qua, con piroettanti inseguimentie immersioni. Vedremo le diversespecie di anatre entrare in panicoquando sul canneto volerà il falcodi palude, un grosso rapace checattura le sue prede annegandolenell’acqua. La ricchezza di barbi e rane nelleacque di Persano motiva la pre-senza, nel bosco igrofilo, degliaironi cenerini e degli aironi rossi,che si distinguono tra di loro per ilcolore del piumaggio. Un altroesemplare che approfitta dellafauna ittica dell’invaso è il colora-tissimo martin pescatore, chepesca immergendosi completa-mente in acqua. E nidi sono anchequella specie di sacchetti lanugi-nosi che si vedono pendere dairami bassi dei salici: il pendolinocostruisce in questo modo il suonido per renderlo poco accessibileai predatori. Tornando lungo i sen-tieri in legno dell’Oasi, negli spaziacquitrinosi si vedranno rane sal-tellare, libellule azzurre volteggia-re, e con un po’ di fortuna, anchequalche tartaruga palustrenascondersi. Un paradiso per ibambini, ma anche per i più gran-di; sullo sfondo si stagliano sem-pre i bastioni rocciosi degliAlburni.

In alto,a sinistra: untratto del fiumeSele nell’Oasi.A destra:il sentierodidattico nellapalude.Sotto: la lontra.Al centro,a sinistra: uncavaliere d’Italia.A destra: unagarzetta.In basso:il martinpescatore.

La Real PaludeL’OasiWWF di Persano

Un tempo questo era territorio delre: oggi è gestito dal WWF.All’epoca, l’area era adibita allacaccia: oggi all’osservazione degliuccelli. Fino all’Ottocento vi ave-vano accesso solo gli invitati dellafamiglia reale: oggi sono i benve-nuti tutti quelli che apprezzano lanatura e l’opera di protezione chevi si attua.La tenuta era quella di Persano, ilre era Carlo III, poi Ferdinando IV,di casa Borbone. Entrambi eranoappassionati di caccia, e quest’a-rea acquitrinosa aveva da sempreattratto animali acquatici, soprat-tutto nel periodo migratorio, insosta di viaggio verso mete piùmeridionali. Ma già molto in anti-co la valle era stata adibita all’at-tività venatoria: il nome Persanorivela il significato di “bosco diPersea”, ovvero Diana, dea dellacaccia, e pare che qui sorgesse untempio dedicato alla divinità conl’arco.Finita l’epoca borbonica, e anchequella savoia, l’area fu ridestinata.Nel 1954, dei 3.500 ettari dellatenuta, un terzo circa fu assegna-to al Ministero della Difesa: la pic-cola reggia, costruita per ospitareil monarca durante le sue battutedi caccia, divenne sede militare.Buona parte del territorio andò aicontadini della zona, che la disbo-scarono e la diedero a coltivazio-ne. Trecento ettari furono dati inconcessione al Consorzio diBonifica Destra del Sele per sana-re la palude e distribuire l’acquanella piana sottostante a scopi

irrigui. Già agli inizi di quel secoloera stata avviata, infatti, un’operadi bonifica del fiume. Nel 1932 suuna sua ansa era stata inoltrecostruita una diga, che modificò ilcorso del fiume e il paesaggiotutto intorno. Da allora, si è for-

mato un invaso artificiale, riparoideale per gli uccelli acquatici dipassaggio, ma anche per quelliche, nel frattempo, sono divenutistanziali. Una grande novità fu introdottanei 4.500 ettari circostanti con il

In alto: J.P. Hackert,

Caccia diFerdinando IV a

Persano.In basso:

le rive del fiumeSele nei pressi

della diga.

