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Narrazione e Mito(I parte)

Claudio Naranjo

"INformazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria", n° 40, maggio - agosto 2000, pagg. 2-7, Roma"

Nel 1909 la pubblicazione del saggio di Otto Rank Il mito della nascita dell'eroe attirò l'attenzione sulla somiglianza fra molte leggende sulla vita di eroi e fondatori di religioni sorte nell'ambito di contesti culturali differenti. In esse si potevano riscontrare - oltre alle imprese eroiche (e in varie combinazioni) - motivi quali la nascita da una vergine, la persecuzione durante l'infanzia, l'affidamento a genitori adottivi, il matrimonio con una principessa, il regno, il viaggio nell'aldilà e così via. Poiché queste leggende sembravano essersi sviluppate autonomamente, la loro somiglianza avviò una riflessione sulla possibilità che esse si riferissero a qualche verità psicologica universale. Al tempo in cui Rank scriveva, l'argomento era già stato ampiamente discusso fra gli studiosi; lo schema del "monomito" era stato delineato per la prima volta dall'antropologo inglese Edward Taylor nel 1871, e il dibattito era andato avanti. Tralasciando, per il momento, la questione dell'interpretazione del mito, si può dire che ulteriori elementi comuni alle leggende degli eroi furono in seguito osservati da Lord Raglan. Riproduco qui le sue osservazioni:

La madre dell'eroe è una vergine di sangue reale; suo padre è un re e spesso anche un parente stretto della madre, ma le circostanze del suo concepimento sono insolite e egli è anche ritenuto figlio di una divinità. Alla nascita si tenta di ucciderlo, in genere per opera del padre o del nonno materno, ma l'eroe viene allontanato dal pericolo da un intervento soprannaturale e viene allevato da genitori adottivi in un paese lontano. Non si sa nulla della sua infanzia ma raggiunta l'età adulta l'eroe ritorna o giunge per la prima volta nel suo futuro regno. Dopo aver sconfitto il re e/o un gigante, un drago o una belva feroce, l'eroe sposa una principessa, spesso figlia del suo predecessore e diventa re. Per un certo periodo egli regna senza che accada nulla di particolare e promulga leggi, ma in seguito perde il favore degli dei e/o dei suoi sudditi e viene scacciato dal trono e dalla città; dopodiché muore in modo misterioso spesso in cima a una collina.

Istituto di Psicoterapiadella Gestalt e Analisi

Transazionale

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I suoi figli, se ne ha, non gli succedono sul trono. Il suo corpo rimane insepolto e tuttavia vi sono uno o più luoghi ove si venera il suo sepolcro.

Segal ha osservato che i primi tredici punti di quest'elenco corrispondono approssimativamente all'intero schema proposto da Rank, sebbene Raglan non conoscesse il lavoro di Rank. Inoltre, sempre secondo Segal, "per Rank il punto centrale del percorso dell'eroe è l'acquisizione del regno. Per Raglan è invece la perdita del regno". L'elenco di Raglan va dal concepimento dell'eroe alla sua morte, mentre quello di Rank (derivato dall'analisi di 22 miti) rispecchia l'interesse dell'autore per le esperienze dell'età infantile. Se consideriamo insieme le osservazioni di Rank e quelle di Raglan, otteniamo una sequenza dove l'eroe, dopo una vittoria temporanea, viene sconfitto e muore, e tuttavia alla fine raggiunge uno stato divino o semidivino, tanto che la memoria di lui e il suo insegnamento gli sopravvivono. Penso che questa struttura possa paragonarsi a quella emersa da un parallelo campo di studi: quello che ha per oggetto le somiglianze strutturali nelle fiabe popolari. Tali somiglianze erano già state osservate da studiosi russi quali R.M. Volkov, il quale aveva evidenziato quindici temi comuni, come la persecuzione di un innocente, la caduta in discredito dell'eroe, il combattimento con un drago, la conquista di una sposa, l'eroe che rimane vittima di un incantesimo, la presenza di un talismano e altri. Ma il saggio di Vladimir Propp Morfologia della fiaba, pubblicato a Leningrado nel 1928 è uno studio completo ed esaustivo sulla materia Nell'introduzione all'edizione portoghese il prof. Adriano Duarte scrive che il lavoro di Propp influenzò profondamente quello di Levy-Strauss e che "il formalismo russo, guardato con sospetto dai marxisti e ignorato nei paesi occidentali, giunse a influenzare in modo decisivo il pensiero strutturalista". Nella sua indagine sui racconti di fate Propp formulò non meno di 31 "funzioni" che considerava i "costituenti fondamentali" del racconto di magia e aveva osservato in essi il ripetersi di un'identica sequenza. Riporto in nota la lunga lista di tali funzioni e osservo solo che lo schema narrativo di Propp contiene non una ma due vittorie nel corso della vita dell'eroe: una prima vittoria temporanea e in seguito una definitiva, preceduta da una sconfitta, dal tradimento e da una serie di difficili prove. Questo schema sembra concordare con le leggende sorte intorno a figure storiche di eroi; anche in queste vi è una prima vittoria terrena seguita, alla fine, da un'apoteosi celeste (dopo un apparente fallimento, come nel racconto della resurrezione di Cristo). Molto più note delle idee di Rank, Raglan e Propp sono oggi quelle di Joseph Campbell il quale, va detto subito, non rileva la presenza di due distinti episodi in cui l'eroe supera le avversità. Alla fine della prima parte del suo saggio L'eroe dalle mille facce egli riassume così la propria visione del "monomito":