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come la fillirea, il mirto, il lentisco,il corbezzolo, il biancospino costi-tuiscono una vegetazione sponta-nea che cresce, a queste condizio-ni climatiche, laddove un bosco èandato distrutto, rinnovando laflora. Qui la selva è scomparsaperché a lungo si sono utilizzati icerri ad alto fusto che la compo-nevano per farne carbone: soloqualche quercia secolare è soprav-vissuta.Entrando dal Sentiero di SantaSofia, ci accoglie il letto di un tor-rente invernale: intorno, in un’a-rea esposta al sole, i fiori di sullacreano un tappeto violetto, men-tre il margine del bosco è affian-cato dal bianco dei cisti. Ma la caratteristica del boscosono le gallerie. I sentieri creatidall’uomo per addentrarsi nellafolta vegetazione sono dei veri epropri tunnel, arbusti e alberi cre-scono incrociandosi fittamente aldi sopra delle teste dei visitatori.Qui abbondano i corbezzoli: l’ar-busto è stato infatti preso a sim-bolo dell’Oasi di Camerine, ed è inautunno che se ne gode il momen-to più bello, quando le sue inflore-scenze punteggiano di biancotutta l’Oasi. In primavera, invece,si vedono volteggiare molti esem-plari di ninfalide del corbezzolo,una farfalla che, da bruco, vive sui

rami di questo albero.Il bosco è costituito da lecci, rove-relle e cerri, specie appartenentialla famiglia delle querce.Con una vegetazione fitta chelascia poco spazio al sole, non puòessere ricco il sottobosco. Eppure,qui crescono più di quattrocentospecie di fiori. Nelle aree nontroppo fittamente ricoperte, spun-tano gruppi di ciclamini che colo-rano di macchie fucsia il bosco;ma lo spettacolo più bello lo riser-vano le orchidee selvatiche che, inquantità, spuntano in primaveradopo le piogge. Si concentranosoprattutto nel “prato delle orchi-dee”, in prossimità delle basi diSanta Sofia. Nel VII secolo, i fratibasiliani in fuga da Costantino-poli, arrivarono nell’Italia del sud:alcuni di essi, probabilmente sbar-cati a Paestum, ripararono in que-sto fitto bosco. Tra la vegetazioneinsediarono una chiesa dedicata aSanta Sofia di Costantinopoli,ancora oggi patrona di Albanella. Da questo spazio aperto avvistia-mo una coppia di gheppi, nel cuivolo si individua un corteggia-mento. Anche altri rapaci sorvola-no il bosco, come nibbi e poiane.Riprendiamo la galleria; dei pan-nelli esplicativi rivelano la storiadell’area adibita a carbonaia, rac-contano il bosco e i suoi abitanti.

Dopo un bivio si raggiunge ilpozzo di Santa Sofia, cui attingo-no gli uccelli di macchia. Tra ilprofumo di mirto e lentisco, scor-giamo tracce lasciate da qualchedonnola o faina, ma numerosisono anche i tassi.Percorrendo il Sentiero delBrigante che discende, incontria-mo un maestoso cerro di quaran-ta-cinquanta anni, che ricorda ivecchi fasti del bosco. Alla fine del non troppo faticosopercorso, troviamo con sollievouna fontanina e, all’ombra di lecci,lentischi e corbezzoli, tavoli epanche da pic-nic. Non possiamomancare di fare un’ultima sostaalla pozza del tritone italico, lungola strada asfaltata che delimita ilparco, adibita dagli operatoridell’Oasi ai minuscoli e simpaticianfibi di colore scuro.

In alto:un sentierodidattico nelbosco.Sotto:un esemplaredi tritone italico.

Un tunnelnella macchiaL’Oasi WWFdel Bosco Camerine

Per sfuggire al caldo asfissiantedell’estate e alla spiaggia affolla-ta, solo la vegetazione può offriredegno riparo, e se la base dellavacanza è nella piana del Sele,suggeriamo di prendere BoscoCamerine come meta, ad appenaventi minuti da Paestum.Altrimenti, dalla A3 si esce aBattipaglia e, percorrendo laStatale 18, si arriva a PonteBarizzo: da qui, la provinciale 11porterà fino ad Albanella.Il centro visite si trova facilmentepresso il comune, poi le guideconducono i visitatori all’Oasi delWWF. Salendo, si individua visiva-mente la cima boscosa del colle diCamerine: 110 ettari in cui uccellie altri animali trovano riparo daicacciatori, ma anche nutrimento.All’entrata, ondate profumatissi-me, mosse da un venticello,impregnano le narici. Un odoreche è un insieme di odori, di quelmiscuglio di vegetazione checompone la macchia mediterra-nea. Arbusti e alberi sempreverdi

In alto:un sentiero

nella macchia dicorbezzolo.

In basso:la pozza dei

Tritoni neipressi dell’Oasi.

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Acqua che risorgeL’Oasi WWF delle Grotte del Bussento

Nel Cilento più meridionale, arre-trato rispetto alla costa c’è unposto magico, non solo un luogodalla natura florida e rigogliosa,ma anche il punto in cui l’acqua,con forza travolgente, viene fuoridalla terra che pare sputarla fuoridal profondo di una gola di roccia.Non si tratta di una sorgente, madi una risorgiva, quella del fiumeBussento che, inabissatosi neipressi del paesino Caselle inPittari, riemerge alcuni chilometridopo, ancora più vitale e irruentodi prima.Siamo vicino Morigerati, un paesi-no inerpicato sulle montagne, cheda secoli osserva quotidianamenteil gettarsi del Rivo di Casaletto nelBussento. Il luogo in cui questofiume rispunta in superficie è daalcuni anni Oasi protetta delWWF; per accedervi si parte dalpaese e si prende un sentiero chescende fino a valle.Strada facendo si incontra unafonte che disseta i passanti conun’acqua sempre fresca, la presen-za di una particolare fauna nel

fiume da cui è captata, ne testi-monia la purezza. Prima di rag-giungere la nostra meta, passiamodavanti ad un bellissimo mulino adacqua in pietra: ne ammiriamoquel particolare fascino che hannole costruzioni antiche, testimonidell’ingegnosità dell’uomo maanche, come in questo caso, delsuo duro lavoro. Dopo circa mez-z’ora di cammino arriviamo allagrotta, profonda e suggestiva:un’enorme apertura nella pareterocciosa a strapiombo restituiscealla vista di animali e uomini l’ab-bondanza della natura, che da sestessa si origina e si rinnova. L’Oasi di Morigerati si estende perpiù di 200 ettari, in un percorsocontorto che, in parte, segue l’an-damento del Bussento, in una golain cui l’umidità crea meravigliebotaniche tipiche delle aree ripa-riali: muschi e felci cresconoabbondanti all’ombra delle frondecadenti dei salici e di quelle allun-gate degli ontani. Lungo il ramodel parco che si allontana dalcorso del fiume per occupare lependici della valle, si estende unafolta lecceta, in cui vivono gliormai rari istrici e qualche esem-plare di gatto selvatico e di lupo.Poco distante, i lecci si intreccianoalle roverelle, ai carpini e ai frassi-

ni. Sorvolano queste chiome igheppi, i nibbi, i rari astori e i corviimperiali. Negli angoli altrimentiesposti ritroviamo la familiaremacchia mediterranea e l’ampelo-desma, una resistentissima piantadalle foglie lunghe, per secoliimpiegate per intrecciare cesti ecime. In queste acque nuotano e prolife-rano trote, gamberi e granchi difiume; sulle rive si ritrovano perio-dicamente escrementi di mammi-fero dall’aroma di muschio o qual-che lisca di pesce, il pasto dellostesso mammifero: sono i segniinconfondibili del passaggio di unalontra! Quale indice più chiarodella limpidezza dell’acqua?L’Oasi mette a disposizione deivisitatori un percorso natura eun’area attrezzata, oltre allaguida, indispensabile per adden-trarsi nelle grotte; suggeriamo diportare un maglioncino in più,perché l’escursione termica al suointerno è notevole.Come arrivare in questo paradiso?Usciti a Padula-Buonabitacolodalla Salerno-Reggio Calabria, siprende la direzione Sanza e si pro-segue per Morigerati. Chi vienedalla costa cilentana, può sceglie-re due percorsi, uno per la Statale517 e l’altro per Vibonati.

Paginaprecedente. L’ingresso allagrotta delBussento.In questapagina. In alto, asinistra: l’internodella grotta.A destra e sotto:i resti dell’anticomulino lungo ilfiume.