L'eroe del mito, muovendo dalla sue sede abituale - capanna o castello che sia - è condotto, trascinato, oppure procede volontariamente fino alla soglia del suo viaggio avventuroso. Qui egli incontra una presenza posta a guardia del passaggio. L'eroe può sconfiggere questa potenza o venire a patti con essa ed entrare vivo nel regno delle tenebre; oppure può essere sconfitto e discendervi da morto. Oltre la soglia l'eroe viaggia in un mondo popolato da forze sconosciute, alcune delle quali lo mettono a dura prova, mentre altre gli forniscono un aiuto magico. Giunto al nadir del percorso mitologico, l'eroe viene sottoposto a una prova suprema e guadagna il proprio premio. Il trionfo può essere rappresentato dall'unione sessuale dell'eroe con la dea-madre del mondo, dal suo riconoscimento da parte del padre-creatore, dalla divinizzazione dell'eroe stesso (apoteosi) oppure - se le potenze gli sono rimaste nemiche - dal furto del beneficio che era venuto a guadagnarsi (una sposa, il fuoco, etc.). Si tratta essenzialmente di un'espansione della coscienza e con essa dell'essere (illuminazione, trasfigurazione, liberazione). L'ultimo compito è quello del ritorno. Se le potenze hanno benedetto l'eroe egli ora procede sotto la loro protezione; altrimenti deve fuggire e viene inseguito. Le potenze trascendentali devono fermarsi sulla soglia del ritorno e l'eroe riemerge dal regno delle tenebre. Il premio che egli

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porta con sé rigenera il mondo".

Campbell ha ulteriormente riassunto l'intero processo nel seguente paragrafo:

Un eroe compie un viaggio dal mondo di tutti i giorni verso una regione di meraviglie soprannaturali. Incontra forze favolose e consegue una vittoria decisiva. Egli poi ritorna dalla sua misteriosa avventura con il potere di distribuire benefici agli altri uomini

O ancora:

Il percorso standard dell'avventura mitologica è un'accentuazione della formula rappresentata nei riti di passaggio: separazione/iniziazione/ritorno. Esso può essere considerato il nucleo centrale del monomito.

Come vedremo, il fatto che Campbell non prenda in considerazione la distinzione tra una prima vittoria temporanea e una successiva vittoria finale nel corso del viaggio mitologico impedisce una completa corrispondenza fra il suo schema e quanto viene riferito a proposito delle esperienze di espansione e contrazione della coscienza che precedono l'illuminazione finale. Ciò che intendo dimostrare in questo capitolo - e che servirà da punto di partenza per l'analisi, nel seguito del libro, di documenti letterari che presentano un unico schema - è che il momento dell'"iniziazione", situato tra la "separazione" e il "ritorno", si divide in tre fasi distinte e che una descrizione completa del "monomito" deve comprendere due episodi culminanti separati da una sconfitta. Due vittorie distinte tra loro, così come il regno originale è diverso da quello riconquistato; come l'invincibile Achille è diverso dall'Ulisse reso esperto dai suoi viaggi. O come il Monte Sinai è diverso dalla terra promessa. Il lettore incontrerà lo schema della doppia vittoria lungo tutto il libro: prima una vittoria temporanea e poi una vittoria finale, separate da un periodo di difficoltà. Dapprima nei miti e nelle fiabe popolari, poi nel processo di espansione e contrazione della coscienza che precedono l'illuminazione completa e poi, nei capitoli che seguono, nel racconto dei due viaggi di Gilgamesh, nei due libri di Omero, in Dante - dalla Vita Nova alla rinascita spirituale della Commedia - nei due libri di Faust e infine nell'esperienza delle due nascite riportata dall'epica di Totila Albert.