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Infinite meravigliedella rocciaGole, grave e grotte

Un’acqua cristallina scorre nell’al-veo dal fondo chiaro di pietra levi-gata, tutt’intorno alte e candiderocce arrotondate da millenni diacqua che scivola sulla loro super-ficie, e poi il verde dei salici, degliontani neri, dei carpini e dei leccia creare un colpo d’occhio davverosublime. Sono le gole del CaloreLucano, che si estendono traFelitto e Magliano Nuovo, nelcuore del Cilento. Partiamo da un’area attrezzatadella località Remolino, pocodistante dall’abitato di Felitto.Dapprima, delle vasche bianche dipietra accolgono gli escursionisti,offrendo anche la possibilità di un- gelido - bagno: le vasche sono

create da una vecchia chiusa, conil suo antico ferro pienamenteintegrato in questa magica sceno-grafia.Prendiamo il sentiero che costeg-gia la riva destra del fiume Calore.Nel nostro percorso ammiriamo lanatura selvaggia, eppure addolcitadelle rocce levigate, la vegetazionefolta, alimentata da quest’acquache scorre senza tempo, e tutti glianimali che dall’una e dall’altratraggono nutrimento e riparo.Sulle rupi che, alte, sovrastano legole, nidificano i rapaci: l’acutofalco pellegrino, ghiotto di merli ecolombi, e il maestoso nibbioreale, alla ricerca di carogne, pic-coli rettili e mammiferi; durante leore notturne volpi, faine e tassiperlustrano il terreno ai piedi deglialberi. L’ambiente fortementeumido consente a diverse specie difelci di crescervi abbondanti, con-tribuendo a creare un’atmosfera

testo: Simona Mandatofoto: Alfio Giannotti

Quando l’acqua si diverteI fenomeni carsici

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davvero speciale. Di queste acquecristalline non poteva non appro-fittare la lontra, come si è dettouno dei mammiferi più rari in tuttaItalia a causa della scarsità diacque pure, che va a pesca ditrote, anguille, carpe e quanto dimeglio offra il fiume. Il sentierotermina in corrispondenza di unantichissimo ponte in pietra “asella d’asino” sotto il centro diMagliano Nuovo.Grotte, doline, forre, grave, gole einghiottitoi sono disseminatiovunque nello splendido comples-so naturale del territorio alle spal-le e a sud di Salerno. Sono tutti ilrisultato di un fenomeno chimico,il carsismo, che si verifica in pre-senza di rocce di natura carbona-tica. Dai Picentini agli Alburni, dalmassiccio del Cervati al monteBulgheria, le rocce sono costituiteda dolomie o calcari: in entrambi icasi, si tratta di rocce ricche dicarbonato di calcio, l’abbondanzadi acqua ha fatto il resto: il pro-lungato scorrere dell’acqua fa dis-solvere il carbonato di calcio, pro-ducendo l’erosione delle rocce.Un esempio di tale erosione sonoproprio le gole del Calore descrittesopra, ma lo stesso fiume ha sca-vato anche altre gole, più a montedel suo percorso. Un altro interes-santissimo fenomeno carsico è lagrava di Vesalo, un inghiottitoioin cui sprofondano le acque deltorrente Milenzio, per poi ricom-parire, dopo circa ventiquattrore dipercorrenza ipogea, nella golasotto Laurino e immettersi nelCalore. Lungo l’antico tratturo checollega Laurino alla Valle Sottana,in una piccola depressione del ter-reno circondata da faggi, improv-visamente si vede aprirsi una vora-gine circolare di alcuni metri didiametro, ricoperta da felci, tra cui

la lingua cervina e il PolipodiumInterjectum. Un arco naturale divi-de l’inghiottitoio da un grandepozzo e sovrasta il punto in cuil’acqua scompare nella terra. Nellefaggete d’intorno, allo sciogliersidelle prime nevi, crochi e bucane-ve annunciano la primavera. I ramidei faggi sono allietati dalle alle-gre piroette di cinciallegre, cincia-relle e cince bige, e dai loro piu-maggi variopinti.Ci spostiamo, solo di poco ancorauna volta - questa è una zona for-temente carsica -, e arriviamo aSacco; superato un caseggiato,una stradina asfaltata scende, traoliveti e campi coltivati, giù nellavalle percorsa dal Sammaro. Daqui parte un sentiero che camminalungo l’alveo del torrente per circadue chilometri. Rapide si alternanoa pozze d’acqua, e intorno unafauna vive in simbiosi con ilruscello. Le innumerevoli piccolecascate attirano il merlo acquaio-lo, negli spazi più aperti si vedesfrecciare il martin pescatore,mentre sulle pareti rocciose nidifi-cano il passero solitario, con il suotipico piumaggio grigio-azzurro, eil corvo imperiale. In estate spiccanell’acqua la fluttuante chiomarossiccia della coda di cavalloacquatica, una rara pianta checresce attaccata alle rocce som-merse. Attraversiamo con ilSammaro campi abbandonati, trafichi d’india e melograni, finchécomincia la vegetazione fitta eselvaggia: la gola diventa un tun-nel di roccia che si chiude sopra lenostre teste, lassù in alto. A questopunto si può proseguire solo sal-tellando sulle rocce; in fondo - maper arrivarci è necessaria un’at-trezzatura anfibia - si nasconde lapolla della sorgente del Sammaro,purissima linfa di madre terra.

Poco distante è il paesino diRoscigno Vecchio, un antico borgoche fu abbandonato agli inizi delNovecento, a causa delle continuefrane che dissestavano il terreno.Tra queste case, in parte ancoraintere, pare che il tempo si sia fer-mato da un bel po’.Quelli descritti sono solo alcunidegli innumerevoli fenomeni car-sici distribuiti sui monti delSalernitano, in particolar mododegli Alburni. Un altro accidentecarsico nel cuore di questo mas-siccio sono le sorgenti dell’Auso:si trovano a valle di Ottati, masono più facilmente raggiungibiliin macchina da Sant’Angelo aFasanella.Dapprima un sentiero permette dirisalire il torrente fino ai resti diun’antica centrale idroelettrica, dicui restano le strutture in ferro e levasche create dall’uomo per rac-cogliere l’acqua. Sui resti dell’anti-ca centrale e i ruderi di un mulino,al crepuscolo va a caccia la civet-ta; anche il gheppio trova fra que-ste irte pareti il luogo ideale percostruire il suo nido. Da qui in poi,il sentiero finisce e per risalire illetto del torrente ci si deve inerpi-care tra la vegetazione selvaggia ei massi, rocce candide e levigate.Con un po’ di esercizio e scarpeadatte ce la si può fare. Il percor-so termina con una pozza dalcolore smeraldino, contenuta traalte pareti dolomitiche, splendidiontani fanno da corona a questoangolo di paradiso.Cambiamo zona, e ci addentriamonel Cilento più antico e vero, sulmonte Cervati incontriamo ilBussento, che sorge tra le faggete;dopo aver percorso i boschi diontani napoletani e di lecci, neipressi di Caselle in Pittari, il fiumesi inabissa in una cavità carsica:

A pagina 42:le gole delCalore.A pagina 43,in alto: alcunisalti d’acquadel torrenteMilenzio.In basso:l’inghiottitoiodella Grava diVesalo.A pagina 44:le sorgenti delfiume Sammaronei pressi diSacco.In questa pagina:l’ingresso allegole delSammaro.