L’osservazione di Levy-Strauss secondo la quale nel mito si trova un’eco di fenomeni sociali può essere valida ma riguarda ciò che io considero un epifenomeno del "vero" significato che il mito vuole trasmettere. In altre parole è vero che i miti patriarcali "usano il linguaggio" delle antiche monarchie, ma non sarebbe corretto dire che ne siano una rappresentazione, se non in senso figurato. Sospetto che, a parte certi psicoanalisti ortodossi, pochi possano accontentarsi dell’affermazione di Rank secondo cui la facola dell’eroe ci parla delle esperienze comuni dell’infanzia, a meno di prendere anche questa come metafora, trasponendo per esempio la "nascita dell’eroe" in una "seconda nascita" di tipo spirituale, o interpretando le frustrazioni legate al rapporto con la madre co con il padre come simbolo di una vittimizzazione dello spirito in un mondo percorso da forze oscure. E considero anche troppo limitata la posizione di Campbell quando dice che "attraverso i racconti fantastici che sembrano narrare la vita di eroi leggendari, la potenza delle divinità della natura, lo spirito dei morti o gli antenati leggendari di una comunità, viene data un’espressione simbolica a desideri, paure e tensioni inconsce che sono alla base dei meccanismi coscienti del comportamento umano. In altri termini la mitologia non è altro che psicologia in forma di biografia, storia e cosmologia." Campbell è certamente un precursore, almeno per quanto riguarda il credito che egli dà alla teoria psicoanalitica. Ma in questo caso mi sembra che abbia dato un peso eccessivo al pregiudizio psicoanalitico. Egli cita anche un passo di Geza Roheim: "Bisogna dimostrare che lo stregone/sciamano è un neurotico o uno psicotico, o almeno che la sua arte si basa sugli stessi meccanismi di una neurosi o psicosi. Le aggregazioni umane si fondano su ideali di gruppo che

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sono sempre riconducibili all’infanzia dell’uomo. Pertanto gli stregoni si limitano a rendere visibile e pubblico il sistema di fantasie simboliche presente in ogni membro adulto della loro comunità". Anche l’interpretazione junghiana dell’eroe come archetipo dotato di una propria struttura (una sorta di "organo della mente") ci lascia insoddisfatti. Parafrasando un’osservazione di Segal a proposito del saggio Lo schema eroico nella vita di Gesù di Alan Dundes, diremo che interpretare la vita di Gesù come mero simbolo dell’evoluzione dell’ego a partire dall’inconscio e del ritorno finale dell’ego all’inconscio sarebbe una banalizzazione di un insegnamento iniziatico. Sebbene vicino alle idee di Jung, Joseph Campbell era dichiaratamente non junghiano. Sono certo che egli non avrebbe dato inizio al "revival mitologico" dei nostri tempi se non per seguire l’esempio del suo amico e maestro Heinrich Zimmer, che aveva assorbito insegnamenti tradizionali sui simboli religiosi indiani per farne parte della propria ermeneutica. Pur dando atto a Campbell di avere utilizzato le scoperte della psicologia evitando di cadere nello psicologismo, mi sembra però che per meglio diffondere il suo valido contributo alla comprensione del mito egli abbia fatto eccessivo credito tanto a Freud quanto a Jung. Facendo leva sulla moda diffusa presso le élites del suo tempo, egli riuscì a "intrufolare" concetti spirituali nel mondo accademico proprio come aveva fatto Jung prima di lui, con la trasformazione delle antiche divinità nel più elegante e accettabile concetto di archetipo. In contrapposizione alla pretesa junghiana che il mito si riferisca alla seconda metà della vita dell’uomo comune, io sostengo che il più intimo significato dei miti sia qualcosa di raro e stra-ordinario. Credo che la magia dei cosiddetti "racconti meravigliosi" (per usare il linguaggio di Propp) abbia lo scopo preciso di evidenziare il fatto che gli eventi della vita dell’eroe spirituale sono del tutto straordinari, poiché gli eroi vivono in un mondo in cui tali eventi ed esperienze sono rari. Gli iniziati e gli artisti di molte parti del mondo lo hanno capito da tempo. Ad esempio, quando Dante spiega a Cangrande di Verona come si debba leggere la sua Commedia, fa ricorso ai quattro livelli di significato delineati da Tommaso d’Aquino per l’interpretazione delle sacre scritture: prendendo in considerazione il Salmo 114, l’Aquinate nota che se ci si limita alla lettera del testo, esso si riferisce alla fuga degli ebrei dall’Egitto al tempo di Mosè; in senso allegorico, esso suggerisce la redenzione attraverso il Cristo; in senso morale allude alla conversione dell’anima dalla condizione di peccato allo stato di grazia; in senso anagogico, infine, si riferisce all’"uscita dell’anima immortale dalla schiavitù della corruzione verso la libertà della gloria eterna". Proprio come la storia di Mosè echeggia lo schema del racconto dell’eroe, l’Esodo costituisce una variazione del monomito, nel senso che l’eroe qui non è un individuo ma un popolo. Mosè arriva nella terra del Faraone sulle acque di un fiume, viene cresciuto da genitori adottivi, sfugge alle persecuzioni, riceve una chiamata soprannaturale, fa esperienza di una grande epifania, subisce processi e tribolazioni e muore in vista della terra promessa. E la storia prosegue dopo la sua morte, attraverso il Deuteronomio e tutte le sacre scritture fino alla costruzione del Tempio di Salomone. Non c’è dubbio che per i commentatori antichi e per gli attuali rabbini la storia non riguardi la natura né l’esperienza dell’infanzia nell’inconscio collettivo dell’uomo comune. Ma chiunque ammetterebbe che essa contiene un insegnamento che riguarda il processo di maturazione individuale lungo un percorso mistico, e che costituisce una mappa degli stadi avanzati dello sviluppo dell’uomo. Il mio scopo in questo libro sarà di procedere oltre nella direzione del chiarimento del significato intimo del monomito, per poi mostrare che i diversi stadi del viaggio dell’eroe corrispondono precisamente a quelli di un "viaggio interiore" dell’individuo nel corso della sua evoluzione psico-spirituale. Una parte delle mie argomentazioni sarà dedicata a delineare lo schema di tale evoluzione nella vita reale degli eroi spirituali i quali, dopo aver sperimentato una "seconda nascita", devono ancora affrontare un viaggio, e poi il ritorno dopo aver completato un pellegrinaggio apparentemente governato dal fato. L’accento posto sui diversi stadi dello sviluppo spirituale potenzialmente aperti all’individuo corrisponde a ciò che nella tradizione cristiana viene chiamato "teologia mistica", da cui il titolo di questo capitolo. Mentre la maggior parte di questo libro sarà dedicata al tentativo di decifrare il significato