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mondo umano, quasi a cercare deipunti di riferimento anche quisotto, laddove in realtà, non ve nesono, in un gioco di proiezioni ecreativa attribuzione di significati.Così, gli spazi diventano “sale”,mentre le formazioni calcaree sitrasformano in oggetti e perso-naggi del nostro quotidiano. Comequelle splendide concrezioni chehanno preso la forma di una tenda,veli irregolari che pendono dall’al-to, di cui si immaginano finanche imovimenti ondulanti al soffiaredel vento.Dopo la grotta del Guano, una“sala” ospita un “castello”, in cui lestalagmiti sono diventate torri diguardia e masti. Proseguendo, unasuggestiva concrezione che ricor-da le fattezze di un grosso rettileha dato il nome alla “sala del coc-codrillo”; a questa e alle altre for-mazioni calcaree, i differentiminerali filtrati con l’acqua hannoattribuito le colorazioni più varie.Più avanti una “Madonnina” sieleva in un limoneto, bianche sta-lattiti che invitano a raccogliere iloro frutti; una “bottiglia con lacannuccia” è sottolineata dalleluci sapientemente disposte; ilgioco di chiaroscuri e controlucesottolinea fogge ed evidenziasagome anche nella prossima“sala”, un’ampia stanza in cui pic-

cole e grandi stalattiti sembranoprestarsi a rappresentare un pre-sepe, contribuendo finanche amantenere le proporzioni tra i“pastori” vicini al sentiero e quelliin lontananza.Ma l’ambiente più imponente è lacaverna Bertarelli, 40 metri d’al-tezza che ospitano enormi colon-ne, confluenze di stalattiti constalagmiti, cresciute in qualchemilione di anni di percolamentodell’acqua attraverso le fessuredella roccia. Tra i boschi di tronchicalcarei e le mille altre forme chesi individuano in questo ampiospazio, una si impone più di tutteper grandezza e posizione, maanche per la foggia assunta: la“pagoda”, maestosa stalagmiteche somiglia a una costruzioneorientale, un tetto conico forte-mente proteso verso l’alto. Le sta-lattiti della volta successiva ripor-tano invece alla mente scenogra-fie vicine al mondo del Cilento,come quegli ambienti dedicati allastagionatura dei “salami”.In occasione della visita diUmberto II di Savoia, allora pre-tendente alla corona d’Italia, i cit-tadini di Castelcivita gli intitolaro-no le grotte; queste furono inseguito rinominate - per ovvimotivi -, ma al principe diPiemonte è rimasta dedicata unasala. Da questo antro si intravede,a un livello superiore, la “cavernaBoegan”, con le sue “cariatidi” eun’irta “guglia”.Poco dopo, si interrompe il percor-so per i visitatori ma la cavità sisviluppa ancora per circa 4 chilo-metri: un inabissamento dellagrotta costituisce il confine natu-rale tra lo spazio accessibile atutti, e quello in cui solo espertispeleologi possono inoltrarsi. Aloro è concessa in esclusiva la bel-lezza delle formazioni calcareedella parte meno praticata, e dun-que più incontaminata, con unagrande cascata e altre meravigliemodellate dall’acqua e dal calcare:un “tempio” formato da unasplendida pietra bianca, un “batti-stero” con tanto di altare e organo,il “ratto delle Sabine”, e poi affa-scinanti concrezioni madreperlate,fino al “lago terminale”.Un altro meraviglioso viaggio nelleviscere della terra è possibile nonlontano da qui. Un percorso sot-terraneo, non meno suggestivo delprimo, che si sviluppa tra il comu-ne di Pertosa, nel quale si apre l’in-gresso, e quello di Auletta, le grot-te dell’Angelo. Un sistema di gal-lerie sotterranee che si sviluppaper 2.270 metri: siamo sul pendio

opposto degli Alburni, quelli cheguardano a Oriente e al Vallo diDiano. Un varco, alto circa 20metri e largo una quindicina, dàaccesso a uno spazio sotterraneoinsolito: immediatamente siincontra un lago ipogeo, le cuiacque trasparenti si tingono,attraverso giochi di luce, di unverde smeraldino. La guida - unCaronte che ricongiunge gli uomi-ni con la madre terra - conducecon una barca all’altra sponda, el’itinerario continua tra suggestio-ni sotterranee: una cascata forma-ta dalle acque del fiume che untempo si chiamava Negro, neisecoli trasformatosi in Tanagro,“tana oscura”, dà imponente spet-tacolo di sé. Qui, nel Braccio dellaSorgente, siamo solo agli inizi delpercorso, che è nel contempo uncammino attraverso le galleriedelle nostre sensazioni, i labirintidella nostra anima, i tunnel dellanostra mente. Anche qui come aCastelcivita, siamo noi ad attribui-re significato alle forme, in quelcontinuo tentativo di dare unarisposta a ogni cosa, anche a quel-le che non ne hanno, né probabil-mente ne vorrebbero.Per trentacinque milioni di annil’acqua è penetrata in questiimmensi antri attraverso le fessuredella montagna, trasportando consé il calcare raccolto strada facen-do: depositandolo, ha creatomeravigliose opere scultoree.Trentacinque milioni di anni in cuile rocce hanno trasudato acqua,instancabile, questa, nel suo filtra-re, stillare, plasmare. Un percorsosenza sosta che nei millenni halasciato tracce di sé, segni forti easpri. Una misura della tenaciacon cui la natura ha dovuto lavo-rare, la si può avere se si conside-ra che sono necessari dai quarantaai cento anni affinché una stalat-tite cresca di un solo centimetro.Al lago e alla cascata succede unpaesaggio lunare, con pareti evolte costellate di “fiori” e “spu-gne”, qui non vegetali ma calcaree.Il sentiero sotterraneo delle grottedi Pertosa conduce attraversoselve di stalattiti dalle più variecolorazioni, anche qui dovute aidiversi minerali che filtrano dallaterra. Ancora a sorprendere sonodelle formazioni orizzontali, cre-sciute sfidando le leggi di gravitàperché così hanno voluto forti cor-renti d’aria sotterranee. La fantasia degli uomini ha trova-to ampio sfogo nell’attribuiresomiglianze alle concrezioni: dal-l’occidente cristiano emergono“Gesù crocifisso”, la “Madonna”,

un’enorme apertura creata dall’ac-qua, tra pareti di roccia a stra-piombo. Più di mezzo chilometrodella grotta è percorribile, sugge-stive concrezioni ne decorano lepareti e il soffitto. Poi si arriva adun laghetto che crea un sifone, percui non è più possibile avanzare. Cisi può però spostare, e andare acercare quella stessa acqua nelpunto in cui riemerge alla luce delsole, a monte di Morigerati. Unafenditura entra nel cuore dellagrotta, e un passaggio creato perle persone, con un ponte sul fiumee degli scalini scavati nella pietra,consentono di arrivare nella cavi-tà, dove lo scrosciare dell’acqua èamplificato dalla roccia tuttointorno, e i minerali hanno creatoforme dai colori più vari. Una sug-gestiva cascata accoglie il riemer-gere dell’acqua dalle viscere: unavisione che dà il senso dell’appar-tenenza dell’uomo al tutt’unodella natura.Ma questa terra ci riserva ancoraaltre sorprese, le grotte, meravi-gliosi antri della mente.La candida roccia che si erge pos-sente a sfondo della piana delSele, ospita una vegetazione opu-lenta e generosa, e nasconde nellesue viscere un mondo inaspettatodi anfratti, grotte, fessure. Permilioni di anni l’acqua ha scavato,

eroso, levigato, modellato i massidei monti Alburni, la cui strutturain carbonato di calcio si disponevaa essere plasmata.Infinite cavità e fenditure si insi-nuano nel blocco dolomitico delmassiccio: la grava del Serrone,quella del Fumo, del Serrauto, lagrotta del Gavio, quelle di SanMichele a Sant’Angelo a Fasanellae di Sant’Elia a Postiglione. Eppure,qualcosa di più imponente, di piùsorprendente si nasconde tra lerocce alburnine.A valle dell’abitato di Castelcivita,tra piantagioni di ulivo e arbusti dimacchia mediterranea, si apre unvarco. L’immensa grotta diCastelcivita accoglie i visitatori inun percorso di spazi ipogei, talvol-ta di notevoli dimensioni, che unmisterioso architetto sembra averarredato con colonne e mille rap-presentazioni in scultura. Pareti,soffitti e pavimenti sembranousciti da una mente artistica, il cuisolo scopo era quello di sorprende-re gli ospiti.Poco dopo l’entrata si apre il primospazio, denominato “grotta delGuano” per il muro creato da unamassa di escrementi di pipistrello:i primi esploratori non poterono,infatti, continuare le loro ricerche.In questo secolo i depositi diguano sono stati estratti e utiliz-