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anagogico di alcune delle più grandi opere della letteratura occidentale, nel seguito di questo capitolo mi concentrerò nel rendere esplicito il significato generale della "favola dell’eroe" così come è stato generalmente riconosciuto nel campo del mito e del folclore. Nel far ciò tenterò anche di dimostrare l’affermazione di un antico maestro Sufi (Daudzadah) secondo la quale la "summa di ogni saggezza" è contenuta nei diversi livelli di interpretazione della storia che segue:

In una remota terra regnava un monarca giusto che aveva una moglie e due meravigliosi figli, un maschio e una femmina. Essi vivevano felici insieme. Un giorno il padre chiamò davanti a sé i suoi figli e disse: "E’ giunto il tempo, come succede per tutti. Dovete partire per una terra lontana, percorrere un’enorme distanza. Dovrete cercare, trovare e portare indietro con voi una gemma preziosa". I viaggiatori furono condotti in incognito in una strana terra, i cui abitanti vivevano un’esistenza oscura. Il posto aveva un effetto tale che i due, vagabondando come addormentati, persero le rispettive tracce. Ogni tanto essi vedevano dei fantasmi, qualcosa di simile alla loro terra di origine o alla gemma, ma queste cose non facevano che peggiorare le loro allucinazioni, che stavano cominciando a confondersi con la realtà. Quando al re giunse notizia dello stato dei suoi figli, egli mandò loro un messaggio tramite un servitore fidato, un uomo saggio: "Ricordatevi la vostra missione. Risvegliatevi dai sogni e rimanete insieme". Quando giunse loro il messaggio essi si risvegliarono, e con l’aiuto della loro guida affrontarono mostruosi pericoli per trovare la gemma, e con l’aiuto magico di questa tornarono nel loro regno di luce, per rimanervi ancora più felici e per sempre.

Dire che questo racconto sia la "summa di ogni saggezza" si riferisce ovviamente a un tipo di comprensione che non può essere espresso precisamente a parole e che non può essere raggiunto completamente da chi non abbia completato il viaggio. Tuttavia, proprio il fatto che storie come questa sono state raccontate e hanno costituito una parte importante della tradizione spirituale del mondo implica che le parole possono almeno indicare la strada ai viaggiatori. La storia delineata sopra - nota in molte variazioni (la più famosa delle quali è la parabola del figliol prodigo nei Vangeli) - non è altro che il mitologema che gli studiosi moderni hanno chiamato "favola dell’eroe". Ma poiché gli studiosi, come la maggior parte delle persone, sono di solito meno saggi dei mistici (i quali, io credo, hanno creato il prototipo della favola) molto del significato intimo delle storie giace dimenticato come un tesoro sepolto sotto la loro superficie familiare. Spero che il resto di questo capitolo contribuirà alla comprensione della corrispondenza fra il contenuto intimo del "folclore" (favole, leggende e miti) e la comprensione dello sviluppo umano nelle tradizioni spirituali viventi.

Fonte: http://www.in-psicoterapia.com/naranjo2.htm#Claudio

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