zati come fertilizzante, ma allafine dell’Ottocento avevano gioca-to un brutto scherzo ai giovaniFerrara, due fratelli di Controneche per primi, incuriositi, si eranoaddentrati nella cavità con unalampada a olio. Le esalazioni diacido carbonico li avevanocostretti al buio, e la lunga perma-nenza nell’antro, prima di essereritrovati, fu fatale per Francesco, eturbò per sempre la mente diGiovanni.Negli anni Venti alcuni esploratoridi Castelcivita ripresero le ricogni-zioni della grotta: il farmacistadella cittadina, Nicola Zonzi,assieme a Luigi Perrotta e DavideGiardini riuscirono a spingersi finoa un laghetto. Le sensazionali sco-perte che essi fecero di spazi ipo-gei di notevole interesse scientifi-co, attirarono i noti speleologiAnelli e Boegan. Oggi circa 900metri sono illuminati e dunquevisitabili, e un camminamento èstato costruito su un percorsolungo quasi il doppio. Chi si addentra nelle grotte diCastelcivita scopre un mondo sot-terraneo fatto di stalattiti e sta-lagmiti, frutto di un lavorío del-l’acqua lungo milioni di anni.Inevitabilmente, la nostra ragionecerca dei collegamenti tra formenate senza una regia e quelle del

Uno scorciodelle Grotte di

Castelcivita.

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“San Gennaro”, mentre dal mondoorientale riprendono forma un“elefante” e una “sfinge”; e ancorauna “cascata dei diamanti”, una“prua sgocciolante della nave” e,nella loro possenza, le “colonned’Ercole”, che furono limite invali-cabile per le imbarcazioni e il pen-siero umano.Spettacolare è l’ambiente in cui,piccole vasche formate dal calca-re, ospitano degli specchi d’acqua,quasi terrazzamenti asiatici per lacoltura del riso, da cui il nome“sala dei laghetti”.E ancora, segue quella delle “spu-gne”, un insolito e quanto mai sur-reale paesaggio, in cui spugne dipietra definiscono un pavimentoformato da piccole fosse irregola-ri. A conclusione, la “sala dellemeraviglie”, un nome mutuato dalcandore della roccia che ne impre-

ziosisce le pareti.Le cavità di Pertosa sono cono-sciute come grotte dell’Angelo: unculto antichissimo vede, in moltecaverne, gli accessi agli Inferi.All’arcangelo Michele, che con lasua spada trafisse e uccise ildemonio trasfigurato in drago, èattribuito per sempre il compito didifendere gli antri.Da secoli, il lunedì di Pasquettanumerosi pellegrini, provenienti datutti i paesi della zona, si recano aPertosa: vanno a visitare il taber-nacolo di San Michele e a rendereomaggio all’arcangelo, rappresen-tato in una scultura posta all’in-terno delle grotte.Già molto tempo prima dell’eracristiana questo antro era cono-sciuto e praticato: i resti di unapalafitta testimoniano di frequen-tazioni delle epoche neolitica ed

eneolitica; in strati superiori, gliarcheologi hanno rinvenuto terre-cotte, bronzi e monete, tracceinconfondibili di gente che quisoggiornò in epoca classica.E poi, seguendo lo svolgimentodegli eventi storici, i primi cristia-ni trovarono rifugio in questacavità, una rientranza della rocciafu oscura abside in cui essi diede-ro vita al loro culto proibito.Il particolare interesse suscitatodalle grotte di Pertosa è, dunque,non solo geologico per il suo inso-lito lago ipogeo e le formazionicalcaree, ma anche paleontologi-co, perché la sua storia partecipadi quella dell’intero territorio degliAlburni e del Cilento.Ulteriore riprova della profondasimbiosi tra natura e uomo, cheper millenni ha abitato questeincantevoli terre.

La sala dellespugne nelle

Grottedell’Angelo.

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